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dal mondoDomenica
20 Gennaio 20086
Mai come in queste ultime setti-
mane, il governo colombiano si è
trovato al centro di forti pressio-
ni, sia da parte dell’opposizone
interna, che da parte della comu-
nità internazionale, per gli scarsi
progressi ottenuti sul fronte del
cosiddetto «accordo umanitario»
per la liberazione di 45 ostaggi
in mano alle Forze armate rivo-
luzionarie colombiane (Farc), e
soprattutto per aver revocato im-
provvisamente, il 21 di novembre
2007, il mandato di intermedia-
zione con la guerriglia conferito
dallo stesso presidente Alvaro
Uribe al suo omologo venezuela-
no Hugo Chavez.
Gli indicatori economici degli ul-
timi quattro anni parlano di una
crescita sostenuta e costante della
Colombia in termini produttivi e
commerciali, di un aumento de-
gli investimenti stranieri e di una
diminuzione della disoccupazio-
ne attestata nel 2007, secondo
cifre ufficiali, attorno al 10 per
cento . Questi numeri sono valsi
al presidente Uribe la rielezione
nel 2006 con il 65 per cento delle
preferenze.
Altre statistiche ufficiali parlano
di risultati brillanti della politica
di «sicurezza democratica» nei
confronti della guerriglia, intro-
dotta da Uribe nel 2002 (anno
della sua prima elezione): ridu-
zione del territorio sotto control-
lo delle diverse fazioni, minor
numero di sequestri, massacri e
attentati, diminuzione sostanzia-
le della cifra di appartenenti a
gruppi armati irregolari.
Ilredditopoliticodiquestisucces-
si sembra adesso sfumare. Quello
degli ostaggi è solo un aspetto
della guerra interna che afflig-
ge la Colombia da più di qua-
rant’anni, ma è uno dei più sen-
sibili sia per l’opinione pubblica
colombiana che per quella inter-
nazionale, data la presenza tra i
sequestrati dell’ex-candidata alla
presidenza Ingrid Betancourt,
di nazionalità anche francese. Si
calcola che in totale siano anco-
ra circa 700, tra civili e militari, le
persone prigioniere delle Farc.
Senza rinunciare alla politica del-
la mano dura nei confronti della
guerriglia che lo caratterizza, Uri-
be ha cercato di risolvere il pro-
blemadegliostaggicoinvolgendo
nella ricerca di un compromesso
da una parte l’opposizione inter-
na, nella figura della senatrice
PiedadCordoba,edall’altrailsuo
più acerrimo oppositore esterno,
il presidente venezuelano Hugo
Chavez.
Questo improvviso cambio di
strategia aveva una sua originale
ragione politica: in caso di falli-
mento dell’accordo, le respon-
sabilità si sarebbero suddivise in
parti eguali. Ma anche alcune
ragioni pratiche: entrambi sono
interlocutori graditi alla guerri-
glia. La Cordoba è fautrice del
dialogo politico con le Farc, men-
tre il presidente Chavez (oltre a
essere ideologicamente affine) è
sospettato di tollerare operazio-
ni logistiche, e non solo, della
guerriglia, sul proprio territorio
venezuelano.
Il coinvolgimento di Chavez ave-
va ricevuto, inoltre, il sostegno
entusiasta del presidente france-
se Sarkozy, interessato oltre ogni
modo alla liberazione della Be-
tancourt, e la cui stretta amicizia
con Bush non impedisce eviden-
temente di coltivare relazioni a
dir poco equivoche in nome del-
la real-politik umanitaria.
L’iniziativa di Uribe era stata
salutata con entusiasmo anche
in altri Paesi sudamericani con
governi affini a quello venezue-
lano come Argentina, Brasile,
Uruguay, Bolivia ed Ecuador. Le
stesse famiglie dei sequestrati,
da sempre contrarie alla politica
intransigente del governo per ti-
more delle possibili rappresaglie
sui loro cari, vedevano adesso
uno spiraglio di speranza. La fa-
miglia Betancourt, nella figura
della madre di Ingrid, Yolanda
Pulecio, aveva così espresso il suo
appoggio all’iniziativa: «È l’unica
speranza che ci rimane».
Gli Usa si erano mantenuti per
una volta discretamente in di-
sparte. Evento eccezionale, es-
sendo la Colombia il Paese su
cui maggiormente investe fi-
nanziariamente il governo di
Washington in tutta l’Ameri-
ca Latina, e punto cardine
della sua politica estera nel-
la regione.
La forzatura politica im-
plicita in questa inizia-
tiva, tuttavia, è risultata
evidente fin dall’inizio.
Una volta conferito
il mandato a Chavez,
Uribe non ha fatto nulla
per agevolare la sua azio-
ne diplomatica. Le
richieste di
Chavez
L’ambigua politica
del presidente Uribe, mentre
il Paese mostra qualche segno
di sviluppo socio-economico
La mediazione
del venezuelano
Chavez prima chiesta
e poi rifiutata
40 anni d’incubo
| Colombia | Una guerriglia che non finisce mai e che ha nelle sue mani settecento ostaggi. Il rilascio di due donne
nostro dovere perseguire la libe-
razione degli ostaggi con la forza
militare e gli strumenti legali del-
lo Stato».
L’ex ministro degli Esteri israe-
liano Shlomo Ben Ami, invitato
come esperto della questione
israelo-palestineseaunatavolaro-
tonda sulla Colombia ha afferma-
to: «Lo scambio è una questione
essenzialmente umanitaria, e ciò
che rende difficile la situazione è
che si vuole difendere il concetto
politico dell’intransigenza dello
Stato». Da parte sua l’ex presi-
dente colombiano Ernesto Sam-
per ha criticato Uribe afferman-
do che «gli accordi umanitari si
fanno di fronte all’impossibilità
di fermare la guerra, per cercare
di salvaguardare la popolazione
innocente».
Il sodalizio Chavez-Uribe non si
è di fatto mai consolidato, come
era prevedibile, e la situazione
degli ostaggi, così come quella
della lotta alla guerriglia dopo il
21 di novembre sono ritornate al
punto di partenza. Consapevole
del rischio di vedersi addossate
interamente le colpe del falli-
mento dell’accordo, Uribe è suc-
cessivamente corso ai ripari con
una nuova proposta nella quale
accetterebbe la creazione di una
zona smilitarizzata controllata da
osservatori iternazionali, fissando
un limite di tempo di 30 giorni
per il raggiungiimento dello
scambio.
Incaricati dei negoziati con la
guerriglia sarebbero quindi l’Al-
to commissario per la pace Luis
Carlos Restrepo e un delegato
della Conferenza episcopale
colombiana, fautrice anch’es-
sa della riapertura del dialogo
sullo scambio umanitario. «È
una proposta improvvisata e
inaccettabile», è stata la prima
reazione ufficiale delle Farc al-
l’offerta di Uribe. E per mettere
se possibile ancora più in imba-
razzo il Presidente colombiano,
annunciavano prima di Natale
l’imminente liberazione di due
ostaggi e la loro consegna diret-
tamente al presidente venezue-
lano Chavez. L’impegno è stato
poi mantenuto il 10 gennaio,
con la liberazione di Clara Rojas,
amica personale e segretaria di
Ingrid Betancourt, e con l’ex
parlamentare Consuelo Perdo-
mo Gonzales. La liberazione del-
le due donne riaccende ora le
speranze di una soluzione anche
per la Betancourt e per gli altri
cinquanta ostaggi della guerri-
glia. Ma le posizioni del governo
di Bogotà e della guerriglia re-
stano molto lontane.
na fede raramente coincide con
una minuziosa analisi politica.
L’indignazione di Yolanda Pu-
lecio, madre della Betancourt,
si è riprodotta su tutte le testate
giornalistiche colombiane: «Uri-
be è inumano, ha fatto di tutto
per dimostrare che la mediazio-
ne non avrebbe avuto successo,
mentre la guerriglia aveva già
assunto l’impegno di liberare gli
ostaggi».
Uno dei presupposti dell’accor-
do umanitario era dissociare lo
scambio di ostaggi dalle esigenze
della politica. Parte della società
colombiana e internazionale,
chiedeva a Uribe di rinunciare
ad applicare, per questo fine in
particolare, la sua politica di in-
transigenza. Ma la posizione di
Uribe rimaneva agli antipodi: «È
di garantire un salvacondotto ai
rappresentanti delle Farc con cui
si sarebbe dovuto incontrare per
definire i termini dello scambio,
e per ottenere prove della soprav-
vivenza degli ostaggi, non sono
state mai esaudite.
Uribe ha sempre sottolineato
che la mediazione non implicava
la sospensione delle operazioni
militari dell’esercito contro la
guerriglia, e non ha mai accet-
tato la creazione di una zona
franca dentro la quale svolgere i
negoziati. La sua preoccupazione
principale era quella di dimostra-
re l’intransigenza del governo
a non riconoscere la legittimità
politica della guerriglia, e di non
concedere vantaggi militari quali
la crezione di zone liberate.
Chavez, che da parte sua non si
distingue per l’ortodossia politi-
ca, ha quindi attivato dei canali
alternativi e, aggirando il go-
verno Uribe, è arrivato a tenere
contatti diretti con alti esponen-
ti dell’esercito colombiano per
sondare la disponibilità di questi
a garantire la sicurezza degli in-
viati delle Farc in un eventuale in-
contro. Di fronte a questa palese
ingerenza il Presidente colombia-
no ha opposto un netto rifiuto e
ha quindi proceduto a revocare il
mandato di intermediazione.
«In buona fede ho pensato, che
per ragioni politiche minuziosa-
mente analizzate, il presidente
Chavez fosse l’unica persona a
cui le Farc avrebbero consegna-
to gli ostaggi», ha dichiarato
poi Uribe, senza tener
conto che la buo-
Ludovico Mori
nostro servizio da Buenos Aires
A sinistra, il presidente
venezuelano Hugo Chavez e,
sopra, un militare impegnato
in un giro di perlustrazione alla
ricerca di guerriglieri
delle Forze armate
rivoluzionarie della Colombia
(foto Olycom)

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  • 1. dal mondoDomenica 20 Gennaio 20086 Mai come in queste ultime setti- mane, il governo colombiano si è trovato al centro di forti pressio- ni, sia da parte dell’opposizone interna, che da parte della comu- nità internazionale, per gli scarsi progressi ottenuti sul fronte del cosiddetto «accordo umanitario» per la liberazione di 45 ostaggi in mano alle Forze armate rivo- luzionarie colombiane (Farc), e soprattutto per aver revocato im- provvisamente, il 21 di novembre 2007, il mandato di intermedia- zione con la guerriglia conferito dallo stesso presidente Alvaro Uribe al suo omologo venezuela- no Hugo Chavez. Gli indicatori economici degli ul- timi quattro anni parlano di una crescita sostenuta e costante della Colombia in termini produttivi e commerciali, di un aumento de- gli investimenti stranieri e di una diminuzione della disoccupazio- ne attestata nel 2007, secondo cifre ufficiali, attorno al 10 per cento . Questi numeri sono valsi al presidente Uribe la rielezione nel 2006 con il 65 per cento delle preferenze. Altre statistiche ufficiali parlano di risultati brillanti della politica di «sicurezza democratica» nei confronti della guerriglia, intro- dotta da Uribe nel 2002 (anno della sua prima elezione): ridu- zione del territorio sotto control- lo delle diverse fazioni, minor numero di sequestri, massacri e attentati, diminuzione sostanzia- le della cifra di appartenenti a gruppi armati irregolari. Ilredditopoliticodiquestisucces- si sembra adesso sfumare. Quello degli ostaggi è solo un aspetto della guerra interna che afflig- ge la Colombia da più di qua- rant’anni, ma è uno dei più sen- sibili sia per l’opinione pubblica colombiana che per quella inter- nazionale, data la presenza tra i sequestrati dell’ex-candidata alla presidenza Ingrid Betancourt, di nazionalità anche francese. Si calcola che in totale siano anco- ra circa 700, tra civili e militari, le persone prigioniere delle Farc. Senza rinunciare alla politica del- la mano dura nei confronti della guerriglia che lo caratterizza, Uri- be ha cercato di risolvere il pro- blemadegliostaggicoinvolgendo nella ricerca di un compromesso da una parte l’opposizione inter- na, nella figura della senatrice PiedadCordoba,edall’altrailsuo più acerrimo oppositore esterno, il presidente venezuelano Hugo Chavez. Questo improvviso cambio di strategia aveva una sua originale ragione politica: in caso di falli- mento dell’accordo, le respon- sabilità si sarebbero suddivise in parti eguali. Ma anche alcune ragioni pratiche: entrambi sono interlocutori graditi alla guerri- glia. La Cordoba è fautrice del dialogo politico con le Farc, men- tre il presidente Chavez (oltre a essere ideologicamente affine) è sospettato di tollerare operazio- ni logistiche, e non solo, della guerriglia, sul proprio territorio venezuelano. Il coinvolgimento di Chavez ave- va ricevuto, inoltre, il sostegno entusiasta del presidente france- se Sarkozy, interessato oltre ogni modo alla liberazione della Be- tancourt, e la cui stretta amicizia con Bush non impedisce eviden- temente di coltivare relazioni a dir poco equivoche in nome del- la real-politik umanitaria. L’iniziativa di Uribe era stata salutata con entusiasmo anche in altri Paesi sudamericani con governi affini a quello venezue- lano come Argentina, Brasile, Uruguay, Bolivia ed Ecuador. Le stesse famiglie dei sequestrati, da sempre contrarie alla politica intransigente del governo per ti- more delle possibili rappresaglie sui loro cari, vedevano adesso uno spiraglio di speranza. La fa- miglia Betancourt, nella figura della madre di Ingrid, Yolanda Pulecio, aveva così espresso il suo appoggio all’iniziativa: «È l’unica speranza che ci rimane». Gli Usa si erano mantenuti per una volta discretamente in di- sparte. Evento eccezionale, es- sendo la Colombia il Paese su cui maggiormente investe fi- nanziariamente il governo di Washington in tutta l’Ameri- ca Latina, e punto cardine della sua politica estera nel- la regione. La forzatura politica im- plicita in questa inizia- tiva, tuttavia, è risultata evidente fin dall’inizio. Una volta conferito il mandato a Chavez, Uribe non ha fatto nulla per agevolare la sua azio- ne diplomatica. Le richieste di Chavez L’ambigua politica del presidente Uribe, mentre il Paese mostra qualche segno di sviluppo socio-economico La mediazione del venezuelano Chavez prima chiesta e poi rifiutata 40 anni d’incubo | Colombia | Una guerriglia che non finisce mai e che ha nelle sue mani settecento ostaggi. Il rilascio di due donne nostro dovere perseguire la libe- razione degli ostaggi con la forza militare e gli strumenti legali del- lo Stato». L’ex ministro degli Esteri israe- liano Shlomo Ben Ami, invitato come esperto della questione israelo-palestineseaunatavolaro- tonda sulla Colombia ha afferma- to: «Lo scambio è una questione essenzialmente umanitaria, e ciò che rende difficile la situazione è che si vuole difendere il concetto politico dell’intransigenza dello Stato». Da parte sua l’ex presi- dente colombiano Ernesto Sam- per ha criticato Uribe afferman- do che «gli accordi umanitari si fanno di fronte all’impossibilità di fermare la guerra, per cercare di salvaguardare la popolazione innocente». Il sodalizio Chavez-Uribe non si è di fatto mai consolidato, come era prevedibile, e la situazione degli ostaggi, così come quella della lotta alla guerriglia dopo il 21 di novembre sono ritornate al punto di partenza. Consapevole del rischio di vedersi addossate interamente le colpe del falli- mento dell’accordo, Uribe è suc- cessivamente corso ai ripari con una nuova proposta nella quale accetterebbe la creazione di una zona smilitarizzata controllata da osservatori iternazionali, fissando un limite di tempo di 30 giorni per il raggiungiimento dello scambio. Incaricati dei negoziati con la guerriglia sarebbero quindi l’Al- to commissario per la pace Luis Carlos Restrepo e un delegato della Conferenza episcopale colombiana, fautrice anch’es- sa della riapertura del dialogo sullo scambio umanitario. «È una proposta improvvisata e inaccettabile», è stata la prima reazione ufficiale delle Farc al- l’offerta di Uribe. E per mettere se possibile ancora più in imba- razzo il Presidente colombiano, annunciavano prima di Natale l’imminente liberazione di due ostaggi e la loro consegna diret- tamente al presidente venezue- lano Chavez. L’impegno è stato poi mantenuto il 10 gennaio, con la liberazione di Clara Rojas, amica personale e segretaria di Ingrid Betancourt, e con l’ex parlamentare Consuelo Perdo- mo Gonzales. La liberazione del- le due donne riaccende ora le speranze di una soluzione anche per la Betancourt e per gli altri cinquanta ostaggi della guerri- glia. Ma le posizioni del governo di Bogotà e della guerriglia re- stano molto lontane. na fede raramente coincide con una minuziosa analisi politica. L’indignazione di Yolanda Pu- lecio, madre della Betancourt, si è riprodotta su tutte le testate giornalistiche colombiane: «Uri- be è inumano, ha fatto di tutto per dimostrare che la mediazio- ne non avrebbe avuto successo, mentre la guerriglia aveva già assunto l’impegno di liberare gli ostaggi». Uno dei presupposti dell’accor- do umanitario era dissociare lo scambio di ostaggi dalle esigenze della politica. 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