1. La
punizione
è
efficace?
del
Dr.
Aldo
Manuali
-‐
pedagogista
Il
problema
della
punizione,
in
pedagogia
è
assai
importante
ed
è
stato
infatti
al
centro
di
molte
discussioni
e
controversie.
Esso
è
stato
dibattuto
in
un
workshop
tra
genitori,
insegnanti
ed
educatori
svoltosi
nell’ambito
del
progetto
Europeo
L.P.D.
Rispetto
ai
vari
argomenti
le
posizioni
sono
diversificate
tra
chi
ritiene
la
punizione
uno
strumento
pedagogico
“essenziale”
anzi
in
certi
casi
dirimente
(
anche
se
non
ne
và
abusato
sia
in
quantità
che
in
intensità)
e
chi
invece
lo
deplora
stigmatizzandone
la
negatività
assoluta.
Una
sorta
di
disputa
tra
che
ripropone
,
mediando
il
saggio
di
Eco
lo
scontro
tra
“apocalittici”
e
“
integrati”
della
punizione.
I
primi
vedono
solo
l’aspetto
negativo,
i
secondi
sono
più
possibilisti,
perché
sostengono,
partendo
da
esperienze
personali
che
:
”
una
punizione
non
ha
mai
fatto
morire
nessuno”.
Dentro
questo
quadro
con
poca
possibilità
di
sintesi,
non
emerge
nessuna
indicazione
utile
né
ai
genitori
di
oggi
né
a
quelli
di
domani.
Allora
tutto
inutile?
Non
proprio.
Ciò
che
è
emerso
dagli
incontri
è
che
le
posizioni
trascendono
spesso
da
fattori
ideologici,
religiosi
e
culturali:
ognuno
sembra
essere
genitore
secondo
il
modello
che
ha
ereditato
in
famiglia.
Poco
conto
sembrano
avere
la
cultura
o
lo
status
attuale
del
genitore.
Questo
a
mio
modo
di
vedere
è
già
un
primo
dato
che
lascia
immaginare
varie
azioni
pedagogiche.
Un
altro
dato
emerso
è
che
in
linea
generale
la
punizione,
vista
come
una
sanzione
che
consegue
al
compimento
di
un’azione
giudicata
negativamente,
così
come,
per
contrario
il
premio,
non
devono
considerarsi
un
metodo
direttamente
educativo,
ma
semmai
solo
indirettamente
educativo.
Nel
primo
caso
infatti
si
sosterrebbe
una
concezione
materialistica
e
deterministica
dell’educazione
e
la
punizione
strumento
principe
per
“condizionare”
comportamenti.
Nel
secondo
la
punizione
può
anche
essere
considerata
come
un
mezzo
(da
usarsi
però
con
molta
cautela
e
non
come
“sistema”)
per
scuotere
il
ragazzo
o
aiutarlo
a
smuoversi
da
posizioni
pericolose
o
già
chiaramente
negative.
La
punizione
deve
essere
letta
dentro
una
relazione
educativa
chiara
nella
quale
l’adulto
significativo
(
sia
esso
genitore,
insegnante,
allenatore
etc
)
ed
il
ragazzo,
siano
coinvolti
dentro
un
quadro
di
regole
e
azioni
chiare
e
valori
esplicitati
e…
per
quanto
possibile
condiviso
(
art.12
Dichiarazione
Diritti
Infanzia:
”
…si
riconosce
al
bambino
il
diritto
di
esprimere
liberamente
la
sua
opinione
su
ogni
questione
che
lo
interessa,
le
2. opinioni
del
fanciullo
essendo
debitamente
prese
in
considerazione
tenendo
conto
della
sua
età
e
del
suo
grado
di
maturità)
Fuori
questo
schema
la
punizione
è
sicuramente
coercitiva
e
quindi
negativa.
Di
più,
dentro
una
relazione
educativa
vera
“lo
sbaglio”
da
ambo
le
parti
(perché
anche
i
genitori
sbagliano),
con
la
conseguente
ridiscussione
e
messa
in
chiaro
del
fatto
,
può
essere
una
possibilità
di
crescita
per
tutti
i
soggetti
coinvolti
nella
relazione.
Tuttavia,
accanto
alla
raccomandazione
di
non
usare
se
non
eccezionalmente
la
punizione
(il
cui
uso
frequente
condurrebbe
ad
una
sorta
di
coartazione
della
personalità
dell’educando),
occorre
sottolineare
che
in
ogni
caso
essa
va
usata
solo
a
certe
condizioni.
Eccone
alcune
emerse
nel
workshop:
1)
che
non
sia
vissuta
da
chi
la
determina
come
una
vendetta;
2)
che
non
sia
mortificante
(come
lo
è,
per
esempio,
la
punizione
corporale
tendente
a
provocare
fatica
e
dolore,
o
quella
che
mira
all’umiliazione
dell’educando);
3)
che
sia
data
da
chi
ha
con
l’educando
un
buon
rapporto
affettivo;
4)
che
sia
giusta
e
proporzionata
(non
solo
alla
mancanza
commessa
ma
anche
alla
personalità
dell’educando);
5)
che
sia
tempestiva,
ma
soprattutto
che
sia
seguita
da
una
chiarificazione
e
da
una
rassicurazione
affettiva
capace
di
evitare
che
il
bambino
la
viva
come
una
rottura
definitiva
della
relazione
con
l’adulto.
Concludo
dicendo
che
la
qualità
della
relazione
può
essere
vista
come
una
possibilità
di
crescita
anche
per
i
genitori.
Questo
è
ciò
che
sembra
contare
veramente:
educare
gli
adulti
ed
i
genitori
in
particolare,
sul
concetto
che
i
bambini
ed
i
ragazzi
sono
soggetti
di
diritto
e
quindi
vanno
ascoltati
e
considerati
come
tali.
Investire
dunque
risorse
e
azioni
per
insegnare
la
qualità
delle
relazioni
educative
viste
come
possibilità
coevolutiva
di
crescita
per
adulti
e
bambini.