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Il racconto fotografico nell’epoca di Facebook
Italo Calvino
Avventura di un fotografo
“Perché una volta che avete cominciato, [...] non c’è nessuna
ragione che vi fermiate. Il passo tra la realtà che viene
fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare
bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo. ][...] Basta che
cominciate a dire di qualcosa: “Ah che bello, bisognerebbe
proprio fotografarlo!” e già siete sul terreno di chi pensa che
tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non
fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna
fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si
può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile
possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della
propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla
pazzia.”
Che senso ha un corso di fotografia nell'epoca in cui ormai più della metà delle immagini che consumiamo vengono prodotte da cellulari?
Questo corso vuole provare a restituire all'immagine la sua forza comunicativa, il suo potenziale espressivo e narrativo, non solo
raffigurativo.

1 racconto fotografico - 20 settembre 2016
Annie Leibovitz
Susan Sontag, “far fotografie, che è un modo
di attestare un’esperienza, è anche un modo
di rifiutarla, riducendola a una ricerca del
fotogenico, trasformandola in un souvenir”.
Essere fotografati come marito e
moglie con tale profondità, come
questo audace e famigerato ritratto
di John e Yoko, che certamente
immortala le relazioni d’amore … E’
forte e sorprendente – come la loro
adorazione l’uno per l’altra.
Nel dicembre 1980, ad Annie Leibovitz fu assegnato di fotografare John Lennon e Yoko Ono. Lei, all’epoca, era capo fotografo di Rolling Stone. Inizialmente, Annie aveva tentato di fotografare unicamente John da
solo, ma lui insistette affinché anche Yoko fosse in copertina. Annie, ispirata dalla copertina di Double Fantasy, cercò di ricreare qualcosa di simile. Per il ritratto degli amanti, aveva immaginato che i due posassero
nudi insieme.

Yoko era riluttante nel togliersi i vestiti. Aveva affermato che avrebbe potuto spogliarsi della parte superiore, ma non dei pantaloni. Delusa, Annie le chiese di non spogliarsi. John, svestito, rannicchiato accanto, si
avvolse intorno ad una Yoko completamente vestita. Annie utilizzò una macchina fotografica istantanea per catturare il momento. Immediatamente, i tre avevano capito subito che era un’immagine profonda. John e
Yoko esclarono ad Annie, “Hai catturato esattamente il nostro rapporto”.
2 racconto fotografico - 20 settembre 2016
Henry Cartier Bresson
Isabel Allende (Ritratto in seppia, 2001)
La macchina fotografica è uno strumento semplice,
anche il più stupido può usarla, la sfida consiste nel
creare attraverso di essa quella combinazione tra
verità e bellezza chiamata arte. E’ una ricerca
soprattutto spirituale. Cerco verità e bellezza nella
trasparenza d’una foglia d’autunno, nella forma
perfetta di una chiocciola sulla spiaggia, nella curva
d’una schiena femminile, nella consistenza d’un
vecchio tronco d’albero e anche in altre sfuggenti
forme della realtà.
Maestro della fotografia moderna."La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell'intuito e della spontaneità, il detentore dell'attimo che in termini visivi, interroga e decide nello stesso
tempo". Una frase che potrebbe sintetizzare l'arte di Henri Cartier Bresson: l'amore per la pittura che lo ha portato ad accantonare la fotografia negli anni Settanta per dedicarsi ai ritratti silenziosi con “fervore
religioso” (T.Capote) grazie al quale è riuscito a cogliere una luminosità del tutto inedita nel soggetto scelto.

Nonostante ciò la fotografia è sempre stata al centro della sua vita e della sua attività professionale, delle collaborazioni con testate come Vogue e Life. Ed è proprio la fotografia, disarmante momento attraverso il
quale il fotografo riesce a cogliere un frammento di storia personale, un dettaglio per altri insignificante
3 racconto fotografico - 20 settembre 2016
Bagheria
Ferdinando Scianna
Fotografare è una maniera di
vivere. Ma importante è la vita,
non la fotografia. Importante è
raccontare. Se si parte dalla
fotografia non si arriva in nessun
altro posto che alla fotografia.
Incuriosito dal mondo circostante e in particolare da quello contadino, è affascinato dalla “vita vera” e sopratutto dalle storie delle persone che la raccontano, fotografa feste e situazioni di paese traendone sostanza con le sue
immagini .

In questa atmosfera Scianna sente la necessità di ritrarre la cornice di Bagheria dall’angolazione religiosa, tramite un fulgido insieme di immagini che poi espone al Circolo di Cultura della sua città nel 1963.

E’ proprio da questa esposizione di immagini che oltre a quello che sarà un consolidato rapporto professionale nasce una corposa e intensa amicizia con lo scrittore, poeta, drammaturgo italiano Leonardo Sciascia che durerà fino alla
morte dello scrittore stesso nel 1989. Grazie a Leonardo Sciascia nel Gennaio del 1965, a nemmeno ventidue anni, Ferdinando pubblica il suo primo libro “Feste religiose in Sicilia”, ed è un vero e proprio boato.
4 racconto fotografico - 20 settembre 2016
Chartres at the time of liberation of France
Robert Capa
Se la foto non è buona, vuol
dire che non eri abbastanza
vicino.
Robert Capa è considerato uno dei padri del fotogiornalismo. Con i suoi reportage ha raccontato le grandi guerre dello scorso secolo: dalla guerra civile spagnola alla guerra d'Indocina, passando naturalmente per la seconda guerra
mondiale.Gli scatti di Capa sono famosi in tutto il mondo grazie, soprattutto, alla sua collaborazione con la rivista LIFE che pubblicò i suoi reportage. E alcune delle sue foto sono anche soggetti di grandiose storie, che tengono vivo il
mito di Capa ancora oggi.

Il 6 giugno 1944, il D-Day, Robert Capa era con il 16° reggimento fanteria della 1° divisione, le truppe d’assalto che per prime avrebbero messo piede su Omaha Beach, il nome in codice di una delle cinque spiagge su cui sbarcò
l’esercito alleato.

Durante la battaglia, fianco a fianco con i soldati, Capa scattò 106 fotografie. I quattro rullini arrivarono alla redazione di LIFE a Londra giusto in tempo per la chiusura. Le fotografie andavano sviluppate, passate ai censori e poi
spedite a New York.

John Morris ricorda che i negativi delle foto di Capa erano «favolosi». Ma nel cercare di accelerare il processo verso la stampa dei negativi, chi lavorava alla foto fece un errore: chiuse l’armadietto in cui i negativi si stavano
asciugando, rovinando completamente l’emulsione e distruggendo le foto. Soltanto 11 fotografie del quarto rullino si salvarono.

LIFE pubblicò le foto il 19 giugno (il numero è disponibile per intero su Google Books), spiegando che le immagini erano leggermente fuori fuoco perché le mani di Capa tremavano per via della battaglia.

Nella suo resoconto autobiografico della guerra, intitolato proprio Leggermente fuori fuoco, Capa racconta che, sì, gli tremavano le mani, ma solo quando doveva cambiare il rullino della macchina fotografica. Ha sempre negato che le
foto fossero fuori fuoco perché non era riuscito a inquadrare chiaramente l’obiettivo durante la battaglia. Le foto sono tutte scattate con una Contax, con lenti da 50 mm. 

The picture reproduced below was made in the town of Chartres at the time of the liberation of France. The woman with the shaved head is being punished for having loved, or having at least given comfort to, a German, an enemy of
her fellow Frenchmen.
5 racconto fotografico - 20 settembre 2016
Elliot Erwitt
Quando è ben fatta, la fotografia è
interessante. Quando è fatta molto bene,
diventa irrazionale e persino magica. Non ha
nulla a che vedere con la volontà o il
desiderio cosciente del fotografo. Quando la
fotografia accade, succede senza sforzo,
come un dono che non va interrogato né
analizzato.
1. Fotografa divertendoti

“Abbaio ai cani. Ecco perchè il cagnolino, in una delle mie fotografie, è saltato. Una volta a Kyoto camminavo dietro ad una signora che portava a passeggio un cane dall’aspetto interessante. Solo per vedere cosa sarebbe successo,
abbaiai. La signora tirò immediatamente un calcio al cane sconcertato. Si vede che abbaiavamo allo stesso modo”.

Erwitt, nel corso della sua carriera, fotograferà molte volte gli animali, che lui vede come delle inconsapevoli proiezioni dei comportamenti umani. In particolare i cani, saranno oggetto preferito della sua ricerca fotografica (dedicherà a
loro ben quattro libri).

Insegnamento

Non possiamo riuscire a cogliere l’umorismo di una scena se noi per primi non riusciamo a divertirci per quello che stiamo facendo e siamo incapaci di interagire con la gente e con l’ambiente intorno a noi. Spesso, le situazioni
migliori si verificano…provocandole.
6 racconto fotografico - 20 settembre 2016
Small World
Martin Parr
“Io fotografo la vita così com’è, se le
foto vi sembrano grottesche è perché
pensate che lo sia la vita. E’ così?
Ognuno di noi è bello e brutto nello
stesso tempo, piacevole e spiacevole.
Così è fatto il genere umano.”.
Immagini apparentemente sciatte, flash sparato in faccia ai soggetti anche in pieno giorno, bambini imbrattati dal lecca-lecca, bagnanti sudatissimi stesi al sole, turisti in atteggiamenti ridicoli. Immagini che sembrano caotiche ma che,
al contrario, rispondono a regole compositive raffinatissime.

Ed è proprio analizzando i suoi scatti, così diversi dalle fotografie che siamo abituati a vedere, che possiamo trarre spunti interessanti per migliorare la nostra fotografia. O semplicemente per sviluppare un punto di vista differente.

“Il mondo è pieno di fotografie di cose come i circhi, gli ospedali psichiatrici e il carnevale, che la gente fotografa perché questi soggetti permettono di realizzare buone immagini. Non è che la gente si interessi ai circhi o agli ospedali
psichiatrici più che ad altro; è solo che questi sono classici soggetti fotografici. Come le zone di guerra, con la loro alta drammaticità.

Il linguaggio e gli argomenti della fotografia sono molto limitati. Ancora adesso, c’è gente che si aspetta di poter entrare a Magnum mostrando foto di prostitute o drogati. Ma si tratta di soggetti che vedi continuamente mentre ce ne
sono molti altri a cui nessuno si interessa mai.

Non pretendo di aver inventato un nuovo genere, ma prendiamo il mio lavoro sul cibo, per esempio. Ho pensato che fare foto del cibo fosse un modo perfetto per osservare il paesaggio sociale. Gran parte del cibo che ho fotografato
è junk food – cibo spazzatura, ovviamente, quindi alla fine si è trattato anche di una riflessione sulla globalizzazione.

7 racconto fotografico - 20 settembre 2016
Mali 1985. I bambini sono pesati per dosare le razioni
Sebastiao Salgado
“Quando ho iniziato a occuparmi di
fotografia – racconta il fotografo brasiliano
– sentivo di non avere limiti. Volevo andare
ovunque la mia curiosità mi portasse e
dove la bellezza mi suscitasse emozioni, ma
anche ovunque ci fosse ingiustizia sociale,
per raccontarla, al meglio”.
Non basta raccontare la realtà sociale partendo dall’attualità immediata, il tipo di reportage a cui lui aspira è di differente natura. Una sola immagine non è sufficiente a raccontare il dramma del presente. Andando oltre ogni
aneddotica, Salgado articola invece un racconto tramite una serie di immagini, dopo aver indagato a lungo sul campo. A partire dal 1979, collabora quindi con l’agenzia Magnum, e comincia ad analizzare la situazione drammatica dei
contadini del continente latino americano.

Il reportage fotografico diviene, per Salgado, ricerca estetica e allo stesso tempo ricerca di senso. Le immagini possono (e devono) andare al di là del semplice valore illustrativo ed aneddotico. Quelle unità semantiche, attraverso la
ricerca estetica, devono colpire lo spettatore, invitandolo a pensare e a riflettere.

Nel 1984 Salgado, partecipa ad un’iniziativa promossa dai Medici senza Frontiere, in Sahel, una zona dell’Africa devastata dalla carestia e dalla fame. Per diciotto mesi realizza un reportage, in Mali, Etiopia, Ciad e Sudan.

Masse di profughi che scappano dalla fame, dalla carestia e dalla guerra, ricordano inevitabilmente la biblica fuga in Egitto, donando alle immagini un’aura quasi religiosa.

In tutta la loro struggente bellezza, le immagini si mostrano come rivelazione, dispiegano il loro senso andando oltre la semplice informazione.

Mettono a nudo tutta la miseria, tutta la sofferenza che pesa sulle spalle di quegli esodati.

Quel giorno iniziò anche un percorso di sofferenza che coinciderà con il progetto "In cammino": sette anni trascorsi in quasi quaranta Paesi per testimoniare un'umanità in fuga. Ma dopo tante brutture, decise di fare anche qualcosa di
bello (Genesis), di mostrare a tutti le meraviglie della natura fotografando per 64 mesi, dopo aver letto Darwin, il suo racconto del viaggio a bordo della nave Beagle, "il miglior regalo che potessi farmi nella vita".
8 racconto fotografico - 20 settembre 2016
Steve McCurry
Tiziano Terzani
Per un vero fotografo una storia non è un
indirizzo a cui recarsi con delle macchine
sofisticate e filtri giusti. Una storia vuol
dire leggere, studiare, prepararsi.
Fotografare vuol dire cercare nelle cose
quel che uno ha capito con la testa. La
grande foto è l’immagine di un’idea.
"Ci vuole una vita per fare una fotografia e coltivare uno sguardo. L'occhio deve capire cosa sta cercando".

Questo pensa Steve McCurry del suo mestiere, il fotografo, un lavoro speciale fatto di fatica, pazienza, sacrifici, lettura e studio. Bisogna avere una sensibilità particolare, saper guardare e, soprattutto, saper attendere. Solo se si è
disposti a correre il rischio, solo se si è completamente convinti, allora si è pronti.

Lui - che è uno di quelli che ce l'ha fatta - ha scoperto tutto questo negli anni '80 grazie ad un lungo viaggio per il National Geographic Magazine che lo portò dal Mali alle Filippine con lunghe tappe in India, Nepal e Bangladesch.
Tutto è stato documentato dalle sue foto straordinarie piene di armonia e di serenità nonostante abbiano raccontato e testimoniato la stagione delle piogge e le forti inondazioni monsoniche di quel periodo con tutte le conseguenze
che ebbero sulla popolazione e sull'ambiente. Lì capì che per farcela avrebbe dovuto entrare in quell'acqua putrida ed affrontare ogni rischio.

"Se la gente è sommersa fino al collo devi essere dentro con loro...non puoi stare sulla sponda a guardare ma devi diventare parte della storia ed abbracciarla fino in fondo".
9 racconto fotografico - 20 settembre 2016
10 racconto fotografico - 20 settembre 2016
11 racconto fotografico - 20 settembre 2016
12 racconto fotografico - 20 settembre 2016
13 racconto fotografico - 20 settembre 2016
14 racconto fotografico - 20 settembre 2016
15 racconto fotografico - 20 settembre 2016
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  • 1. Il racconto fotografico nell’epoca di Facebook Italo Calvino Avventura di un fotografo “Perché una volta che avete cominciato, [...] non c’è nessuna ragione che vi fermiate. Il passo tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo. ][...] Basta che cominciate a dire di qualcosa: “Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!” e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia.” Che senso ha un corso di fotografia nell'epoca in cui ormai più della metà delle immagini che consumiamo vengono prodotte da cellulari? Questo corso vuole provare a restituire all'immagine la sua forza comunicativa, il suo potenziale espressivo e narrativo, non solo raffigurativo. 1 racconto fotografico - 20 settembre 2016
  • 2. Annie Leibovitz Susan Sontag, “far fotografie, che è un modo di attestare un’esperienza, è anche un modo di rifiutarla, riducendola a una ricerca del fotogenico, trasformandola in un souvenir”. Essere fotografati come marito e moglie con tale profondità, come questo audace e famigerato ritratto di John e Yoko, che certamente immortala le relazioni d’amore … E’ forte e sorprendente – come la loro adorazione l’uno per l’altra. Nel dicembre 1980, ad Annie Leibovitz fu assegnato di fotografare John Lennon e Yoko Ono. Lei, all’epoca, era capo fotografo di Rolling Stone. Inizialmente, Annie aveva tentato di fotografare unicamente John da solo, ma lui insistette affinché anche Yoko fosse in copertina. Annie, ispirata dalla copertina di Double Fantasy, cercò di ricreare qualcosa di simile. Per il ritratto degli amanti, aveva immaginato che i due posassero nudi insieme. Yoko era riluttante nel togliersi i vestiti. Aveva affermato che avrebbe potuto spogliarsi della parte superiore, ma non dei pantaloni. Delusa, Annie le chiese di non spogliarsi. John, svestito, rannicchiato accanto, si avvolse intorno ad una Yoko completamente vestita. Annie utilizzò una macchina fotografica istantanea per catturare il momento. Immediatamente, i tre avevano capito subito che era un’immagine profonda. John e Yoko esclarono ad Annie, “Hai catturato esattamente il nostro rapporto”. 2 racconto fotografico - 20 settembre 2016
  • 3. Henry Cartier Bresson Isabel Allende (Ritratto in seppia, 2001) La macchina fotografica è uno strumento semplice, anche il più stupido può usarla, la sfida consiste nel creare attraverso di essa quella combinazione tra verità e bellezza chiamata arte. E’ una ricerca soprattutto spirituale. Cerco verità e bellezza nella trasparenza d’una foglia d’autunno, nella forma perfetta di una chiocciola sulla spiaggia, nella curva d’una schiena femminile, nella consistenza d’un vecchio tronco d’albero e anche in altre sfuggenti forme della realtà. Maestro della fotografia moderna."La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell'intuito e della spontaneità, il detentore dell'attimo che in termini visivi, interroga e decide nello stesso tempo". Una frase che potrebbe sintetizzare l'arte di Henri Cartier Bresson: l'amore per la pittura che lo ha portato ad accantonare la fotografia negli anni Settanta per dedicarsi ai ritratti silenziosi con “fervore religioso” (T.Capote) grazie al quale è riuscito a cogliere una luminosità del tutto inedita nel soggetto scelto. Nonostante ciò la fotografia è sempre stata al centro della sua vita e della sua attività professionale, delle collaborazioni con testate come Vogue e Life. Ed è proprio la fotografia, disarmante momento attraverso il quale il fotografo riesce a cogliere un frammento di storia personale, un dettaglio per altri insignificante 3 racconto fotografico - 20 settembre 2016
  • 4. Bagheria Ferdinando Scianna Fotografare è una maniera di vivere. Ma importante è la vita, non la fotografia. Importante è raccontare. Se si parte dalla fotografia non si arriva in nessun altro posto che alla fotografia. Incuriosito dal mondo circostante e in particolare da quello contadino, è affascinato dalla “vita vera” e sopratutto dalle storie delle persone che la raccontano, fotografa feste e situazioni di paese traendone sostanza con le sue immagini . In questa atmosfera Scianna sente la necessità di ritrarre la cornice di Bagheria dall’angolazione religiosa, tramite un fulgido insieme di immagini che poi espone al Circolo di Cultura della sua città nel 1963. E’ proprio da questa esposizione di immagini che oltre a quello che sarà un consolidato rapporto professionale nasce una corposa e intensa amicizia con lo scrittore, poeta, drammaturgo italiano Leonardo Sciascia che durerà fino alla morte dello scrittore stesso nel 1989. Grazie a Leonardo Sciascia nel Gennaio del 1965, a nemmeno ventidue anni, Ferdinando pubblica il suo primo libro “Feste religiose in Sicilia”, ed è un vero e proprio boato. 4 racconto fotografico - 20 settembre 2016
  • 5. Chartres at the time of liberation of France Robert Capa Se la foto non è buona, vuol dire che non eri abbastanza vicino. Robert Capa è considerato uno dei padri del fotogiornalismo. Con i suoi reportage ha raccontato le grandi guerre dello scorso secolo: dalla guerra civile spagnola alla guerra d'Indocina, passando naturalmente per la seconda guerra mondiale.Gli scatti di Capa sono famosi in tutto il mondo grazie, soprattutto, alla sua collaborazione con la rivista LIFE che pubblicò i suoi reportage. E alcune delle sue foto sono anche soggetti di grandiose storie, che tengono vivo il mito di Capa ancora oggi. Il 6 giugno 1944, il D-Day, Robert Capa era con il 16° reggimento fanteria della 1° divisione, le truppe d’assalto che per prime avrebbero messo piede su Omaha Beach, il nome in codice di una delle cinque spiagge su cui sbarcò l’esercito alleato. Durante la battaglia, fianco a fianco con i soldati, Capa scattò 106 fotografie. I quattro rullini arrivarono alla redazione di LIFE a Londra giusto in tempo per la chiusura. Le fotografie andavano sviluppate, passate ai censori e poi spedite a New York. John Morris ricorda che i negativi delle foto di Capa erano «favolosi». Ma nel cercare di accelerare il processo verso la stampa dei negativi, chi lavorava alla foto fece un errore: chiuse l’armadietto in cui i negativi si stavano asciugando, rovinando completamente l’emulsione e distruggendo le foto. Soltanto 11 fotografie del quarto rullino si salvarono. LIFE pubblicò le foto il 19 giugno (il numero è disponibile per intero su Google Books), spiegando che le immagini erano leggermente fuori fuoco perché le mani di Capa tremavano per via della battaglia. Nella suo resoconto autobiografico della guerra, intitolato proprio Leggermente fuori fuoco, Capa racconta che, sì, gli tremavano le mani, ma solo quando doveva cambiare il rullino della macchina fotografica. Ha sempre negato che le foto fossero fuori fuoco perché non era riuscito a inquadrare chiaramente l’obiettivo durante la battaglia. Le foto sono tutte scattate con una Contax, con lenti da 50 mm. The picture reproduced below was made in the town of Chartres at the time of the liberation of France. The woman with the shaved head is being punished for having loved, or having at least given comfort to, a German, an enemy of her fellow Frenchmen. 5 racconto fotografico - 20 settembre 2016
  • 6. Elliot Erwitt Quando è ben fatta, la fotografia è interessante. Quando è fatta molto bene, diventa irrazionale e persino magica. Non ha nulla a che vedere con la volontà o il desiderio cosciente del fotografo. Quando la fotografia accade, succede senza sforzo, come un dono che non va interrogato né analizzato. 1. Fotografa divertendoti “Abbaio ai cani. Ecco perchè il cagnolino, in una delle mie fotografie, è saltato. Una volta a Kyoto camminavo dietro ad una signora che portava a passeggio un cane dall’aspetto interessante. Solo per vedere cosa sarebbe successo, abbaiai. La signora tirò immediatamente un calcio al cane sconcertato. Si vede che abbaiavamo allo stesso modo”. Erwitt, nel corso della sua carriera, fotograferà molte volte gli animali, che lui vede come delle inconsapevoli proiezioni dei comportamenti umani. In particolare i cani, saranno oggetto preferito della sua ricerca fotografica (dedicherà a loro ben quattro libri). Insegnamento Non possiamo riuscire a cogliere l’umorismo di una scena se noi per primi non riusciamo a divertirci per quello che stiamo facendo e siamo incapaci di interagire con la gente e con l’ambiente intorno a noi. Spesso, le situazioni migliori si verificano…provocandole. 6 racconto fotografico - 20 settembre 2016
  • 7. Small World Martin Parr “Io fotografo la vita così com’è, se le foto vi sembrano grottesche è perché pensate che lo sia la vita. E’ così? Ognuno di noi è bello e brutto nello stesso tempo, piacevole e spiacevole. Così è fatto il genere umano.”. Immagini apparentemente sciatte, flash sparato in faccia ai soggetti anche in pieno giorno, bambini imbrattati dal lecca-lecca, bagnanti sudatissimi stesi al sole, turisti in atteggiamenti ridicoli. Immagini che sembrano caotiche ma che, al contrario, rispondono a regole compositive raffinatissime. Ed è proprio analizzando i suoi scatti, così diversi dalle fotografie che siamo abituati a vedere, che possiamo trarre spunti interessanti per migliorare la nostra fotografia. O semplicemente per sviluppare un punto di vista differente. “Il mondo è pieno di fotografie di cose come i circhi, gli ospedali psichiatrici e il carnevale, che la gente fotografa perché questi soggetti permettono di realizzare buone immagini. Non è che la gente si interessi ai circhi o agli ospedali psichiatrici più che ad altro; è solo che questi sono classici soggetti fotografici. Come le zone di guerra, con la loro alta drammaticità. Il linguaggio e gli argomenti della fotografia sono molto limitati. Ancora adesso, c’è gente che si aspetta di poter entrare a Magnum mostrando foto di prostitute o drogati. Ma si tratta di soggetti che vedi continuamente mentre ce ne sono molti altri a cui nessuno si interessa mai. Non pretendo di aver inventato un nuovo genere, ma prendiamo il mio lavoro sul cibo, per esempio. Ho pensato che fare foto del cibo fosse un modo perfetto per osservare il paesaggio sociale. Gran parte del cibo che ho fotografato è junk food – cibo spazzatura, ovviamente, quindi alla fine si è trattato anche di una riflessione sulla globalizzazione. 7 racconto fotografico - 20 settembre 2016
  • 8. Mali 1985. I bambini sono pesati per dosare le razioni Sebastiao Salgado “Quando ho iniziato a occuparmi di fotografia – racconta il fotografo brasiliano – sentivo di non avere limiti. Volevo andare ovunque la mia curiosità mi portasse e dove la bellezza mi suscitasse emozioni, ma anche ovunque ci fosse ingiustizia sociale, per raccontarla, al meglio”. Non basta raccontare la realtà sociale partendo dall’attualità immediata, il tipo di reportage a cui lui aspira è di differente natura. Una sola immagine non è sufficiente a raccontare il dramma del presente. Andando oltre ogni aneddotica, Salgado articola invece un racconto tramite una serie di immagini, dopo aver indagato a lungo sul campo. A partire dal 1979, collabora quindi con l’agenzia Magnum, e comincia ad analizzare la situazione drammatica dei contadini del continente latino americano. Il reportage fotografico diviene, per Salgado, ricerca estetica e allo stesso tempo ricerca di senso. Le immagini possono (e devono) andare al di là del semplice valore illustrativo ed aneddotico. Quelle unità semantiche, attraverso la ricerca estetica, devono colpire lo spettatore, invitandolo a pensare e a riflettere. Nel 1984 Salgado, partecipa ad un’iniziativa promossa dai Medici senza Frontiere, in Sahel, una zona dell’Africa devastata dalla carestia e dalla fame. Per diciotto mesi realizza un reportage, in Mali, Etiopia, Ciad e Sudan. Masse di profughi che scappano dalla fame, dalla carestia e dalla guerra, ricordano inevitabilmente la biblica fuga in Egitto, donando alle immagini un’aura quasi religiosa. In tutta la loro struggente bellezza, le immagini si mostrano come rivelazione, dispiegano il loro senso andando oltre la semplice informazione. Mettono a nudo tutta la miseria, tutta la sofferenza che pesa sulle spalle di quegli esodati. Quel giorno iniziò anche un percorso di sofferenza che coinciderà con il progetto "In cammino": sette anni trascorsi in quasi quaranta Paesi per testimoniare un'umanità in fuga. Ma dopo tante brutture, decise di fare anche qualcosa di bello (Genesis), di mostrare a tutti le meraviglie della natura fotografando per 64 mesi, dopo aver letto Darwin, il suo racconto del viaggio a bordo della nave Beagle, "il miglior regalo che potessi farmi nella vita". 8 racconto fotografico - 20 settembre 2016
  • 9. Steve McCurry Tiziano Terzani Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’idea. "Ci vuole una vita per fare una fotografia e coltivare uno sguardo. L'occhio deve capire cosa sta cercando". Questo pensa Steve McCurry del suo mestiere, il fotografo, un lavoro speciale fatto di fatica, pazienza, sacrifici, lettura e studio. Bisogna avere una sensibilità particolare, saper guardare e, soprattutto, saper attendere. Solo se si è disposti a correre il rischio, solo se si è completamente convinti, allora si è pronti. Lui - che è uno di quelli che ce l'ha fatta - ha scoperto tutto questo negli anni '80 grazie ad un lungo viaggio per il National Geographic Magazine che lo portò dal Mali alle Filippine con lunghe tappe in India, Nepal e Bangladesch. Tutto è stato documentato dalle sue foto straordinarie piene di armonia e di serenità nonostante abbiano raccontato e testimoniato la stagione delle piogge e le forti inondazioni monsoniche di quel periodo con tutte le conseguenze che ebbero sulla popolazione e sull'ambiente. Lì capì che per farcela avrebbe dovuto entrare in quell'acqua putrida ed affrontare ogni rischio. "Se la gente è sommersa fino al collo devi essere dentro con loro...non puoi stare sulla sponda a guardare ma devi diventare parte della storia ed abbracciarla fino in fondo". 9 racconto fotografico - 20 settembre 2016
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