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Università degli Studi di Torino
Scuola di Scienze Giuridiche, Politiche ed Economico-Sociali
Corso di Laurea Magistrale in:
Produzione e Organizzazione della Comunicazione e della Conoscenza
Tesi di Laurea
Sviluppo locale e Innovazione tecnologica. Caso di studio:
L’Istituto Italiano di Tecnologia, IIT.
Candidato: Giovanni Capello Relatore: Prof. Sergio Scamuzzi
Matricola: 758815 Correlatore:
Anno Accademico: 2013-2014
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3
INDICE
PREFAZIONE…………………………………………………………………………………
CAPITOLO 1……………………………………………………………………….................
SVILUPPO LOCALE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA……………………………………..
1.1 L’importanza dello sviluppo locale……………………………………….
1.2 Quali sono le caratteristiche dello sviluppo locale?..........................................
1.3 Il capitale sociale……………………………………………………………………….
1.4 I distretti High-Tech: un esempio di sviluppo locale……………………………….
1.5 I distretti industriali, alcune definizioni……………………………………………….
1.6 Analisi dei distretti High-Tech italiani…………………………………………........
1.7 La normativa italiana sui distretti High-Tech……………………………………….
1.8 Le caratteristiche dei distretti High-Tech esteri…………………………………...
1.8.1 Il distretto High-tech di Yamacraw (Georgia, Usa)……………………..
1.8.2 Il Distretto High-Tech di Sophia-Antipolis (Francia)…………………..
1.8.3 Il Distretto High tech di Cambridge (UK)………………………………
1.9 I distretti High-Tech in Italia……………………………………………………………
1.9.1 Torino Wireless……………………………………………………………….
1.9.2 Biotecnologie in Lombardia………………………………………………..
1.9.3 Hi-Mech in Emilia Romagna…………………………………………….
1.9.4 Aerospazio in Lazio……………………………………………………….
1.10 Le determinanti del distretto High-Tech……………………………………………..
1.11 Analisi comparativa delle performance innovative nell’area UE………………..
1.12 Analisi comparativa tra le Regioni italiane…………………………………………
1.13 Confronto tra i distretti High-Tech analizzati………………………………………
1.14 Conclusioni………………………………………………………………………….......
CAPITOLO 2…………………………………………………………………………………….......
LE POLITICHE PER LO SVILUPPO LOCALE…………………………………………………….
2.1 L’intervento dello stato………………………………………………………………….
2.2 Origine e caratteri dei piani territoriali………………………………………………
2.3 Problemi di realizzazione e le critiche ai patti……………………………………….
4
2.4 Tre storie di patti…………………………………………………………………………
2.5 Risultati della ricerca e osservazioni conclusive
2.6 La pianificazione strategica nelle città………………………………………………..
2.7 Il piano strategico della città di Genova……………………………………………..
2.7.1 Il contesto socio-economico della città……………………………………
2.7.2 Il contesto istituzionale……………………………………………………….
2.7.3 Le tappe del piano strategico………………………………………………..
2.7.4 La riorganizzazione del comune……………………………………………
2.7.5 Il piano della Città di Genova 2002………………………………………...
2.7.6 La navigazione strategica…………………………………………………….
2.7.7 Pianificazione di medio-lungo periodo e stili di governance……………
2.8 Premessa sul paragrafo successivo………………………………………………….
2.9 La storia del Distretto High-Tech Genovese………………………………..
2.10 La vocazione tecnologica del distretto genovese
2.11 La storia del Dixet……………………………………………………………………..
2.12 Il parco scientifico tecnologico degli Erzelli: una Silicon Valley in Liguria?.....
2.13 Evoluzione cronologica del Parco Scientifico Tecnologico degli Erzelli…..
CAPITOLO 3…………………………………………………………………………………………
L’ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA (IIT)………………………………………………….
3.1 Prefazione al Capitolo…………………………………………………………………
3.2 IIT: storia e l’intervento dello Stato italiano………………………………………..
3.2.1 Gli scettici ……………………………………………………….
3.2.1 I favorevoli…………………………………………………………
3.2.3 I contrari…………………………………………………………..
3.3 IIT, Descrizione e composizione interna…………………………………………..
3.4 Centri IIT nel mondo…………………………………………………………………
3.5 I primi risultati……………………………………………………………………….
3.6 Operatività e piano scientifico………………………………………………………
3.7 Lo staff………………………………………………………………………………….
3.8 Le pubblicazioni e gli indicatori bibliometrici……………………………………
5
3.9 Fund raising e brevetti………………………………………………………………
3.10 Il processo di Valutazione di IIT………………………………………………….
3.11 I primi 6 anni………………………………………………………………………..
3.11.1 Il piano scientifico 2012-2014………………………………….
3.11.2 Evoluzione dello staff e della produttività…………………
3.11.3 Pubblicazioni e indicatori bibliometrici………………………….
3.11.4 Ranking Internazionale…………………………………………….
3.11.5 Valutazione della ricerca………………………………………….
3.11.6 Progettualità scientifica…………………………………………..
3.11.7 Trasferimento tecnologico……………………………………….
3.11.8 Attività di formazione e di avviamento alla ricerca…………….
3.12 I primi 7 anni…………………………………………………………………………….
3.12.1 Le nuove frontiere: i materiali intelligenti………………….
3.12.2 Le nuove frontiere: i robot al servizio dell’uomo……………….
3.12.3 Valutazione e ranking………………………………………………
3.12.4 Formazione e collaborazioni………………………………………
3.12.5 Trasferimento tecnologico………………………………………..
3.12.6 Sintesi dell’anno 2013……………………………………………
3.12.7 Il percorso di carriera per gli scienziati alla fine del 2013….
3.12.8 La presenza di IIT nel panorama scientifico internazionale..
3.13 Nikon e IIT: il progetto comune sul microscopio ottico del 2014……………..
3.14 Un progetto triennale con INAIL per la robotica riabilitativa
3.15 iCub……………………………………………………………………………………….
3.15.1 Intervista ad A. Roncone (iCub Facility, Phd Fellow)…… ….
3.16 Il rapporto con le industrie e il tessuto produttivo
6
3.17 IIT ed il fotovoltaico a basso costo - alta efficienza
3.18 Osservazioni conclusive………………………………………………………………
CAPITOLO 4…………………………………………………………………………………………
UNA PICCOLA REALTA’ HIGH-TECH ITALIANA: ELBATECH............................
4.1 Micro sviluppo locale e innovazione: Elbatech……………………………………..
4.2 Intervista a Manuela Adami (Elbatech)……………………………………….
4.3 Il progetto ElbaTech4Nature……………………………………………………………
4.4 Conclusioni……………………………………………………………………………….
Elenco delle figure……………………………………………………………………………………
Elenco delle tabelle…………………………………………………………………………………..
Riferimenti bibliografici………………………………………………………………………………
Sitografia……………………………………………………………………………………………….
7
8
PREFAZIONE
Sviluppo locale e innovazione tecnologica: un’equazione piuttosto intricata da risolvere,
che rappresenta un argomento estremamente attuale. La sociologia economica ha dedicato
molte energie ad analizzare le variabili in gioco e le condizioni necessarie alla crescita
economica, tenendo in considerazione diverse parole chiave fondamentali, prima fra
queste, la tecnologia.
Nel primo capitolo saranno analizzati l’impatto ed i benefici che la tecnologia può avere su
scala locale. Questo proposito richiederà l’analisi delle caratteristiche di diversi distretti
High-Tech oltreoceano che si sono distinti per le loro caratteristiche ma anche di alcuni
casi di studio italiani (nel capitolo 1);
Il secondo capitolo sarà dedicato all’analisi delle politiche attuabili per favorire lo sviluppo
locale e nello specifico, il capitolo 3 si occuperà dell’analisi dell’Istituto Italiano di
Tecnologia (IIT) di Genova, la sua struttura, le sue caratteristiche e il suo sviluppo. Reputo
fondamentale analizzare diverse organizzazioni che hanno saputo fare la differenza, questo
non servirà tanto per costruire delle banali best practices, ma ci aiuterà a capire quali
variabili debbano essere tenute in considerazione per comprendere in profondità i vari
passaggi di questo percorso.
Per analizzare lo sviluppo locale come fenomeno, non possiamo guardare solo a variabili
numeriche come il PIL procapite locale o alla crescita delle transazioni economiche, ma
sarà necessario iniziare a guardare a complicati aspetti sociali e politici che si sviluppano
sul territorio e determinano vantaggi competitivi che la sola azione del mercato non
potrebbe realizzare. Attraverso la cooperazione e la creazione di reti di attori stabili nel
tempo, aumenta la capacità locale di visione e di azione, che determina il cosiddetto
sviluppo.
9
Ed è proprio questa “componente sociale” l’elemento chiave dello sviluppo locale. Per
questo motivo la Sociologia può essere la giusta chiave di lettura, perché in grado di
analizzare l’azione dell’individuo all’interno di una complessa rete di relazioni.
Innovazione tecnologica e sviluppo locale sono elementi che corrono sullo stesso binario;
per questo motivo, lo scopo di questa tesi sarà analizzare come l’innovazione tecnologica
possa generare economia, come la conoscenza possa generare benessere.
10
CAPITOLO 1
SVILUPPO LOCALE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA
1.1 L’importanza dello sviluppo locale
Il tema della globalizzazione dell'economia è un tema particolarmente significativo.
L'economia è diventata sempre più mobile nello spazio: movimenti di capitali, produzione
di beni e servizi in luoghi lontani, gli investimenti vengono quasi sempre dirottati
all'estero. All'immagine di questo tipo di economia alimentata dalla globalizzazione, se ne
affianca un'altra che si muove nella direzione opposta: lo sviluppo locale.
In questo caso l'attenzione non è a livello globale ma va posta sullo sviluppo di territori,
Città e Regioni che mostrano segni di particolare dinamismo e vitalità. Lo sviluppo locale
si occupa del legame con un particolare territorio, con il suo ambiente istituzionale e
sociale; la novità in questo caso è che rispetto al passato si affermano dei percorsi di
sviluppo meno dipendenti da politiche nazionali dello Stato, ma correlate a soggetti
istituzionali locali che sviluppano esperienze di cooperazione innovativa attraverso accordi
più o meno formalizzati tra loro.
Analizzeremo diversi esempi per delineare le caratteristiche dello sviluppo locale: La
Silicon Valley ed il polo delle biotecnologie di Oxford (che analizzeremo nei paragrafi
successivi) nonostante siano molto diverse, hanno in comune molti elementi. Lo sviluppo
urbano di città che hanno affrontato i problemi del declino delle industrie tradizionali o
hanno avviato progetti innovativi, come la città di Barcellona, Glasgow e Francoforte che
hanno diversi elementi che si ripetono; analizzeremo infine l'esperienza dei distretti
industriali italiani e successivamente un piano strategico di una città.
Di per sé, lo sviluppo locale non si identifica con particolari specializzazioni di tipo
produttivo o con modelli istituzionali nazionali di regolazione dell'economia. Lo sviluppo
locale riguarda sistemi produttivi locali che possono assumere caratteri diversi: possono
coinvolgere grandi o medie imprese-rete che organizzano un insieme di fornitori localizzati
11
sullo stesso territorio, oppure agglomerati di piccole imprese (clusters) con un minore
grado di cooperazione tra loro rispetto ai distretti. Nello specifico, anche la
specializzazione produttiva può cambiare: oltre ai casi più conosciuti di sistemi legati alla
produzione di beni per la persona e per la casa come abbigliamento, calzature e ceramiche
vi sono sistemi di imprese specializzate in settori ad alta tecnologia come informatica,
telecomunicazioni, biotecnologie. Possono addirittura esserci sistemi specializzati in
attività terziarie come finanza e turismo o in attività agro-industriali.
1.2 Quali sono le caratteristiche dello sviluppo locale?
«…L’elemento principale dello sviluppo locale è determinato dalla capacità dei suoi
soggetti locali di cooperare per avviare e condurre percorsi di sviluppo condivisi che
mettano in moto risorse e competenze locali…» (C. Trigilia1
, 2005).
Questo non implica la creazione di un localismo autarchico, ovvero una chiusura difensiva
verso un'economia globalizzata, al contrario il protagonismo dei soggetti locali sarà in
grado di favorire lo sviluppo di un territorio quando riuscirà ad attrarre in modo utile le
risorse esterne, che possono essere di tipo politico (per es. investimenti pubblici),
economico e culturale (come decisioni di investimento di soggetti privati). Dunque un
punto forte dello sviluppo locale è la sua capacità di avvalersi di risorse esterne per
valorizzare quelle interne: cercare di attrarre investimenti, imprese, risorse scientifiche e
culturali, non solo come occasione per la crescita della produzione, del reddito e
dell'occupazione, ma come strumento che possa incrementare le competenze e le
specializzazioni locali. Lo sviluppo locale non nasce per difendersi dalla minaccia della
globalizzazione, ma si fonda sulle capacità di cooperazione e di strategia dei soggetti locali
per coglierne le opportunità. Come abbiamo già detto in precedenza, il secolo scorso è
stato segnato dalla reazione alla crisi del capitalismo liberale.
1
Trigilia C. Sviluppo Locale: un progetto per l’Italia, Pag. 6. Editori Laterza, 2005.
12
Il fordismo e keynesismo hanno conquistato la scena economica: Il fordismo cercava di
separare l'economia dalla società mediante la creazione di grandi imprese verticali che
sfruttavano le nuove tecnologie per realizzare economie di scala, sostituendo infatti la
gerarchia al mercato, rimpiazzando gli imprenditori con i manager e concentrando al loro
interno le diverse fasi produttive, per controllare il mercato del lavoro e quello dei beni.
L'impresa, si autonomizza maggiormente rispetto ai condizionamenti ambientali, in questo
quadro i fattori non economici che influenzano lo sviluppo diventano prevalentemente di
due tipi: a livello micro, riguardano la capacità organizzativa dell'impresa, mentre a livello
macro le cosiddette politiche statali, sia quelle Keynesiane di regolazione della domanda e
stabilizzazione del mercato, sia per le aree meno sviluppate, quelle che vogliono attirare
con incentivi e infrastrutture le grandi imprese esterne, le politiche di sviluppo territoriale
come interventi per il mezzogiorno praticati fino alla fine degli Anni 80 (che vedremo
successivamente).
“Stabilità” era la parola chiave del vecchio assetto che ha guidato il grande sviluppo post-
bellico. Nell'ultimo trentennio essa è stata sempre più sostituita da un'altra parola:
“flessibilità”: la ricerca di maggiore flessibilità, come la capacità di rapido adattamento a
un mercato fattosi più incerto e variabile e insieme la corsa verso una maggiore qualità dei
prodotti diventano scelte obbligate per le imprese dei paesi sviluppati con i più alti costi
del lavoro. Furono inizialmente le piccole imprese, specie se integrate tra loro in sistemi
locali ad elevata specializzazione (distretti) a cogliere le nuove opportunità che si aprono
con la saturazione dei mercati dei beni standardizzati e l'emergere di nuove domande più
variegate. L'aumento del benessere nei paesi più sviluppati si è infatti accompagnato ad un
rilevante mutamento delle preferenze dei consumatori, specie dei benestanti, orientati
sempre più verso prodotti differenziati e ovviamente di maggiore qualità.
13
Con il tempo anche le grandi imprese hanno seguito la strada della ricerca di maggiore
flessibilità e qualità, hanno dato più autonomia alle unità produttive decentrate, hanno
modificato l'organizzazione del lavoro taylorista cercando maggiore flessibilità,
coinvolgendo maggiormente i lavoratori, si sono anche ulteriormente aperte alla
collaborazione con piccole e medie imprese esterne per ridurre i costi e i tempi dei processi
di innovazione e di introduzione di nuovi prodotti. Ciò ha spinto anche le grandi imprese
multinazionali a collocare le loro unità produttive in aree a forte specializzazione, dove è
possibile sviluppare una collaborazione con piccole e medie imprese di subfornitura.
Così facendo, si sono formate reti di imprese (o distretti) oppure agglomerazioni di piccole
e medie aziende a minor integrazione, ma anche grandi e medie imprese-rete che si
localizzano in determinati territori.
3.3 Il capitale sociale
Il funzionamento dei beni collettivi è influenzato dall'esistenza di relazioni sociali
personali tra i soggetti coinvolti, che ne facilitano la cooperazione. Esse sono relazioni
extra-economiche che incidono sullo sviluppo economico, sia direttamente nel processo
produttivo (per esempio nel caso dei rapporti tra imprenditori e tra imprenditori e
lavoratori) sia indirettamente attraverso la formulazione di politiche pubbliche o interventi
che creano beni collettivi dedicati per il contesto locale.
Il ruolo di queste reti di relazioni sociali è fondamentale, in quanto rende possibili le
transazioni complesse e rischiose sul piano economico o politico, e fornisce risorse di
fiducia che consentono ai soggetti di cooperare anche in presenza di condizioni di
incertezza e di carenza di informazioni. Come abbiamo visto in precedenza, le condizioni
della produzione flessibile e di qualità richiedono più intensi rapporti di collaborazione,
che non possono essere generati soltanto da meccanismi contrattuali. In questo caso la
disponibilità di reti di relazione tra i responsabili di diverse istituzioni (pubbliche e private)
può essere decisiva per la capacità di produrre in modo efficiente beni collettivi adeguati
alle esigenze delle economie locali in analisi.
14
Negli ultimi anni si è diffusa la tendenza a definire le reti di relazioni sociali personali tra
soggetti individuali come il cd. capitale sociale (R. Putnam2
, 1994). In alcuni casi si fa
riferimento a una cultura condivisa dai soggetti di un determinato contesto territoriale: il
capitale sociale diventa anche sinonimo di cultura civica (civicness): ovvero una cultura
condivisa che limita i comportamenti opportunistici e favorisce la cooperazione.
Il capitale sociale è l'insieme delle relazioni sociali di cui un soggetto individuale (come
un imprenditore o un lavoratore) o un soggetto collettivo (privato o pubblico) dispone in un
determinato momento. Attraverso questo capitale di relazioni si alimenta la formazione di
risorse cognitive, (come le informazioni) o risorse normative (come la fiducia) che
permettono agli attori di realizzare obiettivi che non sarebbero altrimenti raggiungibili, o lo
sarebbero a costi molto più alti.
Analizzando il capitale sociale a livello aggregato, si potrebbe dire che un determinato
contesto territoriale può essere considerato più o meno ricco di capitale sociale a seconda
che i soggetti individuali o collettivi che vi risiedono siano coinvolti in reti di relazioni
cooperative più o meno diffuse.
Possiamo dunque porci diverse domande importanti relative al capitale sociale:
• Da cosa dipende la sua formazione?
• Ci sono tipi di capitale sociale con origini diverse?
• Come funzionano nella produzione di beni collettivi?
Quando si parla di un territorio ben fornito di capitale sociale, si fa riferimento alla
presenza di reti cooperative con effetti positivi per la collettività: ciò non vuol dire però,
che in assenza di tali effetti manchi necessariamente il capitale sociale. Vi sono diversi
processi di generazione di capitale sociale.
2
Putnam R. Making Democracy Work, Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, 1994 -
Cit. in Trigilia C. Sviluppo Locale: un progetto per l’Italia, Pag. 6. Editori Laterza, 2005.
15
• Un primo tipo è legato a quelle dotazioni originarie di cui abbiamo parlato prima, che
sono generate e alimentate da identità collettive particolarmente radicate in un territorio, in
questo caso l'origine del capitale sociale e più esterna alla sfera economica, ma vi si
estende facilitandone il funzionamento.
• Il secondo tipo si basa su attività economiche che attraversando la loro ripetizione nel
tempo, vanno al di là dei rapporti contrattuali, generando legami sociali più duraturi.
Possiamo definire il primo processo, che va dalla società all'economia come generazione
per appartenenza, e il secondo, si muove nel senso opposto, come generazione per
sperimentazione. Diciamo che le dotazioni di capitale sociale generate da appartenenza
riguardano la concentrazione in un determinato territorio di gruppi sociali molto legati da
un'identità etnica, religiosa o politica; sono processi che risalgono spesso all'indietro nel
tempo. Il radicamento territoriale può essere legato a forme di difesa della società locale
(K. Polany4
, 1944), di fronte alle sfide provenienti dalla penetrazione del mercato, si
determinano processi di mobilitazione sociale a livello territoriale, si intensificano i legami
tra i soggetti coinvolti, si sviluppano forme di rappresentanza politica condivise, si rafforza
la cooperazione sul piano economico.
Un esempio attuale può essere la formazione di subculture etnico-linguistiche, come per
esempio la formazione di comunità di immigrati che si stabiliscono in alcuni territori, o in
determinati quartieri di aree metropolitane.
I legami di appartenenza generano capitale sociale sia tra soggetti individuali che soggetti
collettivi. Per quanto riguarda gli imprenditori, si formano più facilmente reti di relazioni
che alimentano la fiducia reciproca e favoriscono la cooperazione, d'altro canto a livello
locale funzionano i meccanismi di controllo sociale che permettono di individuare e di
isolare chi rompe la fiducia attraverso una rapida circolazione dell'informazione.
3
Polany K. The Great Transformation, Farrar & Rinehart, New York, 1944. Cit. In Trigilia C. Sviluppo
Locale: un progetto per l’Italia, Editori Laterza, 2005.
16
Questo senso di appartenenza crea una forte pressione sul comportamento individuale,
contribuendo a limitare l'opportunismo, quindi l'esistenza di un'identità collettiva forte
facilita la formazione di reti cooperative. La generazione per appartenenza alle
conseguenze di rilievo per i caratteri dei legami sociali.
Prendiamo in considerazione i cosiddetti legami forti (M. Granovetter 4
,1973) cioè
particolarmente intensi e frequenti. Per quel che riguarda le reti individuali, legami di
questo tipo hanno vantaggi che sono da considerare con attenzione. Tra i vantaggi c'è la
possibilità di cooperazione più complesse e rischiose, che viene ad essere maggiormente
sostenuta da un più forte cemento fiduciario. Tra gli svantaggi va però valutato il rischio di
una chiusura eccessiva delle reti, che potrebbe limitare le informazioni circolanti e influire
negativamente sui processi economici.
Per quanto riguarda i meccanismi di formazione del capitale sociale basati sulla
sperimentazione, a differenza di quelli precedenti, si fondono prevalentemente su legami
deboli. Si formano relazioni meno intense e più occasionali, un'impresa esterna o locale
può stabilire rapporti con altre aziende di una determinata area, se questi rapporti si
concludono con soddisfazione, possono ripetersi e generare legami sociali che vanno al di
là della singola transazione, rendendo anche possibili operazioni più complesse.
Quando manca una comune appartenenza è più difficile cooperare per la produzione di
beni collettivi. Ciascun attore può fidarsi poco degli altri e sulla stessa base giudica con
sospetto eventuali forme di collaborazione con altri soggetti. Oltre alla cosiddetta
conflittualità tra attori collettivi, possono diffondersi legami politici clientelari, in una
situazione in cui le appartenenze sono deboli e il consenso è più difficile da ottenere, i
politici locali possono essere spinti a usare le risorse che controllano per fini
particolaristici, a scapito della produzione di beni collettivi (è spesso successo nel Sud
Italia che si sviluppasse il cd. particolarismo sociale).
4
Granovetter M. The Strenght of Weak Ties, American Journal of Sociology, Vol 78 n° 6, 1973.
17
Vengono così privilegiate delle politiche che aumentano la possibilità di dividere le risorse
a fini di consenso (per esempio assunzioni indiscriminate di impiegati pubblici o
distribuzione di sussidi a imprese e famiglie).
In un quadro di questo tipo, non si migliora il contesto locale ma anzi si creano
comportamenti non favorevoli all'imprenditorialità economica e al mercato (Vedi gli studi
di R. Putnam 5
, 1994).
1.4 I distretti High-Tech: un esempio di sviluppo locale
Il mutamento dei processi produttivi e la sempre maggiore attenzione ai contesti locali
come fonte di sviluppo economico richiede un'attenta analisi delle caratteristiche strutturali
del sistema economico italiano, per garantire le corrette politiche pubbliche di intervento.
La crisi economica mondiale, oltre a quella italiana ha focalizzato l’attenzione sulla perdita
di competitività del nostro sistema industriale: i settori tradizionali, usualmente legati alla
produzione poco tecnologica e caratterizzata da una manodopera poco qualificata, non
sono in grado di tenere il passo rispetto alle grandi nazioni in via di sviluppo come Cina e
India; il fenomeno della delocalizzazione, che ultimamente molte imprese considerano
l'unico modo per tornare al passo con la concorrenza straniera, è una risposta alla crisi
spesso obbligata. D'altro canto, certe politiche di riammodernamento dei settori tradizionali
e un investimento verso i settori High-tech possono in qualche modo fornire una risposta
alla crisi: i distretti tecnologici in Italia sono uno degli aspetti più innovativi degli ultimi
trent'anni, la loro forte propensione all'innovazione, nita ad una rete locale di istituti di
ricerca può davvero rappresentare una svolta per il nostro sistema economico.
5
Putnam R. Making Democracy Work, Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, 1994.
In questa prospettiva è molto interessante il confronto tra Regioni della Terza Italia e del Mezzogiorno
effettuato dall’autore, che nelle sue ricerche ha attirato l'attenzione sulla mancanza nel Sud Italia di capitale
sociale, inteso come cultura civica ereditata da un passato lontano. Nella storia del mezzogiorno si è fatta
molto sentire la carenza di appartenenze sociali allargate.
18
1.5 I distretti industriali, alcune definizioni
La crisi del sistema fordista, che fino agli Anni Settanta ha dominato il mercato industriale,
ha creato un veloce mutamento del sistema industriale dei paesi avanzati. La costante
pressione dei mercati emergenti ha reso l'innovazione tecnologica una risorsa
fondamentale per le organizzazioni. I mercati si sono differenziati repentinamente e sono
diventati molto più instabili ed in questo contesto, si inizia a pensare che il processo di
innovazione tecnologica non debba essere più preso in considerazione dalle grandi
imprese, ma distribuito all'interno del mondo delle piccole-medie imprese, molto più
specializzate e vincolate al territorio in cui operano.
Una forte connessione con il territorio è alla base della nascita dei primi cluster
tecnologici: essi si fondano sulla vicinanza tra imprese immerse nello stesso contesto
produttivo e la circolazione della conoscenza attraverso la mobilità del lavoro. La storia dei
distretti industriali italiani è stata fondamentale per lo sviluppo economico.
A partire dagli Anni 90, la posizione delle imprese italiane sui mercati internazionali ha
cominciato a indebolirsi mettendo in crisi il sistema economico e spingendo le piccole
imprese dei distretti a riorganizzarsi in un'ottica più innovativa; è per questo diventato
evidente che il vantaggio competitivo non possa derivare solo dalla specializzazione della
manodopera ma richiede anche componenti basate sull'innovazione e sulla tecnologia. Per
questo motivo in Italia, si sono sviluppati degli agglomerati territoriali formati da piccole-
medie imprese con l'idea comune di basare la loro azione sull'innovazione e sulla
specializzazione settoriale: Si parlerà perciò di Distretti High-Tech.
19
«… Il distretto industriale è caratterizzato da un limitato ambito geografico caratterizzato
dalla presenza di un insieme di imprese di piccole e medie dimensioni, specializzate nelle
fasi di uno stesso processo produttivo, con una cultura locale ben definita e che
presentano una rete di istituzioni locali favorevoli all'interazione, competitiva e
cooperativa, sia fra imprese diverse, sia fra imprese e popolazione lavoratrice…».
(G. Becattini 6
, 1998)
Questa definizione mette in luce diversi aspetti del distretto industriale:
• l'importante ruolo delle istituzioni;
• il ruolo dei valori e della cultura presenti sul territorio;
• il ruolo del capitale sociale;
• il ruolo delle risorse umane.
Becattini cerca di mettere in luce le differenze e le similitudini tra i cluster, il
distretto industriale e il distretto High Tech. il primo elemento è rappresentato dal ruolo
delle istituzioni, come fattore fondamentale per la nascita dei distretti industriali. Le
istituzioni permettono di creare la rete di relazioni tra imprese e individui che è alla base
del concetto di distretto industriale. Un altro elemento è rappresentato dall'accumulazione
di capacità che, nell'ambito dei distretti industriali avviene mediante processi learning by
doing, attraverso i quali la manodopera, pur non avendo un alto livello di capitale umano in
partenza, sviluppa le conoscenze all'interno del processo produttivo. Tale meccanismo di
trasmissione delle conoscenze, favorisce un vantaggio competitivo che si manifesta con
l'aumento sostanziale della produttività della manodopera impiegata.
6
Becattini G. Distretti Industriali e Made in Italy, Bollati Boringhieri, Torino 1998.
20
Un altro elemento nell'ambito del distretto industriale è costituito dalla cultura locale,
ovvero quell'insieme di relazioni tra settore imprenditoriale e la comunità locale che
permette la circolazione delle conoscenze ed è alla base delle reti di relazioni. Questo
elemento ricopre un ruolo primario per la nascita dei distretti industriali e per la loro
crescita sul territorio italiano.
La cultura locale è sicuramente l'elemento che differenzia il distretto industriale dal cluster
tecnologico. I cluster tecnologici sono agglomerati geograficamente concentrati di imprese
connesse ed istituzioni associate in un particolare settore, legate da tecnologie e capacità
comuni. La crescita dei cluster è più facile in situazioni geografiche che consentano facilità
di comunicazione e di interazione personale, e si individuano a livello regionale o a livello
di singole città. Il distretto High-Tech è un elemento innovativo rispetto al distretto
industriale e al cluster.
M. Storper 7
(1997) definisce il distretto High-Tech come: «un sistema territoriale in cui
convivono componenti relazionali e cognitive e processi di accumulazione della
tecnologia»7
.
Tale definizione racchiude il concetto di aree in cui la dinamica dell'apprendimento si pone
alla base del processo produttivo e prevede una partecipazione attiva di tutti gli enti di
ricerca e di formazione all'interno del processo produttivo. Più in generale altri autori
definiscono il distretto High-Tech (lungo il corso del testo, per semplificare sarà chiamato
anche distretto HT) come l'insieme di aggregazioni territoriali di attività ad alto contenuto
tecnologico nel quale forniscono il proprio contributo, enti pubblici di ricerca, grandi
imprese, piccole imprese ed enti locali La presenza sul territorio di questi fattori è
essenziale perché si venga a creare un ambiente in cui i costi e i rischi della ricerca
scientifica siano sostenuti dalle imprese anche di piccole e medie dimensioni.
7
Storper M. The Regional World, Territorial development in Global economy, The Guilford Press, New
York. 1997.
21
Oltre ai diversi servizi legati alla ricerca e alla formazione, un ruolo di rilievo
fondamentale hanno i servizi finanziari, quelli di assistenza alle start-up e quelli legati al
marketing. In particolare, la finanza specializzata, specie nella forma del venture capital, è
fondamentale per lo sviluppo di attività High-Tech, in quanto gli investimenti in questi
settori tendono in media ad essere più rischio. Infine si deve tenere conto del ruolo della
cultura e del capitale sociale, fattori immateriali già precedentemente considerati come
elementi fondanti del distretto HT.
1.6 Analisi dei distretti High-Tech italiani
Il paragrafo precedente mostra alcuni elementi fondamentali per la nascita e l'evoluzione
dei distretti High-Tech. I processi che portano alla nascita di questi distretti sono molto
difficili da comprendere, specialmente sul territorio italiano dove i distretti HT hanno
assunto connotazioni diverse e si sono sviluppati in maniera non omogenea partendo
spesso da accordi privati tra imprese e non da una precisa volontà pubblica. Le principali
linee di ricerca in questo ambito possono essere ricondotte a due filoni principali:
• Il primo cerca di individuare i distretti High-Tech attraverso l'utilizzo di un numero di
variabili relative alla conoscenza e al potenziale delle risorse connesse agli aspetti
tecnologici. Attraverso queste analisi si cerca di riconoscere le aree dotate di livelli di
capacità innovativa e tecnologica più adatti alla nascita dei distretti HT. Il merito di questo
filone di ricerca è stato quello di portare alla luce aspetti ritenuti minori nell'identificazione
dei distretti stessi, come il ruolo del capitale sociale e della cultura locale.
• Il secondo filone di cerca si basa su una scelta a priori delle caratteristiche dei
distretti High-Tech, per l'identificazione della loro fisionomia. la scelta degli aspetti
rilevanti avviene attraverso specifiche analisi e confronti sulle realtà già esistenti: per
esempio attraverso la comparazione di diversi distretti, da cui emerge la presenza di
regolarità nella loro nascita. Questi studi hanno evidenziato la presenza di caratteristiche
comuni ai distretti High Tech, permettendo analisi empiriche specifiche sulle determinanti
dei distretti HT.
22
Bosi e Scellato 8
(2005) evidenziano alcuni degli aspetti maggiormente ricercati:
- la presenza di centri di ricerca pubblici;
- la presenza di imprese High-Tech (italiane o straniere);
- un elevato tasso di crescita delle imprese;
- la presenza di risorse umane qualificate;
- uno spirito imprenditoriale nel campo delle nuove tecnologie;
- la disponibilità di strumenti finanziari dedicati alle iniziative ad alto contenuto di
innovazione;
- la presenza di rapporti internazionali (di ricerca, tra imprese) e di imprese
multinazionali.
Negli ultimi anni, grazie ad un'intensa attività condotta dal MIUR (Ministero
dell'Università e della Ricerca) sono state sviluppate alcune ricerche specifiche sui
distretti High-Tech italiani. Queste indagini portate avanti a livello europeo, hanno come
finalità l'integrazione delle realtà esistenti in un quadro internazionale.
1.7 La normativa italiana sui distretti High-Tech
I distretti High-Tech, secondo il piano nazionale della ricerca 2005-2007 (PNR), sono
“aggregazioni territoriali di attività ad alto contenuto tecnologico nelle quali forniscono il
proprio contributo, enti pubblici di ricerca, grandi imprese, piccole imprese nuove o già
esistenti, enti locali. “ 9
8
Bosi G. Scellato G. Politiche Distrettuali per l’innovazione delle Regioni italiane , COTEC, 2005.
9
Vedi: http://www.miur.it/0003Ricerc/0141Temi/0478PNR_-_/0783PNR_20/4811Progra_cf3.htm.
23
L'affermazione del distretto High-Tech quale strumento di sviluppo economico all'interno
dei sistemi nazionali più evoluti, trae origine dalle linee guida per la politica scientifica e
tecnologica del governo approvate il 19 aprile 2002 ed è tutelata dal PNR 2005-2007; essa
segnala la necessità di creare, in numerose aree del paese, dei poli di ricerca e di
innovazione di eccellenza nell'ambito di progetti condivisi tra i vari attori del sistema
scientifico e dell'innovazione. A differenza dei distretti industriali, l'avvio dei distretti HT
utilizza più genericamente gli strumenti della politica della programmazione della ricerca
italiana. In particolare, il processo di collaborazione tra diversi soggetti pubblici
(amministrazioni centrali, regionali e locali) e privati avviene mediante il ricorso agli
strumenti della programmazione negoziata (accordi di Programma quadro, accordi di
Programma).
A tale proposito è opportuno soffermarsi sui rapporti istituzionali che proprio negli anni di
sviluppo dei DT hanno mutato il loro assetto. La riforma del Titolo V della Costituzione
del 2001, varata dopo un lungo iter normativo, individua il settore della ricerca scientifica e
tecnologica e il sostegno all’innovazione come materia concorrente tra Stato e Regioni. La
potestà legislativa spetta alle Regioni ad eccezione della determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
L’insediamento del Governo della XIV legislatura (30 maggio 2001) ed il nuovo assetto
istituzionale, inducono il MIUR a “formulare a questo stadio nuove linee guida anziché
procedere immediatamente alla stesura del documento di dettaglio” ovvero il PNR. Tale
documento programmatico individua quattro assi strategici tra cui l’Asse 4 “Promozione
delle capacità di innovazione nei processi e nei prodotti delle piccole e medie imprese e
creazione di aggregazioni sistemiche a livello territoriale”. L’Asse 4 sancisce il ruolo delle
Regioni nella programmazione delle azioni ad esso riferite ed individua come strumento di
attuazione il ricorso alla programmazione negoziata. Le linee guida pertanto, pur
anticipando la definizione del Distretto High Tech, non definiscono un quadro chiaro di
risorse con cui attivare tale strumento. L’occasione, per le Regioni del Mezzogiorno, si
manifesta con l’attuazione della delibera CIPE 17/2003. Il CIPE (Comitato per la
programmazione Economica), nel destinare le risorse del Fondo per le Aree Sottoutilizzate
(FAS), nella delibera 17/2003 vincola una quota destinata ad interventi gestiti dalle
24
Amministrazioni centrali (in particolare il MIUR ed il Dipartimento per l’innovazione
tecnologica della Presidenza del Consiglio dei Ministri) all’esito positivo di un percorso di
concertazione con le Regioni del Mezzogiorno. Inoltre, in considerazione del fatto che
l’assegnazione di tali risorse ricadeva nel centro del periodo di programmazione dei Fondi
strutturali 2000/2006 e che queste, per quanto riguarda le politiche di sostegno alla ricerca,
erano quasi esclusivamente indirizzate al mondo delle imprese, la delibera invita ad avere
particolare attenzione ai “profili dell’offerta, alle esigenze di alta formazione e ricerca sia
tecnica che umanistica”. Quindi, pur potendo destinare tali risorse al potenziamento della
ricerca di base e della formazione, il MIUR e le Regioni hanno optato concordemente per
sostenere azioni di ricerca industriale attraverso la costituzione di diversi DT nelle Regioni
meridionali. Contestualmente si arriva ad una prima definizione formale degli obiettivi e
delle caratteristiche dei DHT, intesi come strumento dell’Amministrazione Pubblica per
attuare una politica di sviluppo e diversificazione delle specializzazioni esistenti nei
diversi tessuti produttivi regionali. I principali interventi suggeriti sono:
1) prevedere la partecipazione di imprese del Distretto Tecnologico, imprese caratterizzate
da un elevato grado di competenze tecnologiche e/o di risorse disponibili per l’attività di
ricerca e sviluppo (R&S);
2) assicurare il collegamento potenziale con il tessuto di imprese sub-fornitrici esistenti
nella Regione o nel restante territorio dell’Obiettivo 1;
3) garantire effetti di riposizionamento competitivo degli attori regionali che possono
derivare dal progetto del DHT, soprattutto in termini di diversificazione e di
specializzazione produttiva;
4) essere in grado di determinare l’attrazione di nuove presenze high-tech di origine
esterna al territorio di riferimento del distretto;
5) assicurare la concentrazione spaziale di strutture scientifiche (pubbliche e private),
centri di competenza e organismi di alta formazione che possano essere coinvolti
25
nell’implementazione del progetto di Distretto HT;
6) favorire l’attivazione di relazioni privilegiate e stabili con fonti di innovazione e centri
di competenza esterni alla Regione che possano essere rafforzate attraverso il progetto di
Distretto Tecnologico;
7) promuovere il coinvolgimento degli attori di mercato (venture capital, organismi
imprenditoriali, Fondazioni bancarie, ecc.) interessati ad investire nelle azioni proposte
attraverso il DT a complemento dei finanziamenti di origine pubblica.
Successivamente, con una serie di delibere (n. 20/2004, n. 81/2004, n. 35/2005, n. 3/2006)
il CIPE avvia il finanziamento per l' attuazione dei DHT.
1.8 Le caratteristiche dei distretti High-Tech esteri
Un primo passo per l’analisi dei Distretti HT è quello di definire gli ambiti e le condizioni
che hanno portato alla loro nascita; un approccio storico al problema, che metta a
confronto le circostanze in cui sono nati i distretti High-Tech esteri rispetto a quelli italiani
potrebbe essere il più idoneo. Verranno successivamente presentati tre casi di eccellenza
nell’ambito dei distretti HT esteri, che delineano diverse esperienze effettuate in contesti
istituzionali differenti. In particolare, si è preso in esame un Distretto HT sviluppatosi negli
Stati Uniti, nello Stato della Georgia, caratterizzato da una forte spinta iniziale da parte del
Governo locale e il Distretto di Sophia Antipolis, in Francia, rappresentativo di una
situazione in cui è la capacità di attrazione sul territorio di grandi imprese estere a
determinare il successo di una iniziativa. Il caso di Cambridge in Inghilterra, ove già
esisteva un importante e affermata presenza dell’High-Tech, testimonia, invece, un
successo legato alla capacità di coordinare le risorse e le competenze di un grande centro
di ricerca pubblica. Sebbene i tre casi trattati presentino delle differenze e delle analogie,
l’analisi delle loro caratteristiche ci aiuterà a individuare alcune dimensioni comuni utili
per la valutazione delle strategie di policy di innovazione in ambito locale e per la
definizione di future linee-guida da applicare al caso Italiano.
26
1.8.1 Il distretto High-tech di Yamacraw (Georgia, Usa)
Fin dai primi Anni 60 nello Stato della Georgia furono avviate numerose iniziative con
l’obiettivo di realizzare una generale ristrutturazione dell’economia locale, promuovendo i
progetti di ammodernamento e favorendo lo sviluppo di industrie ad alto contenuto
tecnologico. Nello stesso periodo venne avviato un primo importante programma per
stimolare il trasferimento di conoscenze scientifiche e tecnologiche verso le industrie locali
e nel 1980 venne istituito uno dei primi incubatori tecnologici americani, l’Advanced
Technology Development Center, presso il Georgia Institute of Technology (GT), la più
grande università dello Stato. Negli Anni 80 e 90 lo Stato dello Georgia ha avviato diversi
progetti e ha investito ingenti capitali con l’obiettivo di creare sul territorio una base di
conoscenza scientifica e tecnologica di alto livello.
Tra queste iniziative, una delle più rilevanti è stata la creazione della Georgia Research
Alliance (GRA), un’organizzazione privata no-profit creata con l’obiettivo di coordinare le
attività delle diverse Università e centri di ricerca pubblici. Questa organizzazione,
favorendo l’incontro tra soggetti pubblici e privati, ha consentito di realizzare importanti
sinergie e reti di collaborazione che hanno contribuito a far nascere sul territorio un polo di
eccellenza tecnologico, soprattutto nel settore delle nuove tecnologie (in particolare, nel
settore dell'ICT, Information Communication Technology) In questo contesto, nel 1999 è
stato individuato il distretto di Yamacraw su iniziativa del governatore della Georgia. La
creazione del distretto è stata realizzata attraverso la stesura di un programma di iniziative
per favorire l’avvio di attività ad alto contenuto tecnologico nel campo delle tecnologie di
comunicazione a banda larga. Si tratta di un programma quinquennale focalizzato su tre
aree specifiche: broad band devices, embeddeds systems e prototyping.
Gli elementi caratterizzanti di questa iniziativa sono stati:
• l'avvio del programma di ricerca su temi di interesse industriale, con un investimento di
circa 5 milioni di dollari all’anno;
27
• la disponibilità di un ampio e crescente pool di laureati nelle aree di localizzazione del
distretto;
• la creazione di un fondo di investimento destinato alle start-up ad alto contenuto
tecnologico;
• la messa in atto di una vasta attività di marketing per attrarre capitali e risorse;
• la creazione di spazi per le imprese del distretto.
Attualmente il programma sembra aver ampiamente portato a termine gli obiettivi iniziali:
in pochi anni infatti, sono sorte più di 30 nuove imprese e alcuni tra i principali produttori
di componentistica elettronica per telecomunicazioni a livello mondiale hanno scelto di
localizzare sul territorio i propri impianti e laboratori di ricerca.
La caratteristica più evidente di questa esperienza è data dal forte impegno delle istituzioni
pubbliche nel favorire la nascita del distretto10
e nel sostenerne la crescita. Il distretto di
Yamacraw, infatti, nasce proprio per iniziativa dello Stato della Georgia che agisce come
soggetto propulsore, definendo le priorità e gli obiettivi del progetto, individuando le
strategie e gli strumenti operativi e sostenendo finanziariamente gran parte delle attività.
L’impegno pubblico si è concretizzato soprattutto nel sostegno alle attività di ricerca e di
formazione, con ingenti investimenti per favorire il raggiungimento di livelli di eccellenza.
Lo stanziamento statale complessivo, tra il 1999 e il 2004, è stato di circa 100 milioni di
dollari. Il fattore decisivo nel determinare il successo dell’iniziativa è stato senza dubbio
l’efficienza del sistema pubblico della ricerca e la sua capacità di instaurare cooperazioni al
suo interno e soprattutto con il mondo industriale, con il quale si è stabilita una stretta rete
di relazioni e collaborazioni che ha consentito di sfruttare commercialmente l’eccellenza
raggiunta in ambito scientifico.
10
Per un approfondimento si veda: http://www.senate.ga.gov/sro/Documents/Highlights/1999Highlights.pdf
28
1.8.2 Il Distretto High-Tech di Sophia-Antipolis (Francia)
Il distretto di Sophia-Antipolis, localizzato nell’entroterra di Antibes, tra Nizza e Cannes, è
Un parco tecnologico avviato all’inizio degli anni Settanta11
che ha ottenuto grande
successo tanto da essere spesso presentato come un importante caso di riferimento per le
attività HT in Europa. Un'idea della dimensione del fenomeno può essere offerta da pochi
dati: a partire dal 2000 il numero di imprese era di 1.193 e il numero di lavoratori in
quest’area nel settore HT era 21.535, mentre il numero di studenti e ricercatori era pari a
circa 5.000. Nella storia del distretto si possono individuare due fasi.
1) Nella prima fase di realizzazione del progetto, la strategia è stata quella di cercare di
attrarre nell’area il maggior numero di imprese senza un preciso disegno strategico in
termini di specializzazione produttiva. L’unico criterio di selezione era quello di preferire
attività ad alto contenuto di ricerca e sviluppo rispetto alle attività manifatturiere
tradizionali. Il progetto inizialmente si sviluppò quindi attraverso l’aggregazione spontanea
di attività anche molto diverse tra loro, senza alcuna strategia comune e senza alcun
intervento pubblico. Ben presto, però, apparve evidente che per sostenere lo sviluppo del
progetto era necessaria la partecipazione ed un sostegno finanziario diretto da parte delle
istituzioni pubbliche locali e nazionali. Nel 1977 la gestione del progetto divenne pubblica,
con un cambiamento nell’identità del progetto stesso. Esso, infatti, divenne un parco
internazionale in cui potevano essere localizzate attività industriali selezionate, non
inquinanti, ad alto contenuto di innovazione.
A partire dalla fine degli Anni Settanta, l’intervento delle istituzioni pubbliche consentì di
dare al progetto una dimensione internazionale con la localizzazione nell’area degli
impianti produttivi di numerose grandi imprese multinazionali, soprattutto americane.
11
Per un approfondimento si veda: http://www.sophia-antipolis.org/index.php/fondation-sophia
antipolis/documents/8-fsa/96-naissance-d-une-ville
29
L’aggregazione di attività, seppur su scala maggiore, rimase però in qualche modo casuale,
dunque non guidata da una precisa scelta di specializzazione. Le caratteristiche della prima
fase di sviluppo del progetto Sophia-Antipolis possono essere così riassunte:
• la localizzazione nell’area dei centri di R&S da parte di grandi imprese internazionali,
con l’obiettivo di adattare i loro prodotti al mercato europeo;
• la prevalenza di decisioni esterne nella gestione del progetto;
• l'alta diversificazione delle attività localizzate nell’area;
• il basso livello di interazione tra le diverse componenti del progetto.
Nonostante alcune criticità, la prima fase di sviluppo del progetto determinò risultati
estremamente positivi dal punto di vista quantitativo, con la creazione di circa 12.000
nuovi posti di lavoro alla fine degli Anni 80. L’intervento delle autorità pubbliche si
concentrò quindi su due obiettivi specifici: un'intensa attività di marketing nei confronti del
contesto internazionale, in particolare quello statunitense e la creazione nell’area di
infrastrutture e technical facilities per le imprese.
Quest’ultimo elemento, in particolare, ha reso l’area di Sophia-Antipolis estremamente
attraente per le grandi multinazionali (tra cui: Philips, Hitachi, IBM ed Hewlett Packard) e
le ha dato un grande vantaggio competitivo nei confronti di altre aree Europee. A fronte di
questi aspetti positivi rimaneva, tuttavia, la debolezza iniziale dovuta al carattere
essenzialmente esterno dello sviluppo, con attività innovative concentrate sopratutto in due
settori: il settore della computer science delle telecomunicazioni - microelettronica e il
settore delle scienze mediche.
Il settore della computer science delle telecomunicazioni e microelettronica ha
rappresentato il vero motore di sviluppo del progetto con circa il 75% delle attività,
mediante partnership di grandi imprese francesi, internazionali e con numerosi centri di
ricerca impegnati su questi temi.
30
2) La seconda fase di sviluppo, cominciata a partire dagli Anni 80, è stata caratterizzata dal
passaggio da un modello determinato essenzialmente da decisioni esterne ad un modello
orientato dalle decisioni interne. Tale trasformazione è stata resa possibile soprattutto
grazie ai risultati raggiunti durante la prima fase.
Soprattutto durante la seconda fase, si verifica un elevato aumento del numero di studenti
nell’area. In precedenza, infatti, solo pochi centri di formazione e di ricerca si erano
localizzati nell’area (Ecole Nationale Supérieure des Mines de Paris, Centre National de
la Recherche Scientifique, Institut National de Recherche en Informatique et Automatique).
Queste realtà non erano però sufficienti per la formazione delle risorse umane necessarie
per sostenere un adeguato sviluppo dell’area. Un cambiamento significativo si ebbe nel
1986 con la localizzazione nell’area di Sophia-Antipolis degli istituti di ricerca e dei
programmi di dottorato dell’Università di Nizza. La seconda fase di sviluppo del progetto
Sophia-Antipolis sembra dunque essere caratterizzata dai seguenti elementi:
• il continuo aumento nel numero delle istituzioni di ricerca localizzate nell’area;
• la diminuzione nel numero di grandi compagnie esterne che stabiliscono i loro impianti
produttivi dell’area.
• l’aumento nel numero delle start-ups locali, soprattutto nelle attività e nei servizi legati
all’ICT ;
• l’aumento dell’importanza di imprese piccole e molto piccole;
• l’aumento del coinvolgimento nel progetto dell’Università di Nizza;
• la creazione di una specifica atmosfera volta a favorire le interazioni e la collaborazione
tra i soggetti locali.
31
La debolezza iniziale del modello di sviluppo viene dunque corretta con un profondo
cambiamento di strategia, mentre la diminuita presenza di grandi imprese nell’area crea
un’occasione di sviluppo per nuove start-ups locali. L’esempio più famoso è quello dello
stabilimento della Digital Equipment Company che riduce i suoi dipendenti da più di 1.100
a poco più di 200, dopo l’acquisizione da parte di Compaq. Molti di questi lavoratori,
estremamente qualificati, non accettarono di lasciare la regione e cercarono di farsi
assumere da altre imprese locali o di creare loro stessi nuove start-ups.
Contemporaneamente molti Istituti di Ricerca riuscirono ad implementare a scopo
commerciale le conoscenze scientifiche sviluppate, sia attraverso brevetti e licenze
concesse alle imprese, sia direttamente dando vita a nuove imprese.
Tra gli aspetti negativi dell’esperienza del distretto Sophia Antipolis, va citata la mancanza
di una forte tradizione industriale nella regione. Di conseguenza le SMEs (Small and
Medium Enterprises) sono poche e rappresentano ancora oggi un’evidente debolezza del
progetto Sophia-Antipolis. Le SMEs presenti nella regione sono nate per lo più nel settore
ICT, ma sono poco numerose ed ancora piuttosto fragili. Alcune di esse sono riuscite ad
espandersi su tutto il mercato francese creando società sussidiarie nell’area; soltanto un
numero minore di imprese è riuscito a realizzare progetti di collaborazione con grandi
imprese locali. Anche le politiche pubbliche, sia nazionali sia locali, hanno inizialmente
contribuito a determinare un modello di sviluppo fortemente dipendente da fattori esogeni.
Esse sono state prevalentemente orientate a favorire l’attrazione nell’area di risorse esterne,
soprattutto internazionali.
Tali debolezze erano particolarmente evidenti nella prima fase del progetto ma hanno
continuato ad esserlo anche nella seconda. Le istituzioni pubbliche, infatti, non hanno
contribuito con una politica coerente al passaggio verso un modello di sviluppo
determinato internamente e meno dipendente dal contesto esterno. Tra i fattori positivi del
modello di sviluppo vi sono però gli ingenti investimenti effettuati per la realizzazione di
infrastrutture e di technical facilities per le imprese. Tra queste, in particolare hanno avuto
grande importanza per lo sviluppo del distretto:
32
1) la telecommunication network, basata sulla tecnologia in fibra ottica: negli Anni 80
proprio questa realizzazione contribuì in modo decisivo al riconoscimento di Sophia-
Antipolis come centro di eccellenza nell’area ICT;
2) il progetto CICA (International Center for Advanced Communication), un sistema
integrato di servizi comunicativi d’avanguardia a disposizione delle aziende locali.
Va ricordato che a fine del 2013 Huawei (colosso Cinese delle telecomunicazioni) ha
deciso di inaugurare il nuovo centro di Ricerca e Sviluppo in questo distretto. Il CEO e
fondatore Huawei Ren Zhengfei afferma in un intervista che:
«…tale decisione è stata dettata, dal fertile ecosistema IT del polo tecnologico, e dalla
grande competenza nel settore dei tecnici presenti sul territorio. Conosciuti in tutto il
mondo per il loro know how in materia dei dispositivi tecnici elettronici e software…»12
12
http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/29730_huawei-inaugura-il-centro-rd-di-sophia-antipolis.htm
33
1.8.3 Il Distretto High tech di Cambridge (UK)
Il Cambridge Science Park 13
venne istituito dal Trinity College nel 1973 ma inizialmente
ebbe uno sviluppo piuttosto lento. Venne inaugurato ufficialmente solo nel 1976 e a due
anni da quella data risultavano solo sette membri del distretto e poco più del 20% delle
strutture inizialmente previste risultava già realizzato. Ciò era legato essenzialmente ai
criteri estremamente selettivi applicati dal Trinity College per l’ammissione al Parco.
Nei primi Anni 80 numerose sussidiarie inglesi di grandi multinazionali cominciarono a
localizzare in quest’area i loro impianti (le prime due furono la svedese LKB Biochrom e
l’americana Coherent, leader nelle tecnologie laser).
Attorno alla seconda metà degli Anni 80 il numero di compagnie nel parco era pari a circa
25. Seguì un periodo di intensa crescita in termini sia di imprese presenti sia di
infrastrutture e facilities. Nella seconda metà degli anni Ottanta numerose società di
venture capital aprirono propri uffici all’interno del Parco, favorendo così la creazione di
nuove imprese. Nello stesso periodo furono create le prime associazioni di imprese del
Parco, quali Qudos, fondata dal laboratorio di microelettronica dell’Università di
Cambridge, Prelude Technology Investments e Cambridge Consultants.
Negli Anni 90 il numero di imprese nella regione di Cambridge era pari a circa 1.200 con
l’impiego di oltre 35.000 dipendenti. In questo periodo vennero creati numerosi incubatori
in tutta la regione ed aumentò in modo significativo la disponibilità di finanziamento da
parte di società di venture capital. Se inizialmente le attività prevalenti nel parco erano
quelle legate all’ICT, sul finire degli Anni Novanta cominciano ad assumere sempre
maggiore importanza le cd. scienze della vita, fino a diventare il settore prevalente.
Attualmente sono circa 75 le imprese all’interno del parco con l’impiego di più di 4.000
dipendenti. Nelle aree circostanti vi è il St. John’s Innovation Centre (www.stjohns.co.uk),
creato nel 1987, che ospita circa 64 start-ups high-tech, con l’impiego di circa 1.000
dipendenti e altre 52 imprese tecnologiche sono localizzate nella regione di Cambridge.
13
http://www.cambridgesciencepark.co.uk/about/history/
34
In totale quindi, la regione può contare su poco più di 1.000 imprese hightech, con circa
27.000 dipendenti ed è la regione europea con il più alto livello di concentrazione nell’alta
tecnologia. La presenza di un Centro Universitario e di altri centri di ricerca di eccellenza
costituiscono un indubbio stimolo al processo di sviluppo imprenditoriale. Negli Anni 70 e
80, molte delle imprese sviluppatesi all’interno del Parco nacquero direttamente
dall’iniziativa di ricercatori universitari alla loro prima esperienza imprenditoriale. La
maggior parte delle imprese del Cambridge Science Park sono però rimaste relativamente
piccole. Ciò è in parte dovuto allo specifico orientamento del Parco verso la ricerca
scientifica di base.
Bisogna considerare però che, se da un lato la specializzazione del Parco e la selettività del
Trinity College hanno limitato il numero e le dimensioni delle imprese al suo interno,
dall’altro, proprio queste caratteristiche hanno favorito lo sviluppo di un centro di
eccellenza scientifica e tecnologica di altissimo livello i cui effetti positivi si riflettono in
gran parte sulle imprese collocate nelle aree circostanti. All’esterno del Parco si è infatti
sviluppata una rete piuttosto vasta di attività di supporto e di servizi ausiliari. Nel
Cambridge Science Park e nelle aree circostanti è localizzato circa il 60% degli impianti
hi-tech dell’intera regione di Cambridge. In conclusione, molti studi hanno evidenziato la
straordinaria vitalità del distretto di Cambridge (paragonabile solo a quella della Silicon
Valley) nella realizzazione di attività imprenditoriali e nello sviluppo di istituzioni e
organizzazioni di supporto sorte senza l’intervento pubblico.
35
1.9 I distretti High-Tech in Italia
Per quanto concerne l’Italia, l’intensa attività d'indagine svolta dal MIUR14
ha portato
all’identificazione di 27 Distretti Tecnologici relativi a vari settori e distribuiti nelle
seguenti Regioni:
• Campania: 1 (materiali polimerici e strutture);
• Piemonte: 1 (tecnologie wireless);
• Veneto: 1 (nanotecnologie);
• Liguria: 1 (sistemi intelligenti integrati per la logistica);
• Lombardia: 3 (ICT, biotecnologie, materiali avanzati);
• Sicilia: 3 (micro e nanosistemi, agro-bio e pesca ecocompatibile, logistica);
• Lazio: 3 (aerospazio e difesa, farmaceutico, beni e delle attività culturali);
• Emilia Romagna: 1 (Hi-Mech);
• Sardegna: 1 (biomedicina e tecnologie per la salute);
• Calabria: 2 (beni culturali, logistica);
• Friuli-Venezia Giulia: 1 (biomedicina molecolare);
• Puglia: 3 (biotecnologie, hi-tech, meccatronica);
• Toscana 1: (ICT);
• Trentino Alto Adige: 1 (tecnologie per l’edilizia sostenibile).
Inoltre, sono in corso i lavori per la costituzione di altri 4 Distretti nelle Regioni Abruzzo
(innovazione, sicurezza e qualità degli alimenti), Basilicata (tecnologie innovative per la
tutela dei rischi idrogeologici), Molise (innovazione agroindustriale), Umbria (edilizia
sostenibile). Sebbene l’identificazione abbia raggiunto buoni risultati, appare oggi evidente
che non è possibile tracciare un quadro globale sul processo alla base della nascita di questi
DHT. Infatti, come verrà chiarito in seguito, molto spesso la nascita dei Distretti High-
Tech è avvenuta in maniera spontanea e non attraverso un preciso quadro progettuale. In
altre parole, l’interazione tra le imprese ha creato un terreno fertile per l'interazione e lo
scambio di conoscenze, senza servirsi delle istituzioni come mediatori.
14
Per un approfondimento si veda: http://leg16.camera.it/561?appro=92#paragrafo631.
36
È inoltre importante notare che all’interno delle realtà individuate dal MIUR ci sono
diversi gradi di realizzazione del Distretti HT partendo da realtà già ampiamente
consolidate come i Distretti HT del Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna fino ad
arrivare a realtà proto-distrettuali come i Distretti del Veneto e del Lazio.
In questo ambito verranno analizzate in modo approfondito alcune realtà distrettuali
italiane (tra cui: Torino Wireless, Biotech in Lombardia, High Mech in Emilia Romagna,
Nanotecnologie in Veneto e Aerospazio in Lazio) ed il capitolo 3 sarà interamente dedicato
al distretto High-Tech Genovese e nello specifico all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di
Genova, vero fulcro della presente trattazione.
1.9.1 Torino Wireless
Il Distretto HT Torino Wireless15
si contraddistingue per l’adozione di una forma
strutturata di governance delle proprie attività (una fondazione), che appare
particolarmente efficace nel coordinamento delle risorse. Il distretto si fonda sulla presenza
locale di un polo di ricerca accademica di eccellenza nell’ambito tecnologico di pertinenza.
La presenza di un focus sulle telecomunicazioni è testimoniata sia dalla performance dei
brevetti sia dai dati sui finanziamenti MIUR e sui progetti europei.
Il distretto è stato in grado di attrarre risorse pubbliche e ha saputo formare partnership con
strutture di supporto all’imprenditorialità innovativa già presenti sul territorio; in
particolare, il progetto distrettuale sembra porre una particolare attenzione ai temi della
proprietà intellettuale, prevedendo interventi al fine di garantire i vantaggi competitivi per
le imprese che introducano innovazioni di processo e di prodotto ma, al tempo stesso,
incentivando la propagazione delle innovazioni all’interno del settore. In tal modo il
distretto ha saputo generare esternalità positive all'interno del contesto locale.
15
http://www.torinowireless.it/index.php?IDpage=5708&lang=ita.
37
Data l’importanza della protezione degli assets legati all’attività culturale, negli ultimi anni
si è messa in atto un’attenta politica di creazione, gestione e valorizzazione dei Diritti di
Proprietà Intellettuale (DPI) in qualunque forma: brevetto, diritto d’autore, segreto
industriale, che sono strumenti utili a capitalizzare un bene intangibile come la conoscenza.
La valorizzazione dei diritti di proprietà intellettuale avviene sia tramite forme tradizionali
come la licenza d’uso, sia attraverso forme innovative come l’avvio di start-up.
Nell’economia del distretto i DPI svolgono un’importante funzione di collegamento fra
l’aspetto tecnologico, industriale e quello economico. In maggior dettaglio, il DHT
piemontese si caratterizza per l’elevata presenza di personale del settore ICT (oltre 7.000
addetti) e per l’intensa attività brevettuale, che vede attribuirsi alle aziende nella sola
provincia di Torino il 20% dei brevetti nazionali.
Dal punto di vista settoriale, il distretto è dedicato all’ICT ed è strutturato in 4 settori
principali:
• le tecnologie software: sistemi operativi, linguaggi e applicativi per elaborazione e
trasmissione di informazioni;
• le tecnologie multimediali: applicativi orientati al trasferimento di dati, da immagazzinare
e trasferire;
• dispositivi microelettrici e ottici: i componenti di base per lo sviluppo di sistemi di
telecomunicazione e trasferimento dell’innovazione;
• tecnologie wireline: i sistemi di telecomunicazione su cavo.
Una rilevante generazione di valore deriva dall’interazione fra le tecnologie ICT ed i
comparti industriali presenti all’interno contesto piemontese. Infatti, la diffusione delle
tecnologie ICT nei settori industriali tradizionali contribuisce all’evoluzione dei loro
prodotti e modelli di servizio e ne aumenta il valore aggiunto, costituendo un importante
mezzo per la crescita del Distretto.
38
Rispetto alla capacità d'interazione con agenti economici esterni alla Regione, il distretto
ha saputo impiegare nel modo consono la leva strategica degli investimenti da parte di
società estere, come Motorola 16
, che nel 2000 si è stanziata sul territorio impegnandosi in
attività di R&S. L’apertura internazionale del distretto è stata promossa anche attraverso
l’organizzazione di conferenze scientifiche internazionali nell’ambito delle
telecomunicazioni. Le attività distrettuali si sono indirizzate al settore delle piccole e medie
imprese, tramite interventi di finanziamento di progetti innovativi e l’adozione di misure
atte a favorire lo sviluppo locale.
1.9.2 Biotecnologie in Lombardia
Il distretto delle Biotecnologie in Lombardia si sviluppa attraverso strumenti operativi e
manageriali già presenti all’interno della Regione (Per maggiori informazioni si rimanda al
sito ufficiale17
). Milano è attualmente sede della più importante concentrazione italiana del
settore biomedico, sia pubblico che privato. Nella città operano 1.897 imprese attive nel
settore della Sanità e in altri servizi sociali ad essa collegate. Nella provincia hanno sede
124 delle 210 grandi imprese farmaceutiche aderenti a Farmindustria con oltre 2.000
addetti alla ricerca, circa il 20% del totale nazionale, e sono concentrati in 29 centri di
ricerca. Queste industrie esportano medicinali e prodotti di base per 6,5 miliardi di euro, il
45% del totale nazionale. Anche la nascente industria biotecnologica ha sede nel
capoluogo lombardo e numerosi tra i farmaci più innovativi a livello mondiale sono stati
sviluppati da aziende milanesi, che tuttora detengono una notevole capacità di scoperta e di
sviluppo. Snodo centrale del distretto è il nuovo polo intitolato al premio Nobel per la
medicina Renato Dulbecco (1914-2012), che opererà principalmente negli ambiti della
farmacogenomica (lo studio della correlazione tra effetto dei farmaci e caratteristiche
genetiche individuali), dello sviluppo di farmaci basato sulle nuove conoscenze
scientifiche quali quelle sul genoma umano, e della ricerca sulle cellule staminali e sulle
loro applicazioni cliniche.
16
http://www.967arch.it/1423/motorola_torino/
17
http://www.biotecnolombardia.it/pdf/scheda_distretto_bio_lombardia.pdf
39
In particolare, l’iniziativa a favore delle biotecnologie viene realizzata dedicando
specificamente a tale ambito tecnologico una quota di risorse e servizi erogata tramite
strumenti legislativi già in atto. Si può rlevare che tra le iniziative di policy mancano
invece, al momento, specifici interventi dedicati alla formazione sulla proprietà
intellettuale, elemento peraltro di assoluto rilievo nel settore delle biotecnologie.
1.9.3 Hi-Mech in Emilia Romagna
Il distretto Hi-Mech in Emilia-Romagna si basa su un progetto focalizzato sul networking
per la ricerca lungo le filiere produttive della meccanica, coerentemente con le
caratteristiche strutturali del sistema regionale di innovazione. Il settore meccanico è il
motore originario dello sviluppo tecnologico dell’industria italiana: produce oltre il 40%
del valore aggiunto dell’industria manifatturiera (90 miliardi di euro) e contribuisce
all’export complessivo per il 48%. L’industria meccanica in Emilia-Romagna rappresenta
il 43% del comparto manifatturiero, il 55% delle esportazioni e, con oltre 28.000 imprese,
costituisce una delle più alte concentrazioni del Paese, in particolare nella produzione di
macchine per l’industria e nella filiera ‘automotive’. Distribuite su tutto il territorio
regionale, con una particolare presenza nelle Province centrali, le imprese meccaniche
esprimono quasi il 70% della domanda di ricerca del settore industriale. L’Emilia
Romagna è anche una delle Regioni italiane che realizzano la maggior attività di ricerca,
con il 10,5% dei ricercatori a fronte del 6% della popolazione nazionale. Presso le
Università della Regione, il CNR, l’ENEA e l’INFM operano, con competenze specifiche
d’interesse del settore meccanico, 30 dipartimenti e istituti di ricerca che impiegano
complessivamente 1.600 ricercatori18
. Svolgono inoltre attività rilevanti per la meccanica,
104 dei 230 laboratori accreditati dal MIUR e 19 dei 30 centri per l’innovazione e il
trasferimento tecnologico presenti in regione. Hi-Mech è distribuito su tutto il territorio
regionale e si configura come una rete di eccellenza interdisciplinare focalizzata sulla
meccanica avanzata, che prevede come strumento operativo i laboratori a rete (Net-Lab).
18
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ricerca/ricerca-internazionale/technological-district/emilia-
romagna
40
Ogni Net-Lab raccoglie e organizza le migliori competenze in uno specifico settore di
ricerca, in grado di raggiungere l’eccellenza nella ricerca industriale e di trasferire
efficacemente tecnologia. I Net-Lab mettono in rete laboratori, strumentazioni e facilities e
ne creano di nuovi, sviluppano nuovi progetti di ricerca e trasferimento tecnologico,
formano talenti e attraggono nuove risorse umane di elevato profilo scientifico e
tecnologico, elaborano un programma per la creazione di nuove imprese Hi-Tech con
riferimento al settore meccanico. Un’accurata analisi del fabbisogno delle imprese,
dell’offerta di competenza nel mondo della ricerca e l’identificazione delle aree di sviluppo
più promettenti secondo studi di technology foresight, hanno determinato la scelta di 3
ambiti tecnologici, a cui fanno riferimento i Net-Lab:
• metodi innovativi per l’ingegneria meccanica (tecnologie per la progettazione:
simulazione e progettazione integrata, rumore e vibrazioni);
• sistemi meccanici intelligenti (meccatronica e automazione: sensori, attuatori e sistemi di
automazione per l’industria meccanica; tecnologie, prodotti e processi in atmosfera
controllata e modificata);
• materiali, superfici e nanofabbricazione (materiali e superfici: nano-fabbricazione,
materiali per la progettazione avanzata, superfici e ricoprimenti per la meccanica avanzata
e la nanomeccanica).
Nei 3 ambiti tecnologici sono state identificate 8 aree di ricerca alle quali corrispondono gli
8 Net-Lab:
1. Metodi innovativi per l’ingegneria meccanica
SIMECH: simulazione e progettazione integrata nel settore automotive e della meccanica
avanzata, simulazione e progettazione integrata – simulazione avanzata per il veicolo;
41
LAV: laboratorio di acustica e vibrazioni, monitoraggio e diagnostica mediante analisi
sperimentali e simulazioni vibro-acustiche - controllo attivo e passivo del rumore e delle
vibrazioni.
2. Sistemi meccanici intelligenti
AUTOMAZIONE: sensori, attuatori e sistemi di automazione per l’industria meccanica -
studio e sperimentazione di sistemi di controllo embedded su architetture distribuite con
applicazioni in campo automotive, robotica e macchine automatiche - sviluppo di tecniche
diagnostiche per sistemi di automazione fault-tolerant in campo automotive, robotica e
macchine automatiche - sviluppo di sistemi robotici ad elevata interazione con l’ambiente
con particolare riferimento alla telemanipolazione, alle interfacce evolute ed alla
navigazione autonoma;
MECTRON: applicazioni meccatroniche - progettazione meccatronica per la generazione,
la trasmissione ed il controllo del moto - diagnostica, affidabilità e sicurezza del prodotto
meccatronico;
TECAL: tecnologie, prodotti e processi in atmosfera controllata - sviluppo di tecnologie
asettiche nel confezionamento di liquidi alimentari - progettazione e ingegnerizzazione di
ambienti di lavoro a contaminazione controllata.
3. Materiali, Superfici e nano-fabbricazione
NANOFABER: nanofabbricazione e processi con controllo spaziale nanometrico di
materiali multi-funzionali - fabbricazione ed integrazione di dispositivi in materiali
convenzionali e relativi dimostratori;
MATMEC: materiali e processi per la progettazione meccanica - caratterizzazione dei
materiali per l’ingegneria meccanica - applicazione dei materiali nell’ingegneria
meccanica. La forma di governance adottata appare adeguata. Dal punto di vista
organizzativo il processo di individuazione di cluster tecnologici risponde a pieno
42
all’esigenza di mappatura delle competenze scientifiche e tecnologiche presenti sul
territorio. L’organizzazione e la tipologia delle attività del distretto appaiono ben inserite
all’interno del quadro legislativo adottato dalla Regione Emilia Romagna.
Uno degli aspetti positivi di maggior rilevanza risiede nella effettiva progettazione di un
network di laboratori di ricerca delocalizzati, orientati a favorire il trasferimento
tecnologico verso la media impresa.
1.9.3 Nanotecnologie in Veneto
Il Distretto Tecnologico delle Nanotecnologie in Veneto19
si trova ancora in una fase di
avvio. Il focus del Distretto sarà l'applicazione delle nanotecnologie ai materiali: proprietà
strutturali e funzionali, nano-componenti per l'industria elettronica, nanocomposti per la
biomedicina e la farmaceutica, nano-sistemi per le parti elettromeccaniche tradizionali di
dimensioni micro e nanoscopiche.
Le nanotecnologie di base saranno le nano-strutture e le analisi e modelli. Il Distretto
Tecnologico è caratterizzato da una buona presenza locale di competenze tecnologiche
nell’area di ricerca delle applicazioni delle nanotecnologie. La forma di governance
adottata è quella della società consortile che vede al suo interno la partecipazione di
imprese locali, Regione ed Università. In ragione sia delle caratteristiche della ricerca di
base che interessano l’ambito tecnologico di riferimento, sia delle caratteristiche del
sistema regionale di innovazione, le attività del distretto dovranno essere orientate non solo
al trasferimento tecnologico ma anche e soprattutto all’attrazione sul territorio di
ricercatori accademici altamente qualificati. Inoltre, il comparto delle nanotecnologie
sembra prestarsi poco ad attività tradizionali di trasferimento tecnologico verso la piccola e
media impresa già presente sul territorio. Gli strumenti di policy dovranno essere
indirizzati ad offrire ai centri di ricerca distrettuali ampie opportunità di accesso ai network
di ricerca di eccellenza tramite finanziamenti per la mobilità dei ricercatori e la
partecipazione a grandi progetti di ricerca internazionale.
19
Per un approfondimento si veda: http://www.venetonanotech.it/.
43
1.9.4 Aerospazio in Lazio
Come il distretto veneto, il distretto Aerospaziale del lazio20
si trova in una fase di start-up.
La Regione Lazio del resto ha scarsa esperienza anche in riferimento ai distretti industriali
tradizionali. Il Distretto Tecnologico non prevede al momento una specifica forma di
governance basata su un ente consortile. A causa della moderata performance brevettuale
della Regione nel campo delle tecnologie aerospaziali, è plausibile ipotizzare che
l’efficacia del distretto nel medio periodo dipenderà dalla capacità di attrarre localmente
grandi imprese coinvolte nella filiera produttiva dell’ aeronautica e dalla capacità di
sviluppare un efficiente sistema di networking che garantisca successivamente la
partecipazione ad importanti commesse internazionali. In questo senso è opportuno
sottolineare come siano presenti nelle linee guida del distretto due specifici punti:
• interventi per la grande impresa;
• sostegno a grandi progetti.
L’assenza di un’istituzione preposta al governo del distretto, d’altra parte rischia di dilatare
i tempi necessari per la realizzazione di partenership con altri hub tecnologici specializzati
nel settore aerospaziale (ad esempio, con i centri di Torino presso il Politecnico ed Alenia
Spazio21
).
20
http://www.lazio-aerospazio.it
21
http://www.finmeccanica.com/business-mercati-markets/settori/spazio/thales-alenia-space
44
1.10 Le determinanti del distretto High-Tech
L’obiettivo strategico enunciato dal Consiglio Europeo di Lisbona del 23-24 Marzo del
200022
propone il passaggio verso società ed economie fondate sulla conoscenza. In
quest’ambito, risulta importante il sapere incorporare capacità elevate di generazione e
diffusione dell’innovazione nelle imprese e nella società. Due sono le principali strade
individuate per il raggiungimento di questo obiettivo.
• La prima, a carattere tradizionale, colloca la generazione dell’innovazione prima del
processo produttivo in una logica di sviluppo lineare, che procede a cascata
dall’invenzione e prima elaborazione dell’idea innovativa in grandi laboratori di ricerca, al
suo sviluppo e commercializzazione per l’uso entro la produzione di beni e servizi ad opera
delle imprese. Il mutamento delle dinamiche industriali, con il passaggio da grandi imprese
accentrate verticalmente ad un decentramento delle fasi produttive, mette in crisi questa
visione, rendendo più difficile l’incontro fra l’offerta e la domanda di innovazione, quando
le fasi differenti non siano riunite sotto il “tetto” di grandi imprese.
• Alla visione tradizionale si è andata affiancando una visione alternativa fondata
sull’interazione di piccole e medie imprese, strettamente legate al territorio in cui operano.
Il riconoscimento di città dinamiche, Distretti HT, Regioni metropolitane e sistemi
regionali di innovazione come specifiche unità di indagine e di politiche è un punto
centrale per l’adozione di strutture di intervento (e di identificazione degli obiettivi delle
politiche) basate sulla promozione di reti di attori più o meno radicati localmente. E’
importante notare che l’analisi presentata in questa parte si pone l’obiettivo di analizzare i
contesti che meglio si prestano alla nascita dei Distretti HT, e per questo motivo sono stati
individuati, a priori, alcuni aspetti fondamentali che derivano dalla definizione di Distretto
HT e che assumono un ruolo centrale nel determinare le performances dei Distretti stessi.
22
La cd. Agenda di Lisbona è un programma di riforme ti carattere economico approvato a Lisbona dai capi
di stato e di governo delle nazioni dell’Unione Europea. Tra i vari temi trattati vi sono: Innovazione, Capitale
umano e sviluppo sostenibile. Per analizzare le conclusioni tratte dal consiglio Europeo:
http://www.europarl.europa.eu/summits/lis1_it.htm
45
1.11 Analisi comparativa delle performance innovative nell’area UE
Il volume degli investimenti in R&S rappresenta uno dei principali input del processo
innovativo. Secondo l’indagine condotta dalla Fondazione COTEC (2009), Nell’area
europea, tra il 1990 e il 2006, gli investimenti in R&S sono aumentati in tutte i principali
Paesi, compresa l’Italia. Nel caso italiano, l’incremento maggiore è avvenuto tra il 2000 e
il 2006 ed è stato in media del 2,5%. Questo dato conferma un importante mutamento delle
dinamiche industriali, con il passaggio da piccole e medie imprese, a basso contenuto
tecnologico, verso imprese più legate a settori strategici High-Tech. L’incremento della
percentuale di investimento in R&S dell’Italia è stato secondo solo a quello di Germania e
Spagna, Paese quest’ultimo che ha assistito, negli ultimi anni, a una forte espansione dei
propri investimenti in R&S. Come mostra la Figura 1, in cui si riportano le percentuali di
investimento in R&S sul Prodotto Interno Lordo, per i Paesi UE-15 il gap tra i leader
europei in R&S e i followers (tra cui l’Italia), non sembra affievolito e si assiste oggi ad
una netta separazione tra le zone dell’Europa del Centro-Nord e quelle del Sud-Ovest.
Figura 1 - Intensità degli investimenti in R&S in percentuale del PIL (Fonte: OECD 2008).
46
La quota maggiore di investimenti in R&S è attribuita ai Paesi dell’Europa del Nord e ad
alcuni Paesi dell’Europa centrale. I paesi in coda sono Irlanda, Portogallo, Italia e Grecia.
Questo dato è confermato anche dall’ampiezza del settore R&S descritto attraverso il
numero degli addetti. Infatti, come mostra la Figura 2, i leader sono i Paesi dell’Europa del
Nord e in particolare quelli della penisola scandinava. Dato interessante è quello
dell’Inghilterra che, sia per percentuale d’investimenti, che per ampiezza del settore R&S,
è al di sotto della media Europea.
Figura 2 - Addetti alla R&S sul totale degli occupati, zona UE-15 (Fonte:OECD).
47
La Tabella 1 mostra un quadro estremamente differenziato, con una netta prevalenza del
settore privato come principale finanziatore della spesa in R&S, specialmente nell’Europa
settentrionale e una quota ampia di alta formazione in Paesi come Grecia, Italia, Portogallo
e Spagna.
Tabella 1 - Principali enti finanziatori della spesa in R&S (Fonte: OECD 2008).
In particolare, la Grecia è la nazione europea con la prevalenza maggiore del settore
pubblico nei R&S. In Italia la composizione dei R&S è da attribuirsi in parti uguali al
settore pubblico e privato, anche se negli ultimi anni la prevalenza del settore privato sta
acquisendo un ruolo sempre maggiore, passando dal 2000 al 2006 da 1,2% al 4,1%
(COTEC, 2009). Quanto emerso dall’analisi degli investimenti in R&S, può essere solo in
parte esteso alle performance innovative nei paesi UE-15. Come mostrato dalla Figura 3,
infatti, a fronte di un investimento, in media più basso, l’Italia ha un numero di brevetti sul
totale della popolazione superiore alla media Europea. Questo dato è in linea con gli
andamenti all’interno del periodo, con un incremento da 117 a 400 brevetti nel lasso
temporale 2000-2006.
48
Figura 3 - Quota dei brevetti sul totale della popolazione, zona UE -15. (Fonte: OECD 2008)
Tabella 2 - flussi attivi e passivi della bilancia Tecnologica dei pagamenti, incidenza % rispetto al PIL.
(Fonte: OECD 2008)
La performance brevettuale cattura solo in parte l’output innovativo dei Paesi UE-15. Un
altro indicatore è costituito dalla bilancia tecnologica dei pagamenti. Questo indicatore
misura la differenza tra importazione ed esportazione di tecnologia. La Tabella 2 riporta i
flussi attivi e passivi che compongono la bilancia tecnologica dei pagamenti (in
percentuale del PIL). In Italia la bilancia tecnologica dei pagamenti registra un passivo fino
49
al 2006 a differenza di altri paesi concorrenti, come Regno Unito, Germania e Francia
(COTEC 2009). Questo dato rispecchia un mutamento delle dinamiche tecnologiche, con
un progressivo rafforzamento di settori ad alta concentrazione tecnologica nei Paesi in
attivo. La tendenza è confermata anche dalle quote esportative per i principali settori ad
alta tecnologia, quote presentate nella Tabella 3.
Tabella 3 - Quote di esportazioni per i principali settori ad alta tecnologia, zona UE- 15 (Fonte: OECD 2008)
L’elemento più interessante che emerge dalla Tabella 3 è rappresentato dalla composizione
delle esportazioni in Italia. I primi due settori nazionali per quote esportative sono il
settore farmaceutico e quello dell’Aerospazio. Entrambi i settori rappresentano due dei
principali Distretti HT, individuati dal MIUR, e sono molto concentrati nella Provincia di
Roma. Il quadro descritto fino ad ora tralascia un aspetto fondamentale per la performance
innovativa, quello che riguarda la dotazione di capitale umano. Sia sul fronte della forza
lavoro impiegata nel settore manifatturiero, che su quello della dotazione di capitale umano
prodotto dalle scuole e dal sistema universitario, l’Italia manifesta la sua debolezza. Ad
esempio, secondo il rapporto COTEC (2009), in Italia solo il 13% della forza lavoro ha una
qualifica universitaria, a fronte di un 26% della media europea. Il dato più preoccupante è
il tasso di abbandono scolastico in Italia, che nel 2007 è stato del 19% (early school
leavers).
50
D’altra parte la quota di spesa pubblica in istruzione destinata all’Università è solo del 17%
(contro il 25% della Germania e il 22% del Regno Unito), pari appena allo 0,76% del PIL,
contro una media europea del 1,15% (Eurostat, 2007). Questo quadro è riscontrabile nella
Tabella 4, in cui è riportata la percentuale della popolazione con almeno un’istruzione
secondaria superiore. Anche in questo caso l’Italia, insieme a Spagna e Portogallo,
rappresenta il fanalino di coda all’interno della zona europea.
Tabella 4 - Percentuale della popolazione tra 25-64 anni con almeno un’istruzione secondaria superiore
(Fonte: OECD 2008)
51
1.12 Analisi comparativa tra le Regioni italiane
L’analisi presentata nel precedente paragrafo ha messo in luce alcune delle ze del sistema
economico italiano, sia per quanto riguarda la spesa in R&S sia per la dotazione di capitale
umano. In generale si è riscontrata una forte limitazione del sistema economico italiano
nell’investire in Ricerca e Sviluppo, anche se il problema più grave sembra essere la scarsa
presenza di manodopera specializzata in rapporto alla popolazione. I risultati descritti
hanno una valenza d’insieme, ma non riescono a catturare le performance regionali
all’interno del contesto nazionale. Questo paragrafo, quindi, si pone un duplice obiettivo:
• far emergere l’estrema eterogeneità del contesto italiano;
• introdurre il nesso tra performance tecnologica e presenza di Distretti HT.
Questo secondo aspetto è affrontato attraverso la comparazione tra le Regioni con
maggiore concentrazione di Distretti HT che, come descritto in precedenza, sono:
Piemonte, Lombardia, Veneto Emilia Romagna e Lazio. Le Regioni Lombardia e Lazio
hanno un ruolo di leader nel settore della R&S. Una visione più particolareggiata è fornita
dalla tabella 5, dove è riportata la composizione della spesa in R&S (in valori assoluti)
secondo i principali finanziatori. Un dato molto interessante che emerge dal confronto tra
Lombardia e Lazio è che, nel primo caso, la spesa in R&S avviene principalmente ad opera
di soggetti privati ed imprese mentre, nel secondo, è prevalente la spesa in R&S di enti
pubblici.
52
Tabella 5 - Composizione della spesa in R&S. Fonte: (ISTAT 2008).
Un quadro analogo a quello appena descritto è evidenziato dalla Figura 4, dove si mostra il
numero di brevetti EPO (European Patent Office) e la spesa media per addetto in
innovazione.
A) B)
A) numero di brevetti EPO per milione di abitanti. B) Spesa media in innovazione per addetto.
Figura 4 - Performance innovativa nelle Regioni italiane. Fonte: (ISTAT 2008).
53
Anche in questo caso si può notare una netta separazione delle Regioni del Centro-Nord
d’Italia da quelle del Mezzogiorno. A differenza della spesa in R&S, in questo contesto è
evidenziata la fragilità della performance innovativa di alcune Regioni. Interessante è il
caso del Lazio che, a fronte di massicci investimenti in R&S, non è in grado di convertire
le risorse impiegate in un adeguato livello d’innovazione. Questo può sicuramente
dipendere dalla difficoltà di trasferire le conoscenze dall’ambito della ricerca pubblica al
settore privato, e quindi di innescare un processo d’innovazione tecnologica all’interno
delle imprese. Una situazione sostanzialmente differente è quella delle Regioni Piemonte e
Lombardia, caratterizzate da un’elevata incidenza delle spese private in R&S e una
performance brevettuale su livelli medi. In questo caso, l’obiettivo primario dell’attività
distrettuale appare quello di selezionare opportunamente l’eccellenza industriale, anche se
di nicchia, già presente sul territorio.
Nello specifico caso della Lombardia, il sistema regionale d’innovazione può per altro
contare su di una propensione all’investimento da parte di operatori del capitale di rischio
di assoluto rilievo (COTEC, 2005). Gli indici di specializzazione precedentemente riportati
testimoniano, unitamente ai valori assoluti sui finanziamenti per la ricerca ottenuti dagli
Atenei, l’effettiva presenza in tutte le aree geografiche esaminate di una non trascurabile
massa di competenze scientifiche ed industriali negli specifici ambiti di pertinenza
tecnologica. In particolare, nel caso del Piemonte, l’elevata incidenza di progetti europei
vinti nell’area delle telecomunicazioni suggerisce la presenza locale di una determinante
propensione innovativa in questo settore, sia da parte dei centri di ricerca pubblica, sia da
parte di imprese private. (Tabella 6)
54
Tabella 6 - Finanziamenti dei progetti all’interno delle cinque Regioni considerate, dati in migliaia di Euro.
1.13 Confronto tra i distretti High-Tech analizzati
L’analisi dei Distretti Tecnologici di Yamacrow, Sophia-Antipolis e Cambridge, mette in
luce alcune regolarità nella nascita e crescita dei distretti e alcuni aspetti di contrasto con le
esperienze italiane.
In primo luogo, dalla storia dei tre distretti analizzati, si evidenzia l’importanza delle
istituzioni come motore di sviluppo dell’attività di ricerca e di promozione, oltre alla messa
appunto delle infrastrutture che permettono l’espansione delle attività produttive. In
particolare, le istituzioni sono state alla base della nascita del distretto di Yamacrow e
all'espansione e razionalizzazione del distretto di Sophia-Antipolis, mentre hanno avuto un
ruolo più ristretto in quello di Cambridge. Il ruolo delle istituzioni, nel contesto di Sophia-
Antipolis, si è rilevato fondamentale anche per aumentare gli scambi tra le imprese del
distretto. In secondo luogo, specialmente nel contesto di Sophia-Antipolis, è risultato
centrale il ruolo delle grandi imprese multinazionali, come elemento trainante nella nascita
dei DHT. Questo sembra quindi superare in parte il concetto che vede il DHT legato solo a
piccole e medie imprese.
55
Un terzo elemento è rappresentato dal contesto industriale in cui viene a formarsi il
Distretto HT. Infatti, un punto di debolezza per la crescita di quest’ultimo può risultare la
mancanza di un'adeguata cultura industriale locale, che preclude la presenza di quegli
elementi di forza che sono stati evidenziati nel caso dei distretti industriali. Infine,
l’esperienza di Sophia-Antipolis, evidenzia la necessità di creare un meccanismo endogeno
alla base della crescita del Distretto High Tech, che si basi sull’interazione tra Università e
centri di ricerca, istituzioni pubbliche e imprese. Tale meccanismo endogeno prevede che
istituti di alta formazione e imprese, in modo sinergico, formino una manodopera
specializzata che, inserita nel processo produttivo, ne incrementi la produttività.
L’endogenità del processo di accumulazione del capitale umano è anche alla base della
crescita del distretto di Cambridge.
In conclusione, i fattori cruciali individuati dal confronto internazionale dei Distretti High-
Tech possono essere così riassunti:
• la pianificazione ad opera di istituzioni locali e centrali ha un ruolo chiave nei DHT;
• l’importanza delle imprese multinazionali;
• l’importanza della cultura locale e industriale;
• la necessità di ultimare un meccanismo endogeno per la creazione di capitale umano
altamente specializzato.
Per quanto riguarda la situazione dei cinque distretti italiani di Lazio, Veneto, Emilia
Romagna, Lombardia e Piemonte, l’analisi mostra alcune regolarità. In primo luogo, come
evidenziato dal contesto laziale e veneto, i proto-distretti sembrano seguire una precisa
volontà politica, che vede alla base della nascita del DHT l’interazione tra imprese,
istituzioni locali e Università. Questo elemento, risulta vitale in un’ottica di crescita
endogena del Distretto, che segue un preciso percorso di sviluppo concordato.
56
In secondo luogo, in tutti i DHT descritti, assume un ruolo rilevante la capacità di
attrazione di grandi imprese o multinazionali. L’interazione tra piccole e medie imprese e
grandi imprese, può rappresentare un’importante motore per lo sviluppo locale. In
particolare, è interessante il caso della Lombardia, dove il distretto nasce a seguito
dell’uscita dal territorio di grandi imprese che rappresentano i leader nel settore.
Quindi, nel caso italiano i fattori chiave della nascita dei Distretti High Tech sono:
• lo sviluppo concordato tra Enti Locali, imprese e Università;
• il ruolo delle Multinazionali.
Pur tenendo conto delle iniziative messe in atto, rimangono sul campo alcuni problemi di
assoluta rilevanza, direttamente connessi alle caratteristiche strutturali dell’economia
italiana. In sintesi, le criticità individuate sono:
• la distribuzione della dimensione media delle attività industriali è ancora troppo
sbilanciata a favore della piccola e piccolissima impresa;
• i mercati finanziari nazionali dedicati al capitale a rischio appaiono ancora estremamente
limitati e di difficile accesso per le piccole imprese operanti nei settori High-Tech;
• non è attiva una sufficiente capacità di collaborazione e di interazione per la ricerca nel
medio periodo tra il mondo accademico e della ricerca pubblica e il settore industriale.
57
1.14 Conclusioni
L’analisi che abbiamo condotto seguendo l'obiettivo di delimitare e caratterizzare i contesti
tecnologici europei e nazionali ha portato alla luce molti aspetti su cui avviare un'attenta
riflessione.
Come abbiamo mostrato, il posizionamento dell’Italia rispetto ai competitors europei
soffre di alcune carenze strutturali dovute ad una scarsa capacità di innovare e investire in
R&S e capitale umano. Queste carenze, se si considera l’insieme delle Regioni italiane,
sembra presentarsi in maniera estremamente eterogenea, con una spaccatura netta tra
Regioni del Centro-Nord e quelle del Sud d’Italia. In questo contesto, la Regione Lazio
sembra soffrire meno delle altre e si pone, insieme alla Lombardia, come leader nell'attività
innovativa e di formazione.
Tenendo conto di questo quadro generale, si possono trarre alcune considerazioni e
implicazioni più specifiche. In primo luogo, una delle problematiche che emerge in
maniera più forte dal contesto italiano ed internazionale, è la difficoltà di trasferire le
conoscenze dall’ambito della ricerca pubblica (prevalente in Italia) al settore privato, e
quindi di innescare un processo di innovazione tecnologica all’interno delle imprese.
Questa problematica è particolarmente presente nella Regione Lazio, dove a fronte di
massicci investimenti in R&S, non si è raggiunto un livello di eccellenza nell’attività di
innovazione. In secondo luogo, come evidenziato in più parti nel corso della ricerca, la
carenza maggiore del sistema produttivo italiano sembra essere legata alla scarsità di
capitale umano e alla possibilità di impiegare manodopera altamente specializzata e
qualificata. Infatti si riscontra una disparità tra domanda e offerta di occupazione
qualificata nei nuovi settori ad alta tecnologia.
58
Infine, per quanto riguarda la Regione Lazio, la performance esportativa rispetto ai due
settori con alta intensità distrettuale sembra avere un grosso impatto sul complesso
dell’economia Italiana. In particolare, i settori in cui si inseriscono i due distretti -
Aerospazio e Biotecnologie - sono quelli con una maggiore propensione ad esportare e in
cui si riscontra una minore perdita di competitività rispetto all'apparato produttivo italiano
nel suo complesso. In sintesi, le principali criticità individuate per i DHT italiani sono:
1) debolezze strutturali del sistema economico italiano, specialmente negli investimenti in
R&S e capitale umano;
2) difficoltà di trasmissione delle conoscenze tra gli istituti di ricerca e le imprese;
3) carenza di manodopera specializzata;
4) la performance dell’export migliora per le imprese che appartengono a settori ad alta
intensità distrettuale.
Innovazione tecnologica e sviluppo locale, il caso IIT (Istituto italiano di Tecnologia)
Innovazione tecnologica e sviluppo locale, il caso IIT (Istituto italiano di Tecnologia)
Innovazione tecnologica e sviluppo locale, il caso IIT (Istituto italiano di Tecnologia)
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  • 1. 1 Università degli Studi di Torino Scuola di Scienze Giuridiche, Politiche ed Economico-Sociali Corso di Laurea Magistrale in: Produzione e Organizzazione della Comunicazione e della Conoscenza Tesi di Laurea Sviluppo locale e Innovazione tecnologica. Caso di studio: L’Istituto Italiano di Tecnologia, IIT. Candidato: Giovanni Capello Relatore: Prof. Sergio Scamuzzi Matricola: 758815 Correlatore: Anno Accademico: 2013-2014
  • 2. 2
  • 3. 3 INDICE PREFAZIONE………………………………………………………………………………… CAPITOLO 1………………………………………………………………………................. SVILUPPO LOCALE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA…………………………………….. 1.1 L’importanza dello sviluppo locale………………………………………. 1.2 Quali sono le caratteristiche dello sviluppo locale?.......................................... 1.3 Il capitale sociale………………………………………………………………………. 1.4 I distretti High-Tech: un esempio di sviluppo locale………………………………. 1.5 I distretti industriali, alcune definizioni………………………………………………. 1.6 Analisi dei distretti High-Tech italiani…………………………………………........ 1.7 La normativa italiana sui distretti High-Tech………………………………………. 1.8 Le caratteristiche dei distretti High-Tech esteri…………………………………... 1.8.1 Il distretto High-tech di Yamacraw (Georgia, Usa)…………………….. 1.8.2 Il Distretto High-Tech di Sophia-Antipolis (Francia)………………….. 1.8.3 Il Distretto High tech di Cambridge (UK)……………………………… 1.9 I distretti High-Tech in Italia…………………………………………………………… 1.9.1 Torino Wireless………………………………………………………………. 1.9.2 Biotecnologie in Lombardia……………………………………………….. 1.9.3 Hi-Mech in Emilia Romagna……………………………………………. 1.9.4 Aerospazio in Lazio………………………………………………………. 1.10 Le determinanti del distretto High-Tech…………………………………………….. 1.11 Analisi comparativa delle performance innovative nell’area UE……………….. 1.12 Analisi comparativa tra le Regioni italiane………………………………………… 1.13 Confronto tra i distretti High-Tech analizzati……………………………………… 1.14 Conclusioni…………………………………………………………………………....... CAPITOLO 2……………………………………………………………………………………....... LE POLITICHE PER LO SVILUPPO LOCALE……………………………………………………. 2.1 L’intervento dello stato…………………………………………………………………. 2.2 Origine e caratteri dei piani territoriali……………………………………………… 2.3 Problemi di realizzazione e le critiche ai patti……………………………………….
  • 4. 4 2.4 Tre storie di patti………………………………………………………………………… 2.5 Risultati della ricerca e osservazioni conclusive 2.6 La pianificazione strategica nelle città……………………………………………….. 2.7 Il piano strategico della città di Genova…………………………………………….. 2.7.1 Il contesto socio-economico della città…………………………………… 2.7.2 Il contesto istituzionale………………………………………………………. 2.7.3 Le tappe del piano strategico……………………………………………….. 2.7.4 La riorganizzazione del comune…………………………………………… 2.7.5 Il piano della Città di Genova 2002………………………………………... 2.7.6 La navigazione strategica……………………………………………………. 2.7.7 Pianificazione di medio-lungo periodo e stili di governance…………… 2.8 Premessa sul paragrafo successivo…………………………………………………. 2.9 La storia del Distretto High-Tech Genovese……………………………….. 2.10 La vocazione tecnologica del distretto genovese 2.11 La storia del Dixet…………………………………………………………………….. 2.12 Il parco scientifico tecnologico degli Erzelli: una Silicon Valley in Liguria?..... 2.13 Evoluzione cronologica del Parco Scientifico Tecnologico degli Erzelli….. CAPITOLO 3………………………………………………………………………………………… L’ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA (IIT)…………………………………………………. 3.1 Prefazione al Capitolo………………………………………………………………… 3.2 IIT: storia e l’intervento dello Stato italiano……………………………………….. 3.2.1 Gli scettici ………………………………………………………. 3.2.1 I favorevoli………………………………………………………… 3.2.3 I contrari………………………………………………………….. 3.3 IIT, Descrizione e composizione interna………………………………………….. 3.4 Centri IIT nel mondo………………………………………………………………… 3.5 I primi risultati………………………………………………………………………. 3.6 Operatività e piano scientifico……………………………………………………… 3.7 Lo staff…………………………………………………………………………………. 3.8 Le pubblicazioni e gli indicatori bibliometrici……………………………………
  • 5. 5 3.9 Fund raising e brevetti……………………………………………………………… 3.10 Il processo di Valutazione di IIT…………………………………………………. 3.11 I primi 6 anni……………………………………………………………………….. 3.11.1 Il piano scientifico 2012-2014…………………………………. 3.11.2 Evoluzione dello staff e della produttività………………… 3.11.3 Pubblicazioni e indicatori bibliometrici…………………………. 3.11.4 Ranking Internazionale……………………………………………. 3.11.5 Valutazione della ricerca…………………………………………. 3.11.6 Progettualità scientifica………………………………………….. 3.11.7 Trasferimento tecnologico………………………………………. 3.11.8 Attività di formazione e di avviamento alla ricerca……………. 3.12 I primi 7 anni……………………………………………………………………………. 3.12.1 Le nuove frontiere: i materiali intelligenti…………………. 3.12.2 Le nuove frontiere: i robot al servizio dell’uomo………………. 3.12.3 Valutazione e ranking……………………………………………… 3.12.4 Formazione e collaborazioni……………………………………… 3.12.5 Trasferimento tecnologico……………………………………….. 3.12.6 Sintesi dell’anno 2013…………………………………………… 3.12.7 Il percorso di carriera per gli scienziati alla fine del 2013…. 3.12.8 La presenza di IIT nel panorama scientifico internazionale.. 3.13 Nikon e IIT: il progetto comune sul microscopio ottico del 2014…………….. 3.14 Un progetto triennale con INAIL per la robotica riabilitativa 3.15 iCub………………………………………………………………………………………. 3.15.1 Intervista ad A. Roncone (iCub Facility, Phd Fellow)…… …. 3.16 Il rapporto con le industrie e il tessuto produttivo
  • 6. 6 3.17 IIT ed il fotovoltaico a basso costo - alta efficienza 3.18 Osservazioni conclusive……………………………………………………………… CAPITOLO 4………………………………………………………………………………………… UNA PICCOLA REALTA’ HIGH-TECH ITALIANA: ELBATECH............................ 4.1 Micro sviluppo locale e innovazione: Elbatech…………………………………….. 4.2 Intervista a Manuela Adami (Elbatech)………………………………………. 4.3 Il progetto ElbaTech4Nature…………………………………………………………… 4.4 Conclusioni………………………………………………………………………………. Elenco delle figure…………………………………………………………………………………… Elenco delle tabelle………………………………………………………………………………….. Riferimenti bibliografici……………………………………………………………………………… Sitografia……………………………………………………………………………………………….
  • 7. 7
  • 8. 8 PREFAZIONE Sviluppo locale e innovazione tecnologica: un’equazione piuttosto intricata da risolvere, che rappresenta un argomento estremamente attuale. La sociologia economica ha dedicato molte energie ad analizzare le variabili in gioco e le condizioni necessarie alla crescita economica, tenendo in considerazione diverse parole chiave fondamentali, prima fra queste, la tecnologia. Nel primo capitolo saranno analizzati l’impatto ed i benefici che la tecnologia può avere su scala locale. Questo proposito richiederà l’analisi delle caratteristiche di diversi distretti High-Tech oltreoceano che si sono distinti per le loro caratteristiche ma anche di alcuni casi di studio italiani (nel capitolo 1); Il secondo capitolo sarà dedicato all’analisi delle politiche attuabili per favorire lo sviluppo locale e nello specifico, il capitolo 3 si occuperà dell’analisi dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, la sua struttura, le sue caratteristiche e il suo sviluppo. Reputo fondamentale analizzare diverse organizzazioni che hanno saputo fare la differenza, questo non servirà tanto per costruire delle banali best practices, ma ci aiuterà a capire quali variabili debbano essere tenute in considerazione per comprendere in profondità i vari passaggi di questo percorso. Per analizzare lo sviluppo locale come fenomeno, non possiamo guardare solo a variabili numeriche come il PIL procapite locale o alla crescita delle transazioni economiche, ma sarà necessario iniziare a guardare a complicati aspetti sociali e politici che si sviluppano sul territorio e determinano vantaggi competitivi che la sola azione del mercato non potrebbe realizzare. Attraverso la cooperazione e la creazione di reti di attori stabili nel tempo, aumenta la capacità locale di visione e di azione, che determina il cosiddetto sviluppo.
  • 9. 9 Ed è proprio questa “componente sociale” l’elemento chiave dello sviluppo locale. Per questo motivo la Sociologia può essere la giusta chiave di lettura, perché in grado di analizzare l’azione dell’individuo all’interno di una complessa rete di relazioni. Innovazione tecnologica e sviluppo locale sono elementi che corrono sullo stesso binario; per questo motivo, lo scopo di questa tesi sarà analizzare come l’innovazione tecnologica possa generare economia, come la conoscenza possa generare benessere.
  • 10. 10 CAPITOLO 1 SVILUPPO LOCALE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA 1.1 L’importanza dello sviluppo locale Il tema della globalizzazione dell'economia è un tema particolarmente significativo. L'economia è diventata sempre più mobile nello spazio: movimenti di capitali, produzione di beni e servizi in luoghi lontani, gli investimenti vengono quasi sempre dirottati all'estero. All'immagine di questo tipo di economia alimentata dalla globalizzazione, se ne affianca un'altra che si muove nella direzione opposta: lo sviluppo locale. In questo caso l'attenzione non è a livello globale ma va posta sullo sviluppo di territori, Città e Regioni che mostrano segni di particolare dinamismo e vitalità. Lo sviluppo locale si occupa del legame con un particolare territorio, con il suo ambiente istituzionale e sociale; la novità in questo caso è che rispetto al passato si affermano dei percorsi di sviluppo meno dipendenti da politiche nazionali dello Stato, ma correlate a soggetti istituzionali locali che sviluppano esperienze di cooperazione innovativa attraverso accordi più o meno formalizzati tra loro. Analizzeremo diversi esempi per delineare le caratteristiche dello sviluppo locale: La Silicon Valley ed il polo delle biotecnologie di Oxford (che analizzeremo nei paragrafi successivi) nonostante siano molto diverse, hanno in comune molti elementi. Lo sviluppo urbano di città che hanno affrontato i problemi del declino delle industrie tradizionali o hanno avviato progetti innovativi, come la città di Barcellona, Glasgow e Francoforte che hanno diversi elementi che si ripetono; analizzeremo infine l'esperienza dei distretti industriali italiani e successivamente un piano strategico di una città. Di per sé, lo sviluppo locale non si identifica con particolari specializzazioni di tipo produttivo o con modelli istituzionali nazionali di regolazione dell'economia. Lo sviluppo locale riguarda sistemi produttivi locali che possono assumere caratteri diversi: possono coinvolgere grandi o medie imprese-rete che organizzano un insieme di fornitori localizzati
  • 11. 11 sullo stesso territorio, oppure agglomerati di piccole imprese (clusters) con un minore grado di cooperazione tra loro rispetto ai distretti. Nello specifico, anche la specializzazione produttiva può cambiare: oltre ai casi più conosciuti di sistemi legati alla produzione di beni per la persona e per la casa come abbigliamento, calzature e ceramiche vi sono sistemi di imprese specializzate in settori ad alta tecnologia come informatica, telecomunicazioni, biotecnologie. Possono addirittura esserci sistemi specializzati in attività terziarie come finanza e turismo o in attività agro-industriali. 1.2 Quali sono le caratteristiche dello sviluppo locale? «…L’elemento principale dello sviluppo locale è determinato dalla capacità dei suoi soggetti locali di cooperare per avviare e condurre percorsi di sviluppo condivisi che mettano in moto risorse e competenze locali…» (C. Trigilia1 , 2005). Questo non implica la creazione di un localismo autarchico, ovvero una chiusura difensiva verso un'economia globalizzata, al contrario il protagonismo dei soggetti locali sarà in grado di favorire lo sviluppo di un territorio quando riuscirà ad attrarre in modo utile le risorse esterne, che possono essere di tipo politico (per es. investimenti pubblici), economico e culturale (come decisioni di investimento di soggetti privati). Dunque un punto forte dello sviluppo locale è la sua capacità di avvalersi di risorse esterne per valorizzare quelle interne: cercare di attrarre investimenti, imprese, risorse scientifiche e culturali, non solo come occasione per la crescita della produzione, del reddito e dell'occupazione, ma come strumento che possa incrementare le competenze e le specializzazioni locali. Lo sviluppo locale non nasce per difendersi dalla minaccia della globalizzazione, ma si fonda sulle capacità di cooperazione e di strategia dei soggetti locali per coglierne le opportunità. Come abbiamo già detto in precedenza, il secolo scorso è stato segnato dalla reazione alla crisi del capitalismo liberale. 1 Trigilia C. Sviluppo Locale: un progetto per l’Italia, Pag. 6. Editori Laterza, 2005.
  • 12. 12 Il fordismo e keynesismo hanno conquistato la scena economica: Il fordismo cercava di separare l'economia dalla società mediante la creazione di grandi imprese verticali che sfruttavano le nuove tecnologie per realizzare economie di scala, sostituendo infatti la gerarchia al mercato, rimpiazzando gli imprenditori con i manager e concentrando al loro interno le diverse fasi produttive, per controllare il mercato del lavoro e quello dei beni. L'impresa, si autonomizza maggiormente rispetto ai condizionamenti ambientali, in questo quadro i fattori non economici che influenzano lo sviluppo diventano prevalentemente di due tipi: a livello micro, riguardano la capacità organizzativa dell'impresa, mentre a livello macro le cosiddette politiche statali, sia quelle Keynesiane di regolazione della domanda e stabilizzazione del mercato, sia per le aree meno sviluppate, quelle che vogliono attirare con incentivi e infrastrutture le grandi imprese esterne, le politiche di sviluppo territoriale come interventi per il mezzogiorno praticati fino alla fine degli Anni 80 (che vedremo successivamente). “Stabilità” era la parola chiave del vecchio assetto che ha guidato il grande sviluppo post- bellico. Nell'ultimo trentennio essa è stata sempre più sostituita da un'altra parola: “flessibilità”: la ricerca di maggiore flessibilità, come la capacità di rapido adattamento a un mercato fattosi più incerto e variabile e insieme la corsa verso una maggiore qualità dei prodotti diventano scelte obbligate per le imprese dei paesi sviluppati con i più alti costi del lavoro. Furono inizialmente le piccole imprese, specie se integrate tra loro in sistemi locali ad elevata specializzazione (distretti) a cogliere le nuove opportunità che si aprono con la saturazione dei mercati dei beni standardizzati e l'emergere di nuove domande più variegate. L'aumento del benessere nei paesi più sviluppati si è infatti accompagnato ad un rilevante mutamento delle preferenze dei consumatori, specie dei benestanti, orientati sempre più verso prodotti differenziati e ovviamente di maggiore qualità.
  • 13. 13 Con il tempo anche le grandi imprese hanno seguito la strada della ricerca di maggiore flessibilità e qualità, hanno dato più autonomia alle unità produttive decentrate, hanno modificato l'organizzazione del lavoro taylorista cercando maggiore flessibilità, coinvolgendo maggiormente i lavoratori, si sono anche ulteriormente aperte alla collaborazione con piccole e medie imprese esterne per ridurre i costi e i tempi dei processi di innovazione e di introduzione di nuovi prodotti. Ciò ha spinto anche le grandi imprese multinazionali a collocare le loro unità produttive in aree a forte specializzazione, dove è possibile sviluppare una collaborazione con piccole e medie imprese di subfornitura. Così facendo, si sono formate reti di imprese (o distretti) oppure agglomerazioni di piccole e medie aziende a minor integrazione, ma anche grandi e medie imprese-rete che si localizzano in determinati territori. 3.3 Il capitale sociale Il funzionamento dei beni collettivi è influenzato dall'esistenza di relazioni sociali personali tra i soggetti coinvolti, che ne facilitano la cooperazione. Esse sono relazioni extra-economiche che incidono sullo sviluppo economico, sia direttamente nel processo produttivo (per esempio nel caso dei rapporti tra imprenditori e tra imprenditori e lavoratori) sia indirettamente attraverso la formulazione di politiche pubbliche o interventi che creano beni collettivi dedicati per il contesto locale. Il ruolo di queste reti di relazioni sociali è fondamentale, in quanto rende possibili le transazioni complesse e rischiose sul piano economico o politico, e fornisce risorse di fiducia che consentono ai soggetti di cooperare anche in presenza di condizioni di incertezza e di carenza di informazioni. Come abbiamo visto in precedenza, le condizioni della produzione flessibile e di qualità richiedono più intensi rapporti di collaborazione, che non possono essere generati soltanto da meccanismi contrattuali. In questo caso la disponibilità di reti di relazione tra i responsabili di diverse istituzioni (pubbliche e private) può essere decisiva per la capacità di produrre in modo efficiente beni collettivi adeguati alle esigenze delle economie locali in analisi.
  • 14. 14 Negli ultimi anni si è diffusa la tendenza a definire le reti di relazioni sociali personali tra soggetti individuali come il cd. capitale sociale (R. Putnam2 , 1994). In alcuni casi si fa riferimento a una cultura condivisa dai soggetti di un determinato contesto territoriale: il capitale sociale diventa anche sinonimo di cultura civica (civicness): ovvero una cultura condivisa che limita i comportamenti opportunistici e favorisce la cooperazione. Il capitale sociale è l'insieme delle relazioni sociali di cui un soggetto individuale (come un imprenditore o un lavoratore) o un soggetto collettivo (privato o pubblico) dispone in un determinato momento. Attraverso questo capitale di relazioni si alimenta la formazione di risorse cognitive, (come le informazioni) o risorse normative (come la fiducia) che permettono agli attori di realizzare obiettivi che non sarebbero altrimenti raggiungibili, o lo sarebbero a costi molto più alti. Analizzando il capitale sociale a livello aggregato, si potrebbe dire che un determinato contesto territoriale può essere considerato più o meno ricco di capitale sociale a seconda che i soggetti individuali o collettivi che vi risiedono siano coinvolti in reti di relazioni cooperative più o meno diffuse. Possiamo dunque porci diverse domande importanti relative al capitale sociale: • Da cosa dipende la sua formazione? • Ci sono tipi di capitale sociale con origini diverse? • Come funzionano nella produzione di beni collettivi? Quando si parla di un territorio ben fornito di capitale sociale, si fa riferimento alla presenza di reti cooperative con effetti positivi per la collettività: ciò non vuol dire però, che in assenza di tali effetti manchi necessariamente il capitale sociale. Vi sono diversi processi di generazione di capitale sociale. 2 Putnam R. Making Democracy Work, Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, 1994 - Cit. in Trigilia C. Sviluppo Locale: un progetto per l’Italia, Pag. 6. Editori Laterza, 2005.
  • 15. 15 • Un primo tipo è legato a quelle dotazioni originarie di cui abbiamo parlato prima, che sono generate e alimentate da identità collettive particolarmente radicate in un territorio, in questo caso l'origine del capitale sociale e più esterna alla sfera economica, ma vi si estende facilitandone il funzionamento. • Il secondo tipo si basa su attività economiche che attraversando la loro ripetizione nel tempo, vanno al di là dei rapporti contrattuali, generando legami sociali più duraturi. Possiamo definire il primo processo, che va dalla società all'economia come generazione per appartenenza, e il secondo, si muove nel senso opposto, come generazione per sperimentazione. Diciamo che le dotazioni di capitale sociale generate da appartenenza riguardano la concentrazione in un determinato territorio di gruppi sociali molto legati da un'identità etnica, religiosa o politica; sono processi che risalgono spesso all'indietro nel tempo. Il radicamento territoriale può essere legato a forme di difesa della società locale (K. Polany4 , 1944), di fronte alle sfide provenienti dalla penetrazione del mercato, si determinano processi di mobilitazione sociale a livello territoriale, si intensificano i legami tra i soggetti coinvolti, si sviluppano forme di rappresentanza politica condivise, si rafforza la cooperazione sul piano economico. Un esempio attuale può essere la formazione di subculture etnico-linguistiche, come per esempio la formazione di comunità di immigrati che si stabiliscono in alcuni territori, o in determinati quartieri di aree metropolitane. I legami di appartenenza generano capitale sociale sia tra soggetti individuali che soggetti collettivi. Per quanto riguarda gli imprenditori, si formano più facilmente reti di relazioni che alimentano la fiducia reciproca e favoriscono la cooperazione, d'altro canto a livello locale funzionano i meccanismi di controllo sociale che permettono di individuare e di isolare chi rompe la fiducia attraverso una rapida circolazione dell'informazione. 3 Polany K. The Great Transformation, Farrar & Rinehart, New York, 1944. Cit. In Trigilia C. Sviluppo Locale: un progetto per l’Italia, Editori Laterza, 2005.
  • 16. 16 Questo senso di appartenenza crea una forte pressione sul comportamento individuale, contribuendo a limitare l'opportunismo, quindi l'esistenza di un'identità collettiva forte facilita la formazione di reti cooperative. La generazione per appartenenza alle conseguenze di rilievo per i caratteri dei legami sociali. Prendiamo in considerazione i cosiddetti legami forti (M. Granovetter 4 ,1973) cioè particolarmente intensi e frequenti. Per quel che riguarda le reti individuali, legami di questo tipo hanno vantaggi che sono da considerare con attenzione. Tra i vantaggi c'è la possibilità di cooperazione più complesse e rischiose, che viene ad essere maggiormente sostenuta da un più forte cemento fiduciario. Tra gli svantaggi va però valutato il rischio di una chiusura eccessiva delle reti, che potrebbe limitare le informazioni circolanti e influire negativamente sui processi economici. Per quanto riguarda i meccanismi di formazione del capitale sociale basati sulla sperimentazione, a differenza di quelli precedenti, si fondono prevalentemente su legami deboli. Si formano relazioni meno intense e più occasionali, un'impresa esterna o locale può stabilire rapporti con altre aziende di una determinata area, se questi rapporti si concludono con soddisfazione, possono ripetersi e generare legami sociali che vanno al di là della singola transazione, rendendo anche possibili operazioni più complesse. Quando manca una comune appartenenza è più difficile cooperare per la produzione di beni collettivi. Ciascun attore può fidarsi poco degli altri e sulla stessa base giudica con sospetto eventuali forme di collaborazione con altri soggetti. Oltre alla cosiddetta conflittualità tra attori collettivi, possono diffondersi legami politici clientelari, in una situazione in cui le appartenenze sono deboli e il consenso è più difficile da ottenere, i politici locali possono essere spinti a usare le risorse che controllano per fini particolaristici, a scapito della produzione di beni collettivi (è spesso successo nel Sud Italia che si sviluppasse il cd. particolarismo sociale). 4 Granovetter M. The Strenght of Weak Ties, American Journal of Sociology, Vol 78 n° 6, 1973.
  • 17. 17 Vengono così privilegiate delle politiche che aumentano la possibilità di dividere le risorse a fini di consenso (per esempio assunzioni indiscriminate di impiegati pubblici o distribuzione di sussidi a imprese e famiglie). In un quadro di questo tipo, non si migliora il contesto locale ma anzi si creano comportamenti non favorevoli all'imprenditorialità economica e al mercato (Vedi gli studi di R. Putnam 5 , 1994). 1.4 I distretti High-Tech: un esempio di sviluppo locale Il mutamento dei processi produttivi e la sempre maggiore attenzione ai contesti locali come fonte di sviluppo economico richiede un'attenta analisi delle caratteristiche strutturali del sistema economico italiano, per garantire le corrette politiche pubbliche di intervento. La crisi economica mondiale, oltre a quella italiana ha focalizzato l’attenzione sulla perdita di competitività del nostro sistema industriale: i settori tradizionali, usualmente legati alla produzione poco tecnologica e caratterizzata da una manodopera poco qualificata, non sono in grado di tenere il passo rispetto alle grandi nazioni in via di sviluppo come Cina e India; il fenomeno della delocalizzazione, che ultimamente molte imprese considerano l'unico modo per tornare al passo con la concorrenza straniera, è una risposta alla crisi spesso obbligata. D'altro canto, certe politiche di riammodernamento dei settori tradizionali e un investimento verso i settori High-tech possono in qualche modo fornire una risposta alla crisi: i distretti tecnologici in Italia sono uno degli aspetti più innovativi degli ultimi trent'anni, la loro forte propensione all'innovazione, nita ad una rete locale di istituti di ricerca può davvero rappresentare una svolta per il nostro sistema economico. 5 Putnam R. Making Democracy Work, Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, 1994. In questa prospettiva è molto interessante il confronto tra Regioni della Terza Italia e del Mezzogiorno effettuato dall’autore, che nelle sue ricerche ha attirato l'attenzione sulla mancanza nel Sud Italia di capitale sociale, inteso come cultura civica ereditata da un passato lontano. Nella storia del mezzogiorno si è fatta molto sentire la carenza di appartenenze sociali allargate.
  • 18. 18 1.5 I distretti industriali, alcune definizioni La crisi del sistema fordista, che fino agli Anni Settanta ha dominato il mercato industriale, ha creato un veloce mutamento del sistema industriale dei paesi avanzati. La costante pressione dei mercati emergenti ha reso l'innovazione tecnologica una risorsa fondamentale per le organizzazioni. I mercati si sono differenziati repentinamente e sono diventati molto più instabili ed in questo contesto, si inizia a pensare che il processo di innovazione tecnologica non debba essere più preso in considerazione dalle grandi imprese, ma distribuito all'interno del mondo delle piccole-medie imprese, molto più specializzate e vincolate al territorio in cui operano. Una forte connessione con il territorio è alla base della nascita dei primi cluster tecnologici: essi si fondano sulla vicinanza tra imprese immerse nello stesso contesto produttivo e la circolazione della conoscenza attraverso la mobilità del lavoro. La storia dei distretti industriali italiani è stata fondamentale per lo sviluppo economico. A partire dagli Anni 90, la posizione delle imprese italiane sui mercati internazionali ha cominciato a indebolirsi mettendo in crisi il sistema economico e spingendo le piccole imprese dei distretti a riorganizzarsi in un'ottica più innovativa; è per questo diventato evidente che il vantaggio competitivo non possa derivare solo dalla specializzazione della manodopera ma richiede anche componenti basate sull'innovazione e sulla tecnologia. Per questo motivo in Italia, si sono sviluppati degli agglomerati territoriali formati da piccole- medie imprese con l'idea comune di basare la loro azione sull'innovazione e sulla specializzazione settoriale: Si parlerà perciò di Distretti High-Tech.
  • 19. 19 «… Il distretto industriale è caratterizzato da un limitato ambito geografico caratterizzato dalla presenza di un insieme di imprese di piccole e medie dimensioni, specializzate nelle fasi di uno stesso processo produttivo, con una cultura locale ben definita e che presentano una rete di istituzioni locali favorevoli all'interazione, competitiva e cooperativa, sia fra imprese diverse, sia fra imprese e popolazione lavoratrice…». (G. Becattini 6 , 1998) Questa definizione mette in luce diversi aspetti del distretto industriale: • l'importante ruolo delle istituzioni; • il ruolo dei valori e della cultura presenti sul territorio; • il ruolo del capitale sociale; • il ruolo delle risorse umane. Becattini cerca di mettere in luce le differenze e le similitudini tra i cluster, il distretto industriale e il distretto High Tech. il primo elemento è rappresentato dal ruolo delle istituzioni, come fattore fondamentale per la nascita dei distretti industriali. Le istituzioni permettono di creare la rete di relazioni tra imprese e individui che è alla base del concetto di distretto industriale. Un altro elemento è rappresentato dall'accumulazione di capacità che, nell'ambito dei distretti industriali avviene mediante processi learning by doing, attraverso i quali la manodopera, pur non avendo un alto livello di capitale umano in partenza, sviluppa le conoscenze all'interno del processo produttivo. Tale meccanismo di trasmissione delle conoscenze, favorisce un vantaggio competitivo che si manifesta con l'aumento sostanziale della produttività della manodopera impiegata. 6 Becattini G. Distretti Industriali e Made in Italy, Bollati Boringhieri, Torino 1998.
  • 20. 20 Un altro elemento nell'ambito del distretto industriale è costituito dalla cultura locale, ovvero quell'insieme di relazioni tra settore imprenditoriale e la comunità locale che permette la circolazione delle conoscenze ed è alla base delle reti di relazioni. Questo elemento ricopre un ruolo primario per la nascita dei distretti industriali e per la loro crescita sul territorio italiano. La cultura locale è sicuramente l'elemento che differenzia il distretto industriale dal cluster tecnologico. I cluster tecnologici sono agglomerati geograficamente concentrati di imprese connesse ed istituzioni associate in un particolare settore, legate da tecnologie e capacità comuni. La crescita dei cluster è più facile in situazioni geografiche che consentano facilità di comunicazione e di interazione personale, e si individuano a livello regionale o a livello di singole città. Il distretto High-Tech è un elemento innovativo rispetto al distretto industriale e al cluster. M. Storper 7 (1997) definisce il distretto High-Tech come: «un sistema territoriale in cui convivono componenti relazionali e cognitive e processi di accumulazione della tecnologia»7 . Tale definizione racchiude il concetto di aree in cui la dinamica dell'apprendimento si pone alla base del processo produttivo e prevede una partecipazione attiva di tutti gli enti di ricerca e di formazione all'interno del processo produttivo. Più in generale altri autori definiscono il distretto High-Tech (lungo il corso del testo, per semplificare sarà chiamato anche distretto HT) come l'insieme di aggregazioni territoriali di attività ad alto contenuto tecnologico nel quale forniscono il proprio contributo, enti pubblici di ricerca, grandi imprese, piccole imprese ed enti locali La presenza sul territorio di questi fattori è essenziale perché si venga a creare un ambiente in cui i costi e i rischi della ricerca scientifica siano sostenuti dalle imprese anche di piccole e medie dimensioni. 7 Storper M. The Regional World, Territorial development in Global economy, The Guilford Press, New York. 1997.
  • 21. 21 Oltre ai diversi servizi legati alla ricerca e alla formazione, un ruolo di rilievo fondamentale hanno i servizi finanziari, quelli di assistenza alle start-up e quelli legati al marketing. In particolare, la finanza specializzata, specie nella forma del venture capital, è fondamentale per lo sviluppo di attività High-Tech, in quanto gli investimenti in questi settori tendono in media ad essere più rischio. Infine si deve tenere conto del ruolo della cultura e del capitale sociale, fattori immateriali già precedentemente considerati come elementi fondanti del distretto HT. 1.6 Analisi dei distretti High-Tech italiani Il paragrafo precedente mostra alcuni elementi fondamentali per la nascita e l'evoluzione dei distretti High-Tech. I processi che portano alla nascita di questi distretti sono molto difficili da comprendere, specialmente sul territorio italiano dove i distretti HT hanno assunto connotazioni diverse e si sono sviluppati in maniera non omogenea partendo spesso da accordi privati tra imprese e non da una precisa volontà pubblica. Le principali linee di ricerca in questo ambito possono essere ricondotte a due filoni principali: • Il primo cerca di individuare i distretti High-Tech attraverso l'utilizzo di un numero di variabili relative alla conoscenza e al potenziale delle risorse connesse agli aspetti tecnologici. Attraverso queste analisi si cerca di riconoscere le aree dotate di livelli di capacità innovativa e tecnologica più adatti alla nascita dei distretti HT. Il merito di questo filone di ricerca è stato quello di portare alla luce aspetti ritenuti minori nell'identificazione dei distretti stessi, come il ruolo del capitale sociale e della cultura locale. • Il secondo filone di cerca si basa su una scelta a priori delle caratteristiche dei distretti High-Tech, per l'identificazione della loro fisionomia. la scelta degli aspetti rilevanti avviene attraverso specifiche analisi e confronti sulle realtà già esistenti: per esempio attraverso la comparazione di diversi distretti, da cui emerge la presenza di regolarità nella loro nascita. Questi studi hanno evidenziato la presenza di caratteristiche comuni ai distretti High Tech, permettendo analisi empiriche specifiche sulle determinanti dei distretti HT.
  • 22. 22 Bosi e Scellato 8 (2005) evidenziano alcuni degli aspetti maggiormente ricercati: - la presenza di centri di ricerca pubblici; - la presenza di imprese High-Tech (italiane o straniere); - un elevato tasso di crescita delle imprese; - la presenza di risorse umane qualificate; - uno spirito imprenditoriale nel campo delle nuove tecnologie; - la disponibilità di strumenti finanziari dedicati alle iniziative ad alto contenuto di innovazione; - la presenza di rapporti internazionali (di ricerca, tra imprese) e di imprese multinazionali. Negli ultimi anni, grazie ad un'intensa attività condotta dal MIUR (Ministero dell'Università e della Ricerca) sono state sviluppate alcune ricerche specifiche sui distretti High-Tech italiani. Queste indagini portate avanti a livello europeo, hanno come finalità l'integrazione delle realtà esistenti in un quadro internazionale. 1.7 La normativa italiana sui distretti High-Tech I distretti High-Tech, secondo il piano nazionale della ricerca 2005-2007 (PNR), sono “aggregazioni territoriali di attività ad alto contenuto tecnologico nelle quali forniscono il proprio contributo, enti pubblici di ricerca, grandi imprese, piccole imprese nuove o già esistenti, enti locali. “ 9 8 Bosi G. Scellato G. Politiche Distrettuali per l’innovazione delle Regioni italiane , COTEC, 2005. 9 Vedi: http://www.miur.it/0003Ricerc/0141Temi/0478PNR_-_/0783PNR_20/4811Progra_cf3.htm.
  • 23. 23 L'affermazione del distretto High-Tech quale strumento di sviluppo economico all'interno dei sistemi nazionali più evoluti, trae origine dalle linee guida per la politica scientifica e tecnologica del governo approvate il 19 aprile 2002 ed è tutelata dal PNR 2005-2007; essa segnala la necessità di creare, in numerose aree del paese, dei poli di ricerca e di innovazione di eccellenza nell'ambito di progetti condivisi tra i vari attori del sistema scientifico e dell'innovazione. A differenza dei distretti industriali, l'avvio dei distretti HT utilizza più genericamente gli strumenti della politica della programmazione della ricerca italiana. In particolare, il processo di collaborazione tra diversi soggetti pubblici (amministrazioni centrali, regionali e locali) e privati avviene mediante il ricorso agli strumenti della programmazione negoziata (accordi di Programma quadro, accordi di Programma). A tale proposito è opportuno soffermarsi sui rapporti istituzionali che proprio negli anni di sviluppo dei DT hanno mutato il loro assetto. La riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, varata dopo un lungo iter normativo, individua il settore della ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all’innovazione come materia concorrente tra Stato e Regioni. La potestà legislativa spetta alle Regioni ad eccezione della determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. L’insediamento del Governo della XIV legislatura (30 maggio 2001) ed il nuovo assetto istituzionale, inducono il MIUR a “formulare a questo stadio nuove linee guida anziché procedere immediatamente alla stesura del documento di dettaglio” ovvero il PNR. Tale documento programmatico individua quattro assi strategici tra cui l’Asse 4 “Promozione delle capacità di innovazione nei processi e nei prodotti delle piccole e medie imprese e creazione di aggregazioni sistemiche a livello territoriale”. L’Asse 4 sancisce il ruolo delle Regioni nella programmazione delle azioni ad esso riferite ed individua come strumento di attuazione il ricorso alla programmazione negoziata. Le linee guida pertanto, pur anticipando la definizione del Distretto High Tech, non definiscono un quadro chiaro di risorse con cui attivare tale strumento. L’occasione, per le Regioni del Mezzogiorno, si manifesta con l’attuazione della delibera CIPE 17/2003. Il CIPE (Comitato per la programmazione Economica), nel destinare le risorse del Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS), nella delibera 17/2003 vincola una quota destinata ad interventi gestiti dalle
  • 24. 24 Amministrazioni centrali (in particolare il MIUR ed il Dipartimento per l’innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio dei Ministri) all’esito positivo di un percorso di concertazione con le Regioni del Mezzogiorno. Inoltre, in considerazione del fatto che l’assegnazione di tali risorse ricadeva nel centro del periodo di programmazione dei Fondi strutturali 2000/2006 e che queste, per quanto riguarda le politiche di sostegno alla ricerca, erano quasi esclusivamente indirizzate al mondo delle imprese, la delibera invita ad avere particolare attenzione ai “profili dell’offerta, alle esigenze di alta formazione e ricerca sia tecnica che umanistica”. Quindi, pur potendo destinare tali risorse al potenziamento della ricerca di base e della formazione, il MIUR e le Regioni hanno optato concordemente per sostenere azioni di ricerca industriale attraverso la costituzione di diversi DT nelle Regioni meridionali. Contestualmente si arriva ad una prima definizione formale degli obiettivi e delle caratteristiche dei DHT, intesi come strumento dell’Amministrazione Pubblica per attuare una politica di sviluppo e diversificazione delle specializzazioni esistenti nei diversi tessuti produttivi regionali. I principali interventi suggeriti sono: 1) prevedere la partecipazione di imprese del Distretto Tecnologico, imprese caratterizzate da un elevato grado di competenze tecnologiche e/o di risorse disponibili per l’attività di ricerca e sviluppo (R&S); 2) assicurare il collegamento potenziale con il tessuto di imprese sub-fornitrici esistenti nella Regione o nel restante territorio dell’Obiettivo 1; 3) garantire effetti di riposizionamento competitivo degli attori regionali che possono derivare dal progetto del DHT, soprattutto in termini di diversificazione e di specializzazione produttiva; 4) essere in grado di determinare l’attrazione di nuove presenze high-tech di origine esterna al territorio di riferimento del distretto; 5) assicurare la concentrazione spaziale di strutture scientifiche (pubbliche e private), centri di competenza e organismi di alta formazione che possano essere coinvolti
  • 25. 25 nell’implementazione del progetto di Distretto HT; 6) favorire l’attivazione di relazioni privilegiate e stabili con fonti di innovazione e centri di competenza esterni alla Regione che possano essere rafforzate attraverso il progetto di Distretto Tecnologico; 7) promuovere il coinvolgimento degli attori di mercato (venture capital, organismi imprenditoriali, Fondazioni bancarie, ecc.) interessati ad investire nelle azioni proposte attraverso il DT a complemento dei finanziamenti di origine pubblica. Successivamente, con una serie di delibere (n. 20/2004, n. 81/2004, n. 35/2005, n. 3/2006) il CIPE avvia il finanziamento per l' attuazione dei DHT. 1.8 Le caratteristiche dei distretti High-Tech esteri Un primo passo per l’analisi dei Distretti HT è quello di definire gli ambiti e le condizioni che hanno portato alla loro nascita; un approccio storico al problema, che metta a confronto le circostanze in cui sono nati i distretti High-Tech esteri rispetto a quelli italiani potrebbe essere il più idoneo. Verranno successivamente presentati tre casi di eccellenza nell’ambito dei distretti HT esteri, che delineano diverse esperienze effettuate in contesti istituzionali differenti. In particolare, si è preso in esame un Distretto HT sviluppatosi negli Stati Uniti, nello Stato della Georgia, caratterizzato da una forte spinta iniziale da parte del Governo locale e il Distretto di Sophia Antipolis, in Francia, rappresentativo di una situazione in cui è la capacità di attrazione sul territorio di grandi imprese estere a determinare il successo di una iniziativa. Il caso di Cambridge in Inghilterra, ove già esisteva un importante e affermata presenza dell’High-Tech, testimonia, invece, un successo legato alla capacità di coordinare le risorse e le competenze di un grande centro di ricerca pubblica. Sebbene i tre casi trattati presentino delle differenze e delle analogie, l’analisi delle loro caratteristiche ci aiuterà a individuare alcune dimensioni comuni utili per la valutazione delle strategie di policy di innovazione in ambito locale e per la definizione di future linee-guida da applicare al caso Italiano.
  • 26. 26 1.8.1 Il distretto High-tech di Yamacraw (Georgia, Usa) Fin dai primi Anni 60 nello Stato della Georgia furono avviate numerose iniziative con l’obiettivo di realizzare una generale ristrutturazione dell’economia locale, promuovendo i progetti di ammodernamento e favorendo lo sviluppo di industrie ad alto contenuto tecnologico. Nello stesso periodo venne avviato un primo importante programma per stimolare il trasferimento di conoscenze scientifiche e tecnologiche verso le industrie locali e nel 1980 venne istituito uno dei primi incubatori tecnologici americani, l’Advanced Technology Development Center, presso il Georgia Institute of Technology (GT), la più grande università dello Stato. Negli Anni 80 e 90 lo Stato dello Georgia ha avviato diversi progetti e ha investito ingenti capitali con l’obiettivo di creare sul territorio una base di conoscenza scientifica e tecnologica di alto livello. Tra queste iniziative, una delle più rilevanti è stata la creazione della Georgia Research Alliance (GRA), un’organizzazione privata no-profit creata con l’obiettivo di coordinare le attività delle diverse Università e centri di ricerca pubblici. Questa organizzazione, favorendo l’incontro tra soggetti pubblici e privati, ha consentito di realizzare importanti sinergie e reti di collaborazione che hanno contribuito a far nascere sul territorio un polo di eccellenza tecnologico, soprattutto nel settore delle nuove tecnologie (in particolare, nel settore dell'ICT, Information Communication Technology) In questo contesto, nel 1999 è stato individuato il distretto di Yamacraw su iniziativa del governatore della Georgia. La creazione del distretto è stata realizzata attraverso la stesura di un programma di iniziative per favorire l’avvio di attività ad alto contenuto tecnologico nel campo delle tecnologie di comunicazione a banda larga. Si tratta di un programma quinquennale focalizzato su tre aree specifiche: broad band devices, embeddeds systems e prototyping. Gli elementi caratterizzanti di questa iniziativa sono stati: • l'avvio del programma di ricerca su temi di interesse industriale, con un investimento di circa 5 milioni di dollari all’anno;
  • 27. 27 • la disponibilità di un ampio e crescente pool di laureati nelle aree di localizzazione del distretto; • la creazione di un fondo di investimento destinato alle start-up ad alto contenuto tecnologico; • la messa in atto di una vasta attività di marketing per attrarre capitali e risorse; • la creazione di spazi per le imprese del distretto. Attualmente il programma sembra aver ampiamente portato a termine gli obiettivi iniziali: in pochi anni infatti, sono sorte più di 30 nuove imprese e alcuni tra i principali produttori di componentistica elettronica per telecomunicazioni a livello mondiale hanno scelto di localizzare sul territorio i propri impianti e laboratori di ricerca. La caratteristica più evidente di questa esperienza è data dal forte impegno delle istituzioni pubbliche nel favorire la nascita del distretto10 e nel sostenerne la crescita. Il distretto di Yamacraw, infatti, nasce proprio per iniziativa dello Stato della Georgia che agisce come soggetto propulsore, definendo le priorità e gli obiettivi del progetto, individuando le strategie e gli strumenti operativi e sostenendo finanziariamente gran parte delle attività. L’impegno pubblico si è concretizzato soprattutto nel sostegno alle attività di ricerca e di formazione, con ingenti investimenti per favorire il raggiungimento di livelli di eccellenza. Lo stanziamento statale complessivo, tra il 1999 e il 2004, è stato di circa 100 milioni di dollari. Il fattore decisivo nel determinare il successo dell’iniziativa è stato senza dubbio l’efficienza del sistema pubblico della ricerca e la sua capacità di instaurare cooperazioni al suo interno e soprattutto con il mondo industriale, con il quale si è stabilita una stretta rete di relazioni e collaborazioni che ha consentito di sfruttare commercialmente l’eccellenza raggiunta in ambito scientifico. 10 Per un approfondimento si veda: http://www.senate.ga.gov/sro/Documents/Highlights/1999Highlights.pdf
  • 28. 28 1.8.2 Il Distretto High-Tech di Sophia-Antipolis (Francia) Il distretto di Sophia-Antipolis, localizzato nell’entroterra di Antibes, tra Nizza e Cannes, è Un parco tecnologico avviato all’inizio degli anni Settanta11 che ha ottenuto grande successo tanto da essere spesso presentato come un importante caso di riferimento per le attività HT in Europa. Un'idea della dimensione del fenomeno può essere offerta da pochi dati: a partire dal 2000 il numero di imprese era di 1.193 e il numero di lavoratori in quest’area nel settore HT era 21.535, mentre il numero di studenti e ricercatori era pari a circa 5.000. Nella storia del distretto si possono individuare due fasi. 1) Nella prima fase di realizzazione del progetto, la strategia è stata quella di cercare di attrarre nell’area il maggior numero di imprese senza un preciso disegno strategico in termini di specializzazione produttiva. L’unico criterio di selezione era quello di preferire attività ad alto contenuto di ricerca e sviluppo rispetto alle attività manifatturiere tradizionali. Il progetto inizialmente si sviluppò quindi attraverso l’aggregazione spontanea di attività anche molto diverse tra loro, senza alcuna strategia comune e senza alcun intervento pubblico. Ben presto, però, apparve evidente che per sostenere lo sviluppo del progetto era necessaria la partecipazione ed un sostegno finanziario diretto da parte delle istituzioni pubbliche locali e nazionali. Nel 1977 la gestione del progetto divenne pubblica, con un cambiamento nell’identità del progetto stesso. Esso, infatti, divenne un parco internazionale in cui potevano essere localizzate attività industriali selezionate, non inquinanti, ad alto contenuto di innovazione. A partire dalla fine degli Anni Settanta, l’intervento delle istituzioni pubbliche consentì di dare al progetto una dimensione internazionale con la localizzazione nell’area degli impianti produttivi di numerose grandi imprese multinazionali, soprattutto americane. 11 Per un approfondimento si veda: http://www.sophia-antipolis.org/index.php/fondation-sophia antipolis/documents/8-fsa/96-naissance-d-une-ville
  • 29. 29 L’aggregazione di attività, seppur su scala maggiore, rimase però in qualche modo casuale, dunque non guidata da una precisa scelta di specializzazione. Le caratteristiche della prima fase di sviluppo del progetto Sophia-Antipolis possono essere così riassunte: • la localizzazione nell’area dei centri di R&S da parte di grandi imprese internazionali, con l’obiettivo di adattare i loro prodotti al mercato europeo; • la prevalenza di decisioni esterne nella gestione del progetto; • l'alta diversificazione delle attività localizzate nell’area; • il basso livello di interazione tra le diverse componenti del progetto. Nonostante alcune criticità, la prima fase di sviluppo del progetto determinò risultati estremamente positivi dal punto di vista quantitativo, con la creazione di circa 12.000 nuovi posti di lavoro alla fine degli Anni 80. L’intervento delle autorità pubbliche si concentrò quindi su due obiettivi specifici: un'intensa attività di marketing nei confronti del contesto internazionale, in particolare quello statunitense e la creazione nell’area di infrastrutture e technical facilities per le imprese. Quest’ultimo elemento, in particolare, ha reso l’area di Sophia-Antipolis estremamente attraente per le grandi multinazionali (tra cui: Philips, Hitachi, IBM ed Hewlett Packard) e le ha dato un grande vantaggio competitivo nei confronti di altre aree Europee. A fronte di questi aspetti positivi rimaneva, tuttavia, la debolezza iniziale dovuta al carattere essenzialmente esterno dello sviluppo, con attività innovative concentrate sopratutto in due settori: il settore della computer science delle telecomunicazioni - microelettronica e il settore delle scienze mediche. Il settore della computer science delle telecomunicazioni e microelettronica ha rappresentato il vero motore di sviluppo del progetto con circa il 75% delle attività, mediante partnership di grandi imprese francesi, internazionali e con numerosi centri di ricerca impegnati su questi temi.
  • 30. 30 2) La seconda fase di sviluppo, cominciata a partire dagli Anni 80, è stata caratterizzata dal passaggio da un modello determinato essenzialmente da decisioni esterne ad un modello orientato dalle decisioni interne. Tale trasformazione è stata resa possibile soprattutto grazie ai risultati raggiunti durante la prima fase. Soprattutto durante la seconda fase, si verifica un elevato aumento del numero di studenti nell’area. In precedenza, infatti, solo pochi centri di formazione e di ricerca si erano localizzati nell’area (Ecole Nationale Supérieure des Mines de Paris, Centre National de la Recherche Scientifique, Institut National de Recherche en Informatique et Automatique). Queste realtà non erano però sufficienti per la formazione delle risorse umane necessarie per sostenere un adeguato sviluppo dell’area. Un cambiamento significativo si ebbe nel 1986 con la localizzazione nell’area di Sophia-Antipolis degli istituti di ricerca e dei programmi di dottorato dell’Università di Nizza. La seconda fase di sviluppo del progetto Sophia-Antipolis sembra dunque essere caratterizzata dai seguenti elementi: • il continuo aumento nel numero delle istituzioni di ricerca localizzate nell’area; • la diminuzione nel numero di grandi compagnie esterne che stabiliscono i loro impianti produttivi dell’area. • l’aumento nel numero delle start-ups locali, soprattutto nelle attività e nei servizi legati all’ICT ; • l’aumento dell’importanza di imprese piccole e molto piccole; • l’aumento del coinvolgimento nel progetto dell’Università di Nizza; • la creazione di una specifica atmosfera volta a favorire le interazioni e la collaborazione tra i soggetti locali.
  • 31. 31 La debolezza iniziale del modello di sviluppo viene dunque corretta con un profondo cambiamento di strategia, mentre la diminuita presenza di grandi imprese nell’area crea un’occasione di sviluppo per nuove start-ups locali. L’esempio più famoso è quello dello stabilimento della Digital Equipment Company che riduce i suoi dipendenti da più di 1.100 a poco più di 200, dopo l’acquisizione da parte di Compaq. Molti di questi lavoratori, estremamente qualificati, non accettarono di lasciare la regione e cercarono di farsi assumere da altre imprese locali o di creare loro stessi nuove start-ups. Contemporaneamente molti Istituti di Ricerca riuscirono ad implementare a scopo commerciale le conoscenze scientifiche sviluppate, sia attraverso brevetti e licenze concesse alle imprese, sia direttamente dando vita a nuove imprese. Tra gli aspetti negativi dell’esperienza del distretto Sophia Antipolis, va citata la mancanza di una forte tradizione industriale nella regione. Di conseguenza le SMEs (Small and Medium Enterprises) sono poche e rappresentano ancora oggi un’evidente debolezza del progetto Sophia-Antipolis. Le SMEs presenti nella regione sono nate per lo più nel settore ICT, ma sono poco numerose ed ancora piuttosto fragili. Alcune di esse sono riuscite ad espandersi su tutto il mercato francese creando società sussidiarie nell’area; soltanto un numero minore di imprese è riuscito a realizzare progetti di collaborazione con grandi imprese locali. Anche le politiche pubbliche, sia nazionali sia locali, hanno inizialmente contribuito a determinare un modello di sviluppo fortemente dipendente da fattori esogeni. Esse sono state prevalentemente orientate a favorire l’attrazione nell’area di risorse esterne, soprattutto internazionali. Tali debolezze erano particolarmente evidenti nella prima fase del progetto ma hanno continuato ad esserlo anche nella seconda. Le istituzioni pubbliche, infatti, non hanno contribuito con una politica coerente al passaggio verso un modello di sviluppo determinato internamente e meno dipendente dal contesto esterno. Tra i fattori positivi del modello di sviluppo vi sono però gli ingenti investimenti effettuati per la realizzazione di infrastrutture e di technical facilities per le imprese. Tra queste, in particolare hanno avuto grande importanza per lo sviluppo del distretto:
  • 32. 32 1) la telecommunication network, basata sulla tecnologia in fibra ottica: negli Anni 80 proprio questa realizzazione contribuì in modo decisivo al riconoscimento di Sophia- Antipolis come centro di eccellenza nell’area ICT; 2) il progetto CICA (International Center for Advanced Communication), un sistema integrato di servizi comunicativi d’avanguardia a disposizione delle aziende locali. Va ricordato che a fine del 2013 Huawei (colosso Cinese delle telecomunicazioni) ha deciso di inaugurare il nuovo centro di Ricerca e Sviluppo in questo distretto. Il CEO e fondatore Huawei Ren Zhengfei afferma in un intervista che: «…tale decisione è stata dettata, dal fertile ecosistema IT del polo tecnologico, e dalla grande competenza nel settore dei tecnici presenti sul territorio. Conosciuti in tutto il mondo per il loro know how in materia dei dispositivi tecnici elettronici e software…»12 12 http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/29730_huawei-inaugura-il-centro-rd-di-sophia-antipolis.htm
  • 33. 33 1.8.3 Il Distretto High tech di Cambridge (UK) Il Cambridge Science Park 13 venne istituito dal Trinity College nel 1973 ma inizialmente ebbe uno sviluppo piuttosto lento. Venne inaugurato ufficialmente solo nel 1976 e a due anni da quella data risultavano solo sette membri del distretto e poco più del 20% delle strutture inizialmente previste risultava già realizzato. Ciò era legato essenzialmente ai criteri estremamente selettivi applicati dal Trinity College per l’ammissione al Parco. Nei primi Anni 80 numerose sussidiarie inglesi di grandi multinazionali cominciarono a localizzare in quest’area i loro impianti (le prime due furono la svedese LKB Biochrom e l’americana Coherent, leader nelle tecnologie laser). Attorno alla seconda metà degli Anni 80 il numero di compagnie nel parco era pari a circa 25. Seguì un periodo di intensa crescita in termini sia di imprese presenti sia di infrastrutture e facilities. Nella seconda metà degli anni Ottanta numerose società di venture capital aprirono propri uffici all’interno del Parco, favorendo così la creazione di nuove imprese. Nello stesso periodo furono create le prime associazioni di imprese del Parco, quali Qudos, fondata dal laboratorio di microelettronica dell’Università di Cambridge, Prelude Technology Investments e Cambridge Consultants. Negli Anni 90 il numero di imprese nella regione di Cambridge era pari a circa 1.200 con l’impiego di oltre 35.000 dipendenti. In questo periodo vennero creati numerosi incubatori in tutta la regione ed aumentò in modo significativo la disponibilità di finanziamento da parte di società di venture capital. Se inizialmente le attività prevalenti nel parco erano quelle legate all’ICT, sul finire degli Anni Novanta cominciano ad assumere sempre maggiore importanza le cd. scienze della vita, fino a diventare il settore prevalente. Attualmente sono circa 75 le imprese all’interno del parco con l’impiego di più di 4.000 dipendenti. Nelle aree circostanti vi è il St. John’s Innovation Centre (www.stjohns.co.uk), creato nel 1987, che ospita circa 64 start-ups high-tech, con l’impiego di circa 1.000 dipendenti e altre 52 imprese tecnologiche sono localizzate nella regione di Cambridge. 13 http://www.cambridgesciencepark.co.uk/about/history/
  • 34. 34 In totale quindi, la regione può contare su poco più di 1.000 imprese hightech, con circa 27.000 dipendenti ed è la regione europea con il più alto livello di concentrazione nell’alta tecnologia. La presenza di un Centro Universitario e di altri centri di ricerca di eccellenza costituiscono un indubbio stimolo al processo di sviluppo imprenditoriale. Negli Anni 70 e 80, molte delle imprese sviluppatesi all’interno del Parco nacquero direttamente dall’iniziativa di ricercatori universitari alla loro prima esperienza imprenditoriale. La maggior parte delle imprese del Cambridge Science Park sono però rimaste relativamente piccole. Ciò è in parte dovuto allo specifico orientamento del Parco verso la ricerca scientifica di base. Bisogna considerare però che, se da un lato la specializzazione del Parco e la selettività del Trinity College hanno limitato il numero e le dimensioni delle imprese al suo interno, dall’altro, proprio queste caratteristiche hanno favorito lo sviluppo di un centro di eccellenza scientifica e tecnologica di altissimo livello i cui effetti positivi si riflettono in gran parte sulle imprese collocate nelle aree circostanti. All’esterno del Parco si è infatti sviluppata una rete piuttosto vasta di attività di supporto e di servizi ausiliari. Nel Cambridge Science Park e nelle aree circostanti è localizzato circa il 60% degli impianti hi-tech dell’intera regione di Cambridge. In conclusione, molti studi hanno evidenziato la straordinaria vitalità del distretto di Cambridge (paragonabile solo a quella della Silicon Valley) nella realizzazione di attività imprenditoriali e nello sviluppo di istituzioni e organizzazioni di supporto sorte senza l’intervento pubblico.
  • 35. 35 1.9 I distretti High-Tech in Italia Per quanto concerne l’Italia, l’intensa attività d'indagine svolta dal MIUR14 ha portato all’identificazione di 27 Distretti Tecnologici relativi a vari settori e distribuiti nelle seguenti Regioni: • Campania: 1 (materiali polimerici e strutture); • Piemonte: 1 (tecnologie wireless); • Veneto: 1 (nanotecnologie); • Liguria: 1 (sistemi intelligenti integrati per la logistica); • Lombardia: 3 (ICT, biotecnologie, materiali avanzati); • Sicilia: 3 (micro e nanosistemi, agro-bio e pesca ecocompatibile, logistica); • Lazio: 3 (aerospazio e difesa, farmaceutico, beni e delle attività culturali); • Emilia Romagna: 1 (Hi-Mech); • Sardegna: 1 (biomedicina e tecnologie per la salute); • Calabria: 2 (beni culturali, logistica); • Friuli-Venezia Giulia: 1 (biomedicina molecolare); • Puglia: 3 (biotecnologie, hi-tech, meccatronica); • Toscana 1: (ICT); • Trentino Alto Adige: 1 (tecnologie per l’edilizia sostenibile). Inoltre, sono in corso i lavori per la costituzione di altri 4 Distretti nelle Regioni Abruzzo (innovazione, sicurezza e qualità degli alimenti), Basilicata (tecnologie innovative per la tutela dei rischi idrogeologici), Molise (innovazione agroindustriale), Umbria (edilizia sostenibile). Sebbene l’identificazione abbia raggiunto buoni risultati, appare oggi evidente che non è possibile tracciare un quadro globale sul processo alla base della nascita di questi DHT. Infatti, come verrà chiarito in seguito, molto spesso la nascita dei Distretti High- Tech è avvenuta in maniera spontanea e non attraverso un preciso quadro progettuale. In altre parole, l’interazione tra le imprese ha creato un terreno fertile per l'interazione e lo scambio di conoscenze, senza servirsi delle istituzioni come mediatori. 14 Per un approfondimento si veda: http://leg16.camera.it/561?appro=92#paragrafo631.
  • 36. 36 È inoltre importante notare che all’interno delle realtà individuate dal MIUR ci sono diversi gradi di realizzazione del Distretti HT partendo da realtà già ampiamente consolidate come i Distretti HT del Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna fino ad arrivare a realtà proto-distrettuali come i Distretti del Veneto e del Lazio. In questo ambito verranno analizzate in modo approfondito alcune realtà distrettuali italiane (tra cui: Torino Wireless, Biotech in Lombardia, High Mech in Emilia Romagna, Nanotecnologie in Veneto e Aerospazio in Lazio) ed il capitolo 3 sarà interamente dedicato al distretto High-Tech Genovese e nello specifico all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, vero fulcro della presente trattazione. 1.9.1 Torino Wireless Il Distretto HT Torino Wireless15 si contraddistingue per l’adozione di una forma strutturata di governance delle proprie attività (una fondazione), che appare particolarmente efficace nel coordinamento delle risorse. Il distretto si fonda sulla presenza locale di un polo di ricerca accademica di eccellenza nell’ambito tecnologico di pertinenza. La presenza di un focus sulle telecomunicazioni è testimoniata sia dalla performance dei brevetti sia dai dati sui finanziamenti MIUR e sui progetti europei. Il distretto è stato in grado di attrarre risorse pubbliche e ha saputo formare partnership con strutture di supporto all’imprenditorialità innovativa già presenti sul territorio; in particolare, il progetto distrettuale sembra porre una particolare attenzione ai temi della proprietà intellettuale, prevedendo interventi al fine di garantire i vantaggi competitivi per le imprese che introducano innovazioni di processo e di prodotto ma, al tempo stesso, incentivando la propagazione delle innovazioni all’interno del settore. In tal modo il distretto ha saputo generare esternalità positive all'interno del contesto locale. 15 http://www.torinowireless.it/index.php?IDpage=5708&lang=ita.
  • 37. 37 Data l’importanza della protezione degli assets legati all’attività culturale, negli ultimi anni si è messa in atto un’attenta politica di creazione, gestione e valorizzazione dei Diritti di Proprietà Intellettuale (DPI) in qualunque forma: brevetto, diritto d’autore, segreto industriale, che sono strumenti utili a capitalizzare un bene intangibile come la conoscenza. La valorizzazione dei diritti di proprietà intellettuale avviene sia tramite forme tradizionali come la licenza d’uso, sia attraverso forme innovative come l’avvio di start-up. Nell’economia del distretto i DPI svolgono un’importante funzione di collegamento fra l’aspetto tecnologico, industriale e quello economico. In maggior dettaglio, il DHT piemontese si caratterizza per l’elevata presenza di personale del settore ICT (oltre 7.000 addetti) e per l’intensa attività brevettuale, che vede attribuirsi alle aziende nella sola provincia di Torino il 20% dei brevetti nazionali. Dal punto di vista settoriale, il distretto è dedicato all’ICT ed è strutturato in 4 settori principali: • le tecnologie software: sistemi operativi, linguaggi e applicativi per elaborazione e trasmissione di informazioni; • le tecnologie multimediali: applicativi orientati al trasferimento di dati, da immagazzinare e trasferire; • dispositivi microelettrici e ottici: i componenti di base per lo sviluppo di sistemi di telecomunicazione e trasferimento dell’innovazione; • tecnologie wireline: i sistemi di telecomunicazione su cavo. Una rilevante generazione di valore deriva dall’interazione fra le tecnologie ICT ed i comparti industriali presenti all’interno contesto piemontese. Infatti, la diffusione delle tecnologie ICT nei settori industriali tradizionali contribuisce all’evoluzione dei loro prodotti e modelli di servizio e ne aumenta il valore aggiunto, costituendo un importante mezzo per la crescita del Distretto.
  • 38. 38 Rispetto alla capacità d'interazione con agenti economici esterni alla Regione, il distretto ha saputo impiegare nel modo consono la leva strategica degli investimenti da parte di società estere, come Motorola 16 , che nel 2000 si è stanziata sul territorio impegnandosi in attività di R&S. L’apertura internazionale del distretto è stata promossa anche attraverso l’organizzazione di conferenze scientifiche internazionali nell’ambito delle telecomunicazioni. Le attività distrettuali si sono indirizzate al settore delle piccole e medie imprese, tramite interventi di finanziamento di progetti innovativi e l’adozione di misure atte a favorire lo sviluppo locale. 1.9.2 Biotecnologie in Lombardia Il distretto delle Biotecnologie in Lombardia si sviluppa attraverso strumenti operativi e manageriali già presenti all’interno della Regione (Per maggiori informazioni si rimanda al sito ufficiale17 ). Milano è attualmente sede della più importante concentrazione italiana del settore biomedico, sia pubblico che privato. Nella città operano 1.897 imprese attive nel settore della Sanità e in altri servizi sociali ad essa collegate. Nella provincia hanno sede 124 delle 210 grandi imprese farmaceutiche aderenti a Farmindustria con oltre 2.000 addetti alla ricerca, circa il 20% del totale nazionale, e sono concentrati in 29 centri di ricerca. Queste industrie esportano medicinali e prodotti di base per 6,5 miliardi di euro, il 45% del totale nazionale. Anche la nascente industria biotecnologica ha sede nel capoluogo lombardo e numerosi tra i farmaci più innovativi a livello mondiale sono stati sviluppati da aziende milanesi, che tuttora detengono una notevole capacità di scoperta e di sviluppo. Snodo centrale del distretto è il nuovo polo intitolato al premio Nobel per la medicina Renato Dulbecco (1914-2012), che opererà principalmente negli ambiti della farmacogenomica (lo studio della correlazione tra effetto dei farmaci e caratteristiche genetiche individuali), dello sviluppo di farmaci basato sulle nuove conoscenze scientifiche quali quelle sul genoma umano, e della ricerca sulle cellule staminali e sulle loro applicazioni cliniche. 16 http://www.967arch.it/1423/motorola_torino/ 17 http://www.biotecnolombardia.it/pdf/scheda_distretto_bio_lombardia.pdf
  • 39. 39 In particolare, l’iniziativa a favore delle biotecnologie viene realizzata dedicando specificamente a tale ambito tecnologico una quota di risorse e servizi erogata tramite strumenti legislativi già in atto. Si può rlevare che tra le iniziative di policy mancano invece, al momento, specifici interventi dedicati alla formazione sulla proprietà intellettuale, elemento peraltro di assoluto rilievo nel settore delle biotecnologie. 1.9.3 Hi-Mech in Emilia Romagna Il distretto Hi-Mech in Emilia-Romagna si basa su un progetto focalizzato sul networking per la ricerca lungo le filiere produttive della meccanica, coerentemente con le caratteristiche strutturali del sistema regionale di innovazione. Il settore meccanico è il motore originario dello sviluppo tecnologico dell’industria italiana: produce oltre il 40% del valore aggiunto dell’industria manifatturiera (90 miliardi di euro) e contribuisce all’export complessivo per il 48%. L’industria meccanica in Emilia-Romagna rappresenta il 43% del comparto manifatturiero, il 55% delle esportazioni e, con oltre 28.000 imprese, costituisce una delle più alte concentrazioni del Paese, in particolare nella produzione di macchine per l’industria e nella filiera ‘automotive’. Distribuite su tutto il territorio regionale, con una particolare presenza nelle Province centrali, le imprese meccaniche esprimono quasi il 70% della domanda di ricerca del settore industriale. L’Emilia Romagna è anche una delle Regioni italiane che realizzano la maggior attività di ricerca, con il 10,5% dei ricercatori a fronte del 6% della popolazione nazionale. Presso le Università della Regione, il CNR, l’ENEA e l’INFM operano, con competenze specifiche d’interesse del settore meccanico, 30 dipartimenti e istituti di ricerca che impiegano complessivamente 1.600 ricercatori18 . Svolgono inoltre attività rilevanti per la meccanica, 104 dei 230 laboratori accreditati dal MIUR e 19 dei 30 centri per l’innovazione e il trasferimento tecnologico presenti in regione. Hi-Mech è distribuito su tutto il territorio regionale e si configura come una rete di eccellenza interdisciplinare focalizzata sulla meccanica avanzata, che prevede come strumento operativo i laboratori a rete (Net-Lab). 18 http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ricerca/ricerca-internazionale/technological-district/emilia- romagna
  • 40. 40 Ogni Net-Lab raccoglie e organizza le migliori competenze in uno specifico settore di ricerca, in grado di raggiungere l’eccellenza nella ricerca industriale e di trasferire efficacemente tecnologia. I Net-Lab mettono in rete laboratori, strumentazioni e facilities e ne creano di nuovi, sviluppano nuovi progetti di ricerca e trasferimento tecnologico, formano talenti e attraggono nuove risorse umane di elevato profilo scientifico e tecnologico, elaborano un programma per la creazione di nuove imprese Hi-Tech con riferimento al settore meccanico. Un’accurata analisi del fabbisogno delle imprese, dell’offerta di competenza nel mondo della ricerca e l’identificazione delle aree di sviluppo più promettenti secondo studi di technology foresight, hanno determinato la scelta di 3 ambiti tecnologici, a cui fanno riferimento i Net-Lab: • metodi innovativi per l’ingegneria meccanica (tecnologie per la progettazione: simulazione e progettazione integrata, rumore e vibrazioni); • sistemi meccanici intelligenti (meccatronica e automazione: sensori, attuatori e sistemi di automazione per l’industria meccanica; tecnologie, prodotti e processi in atmosfera controllata e modificata); • materiali, superfici e nanofabbricazione (materiali e superfici: nano-fabbricazione, materiali per la progettazione avanzata, superfici e ricoprimenti per la meccanica avanzata e la nanomeccanica). Nei 3 ambiti tecnologici sono state identificate 8 aree di ricerca alle quali corrispondono gli 8 Net-Lab: 1. Metodi innovativi per l’ingegneria meccanica SIMECH: simulazione e progettazione integrata nel settore automotive e della meccanica avanzata, simulazione e progettazione integrata – simulazione avanzata per il veicolo;
  • 41. 41 LAV: laboratorio di acustica e vibrazioni, monitoraggio e diagnostica mediante analisi sperimentali e simulazioni vibro-acustiche - controllo attivo e passivo del rumore e delle vibrazioni. 2. Sistemi meccanici intelligenti AUTOMAZIONE: sensori, attuatori e sistemi di automazione per l’industria meccanica - studio e sperimentazione di sistemi di controllo embedded su architetture distribuite con applicazioni in campo automotive, robotica e macchine automatiche - sviluppo di tecniche diagnostiche per sistemi di automazione fault-tolerant in campo automotive, robotica e macchine automatiche - sviluppo di sistemi robotici ad elevata interazione con l’ambiente con particolare riferimento alla telemanipolazione, alle interfacce evolute ed alla navigazione autonoma; MECTRON: applicazioni meccatroniche - progettazione meccatronica per la generazione, la trasmissione ed il controllo del moto - diagnostica, affidabilità e sicurezza del prodotto meccatronico; TECAL: tecnologie, prodotti e processi in atmosfera controllata - sviluppo di tecnologie asettiche nel confezionamento di liquidi alimentari - progettazione e ingegnerizzazione di ambienti di lavoro a contaminazione controllata. 3. Materiali, Superfici e nano-fabbricazione NANOFABER: nanofabbricazione e processi con controllo spaziale nanometrico di materiali multi-funzionali - fabbricazione ed integrazione di dispositivi in materiali convenzionali e relativi dimostratori; MATMEC: materiali e processi per la progettazione meccanica - caratterizzazione dei materiali per l’ingegneria meccanica - applicazione dei materiali nell’ingegneria meccanica. La forma di governance adottata appare adeguata. Dal punto di vista organizzativo il processo di individuazione di cluster tecnologici risponde a pieno
  • 42. 42 all’esigenza di mappatura delle competenze scientifiche e tecnologiche presenti sul territorio. L’organizzazione e la tipologia delle attività del distretto appaiono ben inserite all’interno del quadro legislativo adottato dalla Regione Emilia Romagna. Uno degli aspetti positivi di maggior rilevanza risiede nella effettiva progettazione di un network di laboratori di ricerca delocalizzati, orientati a favorire il trasferimento tecnologico verso la media impresa. 1.9.3 Nanotecnologie in Veneto Il Distretto Tecnologico delle Nanotecnologie in Veneto19 si trova ancora in una fase di avvio. Il focus del Distretto sarà l'applicazione delle nanotecnologie ai materiali: proprietà strutturali e funzionali, nano-componenti per l'industria elettronica, nanocomposti per la biomedicina e la farmaceutica, nano-sistemi per le parti elettromeccaniche tradizionali di dimensioni micro e nanoscopiche. Le nanotecnologie di base saranno le nano-strutture e le analisi e modelli. Il Distretto Tecnologico è caratterizzato da una buona presenza locale di competenze tecnologiche nell’area di ricerca delle applicazioni delle nanotecnologie. La forma di governance adottata è quella della società consortile che vede al suo interno la partecipazione di imprese locali, Regione ed Università. In ragione sia delle caratteristiche della ricerca di base che interessano l’ambito tecnologico di riferimento, sia delle caratteristiche del sistema regionale di innovazione, le attività del distretto dovranno essere orientate non solo al trasferimento tecnologico ma anche e soprattutto all’attrazione sul territorio di ricercatori accademici altamente qualificati. Inoltre, il comparto delle nanotecnologie sembra prestarsi poco ad attività tradizionali di trasferimento tecnologico verso la piccola e media impresa già presente sul territorio. Gli strumenti di policy dovranno essere indirizzati ad offrire ai centri di ricerca distrettuali ampie opportunità di accesso ai network di ricerca di eccellenza tramite finanziamenti per la mobilità dei ricercatori e la partecipazione a grandi progetti di ricerca internazionale. 19 Per un approfondimento si veda: http://www.venetonanotech.it/.
  • 43. 43 1.9.4 Aerospazio in Lazio Come il distretto veneto, il distretto Aerospaziale del lazio20 si trova in una fase di start-up. La Regione Lazio del resto ha scarsa esperienza anche in riferimento ai distretti industriali tradizionali. Il Distretto Tecnologico non prevede al momento una specifica forma di governance basata su un ente consortile. A causa della moderata performance brevettuale della Regione nel campo delle tecnologie aerospaziali, è plausibile ipotizzare che l’efficacia del distretto nel medio periodo dipenderà dalla capacità di attrarre localmente grandi imprese coinvolte nella filiera produttiva dell’ aeronautica e dalla capacità di sviluppare un efficiente sistema di networking che garantisca successivamente la partecipazione ad importanti commesse internazionali. In questo senso è opportuno sottolineare come siano presenti nelle linee guida del distretto due specifici punti: • interventi per la grande impresa; • sostegno a grandi progetti. L’assenza di un’istituzione preposta al governo del distretto, d’altra parte rischia di dilatare i tempi necessari per la realizzazione di partenership con altri hub tecnologici specializzati nel settore aerospaziale (ad esempio, con i centri di Torino presso il Politecnico ed Alenia Spazio21 ). 20 http://www.lazio-aerospazio.it 21 http://www.finmeccanica.com/business-mercati-markets/settori/spazio/thales-alenia-space
  • 44. 44 1.10 Le determinanti del distretto High-Tech L’obiettivo strategico enunciato dal Consiglio Europeo di Lisbona del 23-24 Marzo del 200022 propone il passaggio verso società ed economie fondate sulla conoscenza. In quest’ambito, risulta importante il sapere incorporare capacità elevate di generazione e diffusione dell’innovazione nelle imprese e nella società. Due sono le principali strade individuate per il raggiungimento di questo obiettivo. • La prima, a carattere tradizionale, colloca la generazione dell’innovazione prima del processo produttivo in una logica di sviluppo lineare, che procede a cascata dall’invenzione e prima elaborazione dell’idea innovativa in grandi laboratori di ricerca, al suo sviluppo e commercializzazione per l’uso entro la produzione di beni e servizi ad opera delle imprese. Il mutamento delle dinamiche industriali, con il passaggio da grandi imprese accentrate verticalmente ad un decentramento delle fasi produttive, mette in crisi questa visione, rendendo più difficile l’incontro fra l’offerta e la domanda di innovazione, quando le fasi differenti non siano riunite sotto il “tetto” di grandi imprese. • Alla visione tradizionale si è andata affiancando una visione alternativa fondata sull’interazione di piccole e medie imprese, strettamente legate al territorio in cui operano. Il riconoscimento di città dinamiche, Distretti HT, Regioni metropolitane e sistemi regionali di innovazione come specifiche unità di indagine e di politiche è un punto centrale per l’adozione di strutture di intervento (e di identificazione degli obiettivi delle politiche) basate sulla promozione di reti di attori più o meno radicati localmente. E’ importante notare che l’analisi presentata in questa parte si pone l’obiettivo di analizzare i contesti che meglio si prestano alla nascita dei Distretti HT, e per questo motivo sono stati individuati, a priori, alcuni aspetti fondamentali che derivano dalla definizione di Distretto HT e che assumono un ruolo centrale nel determinare le performances dei Distretti stessi. 22 La cd. Agenda di Lisbona è un programma di riforme ti carattere economico approvato a Lisbona dai capi di stato e di governo delle nazioni dell’Unione Europea. Tra i vari temi trattati vi sono: Innovazione, Capitale umano e sviluppo sostenibile. Per analizzare le conclusioni tratte dal consiglio Europeo: http://www.europarl.europa.eu/summits/lis1_it.htm
  • 45. 45 1.11 Analisi comparativa delle performance innovative nell’area UE Il volume degli investimenti in R&S rappresenta uno dei principali input del processo innovativo. Secondo l’indagine condotta dalla Fondazione COTEC (2009), Nell’area europea, tra il 1990 e il 2006, gli investimenti in R&S sono aumentati in tutte i principali Paesi, compresa l’Italia. Nel caso italiano, l’incremento maggiore è avvenuto tra il 2000 e il 2006 ed è stato in media del 2,5%. Questo dato conferma un importante mutamento delle dinamiche industriali, con il passaggio da piccole e medie imprese, a basso contenuto tecnologico, verso imprese più legate a settori strategici High-Tech. L’incremento della percentuale di investimento in R&S dell’Italia è stato secondo solo a quello di Germania e Spagna, Paese quest’ultimo che ha assistito, negli ultimi anni, a una forte espansione dei propri investimenti in R&S. Come mostra la Figura 1, in cui si riportano le percentuali di investimento in R&S sul Prodotto Interno Lordo, per i Paesi UE-15 il gap tra i leader europei in R&S e i followers (tra cui l’Italia), non sembra affievolito e si assiste oggi ad una netta separazione tra le zone dell’Europa del Centro-Nord e quelle del Sud-Ovest. Figura 1 - Intensità degli investimenti in R&S in percentuale del PIL (Fonte: OECD 2008).
  • 46. 46 La quota maggiore di investimenti in R&S è attribuita ai Paesi dell’Europa del Nord e ad alcuni Paesi dell’Europa centrale. I paesi in coda sono Irlanda, Portogallo, Italia e Grecia. Questo dato è confermato anche dall’ampiezza del settore R&S descritto attraverso il numero degli addetti. Infatti, come mostra la Figura 2, i leader sono i Paesi dell’Europa del Nord e in particolare quelli della penisola scandinava. Dato interessante è quello dell’Inghilterra che, sia per percentuale d’investimenti, che per ampiezza del settore R&S, è al di sotto della media Europea. Figura 2 - Addetti alla R&S sul totale degli occupati, zona UE-15 (Fonte:OECD).
  • 47. 47 La Tabella 1 mostra un quadro estremamente differenziato, con una netta prevalenza del settore privato come principale finanziatore della spesa in R&S, specialmente nell’Europa settentrionale e una quota ampia di alta formazione in Paesi come Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. Tabella 1 - Principali enti finanziatori della spesa in R&S (Fonte: OECD 2008). In particolare, la Grecia è la nazione europea con la prevalenza maggiore del settore pubblico nei R&S. In Italia la composizione dei R&S è da attribuirsi in parti uguali al settore pubblico e privato, anche se negli ultimi anni la prevalenza del settore privato sta acquisendo un ruolo sempre maggiore, passando dal 2000 al 2006 da 1,2% al 4,1% (COTEC, 2009). Quanto emerso dall’analisi degli investimenti in R&S, può essere solo in parte esteso alle performance innovative nei paesi UE-15. Come mostrato dalla Figura 3, infatti, a fronte di un investimento, in media più basso, l’Italia ha un numero di brevetti sul totale della popolazione superiore alla media Europea. Questo dato è in linea con gli andamenti all’interno del periodo, con un incremento da 117 a 400 brevetti nel lasso temporale 2000-2006.
  • 48. 48 Figura 3 - Quota dei brevetti sul totale della popolazione, zona UE -15. (Fonte: OECD 2008) Tabella 2 - flussi attivi e passivi della bilancia Tecnologica dei pagamenti, incidenza % rispetto al PIL. (Fonte: OECD 2008) La performance brevettuale cattura solo in parte l’output innovativo dei Paesi UE-15. Un altro indicatore è costituito dalla bilancia tecnologica dei pagamenti. Questo indicatore misura la differenza tra importazione ed esportazione di tecnologia. La Tabella 2 riporta i flussi attivi e passivi che compongono la bilancia tecnologica dei pagamenti (in percentuale del PIL). In Italia la bilancia tecnologica dei pagamenti registra un passivo fino
  • 49. 49 al 2006 a differenza di altri paesi concorrenti, come Regno Unito, Germania e Francia (COTEC 2009). Questo dato rispecchia un mutamento delle dinamiche tecnologiche, con un progressivo rafforzamento di settori ad alta concentrazione tecnologica nei Paesi in attivo. La tendenza è confermata anche dalle quote esportative per i principali settori ad alta tecnologia, quote presentate nella Tabella 3. Tabella 3 - Quote di esportazioni per i principali settori ad alta tecnologia, zona UE- 15 (Fonte: OECD 2008) L’elemento più interessante che emerge dalla Tabella 3 è rappresentato dalla composizione delle esportazioni in Italia. I primi due settori nazionali per quote esportative sono il settore farmaceutico e quello dell’Aerospazio. Entrambi i settori rappresentano due dei principali Distretti HT, individuati dal MIUR, e sono molto concentrati nella Provincia di Roma. Il quadro descritto fino ad ora tralascia un aspetto fondamentale per la performance innovativa, quello che riguarda la dotazione di capitale umano. Sia sul fronte della forza lavoro impiegata nel settore manifatturiero, che su quello della dotazione di capitale umano prodotto dalle scuole e dal sistema universitario, l’Italia manifesta la sua debolezza. Ad esempio, secondo il rapporto COTEC (2009), in Italia solo il 13% della forza lavoro ha una qualifica universitaria, a fronte di un 26% della media europea. Il dato più preoccupante è il tasso di abbandono scolastico in Italia, che nel 2007 è stato del 19% (early school leavers).
  • 50. 50 D’altra parte la quota di spesa pubblica in istruzione destinata all’Università è solo del 17% (contro il 25% della Germania e il 22% del Regno Unito), pari appena allo 0,76% del PIL, contro una media europea del 1,15% (Eurostat, 2007). Questo quadro è riscontrabile nella Tabella 4, in cui è riportata la percentuale della popolazione con almeno un’istruzione secondaria superiore. Anche in questo caso l’Italia, insieme a Spagna e Portogallo, rappresenta il fanalino di coda all’interno della zona europea. Tabella 4 - Percentuale della popolazione tra 25-64 anni con almeno un’istruzione secondaria superiore (Fonte: OECD 2008)
  • 51. 51 1.12 Analisi comparativa tra le Regioni italiane L’analisi presentata nel precedente paragrafo ha messo in luce alcune delle ze del sistema economico italiano, sia per quanto riguarda la spesa in R&S sia per la dotazione di capitale umano. In generale si è riscontrata una forte limitazione del sistema economico italiano nell’investire in Ricerca e Sviluppo, anche se il problema più grave sembra essere la scarsa presenza di manodopera specializzata in rapporto alla popolazione. I risultati descritti hanno una valenza d’insieme, ma non riescono a catturare le performance regionali all’interno del contesto nazionale. Questo paragrafo, quindi, si pone un duplice obiettivo: • far emergere l’estrema eterogeneità del contesto italiano; • introdurre il nesso tra performance tecnologica e presenza di Distretti HT. Questo secondo aspetto è affrontato attraverso la comparazione tra le Regioni con maggiore concentrazione di Distretti HT che, come descritto in precedenza, sono: Piemonte, Lombardia, Veneto Emilia Romagna e Lazio. Le Regioni Lombardia e Lazio hanno un ruolo di leader nel settore della R&S. Una visione più particolareggiata è fornita dalla tabella 5, dove è riportata la composizione della spesa in R&S (in valori assoluti) secondo i principali finanziatori. Un dato molto interessante che emerge dal confronto tra Lombardia e Lazio è che, nel primo caso, la spesa in R&S avviene principalmente ad opera di soggetti privati ed imprese mentre, nel secondo, è prevalente la spesa in R&S di enti pubblici.
  • 52. 52 Tabella 5 - Composizione della spesa in R&S. Fonte: (ISTAT 2008). Un quadro analogo a quello appena descritto è evidenziato dalla Figura 4, dove si mostra il numero di brevetti EPO (European Patent Office) e la spesa media per addetto in innovazione. A) B) A) numero di brevetti EPO per milione di abitanti. B) Spesa media in innovazione per addetto. Figura 4 - Performance innovativa nelle Regioni italiane. Fonte: (ISTAT 2008).
  • 53. 53 Anche in questo caso si può notare una netta separazione delle Regioni del Centro-Nord d’Italia da quelle del Mezzogiorno. A differenza della spesa in R&S, in questo contesto è evidenziata la fragilità della performance innovativa di alcune Regioni. Interessante è il caso del Lazio che, a fronte di massicci investimenti in R&S, non è in grado di convertire le risorse impiegate in un adeguato livello d’innovazione. Questo può sicuramente dipendere dalla difficoltà di trasferire le conoscenze dall’ambito della ricerca pubblica al settore privato, e quindi di innescare un processo d’innovazione tecnologica all’interno delle imprese. Una situazione sostanzialmente differente è quella delle Regioni Piemonte e Lombardia, caratterizzate da un’elevata incidenza delle spese private in R&S e una performance brevettuale su livelli medi. In questo caso, l’obiettivo primario dell’attività distrettuale appare quello di selezionare opportunamente l’eccellenza industriale, anche se di nicchia, già presente sul territorio. Nello specifico caso della Lombardia, il sistema regionale d’innovazione può per altro contare su di una propensione all’investimento da parte di operatori del capitale di rischio di assoluto rilievo (COTEC, 2005). Gli indici di specializzazione precedentemente riportati testimoniano, unitamente ai valori assoluti sui finanziamenti per la ricerca ottenuti dagli Atenei, l’effettiva presenza in tutte le aree geografiche esaminate di una non trascurabile massa di competenze scientifiche ed industriali negli specifici ambiti di pertinenza tecnologica. In particolare, nel caso del Piemonte, l’elevata incidenza di progetti europei vinti nell’area delle telecomunicazioni suggerisce la presenza locale di una determinante propensione innovativa in questo settore, sia da parte dei centri di ricerca pubblica, sia da parte di imprese private. (Tabella 6)
  • 54. 54 Tabella 6 - Finanziamenti dei progetti all’interno delle cinque Regioni considerate, dati in migliaia di Euro. 1.13 Confronto tra i distretti High-Tech analizzati L’analisi dei Distretti Tecnologici di Yamacrow, Sophia-Antipolis e Cambridge, mette in luce alcune regolarità nella nascita e crescita dei distretti e alcuni aspetti di contrasto con le esperienze italiane. In primo luogo, dalla storia dei tre distretti analizzati, si evidenzia l’importanza delle istituzioni come motore di sviluppo dell’attività di ricerca e di promozione, oltre alla messa appunto delle infrastrutture che permettono l’espansione delle attività produttive. In particolare, le istituzioni sono state alla base della nascita del distretto di Yamacrow e all'espansione e razionalizzazione del distretto di Sophia-Antipolis, mentre hanno avuto un ruolo più ristretto in quello di Cambridge. Il ruolo delle istituzioni, nel contesto di Sophia- Antipolis, si è rilevato fondamentale anche per aumentare gli scambi tra le imprese del distretto. In secondo luogo, specialmente nel contesto di Sophia-Antipolis, è risultato centrale il ruolo delle grandi imprese multinazionali, come elemento trainante nella nascita dei DHT. Questo sembra quindi superare in parte il concetto che vede il DHT legato solo a piccole e medie imprese.
  • 55. 55 Un terzo elemento è rappresentato dal contesto industriale in cui viene a formarsi il Distretto HT. Infatti, un punto di debolezza per la crescita di quest’ultimo può risultare la mancanza di un'adeguata cultura industriale locale, che preclude la presenza di quegli elementi di forza che sono stati evidenziati nel caso dei distretti industriali. Infine, l’esperienza di Sophia-Antipolis, evidenzia la necessità di creare un meccanismo endogeno alla base della crescita del Distretto High Tech, che si basi sull’interazione tra Università e centri di ricerca, istituzioni pubbliche e imprese. Tale meccanismo endogeno prevede che istituti di alta formazione e imprese, in modo sinergico, formino una manodopera specializzata che, inserita nel processo produttivo, ne incrementi la produttività. L’endogenità del processo di accumulazione del capitale umano è anche alla base della crescita del distretto di Cambridge. In conclusione, i fattori cruciali individuati dal confronto internazionale dei Distretti High- Tech possono essere così riassunti: • la pianificazione ad opera di istituzioni locali e centrali ha un ruolo chiave nei DHT; • l’importanza delle imprese multinazionali; • l’importanza della cultura locale e industriale; • la necessità di ultimare un meccanismo endogeno per la creazione di capitale umano altamente specializzato. Per quanto riguarda la situazione dei cinque distretti italiani di Lazio, Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte, l’analisi mostra alcune regolarità. In primo luogo, come evidenziato dal contesto laziale e veneto, i proto-distretti sembrano seguire una precisa volontà politica, che vede alla base della nascita del DHT l’interazione tra imprese, istituzioni locali e Università. Questo elemento, risulta vitale in un’ottica di crescita endogena del Distretto, che segue un preciso percorso di sviluppo concordato.
  • 56. 56 In secondo luogo, in tutti i DHT descritti, assume un ruolo rilevante la capacità di attrazione di grandi imprese o multinazionali. L’interazione tra piccole e medie imprese e grandi imprese, può rappresentare un’importante motore per lo sviluppo locale. In particolare, è interessante il caso della Lombardia, dove il distretto nasce a seguito dell’uscita dal territorio di grandi imprese che rappresentano i leader nel settore. Quindi, nel caso italiano i fattori chiave della nascita dei Distretti High Tech sono: • lo sviluppo concordato tra Enti Locali, imprese e Università; • il ruolo delle Multinazionali. Pur tenendo conto delle iniziative messe in atto, rimangono sul campo alcuni problemi di assoluta rilevanza, direttamente connessi alle caratteristiche strutturali dell’economia italiana. In sintesi, le criticità individuate sono: • la distribuzione della dimensione media delle attività industriali è ancora troppo sbilanciata a favore della piccola e piccolissima impresa; • i mercati finanziari nazionali dedicati al capitale a rischio appaiono ancora estremamente limitati e di difficile accesso per le piccole imprese operanti nei settori High-Tech; • non è attiva una sufficiente capacità di collaborazione e di interazione per la ricerca nel medio periodo tra il mondo accademico e della ricerca pubblica e il settore industriale.
  • 57. 57 1.14 Conclusioni L’analisi che abbiamo condotto seguendo l'obiettivo di delimitare e caratterizzare i contesti tecnologici europei e nazionali ha portato alla luce molti aspetti su cui avviare un'attenta riflessione. Come abbiamo mostrato, il posizionamento dell’Italia rispetto ai competitors europei soffre di alcune carenze strutturali dovute ad una scarsa capacità di innovare e investire in R&S e capitale umano. Queste carenze, se si considera l’insieme delle Regioni italiane, sembra presentarsi in maniera estremamente eterogenea, con una spaccatura netta tra Regioni del Centro-Nord e quelle del Sud d’Italia. In questo contesto, la Regione Lazio sembra soffrire meno delle altre e si pone, insieme alla Lombardia, come leader nell'attività innovativa e di formazione. Tenendo conto di questo quadro generale, si possono trarre alcune considerazioni e implicazioni più specifiche. In primo luogo, una delle problematiche che emerge in maniera più forte dal contesto italiano ed internazionale, è la difficoltà di trasferire le conoscenze dall’ambito della ricerca pubblica (prevalente in Italia) al settore privato, e quindi di innescare un processo di innovazione tecnologica all’interno delle imprese. Questa problematica è particolarmente presente nella Regione Lazio, dove a fronte di massicci investimenti in R&S, non si è raggiunto un livello di eccellenza nell’attività di innovazione. In secondo luogo, come evidenziato in più parti nel corso della ricerca, la carenza maggiore del sistema produttivo italiano sembra essere legata alla scarsità di capitale umano e alla possibilità di impiegare manodopera altamente specializzata e qualificata. Infatti si riscontra una disparità tra domanda e offerta di occupazione qualificata nei nuovi settori ad alta tecnologia.
  • 58. 58 Infine, per quanto riguarda la Regione Lazio, la performance esportativa rispetto ai due settori con alta intensità distrettuale sembra avere un grosso impatto sul complesso dell’economia Italiana. In particolare, i settori in cui si inseriscono i due distretti - Aerospazio e Biotecnologie - sono quelli con una maggiore propensione ad esportare e in cui si riscontra una minore perdita di competitività rispetto all'apparato produttivo italiano nel suo complesso. In sintesi, le principali criticità individuate per i DHT italiani sono: 1) debolezze strutturali del sistema economico italiano, specialmente negli investimenti in R&S e capitale umano; 2) difficoltà di trasmissione delle conoscenze tra gli istituti di ricerca e le imprese; 3) carenza di manodopera specializzata; 4) la performance dell’export migliora per le imprese che appartengono a settori ad alta intensità distrettuale.