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1. Il paesaggio rivela l’uomo
e fa l’uomo
Il paesaggio va oltre la sua definizione. Ogni
definizione, come i tentativi per trovarla, non
hanno mai avuto successo, tanto che un insi-
gne geografo del passato, Aldo Sestini (1963, p.
272), proponeva di ritenerlo, piuttosto che un
concetto, un vocabolo dai molti significati.
In ogni caso, esso è elusivo, sfuggevole: questo
perché non può essere precisato separatamen-
te dall’uomo, dalla sua anima, dalla sua imma-
ginazione e percezione.
L’uomo l’ha inventato per parlare di se stes-
so attraverso immagini. Siamo noi stessi il no-
stro paesaggio.
E ciò perché abbiamo modificato gli ambien-
ti con tutti i loro elementi naturali attraverso
le nostre attività materiali, le necessità politi-
che, le istanze economiche, gli ordinamenti
giuridici, ma soprattutto vi abbiamo deposita-
to la nostra cultura ossia la nostra concezione
del mondo (Weltanschauung), il nostro modo
di pensare e vivere, le nostre credenze religio-
se, le nostre pulsioni spirituali, i nostri simbo-
li e valori.
Tutti questi elementi sono un’etica che diver-
ranno poi, filtrati dal tempo, un’estetica.
Che il paesaggio rifletta l’uomo, ne sia lo spec-
chio, lo ricorda Jorge Luis Borges in una para-
bola che Claudio Magris (1997, p. 9) ha scelto
quale epigrafe dei suoi Microcosmi.
Borges (1999, p. 195) parla di un pittore che
ritrae paesaggi – monti, baie, isole: l’arte del
shanshui cinese – e scopre, alla fine, di aver di-
pinto il suo autoritratto.
Un uomo si propone il compito di disegnare il
mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spa-
zio con immagini di province, di regni, di monta-
gne, di baie, di navi, di isole, di pesci, di dimore,
di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco
prima di morire, scopre che quel paziente labirinto
di linee traccia l’immagine del suo volto. 
Questo perché un’affinità, una scintilla, una
reciprocità, è il senso del rapporto fra l’uomo
e il paesaggio.
Il paesaggio esprime l’uomo, ma allo stesso
tempo fa l’uomo.
Senza voler cedere ad alcun determinismo,
ma ascoltando la voce di poeti e letterati, co-
me invita a fare Gaston Bachelard ne La poéti-
que de l’espace (1957; 1975, p. 228) – “I filosofi
avrebbero molto da imparare se acconsentis-
sero a leggere i poeti” – si ha la conferma del-
la relazione, della complessa tessitura che uni-
sce uno all’altro.
James Joyce, ad esempio, s’immedesima nel
paesaggio di Dublino. In una lettera del 1937
scrive che porta la città fissata nel cuore: “Sem-
pre e comunque è lì che io cammino” e “ne
sento le voci”.
Orhan Pamuk, Nobel 2006 per la letteratura,
scorge nello scenario d’ Istanbul, malinconi-
ca, romantica metropoli, il suo carattere e il
suo destino (2006).
Gabriele D’Annunzio (1935; 1955) incarna Pe-
scara, che gli diede i natali: “Voglio ancora sve-
lare me a me stesso. Voglio dire come l’impron-
ta della mia città natale sia stampata in me, e
nel meglio di me”.
Giuliana Andreotti
Il senso etico ed
estetico del paesaggio
Il senso etico ed estetico del paesaggio
Il paesaggio va oltre la sua definizione. Ogni definizione, come i tentativi per trovarla, non hanno mai avuto successo. Il paesaggio
impronta l’uomo dal quale è improntato, lo rispecchia, ne è la storia. Esistono differenze tra il paesaggio tout court e il paesaggio
culturale. Il primo è generico, dato dal contingente, il provvisorio, il quotidiano e l’oggettivo; il secondo è un unicum comprendente
un universo di valori, immagini e simboli. Ogni comunità vi iscrive la propria etica ed estetica. Nei paesaggi culturali d’Europa, ad
esempio, riscontriamo i segnali distintivi e unici della civiltà occidentale, la sua cultura e la sua storia. Eppure la modernità sta ora
sfigurando e banalizzando il volto di molti luoghi. Li potranno salvare solo la cultura, l’educazione e l’impegno civile.
The ethics and aesthetics of the landscape
The landscape goes beyond his own definition. It prints the man whom it is marked by: it reflects him and his history. There is
difference between landscape tout court and cultural landscape. The former is generic and the latter is an unicum including a universe
of values, images and symbols. Each community engraved there its ethics and aesthetics. In European landscapes, for example, we can
see the distinctive and unique civilization signs. Modernity is now eroding and banalizing the landscape scenery. We think that it can be
saved by culture, public spirit and education.
Giosuè Carducci si riconosce nell’imponente
spettacolo paesistico di Bolgheri. Albert Camus
s’individua nella fisionomia d’Algeri, mondo
povero, ma carico di bellezza e promesse di fe-
licità. Federico García Lorca (2006) non si stac-
ca da sé nella contemplazione di un’Andalusia
divinamente romantica e misteriosa e nell’esal-
tazione dell’abbagliante Granada.
Il Pascoli è la “Romagna solatìa, dolce paese”,
una terra unica che è il suo destino.
Infine, Odisseas Elitis (1980), Nobel 1979 per
la letteratura, è la Grecia fatta di mare e d’iso-
le, dai fiumi in secca, dalle grandi cupole e dal-
le case bianche ai confini dell’azzurro.
2. Paesaggio e paesaggio culturale
Il paesaggio, dunque, impronta l’uomo dal
quale è improntato, lo rispecchia, ne è la sto-
ria.
Esso si può considerare il poema che narra gli
eventi umani nel loro svolgimento: la compo-
sizione nella quale l’uomo ha scritto tutto ciò
che è stato in etica, in estetica, in pensiero, in
guerra e in pace, in progresso o in decadenza,
in carestia o in abbondanza, in storia o in mito,
in momenti di religiosità o di agnosticismo.
Ci si riferisce al paesaggio culturale che è lo-
gos, discorso della memoria, della storia e del-
la cultura, e, come tale, paradigma di valori
etici ed estetici.
Il paesaggio culturale non è il paesaggio tout
court: quest’ultimo è generico, dato dal contin-
gente, il provvisorio, l’aggiunto, il quotidiano
e l’oggettivo.
Il paesaggio culturale, invece, continua uno
svolgimento: perviene dall’antichità arricchen-
dosi a ogni secolo, integrandosi da anima ad
anima, modellandosi secondo le idee, le riser-
ve di senso, le attese dei popoli che lo hanno
costruito.
È l’essenza di cento paesaggi, un unicum, con
una sacralità, intesa come momento d’esalta-
zione etica ed estetica, come discendenza e co-
me filo conduttore di un’intera civiltà. Detie-
ne un potenziale espressivo che fa sprofonda-
re negli infiniti motivi, nelle cause o nelle for-
ze che lo hanno generato.
Il tema pone illimitati interrogativi, quesiti affa-
scinanti perché si guarda a un ente soprattutto
spirituale che ha in sé un patrimonio e una ri-
serva carichi di segnali, cultura, appigli psico-
logici e pretesti percettivi. Infatti, oltre che un
problema storico-economico, esso è una que-
stione psicologica in senso storicista. Interro-
garlo significa porsi delle domande sui fini, gli
ideali, il senso delle scelte degli uomini che si
sono succeduti nelle varie epoche e sul perché
delle loro predilezioni.
Si riconoscerà allora come ogni cultura si sia
espressa secondo un’etica, un ethos condiviso,
un patrimonio di costumi e valori tradiziona-
li, un universo d’immagini e simboli, che han-
no stabilito codici di comportamento e canoni
di scelta sviluppati entro la cultura stessa. Tali
canoni hanno delineato la fisionomia dei luo-
ghi, la loro estetica. In altre parole, l’invisibi-
le, che è l’etica del paesaggio, ha generato il
suo visibile, la sua estetica.
Si dà per scontato che lo sguardo sul paesag-
gio culturale sia quello dell’uomo colto, altri-
menti si dovrebbe confermare il celebre motto
d’Oscar Wilde relativo alle nebbie di Londra:
“Dove l’uomo colto ottiene un risultato, l’uo-
mo senza cultura busca il raffreddore” (Wil-
de, 2005, p. 957).
All’uomo dotato d’esperienze personali e di
molteplici conoscenze il paesaggio rivela le co-
noscenze medesime o si manifesta come moti-
vo d’arricchimento.
È una soddisfazione dello spirito, oltre che dei
sensi.
3. Euritmia e simboli
Una delle connotazioni che fanno del paesag-
gio culturale un quid etico ed estetico è l’eu-
ritmia che non sempre vuol dire composizio-
ne ritmica, armonica regolarità ispirata a uni-
tà stilistica.
Fig. 1. Barcellona, Veduta del paesaggio urbano
dal Montjuic (Foto: Giuliana Andreotti).
Fig. 2. Barcellona, la notissima Rambla
(Foto: Giuliana Andreotti).
Euritmia significa anche trovare nell’interpre-
tazione del paesaggio motivi di confidenza, di
rispondenza al proprio immaginario, alle con-
dizioni d’approccio derivate da simbologie.
Per esemplificare con un notissimo caso, l’ar-
monico, maestoso centro di Parigi non subisce
nessuna offesa dalla presenza della Tour Eif-
fel, per se stessa disarmonica e di certo non un
monumento estetico. Eppure, anche per l’as-
sunzione di un’identità propria da parte del-
l’opera, s’è instaurata un’euritmia, al punto
che, senza di essa, noi non riconosceremmo
più la Parigi che siamo abituati a sognare. Cul-
turalmente la torre vuol dire, infatti, la Grande
Esposizione Mondiale del 1889, quando Pari-
gi era il centro incontrastato del mondo arti-
stico, poetico, letterario.
Quella che all’inizio era sembrata una bestem-
mia etica ed estetica e una forzatura esibizio-
nistica è divenuta la forma che esprime qua-
si da sola un’intera città. Perché quando qual-
cuno, anche con la fantasia, perviene al verti-
ce, immagina di scorgere da lassù le vie mae-
stre della storia moderna e contemporanea e
le impronte architettoniche di quelle che fu-
rono le sedi o i rifugi della cultura e dell’ar-
te moderna.
L’euritmia, attraverso il simbolo, aggrega alla
cultura anche ciò che si era presentato anta-
gonista, difforme, non omogeneo.
Esistono in ogni paesaggio culturale altre torri
Eiffel – molte credo – che, in antinomia con il
discorso etico ed estetico in cui venivano inseri-
te, sono divenute poi parte integrante del pae-
saggio, anzi, spesso i simboli più eloquenti.
Il simbolo è il prologo intuitivo al problema
che si vuole affrontare e risolvere. Vale a dire
che rappresenta l’immaginario che influenze-
rà l’equilibrio del giudizio, l’elemento estetico
ed epifanico che contiene in sé, già tutto iscrit-
to, il significato del paesaggio.
Euritmia significa anche affinità tra l’uomo,
il materiale che usa e le tradizioni che lo sor-
reggono.
Il paesaggio etico ed estetico, il paesaggio re-
ligioso, il paesaggio storico, e cioè quello che
noi chiamiamo paesaggio culturale, s’è forma-
to nelle condizioni d’equilibrio funzionale fra
l’uomo e le materie che aveva a disposizione.
Non v’è stata forzatura tecnica di modo che al
materiale non corrispondesse soltanto il mes-
saggio estetico, ma la confidenza e la familia-
rità elementare.
Il messaggio etico ed estetico, invece, avulso
dalla spontaneità dell’ambiente con innova-
zioni surreali o estranee, scricchiola. Con l’ap-
porto o l’inserimento di materiali estranei, co-
m’è accaduto per il cemento armato e per al-
tri materiali nell’età contemporanea, v’è stato
spesso un innesto innaturale e, dunque, anti-
paesaggistico.
James Hillman (2004, p. 62) accenna alla ca-
sa rivestita di vinile dell’Est statunitense e ne
nota l’uniformità, la piattezza, l’assenza di vi-
talità. “La casa vinalizzata – dice – ha qualco-
sa che ripugna alla vista, come se fosse priva
di profondità”.
4. Il paesaggio culturale
dell’Occidente
Il nostro paesaggio culturale è quello che ci
ha consegnato la pura e grande cultura occi-
dentale che si è coniugata spesso con apporti
di altri mondi, che ha interagito con ambien-
ti diversi, ma che ha tradotto poi tutto secon-
do la speciale visione dei propri moduli e dei
propri canoni.
I paesaggi culturali dell’Occidente sono quelli
che provengono dai greci, dai romani e da tutte
quelle immense fiumane che dal medioevo ai
nostri giorni hanno rovesciato tradizioni paga-
ne e cristiane, ma comunque autentiche crea-
ture del Mediterraneo e della regione europea.
Gli scenari sono diversi per la molteplicità dei
linguaggi, ma hanno una radice comune.
Ebbene, è ancora possibile trovare nel paesag-
gio l’essenzialità dei segnali distintivi e unici di
questa civiltà, di questa cultura, di questa sto-
ria? Come raccoglierli e comprenderli?
Contributi
Fig. 3. Barcellona, spiaggia del rinnovato quartiere
della Barceloneta (Foto: Giuliana Andreotti).
Fig. 4. Barcellona, Vila Olimpica e il pesce-scultura
di Frank Gehry (Foto: Giuliana Andreotti).
Per rintracciarli è necessario risa-
lire lungo il fiume del passato si-
no alle scaturigini umane e spiri-
tuali del mondo occidentale. Esso
deve alla Grecia classica lo spirito
individuale, indagatore e dedutti-
vo, riapparso, dopo il periodo ro-
mano e medievale, quale fattore
decisivo del Rinascimento.
Ma il grande codice ideale del-
l’Occidente, il suo grande lessico,
come ebbe a dire Paul Claudel,
è rintracciabile nel cristianesimo
che celebra la persona e la dignità
umana, la contemplazione (ora) e
l’impegno sociale (labora) esplica-
tisi particolarmente nel monache-
simo e nella sua straordinaria ope-
ra di colonizzazione e culturizza-
zione (Ravasi, 2005, p. 39).
Senza il cristianesimo non vi sareb-
bero state alcune tra le più insigni
opere letterarie, artistiche, musi-
cali, architettoniche. E non esiste-
rebbero neppure i nostri paesaggi
quali li vediamo, ricchi di costru-
zioni e segni religiosi: cattedrali,
monasteri, chiese, cappelle, cam-
panili, croci e tabernacoli.
Le grandi vicende del mondo oc-
cidentale e le trasformazioni po-
litiche, sociali, economiche e cul-
turali hanno addotto molteplici
apporti agli scenari originati dal-
la razionalità greco-romana e dal-
lo slancio ideale cristiano e vi hanno inciso ta-
lora anche profondamente. I quadri paesisti-
ci sono stati modificati, accresciuti, rifiniti, ri-
voluzionati, secondo le visioni e le culture del-
le diverse epoche.
Lo spessore storico rimane evidente in specie
negli antichi centri, segno d’identificazione,
accumulo di beni culturali, rife-
rimento dell’immaginazione col-
lettiva (Benevolo, 2002, pp. 214-
215).
5. Il problema del
paesaggio e della modernità
I paesaggi culturali europei so-
no fondati su un linguaggio etico
ed estetico che conosciamo per-
ché elaborato dalla nostra storia
e imparato vivendolo giorno do-
po giorno. Temi, come quelli so-
pra citati – piazze, teatri, giardini,
strade, monumenti – li ritroviamo
in tutti i Paesi europei, in particolare nelle città
e nei loro nuclei antichi, come presenze sim-
boliche in cui la civitas ha espresso se stessa e il
suo senso di appartenenza. Sono temi destina-
ti ad acquisire valore crescente, a patto che si
salvi il contesto paesaggistico, perché non esi-
ste un patrimonio culturale se non entro un
contesto che lo rende comprensibile.
Oggi la modernità sta sfigurando il volto di
molti luoghi che non s’iscrivono in continui-
tà di senso con l’insieme. Dilagano interven-
ti banali, incoerenti e disordinati, che creano
condizioni paesaggistiche inaccettabili. Si arri-
va agli estremi degli antipaesaggi periferie in-
formi e invivibili, prive d’identità e di memo-
ria storica (Andreotti, 2006, pp. 55-66).
Il suolo è consumato insensatamente. Le città
si disperdono sul territorio e assumono nuovi
simboli rappresentati dalle megastrutture dei
centri commerciali e outlet. Essi sono l’ico-
nografia del Junkspace, spazio spazzatura che
“è al di là di ogni misura e di ogni codice”
(Koolhaas, 2006, p. 67). Secondo un nuovo
Vangelo della bruttezza, il Ventunesimo seco-
lo ne sarà l’apoteosi.
Di là da simili estremi, sempre più spesso la sce-
na paesistica non è in grado di metabolizzare
il divenire. Questo sembra il grande problema
del paesaggio e della nostra cultura: tentare di
conciliare il passato, l’intero spessore della tra-
dizione, lo status quo riconosciuto, con il pre-
sente e il futuro. Troppo spesso l’inserimen-
to, l’entrata a forza di corpi estranei alla tradi-
zione rompe con esiti distruttivi l’equilibrio di
uno spazio definito, armonioso, compiuto nel-
la sequenza d’età e di stili che hanno lasciato
tracce della loro esistenza.
Si crede che ogni nuova sistemazione per rive-
lare attitudine paesaggistica e perché le sia at-
tribuito valore di paesaggio debba essere sug-
gerita dallo spirito del luogo, quell’aura che
si crea nel corso dei secoli. Forse solo così po-
trà sostenere la prova del tempo, il filtro che
trattiene ciò che vale e lascia passare tutto il
resto.
I patrimoni culturali dell’Occidente greco-ro-
mano-cristiano sono attualmente minacciati
dalla globalizzazione di costumi, di criteri este-
tici, di standard di vita, i quali a mio modo di
vedere, consistono in un nichilismo livellato-
re, in un’anarchia etica ed estetica, in un ap-
piattimento culturale, quali non si possono ri-
scontrare in nessun’altra epoca che ci ha pre-
ceduto.
Essi devono essere fortemente tutelati per im-
pedirci di smarrire noi stessi, la nostra identità,
perché non c’è nulla in essi che non sia anche
in noi. Non mi riferisco solo a quelli che per-
petuano solennità, che scandiscono i più mae-
Fig. 4. Barcellona, Torre Agbar di Jean Nouvel,
ispirata dai rilievi del Monserrat
(Foto: Giuliana Andreotti).
Fig. 6. Barcellona, Parc Güell di Antoni Gaudí
(Foto: Giuliana Andreotti).
Fig. 5. Barcellona,
la Sagrada Familia
di Antoni Gaudí
(Foto: Giuliana Andreotti).
Contributi
stosi incontri tra geografia, storia, religione, ri-
voluzione ed evoluzione del pensiero.
Questi, divenuti patrimonio dell’Umanità, so-
no come gioielli in cassaforte, conservati con
cura, restaurati. Altri, più modesti, meno son-
tuosi, sono altrettanto preziosi, pur senza clas-
sificazione e senza essere compresi in alcun re-
pertorio: percorsi, strutture funzionali, riferi-
menti visuali, scorci, edifici rurali, dettagli or-
namentali, fontane, ponti, capitelli.
Essi sono troppo spesso trascurati, svalutati, la-
sciati morire. Eppure ci appartengono, narra-
no il nostro paesaggio che, essendo totalità, an-
drebbe difeso nella sua interezza. Invece si di-
menticano, si distrugge e si devasta, anche vio-
lentando con opere edilizie aggressive e detur-
panti, perché manca una sensibilità, un’educa-
zione etica ed estetica che insegni a riconosce-
re le testimonianze del passato, a individuare la
bellezza e a rispettarla. Ne deriva l’importanza
della formazione al bene e al bello.
Stefano Zecchi (1994, pp. 130-131) ha spesso
lamentato come la cultura moderna abbia re-
legato l’educazione estetica – l’educazione al
suono, al colore, all’immagine – “tra gli aspet-
ti effimeri e irrilevanti nella formazione della
persona”, senza considerare che soprattutto il
“disinteresse per la bellezza del luogo abitati-
vo ha prodotto il primo fondamentale sradica-
mento della persona dalla propria originaria
identità”.
Se si vuole conoscere
la bellezza del mondo,
rispettarla e valorizzar-
la, anche a fini econo-
mici e turistici, perché
no?, si dovrebbe discu-
tere sul modo per far-
lo, assumere l’impe-
gno civile di suggeri-
re soluzioni rispettose
della diversità delle si-
tuazioni, degli ambien-
ti, delle culture e delle
aspirazioni dei gruppi
sociali.
In uno scritto di qual-
che anno fa (Andreot-
ti, 2003, p. 14) proposi
di affidare la difesa e la
valorizzazione del pae-
saggio culturale, che è
un’opera d’arte, all’ar-
te stessa.
Un’authority d’esperti
– artisti, critici d’arte,
storici dell’arte, esteti, architetti e studiosi del
paesaggio – avrebbe dovuto, a mio modo di ve-
dere, mettere a disposizione tutta la sua sensi-
bilità e competenza per occuparsi della bellez-
za superstite dei Paesi d’Europa.
Sono rimasta dello stesso parere.
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(Foto: Giuliana Andreotti).
Fig. 9. Ravello, i giardini di Villa Rufolo
(Foto: Giuliana Andreotti).
Fig. 10. Ravello,
la costiera amalfitana
da Villa Rufolo
(Foto: Giuliana
Andreotti).
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(Foto: Giuliana Andreotti).
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de las Culturas di Herzoh  de Meuron.
(Foto: Giuliana Andreotti).
PITTE J-R., Le génie des
lieux, Paris, Cnrs, 2010
La singolare armonia e il rit-
momusicalediognisuascrit-
tura ritornano in questo la-
voro di Jean-Robert Pitte.
Egli accarezza i luoghi e le-
va lo sguardo
al mondo con
gli occhi di
raffinato te-
stimone. E al
centro sem-
pre il senso
etico dell’esi-
stenza.
Nello spec-
chio sfaccet-
tato del suo
racconto s’in-
treccianopas-
sato e presen-
te, tradizione
e modernità, identità e di-
versità. I luoghi e il loro ge-
nio, soprattutto se impron-
tati dal sacro, servono a toc-
care con mano lo spessore di
ciò che sta al di là dell’uomo
ed entrare in geografia per
la grande porta: quella dei
sensi e dell’unione di spiri-
to e cuore.
Gli esempi mettono in luce
i legami affettivi che legano
la condizione degli uomini
alla terra. Vi sono Tokyo e il
suo fragile imperatore, pri-
vo di qualsiasi potere se non
quello simbolico, ma essen-
ziale per un Paese le cui dif-
ficili condizioni di vita recla-
mano che gli abitanti v’inca-
tenino l’anima. Lo fanno an-
cheriferendosiall’imperato-
re che è il genius loci, colui
senza il quale né Tokyo, né
ilGiapponeinteropotrebbe-
ro esistere.
Quello presentato da Pitte è
il Giappone che dà pensiero,
ilPaesedell’Orienteestremo
che, come un mosaico, offre
mille tessere alla riflessione.
Invitato a una cerimonia sa-
cra,l’Autorevivedirettamen-
te la ricchezza affettiva del-
l’attaccamentovisceraleaun
luogo.SitrattadiIse,unhaut
lieudellaculturagiapponese
ove il genius loci è palpabile,
comeinognialtrabricioladel
Giappone e come dovrebbe
essere per ogni metro qua-
drato del nostro pianeta per
farne motivo d’incanto.
Il senso del génie des lieux
è riproposto di continuo co-
mechiaveessenzialedelmo-
do geografico di procedere.
Spetta ai geografi ritrovare
l’intimitàconilgeniodeiluo-
ghi e rivelarlo per aiutare gli
uomini a vivere in armonia
tra loro, ognuno con le pro-
prie differenze.
Ogniluogoconferisceperso-
nalità a tutto ciò che ne deri-
va.Mal’odiernaomologazio-
nefaintravedereunaperdita
didiversitàchesembrailpiù
grande pericolo del mondo.
Perconservarlailfautlutter,
se battre, mourir peut-être
avec beauté.
È questo il seducente mes-
saggio del poeta bretone
Victor Ségalen che Pitte fa
suo,aconclusionedeiquattro
saggiquiraccolti,aderendovi
con intensità e passione.
Giuliana Andreotti
al mondo con
gli occhi di
raffinato te-
stimone. E al
centro sem-
pre il senso
etico dell’esi-
stenza.
Nello spec-
chio sfaccet-
tato del suo
racconto s’in-
treccianopas-
sato e presen-
te, tradizione

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  • 1. 1. Il paesaggio rivela l’uomo e fa l’uomo Il paesaggio va oltre la sua definizione. Ogni definizione, come i tentativi per trovarla, non hanno mai avuto successo, tanto che un insi- gne geografo del passato, Aldo Sestini (1963, p. 272), proponeva di ritenerlo, piuttosto che un concetto, un vocabolo dai molti significati. In ogni caso, esso è elusivo, sfuggevole: questo perché non può essere precisato separatamen- te dall’uomo, dalla sua anima, dalla sua imma- ginazione e percezione. L’uomo l’ha inventato per parlare di se stes- so attraverso immagini. Siamo noi stessi il no- stro paesaggio. E ciò perché abbiamo modificato gli ambien- ti con tutti i loro elementi naturali attraverso le nostre attività materiali, le necessità politi- che, le istanze economiche, gli ordinamenti giuridici, ma soprattutto vi abbiamo deposita- to la nostra cultura ossia la nostra concezione del mondo (Weltanschauung), il nostro modo di pensare e vivere, le nostre credenze religio- se, le nostre pulsioni spirituali, i nostri simbo- li e valori. Tutti questi elementi sono un’etica che diver- ranno poi, filtrati dal tempo, un’estetica. Che il paesaggio rifletta l’uomo, ne sia lo spec- chio, lo ricorda Jorge Luis Borges in una para- bola che Claudio Magris (1997, p. 9) ha scelto quale epigrafe dei suoi Microcosmi. Borges (1999, p. 195) parla di un pittore che ritrae paesaggi – monti, baie, isole: l’arte del shanshui cinese – e scopre, alla fine, di aver di- pinto il suo autoritratto. Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spa- zio con immagini di province, di regni, di monta- gne, di baie, di navi, di isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.  Questo perché un’affinità, una scintilla, una reciprocità, è il senso del rapporto fra l’uomo e il paesaggio. Il paesaggio esprime l’uomo, ma allo stesso tempo fa l’uomo. Senza voler cedere ad alcun determinismo, ma ascoltando la voce di poeti e letterati, co- me invita a fare Gaston Bachelard ne La poéti- que de l’espace (1957; 1975, p. 228) – “I filosofi avrebbero molto da imparare se acconsentis- sero a leggere i poeti” – si ha la conferma del- la relazione, della complessa tessitura che uni- sce uno all’altro. James Joyce, ad esempio, s’immedesima nel paesaggio di Dublino. In una lettera del 1937 scrive che porta la città fissata nel cuore: “Sem- pre e comunque è lì che io cammino” e “ne sento le voci”. Orhan Pamuk, Nobel 2006 per la letteratura, scorge nello scenario d’ Istanbul, malinconi- ca, romantica metropoli, il suo carattere e il suo destino (2006). Gabriele D’Annunzio (1935; 1955) incarna Pe- scara, che gli diede i natali: “Voglio ancora sve- lare me a me stesso. Voglio dire come l’impron- ta della mia città natale sia stampata in me, e nel meglio di me”. Giuliana Andreotti Il senso etico ed estetico del paesaggio Il senso etico ed estetico del paesaggio Il paesaggio va oltre la sua definizione. Ogni definizione, come i tentativi per trovarla, non hanno mai avuto successo. Il paesaggio impronta l’uomo dal quale è improntato, lo rispecchia, ne è la storia. Esistono differenze tra il paesaggio tout court e il paesaggio culturale. Il primo è generico, dato dal contingente, il provvisorio, il quotidiano e l’oggettivo; il secondo è un unicum comprendente un universo di valori, immagini e simboli. Ogni comunità vi iscrive la propria etica ed estetica. Nei paesaggi culturali d’Europa, ad esempio, riscontriamo i segnali distintivi e unici della civiltà occidentale, la sua cultura e la sua storia. Eppure la modernità sta ora sfigurando e banalizzando il volto di molti luoghi. Li potranno salvare solo la cultura, l’educazione e l’impegno civile. The ethics and aesthetics of the landscape The landscape goes beyond his own definition. It prints the man whom it is marked by: it reflects him and his history. There is difference between landscape tout court and cultural landscape. The former is generic and the latter is an unicum including a universe of values, images and symbols. Each community engraved there its ethics and aesthetics. In European landscapes, for example, we can see the distinctive and unique civilization signs. Modernity is now eroding and banalizing the landscape scenery. We think that it can be saved by culture, public spirit and education.
  • 2. Giosuè Carducci si riconosce nell’imponente spettacolo paesistico di Bolgheri. Albert Camus s’individua nella fisionomia d’Algeri, mondo povero, ma carico di bellezza e promesse di fe- licità. Federico García Lorca (2006) non si stac- ca da sé nella contemplazione di un’Andalusia divinamente romantica e misteriosa e nell’esal- tazione dell’abbagliante Granada. Il Pascoli è la “Romagna solatìa, dolce paese”, una terra unica che è il suo destino. Infine, Odisseas Elitis (1980), Nobel 1979 per la letteratura, è la Grecia fatta di mare e d’iso- le, dai fiumi in secca, dalle grandi cupole e dal- le case bianche ai confini dell’azzurro. 2. Paesaggio e paesaggio culturale Il paesaggio, dunque, impronta l’uomo dal quale è improntato, lo rispecchia, ne è la sto- ria. Esso si può considerare il poema che narra gli eventi umani nel loro svolgimento: la compo- sizione nella quale l’uomo ha scritto tutto ciò che è stato in etica, in estetica, in pensiero, in guerra e in pace, in progresso o in decadenza, in carestia o in abbondanza, in storia o in mito, in momenti di religiosità o di agnosticismo. Ci si riferisce al paesaggio culturale che è lo- gos, discorso della memoria, della storia e del- la cultura, e, come tale, paradigma di valori etici ed estetici. Il paesaggio culturale non è il paesaggio tout court: quest’ultimo è generico, dato dal contin- gente, il provvisorio, l’aggiunto, il quotidiano e l’oggettivo. Il paesaggio culturale, invece, continua uno svolgimento: perviene dall’antichità arricchen- dosi a ogni secolo, integrandosi da anima ad anima, modellandosi secondo le idee, le riser- ve di senso, le attese dei popoli che lo hanno costruito. È l’essenza di cento paesaggi, un unicum, con una sacralità, intesa come momento d’esalta- zione etica ed estetica, come discendenza e co- me filo conduttore di un’intera civiltà. Detie- ne un potenziale espressivo che fa sprofonda- re negli infiniti motivi, nelle cause o nelle for- ze che lo hanno generato. Il tema pone illimitati interrogativi, quesiti affa- scinanti perché si guarda a un ente soprattutto spirituale che ha in sé un patrimonio e una ri- serva carichi di segnali, cultura, appigli psico- logici e pretesti percettivi. Infatti, oltre che un problema storico-economico, esso è una que- stione psicologica in senso storicista. Interro- garlo significa porsi delle domande sui fini, gli ideali, il senso delle scelte degli uomini che si sono succeduti nelle varie epoche e sul perché delle loro predilezioni. Si riconoscerà allora come ogni cultura si sia espressa secondo un’etica, un ethos condiviso, un patrimonio di costumi e valori tradiziona- li, un universo d’immagini e simboli, che han- no stabilito codici di comportamento e canoni di scelta sviluppati entro la cultura stessa. Tali canoni hanno delineato la fisionomia dei luo- ghi, la loro estetica. In altre parole, l’invisibi- le, che è l’etica del paesaggio, ha generato il suo visibile, la sua estetica. Si dà per scontato che lo sguardo sul paesag- gio culturale sia quello dell’uomo colto, altri- menti si dovrebbe confermare il celebre motto d’Oscar Wilde relativo alle nebbie di Londra: “Dove l’uomo colto ottiene un risultato, l’uo- mo senza cultura busca il raffreddore” (Wil- de, 2005, p. 957). All’uomo dotato d’esperienze personali e di molteplici conoscenze il paesaggio rivela le co- noscenze medesime o si manifesta come moti- vo d’arricchimento. È una soddisfazione dello spirito, oltre che dei sensi. 3. Euritmia e simboli Una delle connotazioni che fanno del paesag- gio culturale un quid etico ed estetico è l’eu- ritmia che non sempre vuol dire composizio- ne ritmica, armonica regolarità ispirata a uni- tà stilistica. Fig. 1. Barcellona, Veduta del paesaggio urbano dal Montjuic (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 2. Barcellona, la notissima Rambla (Foto: Giuliana Andreotti).
  • 3. Euritmia significa anche trovare nell’interpre- tazione del paesaggio motivi di confidenza, di rispondenza al proprio immaginario, alle con- dizioni d’approccio derivate da simbologie. Per esemplificare con un notissimo caso, l’ar- monico, maestoso centro di Parigi non subisce nessuna offesa dalla presenza della Tour Eif- fel, per se stessa disarmonica e di certo non un monumento estetico. Eppure, anche per l’as- sunzione di un’identità propria da parte del- l’opera, s’è instaurata un’euritmia, al punto che, senza di essa, noi non riconosceremmo più la Parigi che siamo abituati a sognare. Cul- turalmente la torre vuol dire, infatti, la Grande Esposizione Mondiale del 1889, quando Pari- gi era il centro incontrastato del mondo arti- stico, poetico, letterario. Quella che all’inizio era sembrata una bestem- mia etica ed estetica e una forzatura esibizio- nistica è divenuta la forma che esprime qua- si da sola un’intera città. Perché quando qual- cuno, anche con la fantasia, perviene al verti- ce, immagina di scorgere da lassù le vie mae- stre della storia moderna e contemporanea e le impronte architettoniche di quelle che fu- rono le sedi o i rifugi della cultura e dell’ar- te moderna. L’euritmia, attraverso il simbolo, aggrega alla cultura anche ciò che si era presentato anta- gonista, difforme, non omogeneo. Esistono in ogni paesaggio culturale altre torri Eiffel – molte credo – che, in antinomia con il discorso etico ed estetico in cui venivano inseri- te, sono divenute poi parte integrante del pae- saggio, anzi, spesso i simboli più eloquenti. Il simbolo è il prologo intuitivo al problema che si vuole affrontare e risolvere. Vale a dire che rappresenta l’immaginario che influenze- rà l’equilibrio del giudizio, l’elemento estetico ed epifanico che contiene in sé, già tutto iscrit- to, il significato del paesaggio. Euritmia significa anche affinità tra l’uomo, il materiale che usa e le tradizioni che lo sor- reggono. Il paesaggio etico ed estetico, il paesaggio re- ligioso, il paesaggio storico, e cioè quello che noi chiamiamo paesaggio culturale, s’è forma- to nelle condizioni d’equilibrio funzionale fra l’uomo e le materie che aveva a disposizione. Non v’è stata forzatura tecnica di modo che al materiale non corrispondesse soltanto il mes- saggio estetico, ma la confidenza e la familia- rità elementare. Il messaggio etico ed estetico, invece, avulso dalla spontaneità dell’ambiente con innova- zioni surreali o estranee, scricchiola. Con l’ap- porto o l’inserimento di materiali estranei, co- m’è accaduto per il cemento armato e per al- tri materiali nell’età contemporanea, v’è stato spesso un innesto innaturale e, dunque, anti- paesaggistico. James Hillman (2004, p. 62) accenna alla ca- sa rivestita di vinile dell’Est statunitense e ne nota l’uniformità, la piattezza, l’assenza di vi- talità. “La casa vinalizzata – dice – ha qualco- sa che ripugna alla vista, come se fosse priva di profondità”. 4. Il paesaggio culturale dell’Occidente Il nostro paesaggio culturale è quello che ci ha consegnato la pura e grande cultura occi- dentale che si è coniugata spesso con apporti di altri mondi, che ha interagito con ambien- ti diversi, ma che ha tradotto poi tutto secon- do la speciale visione dei propri moduli e dei propri canoni. I paesaggi culturali dell’Occidente sono quelli che provengono dai greci, dai romani e da tutte quelle immense fiumane che dal medioevo ai nostri giorni hanno rovesciato tradizioni paga- ne e cristiane, ma comunque autentiche crea- ture del Mediterraneo e della regione europea. Gli scenari sono diversi per la molteplicità dei linguaggi, ma hanno una radice comune. Ebbene, è ancora possibile trovare nel paesag- gio l’essenzialità dei segnali distintivi e unici di questa civiltà, di questa cultura, di questa sto- ria? Come raccoglierli e comprenderli? Contributi Fig. 3. Barcellona, spiaggia del rinnovato quartiere della Barceloneta (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 4. Barcellona, Vila Olimpica e il pesce-scultura di Frank Gehry (Foto: Giuliana Andreotti).
  • 4. Per rintracciarli è necessario risa- lire lungo il fiume del passato si- no alle scaturigini umane e spiri- tuali del mondo occidentale. Esso deve alla Grecia classica lo spirito individuale, indagatore e dedutti- vo, riapparso, dopo il periodo ro- mano e medievale, quale fattore decisivo del Rinascimento. Ma il grande codice ideale del- l’Occidente, il suo grande lessico, come ebbe a dire Paul Claudel, è rintracciabile nel cristianesimo che celebra la persona e la dignità umana, la contemplazione (ora) e l’impegno sociale (labora) esplica- tisi particolarmente nel monache- simo e nella sua straordinaria ope- ra di colonizzazione e culturizza- zione (Ravasi, 2005, p. 39). Senza il cristianesimo non vi sareb- bero state alcune tra le più insigni opere letterarie, artistiche, musi- cali, architettoniche. E non esiste- rebbero neppure i nostri paesaggi quali li vediamo, ricchi di costru- zioni e segni religiosi: cattedrali, monasteri, chiese, cappelle, cam- panili, croci e tabernacoli. Le grandi vicende del mondo oc- cidentale e le trasformazioni po- litiche, sociali, economiche e cul- turali hanno addotto molteplici apporti agli scenari originati dal- la razionalità greco-romana e dal- lo slancio ideale cristiano e vi hanno inciso ta- lora anche profondamente. I quadri paesisti- ci sono stati modificati, accresciuti, rifiniti, ri- voluzionati, secondo le visioni e le culture del- le diverse epoche. Lo spessore storico rimane evidente in specie negli antichi centri, segno d’identificazione, accumulo di beni culturali, rife- rimento dell’immaginazione col- lettiva (Benevolo, 2002, pp. 214- 215). 5. Il problema del paesaggio e della modernità I paesaggi culturali europei so- no fondati su un linguaggio etico ed estetico che conosciamo per- ché elaborato dalla nostra storia e imparato vivendolo giorno do- po giorno. Temi, come quelli so- pra citati – piazze, teatri, giardini, strade, monumenti – li ritroviamo in tutti i Paesi europei, in particolare nelle città e nei loro nuclei antichi, come presenze sim- boliche in cui la civitas ha espresso se stessa e il suo senso di appartenenza. Sono temi destina- ti ad acquisire valore crescente, a patto che si salvi il contesto paesaggistico, perché non esi- ste un patrimonio culturale se non entro un contesto che lo rende comprensibile. Oggi la modernità sta sfigurando il volto di molti luoghi che non s’iscrivono in continui- tà di senso con l’insieme. Dilagano interven- ti banali, incoerenti e disordinati, che creano condizioni paesaggistiche inaccettabili. Si arri- va agli estremi degli antipaesaggi periferie in- formi e invivibili, prive d’identità e di memo- ria storica (Andreotti, 2006, pp. 55-66). Il suolo è consumato insensatamente. Le città si disperdono sul territorio e assumono nuovi simboli rappresentati dalle megastrutture dei centri commerciali e outlet. Essi sono l’ico- nografia del Junkspace, spazio spazzatura che “è al di là di ogni misura e di ogni codice” (Koolhaas, 2006, p. 67). Secondo un nuovo Vangelo della bruttezza, il Ventunesimo seco- lo ne sarà l’apoteosi. Di là da simili estremi, sempre più spesso la sce- na paesistica non è in grado di metabolizzare il divenire. Questo sembra il grande problema del paesaggio e della nostra cultura: tentare di conciliare il passato, l’intero spessore della tra- dizione, lo status quo riconosciuto, con il pre- sente e il futuro. Troppo spesso l’inserimen- to, l’entrata a forza di corpi estranei alla tradi- zione rompe con esiti distruttivi l’equilibrio di uno spazio definito, armonioso, compiuto nel- la sequenza d’età e di stili che hanno lasciato tracce della loro esistenza. Si crede che ogni nuova sistemazione per rive- lare attitudine paesaggistica e perché le sia at- tribuito valore di paesaggio debba essere sug- gerita dallo spirito del luogo, quell’aura che si crea nel corso dei secoli. Forse solo così po- trà sostenere la prova del tempo, il filtro che trattiene ciò che vale e lascia passare tutto il resto. I patrimoni culturali dell’Occidente greco-ro- mano-cristiano sono attualmente minacciati dalla globalizzazione di costumi, di criteri este- tici, di standard di vita, i quali a mio modo di vedere, consistono in un nichilismo livellato- re, in un’anarchia etica ed estetica, in un ap- piattimento culturale, quali non si possono ri- scontrare in nessun’altra epoca che ci ha pre- ceduto. Essi devono essere fortemente tutelati per im- pedirci di smarrire noi stessi, la nostra identità, perché non c’è nulla in essi che non sia anche in noi. Non mi riferisco solo a quelli che per- petuano solennità, che scandiscono i più mae- Fig. 4. Barcellona, Torre Agbar di Jean Nouvel, ispirata dai rilievi del Monserrat (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 6. Barcellona, Parc Güell di Antoni Gaudí (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 5. Barcellona, la Sagrada Familia di Antoni Gaudí (Foto: Giuliana Andreotti). Contributi
  • 5. stosi incontri tra geografia, storia, religione, ri- voluzione ed evoluzione del pensiero. Questi, divenuti patrimonio dell’Umanità, so- no come gioielli in cassaforte, conservati con cura, restaurati. Altri, più modesti, meno son- tuosi, sono altrettanto preziosi, pur senza clas- sificazione e senza essere compresi in alcun re- pertorio: percorsi, strutture funzionali, riferi- menti visuali, scorci, edifici rurali, dettagli or- namentali, fontane, ponti, capitelli. Essi sono troppo spesso trascurati, svalutati, la- sciati morire. Eppure ci appartengono, narra- no il nostro paesaggio che, essendo totalità, an- drebbe difeso nella sua interezza. Invece si di- menticano, si distrugge e si devasta, anche vio- lentando con opere edilizie aggressive e detur- panti, perché manca una sensibilità, un’educa- zione etica ed estetica che insegni a riconosce- re le testimonianze del passato, a individuare la bellezza e a rispettarla. Ne deriva l’importanza della formazione al bene e al bello. Stefano Zecchi (1994, pp. 130-131) ha spesso lamentato come la cultura moderna abbia re- legato l’educazione estetica – l’educazione al suono, al colore, all’immagine – “tra gli aspet- ti effimeri e irrilevanti nella formazione della persona”, senza considerare che soprattutto il “disinteresse per la bellezza del luogo abitati- vo ha prodotto il primo fondamentale sradica- mento della persona dalla propria originaria identità”. Se si vuole conoscere la bellezza del mondo, rispettarla e valorizzar- la, anche a fini econo- mici e turistici, perché no?, si dovrebbe discu- tere sul modo per far- lo, assumere l’impe- gno civile di suggeri- re soluzioni rispettose della diversità delle si- tuazioni, degli ambien- ti, delle culture e delle aspirazioni dei gruppi sociali. In uno scritto di qual- che anno fa (Andreot- ti, 2003, p. 14) proposi di affidare la difesa e la valorizzazione del pae- saggio culturale, che è un’opera d’arte, all’ar- te stessa. Un’authority d’esperti – artisti, critici d’arte, storici dell’arte, esteti, architetti e studiosi del paesaggio – avrebbe dovuto, a mio modo di ve- dere, mettere a disposizione tutta la sua sensi- bilità e competenza per occuparsi della bellez- za superstite dei Paesi d’Europa. Sono rimasta dello stesso parere. BIBLIOGRAFIA ANDREOTTI G., Paesaggi culturali, Milano, Unicopli, 1996. ANDREOTTI G., Alle origini del paesaggio culturale, Mi- lano, Unicopli, 1998. ANDREOTTI G., “Il paesaggio, massimo bene della cultura europea”, in E. Manzi (a cura), Beni cultura- li e territorio, Roma, Società Geografica Italiana, 2003, pp. 9-16. ANDREOTTI G., Riscontri di geografia culturale, Arti- media-Trentini, 2008a (1a ed., 1994). ANDREOTTI G., Per un’architettura del paesaggio, Tren- to, Artimedia-Trentini, 2008b (1a ed., 2005). ANDREOTTI G., “Anti- paesaggio”, in C. Campio- ne, F. Farinelli, C. Santoro, Scritti per Alberto Di Blasi, Bologna, Pàtron, 2006, pp. 55-66. ANDREOTTI G., Paesag- gi in movimento, paesag- gi venduti, paesaggi rubati, Trento, Artimedia-Trenti- ni, 2007. BACHELARD G., La poéti- que de l’espace, Paris, PUF, Fig. 7. La costiera amalfitana, scorcio paesaggistico (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 8. Ravello, ingresso di Villa Rufolo (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 9. Ravello, i giardini di Villa Rufolo (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 10. Ravello, la costiera amalfitana da Villa Rufolo (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 11. Ravello, paesaggio di pietra: il centro storico (Foto: Giuliana Andreotti).
  • 6. 8 1957 (ed.ital., Bari, Dedalo, 1975). BORGES J. L., L’artefice, Milano, Adelphi, 1999. BENEVOLO L., La città nella storia d’Europa, Laterza, Rma-Bari, 2002. CLAVAL P., “L’analyse des paysages”, Géographie et Cul- tures, n.13, 1995, pp. 55-74. D’ANNUNZIO G., Cento e cento e cento pagine del libro segreto, Milano, A. Mondadori, 1935 (1995). DE BLIJ H.J., MURPHY A.B., Geografia umana. Cultu- ra, società, spazio, Bologna, Zanichelli, 2002 (ed. orig., 1999). DOLCETTA B., “Il paesaggio tra conservazione ed evoluzione”, in Aa.Vv., Paesaggio veneto, Cinisello Balsamo (Milano), Amilcare Pizzi, 1983, pp. 8-23. ELITIS O., Sole il Primo, Milano, Guanda, 1980. GALLIOT E., “Noms de paysages. Proposition pour un cinquième critère”, Géographie et Cultures, n.13, 1995, pp. 75-93. GARCÍA LORCA F., Tutte le poesie, Milano, BUR, Riz- zoli, 2006. Géographie et Cultures, Spécial Paysage, n.13, 1995. HILLMAN J., L’anima dei luoghi. Conversazione con Car- lo Truppi, Milano, Rizzoli, 2004. KOOLHAAS R. Junkspace, Macerata, Quodlibet, 2006. JELLICOE G. A., L’architettura del paesaggio, Milano, Edizioni di Comunità, 1969. JONES E., Metropoli, Roma, Donzelli, 1993. MAGRIS C., Microcosmi, Milano, Garzanti, 1997. PAMUK O., Istanbul, Torino, Einaudi, 2006. RAVASI G., “Un saggio sulle radici cristiane del Vecchio Continente”, La Repubblica, 26 febbraio 2005, p. 39. ROGER A., Nus et paysages, Paris, Aubier, 1978. ROMANO M., La città come opera d’arte, Torino, Ei- naudi, 2008. SESTINI A., “Appunti per una definizione di paesag- gio geografico”, in E. Migliorini (a cura), Scritti in ono- re di Carmelo Colamonico, Napoli, Loffredo, 1963, pp. 272-286. WILDE O., “Declino della menzogna”, Tutte le opere, Roma, Newton Compton, 2005, pp. 946-962. ZECCHI S., Il brutto e il bello, Milano, Mondadori, 1994. ZORZI R. (a cura), Il paesaggio, Fondazione Giorgio Ci- ni, Venezia, Marsilio, 1999. Trento, Dipartimento di Filosofia, Storia e Beni culturali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università; Sezione Trentino Alto-Adige Fig. 12. Paesaggio della notte. Genova e il suo porto (Foto: Giuliana Andreotti). Fig. 13. Barcellona, Plaça de Llevant con il Forum de las Culturas di Herzoh de Meuron. (Foto: Giuliana Andreotti). PITTE J-R., Le génie des lieux, Paris, Cnrs, 2010 La singolare armonia e il rit- momusicalediognisuascrit- tura ritornano in questo la- voro di Jean-Robert Pitte. Egli accarezza i luoghi e le- va lo sguardo al mondo con gli occhi di raffinato te- stimone. E al centro sem- pre il senso etico dell’esi- stenza. Nello spec- chio sfaccet- tato del suo racconto s’in- treccianopas- sato e presen- te, tradizione e modernità, identità e di- versità. I luoghi e il loro ge- nio, soprattutto se impron- tati dal sacro, servono a toc- care con mano lo spessore di ciò che sta al di là dell’uomo ed entrare in geografia per la grande porta: quella dei sensi e dell’unione di spiri- to e cuore. Gli esempi mettono in luce i legami affettivi che legano la condizione degli uomini alla terra. Vi sono Tokyo e il suo fragile imperatore, pri- vo di qualsiasi potere se non quello simbolico, ma essen- ziale per un Paese le cui dif- ficili condizioni di vita recla- mano che gli abitanti v’inca- tenino l’anima. Lo fanno an- cheriferendosiall’imperato- re che è il genius loci, colui senza il quale né Tokyo, né ilGiapponeinteropotrebbe- ro esistere. Quello presentato da Pitte è il Giappone che dà pensiero, ilPaesedell’Orienteestremo che, come un mosaico, offre mille tessere alla riflessione. Invitato a una cerimonia sa- cra,l’Autorevivedirettamen- te la ricchezza affettiva del- l’attaccamentovisceraleaun luogo.SitrattadiIse,unhaut lieudellaculturagiapponese ove il genius loci è palpabile, comeinognialtrabricioladel Giappone e come dovrebbe essere per ogni metro qua- drato del nostro pianeta per farne motivo d’incanto. Il senso del génie des lieux è riproposto di continuo co- mechiaveessenzialedelmo- do geografico di procedere. Spetta ai geografi ritrovare l’intimitàconilgeniodeiluo- ghi e rivelarlo per aiutare gli uomini a vivere in armonia tra loro, ognuno con le pro- prie differenze. Ogniluogoconferisceperso- nalità a tutto ciò che ne deri- va.Mal’odiernaomologazio- nefaintravedereunaperdita didiversitàchesembrailpiù grande pericolo del mondo. Perconservarlailfautlutter, se battre, mourir peut-être avec beauté. È questo il seducente mes- saggio del poeta bretone Victor Ségalen che Pitte fa suo,aconclusionedeiquattro saggiquiraccolti,aderendovi con intensità e passione. Giuliana Andreotti al mondo con gli occhi di raffinato te- stimone. E al centro sem- pre il senso etico dell’esi- stenza. Nello spec- chio sfaccet- tato del suo racconto s’in- treccianopas- sato e presen- te, tradizione