L'articolo descrive gli effetti potenzialmente dannosi della direttiva europea sull'utilizzo dei buoni pasto, che non risulterebbero più convenienti né per i fruitori né per i datori di lavoro.
Euractiv - Articolo sulla direttiva europea che metterebbe a rischio l'utilizzo dei buoni pasto
1. http://www.euractiv.it/it/news/norme/7413-lavoro-direttiva-europea-mette-a-rischio-i-buoni-pasto.
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Lavoro: direttiva europea mette a rischio i
buoni pasto
Un vero e proprio status symbol, oltre che un
beneficio reale per circa tre milioni di lavoratori per lo
più dipendenti che se ne avvalgono, quando manca
la mensa aziendale. In Italia, più che in altri paesi, i
buoni pasto rappresentano un benefit di cui
difficilmente si farebbe a meno, ma lo strumento
risulta "gettonato" anche in Belgio, Francia, Romania
e Spagna. Nel nostro paese il mercato è suddiviso
tra alcuni grandi imprese, per lo più multinazionali.
Le principali sono: Edenred (Ticket Restaurant),
Quigroup, Day e Sodexo.
Se la direttiva sull'armonizzazione dell'IVA sui
voucher, proposta dalla Commissione europea nel marzo 2012, fosse approvata definitivamente nella
sua versione originaria (l'iter è quello della procedura legislativa speciale, che prevede l'unanimità
presso il Consiglio dei Ministri dell'Ue e il mero parere del Parlamento europeo), il rischio è che i buoni
pasto non risultino più tanto convenienti, né per il datore di lavoro (sia esso un'azienda privata o un ente
della Pubblica amministrazione), né per il lavoratore-consumatore, né per le società emettitrici dei
buoni.
Il campo di azione della direttiva riguarda i cosiddetti voucher, che comprendono ad esempio le
ricariche telefoniche, i buoni regalo, i buoni sconto e per l'appunto, i buoni pasto.
Pur esprimendo parere favorevole complessivo sulla direttiva, la XIV Commissione della Camera dei
deputati (Politiche europee), nel dicembre 2012 - quindi nella passata legislatura – ne ha rilevato
alcune criticità.
Secondo l'ufficio studi, uno specifico regime IVA sui buoni appare necessario e improrogabile, perché
risponde, come osservato dall'Esecutivo di Bruxelles, all'obiettivo di colmare le divergenze tra i vari
ordinamenti nazionali, che hanno determinato casi di doppia imposizione o non imposizione,
ostacolando nel primo caso il corretto funzionamento del mercato unico e, nel secondo caso, dando vita
a pratiche di elusione fiscale.
L'impatto della proposta presenta, però, alcuni problemi rispetto al trattamento dei buoni pasto, che
sarebbero considerati buoni multiuso e quindi verrebbero tassati ai fini IVA esclusivamente al momento
in cui sono utilizzati dal lavoratore presso la tavola calda o il ristorante, con l'applicazione dell'aliquota
del 10%.
Nel nostro paese i buoni pasto sono soggetti ad Iva al momento dell'emissione e del rimborso, mentre
sono fuori campo IVA al momento della consegna dal datore di lavoro al dipendente e all'utilizzo presso
l’esercizio convenzionato.
La normativa vigente in Italia (risoluzione 49/E del 3 aprile 1996) prevede, infatti, due momenti impositivi,
il primo all'atto dell'acquisto, da parte del datore di lavoro, dei buoni pasto con applicazione da parte
della società emittente dell'aliquota del 4 per cento, il secondo all'atto della restituzione da parte degli
esercizi convenzionati (bar, ristoranti, supermercati) dei buoni pasto alla società emittente, con
05 Luglio 2013 Alessandra Flora Tweet
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Questa struttura IVA permette agli emettitori di riconoscere ai clienti, generalmente, uno sconto, in
considerazione che il buono pasto è considerato un servizio sostitutivo di mensa.
L’introduzione della normativa europea, e la qualificazione del buono pasto come "multi purpose
voucher", cioè buono multiuso, porterebbe l’intero sistema fuori campo IVA; per di più, l’eventuale
sconto riconosciuto alle aziende clienti diverrebbe – per effetto della stessa direttiva – un servizio di
distribuzione imponibile ai fini IRES in capo al datore di lavoro.
Senza particolari slittamenti, è la direttiva potrebbe essere approvata entro il 2013.
L’impatto del recepimento della normativa sull’ordinamento italiano sarebbe il seguente:
Entrata in vigore prevista: 1° gennaio 2015
Classificazione del buono pasto come buono multi uso;
La conseguenza, rispetto alla struttura attuale, sarebbe l'impossibilità di concedere sconti alle imprese,
alla pubblica amministrazione e ai singoli datori di lavoro e l'eliminazione del tetto di esenzione fiscale
di 5,29 euro al giorno. Il buono pasto rischierebbe di non essere più considerato come un servizio
sostitutivo della mensa.
Il cambiamento del regime impositivo potrebbe quindi precludere o ridurre la concessione di sconti
all'atto di acquisto dei buoni, sia per il settore privato che per quello statale (quest'ultimo ne beneficia
tramite la C O N S I P), comportando un maggior costo sia per le imprese private, che per gli enti statali.
La XIV commissione di Monte Citorio, pertanto, propone di escludere dall'ambito di applicazione della
direttiva i buoni pasto, che non hanno natura transfrontaliera (cioè non possono essere spesi all'estero)
e il cui regime IVA non presenta, pertanto, problemi di distorsione degli scambi. In altre parole, chiede di
escludere dalla definizione di buono ai fini IVA gli strumenti emessi in uno Stato membro che
attribuiscano il diritto a beneficiare di una cessione di beni o di una prestazione di servizi
esclusivamente nello stesso stato membro.
Il dibattito passa ora alla presidenza lituana, ma non è escluso che possa slittare fino a quella italiana.
La partita dei buoni pasto, per il momento resta ancora aperta.
P o s i z i o n i
EurActiv.it ha raccolto il parere di Franco T u m i n o, presidente Anseb (Associazione nazionale società
emettitrici buoni pasto): "Quale che sia la decisione che verrà presa a livello comunitario, circa la
disciplina a cui assoggettare i buoni pasto, che in Italia sono attualmente configurati come servizio
sostitutivo della mensa aziendale e ne seguono quindi il regime Iva, Anseb è concorde che un
eventuale nuovo inquadramento non debba ledere i due pilastri fondamentali del sistema dei buoni
pasto in Italia: la decontribuzione per il datore di lavoro di un importo convenzionalmente fissato (oggi,
pur anacronisticamente basso rispetto al costo reale dell'alimentazione fuori casa), di 5,29 Euro per
buono pasto/giorno speso, e la defiscalizzazione per il lavoratore (cioè il non assoggettamento del
buono a imposta a suo carico). Altrimenti, si avrebbe un aumento del costo del lavoro per le aziende e
una diminuzione del reddito reale dei lavoratori. Conseguenze che, ne siamo certi, non sono certo tra gli
obiettivi della proposta di direttiva in discussione.
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