R. Villano - Analisi settoriale principali applicazioni telematiche
Il diritto di avere diritti
1. Il diritto di avere diritti
Un diritto all’oblio
Le altre forme o livelli di garanzia riguardano la permanenza delle informazioni già raccolte. In
un Regolamento sulla protezione dei dati personali pubblicato il 25 gennaio 2012 dalla Commissione
europea si traggono le conclusioni di una ormai lunga e diffusa riflessione su questo tema e, all’art.
16, si disciplina il «diritto all’oblio» e alla cancellazione dei dati personali. Emerge così, nel
nuovissimo mondo della rete, un tema antico.
Dalla cancellazione alla imposizione. Ieri la damnatio memoriae, oggi l’obbligo del ricordo. Che
cosa diviene la vita nel tempo in cui «Google ricorda sempre»? L’implacabile memoria collettiva di
Internet, dove l’accumularsi d’ogni nostra traccia ci rende prigionieri d’un passato destinato a non
passare mai, sfida la costruzione della personalità libera dal peso d’ogni ricordo, impone un continuo
scrutinio sociale da parte di una infinita schiera di persone che possono facilmente conoscere le
informazioni sugli altri. Nasce da qui il bisogno di difese adeguate, che prende la forma della richiesta
di diritti nuovi – il diritto all’oblio, il diritto di non sapere, di non essere «tracciato», di «rendere
silenzioso» il chip grazie al quale si raccolgono i dati personali.
Si è già ricordato che la cancellazione della memoria, l’oblio forzato sono antiche tecniche sociali,
come testimoniano l’istituto della damnatio memoriae o l’Editto di Nantes, che ci indicano nella
liberazione dalle tossine del ricordo la via verso il ritorno alla normalità sociale. Rovesciata questa
impostazione con l’esperienza delle commissioni per la verità e la riconciliazione e l’affermazione di
un diritto alla verità, la vera damnatio, per le persone, è ormai rappresentata dalla conservazione, non
dalla distruzione della memoria. Che cosa diventa la persona quando viene consegnata alle banche
dati e alle loro interconnessioni, ai motori di ricerca che rendono immediato l’accesso a qualsiasi
informazione, quando le viene negato il diritto di sottrarsi allo sguardo indesiderato, di ritirarsi dietro
le quinte, in una zona d’ombra?
Questa domanda è occasionata da un cambiamento tecnologico, ma illustra un mutamento
antropologico. Non a caso si parla di persona «digitale», disincarnata, tutta risolta nelle informazioni
che la riguardano, unica e «vera» proiezione nel mondo dell’essere di ciascuno. Non un «doppio»
virtuale, dunque, che si affianca e accompagna la persona reale, ma la rappresentazione istantanea di
un intero percorso di vita, un’espansione senza limiti della memoria sociale che condiziona la
memoria individuale. Il mutamento di qualità della memoria sociale nasce dapprima con la creazione
di banche dati sempre più gigantesche, che rendono possibile la raccolta di tutte le informazioni
disponibili, i loro collegamenti, la loro massiccia diffusione. Ma il vero cambiamento si ha quando
Internet fa sì che quelle informazioni siano accessibili a tutti attraverso motori di ricerca che le
«indicizzano», le organizzano e le rendono suscettibili non solo di più diffusa conoscenza, ma di
rielaborazioni continue.
Si crea così un contesto che neutralizza le modalità che storicamente avevano consentito il
sottrarsi a una sorta di dittatura implacabile della memoria sociale. Limitate, fino a ieri, le possibilità
di raccolta delle informazioni; ardua o impossibile una loro conservazione totale; lontani o
difficilmente accessibili gli archivi; ristrette le opportunità di una diffusione su larga scala. In alcuni
casi, in particolare quello americano, vi era poi il contrappeso della «frontiera», dimensione non
soltanto fisica come ci ha ricordato Frederick Turner, ma luogo d’ogni opportunità e di rinascita della
persona libera dal passato. E poi la possibilità di scomparire, cambiando nome, immergendosi nella
«folla solitaria» delle metropoli.
Tutto questo è oggi cancellato dalla «tracciabilità» consentita dalle raccolte di massa delle
informazioni, dal fatto che la folla non è più solitaria, ma «nuda», restituita a una realtà nella quale
ogni individuo è scrutato, schedato, ricondotto a una misura che lo rende riconoscibile e riconosciuto.
Sembra scomparire l’antica alternativa intorno alla quale tanti si sono affaticati. La memoria come
2. accumulo di esperienza e saggezza o peso insostenibile del quale liberarsi? L’oblio come condanna
o come risorsa? Se pure vi fosse un fiume Lete dove abbeverarsi, per cancellare ogni ricordo, Internet
rimarrebbe lì, implacabile, con la «sua» memoria che si imporrebbe alla nostra. Infatti, mentre la
velocità dei tempi e dei cambiamenti, il vivere in un eterno tempo presente sembrano trascinare tutto
verso l’oblio, la memoria della rete è invece lì, sempre pronta a far riemergere qualsiasi cosa.
Qui è la ragione di una discussione sul «diritto all’oblio» che si diffonde in ogni luogo. Liberarsi
dall’oppressione dei ricordi, da un passato che continua a ipotecare pesantemente il presente, diviene
un traguardo di libertà. Il diritto all’oblio si presenta come diritto a governare la propria memoria, per
restituire a ciascuno la possibilità di reinventarsi, di costruire personalità e identità affrancandosi dalla
tirannia di gabbie nelle quali una memoria onnipresente e totale vuole rinchiudere tutti. Il passato non
può essere trasformato in una condanna che esclude ogni riscatto. Non a caso, già prima della
rivoluzione tecnologica, era prevista la scomparsa da archivi pubblici di determinate informazioni
trascorso un certo numero di anni. La successiva «vita buona» era considerata ragione sufficiente per
vietare la circolazione di informazioni relative a cattivi comportamenti del passato. Soprattutto negli
Stati Uniti le leggi prevedono minuziose casistiche riguardanti le attività economiche, tanto che dopo
quattordici anni non si può dare notizia neppure d’una bancarotta fraudolenta. Ombra protettrice di
Max Weber, con l’etica protestante a dare una mano a chi, benedetto dal successo negli affari, doveva
considerarsi assolto da ogni precedente peccato, liberato appunto dalle scorie d’un passato che non
rappresentano più la persona quale è effettivamente divenuta?
Nelle regole di oggi, rinvenibili nei paesi più diversi, si va dal diritto della persona di chiedere la
cancellazione di determinate informazioni al potere di impedirne la stessa raccolta; al divieto di
conservare i dati personali oltre un tempo determinato e di trasmetterli a specifiche categorie di
persone (i datori di lavoro, ad esempio); all’obbligo di predisporre meccanismi di «privacy by
design», affidando la tutela a strumenti tecnologici che provvedono alla cancellazione automatica di
determinate informazioni dopo un certo tempo dalla loro raccolta. E si prospettano ipotesi radicali: la
cancellazione della gran parte delle informazioni dopo dieci anni, una tabula rasa che consentirebbe
a ciascuno di ripartire liberamente da zero e riscatterebbe la persona dalla servitù d’essere considerata
come semplice produttore d’informazioni. Soluzioni estreme, e in definitiva non praticabili, ma che
sottolineano come la dinamica del vivere, la libera costruzione della personalità si oppongano per se
stesse alla vischiosità d’un passato costruito come incancellabile e disponibile per un numero
crescente di soggetti.
Il punto chiave sta nel rapporto tra memoria individuale e memoria sociale. Può il diritto della
persona di chiedere la cancellazione di alcuni dati trasformarsi in un diritto all’autorappresentazione,
alla riscrittura stessa della storia, con l’eliminazione di tutto quel che contrasta con l’immagine che
la persona vuol dare di sé? Così il diritto all’oblio può pericolosamente inclinare verso la
falsificazione della realtà e divenire strumento per limitare il diritto all’informazione, la libera ricerca
storica, la necessaria trasparenza che deve accompagnare in primo luogo l’attività politica. Il diritto
all’oblio contro verità e democrazia? O come inaccettabile tentativo di restaurare una privacy
scomparsa come norma sociale, secondo l’interessata versione dei nuovi padroni del mondo che
vogliono usare senza limiti tutti i dati raccolti?
Internet deve imparare a dimenticare, si è detto, anche per sfuggire al destino del Funes di Borges,
condannato a tutto ricordare. La via di una memoria sociale selettiva, legata al rispetto dei
fondamentali diritti della persona, può indirizzarci verso l’equilibrio necessario nel tempo della
grande trasformazione tecnologica.
Stefano Rodotà, Il Diritto Di Avere Diritti, Roma, Laterza & Figli, 2012, pp. 404-407