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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA
STRUTTURA DIDATTICA AGGREGATA
DI SCIENZE DELLA TERRA
(SDAST)
Corso di Laurea in Scienze Geologiche
Classe L34 – SCIENZE GEOLOGICHE
NORMATIVA GEOLOGICA
Docente: Dott. Geol. Carlo Cassaniti
P.A.I. e frane
Rischio Geomorfologico della collina di Vampolieri
Studente: Fabio Francesco Vinci
ANNO ACCADEMICO 2011/2012
2
INDICE
CAPITOLO 1
3…… P.A.I.
 4…… La Nascita del P.A.I.
 6…… Le Fasi di Realizzazione del P.A.I.
 7…… Azioni del P.A.I.
 8…… Metodologie per l’Analisi e la Valutazione del Rischio Geomorfolo-
gico.
 12…… Norme di Attuazione
CAPITOLO 2
13…… Il P.A.I. IN SICILIA
 14…… I Bacini Idrografici Siciliani
CAPITOLO 3
15…… P.A.I. AREA TERRITORIALE TRA I BACINI DEL
FIUME SIMETO E DEL FIUME ALCANTARA (095)
CAPITOLO 4
18…… CASO DELLA COLLINA DI VAMPOLIERI
 19…… Analisi dei Dissesti
CAPITOLO 5
24…… ALLEGATI FOTOGRAFICI
 24…… Allegato A
 26…… Allegato B
 27…… Allegato C
 28…… Allegato D
 29…… Allegato E
 31…… Allegato F
3
Capitolo 1
P.A.I.
Con il Piano per l’Assetto Idrogeologico viene avviata, nella Regione Siciliana, la pianifi-
cazione di bacino, intesa come lo strumento fondamentale della politica di assetto territo-
riale delineata dalla legge 183/89, della quale ne costituisce il primo stralcio tematico e
funzionale.
Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico, di seguito denominato Piano Stralcio o Pia-
no o P.A.I., redatto ai sensi dell’art. 17, comma 6 ter. della L. 183/89, dell’art. 1, comma 1,
del D.L. 180/98, convertito con modificazioni dalla L. 267/98, dell’art. 1 bis del D.L.
279/2000, convertito con modificazioni dalla L. 365/2000, ha valore di Piano Territoriale di
Settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale
sono pianificate e programmate le azioni, gli interventi e le norme d’uso riguardanti la di-
fesa dal rischio idrogeologico del territorio siciliano.
Il P.A.I. ha sostanzialmente tre funzioni:
 La Funzione conoscitiva, che comprende lo studio dell’ambiente fisico e del siste-
ma antropico, nonché della ricognizione delle previsioni degli strumenti urbanistici
e dei vincoli idrogeologici e paesaggistici;
 La Funzione normativa e prescrittiva, destinata alle attività connesse alla tutela
del territorio e delle acque, fino alla valutazione della pericolosità e del rischio idro-
geologico e alla conseguente attività di vincolo in regime sia straordinario che ordi-
nario;
 La Funzione programmatica, che fornisce le possibili metodologie d’intervento fi-
nalizzate alla mitigazione del rischio, determina l’impegno finanziario occorrente e
la distribuzione temporale degli interventi.
Pertanto, esso è un atto di pianificazione territoriale di settore che fornisce un quadro
di conoscenze e di regole, basate anche sulle caratteristiche fisiche e ambientali del ter-
ritorio, finalizzate a proteggere l’incolumità della popolazione esposta e a salvaguarda-
re gli insediamenti, le infrastrutture e in generale gli investimenti.
La finalità del P.A.I. sarà perseguibile attraverso il raggiungimento dei seguenti obietti-
vi:
 Conoscenza globale dello stato di dissesto idrogeologico del territorio tramite
l’individuazione delle: 1. pericolosità connesse ai dissesti sui versanti; 2. pericolo-
sità idrauliche e idrologiche;
 Individuazione degli elementi vulnerabili;
 Valutazione delle situazioni di rischio, in dipendenza della presenza di elementi
vulnerabili su porzioni di territorio soggette a pericolosità;
 Programmazione di norme di attuazione finalizzate alla conservazione e tutela
degli insediamenti esistenti;
4
 Sviluppo di una politica gestionale degli scenari di pericolosità agendo, quando
e dove possibile, in modo da assecondare l’evolversi naturale dei processi, limi-
tando l’influenza degli elementi antropici (e non) che ne impediscono una piena
funzionalità;
 Programmazione di indagini conoscitive, di studi di monitoraggio dei dissesti, di
interventi specifici per le diverse situazioni e, ove necessario, di opere finalizzate
alla mitigazione e/o eliminazione del rischio valutando correttamente, in modo
puntuale, dove intervenire con opere che garantiscano la sicurezza e quando ri-
correre alla delocalizzazione di attività e manufatti non compatibili.
Il P.A.I. assume valore giuridico preminente rispetto alla pianificazione di settore, compresa
quella urbanistica, e ha carattere immediatamente vincolante per le Amministrazioni ed
Enti Pubblici, nonché per i soggetti privati, ai sensi dei commi 4, 5, 6, e 6 bis dell’art. 17
della L. 183/89 e successive modifiche e integrazioni. Esso è stato redatto dall’Assessorato
al Territorio e Ambiente della Regione Siciliana, Dipartimento Territorio e Ambiente, sog-
getto istituzionalmente deputato all’elaborazione del Piano. In particolare il progetto è
stato curato dal servizio 4: “Assetto del Territorio e difesa del suolo” – U.O.S4.I: “Piano per
l’assetto idrogeologico” del Dipartimento Territorio e Ambiente con la collaborazione de-
gli uffici del Genio Civile dell’Isola e del Dipartimento Foreste dell’Assessorato Agricoltura
e Foreste.
1.1 La Nascita del P.A.I.
Il processo normativo, sociale e intellettuale che ha portato al concetto di rischio idrogeo-
logico e di P.A.I. comincia con la L. 183/1989, la prima a introdurre il concetto di difesa del
suolo, intesa come “insieme di azioni pubbliche per la stabilità del territorio e la sicurezza
idraulica (anche con riferimento ad oggetti distinti dal suolo, sottosuolo e dalle acque) ”. Il
concetto fondamentale della seguente norma è una nuova visione di suolo, espressa
nell’articolo 1: “il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali”.
Il percorso che ha portato a questa nuova visione del territorio è stato inevitabilmente se-
gnato da importanti eventi catastrofici quali l’alluvione del Polesine (1951), il disastro della
diga del Vajont (1963) o l’alluvione di Firenze (1966), con le inevitabili riflessioni riguardo
alla profonda e intrinseca fragilità del rapporto uomo – natura.
Il primo passo avviene nel 1966 con l’istituzione della Commissione de Marchi, allo scopo
di individuare azioni di programmazione per risolvere i problemi connessi con la sistema-
zione idraulica e la difesa del suolo; è messa in evidenza la necessità di affrontare congiun-
tamente le questioni riguardanti la difesa del suolo e l’uso ottimale delle risorse idriche, at-
traverso una pianificazione capace di integrare esigenze di tutela e di sviluppo gestite da
un unico centro decisionale.
È su queste basi che la L. 183/189 si pone i seguenti obiettivi:
 La difesa del suolo: insieme di attività conoscitive, di programmazione, di pianifica-
zione e di attuazione.
 Il risanamento delle acque
 L’utilizzazione razionale delle risorse idriche
5
 La tutela degli aspetti ambientali connessi agli usi delle risorse.
Gli obiettivi principali della legge quadro vengono raggiunti con:
 La suddivisione del territorio in Bacini Idrografici, le unità più idonee per realizzare
azioni organiche di tutela del territorio e salvaguardia ambientale. Un bacino idro-
grafico è definito come il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi
e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso
d’acqua, ivi compresi i suoi rami terminali, con le foci in mare e il litorale marittimo
prospiciente.
 La definizione di una nuova struttura istituzionale di coordinamento: l’Autorità di
Bacino, che gestisce il singolo bacino. Essa è un soggetto autonomo di diritto pub-
blico, a composizione mista (pubblica e privata), che costituisce la sede del coordi-
namento sul territorio delle funzioni statali, regionali e provinciali nelle materie in-
dicate dalla L. 183/89. Ha dunque compiti di pianificazione e programmazione nel
suo territorio di competenza, il Bacino, delimitato non su base politica ma con crite-
ri geomorfologici e ambientali, in modo da superare gli ostacoli nella difesa del
suolo dovuti alle suddivisioni amministrative.
 La definizione di un Piano unitario di interventi per l’allocazione delle risorse idriche
tra i vari usi, la salvaguardia ambientale e la difesa dalle piene (piano di bacino).
Ai sensi del comma 1 dell’ art. 17 il piano di bacino assume: “valore di piano terri-
toriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo me-
diante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate
alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizza-
zione delle acque sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio
interessato”.
Nel 1993 una nuova legge viene emanata, la n. 493, il cui articolo 12 prevede la possibilità
di approvare i piani di bacino per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali, anche
al fine di semplificare il coordinamento con altri piani. È il caso della Sicilia, impossibile da
coordinare attraverso un unico piano.
Ulteriori eventi alluvionali e catastrofici eccezionali, che causano numerose vittime tra il
1998 e il 2000, provocano un ulteriore passo in avanti con l’emanazione delle leggi L.
267/1998, L. 226/1999, L. 365/2000, che affidano alle Autorità di Bacino la predisposizione
dei seguenti compiti:
 Un Piano Straordinario per rimuovere le situazioni a rischio idrogeologico più alto
(da adottarsi entro il 31 Ottobre 1999)
 Misure di salvaguardia per le aree a rischio molto elevato, in attuazione del piano
straordinario (da adottarsi entro il 31 Ottobre 1999)
 Un Piano Stralcio di Bacino per l’assetto idrogeologico, da adottarsi in forma di
progetto o in forma definitiva tra il 30 Aprile ed il 30 Ottobre 2001.
Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.), redatto ai sensi dell’art. 17 della L.
183/89, dell’art. 1 del D.L. 180/98, convertito con modificazioni dalla L. 267/98, e dell’art. 1
6
bis del D.L. 279/2000, convertito con modificazioni dalla L. 365/2000 ha valore di Piano
Territoriale di Settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo me-
diante il quale sono pianificate e programmate le azioni, gli interventi e le norme d’uso ri-
guardanti la difesa del rischio idrogeologico.
1.2 Le Fasi di Realizzazione del P.A.I.
Tenendo in considerazione quelli che sono gli obiettivi del P.A.I., si comprende come esso
debba necessariamente essere un piano dinamico, pronto a riconoscere le forme di disse-
sto e squilibrio nel territorio: deve assumere, dunque, una forma tale da poter essere fa-
cilmente aggiornato in tempo reale. Soprattutto, deve basarsi su una metodologia di base
che sia rivolta verso il riconoscimento dei segnali che precedono e rivelano futuri fenome-
ni di dissesto e rischio, in modo tale da avere anche capacità preventive, indispensabili per
permettere uno sviluppo dinamico delle attività umane nel rispetto di un ambiente che
non è mai statico. Sono state perciò individuate tre fasi, ognuna delle quali definita da o-
biettivi specifici, che differenziano le attività dell’intero processo di pianificazione
dell’assetto idrogeologico:
1. Redazione del P.A.I.
2. Affinamento delle conoscenze
3. Gestione del P.A.I.
1. REDAZIONE
Questa prima fase è stata avviata tenendo in considerazione i due filoni principali di rischio
e pericolosità che il P.A.I. tiene in considerazione: quello geomorfologico e quello idrauli-
co. L’attività principale è stata la redazione di un censimento e la catalogazione in un si-
stema informativo quanto più completo possibile dei fenomeni di dissesto riconoscibili av-
venuti nel territorio, con maggior dettaglio in prossimità dei centri abitati e dei sistemi via-
ri principali. L’analisi della pericolosità idraulica dei corsi d’acqua è stata eseguita tramite
l’utilizzo di modelli matematici mono e bidimensionali.
2. AFFINAMENTO DELLE CONOSCENZE
La seconda fase ha previsto un affinamento delle conoscenze territoriali e la realizzazione
di un coordinamento istituzionale tra governo, pubblici e privati. Sono state sviluppate:
 Catasto delle opere di difesa idraulica
 Catasto delle opere di sistemazione dei versanti
 Carta degli interventi realizzati, in corso e programmati
 Carta degli insediamenti e infrastrutture regionali
 Cartografie di dettaglio
 Sperimentazione di metodologie di calcolo per la valutazione, in aree pilota, della
propensione al dissesto.
3. GESTIONE DEL P.A.I.
Questa fase ha avuto come obiettivi:
 Realizzazione cartografie di sintesi
7
 Sistema informativo del P.A.I.
 Aggiornamenti periodici
 Metodologie d’interventi
 Monitoraggio e verifica sul territorio degli interventi
 Sviluppo di politiche intersettoriali.
1.3 Azioni del P.A.I.
Il P.A.I. viene attuato attraverso lo svolgimento di azioni, successivamente
all’approfondimento delle conoscenze, tendenti alla riduzione del rischio, al monitoraggio
del territorio, alla gestione di interventi di sistemazione dei versanti e alla manutenzione
delle opere preesistenti,oltre che quella dei pendii. Si distinguono:
1. Azioni non strutturali: attività di approfondimento delle conoscenze, di regola-
mentazione del territorio tramite il controllo e la salvaguardia degli elementi a ri-
schio e la tutela delle aree pericolose.
2. Azioni strutturali: interventi di sistemazione e consolidamento delle aree in disse-
sto con misure di tipo estensivo e/o intensivo.
AZIONI NON STRUTTURALI
Comprendono i seguenti gruppi di attività.
- Attività di regolamentazione dell’uso del territorio:
 Delimitazione delle fasce fluviali e regolamentazione dell’uso del suolo;
 Approfondimento sulla conoscenza dei fattori che influiscono sull’assetto idrogeo-
logico dei versanti per individuarne la propensione al dissesto e proporre una con-
seguente formulazione di indirizzi per la regolamentazione dell’uso del territorio;
 Emanazione di normative per la compatibilità idrogeologica degli usi del territorio.
- Attività di previsione e sorveglianza:
 Consiste in un sistema di misure e controllo dei fenomeni di dissesto idrogeologico,
coordinate con gli altri enti preposti alla conoscenza e alla tutela del territorio.
- Mantenimento delle condizioni di assetto del territorio:
 Mantenimento del reticolo idrografico in ottimo stato ambientale, eliminando osta-
coli di deflusso delle piene;
 Mantenimento dei versanti in ottime condizioni idrogeologiche e ambientali;
 Manutenzione delle opere di difesa essenziali alla sicurezza idraulica ed idrogeolo-
gica.
- Programmazione e attuazione.
AZIONI STRUTTURALI
Comprendono interventi di sistemazione e consolidamento delle aree in dissesto con mi-
sure di tipo estensivo e intensivo, secondo due principi: limitare le opere di difesa attiva e
passiva solo nei punti in cui si manifestano condizioni di alto rischio per le popolazioni o
gli insediamenti abitativi, decidendo di non intervenire, se non in modo preventivo, altro-
ve; i dissesti sono, infatti, le naturali manifestazioni dei processi geomorfologici che rego-
lano l’evoluzione del territorio, quindi per quanto possibile non bisogna ostacolarli.
8
Nel caso in cui si decida di intervenire, il secondo obiettivo è quello di scegliere gli inter-
venti il più possibile compatibili con le peculiarità paesaggistico-ambientali del contesto
territoriale in cui si collocano.
- Misure strutturali di tipo estensivo
Sono interventi a largo raggio che mirano a ridurre i fattori predisponenti il dissesto: si
realizzano dunque sull’intera superficie dei versanti in squilibrio (ad esempio il ristabili-
mento della copertura vegetale)
- Misure strutturali di tipo intensivo
Sono interventi localizzati in punti specifici dei versanti, in cui si è verificato un dissesto o
in cui è molto probabile che avvenga: consistono principalmente nell’allestimento di opere
in muratura o di protezione o di sostegno.
1.4 Metodologia per l’Analisi e la Valutazione del Rischio Geo-
morfologico
La metodologia applicata si è articolata in più momenti, che possono essere così schema-
tizzati:
 Raccolta dati
 Analisi: è in questa fase che è stata effettuata la determinazione della tipologia di
frane, tenendo in considerazione la velocità di accadimento del fenomeno, ovvero
la rapidità di evoluzione del processo di rottura, secondo la seguente classificazio-
ne: T1 (deformazioni gravitative profonde in roccia, creep, espansione laterale, cola-
te lente), T2 (frane complesse, scorrimenti e colamenti in roccia, detrito e terra), T3
(scivolamenti rapidi in roccia, detrito e terra, crolli, colate rapide di fango).
 Valutazione della pericolosità e del rischio
VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ E DEL RISCHIO
Il rischio totale è espresso dal prodotto di quattro fattori:
R = H x V x E
Dove:
Rischio totale R = atteso numero di perdite umane, feriti, danni alle proprietà, interruzio-
ne di attività economica, in conseguenza di un particolare fenomeno naturale.
Pericolosità H = probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo di determinata
intensità si verifichi in un dato periodo di tempo ed in una data area. È espressa in termini
di probabilità annuale o di tempo di ritorno.
Vulnerabilità V = grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi
esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una data intensità.
Elementi a rischio E = popolazione, proprietà, attività economiche, inclusi i servizi pubbli-
ci.
9
Per dare una stima dell’intensità del fenomeno franoso, si è utilizzata la matrice di magni-
tudo, ove sono state messe in relazione l’estensione e/o volumetria della frana e la sua ti-
pologia:
La classificazione adottata per determinare lo stato di attività dei fenomeni franosi è stata
la seguente:
 Attiva o riattivata: attualmente in movimento
 Inattiva: si è mossa l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale
 Quiescente: può essere riattivata dalle sue cause originali
 Stabilizzata artificialmente o naturalmente: protetta da interventi di sistemazione o
se il fenomeno franoso si è esaurito naturalmente.
Dalla correlazione fra magnitudo e stato di attività è possibile ricavare una valutazione in-
dicativa della pericolosità:
P0 – pericolosità bassa
P1 – pericolosità moderata
P2 – pericolosità media
P3 – pericolosità elevata
P4 – pericolosità molto elevata
Tipologia di frana
Estensione
(mq)
Volume
(mc)
T1 T2 T3
< 104
<1 M1 M2 M3
104
÷105
>1 M2 M3 M4
105
÷106
>1 M2 M3 M4
>106
>1 M3 M4 M4
Magnitudo
Stato di attività M1 M2 M3 M4
Stabilizzata naturalmente o artificialmente P0 P0 P0 P1
Quiescente P0 P1 P1 P2
Inattiva P1 P1 P2 P3
Attiva o riattivata P1 P2 P3 P4
10
Nella definizione di danno atteso, si è ritenuto opportuno individuare 4 classi di elementi
a rischio, da E1 a E4, a vulnerabilità crescente:
Classe Descrizione
E1 Case sparse, impianti sportivi e ricreativi, cimiteri, insediamenti agricoli a bassa tecnologia, inse-
diamenti zootecnici.
E2
Reti e infrastrutture tecnologiche di secondaria importanza (acquedotti, fognature, reti elettriche,
telefoniche, depuratori, …), viabilità secondaria, insediamenti agricoli ad alta tecnologia, aree natu-
rali protette, aree sottoposte a vincolo.
E3
Nuclei abitati, ferrovie, viabilità primaria e vie di fuga, aree di protezione civile, reti e infrastrutture
tecnologiche di primaria importanza (reti elettriche e gasdotti), beni culturali, architettonici e ar-
cheologici sottoposti a vincolo, insediamenti industriali e artigianali.
E4 Centri abitati, edifici pubblici di rilevante importanza (scuole, chiese, ospedali, ecc.).
Attraverso la combinazione dei due fattori P ed E si determina il rischio R. Ovviamente il
fattore rischio è sempre dipendente dagli elementi a rischio che insistono su un’area peri-
colosa. Quest’ultima, infatti, senza infrastrutture che vi si trovino non diventa un’area a ri-
schio.
Rischio moderato R1: i danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono margi-
nali.
Rischio medio R2: sono possibili dei danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al pa-
trimonio ambientale che non pregiudicano l’incolumità del personale, l’agibilità degli edi-
fici e la funzionalità delle attività economiche.
Rischio elevato R3: sono possibili dei problemi per l’incolumità delle persone, danni fun-
zionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi,
l’interruzione di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio
ambientale.
Rischio molto elevato R4: è possibile la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone,
danni consistenti agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di
attività socio-economiche.
Va inteso che la metodologia seguita nella definizione di rischio e nell’attribuzione di que-
sto parametro alle diverse zone non è una valutazione perfetta dei reali livelli di rischio
geomorfologico, ma presenta delle limitazioni che vanno superate con le conoscenze, un
costante monitoraggio e l’esperienza.
Elementi a rischio
E1 E2 E3 E4
Pericolosità
P0 R1 R1 R1 R1
P1 R1 R1 R2 R2
P2 R2 R2 R3 R4
P3 R2 R3 R4 R4
P4 R3 R3 R4 R4
11
La definizione di un quadro d’intervento atto a ridurre le condizioni di pericolosità e ri-
schio di un dato luogo avviene secondo tre fasi concettuali e operative:
1. Definizione del quadro conoscitivo.
2. Individuazione delle condizioni di pericolosità e di rischio di natura geomorfologica
(ciò vale anche per il rischio idraulico).
3. Programmazione interventi.
Dopo il completamento della seconda fase, particolare attenzione va posta ovviamente al-
le zone a rischio R4 ed R3, coincidenti in genere con territori urbanizzati per fini residen-
ziali, infrastrutturali e industriali.
L’ordine di priorità negli interventi è stabilito sulla base dell’incrocio tra pericolosità e tipo-
logia di elemento a rischio: è semplificativo a tal scopo l’ordine di colori (rosso acceso
prima, arancione, giallo sabbia, giallo, beige).
In seguito alla stesura del P.A.I. per ogni singolo bacino, con la definizione di tutte le aree
a rischio, gli Enti Locali sviluppano dei progetti preliminari. Essi definiscono le caratteri-
stiche qualitative e funzionali dei lavori da apportare a un’area attraverso: una relazione il-
lustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata, della fattibilità amministra-
tiva e tecnica di quest’ultima, dei costi previsti e delle sue caratteristiche tecnico-funzionali,
oltre che dei benefici previsti in termini di riduzione di rischio.
12
1.5 Norme di Attuazione
Nelle aree a pericolosità molto elevata P4 ed elevata P3:
 Sono vietati scavi, riporti, movimenti di terra e tutte le attività che possono esaltare
il livello di rischio atteso;
 La realizzazione di elementi delle classi E4 ed E3 è subordinata all’esecuzione degli
interventi necessari alla mitigazione del rischio;
 Sono consentite le opere di regimazione delle acque superficiali e sotterranee;
 Sono consentite le occupazioni temporanee autorizzate del suolo;
 Sono permesse le opere relative ad attività di tempo libero compatibili con la peri-
colosità della zona.
Nelle aree a rischio molto elevato R4 sono esclusivamente consentiti:
 Interventi di demolizione senza ricostruzione;
 Interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, gli interventi di restauro e risa-
namento conservativo e gli interventi di ristrutturazione edilizia parziale degli edifi-
ci, che non comportino delle modifiche strutturali;
 Le occupazioni temporanee autorizzate di suolo;
 Gli interventi di consolidamento per la mitigazione del rischio di frana.
Nelle aree a rischio elevato R3 sono inoltre consentiti:
 Gli interventi di adeguamento igienico-funzionale degli edifici esistenti, ove neces-
sario;
 L’ampliamento o la ristrutturazione delle infrastrutture pubbliche o di interesse
pubblico esistenti, purché compatibili con lo stato di dissesto esistente.
13
Capitolo 2
IL P.A.I. IN SICILIA
La Sicilia ricopre una superficie di 25.707 km2 (isole minori comprese) ed è la regione ita-
liana territorialmente più estesa. Posizionata nel centro del Mar Mediterraneo, è divisa dal-
la penisola italiana dallo stretto di Messina, della larghezza minima di 3,4 km; il Canale di
Sicilia la separa dal continente africano con una distanza minima di 140 km; a NE è borda-
ta dall’arcipelago delle isole Eolie, a NW dall’isola di Ustica, ad W dalle isole Egadi, a SW
dall’isola di Pantelleria e più a S dalle isole Pelagie. Vista la sua forma triangolare, si distin-
guono tre versanti:
 Quello settentrionale, o tirrenico, da Capo Peloro a Capo Boeo, di circa 6.630
km2;
 Quello meridionale, o mediterraneo, da Capo Boeo a Capo Passero, di circa
10.754 km2;
 Quello orientale, o ionico, da Capo Passero a Capo Peloro, di circa 8.072 km2.
L’orografia del territorio è abbastanza varia, con la porzione settentrionale prevalentemen-
te montuosa, quella centro-meridionale e sud-occidentale prevalentemente collinare,
quella sud-orientale con una morfologia tipica di altipiano e quella orientale dominata
dall’edificio vulcanico etneo.
I corsi d’acqua principali del versante orientale sono, da nord verso sud, le fiumare della
provincia di Messina, l’Alcantara, il Simeto, il San Leonardo e l’Anapo, il Cassibile ed il Tel-
laro.
La Sicilia è suddivisa amministrativamente in nove province, i cui capoluoghi sono: Agri-
gento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani.
Dal punto di vista dell’assetto geologico regionale è possibile distinguere tre diversi settori
(da N verso S):
 Una catena con una struttura a falde tettonicamente sovrapposte. Dal basso verso
l’alto si hanno: il Sistema a thrust esterno, la catena Appenninico-Maghrebide e
quella Kabilo-Calabride. L’intero sistema, spesso a luoghi più di 15 km, ha una
vergenza verso E-SE e la sua geometria si è evoluta in un intervallo compreso tra
l’inizio del Miocene e quello del Pleistocene, probabilmente in seguito ad una tet-
tonica collisionale tra placca europea e africana.
 Una zona di avanfossa, compresa tra l’avampaese ibleo, nella Sicilia sud-orientale, a
S e in parte sepolta dal margine meridionale della catena a N. Si manifesta in una
depressione strutturale denominata “Avanfossa Gela-Catania”.
 Una zona di avampaese formato ad W da crosta continentale con una potente co-
pertura carbonatica affiorante in corrispondenza del Plateau Ibleo, in Sicilia sud-
orientale, mentre a E da una vasta area a crosta oceanica, il Bacino Ionico, con i
due settori separati da una gradinata di faglie ad orientazione NNW-SSE, la “Scar-
pata Ibleo-Maltese”.
14
Figura 1: Domini strutturali del Mediterraneo Centrale (Lentini et al. 2006)
2.1 I Bacini Idrografici Siciliani
Dopo aver realizzato nel 2000 il “Piano Straordinario” e averne successivamente aggiorna-
to i contenuti nel 2002, nel 2003 l’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione Siciliana
ha avviato l’elaborazione del Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico, il primo
strumento di pianificazione del settore, redatto ai sensi della L. 493/93.
Da una prima suddivisione in 57 bacini idrografici principali, definiti nel “Piano Straordina-
rio per l’assetto idrogeologico” del 2000, con il successivo aggiornamento nel 2002, in cui
sono state individuate le aree territoriali intermedie ai sopraelencati bacini idrografici prin-
cipali, nel piano finale del 2003 vengono elencati i bacini idrografici di tutti i corsi d’acqua
aventi sbocco a mare e le aree comprese tra una foce e l’altra, raggruppandoli, dal punto
di vista geografico, nei tre versanti siciliani: settentrionale, meridionale ed orientale. La re-
gione Siciliana è dunque stata suddivisa in 102 bacini idrografici, 5 raggruppamenti di
isole minori per il P.A.I. continentale e 21 Unità Fisiografiche costiere e % raggruppamenti
delle isole minori per il P.A.I. relativo alle coste.
15
Capitolo 3
P.A.I.
AREA TERRITORIALE TRA I BACINI DEL FIUME
SIMETO E DEL FIUME ALCANTARA (095)
L’area territoriale compresa tra i bacini idrografici del Fiume Simeto e del Fiume Alcantara
è ubicata nella parte orientale della Sicilia e si estende per una superficie complessiva di
718,27 km2
dalla costa ionica, compresa tra Calatabiano e Catania, alle Colline delle Terre-
forti e al versante orientale del massiccio vulcanico dell’Etna. In generale possono essere
delineate tre fasce altimetriche: una zona pedemontana che si estende dalla linea di costa
fino ad una quota di circa 600 m, caratterizzata da una morfologia collinare; una seconda
fascia, estesa da quota 600 m a quota 1.800 m circa, caratterizzata da pendii più accentua-
ti; una terza fascia, comprendente le quote più elevate fino alla sommità dell’Etna (3.300 m
circa), caratterizzata da pendii molto ripidi.
IDROGRAFIA
Il versante orientale del massiccio etneo, a causa dell’elevata permeabilità dei terreni vul-
canici, può ritenersi privo di reticolo idrografico, ad eccezione di deflussi superficiali tem-
poranei che s’incanalano all’interno delle incisioni sui bassi versanti del vulcano, dove può
affiorare a tratti il substrato sedimentario o prodotti piroclastici a granulometria fine. Nel
suo insieme questo embrione di reticolo idrografico, la cui geometria è generalmente cen-
trifuga, si ricollega prevalentemente alla tettonica alle quote meno elevate.
ASSETTO GEOLOGICO-STRUTTURALE
L’area in esame comprende il versante orientale dell’Etna, che si colloca alla periferia e-
sterna della catena Appenninico-Maghrebide ed è generato dall’intersezione di importanti
direttrici strutturali regionali. Esso è il risultato della sovrapposizione nel tempo di più edi-
fici vulcanici aventi prodotti a chimismo differente e in parte differenziato: una fase sotto-
16
marina iniziale ad affinità tholeiitica, una fase alcalina dei centri eruttivi antichi, la fase rela-
tiva al vulcano-strato Trifoglietto con prodotti più o meno differenziati, l’ultima fase relati-
va alle unità del Mongibello Antico e Recente. L’insieme dei prodotti eruttivi si trova sopra
un substrato geologico di natura sedimentaria relativo alla Catena Appenninico-
Maghrebide a N e a W, mentre a S si sovrappone a sedimenti mio-infrapleistocenici.
L’Etna si sviluppa a cavallo della collisione tra Placca Europea e Africana: nel contesto del
regime collisionale tra le due placche, infatti, si creano delle zone in locale distensione che
possono aver provocato la risalita di magmi dal mantello.
Dal punto di vista tettonico si riscontrano due sistemi di faglie non coevi, spesso interse-
canti tra loro e ambedue simicamente attivi: il primo a orientazione NNE-SSW, con linee
tettoniche più coperte e addolcite; il secondo a orientazione NNW-SSE, più attivo del pre-
cedente e cui si ricollegano le più importanti scarpate di faglia.
CARATTERISTICHE LITOLOGICHE
La successione dei terreni affioranti nell’area può essere così approssimativamente sche-
matizzata dal basso verso l’alto:
 Terreni sedimentari del substrato: costituito da terreni alloctoni di tipo flyschoi-
de a N e da terreni postorogeni di tipo argilloso a S.
 Complesso vulcanico inferiore: le lave subalcaline di base, derivanti da iniezioni
magmatiche nei sedimenti argillosi pleistocenici e da effusioni prevalentemente
subacquee, affiorano nell’area di Aci Castello, Acitrezza e Ficarazzi.
 Complesso sedimentario clastico
 Complesso vulcanico del Mongibello
 Depositi recenti
GEOMORFOLOGIA
La dinamica morfologica delle aree di versante è fortemente condizionata dall’azione ero-
siva dei fenomeni di ruscellamento delle acque meteoriche, connessa ad un’intensiva atti-
vità antropica lungo i versanti e a diffusi movimenti di massa. Un ruolo fondamentale è
svolto inoltre dalle acque sotterranee, nei punti in cui esse affiorano in presenza di un con-
tatto tra terreni con elevato contrasto di permeabilità. Nell’ambito dei terreni sedimentari, i
processi erosivi hanno sicuramente maggior effetto in corrispondenza di versanti prevalen-
temente argillosi.
Come anticipato, gli interventi di natura antropica costituiscono un notevole elemento de-
stabilizzante: le superfici edificate, praticamente impermeabili, favoriscono processi di ero-
sione concentrata e di alluvionamenti, in occasione di piogge prolungate, specie lungo le
strade. Ciò comporta una vulnerabilità degli edificati e delle reti viarie che si manifesta con
fenomeni di plasticizzazione dei terreni di sottofondazione e cedimenti dei materiali di ri-
sulta, utilizzati come colmamento delle depressioni naturali. Un’area con manifestazioni
frequenti di dissesti di tal genere è quella della collina tra Aci Castello e Aci Catena.
17
IDROGEOLOGIA
In un quadro generale, gli affioramenti di vulcaniti permeabili che ricoprono la maggior
parte dell’area, ad eccezione di una modesta parte restante costituita da vulcaniti scarsa-
mente permeabili, garantiscono l’infiltrazione relativamente rapida e indisturbata delle ac-
que di precipitazione secondo vie preferenziali pressoché verticali: queste vanno infine ad
accumularsi al contatto con il substrato sedimentario impermeabile, si incanalano nelle
depressioni morfologiche del substrato (paleovallate) e defluiscono verso il livello base.
18
Capitolo 4
CASO DELLA COLLINA DI VAMPOLIERI
Il caso specifico qui trattato è quello della collina di Vampolieri, ricadente all’interno dei
terreni comunali di Aci Catena a N e di Aci Castello a S, due dei comuni con la più alta
densità di popolazione della zona. Un quadro geologico della zona può essere estrapolato
dalla seguente carta geologica:
Figura 2. stralcio della carta geologica dell'area di Acitrezza
("La carta geologica del basso versante orientale del Monte
Etna: nuovi vincoli geologici e geomorfologici per la ricostru-
zione del sottosuolo" cap. 7, Stefano Catalano e Giuseppe Tor-
torici, sit.protezionecivilesicilia.it)
19
Quest’area, compresa nella CTR 1:10.000: 634020, ricade all’interno della prima fascia alti-
metrica precedentemente vista, quella che dalla linea di costa si sviluppa fino ad una quota
di circa 600 m. La morfologia del territorio è caratterizzata da un andamento collinare, con
pendenze che si accentuano bruscamente al passaggio verso i terreni vulcanici, rappresen-
tati da masse eruttive discontinue intruse nelle argille marnose.
Litologicamente i versanti sono costituiti prevalentemente dalle argille marnose grigio-
azzure che costituiscono il basamento pre-etneo, intercalate a tratti da lave di diversa epo-
ca (prodotti sub-alcalini di base, lave del Pre-Tirreniano e del Pleistocene Superiore), con
una copertura superiore diffusa detritico-argillosa, spesso messa in posto da movimenti
franosi.
Dal punto di vista idrografico non sono da segnalare corsi d’acqua notevoli, ma solo una
decina di torrenti che nascono dalla confluenza delle acque di ruscellamento lungo i ver-
santi argillosi impermeabili o quelle sotterranee che emergono in corrispondenza di oriz-
zonti a permeabilità inferiore. È difficile attualmente definirne l’idrografia, essendo stata la
zona soggetto di intensa urbanizzazione negli ultimi trent’anni, per cui essi risultano o
tombati, oppure le loro acque vanno ad invadere i tracciati stradali che occupano i vecchi
alvei. D’altra parte, la scarsa capacità della rete drenante favorisce la possibilità di ristagni e
infiltrazioni concentrate in corrispondenza dei frequenti accumuli detritici e degli ammassi
rocciosi permeabili, determinando così continui processi di imbibizione e plasticizzazione
delle argille che causano lo scadimento delle caratteristiche geomeccaniche e delle condi-
zioni di stabilità. Tutto ciò va di conseguenza a minacciare e coinvolgere i manufatti, sem-
pre più presenti.
4.1 Analisi Dei Dissesti
ACICATENA
095-3AT-002 – Località: M. Vampolieri – CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (A)
Questo dissesto, classifi-
cato come una deforma-
zione superficiale lenta
(soil creep, o soliflusso),
interessa una vasta area,
prevalentemente adibita
a uso residenziale, ed è
indicato come attivo, la
valutazione degli ele-
menti a rischio è stata E3,
la pericolosità P2 e il ri-
schio R3.
I costi relativi alla sua
messa in sicurezza, se-
condo una stima
dell’ARTA, sono stati pari
a € 4.500.000.
20
Il versante si presenta in generale coperto da una vegetazione diffusa, con una pendenza
media di 25° e una copertura argilloso-marnosa alternata a blocchi lavici sparsi. Questo
terreno è soggetto a plasticizzazione, anche in seguito a piogge di media intensità.
L’opera di stabilizzazione ha previsto la costruzione di un canale di drenaggio delle acque
superficiali, così da evitare l’invasione del tracciato stradale in caso di forti piogge, costitui-
to da blocchi lapidei di origine lavica accatastati tra loro a formare una trincea, rinforzata
da una rete metallica: per mezzo di questo canale le acque filtrano attraverso i blocchi di
roccia e scendono parallelamente alla strada (via Vampolieri), fino ad immettersi in un ca-
nale sotterraneo diretto a valle (Fig. A1.)
Lateralmente a questa porzione di versante non edificato è presente una serie di edifici a
uso residenziale: per questi è stato realizzato un sistema di drenaggio che circonda l’intero
edificato e convoglia le acque verso due canali, disposti parallelamente alla massima incli-
nazione del pendio e ai due lati opposti dell’edificato di cui sopra. Il braccio trasversale al
pendio si trova a monte delle abitazioni, è costruito in muratura e ha forma arcuata: le ac-
que provenienti da monte si immettono all’interno di questo canale attraverso delle cavità
presenti nel muro superiore (fig. A2) e vengono convogliate nei due bracci trasversali, a-
venti le stesse caratteristiche del canale più a valle di cui sopra ma geometria a gradoni
(fig. A3, A4). Alla fine le acque scorrono all’interno di due tubature tombate rivolte a valle
(fig. A5.)
095-3AT-006 (1), 095-3AC-004 (2) (Aci Castello)-Località: M. Vampolieri– CTR
1:10.000: 634020 - dissesto (B)
Questi dissesti, di entità
notevolmente inferiore ri-
spetto al precedente, sono
classificati come deforma-
zioni superficiali lente, en-
trambe attive, che interes-
sano un terreno ad uso a-
gricolo, tuttavia questo è
tagliato dalla via Vampolie-
ri, la principale arteria della
zona, che a causa dei sud-
detti movimenti franosi, in
questo tratto si trova in
stato di degrado. Il dissesto
1 è classificato come zona
P1 ed R2, mentre il dissesto
2 è classificato come P1 ed
R1. Com’è possibile osser-
vare dalla fig. B1, il dissesto 1 ha già provocato il crollo di una parte del muro di conteni-
mento della strada, mentre il dissesto 2 ne ha provocato la caduta di un segmento di pro-
tezione laterale (guard-rail), sul lato a valle, e il piegamento di quello a monte (fig. B2.)
Nonostante il versante sia in certi tratti terrazzato, l’acqua proveniente da monte, in segui-
21
to a qualsiasi evento piovoso, continua ad invadere il manto stradale e a ristagnare anche
per lungo tempo, con la conseguenza che l’asfalto, a causa anche dei continui movimenti
del terreno, si trova in condizioni di degrado avanzato.
095-3AT-008(1)/09(2) – Località: M. Vampolieri – CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (C)
Il dissesto 1 è definito
come dovuto a processi
erosivi intensi, è attivo
ed ha pericolosità P1. Il
dissesto 2 è definito in-
vece come uno scorri-
mento attivo, che inte-
ressa alcuni nuclei abita-
tivi posti in un versante
a pendenza mutevole,
degradante verso valle.
La sua pericolosità è 3,
mentre il suo rischio è 4-
3-2. Secondo una stima
ARTA, il costo del pro-
getto di risanamento del
pendio è stato di €
1.450.000. il metodo utilizzato è lo stesso visto per il dissesto codificato 095-3AT-002, con
due canali di drenaggio ai lati opposti del versante che però a valle confluiscono verso un
unico condotto (fig. C1,2).
095-3AT-003 – Località: M. Vampolieri – CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (D)
Questo dissesto è stato de-
finito come una deforma-
zione superficiale lenta, a
pericolosità P1 e attiva. La
pericolosità è data dalla pre-
senza, in prossimità della
nicchia di distacco, di un e-
dificio di notevoli dimensio-
ni che ne ricalca la curvatura
(fig. D1) e che presenta già
le prime forme di dissesto
nella strada che lo serve,
prossima al ciglio del ver-
sante.
22
ACI CASTELLO
095-3AC-007 – Località: M. Vampolieri – CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (E)
Nonostante le modeste
dimensioni di questo
dissesto, esso è rilevante
in quanto coinvolge di-
versi nuclei abitativi. È
classificato come una
deformazione superfi-
ciale lenta, a pericolosità
P1 e rischio R2. Il nucleo
abitativo d’interesse
sorge sul ciglio di una
piccola scarpata di circa
5 metri di altezza, sul
fondo della quale è pos-
sibile osservare differen-
ti depositi di frana, cau-
sati anche da altri disse-
sti circostanti. Il movimento del suolo è intenso ed ha già causato notevoli danni agli edifi-
ci, viali, muri esterni e alla strada attigua, rendendo alcune abitazioni addirittura inagibili
(fig. E1,2,3,4,5). Sul corpo di frana a valle è presente un cantiere abbandonato, segno
dell’incontrollato sviluppo edilizio degli ultimi anni.
…………
23
A seguito di tutti questi esempi di dissesto, che trovano documentazione all’interno del
P.A.I., il quesito è se, effettivamente, il P.A.I. sia uno strumento attualmente in grado di ge-
stire e programmare gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
Un caso esemplare è
rappresentato
dall’area in figura
che, secondo la do-
cumentazione del
P.A.I. non presenta
fenomeni di disse-
sto. Essa ricade nella
CTR
1:10.000:634020, in
località M. Vampo-
lieri. Da sopralluoghi
effettuati, il versante
d’interesse è preva-
lentemente argillo-
so-marnoso, con
una morfologia a
tratti piana e a tratti
fortemente inclinata (fig. F1.) A entrambi i lati sono presenti diversi edifici a carattere resi-
denziale. L’area non è coltivata e non presenta alcun tipo di intervento antropico di siste-
mazione. Com’è possibile osservare in figura, le acque di scorrimento superficiali scavano il
terreno argilloso creando delle incisioni abbastanza profonde (fig. F2) e trasportando il
materiale depositandolo in strada (fig. F3), mentre nella fascia superiore in piano imbibi-
scono il terreno rendendo l’argilla plastica e formando un pantano (fig. F4.) Vi sono diversi
segnali che indicano un progressivo movimento franoso verso il basso di quest’area, visibi-
li, oltre che nella sua morfologia tipica del corpo di frana, anche dalle dislocazioni dei muri
perimetrali degli edifici a essa adiacenti, in particolare in quelli più a N (fig. F5,6). Un ri-
schio ulteriore è dato dalla presenza, alla base del versante, di numerosi nuclei abitativi
separati solo dal tracciato stradale e senza alcuna protezione (fig. F7.)
24
Capitolo 5
ALLEGATI FOTOGRAFICI
5.1 Allegato A
Fig. A1- Canale di drenaggio a valle del dissesto (in fondo, le acque sono convogliate in un canale
sotterraneo).
Fig. A2 – Canale che intercetta le acque a monte.
25
Fig. A3 / A4 – Bracci drenanti trasversali che circondano l’abitato e convogliano le acque a valle.
Fig. A5 – Condotta sotterranea in cui scorrono
le acque drenate.
26
5.2 Allegato B
Fig. B1 – Il muro di contenimento della strada, a causa del movimento franoso, è in parte crollato.
Fig. B2 – Le condizioni del manto stradale e delle protezioni laterali sono gravemente compromesse.
27
5.3 Allegato C
Fig C1/C2 – i due bracci drenanti
laterali e opposti si ricongiungono a
valle della frana in un unico canale
sotterraneo.
28
5.4 Allegato D
Fig. D1 – Il grosso edificio ad arco costruito adiacente alla nicchia di distacco, di cui ne ricalca la for-
ma.
29
5.5 Allegato E
Fig. E1/E2/E3/E4 – Feno-
meni di degrado sulle abi-
tazioni e sulle strutture
adiacenti.
30
Fig. E5 – Cantiere abbandonato sul corpo di frana.
31
5.6 Allegato F
Fig. F1/F2 – Incisioni delle acque di ruscellamento
nel corpo di frana, prevalentemente argilloso.
32
Fig. F3 – Le acque piovane trasportano il materiale alla base della frana, lungo la strada adiacente.
Fig. F4 – Dopo eventi piovosi intensi, l’argilla diventa completamente plastica.
Fig. F5/F6 – Dislocazioni e rotture dei
muri perimetrali delle abitazioni adia-
centi al corpo di frana.
33
Fig. F6
Fig. F7 – Alla base della frana, separati da essa solo dalla strada (Via Vampolieri), sono presenti molti
nuclei abitativi.

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Relazione P.A.I. e frane - Caso Vampolieri

  • 1. UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA STRUTTURA DIDATTICA AGGREGATA DI SCIENZE DELLA TERRA (SDAST) Corso di Laurea in Scienze Geologiche Classe L34 – SCIENZE GEOLOGICHE NORMATIVA GEOLOGICA Docente: Dott. Geol. Carlo Cassaniti P.A.I. e frane Rischio Geomorfologico della collina di Vampolieri Studente: Fabio Francesco Vinci ANNO ACCADEMICO 2011/2012
  • 2. 2 INDICE CAPITOLO 1 3…… P.A.I.  4…… La Nascita del P.A.I.  6…… Le Fasi di Realizzazione del P.A.I.  7…… Azioni del P.A.I.  8…… Metodologie per l’Analisi e la Valutazione del Rischio Geomorfolo- gico.  12…… Norme di Attuazione CAPITOLO 2 13…… Il P.A.I. IN SICILIA  14…… I Bacini Idrografici Siciliani CAPITOLO 3 15…… P.A.I. AREA TERRITORIALE TRA I BACINI DEL FIUME SIMETO E DEL FIUME ALCANTARA (095) CAPITOLO 4 18…… CASO DELLA COLLINA DI VAMPOLIERI  19…… Analisi dei Dissesti CAPITOLO 5 24…… ALLEGATI FOTOGRAFICI  24…… Allegato A  26…… Allegato B  27…… Allegato C  28…… Allegato D  29…… Allegato E  31…… Allegato F
  • 3. 3 Capitolo 1 P.A.I. Con il Piano per l’Assetto Idrogeologico viene avviata, nella Regione Siciliana, la pianifi- cazione di bacino, intesa come lo strumento fondamentale della politica di assetto territo- riale delineata dalla legge 183/89, della quale ne costituisce il primo stralcio tematico e funzionale. Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico, di seguito denominato Piano Stralcio o Pia- no o P.A.I., redatto ai sensi dell’art. 17, comma 6 ter. della L. 183/89, dell’art. 1, comma 1, del D.L. 180/98, convertito con modificazioni dalla L. 267/98, dell’art. 1 bis del D.L. 279/2000, convertito con modificazioni dalla L. 365/2000, ha valore di Piano Territoriale di Settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni, gli interventi e le norme d’uso riguardanti la di- fesa dal rischio idrogeologico del territorio siciliano. Il P.A.I. ha sostanzialmente tre funzioni:  La Funzione conoscitiva, che comprende lo studio dell’ambiente fisico e del siste- ma antropico, nonché della ricognizione delle previsioni degli strumenti urbanistici e dei vincoli idrogeologici e paesaggistici;  La Funzione normativa e prescrittiva, destinata alle attività connesse alla tutela del territorio e delle acque, fino alla valutazione della pericolosità e del rischio idro- geologico e alla conseguente attività di vincolo in regime sia straordinario che ordi- nario;  La Funzione programmatica, che fornisce le possibili metodologie d’intervento fi- nalizzate alla mitigazione del rischio, determina l’impegno finanziario occorrente e la distribuzione temporale degli interventi. Pertanto, esso è un atto di pianificazione territoriale di settore che fornisce un quadro di conoscenze e di regole, basate anche sulle caratteristiche fisiche e ambientali del ter- ritorio, finalizzate a proteggere l’incolumità della popolazione esposta e a salvaguarda- re gli insediamenti, le infrastrutture e in generale gli investimenti. La finalità del P.A.I. sarà perseguibile attraverso il raggiungimento dei seguenti obietti- vi:  Conoscenza globale dello stato di dissesto idrogeologico del territorio tramite l’individuazione delle: 1. pericolosità connesse ai dissesti sui versanti; 2. pericolo- sità idrauliche e idrologiche;  Individuazione degli elementi vulnerabili;  Valutazione delle situazioni di rischio, in dipendenza della presenza di elementi vulnerabili su porzioni di territorio soggette a pericolosità;  Programmazione di norme di attuazione finalizzate alla conservazione e tutela degli insediamenti esistenti;
  • 4. 4  Sviluppo di una politica gestionale degli scenari di pericolosità agendo, quando e dove possibile, in modo da assecondare l’evolversi naturale dei processi, limi- tando l’influenza degli elementi antropici (e non) che ne impediscono una piena funzionalità;  Programmazione di indagini conoscitive, di studi di monitoraggio dei dissesti, di interventi specifici per le diverse situazioni e, ove necessario, di opere finalizzate alla mitigazione e/o eliminazione del rischio valutando correttamente, in modo puntuale, dove intervenire con opere che garantiscano la sicurezza e quando ri- correre alla delocalizzazione di attività e manufatti non compatibili. Il P.A.I. assume valore giuridico preminente rispetto alla pianificazione di settore, compresa quella urbanistica, e ha carattere immediatamente vincolante per le Amministrazioni ed Enti Pubblici, nonché per i soggetti privati, ai sensi dei commi 4, 5, 6, e 6 bis dell’art. 17 della L. 183/89 e successive modifiche e integrazioni. Esso è stato redatto dall’Assessorato al Territorio e Ambiente della Regione Siciliana, Dipartimento Territorio e Ambiente, sog- getto istituzionalmente deputato all’elaborazione del Piano. In particolare il progetto è stato curato dal servizio 4: “Assetto del Territorio e difesa del suolo” – U.O.S4.I: “Piano per l’assetto idrogeologico” del Dipartimento Territorio e Ambiente con la collaborazione de- gli uffici del Genio Civile dell’Isola e del Dipartimento Foreste dell’Assessorato Agricoltura e Foreste. 1.1 La Nascita del P.A.I. Il processo normativo, sociale e intellettuale che ha portato al concetto di rischio idrogeo- logico e di P.A.I. comincia con la L. 183/1989, la prima a introdurre il concetto di difesa del suolo, intesa come “insieme di azioni pubbliche per la stabilità del territorio e la sicurezza idraulica (anche con riferimento ad oggetti distinti dal suolo, sottosuolo e dalle acque) ”. Il concetto fondamentale della seguente norma è una nuova visione di suolo, espressa nell’articolo 1: “il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali”. Il percorso che ha portato a questa nuova visione del territorio è stato inevitabilmente se- gnato da importanti eventi catastrofici quali l’alluvione del Polesine (1951), il disastro della diga del Vajont (1963) o l’alluvione di Firenze (1966), con le inevitabili riflessioni riguardo alla profonda e intrinseca fragilità del rapporto uomo – natura. Il primo passo avviene nel 1966 con l’istituzione della Commissione de Marchi, allo scopo di individuare azioni di programmazione per risolvere i problemi connessi con la sistema- zione idraulica e la difesa del suolo; è messa in evidenza la necessità di affrontare congiun- tamente le questioni riguardanti la difesa del suolo e l’uso ottimale delle risorse idriche, at- traverso una pianificazione capace di integrare esigenze di tutela e di sviluppo gestite da un unico centro decisionale. È su queste basi che la L. 183/189 si pone i seguenti obiettivi:  La difesa del suolo: insieme di attività conoscitive, di programmazione, di pianifica- zione e di attuazione.  Il risanamento delle acque  L’utilizzazione razionale delle risorse idriche
  • 5. 5  La tutela degli aspetti ambientali connessi agli usi delle risorse. Gli obiettivi principali della legge quadro vengono raggiunti con:  La suddivisione del territorio in Bacini Idrografici, le unità più idonee per realizzare azioni organiche di tutela del territorio e salvaguardia ambientale. Un bacino idro- grafico è definito come il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso d’acqua, ivi compresi i suoi rami terminali, con le foci in mare e il litorale marittimo prospiciente.  La definizione di una nuova struttura istituzionale di coordinamento: l’Autorità di Bacino, che gestisce il singolo bacino. Essa è un soggetto autonomo di diritto pub- blico, a composizione mista (pubblica e privata), che costituisce la sede del coordi- namento sul territorio delle funzioni statali, regionali e provinciali nelle materie in- dicate dalla L. 183/89. Ha dunque compiti di pianificazione e programmazione nel suo territorio di competenza, il Bacino, delimitato non su base politica ma con crite- ri geomorfologici e ambientali, in modo da superare gli ostacoli nella difesa del suolo dovuti alle suddivisioni amministrative.  La definizione di un Piano unitario di interventi per l’allocazione delle risorse idriche tra i vari usi, la salvaguardia ambientale e la difesa dalle piene (piano di bacino). Ai sensi del comma 1 dell’ art. 17 il piano di bacino assume: “valore di piano terri- toriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo me- diante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizza- zione delle acque sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato”. Nel 1993 una nuova legge viene emanata, la n. 493, il cui articolo 12 prevede la possibilità di approvare i piani di bacino per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali, anche al fine di semplificare il coordinamento con altri piani. È il caso della Sicilia, impossibile da coordinare attraverso un unico piano. Ulteriori eventi alluvionali e catastrofici eccezionali, che causano numerose vittime tra il 1998 e il 2000, provocano un ulteriore passo in avanti con l’emanazione delle leggi L. 267/1998, L. 226/1999, L. 365/2000, che affidano alle Autorità di Bacino la predisposizione dei seguenti compiti:  Un Piano Straordinario per rimuovere le situazioni a rischio idrogeologico più alto (da adottarsi entro il 31 Ottobre 1999)  Misure di salvaguardia per le aree a rischio molto elevato, in attuazione del piano straordinario (da adottarsi entro il 31 Ottobre 1999)  Un Piano Stralcio di Bacino per l’assetto idrogeologico, da adottarsi in forma di progetto o in forma definitiva tra il 30 Aprile ed il 30 Ottobre 2001. Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.), redatto ai sensi dell’art. 17 della L. 183/89, dell’art. 1 del D.L. 180/98, convertito con modificazioni dalla L. 267/98, e dell’art. 1
  • 6. 6 bis del D.L. 279/2000, convertito con modificazioni dalla L. 365/2000 ha valore di Piano Territoriale di Settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo me- diante il quale sono pianificate e programmate le azioni, gli interventi e le norme d’uso ri- guardanti la difesa del rischio idrogeologico. 1.2 Le Fasi di Realizzazione del P.A.I. Tenendo in considerazione quelli che sono gli obiettivi del P.A.I., si comprende come esso debba necessariamente essere un piano dinamico, pronto a riconoscere le forme di disse- sto e squilibrio nel territorio: deve assumere, dunque, una forma tale da poter essere fa- cilmente aggiornato in tempo reale. Soprattutto, deve basarsi su una metodologia di base che sia rivolta verso il riconoscimento dei segnali che precedono e rivelano futuri fenome- ni di dissesto e rischio, in modo tale da avere anche capacità preventive, indispensabili per permettere uno sviluppo dinamico delle attività umane nel rispetto di un ambiente che non è mai statico. Sono state perciò individuate tre fasi, ognuna delle quali definita da o- biettivi specifici, che differenziano le attività dell’intero processo di pianificazione dell’assetto idrogeologico: 1. Redazione del P.A.I. 2. Affinamento delle conoscenze 3. Gestione del P.A.I. 1. REDAZIONE Questa prima fase è stata avviata tenendo in considerazione i due filoni principali di rischio e pericolosità che il P.A.I. tiene in considerazione: quello geomorfologico e quello idrauli- co. L’attività principale è stata la redazione di un censimento e la catalogazione in un si- stema informativo quanto più completo possibile dei fenomeni di dissesto riconoscibili av- venuti nel territorio, con maggior dettaglio in prossimità dei centri abitati e dei sistemi via- ri principali. L’analisi della pericolosità idraulica dei corsi d’acqua è stata eseguita tramite l’utilizzo di modelli matematici mono e bidimensionali. 2. AFFINAMENTO DELLE CONOSCENZE La seconda fase ha previsto un affinamento delle conoscenze territoriali e la realizzazione di un coordinamento istituzionale tra governo, pubblici e privati. Sono state sviluppate:  Catasto delle opere di difesa idraulica  Catasto delle opere di sistemazione dei versanti  Carta degli interventi realizzati, in corso e programmati  Carta degli insediamenti e infrastrutture regionali  Cartografie di dettaglio  Sperimentazione di metodologie di calcolo per la valutazione, in aree pilota, della propensione al dissesto. 3. GESTIONE DEL P.A.I. Questa fase ha avuto come obiettivi:  Realizzazione cartografie di sintesi
  • 7. 7  Sistema informativo del P.A.I.  Aggiornamenti periodici  Metodologie d’interventi  Monitoraggio e verifica sul territorio degli interventi  Sviluppo di politiche intersettoriali. 1.3 Azioni del P.A.I. Il P.A.I. viene attuato attraverso lo svolgimento di azioni, successivamente all’approfondimento delle conoscenze, tendenti alla riduzione del rischio, al monitoraggio del territorio, alla gestione di interventi di sistemazione dei versanti e alla manutenzione delle opere preesistenti,oltre che quella dei pendii. Si distinguono: 1. Azioni non strutturali: attività di approfondimento delle conoscenze, di regola- mentazione del territorio tramite il controllo e la salvaguardia degli elementi a ri- schio e la tutela delle aree pericolose. 2. Azioni strutturali: interventi di sistemazione e consolidamento delle aree in disse- sto con misure di tipo estensivo e/o intensivo. AZIONI NON STRUTTURALI Comprendono i seguenti gruppi di attività. - Attività di regolamentazione dell’uso del territorio:  Delimitazione delle fasce fluviali e regolamentazione dell’uso del suolo;  Approfondimento sulla conoscenza dei fattori che influiscono sull’assetto idrogeo- logico dei versanti per individuarne la propensione al dissesto e proporre una con- seguente formulazione di indirizzi per la regolamentazione dell’uso del territorio;  Emanazione di normative per la compatibilità idrogeologica degli usi del territorio. - Attività di previsione e sorveglianza:  Consiste in un sistema di misure e controllo dei fenomeni di dissesto idrogeologico, coordinate con gli altri enti preposti alla conoscenza e alla tutela del territorio. - Mantenimento delle condizioni di assetto del territorio:  Mantenimento del reticolo idrografico in ottimo stato ambientale, eliminando osta- coli di deflusso delle piene;  Mantenimento dei versanti in ottime condizioni idrogeologiche e ambientali;  Manutenzione delle opere di difesa essenziali alla sicurezza idraulica ed idrogeolo- gica. - Programmazione e attuazione. AZIONI STRUTTURALI Comprendono interventi di sistemazione e consolidamento delle aree in dissesto con mi- sure di tipo estensivo e intensivo, secondo due principi: limitare le opere di difesa attiva e passiva solo nei punti in cui si manifestano condizioni di alto rischio per le popolazioni o gli insediamenti abitativi, decidendo di non intervenire, se non in modo preventivo, altro- ve; i dissesti sono, infatti, le naturali manifestazioni dei processi geomorfologici che rego- lano l’evoluzione del territorio, quindi per quanto possibile non bisogna ostacolarli.
  • 8. 8 Nel caso in cui si decida di intervenire, il secondo obiettivo è quello di scegliere gli inter- venti il più possibile compatibili con le peculiarità paesaggistico-ambientali del contesto territoriale in cui si collocano. - Misure strutturali di tipo estensivo Sono interventi a largo raggio che mirano a ridurre i fattori predisponenti il dissesto: si realizzano dunque sull’intera superficie dei versanti in squilibrio (ad esempio il ristabili- mento della copertura vegetale) - Misure strutturali di tipo intensivo Sono interventi localizzati in punti specifici dei versanti, in cui si è verificato un dissesto o in cui è molto probabile che avvenga: consistono principalmente nell’allestimento di opere in muratura o di protezione o di sostegno. 1.4 Metodologia per l’Analisi e la Valutazione del Rischio Geo- morfologico La metodologia applicata si è articolata in più momenti, che possono essere così schema- tizzati:  Raccolta dati  Analisi: è in questa fase che è stata effettuata la determinazione della tipologia di frane, tenendo in considerazione la velocità di accadimento del fenomeno, ovvero la rapidità di evoluzione del processo di rottura, secondo la seguente classificazio- ne: T1 (deformazioni gravitative profonde in roccia, creep, espansione laterale, cola- te lente), T2 (frane complesse, scorrimenti e colamenti in roccia, detrito e terra), T3 (scivolamenti rapidi in roccia, detrito e terra, crolli, colate rapide di fango).  Valutazione della pericolosità e del rischio VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ E DEL RISCHIO Il rischio totale è espresso dal prodotto di quattro fattori: R = H x V x E Dove: Rischio totale R = atteso numero di perdite umane, feriti, danni alle proprietà, interruzio- ne di attività economica, in conseguenza di un particolare fenomeno naturale. Pericolosità H = probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo di determinata intensità si verifichi in un dato periodo di tempo ed in una data area. È espressa in termini di probabilità annuale o di tempo di ritorno. Vulnerabilità V = grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una data intensità. Elementi a rischio E = popolazione, proprietà, attività economiche, inclusi i servizi pubbli- ci.
  • 9. 9 Per dare una stima dell’intensità del fenomeno franoso, si è utilizzata la matrice di magni- tudo, ove sono state messe in relazione l’estensione e/o volumetria della frana e la sua ti- pologia: La classificazione adottata per determinare lo stato di attività dei fenomeni franosi è stata la seguente:  Attiva o riattivata: attualmente in movimento  Inattiva: si è mossa l’ultima volta prima dell’ultimo ciclo stagionale  Quiescente: può essere riattivata dalle sue cause originali  Stabilizzata artificialmente o naturalmente: protetta da interventi di sistemazione o se il fenomeno franoso si è esaurito naturalmente. Dalla correlazione fra magnitudo e stato di attività è possibile ricavare una valutazione in- dicativa della pericolosità: P0 – pericolosità bassa P1 – pericolosità moderata P2 – pericolosità media P3 – pericolosità elevata P4 – pericolosità molto elevata Tipologia di frana Estensione (mq) Volume (mc) T1 T2 T3 < 104 <1 M1 M2 M3 104 ÷105 >1 M2 M3 M4 105 ÷106 >1 M2 M3 M4 >106 >1 M3 M4 M4 Magnitudo Stato di attività M1 M2 M3 M4 Stabilizzata naturalmente o artificialmente P0 P0 P0 P1 Quiescente P0 P1 P1 P2 Inattiva P1 P1 P2 P3 Attiva o riattivata P1 P2 P3 P4
  • 10. 10 Nella definizione di danno atteso, si è ritenuto opportuno individuare 4 classi di elementi a rischio, da E1 a E4, a vulnerabilità crescente: Classe Descrizione E1 Case sparse, impianti sportivi e ricreativi, cimiteri, insediamenti agricoli a bassa tecnologia, inse- diamenti zootecnici. E2 Reti e infrastrutture tecnologiche di secondaria importanza (acquedotti, fognature, reti elettriche, telefoniche, depuratori, …), viabilità secondaria, insediamenti agricoli ad alta tecnologia, aree natu- rali protette, aree sottoposte a vincolo. E3 Nuclei abitati, ferrovie, viabilità primaria e vie di fuga, aree di protezione civile, reti e infrastrutture tecnologiche di primaria importanza (reti elettriche e gasdotti), beni culturali, architettonici e ar- cheologici sottoposti a vincolo, insediamenti industriali e artigianali. E4 Centri abitati, edifici pubblici di rilevante importanza (scuole, chiese, ospedali, ecc.). Attraverso la combinazione dei due fattori P ed E si determina il rischio R. Ovviamente il fattore rischio è sempre dipendente dagli elementi a rischio che insistono su un’area peri- colosa. Quest’ultima, infatti, senza infrastrutture che vi si trovino non diventa un’area a ri- schio. Rischio moderato R1: i danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono margi- nali. Rischio medio R2: sono possibili dei danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al pa- trimonio ambientale che non pregiudicano l’incolumità del personale, l’agibilità degli edi- fici e la funzionalità delle attività economiche. Rischio elevato R3: sono possibili dei problemi per l’incolumità delle persone, danni fun- zionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, l’interruzione di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale. Rischio molto elevato R4: è possibile la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni consistenti agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche. Va inteso che la metodologia seguita nella definizione di rischio e nell’attribuzione di que- sto parametro alle diverse zone non è una valutazione perfetta dei reali livelli di rischio geomorfologico, ma presenta delle limitazioni che vanno superate con le conoscenze, un costante monitoraggio e l’esperienza. Elementi a rischio E1 E2 E3 E4 Pericolosità P0 R1 R1 R1 R1 P1 R1 R1 R2 R2 P2 R2 R2 R3 R4 P3 R2 R3 R4 R4 P4 R3 R3 R4 R4
  • 11. 11 La definizione di un quadro d’intervento atto a ridurre le condizioni di pericolosità e ri- schio di un dato luogo avviene secondo tre fasi concettuali e operative: 1. Definizione del quadro conoscitivo. 2. Individuazione delle condizioni di pericolosità e di rischio di natura geomorfologica (ciò vale anche per il rischio idraulico). 3. Programmazione interventi. Dopo il completamento della seconda fase, particolare attenzione va posta ovviamente al- le zone a rischio R4 ed R3, coincidenti in genere con territori urbanizzati per fini residen- ziali, infrastrutturali e industriali. L’ordine di priorità negli interventi è stabilito sulla base dell’incrocio tra pericolosità e tipo- logia di elemento a rischio: è semplificativo a tal scopo l’ordine di colori (rosso acceso prima, arancione, giallo sabbia, giallo, beige). In seguito alla stesura del P.A.I. per ogni singolo bacino, con la definizione di tutte le aree a rischio, gli Enti Locali sviluppano dei progetti preliminari. Essi definiscono le caratteri- stiche qualitative e funzionali dei lavori da apportare a un’area attraverso: una relazione il- lustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata, della fattibilità amministra- tiva e tecnica di quest’ultima, dei costi previsti e delle sue caratteristiche tecnico-funzionali, oltre che dei benefici previsti in termini di riduzione di rischio.
  • 12. 12 1.5 Norme di Attuazione Nelle aree a pericolosità molto elevata P4 ed elevata P3:  Sono vietati scavi, riporti, movimenti di terra e tutte le attività che possono esaltare il livello di rischio atteso;  La realizzazione di elementi delle classi E4 ed E3 è subordinata all’esecuzione degli interventi necessari alla mitigazione del rischio;  Sono consentite le opere di regimazione delle acque superficiali e sotterranee;  Sono consentite le occupazioni temporanee autorizzate del suolo;  Sono permesse le opere relative ad attività di tempo libero compatibili con la peri- colosità della zona. Nelle aree a rischio molto elevato R4 sono esclusivamente consentiti:  Interventi di demolizione senza ricostruzione;  Interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, gli interventi di restauro e risa- namento conservativo e gli interventi di ristrutturazione edilizia parziale degli edifi- ci, che non comportino delle modifiche strutturali;  Le occupazioni temporanee autorizzate di suolo;  Gli interventi di consolidamento per la mitigazione del rischio di frana. Nelle aree a rischio elevato R3 sono inoltre consentiti:  Gli interventi di adeguamento igienico-funzionale degli edifici esistenti, ove neces- sario;  L’ampliamento o la ristrutturazione delle infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico esistenti, purché compatibili con lo stato di dissesto esistente.
  • 13. 13 Capitolo 2 IL P.A.I. IN SICILIA La Sicilia ricopre una superficie di 25.707 km2 (isole minori comprese) ed è la regione ita- liana territorialmente più estesa. Posizionata nel centro del Mar Mediterraneo, è divisa dal- la penisola italiana dallo stretto di Messina, della larghezza minima di 3,4 km; il Canale di Sicilia la separa dal continente africano con una distanza minima di 140 km; a NE è borda- ta dall’arcipelago delle isole Eolie, a NW dall’isola di Ustica, ad W dalle isole Egadi, a SW dall’isola di Pantelleria e più a S dalle isole Pelagie. Vista la sua forma triangolare, si distin- guono tre versanti:  Quello settentrionale, o tirrenico, da Capo Peloro a Capo Boeo, di circa 6.630 km2;  Quello meridionale, o mediterraneo, da Capo Boeo a Capo Passero, di circa 10.754 km2;  Quello orientale, o ionico, da Capo Passero a Capo Peloro, di circa 8.072 km2. L’orografia del territorio è abbastanza varia, con la porzione settentrionale prevalentemen- te montuosa, quella centro-meridionale e sud-occidentale prevalentemente collinare, quella sud-orientale con una morfologia tipica di altipiano e quella orientale dominata dall’edificio vulcanico etneo. I corsi d’acqua principali del versante orientale sono, da nord verso sud, le fiumare della provincia di Messina, l’Alcantara, il Simeto, il San Leonardo e l’Anapo, il Cassibile ed il Tel- laro. La Sicilia è suddivisa amministrativamente in nove province, i cui capoluoghi sono: Agri- gento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani. Dal punto di vista dell’assetto geologico regionale è possibile distinguere tre diversi settori (da N verso S):  Una catena con una struttura a falde tettonicamente sovrapposte. Dal basso verso l’alto si hanno: il Sistema a thrust esterno, la catena Appenninico-Maghrebide e quella Kabilo-Calabride. L’intero sistema, spesso a luoghi più di 15 km, ha una vergenza verso E-SE e la sua geometria si è evoluta in un intervallo compreso tra l’inizio del Miocene e quello del Pleistocene, probabilmente in seguito ad una tet- tonica collisionale tra placca europea e africana.  Una zona di avanfossa, compresa tra l’avampaese ibleo, nella Sicilia sud-orientale, a S e in parte sepolta dal margine meridionale della catena a N. Si manifesta in una depressione strutturale denominata “Avanfossa Gela-Catania”.  Una zona di avampaese formato ad W da crosta continentale con una potente co- pertura carbonatica affiorante in corrispondenza del Plateau Ibleo, in Sicilia sud- orientale, mentre a E da una vasta area a crosta oceanica, il Bacino Ionico, con i due settori separati da una gradinata di faglie ad orientazione NNW-SSE, la “Scar- pata Ibleo-Maltese”.
  • 14. 14 Figura 1: Domini strutturali del Mediterraneo Centrale (Lentini et al. 2006) 2.1 I Bacini Idrografici Siciliani Dopo aver realizzato nel 2000 il “Piano Straordinario” e averne successivamente aggiorna- to i contenuti nel 2002, nel 2003 l’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione Siciliana ha avviato l’elaborazione del Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico, il primo strumento di pianificazione del settore, redatto ai sensi della L. 493/93. Da una prima suddivisione in 57 bacini idrografici principali, definiti nel “Piano Straordina- rio per l’assetto idrogeologico” del 2000, con il successivo aggiornamento nel 2002, in cui sono state individuate le aree territoriali intermedie ai sopraelencati bacini idrografici prin- cipali, nel piano finale del 2003 vengono elencati i bacini idrografici di tutti i corsi d’acqua aventi sbocco a mare e le aree comprese tra una foce e l’altra, raggruppandoli, dal punto di vista geografico, nei tre versanti siciliani: settentrionale, meridionale ed orientale. La re- gione Siciliana è dunque stata suddivisa in 102 bacini idrografici, 5 raggruppamenti di isole minori per il P.A.I. continentale e 21 Unità Fisiografiche costiere e % raggruppamenti delle isole minori per il P.A.I. relativo alle coste.
  • 15. 15 Capitolo 3 P.A.I. AREA TERRITORIALE TRA I BACINI DEL FIUME SIMETO E DEL FIUME ALCANTARA (095) L’area territoriale compresa tra i bacini idrografici del Fiume Simeto e del Fiume Alcantara è ubicata nella parte orientale della Sicilia e si estende per una superficie complessiva di 718,27 km2 dalla costa ionica, compresa tra Calatabiano e Catania, alle Colline delle Terre- forti e al versante orientale del massiccio vulcanico dell’Etna. In generale possono essere delineate tre fasce altimetriche: una zona pedemontana che si estende dalla linea di costa fino ad una quota di circa 600 m, caratterizzata da una morfologia collinare; una seconda fascia, estesa da quota 600 m a quota 1.800 m circa, caratterizzata da pendii più accentua- ti; una terza fascia, comprendente le quote più elevate fino alla sommità dell’Etna (3.300 m circa), caratterizzata da pendii molto ripidi. IDROGRAFIA Il versante orientale del massiccio etneo, a causa dell’elevata permeabilità dei terreni vul- canici, può ritenersi privo di reticolo idrografico, ad eccezione di deflussi superficiali tem- poranei che s’incanalano all’interno delle incisioni sui bassi versanti del vulcano, dove può affiorare a tratti il substrato sedimentario o prodotti piroclastici a granulometria fine. Nel suo insieme questo embrione di reticolo idrografico, la cui geometria è generalmente cen- trifuga, si ricollega prevalentemente alla tettonica alle quote meno elevate. ASSETTO GEOLOGICO-STRUTTURALE L’area in esame comprende il versante orientale dell’Etna, che si colloca alla periferia e- sterna della catena Appenninico-Maghrebide ed è generato dall’intersezione di importanti direttrici strutturali regionali. Esso è il risultato della sovrapposizione nel tempo di più edi- fici vulcanici aventi prodotti a chimismo differente e in parte differenziato: una fase sotto-
  • 16. 16 marina iniziale ad affinità tholeiitica, una fase alcalina dei centri eruttivi antichi, la fase rela- tiva al vulcano-strato Trifoglietto con prodotti più o meno differenziati, l’ultima fase relati- va alle unità del Mongibello Antico e Recente. L’insieme dei prodotti eruttivi si trova sopra un substrato geologico di natura sedimentaria relativo alla Catena Appenninico- Maghrebide a N e a W, mentre a S si sovrappone a sedimenti mio-infrapleistocenici. L’Etna si sviluppa a cavallo della collisione tra Placca Europea e Africana: nel contesto del regime collisionale tra le due placche, infatti, si creano delle zone in locale distensione che possono aver provocato la risalita di magmi dal mantello. Dal punto di vista tettonico si riscontrano due sistemi di faglie non coevi, spesso interse- canti tra loro e ambedue simicamente attivi: il primo a orientazione NNE-SSW, con linee tettoniche più coperte e addolcite; il secondo a orientazione NNW-SSE, più attivo del pre- cedente e cui si ricollegano le più importanti scarpate di faglia. CARATTERISTICHE LITOLOGICHE La successione dei terreni affioranti nell’area può essere così approssimativamente sche- matizzata dal basso verso l’alto:  Terreni sedimentari del substrato: costituito da terreni alloctoni di tipo flyschoi- de a N e da terreni postorogeni di tipo argilloso a S.  Complesso vulcanico inferiore: le lave subalcaline di base, derivanti da iniezioni magmatiche nei sedimenti argillosi pleistocenici e da effusioni prevalentemente subacquee, affiorano nell’area di Aci Castello, Acitrezza e Ficarazzi.  Complesso sedimentario clastico  Complesso vulcanico del Mongibello  Depositi recenti GEOMORFOLOGIA La dinamica morfologica delle aree di versante è fortemente condizionata dall’azione ero- siva dei fenomeni di ruscellamento delle acque meteoriche, connessa ad un’intensiva atti- vità antropica lungo i versanti e a diffusi movimenti di massa. Un ruolo fondamentale è svolto inoltre dalle acque sotterranee, nei punti in cui esse affiorano in presenza di un con- tatto tra terreni con elevato contrasto di permeabilità. Nell’ambito dei terreni sedimentari, i processi erosivi hanno sicuramente maggior effetto in corrispondenza di versanti prevalen- temente argillosi. Come anticipato, gli interventi di natura antropica costituiscono un notevole elemento de- stabilizzante: le superfici edificate, praticamente impermeabili, favoriscono processi di ero- sione concentrata e di alluvionamenti, in occasione di piogge prolungate, specie lungo le strade. Ciò comporta una vulnerabilità degli edificati e delle reti viarie che si manifesta con fenomeni di plasticizzazione dei terreni di sottofondazione e cedimenti dei materiali di ri- sulta, utilizzati come colmamento delle depressioni naturali. Un’area con manifestazioni frequenti di dissesti di tal genere è quella della collina tra Aci Castello e Aci Catena.
  • 17. 17 IDROGEOLOGIA In un quadro generale, gli affioramenti di vulcaniti permeabili che ricoprono la maggior parte dell’area, ad eccezione di una modesta parte restante costituita da vulcaniti scarsa- mente permeabili, garantiscono l’infiltrazione relativamente rapida e indisturbata delle ac- que di precipitazione secondo vie preferenziali pressoché verticali: queste vanno infine ad accumularsi al contatto con il substrato sedimentario impermeabile, si incanalano nelle depressioni morfologiche del substrato (paleovallate) e defluiscono verso il livello base.
  • 18. 18 Capitolo 4 CASO DELLA COLLINA DI VAMPOLIERI Il caso specifico qui trattato è quello della collina di Vampolieri, ricadente all’interno dei terreni comunali di Aci Catena a N e di Aci Castello a S, due dei comuni con la più alta densità di popolazione della zona. Un quadro geologico della zona può essere estrapolato dalla seguente carta geologica: Figura 2. stralcio della carta geologica dell'area di Acitrezza ("La carta geologica del basso versante orientale del Monte Etna: nuovi vincoli geologici e geomorfologici per la ricostru- zione del sottosuolo" cap. 7, Stefano Catalano e Giuseppe Tor- torici, sit.protezionecivilesicilia.it)
  • 19. 19 Quest’area, compresa nella CTR 1:10.000: 634020, ricade all’interno della prima fascia alti- metrica precedentemente vista, quella che dalla linea di costa si sviluppa fino ad una quota di circa 600 m. La morfologia del territorio è caratterizzata da un andamento collinare, con pendenze che si accentuano bruscamente al passaggio verso i terreni vulcanici, rappresen- tati da masse eruttive discontinue intruse nelle argille marnose. Litologicamente i versanti sono costituiti prevalentemente dalle argille marnose grigio- azzure che costituiscono il basamento pre-etneo, intercalate a tratti da lave di diversa epo- ca (prodotti sub-alcalini di base, lave del Pre-Tirreniano e del Pleistocene Superiore), con una copertura superiore diffusa detritico-argillosa, spesso messa in posto da movimenti franosi. Dal punto di vista idrografico non sono da segnalare corsi d’acqua notevoli, ma solo una decina di torrenti che nascono dalla confluenza delle acque di ruscellamento lungo i ver- santi argillosi impermeabili o quelle sotterranee che emergono in corrispondenza di oriz- zonti a permeabilità inferiore. È difficile attualmente definirne l’idrografia, essendo stata la zona soggetto di intensa urbanizzazione negli ultimi trent’anni, per cui essi risultano o tombati, oppure le loro acque vanno ad invadere i tracciati stradali che occupano i vecchi alvei. D’altra parte, la scarsa capacità della rete drenante favorisce la possibilità di ristagni e infiltrazioni concentrate in corrispondenza dei frequenti accumuli detritici e degli ammassi rocciosi permeabili, determinando così continui processi di imbibizione e plasticizzazione delle argille che causano lo scadimento delle caratteristiche geomeccaniche e delle condi- zioni di stabilità. Tutto ciò va di conseguenza a minacciare e coinvolgere i manufatti, sem- pre più presenti. 4.1 Analisi Dei Dissesti ACICATENA 095-3AT-002 – Località: M. Vampolieri – CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (A) Questo dissesto, classifi- cato come una deforma- zione superficiale lenta (soil creep, o soliflusso), interessa una vasta area, prevalentemente adibita a uso residenziale, ed è indicato come attivo, la valutazione degli ele- menti a rischio è stata E3, la pericolosità P2 e il ri- schio R3. I costi relativi alla sua messa in sicurezza, se- condo una stima dell’ARTA, sono stati pari a € 4.500.000.
  • 20. 20 Il versante si presenta in generale coperto da una vegetazione diffusa, con una pendenza media di 25° e una copertura argilloso-marnosa alternata a blocchi lavici sparsi. Questo terreno è soggetto a plasticizzazione, anche in seguito a piogge di media intensità. L’opera di stabilizzazione ha previsto la costruzione di un canale di drenaggio delle acque superficiali, così da evitare l’invasione del tracciato stradale in caso di forti piogge, costitui- to da blocchi lapidei di origine lavica accatastati tra loro a formare una trincea, rinforzata da una rete metallica: per mezzo di questo canale le acque filtrano attraverso i blocchi di roccia e scendono parallelamente alla strada (via Vampolieri), fino ad immettersi in un ca- nale sotterraneo diretto a valle (Fig. A1.) Lateralmente a questa porzione di versante non edificato è presente una serie di edifici a uso residenziale: per questi è stato realizzato un sistema di drenaggio che circonda l’intero edificato e convoglia le acque verso due canali, disposti parallelamente alla massima incli- nazione del pendio e ai due lati opposti dell’edificato di cui sopra. Il braccio trasversale al pendio si trova a monte delle abitazioni, è costruito in muratura e ha forma arcuata: le ac- que provenienti da monte si immettono all’interno di questo canale attraverso delle cavità presenti nel muro superiore (fig. A2) e vengono convogliate nei due bracci trasversali, a- venti le stesse caratteristiche del canale più a valle di cui sopra ma geometria a gradoni (fig. A3, A4). Alla fine le acque scorrono all’interno di due tubature tombate rivolte a valle (fig. A5.) 095-3AT-006 (1), 095-3AC-004 (2) (Aci Castello)-Località: M. Vampolieri– CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (B) Questi dissesti, di entità notevolmente inferiore ri- spetto al precedente, sono classificati come deforma- zioni superficiali lente, en- trambe attive, che interes- sano un terreno ad uso a- gricolo, tuttavia questo è tagliato dalla via Vampolie- ri, la principale arteria della zona, che a causa dei sud- detti movimenti franosi, in questo tratto si trova in stato di degrado. Il dissesto 1 è classificato come zona P1 ed R2, mentre il dissesto 2 è classificato come P1 ed R1. Com’è possibile osser- vare dalla fig. B1, il dissesto 1 ha già provocato il crollo di una parte del muro di conteni- mento della strada, mentre il dissesto 2 ne ha provocato la caduta di un segmento di pro- tezione laterale (guard-rail), sul lato a valle, e il piegamento di quello a monte (fig. B2.) Nonostante il versante sia in certi tratti terrazzato, l’acqua proveniente da monte, in segui-
  • 21. 21 to a qualsiasi evento piovoso, continua ad invadere il manto stradale e a ristagnare anche per lungo tempo, con la conseguenza che l’asfalto, a causa anche dei continui movimenti del terreno, si trova in condizioni di degrado avanzato. 095-3AT-008(1)/09(2) – Località: M. Vampolieri – CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (C) Il dissesto 1 è definito come dovuto a processi erosivi intensi, è attivo ed ha pericolosità P1. Il dissesto 2 è definito in- vece come uno scorri- mento attivo, che inte- ressa alcuni nuclei abita- tivi posti in un versante a pendenza mutevole, degradante verso valle. La sua pericolosità è 3, mentre il suo rischio è 4- 3-2. Secondo una stima ARTA, il costo del pro- getto di risanamento del pendio è stato di € 1.450.000. il metodo utilizzato è lo stesso visto per il dissesto codificato 095-3AT-002, con due canali di drenaggio ai lati opposti del versante che però a valle confluiscono verso un unico condotto (fig. C1,2). 095-3AT-003 – Località: M. Vampolieri – CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (D) Questo dissesto è stato de- finito come una deforma- zione superficiale lenta, a pericolosità P1 e attiva. La pericolosità è data dalla pre- senza, in prossimità della nicchia di distacco, di un e- dificio di notevoli dimensio- ni che ne ricalca la curvatura (fig. D1) e che presenta già le prime forme di dissesto nella strada che lo serve, prossima al ciglio del ver- sante.
  • 22. 22 ACI CASTELLO 095-3AC-007 – Località: M. Vampolieri – CTR 1:10.000: 634020 - dissesto (E) Nonostante le modeste dimensioni di questo dissesto, esso è rilevante in quanto coinvolge di- versi nuclei abitativi. È classificato come una deformazione superfi- ciale lenta, a pericolosità P1 e rischio R2. Il nucleo abitativo d’interesse sorge sul ciglio di una piccola scarpata di circa 5 metri di altezza, sul fondo della quale è pos- sibile osservare differen- ti depositi di frana, cau- sati anche da altri disse- sti circostanti. Il movimento del suolo è intenso ed ha già causato notevoli danni agli edifi- ci, viali, muri esterni e alla strada attigua, rendendo alcune abitazioni addirittura inagibili (fig. E1,2,3,4,5). Sul corpo di frana a valle è presente un cantiere abbandonato, segno dell’incontrollato sviluppo edilizio degli ultimi anni. …………
  • 23. 23 A seguito di tutti questi esempi di dissesto, che trovano documentazione all’interno del P.A.I., il quesito è se, effettivamente, il P.A.I. sia uno strumento attualmente in grado di ge- stire e programmare gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. Un caso esemplare è rappresentato dall’area in figura che, secondo la do- cumentazione del P.A.I. non presenta fenomeni di disse- sto. Essa ricade nella CTR 1:10.000:634020, in località M. Vampo- lieri. Da sopralluoghi effettuati, il versante d’interesse è preva- lentemente argillo- so-marnoso, con una morfologia a tratti piana e a tratti fortemente inclinata (fig. F1.) A entrambi i lati sono presenti diversi edifici a carattere resi- denziale. L’area non è coltivata e non presenta alcun tipo di intervento antropico di siste- mazione. Com’è possibile osservare in figura, le acque di scorrimento superficiali scavano il terreno argilloso creando delle incisioni abbastanza profonde (fig. F2) e trasportando il materiale depositandolo in strada (fig. F3), mentre nella fascia superiore in piano imbibi- scono il terreno rendendo l’argilla plastica e formando un pantano (fig. F4.) Vi sono diversi segnali che indicano un progressivo movimento franoso verso il basso di quest’area, visibi- li, oltre che nella sua morfologia tipica del corpo di frana, anche dalle dislocazioni dei muri perimetrali degli edifici a essa adiacenti, in particolare in quelli più a N (fig. F5,6). Un ri- schio ulteriore è dato dalla presenza, alla base del versante, di numerosi nuclei abitativi separati solo dal tracciato stradale e senza alcuna protezione (fig. F7.)
  • 24. 24 Capitolo 5 ALLEGATI FOTOGRAFICI 5.1 Allegato A Fig. A1- Canale di drenaggio a valle del dissesto (in fondo, le acque sono convogliate in un canale sotterraneo). Fig. A2 – Canale che intercetta le acque a monte.
  • 25. 25 Fig. A3 / A4 – Bracci drenanti trasversali che circondano l’abitato e convogliano le acque a valle. Fig. A5 – Condotta sotterranea in cui scorrono le acque drenate.
  • 26. 26 5.2 Allegato B Fig. B1 – Il muro di contenimento della strada, a causa del movimento franoso, è in parte crollato. Fig. B2 – Le condizioni del manto stradale e delle protezioni laterali sono gravemente compromesse.
  • 27. 27 5.3 Allegato C Fig C1/C2 – i due bracci drenanti laterali e opposti si ricongiungono a valle della frana in un unico canale sotterraneo.
  • 28. 28 5.4 Allegato D Fig. D1 – Il grosso edificio ad arco costruito adiacente alla nicchia di distacco, di cui ne ricalca la for- ma.
  • 29. 29 5.5 Allegato E Fig. E1/E2/E3/E4 – Feno- meni di degrado sulle abi- tazioni e sulle strutture adiacenti.
  • 30. 30 Fig. E5 – Cantiere abbandonato sul corpo di frana.
  • 31. 31 5.6 Allegato F Fig. F1/F2 – Incisioni delle acque di ruscellamento nel corpo di frana, prevalentemente argilloso.
  • 32. 32 Fig. F3 – Le acque piovane trasportano il materiale alla base della frana, lungo la strada adiacente. Fig. F4 – Dopo eventi piovosi intensi, l’argilla diventa completamente plastica. Fig. F5/F6 – Dislocazioni e rotture dei muri perimetrali delle abitazioni adia- centi al corpo di frana.
  • 33. 33 Fig. F6 Fig. F7 – Alla base della frana, separati da essa solo dalla strada (Via Vampolieri), sono presenti molti nuclei abitativi.