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Antoni Gaudí
Gaudì: il più grande architetto in pietra del secolo XX, lo definì Le Corbusier.  L’unico architetto che in età moderna abbia dedicato la propria vita a un’impresa non più tentata da secoli: l’edificazione di una cattedrale, dedicata alla Sagrada Familia, costruita solo ed esclusivamente con le offerte “ de los pobres ”. E che morì, povero come loro, all’ospedale della Santa Croce, dopo tre giorni di agonia. Era stato investito da un tram, la linea 30, mentre percorreva la via che conduceva dal cantiere della “sua” chiesa al piccolo oratorio di San Filippo Neri, alle spalle della cattedrale gotica, dove lo aspettava il quotidiano colloquio col padre spirituale.  Al suo funerale, migliaia di cittadini salutarono il feretro per le vie di Barcellona.  Nella cappella di quel piccolo oratorio, il pittore Llimona era stato incaricato qualche anno prima di rappresentare san Filippo Neri mentre celebra l’eucaristia e benedice i bambini. Il volto del santo non è altri che quello del vecchio Gaudí, con la barba bianca, e un azzurro acceso negli occhi.
 
A quel tempo, Gaudí era certamente l’architetto più in voga nella Barcellona ambiziosa e avanguardista di inizio secolo. Ma Gaudí, a partire dal 1910, rinunciò ad ogni altro incarico per dedicarsi esclusivamente all’edificazione della Sagrada Familia.  Una chiesa che non avrebbe potuto finire, che avrebbe dovuto lasciare in mani altrui, per un Cliente importante e paziente: « Mi cliente no tiene prisa », non ha fretta, ripeteva spesso.  Un’impresa che dura ancora, dal lontano 1883, anno in cui il giovane Gaudí rilevò il progetto dell’architetto Villar e assunse la direzione dei lavori.
 
Nel 1915, quando i fondi per la costruzione della chiesa scarseggiavano, Gaudí arrivò a chiedere l’elemosina tra i ricchi borghesi di Barcellona per continuare l’opera. Stendendo la mano tra le strade e le case della città che lo aveva reso famoso, chiedeva «un centesimo, per amore di Dio».  Fiorirono così gli aneddoti e le leggende su un uomo che aveva rinunciato al denaro e alla fama, per un’impresa che molti giudicavano improba. Ma per lui non era così: «Nella Sagrada Famiglia» disse «tutto è frutto della Provvidenza, inclusa la mia partecipazione come architetto». E, per tagliar corto, aggiungeva: «Questo tempio verrà finito da san Giuseppe».
 
Facciata della Natività  Gaudí volle cominciare con la facciata dedicata all’Incarnazione, perché i misteri dell’infanzia di Gesù sono quelli che parlano più direttamente al cuore del popolo.
 
L’immagine rappresenta la Natività,  che Gaudì definisce  “Carità”.  La massima carità di Dio verso gli uomini è  quella donare il proprio Figlio al mondo.  I personaggi  raffigurati sono Giuseppe, Maria e Gesù. Maria e Giuseppe accolgono con amore il nascituro; i loro volti esprimono gioia e stupore per la nascita di questo bambino.
La nascita di Gesù secondo il vangelo ,[object Object],[object Object]
La nascita di  Gesù  nel Corano ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
La nascita di Gesù nel Corano ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
La Natività  in altre tradizioni artistiche Giotto (1267-1337), La nascita di Gesù e l’annuncio ai pastori,  dalle Storie  di Cristo (1303-1304), Padova,  Cappella degli Scrovegni .  
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L’originalità di Gaudí Gaudí ha sviluppato un’architettura originalissima, basata sull’imitazione delle forme naturali. «Il mio maestro è l’albero del giardino di fronte alla mia finestra» diceva. L’idea potente e semplice: ciò che è in natura è funzionale, e ciò che è funzionale è bello. L’originalità di Gaudí è tutta qui: «L’originalità» disse «consiste nel ritornare alle origini; originale è, dunque, ciò che con mezzi nuovi fa ritorno alla semplicità delle prime soluzioni». E che riflette la bellezza della verità. Non una stravaganza ricercata per ottenere “l’effetto”. «La bellezza è lo splendore della verità» ripeteva: «Siccome l’arte è bellezza, senza verità non c’è arte. Per conoscere la verità, si devono conoscere bene gli esseri del mondo creato».
 
Le tre porte della facciata della natività rappresentano le tre virtù: la speranza a sinistra, con la strage degli Innocenti e la fuga in Egitto; a destra la fede, ma la carità è al centro, perché è la più grande virtù.
Morte degli Innocenti
Porta della Speranza
Porta della Fede
 
Etsuro Sotoo Sopra l’immagine della Sacra Famiglia, gli angeli cantano, come racconta il Vangelo. Alcuni di questi sono opera di uno scultore giapponese, Etsuro Sotoo, che lavora al cantiere della chiesa da più di vent’anni.  «In Giappone Gaudí» spiega «fu portato da un professore di storia dell’architettura, Kenji Imai, che era stato qui a Barcellona nel 1926, pochi mesi dopo la morte del maestro. E per anni ha “raccontato” Gaudí ai suoi studenti senza una foto, senza un testo, solo ricordando quello che aveva visto.
« Venni a Barcellona nel 1978. Non pensavo di fermarmi. Sarei dovuto andare in Germania per lavorare al restauro di alcune chiese. Ma poi rimasi affascinato dalla bellezza della Sagrada Familia e feci domanda per lavorare qui come scultore. I primi anni, mentre lavoravo, cercavo di entrare nello “spirito” dell’opera di Gaudí, e mi chiedevo come lui avrebbe realizzato quello che dovevo fare io. Ma le difficoltà non mancavano, c’era una distanza, non solo culturale.  Cercavo di immedesimarmi in lui e “interrogavo” le pietre, “interrogavo” lo stesso Gaudí »
«Per capire Gaudí, come del resto qualunque altro artista, bisognava sapere che cosa voleva fare con queste sculture, con quest’edificio tanto meraviglioso, che non è solamente un’opera d’arte. Bisognava scoprire quello che c’era dietro questa pietra».  Sotoo, nel novembre del 1989, ha chiesto il battesimo.  «Ho compreso che per capire fino in fondo il senso del mio lavoro e di quest’opera d’arte, non dovevo guardare Gaudí. Dovevo guardare dove guardava Gaudí».  Dopo la conversione il suo modo di lavorare non è cambiato, ma è «molto più facile e sicuro». E così, si lavora «con gusto e libertà»: «L’architettura di Gaudí indica, non obbliga, è una cosa umana. E così è anche il cammino di Gesù. Gesù non ci obbliga a fare, però ci guida. E allora possiamo essere molto più felici e molto più sicuri».
L’adorazione dei Magi
 
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I magi nel Vangelo ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
I Magi in altre tradizioni artistiche Adorazione dei Magi  Arte etiope-eritrea Artista: anonimo   Dipinto moderno su moduli antichi.   
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Nicola Pisano , Adorazione dei Magi, Pulpito del Battistero, Pisa, 1260.  
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Facciata della passione
 
 
Delle altre due facciate, quella della Passione e quella della Gloria, rimangono solo schizzi e disegni.  La facciata della Passione è stata realizzata a partire dal 1956.  Gaudí la disegnò a Puigcerdá, nel 1911, dopo aver visto la morte da vicino. Era in preda alle febbri maltesi. Durante la malattia, un religioso camilliano che lo accudiva gli aveva letto il  Cantico Espiritual  di san Giovanni della Croce. A questa meditazione si ispirò per il suo progetto.  Disegnò anche le sculture, ma quando la facciata fu realizzata, lo scultore Subirachs decise di prendersi delle libertà. Eccessive, secondo l’architetto Almuzara: «Ad esempio, l’ultima cena, l’istituzione dell’eucaristia, è stata rappresentata in un angolo, mentre Gaudí la voleva al centro. Sotto la croce. Come nella facciata della Natività, è la carità che sta al centro, rappresentata dal portale centrale. E la carità, nella Passione, è l’eucaristia e la croce. Un uomo che andava a messa tutti i giorni non avrebbe mai approvato la scelta di relegare in un angolo l’eucaristia».
Ultima cena
Il bacio di Giuda
 
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Il bacio di Giuda nei Vangeli Mt 26,47-56 • Mc 14,43-52 • Lc 22,47-53 • Gv 18,2-11 47 N Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». 49 E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui 81 !». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio. 52 Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 54 Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.
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Colonna della Flagellazione
Pilato si lava le mani
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La Veronica
 
 
In questa scena viene mostrata la crocifissione di Gesù Cristo; come si nota dall’immagine il suo viso non è scolpito.  Oltre a Lui, ai piedi della croce viene raffigurato un teschio che definisce il luogo, il Golgota (luogo del cranio); inoltre vengono rappresentate due donne, tra cui Maria, e il suo discepolo più devoto, Giovanni. Questa scena ci comunica sofferenza, ci fa immaginare il dolore che Gesù provò al momento della crocifissione e il dolore dei presenti e delle persone a lui care per la perdita di un uomo unico e importante.
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CROCIFISSIONE E MORTE DI GESU’  NEL CORANO Sura 19,33-34   33 Pace su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morrò e il Giorno in cui sarò resuscitato a nuova vita» .   34 Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità della quale essi dubitano.   Sura 3,55   55 E quando Allah disse: "O Gesù, ti porrò un termine e ti eleverò a Me e ti purificherò dai miscredenti. Porrò quelli che ti seguono al di sopra degli infedeli, fino al Giorno della Resurrezione" . Ritornerete tutti verso di Me e Io giudicherò le vostre discordie.   Sura 4,155-158   155 In seguito [li abbiamo maledetti perché] ruppero il patto, negarono i segni di Allah, uccisero ingiustamente i Profeti e dissero:" I nostri cuori sono incirconcisi ". E' Allah invece che ha sigillato i loro cuori per la loro miscredenza e, a parte pochi, essi non credono,   156 [ li abbiamo maledetti] per via della loro miscredenza e perché dissero contro Maria calunnia immensa ,   157 e dissero: "Abbiamo ucciso il Messia Gesù figlio di Maria, il Messaggero di Allah!" Invece non l'hanno né ucciso né crocifisso, ma così parve loro . Coloro che sono in discordia a questo proposito, restano nel dubbio: non hanno altra scienza e non seguono altro che la congettura. Per certo non lo hanno ucciso   158 ma Allah lo ha elevato fino a Sé. Allah è eccelso, saggio.
Il crocifisso  in altre tradizioni artistiche  Il Cristo giallo  di  Paul Gauguin (1048-1903), pittore di origine francese. Crocifissione, 1930, Musée Picasso di Parigi, dipinto ad olio su legno di cm 50 x 65,5
E’ tutto giallo. Sembra che il giallo del maturare dei campi abbia effuso il proprio colore sul corpo del Crocifisso. Sarebbe sufficiente questa indicazione cromatica per dare almeno un’attesa a questa morte in croce. Questo è un Cristo più che cosmico naturale: la natura intorno a lui non si oscura come dicono gli evangelisti (cfr. Mt 27,45: “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.”).  Nemmeno le stagioni coincidono con i racconti evangelici (primavera secondi i vangeli, mentre qui sembra estate quando la terra dona i suoi frutti: Gesù crocifisso sembra il chicco di grano che sta morendo per dare altra vita: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.” Gv 12,24)   Qui sembra il giallo dell’aurora o al massimo di un tramonto. La creazione riserva la vita che apparentemente questo crocifisso sembra aver espirato. Risorgerà con la forza del Creatore che ha dato vita alla creazione. E’ come se per il momento la creazione-natura custodisse come un tabernacolo l’energia divina che farà risorgere questo morto in croce.  La connotazione del corpo ovviamente non ha niente di realistico né di verista: il corpo non è livido di morte, non è grigio di cadavere, affumicato dalla mancanza del respiro vitale. E’ un corpo luminoso. Lo stesso sguardo del crocifisso è inclinato non appeso, il suo corpo è diritto sulla croce senza pendere come un corpo morto pende dal sostegno delle mani o dei polsi inchiodati.   E le presenze di donne intorno è quasi di attesa, mesto e non triste, con quelle mani poste in riposo, come solo le donne sanno fare, stanche di tanta storia fino ad allora vissuta. Ora nel loro cuore è sera, ma presto quel Crocifisso donerà a loro il privilegio di essere le prime (come le mirofore del vangelo) a vedere il Maestro e ad annunciare la sua risurrezione (Mt 28,9 e passi paralleli di altri evangelisti).
UN DOCUMENTO PER APPROFONDIRE: LA CROCE AUTORI: L. Choenen, E. Beyreuther, H. Bietenhard,  biblisti. Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento, Edizioni  Dehoniane, Bologna 1976, pp. 408-412.
La parola croce deriva dal termine stauros  Stauròs è un palo piantato diritto (palo a punta). La prassi del diritto penale ha conferito, tanto al sostantivo che al verbo, significati particolari, e tuttavia anche piuttosto differenti. Si deve perciò andar cauti nell’associare a questi vocaboli quei particolari che la tradizione cristiana collega alla morte di Gesù.   Il verbo significa sempre appendere (in pubblico).  A seconda del tipo di applicazione penale cui si fa riferimento, può significare impalare; appendere, per disonorare una persona uccisa o per l'esecuzione capitale;  assicurare allo strumento di tortura; crocifiggere.   Era una pratica usata in Oriente ma non in occidente.   Come anche indicano i casi più frequenti in cui è usato il verbo, staurós può quindi significare il palo (a volte appuntito in alto) al quale viene abbandonato un ucciso, quasi a significare una pena aggiuntiva, in segno di vergogna, sia appendendolo che infilzandolo; in altri casi si tratta del palo usato come strumento di esecuzione capitale (per strangolamento o altro). Inoltre staurós è il legno del supplizio, grosso modo nel senso latino di patibulum, una trave assicurata sulle spalle; è infine, come strumento di supplizio, la croce, formata da un palo perpendicolare e da una trave orizzontale, in forma di T (crux commissa) o di † (crux immissa).
I vocaboli staurós e (ana)stauróô, quindi, non sono di per sé sufficienti per stabilire esattamente come avvenisse tecnicamente l'esecuzione della pena e quale significato avesse. Per meglio determinare il significato dei vocaboli occorre perciò chiarire ogni volta in quale ambiente e da quale autorità la pena viene eseguita, e qual è il punto di vista dell'autore che descrive l'esecuzione di una pena con questi vocaboli.   Al tempo di Gesù in Palestina, la condanna alla crocifissione e l'esecuzione di questo tipo di pena erano praticate soltanto dalla potenza occupante romana [...]  La pena della crocifissione era quindi intesa più come deterrente che come espiazione, come strumento di ordine al fine di mantenere il dominio vigente. È quindi del tutto logico che lo strumento del supplizio venisse eretto in un luogo ben esposto [...]   Una cosa comunque è sicura, che i romani hanno fatto ampio uso di questo tipo di esecuzione. È estremamente probabile che lo strumento di supplizio adottato, lo staurós,comportasse un pezzo di legno incrociato e quindi avesse la forma delle due travi in croce. Le fonti profane non permettono di dire quale fosse esattamente la forma, se di crux immissa (†) oppure di crux commissa (T).  Nel caso specifico della croce di Cristo, non vi è alcuna incertezza — secondo quanto si legge nei Vangeli — sul fatto che tale croce fosse provvista di un titulus. Doveva trattarsi perciò di una croce dalla forma tradizionale, crux immissa (†).  Quanto all'altezza, la croce non doveva superare di molto la statura di un uomo.
Il titulus   Era il cartello riportante la causae penae, l'iscrizione che attestava il crimine:   •  Mt 27,37: “Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: «Questi è  Gesù, il re dei Giudei».”   •  Lc 23,38: “C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.”   •  Gv 19,19-20: “Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei».  […] “era scritta in ebraico, in latino e in greco.”   •  Mc 15, 26: “E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei.”   La crocifissione   Lo svolgimento della crocifissione secondo il procedimento romano doveva essere pressapoco il seguente: dapprima avveniva la condanna legale; solo in circostanze straordinarie poteva aver luogo un procedimento sommario sul luogo stesso dell'esecuzione; se l'esecuzione doveva avvenire in un luogo diverso da quello della condanna, il condannato stesso portava la trave trasversale (patibulum) nel luogo fissato, per lo più fuori le mura cittadine. E' qui che ha la sua origine il detto «portare lo staurós», tipica espressione per indicare la punizione di uno schiavo.  Sul luogo dell'esecuzione il condannato veniva spogliato e flagellato (non è certo se soltanto qui); la flagellazione è un elemento costante nella crocifissione, tra la condanna e l'esecuzione vera e propria. Il condannato veniva legato a braccia tese sulla trave, che forse poggia sulle sue spalle. Solo in casi sporadici si parla di inchiodatura; non si sa con certezza se anche i piedi venissero inchiodati, oltre che le mani. La morte del condannato, appeso al palo verticale con la trave trasversale sopra, subentrava lentamente e tra sofferenze indicibili, probabilmente per sfinimento o per soffocamento. Il cadavere poteva essere abbandonato sulla croce alla decomposizione oppure a essere divorato dagli uccelli rapaci o divoratori di carogne. Sono attestati anche casi in cui il cadavere veniva poi consegnato ai parenti o conoscenti.
Dopo essersi divise le Sue vesti le tirarono a sorte.  Luca 23, 34-35
Il soldato Longino
 
 
 
La facciata principale, quella della gloria, ancora manca alla Sagrada Familia.  I tempi sono lunghi come quelli del cantiere di una cattedrale medioevale.  Ma Gaudí non se ne sarebbe preoccupato.  Sapeva di non poter legare il suo nome all’opera finita: «Non vorrei terminare io i lavori, perché non sarebbe conveniente. Bisogna sempre conservare lo spirito del monumento, ma la sua vita deve dipendere dalle generazioni che se la tramandano e con le quali la Chiesa vive e si incarna». Quanto al resto, «nessuno può gloriarsi» disse una volta «perché tutto è dono di Dio; molto spesso Egli si serve di un infelice qualunque.  Un giorno stavo dirigendo i lavori della Sagrada Familia, quando un ragazzo piuttosto sciocco, che passava di lì, mi disse: “Guardi, vede quell’impalcatura, si è rotta una fune e cadranno tutti!”. Apprezzai molto l’avvertimento di quel giovane.  Crediamo che spettino a noi la gloria di ciò che è buono e i meriti che ognuno di noi, con il suo talento, si è guadagnato realizzando qualcosa di importante; in realtà la si deve a un’anima sconosciuta che prega per la riuscita di una persona più nota».
Le foto sono state effettuate dagli alunni della classe, altre foto sono state tratte da: http://it.wikipedia.org/wiki/Sagrada_Familia
 
 
 
 
 

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Progetto Sagrada Familia

  • 1.  
  • 3. Gaudì: il più grande architetto in pietra del secolo XX, lo definì Le Corbusier. L’unico architetto che in età moderna abbia dedicato la propria vita a un’impresa non più tentata da secoli: l’edificazione di una cattedrale, dedicata alla Sagrada Familia, costruita solo ed esclusivamente con le offerte “ de los pobres ”. E che morì, povero come loro, all’ospedale della Santa Croce, dopo tre giorni di agonia. Era stato investito da un tram, la linea 30, mentre percorreva la via che conduceva dal cantiere della “sua” chiesa al piccolo oratorio di San Filippo Neri, alle spalle della cattedrale gotica, dove lo aspettava il quotidiano colloquio col padre spirituale. Al suo funerale, migliaia di cittadini salutarono il feretro per le vie di Barcellona. Nella cappella di quel piccolo oratorio, il pittore Llimona era stato incaricato qualche anno prima di rappresentare san Filippo Neri mentre celebra l’eucaristia e benedice i bambini. Il volto del santo non è altri che quello del vecchio Gaudí, con la barba bianca, e un azzurro acceso negli occhi.
  • 4.  
  • 5. A quel tempo, Gaudí era certamente l’architetto più in voga nella Barcellona ambiziosa e avanguardista di inizio secolo. Ma Gaudí, a partire dal 1910, rinunciò ad ogni altro incarico per dedicarsi esclusivamente all’edificazione della Sagrada Familia. Una chiesa che non avrebbe potuto finire, che avrebbe dovuto lasciare in mani altrui, per un Cliente importante e paziente: « Mi cliente no tiene prisa », non ha fretta, ripeteva spesso. Un’impresa che dura ancora, dal lontano 1883, anno in cui il giovane Gaudí rilevò il progetto dell’architetto Villar e assunse la direzione dei lavori.
  • 6.  
  • 7. Nel 1915, quando i fondi per la costruzione della chiesa scarseggiavano, Gaudí arrivò a chiedere l’elemosina tra i ricchi borghesi di Barcellona per continuare l’opera. Stendendo la mano tra le strade e le case della città che lo aveva reso famoso, chiedeva «un centesimo, per amore di Dio». Fiorirono così gli aneddoti e le leggende su un uomo che aveva rinunciato al denaro e alla fama, per un’impresa che molti giudicavano improba. Ma per lui non era così: «Nella Sagrada Famiglia» disse «tutto è frutto della Provvidenza, inclusa la mia partecipazione come architetto». E, per tagliar corto, aggiungeva: «Questo tempio verrà finito da san Giuseppe».
  • 8.  
  • 9. Facciata della Natività Gaudí volle cominciare con la facciata dedicata all’Incarnazione, perché i misteri dell’infanzia di Gesù sono quelli che parlano più direttamente al cuore del popolo.
  • 10.  
  • 11. L’immagine rappresenta la Natività, che Gaudì definisce “Carità”. La massima carità di Dio verso gli uomini è quella donare il proprio Figlio al mondo. I personaggi raffigurati sono Giuseppe, Maria e Gesù. Maria e Giuseppe accolgono con amore il nascituro; i loro volti esprimono gioia e stupore per la nascita di questo bambino.
  • 12.
  • 13.
  • 14.
  • 15. La Natività in altre tradizioni artistiche Giotto (1267-1337), La nascita di Gesù e l’annuncio ai pastori, dalle Storie di Cristo (1303-1304), Padova, Cappella degli Scrovegni .  
  • 16.
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  • 24.
  • 25.
  • 26.
  • 27.  
  • 28. L’originalità di Gaudí Gaudí ha sviluppato un’architettura originalissima, basata sull’imitazione delle forme naturali. «Il mio maestro è l’albero del giardino di fronte alla mia finestra» diceva. L’idea potente e semplice: ciò che è in natura è funzionale, e ciò che è funzionale è bello. L’originalità di Gaudí è tutta qui: «L’originalità» disse «consiste nel ritornare alle origini; originale è, dunque, ciò che con mezzi nuovi fa ritorno alla semplicità delle prime soluzioni». E che riflette la bellezza della verità. Non una stravaganza ricercata per ottenere “l’effetto”. «La bellezza è lo splendore della verità» ripeteva: «Siccome l’arte è bellezza, senza verità non c’è arte. Per conoscere la verità, si devono conoscere bene gli esseri del mondo creato».
  • 29.  
  • 30. Le tre porte della facciata della natività rappresentano le tre virtù: la speranza a sinistra, con la strage degli Innocenti e la fuga in Egitto; a destra la fede, ma la carità è al centro, perché è la più grande virtù.
  • 34.  
  • 35. Etsuro Sotoo Sopra l’immagine della Sacra Famiglia, gli angeli cantano, come racconta il Vangelo. Alcuni di questi sono opera di uno scultore giapponese, Etsuro Sotoo, che lavora al cantiere della chiesa da più di vent’anni. «In Giappone Gaudí» spiega «fu portato da un professore di storia dell’architettura, Kenji Imai, che era stato qui a Barcellona nel 1926, pochi mesi dopo la morte del maestro. E per anni ha “raccontato” Gaudí ai suoi studenti senza una foto, senza un testo, solo ricordando quello che aveva visto.
  • 36. « Venni a Barcellona nel 1978. Non pensavo di fermarmi. Sarei dovuto andare in Germania per lavorare al restauro di alcune chiese. Ma poi rimasi affascinato dalla bellezza della Sagrada Familia e feci domanda per lavorare qui come scultore. I primi anni, mentre lavoravo, cercavo di entrare nello “spirito” dell’opera di Gaudí, e mi chiedevo come lui avrebbe realizzato quello che dovevo fare io. Ma le difficoltà non mancavano, c’era una distanza, non solo culturale. Cercavo di immedesimarmi in lui e “interrogavo” le pietre, “interrogavo” lo stesso Gaudí »
  • 37. «Per capire Gaudí, come del resto qualunque altro artista, bisognava sapere che cosa voleva fare con queste sculture, con quest’edificio tanto meraviglioso, che non è solamente un’opera d’arte. Bisognava scoprire quello che c’era dietro questa pietra». Sotoo, nel novembre del 1989, ha chiesto il battesimo. «Ho compreso che per capire fino in fondo il senso del mio lavoro e di quest’opera d’arte, non dovevo guardare Gaudí. Dovevo guardare dove guardava Gaudí». Dopo la conversione il suo modo di lavorare non è cambiato, ma è «molto più facile e sicuro». E così, si lavora «con gusto e libertà»: «L’architettura di Gaudí indica, non obbliga, è una cosa umana. E così è anche il cammino di Gesù. Gesù non ci obbliga a fare, però ci guida. E allora possiamo essere molto più felici e molto più sicuri».
  • 39.  
  • 40.
  • 41.
  • 42. I Magi in altre tradizioni artistiche Adorazione dei Magi Arte etiope-eritrea Artista: anonimo   Dipinto moderno su moduli antichi.  
  • 43.
  • 44. Nicola Pisano , Adorazione dei Magi, Pulpito del Battistero, Pisa, 1260.  
  • 45.
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  • 48.  
  • 49.  
  • 50. Delle altre due facciate, quella della Passione e quella della Gloria, rimangono solo schizzi e disegni. La facciata della Passione è stata realizzata a partire dal 1956. Gaudí la disegnò a Puigcerdá, nel 1911, dopo aver visto la morte da vicino. Era in preda alle febbri maltesi. Durante la malattia, un religioso camilliano che lo accudiva gli aveva letto il Cantico Espiritual di san Giovanni della Croce. A questa meditazione si ispirò per il suo progetto. Disegnò anche le sculture, ma quando la facciata fu realizzata, lo scultore Subirachs decise di prendersi delle libertà. Eccessive, secondo l’architetto Almuzara: «Ad esempio, l’ultima cena, l’istituzione dell’eucaristia, è stata rappresentata in un angolo, mentre Gaudí la voleva al centro. Sotto la croce. Come nella facciata della Natività, è la carità che sta al centro, rappresentata dal portale centrale. E la carità, nella Passione, è l’eucaristia e la croce. Un uomo che andava a messa tutti i giorni non avrebbe mai approvato la scelta di relegare in un angolo l’eucaristia».
  • 52. Il bacio di Giuda
  • 53.  
  • 54.
  • 55. Il bacio di Giuda nei Vangeli Mt 26,47-56 • Mc 14,43-52 • Lc 22,47-53 • Gv 18,2-11 47 N Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». 49 E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui 81 !». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio. 52 Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 54 Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.
  • 56.
  • 57.
  • 58.  
  • 60. Pilato si lava le mani
  • 61.
  • 63.  
  • 64.  
  • 65. In questa scena viene mostrata la crocifissione di Gesù Cristo; come si nota dall’immagine il suo viso non è scolpito. Oltre a Lui, ai piedi della croce viene raffigurato un teschio che definisce il luogo, il Golgota (luogo del cranio); inoltre vengono rappresentate due donne, tra cui Maria, e il suo discepolo più devoto, Giovanni. Questa scena ci comunica sofferenza, ci fa immaginare il dolore che Gesù provò al momento della crocifissione e il dolore dei presenti e delle persone a lui care per la perdita di un uomo unico e importante.
  • 66.
  • 67. CROCIFISSIONE E MORTE DI GESU’ NEL CORANO Sura 19,33-34 33 Pace su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morrò e il Giorno in cui sarò resuscitato a nuova vita» . 34 Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità della quale essi dubitano. Sura 3,55 55 E quando Allah disse: "O Gesù, ti porrò un termine e ti eleverò a Me e ti purificherò dai miscredenti. Porrò quelli che ti seguono al di sopra degli infedeli, fino al Giorno della Resurrezione" . Ritornerete tutti verso di Me e Io giudicherò le vostre discordie. Sura 4,155-158 155 In seguito [li abbiamo maledetti perché] ruppero il patto, negarono i segni di Allah, uccisero ingiustamente i Profeti e dissero:" I nostri cuori sono incirconcisi ". E' Allah invece che ha sigillato i loro cuori per la loro miscredenza e, a parte pochi, essi non credono, 156 [ li abbiamo maledetti] per via della loro miscredenza e perché dissero contro Maria calunnia immensa , 157 e dissero: "Abbiamo ucciso il Messia Gesù figlio di Maria, il Messaggero di Allah!" Invece non l'hanno né ucciso né crocifisso, ma così parve loro . Coloro che sono in discordia a questo proposito, restano nel dubbio: non hanno altra scienza e non seguono altro che la congettura. Per certo non lo hanno ucciso 158 ma Allah lo ha elevato fino a Sé. Allah è eccelso, saggio.
  • 68. Il crocifisso in altre tradizioni artistiche Il Cristo giallo di Paul Gauguin (1048-1903), pittore di origine francese. Crocifissione, 1930, Musée Picasso di Parigi, dipinto ad olio su legno di cm 50 x 65,5
  • 69. E’ tutto giallo. Sembra che il giallo del maturare dei campi abbia effuso il proprio colore sul corpo del Crocifisso. Sarebbe sufficiente questa indicazione cromatica per dare almeno un’attesa a questa morte in croce. Questo è un Cristo più che cosmico naturale: la natura intorno a lui non si oscura come dicono gli evangelisti (cfr. Mt 27,45: “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.”). Nemmeno le stagioni coincidono con i racconti evangelici (primavera secondi i vangeli, mentre qui sembra estate quando la terra dona i suoi frutti: Gesù crocifisso sembra il chicco di grano che sta morendo per dare altra vita: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.” Gv 12,24) Qui sembra il giallo dell’aurora o al massimo di un tramonto. La creazione riserva la vita che apparentemente questo crocifisso sembra aver espirato. Risorgerà con la forza del Creatore che ha dato vita alla creazione. E’ come se per il momento la creazione-natura custodisse come un tabernacolo l’energia divina che farà risorgere questo morto in croce. La connotazione del corpo ovviamente non ha niente di realistico né di verista: il corpo non è livido di morte, non è grigio di cadavere, affumicato dalla mancanza del respiro vitale. E’ un corpo luminoso. Lo stesso sguardo del crocifisso è inclinato non appeso, il suo corpo è diritto sulla croce senza pendere come un corpo morto pende dal sostegno delle mani o dei polsi inchiodati. E le presenze di donne intorno è quasi di attesa, mesto e non triste, con quelle mani poste in riposo, come solo le donne sanno fare, stanche di tanta storia fino ad allora vissuta. Ora nel loro cuore è sera, ma presto quel Crocifisso donerà a loro il privilegio di essere le prime (come le mirofore del vangelo) a vedere il Maestro e ad annunciare la sua risurrezione (Mt 28,9 e passi paralleli di altri evangelisti).
  • 70. UN DOCUMENTO PER APPROFONDIRE: LA CROCE AUTORI: L. Choenen, E. Beyreuther, H. Bietenhard, biblisti. Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento, Edizioni Dehoniane, Bologna 1976, pp. 408-412.
  • 71. La parola croce deriva dal termine stauros Stauròs è un palo piantato diritto (palo a punta). La prassi del diritto penale ha conferito, tanto al sostantivo che al verbo, significati particolari, e tuttavia anche piuttosto differenti. Si deve perciò andar cauti nell’associare a questi vocaboli quei particolari che la tradizione cristiana collega alla morte di Gesù. Il verbo significa sempre appendere (in pubblico). A seconda del tipo di applicazione penale cui si fa riferimento, può significare impalare; appendere, per disonorare una persona uccisa o per l'esecuzione capitale; assicurare allo strumento di tortura; crocifiggere. Era una pratica usata in Oriente ma non in occidente. Come anche indicano i casi più frequenti in cui è usato il verbo, staurós può quindi significare il palo (a volte appuntito in alto) al quale viene abbandonato un ucciso, quasi a significare una pena aggiuntiva, in segno di vergogna, sia appendendolo che infilzandolo; in altri casi si tratta del palo usato come strumento di esecuzione capitale (per strangolamento o altro). Inoltre staurós è il legno del supplizio, grosso modo nel senso latino di patibulum, una trave assicurata sulle spalle; è infine, come strumento di supplizio, la croce, formata da un palo perpendicolare e da una trave orizzontale, in forma di T (crux commissa) o di † (crux immissa).
  • 72. I vocaboli staurós e (ana)stauróô, quindi, non sono di per sé sufficienti per stabilire esattamente come avvenisse tecnicamente l'esecuzione della pena e quale significato avesse. Per meglio determinare il significato dei vocaboli occorre perciò chiarire ogni volta in quale ambiente e da quale autorità la pena viene eseguita, e qual è il punto di vista dell'autore che descrive l'esecuzione di una pena con questi vocaboli. Al tempo di Gesù in Palestina, la condanna alla crocifissione e l'esecuzione di questo tipo di pena erano praticate soltanto dalla potenza occupante romana [...] La pena della crocifissione era quindi intesa più come deterrente che come espiazione, come strumento di ordine al fine di mantenere il dominio vigente. È quindi del tutto logico che lo strumento del supplizio venisse eretto in un luogo ben esposto [...] Una cosa comunque è sicura, che i romani hanno fatto ampio uso di questo tipo di esecuzione. È estremamente probabile che lo strumento di supplizio adottato, lo staurós,comportasse un pezzo di legno incrociato e quindi avesse la forma delle due travi in croce. Le fonti profane non permettono di dire quale fosse esattamente la forma, se di crux immissa (†) oppure di crux commissa (T). Nel caso specifico della croce di Cristo, non vi è alcuna incertezza — secondo quanto si legge nei Vangeli — sul fatto che tale croce fosse provvista di un titulus. Doveva trattarsi perciò di una croce dalla forma tradizionale, crux immissa (†). Quanto all'altezza, la croce non doveva superare di molto la statura di un uomo.
  • 73. Il titulus Era il cartello riportante la causae penae, l'iscrizione che attestava il crimine: • Mt 27,37: “Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: «Questi è Gesù, il re dei Giudei».” • Lc 23,38: “C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.” • Gv 19,19-20: “Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». […] “era scritta in ebraico, in latino e in greco.” • Mc 15, 26: “E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei.” La crocifissione Lo svolgimento della crocifissione secondo il procedimento romano doveva essere pressapoco il seguente: dapprima avveniva la condanna legale; solo in circostanze straordinarie poteva aver luogo un procedimento sommario sul luogo stesso dell'esecuzione; se l'esecuzione doveva avvenire in un luogo diverso da quello della condanna, il condannato stesso portava la trave trasversale (patibulum) nel luogo fissato, per lo più fuori le mura cittadine. E' qui che ha la sua origine il detto «portare lo staurós», tipica espressione per indicare la punizione di uno schiavo. Sul luogo dell'esecuzione il condannato veniva spogliato e flagellato (non è certo se soltanto qui); la flagellazione è un elemento costante nella crocifissione, tra la condanna e l'esecuzione vera e propria. Il condannato veniva legato a braccia tese sulla trave, che forse poggia sulle sue spalle. Solo in casi sporadici si parla di inchiodatura; non si sa con certezza se anche i piedi venissero inchiodati, oltre che le mani. La morte del condannato, appeso al palo verticale con la trave trasversale sopra, subentrava lentamente e tra sofferenze indicibili, probabilmente per sfinimento o per soffocamento. Il cadavere poteva essere abbandonato sulla croce alla decomposizione oppure a essere divorato dagli uccelli rapaci o divoratori di carogne. Sono attestati anche casi in cui il cadavere veniva poi consegnato ai parenti o conoscenti.
  • 74. Dopo essersi divise le Sue vesti le tirarono a sorte. Luca 23, 34-35
  • 76.  
  • 77.  
  • 78.  
  • 79. La facciata principale, quella della gloria, ancora manca alla Sagrada Familia. I tempi sono lunghi come quelli del cantiere di una cattedrale medioevale. Ma Gaudí non se ne sarebbe preoccupato. Sapeva di non poter legare il suo nome all’opera finita: «Non vorrei terminare io i lavori, perché non sarebbe conveniente. Bisogna sempre conservare lo spirito del monumento, ma la sua vita deve dipendere dalle generazioni che se la tramandano e con le quali la Chiesa vive e si incarna». Quanto al resto, «nessuno può gloriarsi» disse una volta «perché tutto è dono di Dio; molto spesso Egli si serve di un infelice qualunque. Un giorno stavo dirigendo i lavori della Sagrada Familia, quando un ragazzo piuttosto sciocco, che passava di lì, mi disse: “Guardi, vede quell’impalcatura, si è rotta una fune e cadranno tutti!”. Apprezzai molto l’avvertimento di quel giovane. Crediamo che spettino a noi la gloria di ciò che è buono e i meriti che ognuno di noi, con il suo talento, si è guadagnato realizzando qualcosa di importante; in realtà la si deve a un’anima sconosciuta che prega per la riuscita di una persona più nota».
  • 80. Le foto sono state effettuate dagli alunni della classe, altre foto sono state tratte da: http://it.wikipedia.org/wiki/Sagrada_Familia
  • 81.  
  • 82.  
  • 83.  
  • 84.  
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