International Journal of Engineering Research and Development is an international premier peer reviewed open access engineering and technology journal promoting the discovery, innovation, advancement and dissemination of basic and transitional knowledge in engineering, technology and related disciplines.
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Material de aula da disciplina Fundamentos de Ciência do Solos, do curso de Técnico em Agrimensura do IF Baiano - campus Catu.
Material obtido e disponível na internet.
Material de aula da disciplina Fundamentos de Ciência do Solos, do curso de Técnico em Agrimensura do IF Baiano - campus Catu.
Material obtido e disponível na internet.
Materiali di approfondimento del libro "Casa Lampedusa" di Antonio Ferrara (+ progetto etwinning "Stay Human")
https://arringo.wordpress.com/2019/02/22/casa-lampedusa-di-antonio-ferrara_laboratorio-di-lettura-e-progetto-stay-human/
Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo AraboIlaria Danesi
tesi sul pensiero politico islamico con particolare riferimento alla filosofia politica dei fratelli musulmani egiziani. Ricostruzione della storia del movimento e delle sue radici culturali nel modernismo arabo; analisi delle peculiarità regionali dei movimenti affini nel mondo arabo; appendice sulle "primavere arabe" e sulla controrivoluzione egiziana.
RETE PER L’INDIPENDENZA - La campagna globale del movimento nazionale marocch...Matteo Moreno
Questo progetto vuole evidenziare come la campagna pubblicitaria a livello mondiale condotta dagli azionisti del partito Istiqlal (indipendenza), abbia contribuito all’abolizione dei protettorati francesi e spagnoli nel 1956. Organizzati in veri e propri uffici di propaganda a New York, Cairo e Parigi, i nazionalisti hanno con successo creato una rete internazionale di sostenitori che li ha aiutati a presentare il loro caso all’opinione pubblica mondiale durante la guerra fredda e ha convinto l’ONU a trattare con lo stato del Marocco. La struttura non gerarchica e flessibile della rete di propaganda dei Nazionalisti e le loro attività all’estero, hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale al fine di prevalere i colonizzatori; ma ha anche abilitato il re Mohamed V a cooptare i suoi nodi centrali dopo l’indipendenza e a trasformare l’Istiqlal in un partito di opposizione, gettando così le basi per la democrazia filo-occidentale che persiste fino ad oggi.
La Comimissione Chilcot sulla guerra in Iraq, gli errori dell'intelligence occidentale, una ampia riflessione sull'importanza della trasparenza e libertà nell'informazione, per prevenire nuovi gravi errori negli scenari internazionali.
Estratto dal mio laboratorio "Uso del cinema nella formazione" - Convegno nazionale ANCoRe - Ass. Nazionale dei Counselor Relazionali, Roma - 23 e 24 marzo 2019.
Ne parlo nel mio volume "Ciak... Motore... Form_Aaaaazione. Vademecum filmico per il formatore non convenzionale", Palinsesto, Roma, 2015, pp. 26-29.
Estratto dal mio laboratorio "Uso del cinema nella formazione" - Convegno nazionale ANCoRe - Ass. Nazionale dei Counselor Relazionali, Roma - 23 e 24 marzo 2019.
Trovate qui alcune informazioni sul suo modello: http://www.queensu.ca/teachingandlearning/modules/active/documents/Dales_Cone_of_Experience_summary.pdf
Convegno AIF Lazio_Il rilancio delle professioni_2 febb 2015Stefano Cera
Locandina del convegno "Il rilancio delle professioni: valorizzare i talenti, creare opportunità", organizzato dalla Comunità di Pratica dei Formatori di Professionisti di AIF (Ass. Italiana Formatori), Delegazione Regionale del Lazio. Il convegno si svolgerà a Roma il prossimo 2 febbraio, dalle 14,30, c/o il Dip. di Scienze della Formazione - Univ. Roma Tre.
Locandina del Corso universitario in Comunicazione e Mediazione Interculturale, edizione 2015/2016. Organizzato da Università Pontificia Salesiana - Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale ed ASUS (Accademia di Scienze Umane e Sociali).
Progetto Master Mediazione interculturale e interreligiosa_2015_2016Stefano Cera
Progetto Master Mediazione interculturale e interreligiosa - V ed. 2015/2016. Organizzato da Unicversità Pontificia Salesiana ed ASUS - Accademia di Scienze Umane e Sociali.
Locandina Master Mediazione interculturale e interreligiosa_2015_2016Stefano Cera
Locandina Master Mediazione interculturale e interreligiosa - V ed. 2015/2016. Organizzato da Unicversità Pontificia Salesiana ed ASUS - Accademia di Scienze Umane e Sociali.
Corso Aggiornamento Mediatori_SPF Mediazione_Roma_20141121Stefano Cera
Locandina del corso di aggiornamento per mediatori - Roma - 21-22 novembre 2014 - organizzato da SPF Mediazione. Docenti: Giuseppina De Aloe e Stefano Cera
Locandina Formazione Futuro_Action TrainingStefano Cera
Parte la nuova edizione del Master Formazione Futuro.
Per tutti coloro che sono interessati ad acquisire know-how per entrare nel mondo delle risorse umane e in particolar modo della formazione aziendale. www.actiontraining.it
Locandina master comunicazione e mediazione_SPF MediazioneStefano Cera
Locandina del master breve in Comunicazione e Mediazione organizzato da SPF Mediazione. Durata: 100 ore + 30 di stage. Lezioni in aula dal 23 maggio al 12 luglio 2014. Stage dal 15 settembre al 31 ottobre 2014.
Locandina del seminario "Best moves - Le nove mosse di successo in azienda", organizzato da AIF (Ass. Italiana Formatori) - Delegazione regionale Lazio. Roma, 9 aprile 2014. Relatori: Alessandro Almonti - Roberto Mogranzini.
Locandina del seminario AIF Lazio "I giochi di ruolo come strumento di sviluppo delle competenze" - Roma, 18 marzo 2014. Relatore: Pierpaolo Valerio. Coordinatore: Danilo Carboni.
Cera_Seminario comunicazione locandina Ragusa 25 febbraio 2014Stefano Cera
Locandina del seminario "Comunicazione efficace e gestione
dei conflitti in mediazione e nelle relazioni sociali” (Ragusa - 25 febbraio 2014), organizzata dall'associazione ProMediazione, in collaborazione con l'Ordine dei medici di Ragusa e l'Organismo di mediazione "Cittadini e Salute". Relatore: Stefano Cera.
Formatore: Stefano Cera. Slides della giornata su Comunicazione efficace (23 novembre 2013) - Progetto Formazione Futuro, organizzato da ATN Trainers Academy (www.actiontraining.it).
Corso universitario comunicazione e mediazione interculturale 2014_2015Stefano Cera
Brochure del Corso universitario in Comunicazione e Mediazione interculturale - edizione 2014/2015 (II edizione) organizzato da ASUS -Accademia di Scienze Umane e Sociali e Università Pontificia Salesiana - Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale
Progetto master Mediazione interculturale e interreligiosa_4 edizioneStefano Cera
Progetto del Master di primo livello in Mediazione interculturale e interreligiosa - Edizione 2014/15. Il Master è organizzato dall'Università Pontificia Salesiana e dall'ASUS (Accademia di Scienze Umane e Sociali).
Progetto master Mediazione interculturale e interreligiosa_4 edizione
Panorama 2011 - Egitto e bacino del nilo
1. lizzare il linguaggio politico dell’Islam, arricchendo la sua ideologia di termini cari alla tradizione islamica. Di fatto, però, il suo era un
discorso laico e socialista. L’aver “socializzato” l’Islam ha relegato gli ulema a un ruolo privo di significato, sostenendo che ogni mu-
sulmano avesse il diritto di interpretare l’Islam. Con questi altri stratagemmi, il colonnello si è erto a guida dei musulmani, scatenando
reazioni in parte della popolazione . La segretezza che caratterizza il regime libico, tuttavia, rende difficile definire in modo chiaro il
fenomeno islamista in Libia. Nel 1995 è stato fondato il movimento al-Jama’a al-Islamiyyah al-Muqatilah bi-Libya, meglio noto come
Gruppo Combattente Libico, che sembra essere il movimento radicale più forte che veicola il jihadismo in Libia. La dura repressione
del regime, però, ne ha avuto presto ragione. La strategia è consistita, prima, nella violenta repressione, che ha portato all’uccisione
e alla cattura di gran parte dei militanti radicali, successivamente, grazie all’azione del figlio del leader libico, Sayf al-Islam in un’ope-
razione di perdono dei militanti incarcerati. Quest’azione ha fatto sì che questi ultimi abbandonassero ogni ideale di lotta armata, e
si reintegrassero all’interno della società libica. Pertanto si può tranquillamente affermare che in questo momento non esiste in Libia
una questione terrorismo islamico, bensì una profonda “riconservatizzazione” della società e un forte ritorno alle radici islamiche
del paese. Quanto questo possa portare alla creazione di veri e propri movimenti islamisti non è dato ipotizzare. Molto dipenderà
dall’atteggiamento del regime e dall’adozione o meno di adeguate riforme in senso pluralista, orami dai più ritenute come necessarie.
Conclusione
Se gli attentati degli anni Novanta e Duemila possono indurre a pensare che i movimenti islamisti siano cresciuti sia in aggressività
che in sostegno dell’opinione pubblica, la realtà dimostra che non è così. I movimenti cosiddetti terroristi non hanno mai riscosso
successo nell’opinione pubblica musulmana nordafricana. Riteniamo che il vero pericolo per il progresso in senso democratico e
pluralista dei paesi nordafricani derivi più dall’irrigidimento e dalla corruzione dei regimi al potere che dall’emergere di movimenti
islamisti di opposizione. Anche in Nord Africa, come in genere nel resto del Medio Oriente, è indispensabile sostenere e spingere
l’evoluzione dei regimi al potere in modo da permettere la partecipazione al governo dei movimenti islamisti moderati. Solo così
si potrà definitivamente osservare il tramonto dell’opzione radicale.
Note
1
M. Ottaway, A. Hamzawy, Getting To Pluralism – Political Actors in the Arab World, Carnegie Endowment, 2009.
2
N. J. Brown, E.E. Shahin, The Struggle over Democracy in the Middle East – Regional politics and external policies, Routlledge, London, 2010.
3
M. Campanini, K. Mezran, Arcipelago Islam – Tradizione, riforma e militanza in età contemporanea, Editori Laterza, Bari, 2007
4
ibidem
5
M. Campanini, K.Mezran, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Utet, 2010.
6
La corrente salafita è diretta emanazione della Salafiyya, movimento islamico nato nel XIX secolo in Egitto, che per corrggere le contraddi-
zioni e i malesseri della società musulmana, invoca il ricorso all’Islam delle prime generazioni, salaf in arabo.
7
J. Calvert, Sayyid Qutb and the Origins f Radical Islamism, Columbia University Press, 2010.
8
G. Kepel, Il Profeta e il Faraone, Laterza, Roma-Bari, 2006.
9
M. Branciard, Le Magreb au coeur des crises. Chronique sociale, Lyon, 1994.
10
Lo shaykh, volgarmente reso in italiano con il termine “sceicco”, in arabo anziano, indica una persona che gode di grande rispetto.Può es-
sere paragonato al decano della nostra tradizione.
11
K. Mezran, Negotiation and Construction of National Identities, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden-Boston, 2007.
12
S. Haddad, Le jihadisme au Magreb: vers la fin des exceptions algérienne et marocaine?, in J. L. Marret, Les fabriques du jihad, Presses Uni-
versitarires de France, Paris 2005.
13
A. Baldinetti, The Origins of the Libyan Nation – Colonial legacy, exile and the emergence of a new nation-state, Routledge, London, 2010.
Egitto e bacino del Nilo
Stefano Cera
A un anno circa dalle prossime elezioni presidenziali l’atmosfera che si vive nel paese è che il quasi trentennale governo di Hosni
Mubarak potrebbe presto volgere al termine. Per Adam Shatz la situazione è molto simile all’Iran pre-rivoluzionario, «quando il
governo dello scià stava per essere rovesciato dalla rivoluzione khomeinista». Infatti, come allora «la legittimità dello stato egiziano
è messa totalmente in discussione, mentre si fa strada, s’intensifica un combinato di fervore islamico e di malcontento popolare»1.
Le manifestazioni svoltesi in occasione del processo contro due agenti dei servizi di sicurezza, accusati di aver picchiato a morte
Khaled Mohamed Said, rappresentano «una svolta nella sensibilità del paese, nella mobilitazione, nella coscienza degli egiziani»2.
All’inizio dell’estate, per diversi giorni, centinaia di persone sono sfilate per le vie del Cairo rimanendo in silenzio in segno di
protesta e mostrando le foto del giovane assassinato. Per la prima volta alle manifestazioni hanno partecipato tanti giovani, che
utilizzano internet e gli strumenti di social networking. Protestano perché stanchi di un regime che da troppo tempo si regge sul
binomio esercito-servizi di sicurezza, dell’impunità che garantisce i funzionari di polizia coinvolti in episodi del genere e della
«cultura di brutalità e abuso» che pervade il paese. Le manifestazioni dell’estate s’inseriscono nel quadro di una situazione politica
delicata, in cui “spicca” il dibattito intorno al futuro della presidenza. Nel corso del 2010 i giornali hanno spesso fatto riferimento
alle pessime condizioni di salute dell’ottantaduenne presidente, che a marzo si è sottoposto a un’operazione chirurgica in Germania.
Alcuni hanno parlato di una “grave patologia” (cancro allo stomaco e al pancreas). Il New York Times il 12 luglio, citando fonti ac-
32 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 6/2010
2. creditate della CIA, ha scritto che al presidente sarebbe rimasto al massimo un anno di vita3. Il suo staff nega con forza l’esistenza
di una malattia; anzi, secondo il portavoce Suleiman Awad, le sue recenti apparizioni pubbliche costituirebbero la migliore risposta
alle false voci sulla sua salute. Mubarak, per la verità, non ha ancora chiarito se il prossimo anno si candiderà nuovamente. Tuttavia
Ali Heddin Hilal, responsabile dei rapporti con i media del National Democratic party (NDP - il partito di governo), ha affermato
che il presidente parteciperà alle prossime elezioni, pur facendo presente che il NDP sceglierà il proprio candidato solo qualche
mese prima delle elezioni (termine probabilmente necessario per verificare le condizioni di salute del presidente).
Chi potrebbe essere il suo successore?
Nonostante ciò, la comunità internazionale e l’opinione pubblica egiziana s’interrogano da tempo sulla eventuale successione e,
soprattutto, sul sistema politico che verrà. Max Rodenbeck4 “azzarda” tre diversi scenari: una soluzione “alla russa”, con l’emergere
di un uomo “forte” interno al sistema; oppure, in linea con l’ipotesi di Shatz, una soluzione simile alla rivoluzione iraniana (con il
vecchio sistema “spazzato via” dalla reazione popolare); o ancora, quella più auspicata, una soluzione “alla turca” che “approdi”
a un sistema politico più stabile. Sul nome di chi sarà chiamato a sostituire il rais, l’ipotesi più probabile resta quella del figlio se-
condogenito Gamal, soluzione “familiare” simile a quella che una decina di anni fa portò Bashar Assad al vertice in Siria. Per alcuni
nonostante le smentite “ufficiali”, Mubarak sta lavorando da anni alla successione del figlio quarantasettenne, come dimostra la
sua nomina alla carica di vice-segretario generale e poi di segretario generale del Policy Planning Committee del partito. Inoltre,
Gamal è comparso più volte al fianco del padre nel corso di cerimonie ufficiali, anche in visite ufficiali negli Stati Uniti5, grandi fi-
nanziatori del sistema difensivo del Cairo e del suo apparato anti-terroristico. Gamal è stato “addestrato” in Gran Bretagna e negli
Stati Uniti (ha lavorato per anni in una banca di investimenti e poi nella Bank of America) e in economia è un convinto liberista e
vicino agli uomini d’affari filo-occidentali che, dal 2004, attraverso il primo ministro Ahmed Nazif, hanno assunto un ruolo di primo
piano all’interno del NDP. Per questo motivo, rappresenterebbe «la migliore chance per la transizione del Paese in crescita»6.
Gamal gode dell’appoggio di alcune figure di riferimento nel partito, come Ahmed al-Ezz, segretario per gli affari organizzativi e
magnate dell’acciaio, Ali Hilal al-Dessouki, segretario per l’Informazione, Mohamed Mansour, ministro dei trasporti, Ahmed el-
Maghrabi, ministro delle politiche abitative, e Rashid Mohammad Rashid, ministro dell’industria (questi ultimi tutti facenti parte
del “clan” degli imprenditori di Alessandria facenti parte del Gabinetto), nonché altri importanti uomini d’affari, tra cui l’industriale
della ceramica Muhammad Abdul Einein. L’ascesa ai vertici dello stato di Gamal è ostacolata dalla c.d. “vecchia guardia” del partito,
in cui spicca il nome del capo dello staff presidenziale Zakaria Azmi; il gruppo annovera tra le sue file anche il segretario generale
Safwat al-Sharif e il Ministro per gli Affari parlamentari Mufid Shehab. La “vecchia guardia” non gradisce che il figlio del presidente
non provenga dall’ambiente militare e vede nella campagna di privatizzazione condotta dal primo ministro Nazif e nel successo
della cerchia degli uomini d’affari vicini a Gamal una limitazione del ruolo dello stato nel settore economico (in cui il gruppo ha
fortissimi interessi). Nel Congresso del 2009 la “vecchia guardia” ha ottenuto un importante successo, garantendosi così un ruolo
di primo piano nella scelta dei candidati per le elezioni della Shura Council (la Camera Alta del Parlamento) della metà di que-
st’anno. Per la successione il gruppo degli oppositori di Gamal preferisce soluzioni diverse, ad esempio Omar Suleiman, 74 anni,
il potente coordinatore dell’apparato militare e di sicurezza che governa il paese fin dai tempi di Sadat. Suleiman, vicino ad Azmi
ed el-Sharif, è un convinto sostenitore di Mubarak e già qualche anno fa, ai primi problemi di salute del rais, era stato salutato
come il suo probabile successore. Inoltre, ha forti legami con l’apparato di difesa israeliano7 ed è gradito ai paesi arabi per l’impegno
personale nel favorire il dialogo tra Hamas e Al Fatah. Infine, è considerato l’uomo giusto per mantenere stretti legami con Wa-
shington. Nel dibattito sulla successione altro elemento ritenuto importante sono i militari, che fino ad oggi si sono tenuti in una
posizione sostanzialmente “attendista”, ma che sono ugualmente ritenuti una forza decisiva per “bloccare” l’eventuale successione
di Gamal, sia in considerazione dei legami personali esistenti con alcuni membri della “vecchia guardia” sia perché alcuni, come
Ahmed Muhammad Shafiq, ex comandante dell’Aeronautica militare e attuale Ministro per l’Aviazione civile, e il Ministro della
Difesa Muhammed Hussein Tantawi, nutrono ambizioni “dirette” di successione alla presidenza.
I movimenti di opposizione
La situazione dei partiti di opposizione non è molto incoraggiante, poiché sono perlopiù “tollerati” dal regime e, ad eccezione dei
Fratelli Musulmani, non hanno un grande seguito. Secondo Amr el-Shobaki8, importante analista politico egiziano e presidente
dell’Arab Forum for Alternatives, l’opposizione non è riuscita, nel corso degli anni, a costruire un fronte capace di collegare le
elites alle masse e diventare un “polo” di attrazione nei confronti delle nuove forze politiche e i giovani attivisti. Tale incapacità di-
pende certamente dalle restrizioni imposte dal regime, ma anche dalla debolezza “intrinseca” dei movimenti di opposizione.
Infatti, «hanno accettato di restare per l’appunto partiti d’opposizione, non fastidiosi, educati, che parlano sui giornali e sui libri
che nessuno compra ma che restano quasi in silenzio (e al massimo si lamentano agonizzanti) davanti alle televisioni che tutti
guardano. I partiti non legali quasi non hanno la possibilità di parlare e, intanto, il movimento Kifaya (Basta!)9, nonostante l’acca-
nimento terapeutico operato da alcuni dei suoi esponenti e gli estenuanti tentativi di rianimazione, osserva attonito il fallimento
di tutti i suoi propositi che avevano animato le strade del Cairo alla vigilia delle scorse elezioni presidenziali (2005)»10.
Il movimento di El-Baradei
Il ritorno in Egitto di Mohamed El-Baradei, 67 anni, premio Nobel per la pace 2005 e direttore generale dell’Agenzia Internazionale
per l’Energia Atomica (AIEA) dal 1997 al 2009, ha generato nuove speranze in chi crede nel cambiamento e nella democrazia11. El-
Baradei è sembrato “incarnare” quella figura di riferimento che mancava alle forze di opposizione; un “taumaturgo” in grado di af-
SUPPLEMENTO 33
3. fermarsi anche oltre i circoli intellettuali. Egli, infatti, ha un profilo molto diverso rispetto agli altri leaders dell’opposizione, per la sua
lunga attività nell’AIEA, ma anche per la sua precedente esperienza al Ministero degli Esteri; inoltre è un moderato, pronto a intrat-
tenere buoni rapporti con gli USA e a continuare il dialogo con Israele. El-Baradei ha fondato un suo movimento, il National Front
for Change (NFC), un’associazione cui ha aderito un elettorato “trasversale” che va dalla borghesia agli accademici, dai conservatori
ai liberali, dai cristiani ai musulmani. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo iniziale, l’ex Direttore Generale AIEA non ha nessuno dei re-
quisiti necessari per partecipare alle elezioni presidenziali. Infatti, come stabilito dall’art. 76 della Costituzione, è necessario che un
candidato sia all’interno della direzione di un partito legale da almeno un anno e che il partito esista da almeno cinque anni. Il suo
movimento non è un partito e non avrebbe comunque i cinque anni richiesti dalla Costituzione. Resta la strada della candidatura
“indipendente”, ma per questa è necessario il sostegno di 250 membri eletti dei due rami del parlamento, o dei consigli municipali,
tutti organi controllati dal NDP. Per questo motivo, il NFC ha iniziato una campagna per la raccolta di firme con l’obiettivo di pro-
muovere modifiche alla costituzione (in particolare gli articoli 76, 77 e 78), per permettere a ogni cittadino di candidarsi alle elezioni
presidenziali e di porre fine allo stato d’emergenza, in vigore dal 1981 e confermato nei mesi scorsi per altri due anni. Nei primi
giorni di giugno, El-Baradei ha dichiarato di non avere intenzione di candidarsi alle presidenziali del 2011, chiedendo alle altre forze
politiche di boicottare il voto12. Il premio Nobel per la pace 2005 ha incontrato forti ostacoli da parte del governo13 e, dopo l’iniziale
entusiasmo, il clima intorno a lui è cambiato anche all’interno dell’opposizione14. Infatti, se alcune forze, come il liberale “Fronte De-
mocratico”, hanno dato pieno appoggio al suo movimento, altre, come il liberale al-Ghad di Ayman Nour15, l’islamista Wasat e il
nasserista Karama, pur appoggiando le iniziative dell’ex-Direttore Generale AIEA, contestano la sua eventuale candidatura alle
elezioni. Altri, come i movimenti “tradizionali” Wafd, Tagammu e Partito Nasserista, hanno invece rifiutato l’appello di El-Baradei.
Chi critica il premio Nobel 2005 gli rimprovera le frequenti visite all’estero, che gli impediscono di rimanere in Egitto il tempo ne-
cessario per organizzare il suo movimento, la scarsa attenzione alle vicende di politica interna e il tentativo di un dialogo diretto con
il popolo a cui si aggiungono atteggiamenti presuntuosi e “snob” nei confronti della classe politica tradizionale. Il suo appello al boi-
cottaggio alle elezioni parlamentari di fine anno non ha avuto grande seguito, ad eccezione del partito al-Ghad, del partito comunista
e di alcuni rappresentanti del movimento Kifaya, soprattutto perché i partiti di opposizione hanno il timore che un’eventuale adesione
al boicottaggio possa favorire gli altri partiti di opposizione perdendo legittimità di fronte all’opinione pubblica.
I Fratelli Musulmani
L’organizzazione islamica Al-ikhw n al-muslim n, è uno dei gruppi fondamentalisti sunniti con maggiore influenza nel mondo
arabo. In Egitto è considerato l’unico movimento in grado di realizzare un effettivo cambiamento e, nel corso degli anni, è stato
oggetto di forti “attenzioni” da parte del governo. Nel 2005 è stato impedito alla Fratellanza di presentarsi alle elezioni parlamentari,
grazie alla modifica dell’art. 5 della costituzione, che ha bandito qualsiasi attività politica basata su fondamenti di tipo religioso.
Nonostante ciò, i suoi rappresentanti si sono presentati come indipendenti, ottenendo 88 seggi dei 444 disponibili all’interno del-
l’Assemblea Popolare e diventando così il più rilevante movimento di opposizione. Nell’ultimo periodo l’organizzazione sta attra-
versando un forte cambiamento al suo interno, con due correnti in competizione tra loro: l’ala “modernista” e moderata di
Mohammed Habib, che vorrebbe integrare l’islamismo con l’apertura ai paesi occidentali e alla democrazia, e l’ala conservatrice,
che nel mese di luglio ha prevalso con l’elezione ai vertici dell’organizzazione di Mohammed Badie, 66 anni professore di veterinaria
all’università di Beni Suef. Badie nel suo discorso d’insediamento ha affermato di non voler assumere posizioni contrarie al governo
e di voler adottare un sostanziale disimpegno «dalla partecipazione attiva alla politica del Paese» per focalizzare l’attenzione sulle
«sole attività religiose e di assistenza sociale»16. Secondo el-Shobaki, la Fratellanza non è ancora pronta «a pagare il prezzo di tra-
sformarsi in attori politici, anche perché la loro forza si manifesta al meglio nell’imporre l’apparenza islamica, il velo, la morale:
governare è un’altra cosa»17. Nonostante ciò, con l’avvicinarsi delle elezioni parlamentari, Mubarak ha operato l’ennesimo giro di
vite, facendo arrestare alcuni esponenti dello staff di Badie (tra cui il suo vice Mahomoud Ezzat) e alcuni responsabili del movimento
a livello regionale, a ribadire la volontà del governo di piegare l’organizzazione, senza alcuna possibilità di trattativa.
Il rapporto tra Fratellanza ed El-Baradei è contraddistinto da uno scarso entusiasmo reciproco, sebbene si afferma da più parti che
un legame più stretto potrebbe portare benefici a entrambi. Infatti, la Fratellanza ha bisogno di El-Baradei «per spezzare la barriera
che il regime ha cercato di costruire tra loro e gli altri partiti d’opposizione», mentre quest’ultimo ha bisogno della Fratellanza «per
portare dalla propria parte le altre forze politiche d’opposizione»18. Le elezioni del mese di giugno 2010 per il rinnovo di un terzo
dei seggi della Shura (la Camera Alta del Parlamento) si sono rivelate un fallimento per l’organizzazione, visto che nessuno dei 13
candidati è stato eletto. In seguito alla debacle la Fratellanza ha iniziato una maggiore collaborazione con il movimento di El-
Baradei per la raccolta delle firme; riguardo l’appello al boicottaggio la posizione dei Fratelli Musulmani non è stata univoca e sta
creando non poche tensioni all’interno del movimento. Infatti, se è stata accolta con favore da Abdel Moneim Aboul Fotouh, leader
dell’ala riformista, è stata invece rifiutata da Badie, che all’inizio di ottobre ha annunciato la presentazione di almeno 150 candidati,
e Essam el-Erian, altro elemento di rilievo dell’ala conservatrice.
Le tensioni nell’area del bacino del Nilo
A parte l’impegno nel processo di pace in Medio oriente, con il governo egiziano pienamente coinvolto nel tentativo di dialogo tra
il governo israeliano e Mahmoud Abbas, uno dei capisaldi “regionali” della politica estera del Cairo è il mantenimento della situa-
zione nel bacino del Nilo, teatro di forti contrasti con alcuni paesi dell’area. La metà della popolazione (oltre 300 milioni di persone)
che vive nei dieci paesi della regione19 dipende direttamente dalle risorse dal fiume. Ad eccezione di Kenya ed Egitto, l’area include
paesi inseriti nella lista dei cinquanta paesi più poveri al mondo ed ha tassi di crescita che prevedono il doppio della popolazione
34 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 6/2010
4. nei prossimi 25 anni. Inoltre, la corsa allo sviluppo agricolo e industriale dei paesi a monte e l’impatto dei cambiamenti climatici
aumentano la delicatezza degli equilibri della regione e i potenziali rischi sull’utilizzo delle risorse idriche garantite dal Nilo.
La posizione dell’Egitto
L’Egitto è, nell’area, il paese che utilizza la quota più rilevante delle risorse idriche del Nilo, pur non contribuendo in alcun modo alla
sua portata. Da sempre Il Cairo ha interessi predominanti sul fiume, confermati da due accordi, quello del 1929, sottoscritto con il
colonizzatore britannico, e quello del 1959, siglato insieme al Sudan, che ha stabilito per l’Egitto una quota di acqua pari a 55,5
miliardi di metri cubi e per il Sudan di 18,5 miliardi di metri cubi, lasciando agli altri solo una minima percentuale di disponibilità. Il
trattato del 1959 ha riservato inoltre il diritto di veto su tutti i lavori a monte suscettibili di ridurre la portata del fiume, e ha previsto,
in futuro, di non concedere l’uso dell’acqua a nessun altro paese20. Il paese, tuttavia, non è riuscito a gestire i notevoli benefici ricon-
sociuti dagli accordi; infatti, «l’agricoltura egiziana rimane estremamente scarsa, le attrezzature antiquate e i sistemi di irrigazione
arcaici e dispendiosi»21. Inoltre, altri problemi fanno prevedere una progressiva diminuzione della disponibilità di acqua per abitante22,
tra cui il progressivo interramento del delta del fiume, la dispersione provocata dal lago Nasser, la salinizzazione delle terre e
l’aumento della popolazione. Per questo motivo, Il Cairo teme che gli altri paesi possano ostruire il corso del fiume, favorendo
blocchi e deviazioni che diminuirebbero il flusso de fiume. I pericoli riguardano soprattutto tre nodi “strategici”: innanzitutto, i paesi
a monte del fiume (Ruanda, Burundi, Kenya e Tanzania), che possono accedere con facilità ai grandi laghi equatoriali e sfruttarne
le risorse; poi il Sudan, che utilizza quote eccedenti rispetto a quelle previste dall’accordo del 1959; infine, l’Etiopia che ha ambiziosi
progetti di costruzione di dighe di proporzioni medio-piccole. Inoltre, a complicare ulteriormente la situazione, l’Egitto “lamenta” il
ruolo ambiguo di Israele che starebbe incoraggiando alcuni paesi a rivendicare maggiori spazi e sarebbe pronta a finanziare la co-
struzione di diverse centrali idro-elettriche. Israele smentisce di avere interessi nell’area, ma la visita del Ministro degli esteri Avigdor
Lieberman in Etiopia, Kenya e Uganda del settembre 2009 è stata comunque l’occasione utile per riallacciare le relazioni diplomatiche
con il continente africano (dopo oltre 20 anni) e stipulare accordi per la fornitura di armamenti e tecnologia bellica.
La posizione del Sudan
In virtù dell’accordo del 1959, il paese è il secondo utilizzatore delle acque del Nilo. Nei rapporti con gli altri paesi ha una posizione
ambivalente, appoggiando da un lato l’Egitto nella difesa degli interessi acquisiti e dall’altro rivendicando nei suoi confronti una
quota maggiore. I suoi programmi di crescita prevedono, infatti, la costruzione di un massiccio sistema di dighe, tra cui la più im-
portante è quella di Merowe, costruita con ingenti capitali cinesi (soprattutto) e dei paesi arabi. La diga, in grado di raddoppiare
la capacità idroelettrica del paese, ha causato danni all’ambiente e alle popolazioni vicine e, secondo le previsioni future, causerà
il prosciugamento del lago Nasser (il bacino artificiale formatosi con la costruzione della diga di Assuan) entro un massimo di due
anni dall’inizio del funzionamento a pieno regime, causando ulteriori tensioni nell’area.
La posizione del Sudan meridionale
La situazione della regione meridionale del Sudan è un altro fattore importante per gli equilibri dell’area e per le prospettive future
del bacino del Nilo. L’accordo di pace del 2005, raggiunto al termine della lunga guerra civile che ha contrapposto due “entità”
(Nord e Sud del paese), profondamente diverse per cultura, lingua e religione, ha previsto il diritto all’autodeterminazione per il
Sud Sudan e lo svolgimento di un referendum sull’indipendenza dopo un periodo di sei anni. La data fissata per il referendum è il
9 gennaio prossimo, che, alla luce dei ritardi nella preparazione, è diventata piuttosto problematica. Alcuni hanno richiesto di rinviare
il voto di alcuni mesi, ma in questo caso esisterebbe il grave rischio della possibile ripresa del conflitto che ha prodotto oltre due
milioni e mezzo di vittime. La situazione al momento è tutt’altro che stabile e la guerra sembra al momento l’ipotesi più probabile,
soprattutto perché si teme la reazione del presidente sudanese Bashir alla perdita di una parte importante del paese, circa un quarto
del territorio, ma che tuttavia contiene circa tre quarti delle riserve petrolifere dell’intero paese. Il problema non sarebbe tanto la se-
cessione,23 quanto la mancanza di accordo sulla spartizione delle risorse delle c.d. “zone di contatto”, le zone di confine ricche di
petrolio che sono al centro delle attenzioni di Khartoum e di Juba (capitale del Sud). Il ministro degli Esteri sudanese Ali Karti ha ri-
levato che il suo paese non vuole la guerra, pur affermando che esiste un interesse primario nei confronti della regione dell’Abyei,
che Khartoum chiede rimanga la Nord. In particolare è questa regione che costituisce «il motivo per cui il nuovissimo stato africano
potrebbe nascere tra le violenze», poiché «patria sia degli agricoltori del sud, sia dei nomadi del nord» e, soprattutto, “traboccante
di petrolio24. Per evitare il peggio il presidente del Sudan meridionale Salva Kiir ha chiesto all’ONU di schierare al confine i caschi
blu (presenti nel paese nell’ambito della missione UNMIS – United Nations Mission in Sudan), ipotesi che tuttavia è stata esclusa
da Alan Le Roy, vice-segretario generale dell’ONU responsabile delle missioni di peacekeeping, poiché non sarebbe possibile riuscire
a “coprire” l’intera frontiera di 1.250 miglia e, comunque, «non consentirebbe di “impedire” o anche “solo contenere” una ripresa
del conflitto armato»25. Tuttavia, l’idea potrebbe essere quella di aumentare la presenza di forze-ONU “in alcuni punti-caldi”26, no-
nostante il presidente Bashir sia contrario a ogni ipotesi di aumento delle truppe-ONU. Nonostante la guerra resti l’ipotesi purtroppo
più probabile, quanti credono in un esito diverso focalizzano l’attenzione sugli interessi in comune esistenti tra Khartoum e Juba, a
partire dalla mutua dipendenza determinata dallo sfruttamento delle risorse petrolifere; infatti se è vero che gran parte delle riserve
sono nella regione meridionale, è altrettanto vero le infrastrutture-chiave si trovano invece nella parte settentrionale. Inoltre, alcuni
analisti27 ritengono che i due milioni di cittadini del Sudan meridionale che vivono e lavorano nel Nord abbiano di fatto creato legami
molto forti tra le due economie e questi potrebbero avere un peso rilevante ai fini della definizione positiva della controversia. Senza
considerare gli incentivi che potrebbero provenire dai paesi coinvolti nella vicenda, tra cui lo stesso Egitto, la Cina e, soprattutto, gli
SUPPLEMENTO 35
5. Stati Uniti, con questi ultimi che sarebbero pronti a offrire «un mucchio di incentivi per convincere il presidente Omar Hassan al-
Bashir a “convivere con un sud indipendente» (Usher, cit.). Quel Bashir su cui continua a pendere la richiesta di arresto da parte
della Comunità Internazionale per i crimini commessi nel conflitto del Darfur, su cui Washington, attraverso il Consiglio di Sicurezza
ONU, potrebbe chiedere il rinvio (ma non l’annullamento del giudizio) in cambio della piena accettazione dell’indipendenza del
Sudan meridionale e la fine delle violenze in Darfur. In sintesi, i prossimi mesi saranno cruciali per l’attendibilità del referendum or-
ganizzato dall’ONU (cosa non semplice in una regione grande come la Francia e con pochissime infrastrutture) e per la conclusione
di accordi che possano evitare soluzioni “a somma zero” che provocherebbero la deflagrazione di quella “bomba a orologeria” di
cui ha parlato Hillary Clinton e che sta mettendo a repentaglio il futuro prossimo del Sudan.
La posizione dell’Etiopia e altri paesi
Tra i paesi della parte meridionale del Nilo, l’Etiopia è probabilmente il maggiormente interessato alla gestione delle sue risorse
e, pur contribuendo in maniera massiccia alla portata totale del fiume (86% circa), in realtà ne utilizza solo una parte minima (1%
circa). Lo squilibrio è ancora più indicativo se consideriamo gli alti tassi di crescita del paese, che lo porteranno a diventare, entro
pochi anni, il secondo più popolato del continente. Per questo, gli scenari futuri prevedono un maggiore utilizzo delle risorse del
Nilo, attraverso programmi di sviluppo interni e crescenti investimenti da parte di paesi stranieri.
Tra questi la Cina, grazie al recente accordo per la costruzione di centrali idro-elettriche ed eoliche, l’Italia, che nel 2009 ha firmato
un contratto di cooperazione che prevede forti investimenti, e i paesi del Golfo, interessati invece all’acquisto di aree coltivabili. I
paesi esclusi dall’accordo del 1959 non considerano vincolanti gli accordi sottoscritti nel periodo coloniale e rivendicano oggi la
sua revisione e un più equo utilizzo delle risorse del Nilo soprattutto ai fini della progettazione di canali di irrigazione e centrali
idro-elettriche; chiedono inoltre una serie di misure specifiche, tra le quali la riduzione del flusso della diga di Assuan, l’eliminazione
degli sprechi, il pagamento dell’acqua consumata per l’impiego in agricoltura, ecc.
Una soluzione cooperativa è possibile?
Negli ultimi anni si sta cercando di risolvere le tensioni nel bacino attraverso politiche collaborative, ad esempio la Nile Basin Ini-
tiative (NBI), nata nel 1999 con l’obiettivo di condividere i benefici socio-economici dell’utilizzo delle risorse idriche presenti
nell’area e di promuovere la stabilità e la sicurezza regionale attraverso lo svolgimento di progetti in cooperazione tra gli stati. Tut-
tavia, fino ad oggi i risultati non sono stati in linea con le attese. Infatti, l’incontro di Sharm el-Sheikh di aprile ha registrato, ancora
una volta, una notevole differenza di posizioni e si è concluso senza la firma del tanto atteso nuovo accordo quadro di cooperazione
permanente. Egitto e Sudan restano irremovibili nella pretesa di mantenere i risultati acquisiti, sostenendo «che la loro posizione
a valle li renda più vulnerabili ai cambiamenti di disponibilità idrica provocati dai progetti di sviluppo a monte del fiume»28, mentre
gli altri paesi accusano (soprattutto) il Cairo di ritardare i negoziati per la piena operatività della NBI29 e di voler perseguire interessi
individualistici, senza tenere conto della situazione. Nel mese di maggio Etiopia, Uganda, Ruanda e Tanzania, a cui si è aggiunto
poi anche il Kenya, ad Entebbe (in Uganda) hanno raggiunto un accordo separato per un utilizzo condiviso delle risorse del Nilo.
Repubblica Democratica del Congo e Burundi non hanno ancora deciso se ratificare l’accordo. Questo non riconosce i diritti
“storici” di Egitto e Sudan, prevede la rinegoziazione delle quote e la creazione di una Commissione permanente. Inoltre, non ri-
conosce la regola del consenso unanime sulla presa di decisioni e neanche l’obbligo di previa approvazione da parte di Egitto e
Sudan per qualsiasi progetto idrico in qualunque paese del bacino. Per cercare di trovare ancora una volta una soluzione, alla fine
di giugno tutti i paesi del bacino si sono incontrati ad Addis Abeba, ma senza alcun risultato. I paesi firmatari hanno fatto presente
che se Egitto e Sudan non dovessero riprendere le trattative entro il maggio 2011, essi ratificheranno l’accordo. La reazione del
Cairo ha oscillato tra dichiarazioni “a caldo” forti, ad es. la minaccia di ricorrere a tutte le misure legali (incluso il ricorso al Tribunale
dell’Aja), diplomatiche e militari (è stata ventilata l’ipotesi di utilizzare l’aviazione militare ed è stata sottoscritta un’alleanza con gli
eritrei, nemici storici di Addis Abeba) e la cautela del periodo successivo. Il capo della diplomazia egiziana Gheit, ha intrapreso
trattative per decidere se il paese resterà fuori dall’accordo oppure entrarne a far parte per cercare di emendarlo. Il segretario ge-
nerale del NDP, el-Sharif ha escluso la possibilità di un intervento militare. Alcuni analisti hanno evidenziato che la reazione “forte”
del Cairo in realtà potrebbe essere solo una “boutade”, che «serve a mascherare gli interessi economici e commerciali delle
potenze del nord, Egitto e Sudan, nell’investire nei futuri progetti che si realizzeranno a monte, e minacciare serve ad alzare il
prezzo e a procurarsi una fetta più grossa negli investimenti, un posto in prima fila»30.
Conclusioni
Come abbiamo visto, a un anno circa dalle prossime elezioni presidenziali, la situazione politica in Egitto appare piuttosto complessa
e di difficile “lettura”. Infatti, pur non essendosi ancora pronunciato, Mubarak è già presentato come il candidato del NDP. Il figlio
Gamal, considerato da molti il suo “successore”, si trova a un bivio: nel contrasto tra “vecchia” e “nuova” guardia deve decidere se
tagliare i ponti con i suoi sostenitori per cercare appoggi dall’altra parte (attirandosi così le ire degli uomini d’affari egiziani), oppure
restare sulle sue posizioni e mantenere un legame consolidato con l’elite economica (ma in questo caso la sua candidatura potrebbe
naufragare). Per questo, saranno molto importanti le prossime elezioni parlamentari, fissate per la fine di novembre (di cui al mo-
mento di andare in stampa non conosciamo l’esito), perché considerate un test indicativo sugli equilibri all’interno del NDP in vista
delle elezioni presidenziali del 2011. Infatti, una maggioranza chiara per i candidati del gruppo vicino a Gamal gli consentirebbe di
limitare il peso specifico degli oppositori interni e vedere così aumentare le sue chances di diventare il candidato ufficiale del partito.
Di fronte a un risultato incerto, invece, Hosni Mubarak potrebbe decidere di ricandidarsi per un sesto mandato, anche solo per un
36 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 6/2010
6. periodo limitato di tempo, soprattutto per aiutare il figlio a “districarsi tra due fuochi”31 e consolidare così la sua posizione. In questo
quadro, la figura di El-Baradei rappresenta una “sfida” per tutte le forze politiche; infatti, affermando la necessità di ammodernare
lo stato, raggiungere una maggiore uguaglianza tra i cittadini e una maggiore integrazione tra cristiani e musulmani, può essere fi-
nalmente l’uomo in grado di giocare un ruolo “persuasivo” sul governo per la realizzazione di autentiche riforme. Il prossimo futuro
servirà per capire se il suo movimento rappresenta davvero una pagina nuova nello scenario politico egiziano, oppure se è destinato
a ripercorrere le orme delle organizzazioni politiche con scarso seguito e “tollerate” dal governo. Per el-Shobaki (Parties, movements
and…, cit.), El-Baradei per mantenere la forza della sua “immagine evocativa”, dovrà essere in grado di prendere le distanze da
movimenti destinati al fallimento e al tempo stesso riuscire ad avere presa all’interno delle istituzioni. Questo è l’unico modo per
presentarsi come alternativa moderata e riformista all’attuale establishment e avere concrete possibilità di successo. Per quanto ri-
guarda invece la situazione del bacino del Nilo, l’accordo di Entebbe rappresenta indubbiamente un duro colpo per le speranze di
raggiungere un accordo globale capace di sviluppare su base cooperativa la suddivisione delle risorse del fiume e dei relativi benefici
socio-economici e ha confermato la prevalenza di “visioni” particolaristiche e competitive sulle acque del fiume più lungo e più
conteso d’Africa. Chi può fermare la pericolosa escalation? Secondo Robert Rotberg, presidente della World Peace Foundation, i
soli in grado di intervenire con efficacia sono gli Stati Uniti per «scongiurare i rischi di una delle guerre più cruente della storia del
Continente nero»32. Tuttavia, per quanto importante, l’intervento esterno, da solo, non è sufficiente; infatti, è necessaria la collabo-
razione fra i paesi dell’area, a cominciare dalle misure che coinvolgono direttamente la società civile, volte a creare una maggiore
consapevolezza nelle popolazioni che vivono in prima persona i problemi del bacino. Ovviamente, sta agli stati riuscire a cogliere
le opportunità rappresentate dalle diverse iniziative in campo, contenendo al tempo stesso i rischi legati agli interessi individualistici.
Note
1
Il commento di Shatz è riportato in Azzurra Meringolo, Egitto: alla ricerca di un’alternativa a Mubarak, Limes on line, 14 giugno 2010. Il mal-
contento popolare è dimostrato anche dalle basse percentuali di votanti alle elezioni: «Il ventidue percento degli aventi diritto partecipa alle
elezioni, secondo i dati forniti dal governo, generalmente maggiorati». Silvia Mollicchi, L’opposizione si spacca tra boicottaggio e partecipazione,
ma si guarda alle presidenziali, tra l’astensionismo dilagante, Peace Reporter, 22 ottobre 2010.
2
Le dichiarazioni sono di Ayman Moyeldin, inviato di Al Jazeera e sono riportate in Vincenzo Nigro, I faraoni. Mubarak, tra le proteste, dopo
trent’anni prepara la successione. Di padre in figlio, Il venerdì di Repubblica, 13 agosto 2010.
3
Steven Cook, esperto di affari egiziani del Council on Foreign Relations, riporta stime che non vanno oltre i 12-18 mesi. Mubarak to die soon,
reports paper but Egyptian government denies, Daily Nation, 30 luglio 2010.
4
The long wait, The Economist, 15 luglio 2010.
5
L’ultima in ordine di tempo, all’inizio di settembre, in occasione della ripresa del negoziato medio-orientale. Secondo l’analista politico Deyaa
Rashwan le visite ad Obama sono il segno di ciò che verrà: «I feel that Gamal’s presence with the Egyptian delegation is a new way of introducing
him to the American administration. […] If we take a closer look, we’ll find that Gamal shouldn’t be in America because of his NDP position.
There are higher-ranked NDP officials like General Secretary Safwat El Sherif, who could have been ahead of him for such selection». Amro
Hassan, Egypt: Mr. Mubarak and son go to Washington, Los Angeles Times, 17 agosto 2009.
6
Gara a due per il dopo Mubarak, La Stampa, 22 settembre 2010.
7
«Durante l’ultima crisi fra Israele e Libia, causata da una nave che voleva attraccare a Gaza, l’intervento di Suleiman pare sia stato risolutivo e
addirittura il Ministro degli esteri israeliano Lieberman ha voluto personalmente ringraziare il capo degli 007 egiziani per la sua preziosa inter-
mediazione». Marco Di Donato, The day after (Mubarak), ilcaffegeopolitico.net, 16 luglio 2010.
8
Parties, movements and prospects for change in Egypt, Carnegie endowment for International Peace, 20 maggio 2010.
9
Che riunisce varie figure dai liberal all’islam politico più pragmatico.
10
Michela De Marco, Egitto presidenziali: El-Baradei e il suo “Yes we can”, Limes on line, 14 marzo 2010.
11
«A fine marzo il gruppo che su Facebook sostiene la candidatura di El Baradei registrava quasi 85 mila adesioni, un numero enorme se para-
gonato ai 6 mila internauti che, sullo stesso social network, sostengono Gamal». Meringolo, cit.
12
«Allo stato attuale delle cose in Egitto è meglio il non voto. Chiedo quindi di boicottare le elezioni perché ci troviamo in un paese dove vige una
dittatura democratica, nel senso che resterà al potere sempre lo stesso partito. A queste condizioni non scendo in politica, perché tanto
vincerebbe sempre lo stesso partito che ora è al governo». Egitto: El-Baradei, non mi candido alle presidenziali, adnkronos.com, 7 giugno 2010.
13
Rodenbeck (The best man always wins, The Economist, 15 luglio 2010) parla di “pressioni” e misure intimidatorie che rendono molto complicata
la sua attività.
14
L’Economist on line il 21 luglio ha scritto che nel giro di soli sei mesi, per la prima volta, ha iniziato a subire le prime critiche, soprattutto per il
limitato seguito che ha avuto la sua campagna. A dream deferred?, Economist on-line, 21 luglio 2010.
15
Che nelle elezioni del 2005 si era candidato alla presidenza, ottenendo il 7% dei voti.
16
Mediterraneo e Medio Oriente, in Osservatorio di politica internazionale, voce Egitto, a cura del Centro Studi Internazionali, n.1, gennaio/marzo
2010, p. 29.
17
Al Cairo aspettando il cambiamento, La Stampa, 19 settembre 2010.
18
Lorenzo Biondi, Dopo Mubarak? La nostra speranza è El-Baradei, Europa.it, 15 luglio 2010.
19
Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Ruanda, Sudan, Tanzania e Uganda.
20
«In altre parole era esplicitamente previsto che risorse naturali interne al territorio di Stati sovrani non fossero a disposizione di questi Stati, ma
sotto il controllo di uno Stato esterno, senza peraltro che una tale condizione fosse raggiunta con negoziati, ma solo per imposizione arbitraria.
Tali accordi sono grosso modo ancora in vigore». Alessandro Micci, A chi spettano i doni del Nilo, Peace Reporter, 5 giugno 2010.
SUPPLEMENTO 37
7. 21
Anna Pozzi, La guerra dell’acqua, Missionline, 1 giugno 2010.
22
Nel 1990 era di 922 metri cubi, mentre le previsioni al 2025 parlano di 332 metri cubi. La Stampa, 17 maggio 2010.
23
«Gli abitanti del Nord, tacitamente, non si oppongono all’idea di disfarsi degli abitanti del Sud, nella convinzione che il Sud povero sia un peso
che disperde le loro ricchezze nazionali, causando la loro povertà». Amin Kammourieh, Il referendum sudanese: una ricetta per la guerra, Me-
darabnews, 5 ottobre 2010.
24
«In bilico su un confine ancora incerto, l’area è la patria sia degli agricoltori del sud, sia dei nomadi del nord, e trabocca di petrolio. Nonostante
un intervallo di cinque anni, nemmeno una di queste questioni (la delimitazione dei confini, la cittadinanza, la ripartizione delle risorse) è stata
risolta». Usher, cit.
25
Sudan, ONU: “Niente caschi blu alla frontiera”, Peace reporter, 26 ottobre 2010.
26
Graham Usher, Sudan: conto alla rovescia per il D-day, in Medarabnews, 28 ottobre 2010.
27
Philippe De Pontet, Can Sudan avoid a return to civil war in 2011?, Carnegie Endwment for International Peace, 13 ottobre 2010.
28
Matt Bradley, Nessun accordo sulle acque del Nilo, The National, in Internazionale, n. 846 del 14 maggio 2010, p. 24.
29
Il Ministro dell’ambiente ruandese Stanislas Kamanzi ha affermato: «Egypt has been requesting to defer the signing of Cooperative Framework
Agreement – we couldn’t wait no longer, since we have been negotiating for over ten years». East Africa seeks more Nile water, BBC news, 14
maggio 2010.
30
Alessandro Micci, Nilo, sale la tensione, Peacer reporter, 5 giugno 2010.
31
Azzurra Meringolo, L’Egitto alle urne e la successione a Mubarak, Affari Internazionali, 10 ottobre 2010.
32
Pietro Del Re, La battaglia del Nilo, la Repubblica, 7 luglio 2010.
LEVANTE MEDITERRANEO
Libano
Francesco Mazzucotelli
Il Libano sembra avviarsi verso una nuova stagione di instabilità, dopo alcuni mesi di apparente calma seguiti alle elezioni parla-
mentari del Giugno 2009 e alla successiva, faticosa composizione di un governo di “unità nazionale” guidato da Saad Hariri, in cui
i due dicasteri chiave degli interni e della difesa sono affidati a personalità indipendenti del calibro di Ziad Baroud ed Elias el-Murr.
Gli sviluppi dell’inchiesta affidata al Tribunale internazionale speciale per il Libano (TSL) in merito all’assassinio dell’ex-primo
ministro Rafiq Hariri e alla catena di attentati politicamente motivati avvenuti nel 2005 rischiano infatti di riaprire le profonde linee
di frattura politiche, ideologiche e confessionali che attraversano il paese e di frantumare i fragili equilibri raggiunti con l’accordo
di Doha del Maggio 20081.
Il nodo della legittimità del Tribunale Speciale
Molti mesi dopo che, tra una diffusa incredulità, il settimanale Der Spiegel si era spinto a scrivere che il TSL stava apprestandosi a in-
criminare alcuni membri di Hezbollah in merito agli attentati del 20052, ripetute indiscrezioni apparse nei mesi estivi su diversi giornali
e siti sembrano andare tutte nella direzione di una possibile, prossima incriminazione da parte del TSL di alcuni militanti del Partito
di Dio. Si tratta di voci amplificate dalla stampa o di una fuga di notizie da parte di un tribunale talvolta troppo propenso a far trapelare
informazioni riguardanti un’indagine ancora in corso? È stato proprio il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, a rivelare
nel mese di Luglio che lo stesso primo ministro Saad Hariri gli avrebbe comunicato gli sviluppi delle inchieste del TSL3. Osservatori e
analisti hanno inizialmente atteso un atto formale di incriminazione per la fine del mese di Ramadan4; fonti di stampa, incluse alcune
vicine a Hezbollah, citano il presidente del TSL, Antonio Cassese, nell’indicare l’inizio del mese di Dicembre come nuova data plausibile
in cui il procuratore del tribunale, Daniel Bellemare, potrebbe emettere gli avvisi di incriminazione e i mandati di comparizione.5 Gli
esponenti del tribunale smentiscono questi voci e sembrano prendere tempo. Creato ai sensi della risoluzione 1664 (2006) del Con-
siglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ufficialmente operativo dall’1 Marzo 2009, il TSL ha il mandato di identificare e portare in giu-
dizio i mandanti e gli esecutori dell’attentato in cui ha perso la vita l’ex-primo ministro Rafiq Hariri; può estendere la sua giurisdizione
su altri attentati avvenuti in Libano tra l’1 Ottobre 2004 e il 12 Dicembre 2005 se è possibile provare un collegamento col caso del-
l’assassinio di Rafiq Hariri. Il TSL ha una natura ibrida, in quanto è formato tanto da giudici internazionali quanto da giudici libanesi,
ed è chiamato ad applicare le norme di diritto penale libanese. Il TSL rappresenta inoltre il primo esempio di un tribunale internazionale
creato sotto l’ègida delle Nazioni Unite per investigare un caso individuale, a differenza di altri tribunali creati negli ultimi anni per in-
vestigare gravi violazioni dei diritti umani in conflitti civili, come nei casi di Ruanda, ex-Jugoslavia e Sierra Leone. Il presidente del TSL
difende il titolo di legittimità della corte e la legittimità procedurale del suo operato in base al mandato conferito dalla risoluzione
1757 (2007), ma è difficile sfuggire alle potenti implicazioni politiche che circondano e appesantiscono il lavoro del tribunale, rischiando
di farlo apparire a tratti come uno strumento politicamente motivato di regolamento di conti a livello interno e regionale. Il TSL nasce
in continuità con la Commissione internazionale di inchiesta (UNIIIC) fortemente voluta dalla coalizione anti-siriana andata al governo
dopo i rivolgimenti della primavera del 2005. Sotto la guida del procuratore Devlet Mehlis, la Commissione di inchiesta ha emesso
quattro ordini di arresto nei confronti di altrettanti alti generali libanesi, accusati di complicità in un piano che sarebbe stato ordito
38 INFORMAZIONI DELLA DIFESA 6/2010