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11
Aprile maggio 2016, numero 2, ANNO III
Il magazineIl magazine open access gratuitoopen access gratuito di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & designdi divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design
/11
I concetti di base sulla
sbrogliatura di un circuito per
la corretta pianificazione
produttiva e lo sviluppo in
ambiente ECAD
Arduino /16
La sorprendente vicenda di
Robert Hooke, illustre scienziato
britannico del XVII secolo,
oscurato alla storia della
Scienza da un rivale famoso
Robert Hooke /26 Bruno Munari
Si conclude la panoramica
biografica su di un artista
emblematico che ha dominato
con gentilezza ed ironia la
scena della creatività italiana
del secolo scorso
22
33
Un lavoro di pura scienza
“Non dobbiamo dimenticare che quando
l’elemento radio venne scoperto nessu-
no sapeva che si sarebbe rivelato utile
negli ospedali.
Era un lavoro di pura scienza.
E questa è la prova che il lavoro scientifi-
co non deve essere considerato dal pun-
to di vista della diretta utilità dello stesso.
Deve essere svolto per se stesso, per la
bellezza della scienza, e poi c’è sempre
la probabilità che una scoperta scientifi-
ca possa diventare, come il radio, un
beneficio per l’umanità.”
Marie Curie (1867 - 1934)
Premio Nobel per la chimica e la fisica
44
In questo numero...In questo numero...
Caporedattore:
S. Giglio
Redazione:
N. Amalfitano, P, Bubici, A. Buccella,
N. Nullo, A. Martini, G. Rogo
Segretaria di redazione:
N. Nullo
Curatori editoriali:
N. Amalfitano, N. Nullo
Scienziato
[scien·zià·to] sostantivo maschile Studioso o promotore di una scienza o di una sua particolare disci
prestigio acquisita.
rubricherubriche
PAG. 07 NEWS
PAG. 09 EDITORIALE di Salvio Giglio
“Da Pubblici Vizi a inaspettate Virtù?”
PAG. 11 ARDUINO, ECAD ED ELETTRONICA
APPLICATA di Salvio Giglio “Impariamo a
sbrogliare un circuito...”, VII PUNTATA, II
PARTE
PAG. 16 BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTA-
ZIONE di Salvio Giglio “Robert Hooke: il
Leonardo d’Inghilterra ancora scono-
sciuto”, I PUNTATA, I PARTE
PAG. 26 DESIGNER’S STORY di Salvio Giglio
“Alla ricerca delle poetiche di Munari”, II
ed ULTIMA PUNTATA
PAG. 31 ELEMENTI DI PROGETTAZIONE EDILE
di Antonio Martini “Fase 2: l’atto autoriz-
zativo”, II PUNTATA
PAG. 33 GEOMATICA di Salvio Giglio “Dati
geografici e vita quotidiana”
PAG. 37 INGEGNERIA BIOMEDICA OPEN AC-
CESS di Francesca Albano “Simulazione
computazionale del cuore...”
PAG. 43 INTERVISTA di Salvio Giglio
“Simone Paganelli”
PAG. 53 MUSICA di Nicola Amalfitano
“Gli Urlatori”
PAG. 57 NEW HARDWARE FOR CAD di Sal-
vio Giglio “UAV contemporanei: dal
fronte alle applicazioni civili”,
V PUNTATA
corsi & tutorialscorsi & tutorials
PAG. 65 CORSO DI ORIENTAMENTO ALLA BIM
di Salvio Giglio “Le fasi della pianificazio-
ne esecutiva BIM per professionisti ed
imprese”, XIV PUNTATA
PAG. 70 CORSO DI BASE PER SKETCHUP
di Salvio Giglio “Il menù Strumenti, il
Sistema CSG & gli Strumenti solidi”,
XVI PUNTATA
PAG. 74 TUTORIAL:
PRODURRE UN MODE
di Antonello Bucc
render in SketchU
ritocchi finali in P
PAG. 76 CORSO DI U
“Umap come stru
I PUNTATA
eventuali & varieeventuali & varie
PAG. 78 UMORISMO
PAG. 79 GIOCHI
La Sbrogliatura di un circuito
elettronico è oggetto della
rubrica “Arduino, ECAD ed
elettronica applicata”. La
singolare storia di Robert Hooke
è il tema della rubrica "Basi per il
disegno e la progettazione". La
"Designer’s Story" di questo
mese completa l’analisi
biografica su Bruno Munari. La
rubrica "Elementi di
progettazione edile", condotta da
A. Martini, ha per oggetto “L’atto
autorizzativo” per l’edilizia
residenziale. Parte con “Dati
geografici e vita quotidiana” un
ciclo di puntate dedicate alla
“Geomatica”. F. Albano spiega la
preziosa realizzazione di un
modello computazionale del
cuore umano nella rubrica
“Ingegneria Biomedica Open
Access”. Simone Paganelli,
giovane e poliedrico architetto
romano, si racconta in una
piacevole chiacchierata
nell’Intervista di questo mese. N.
Amalfitano descrive un
momento epico della recente
storia della musica italiana
parlandoci de “Gli Urlatori”. Si
conclude la panoramica storica
sugli UAV nella rubrica “New
hardware for CAD”. “Le fasi della
pianificazione esecutiva BIM per
professionisti ed imprese” è il
tema del “Corso di orientamento
alla BIM”. Nel “Corso di base per
SketchUp” si parla de “Il menù
Strumenti, il Sistema CSG & gli
Strumenti solidi”. Chiudono
questo numero la seconda parte
del tutorial di A. Buccella sulla
renderizzazione di un modello
3D per Google Earth e la prima
puntata sul “Corso di Umap” di P.
Bubici.
55
Cos’è CADZINECos’è CADZINE
È una rivista gratuita nata in
seno alla Community di
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chUp designer” per informare &
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: RENDERIZZARE & POST-
ELLO PER GOOGLE EARTH
cella “Inquadrature di un
Up per Google Earth e
Photoshop”, II PARTE
UMAP di Paolo Bubici
mento di lavoro”,
Questo discorso si ricollega in qualche modo al pensiero di Marie Curie, di pag. 3, sulla bellezza della
Scienza, cioè sulla libertà di cui dovrebbe godere qualunque ricercatore scientifico rispetto all’oggetto
delle sue ricerche, che dovrebbero restare sempre e comunque dei lavori di pura scienza. Ed è stato un
lavoro di pura scienza l’intera attività di Robert Hooke, che rapito da tanta bellezza, è riuscito a
compiere un viaggio straordinario nella conoscenza facendolo persino approdare alla teorizzazione
del corpus iuris sulla Gravitazione Universale. Hooke, con estrema modestia, lo presentò ai fellow
della Royal Society come semplice ipotesi in cerca di una verifica matematica, seguendo il rigido
protocollo del metodo scientifico in uso all’epoca… In cerca di questo Hooke, con uno spirito che oggi lo
avrebbe reso popolare nel mondo dell’Open Source e dell’Open Project, scrisse ad Isaac Newton
invitandolo a partecipare a questo lavoro e a tentare una verifica della sua teoria. Per Newton fu un
vero colpo di fortuna anche perché le sue ipotesi sulla gravitazione universale, sino ad allora, si
scontravano con le 3 leggi sul moto dei pianeti ricavate da Keplero, agli inizi del XVII secolo, in base
alle osservazioni sul moto retrogrado di Marte di Tycho Brahe, di cui Keplero era seguace. Newton
nella sua teorizzazione aveva “integrato” il pensiero di Hooke e i calcoli di Keplero, ottenendo così una
formulazione verificabile che presentò alla Royal Society come totalmente sua. Ne conseguì da ciò
l’accesa disputa sulla paternità della Legge di gravitazione universale tra Newton e Hooke che non si
concluse neanche con la scomparsa di quest’ultimo, dal momento che Newton tenterà
successivamente di “cancellare” dalla storia il suo avversario... S. G.
Se lo sgambetto te lo fa Newton…Se lo sgambetto te lo fa Newton…
66
77
Auto senza guidatore:
una realtà entro 5 anni
La favola, un filo invisibile
tra culture diverse
Archmarathon Award 2016
La International Cartographic Association
(ICA) è un'associazione internazionale
formata da organizzazioni nazionali il cui
scopo è quello di fornire un forum sulle
questioni e le nuove tecniche
di cartografia e GIS. ICA è stata fondata il 9
giugno 1959, a Berna, in Svizzera. Sulla
sciadel lavoro di Barbara Petchenik la ICA
ha fondato un Contest biennale per
cartografiin erba...
Dal 1993 la ICA organizza il Barbara
Petchenik Competition, in memoria
della cartografa Barbara Petchenik,
ex vice presidente dell'ICA, che si è
prodigata per tutta la vita nel
promuovere la cartografia fra i più
piccoli. Lo scopo del concorso è
quello di promuovere la
rappresentazione creativa del
mondo stimolando la creatività
grafica dei bambini. Il contest
biennale è articolato in due
momenti: una prima selezione
avviene a livello nazionale, nei vari
P a e s i me m b r i d e ll ’ I C A ;
successivamente i vincitori
nazionali possono quindi
c o m p e t e r e n e l l a f i n a l e
internazionale, che si svolge
durante le ICC, le Conferenze
Cartografiche Internazionali. I lavori
dei giovanissimi concorrenti
vengono vagliati da una giuria
internazionale il cui lavoro è
coadiuvato anche da una votazione
pubblica. Dei circa 300 partecipanti
iniziali ne i vincitori sono solo 12
suddivisi in 4 categorie. La Galleria
con tutti i meravigliosi lavori dei
talentuosi vincitori è visionabile al
seguente indirizzo:
https://childrensmaps.library.carleton.ca/
Paolo Bubici
FCA ha siglato un’intesa con Google sulla
realizzazione di un lotto di 100 veicoli a
guida automatica derivati dal minivan
Pacifica, cercando di anticipare la
concorrenza ed acquisire competenze su
questa nuova tecnologia che rivoluzionerà
l’industria dell’auto.
Non si sbilancia ancora più di
tanto Sergio Marchionne circa
l’accordo con Google sul minivan
Pacifica affermando blandamente che il
progetto è ad una «prima fase della
relazione, poi si vedrà».
Marchionne pur ribadendo che ci
sono ancora molti nodi da
sciogliere e che la partnership non
è esclusiva, si dice più che
ottimista sul futuro delle auto
senza guidatore, che potrebbero
cominciare a girare su strada
prima del previsto, forse già fra
cinque anni. L’A.D. della FCA
definisce «attiva» la partnership
col colosso di Mountain View pur
mantenendo ancora un certo
riserbo sulla possibilità che Google
possa essere quel partner per il
consolidamento del gruppo da
tempo cercato, affermando che
«sarebbe molto naif da parte mia
ritenere che sono l’unico sulla
terra a parlare con Google. Se
Google chiama, tu di solito
rispondi». Marchionne afferma che
«stiamo esplorando un settore con
persone che vogliono esplorare
insieme a noi e ci consentono di
entrare nel loro mondo» ed
aggiunge: «dobbiamo muoverci in
questa transizione, e farlo
camminando con chi è stato
considerato a lungo un potenziale
nemico del nostro business alla
sua velocità, è la migliore
soluzione per noi per determinare
quale sarà il nostro stato futuro».
La fase iniziale di questa
collaborazione, spiega l’A.D., «è
molto mirata per portare la sua
tecnologia nel minivan». La FCA
produrrà 100 esemplari della
Pacifica, questo il nome della
deliziosa vetturetta, che sarà
«fisicamente diversa» da quella
attuale. La FCA l’ha scelta perché
«è la vettura che più si presta.
L’architettura elettrica della
Pacifica è abbastanza forte per la
tecnologia di Google». A sua volta
Google ha accettato perché gli
consente di testare e mettere a
punto la sua tecnologia su di un
veicolo più grande, in cui i
passeggeri possono entrare e
uscire più comodamente. Staremo
a vedere come si evolverà la
vicenda. S.G.
Ha vinto un team del lontano oriente
la prestigiosa tre giorni milanese
sull’architettura; lo studio Vector
Architects ha proposto un lavoro
dalle forme pulite, scevro da
qualsiasi superfetazione stilistica e
in simbiosi perfetta col paesaggio
circostante
Quest’anno il prestigioso premio
Archmarathon Award 2016, una
maratona di architettura che si è
tenuta a Milano dal 13 al 15
maggio negli East End Studios, è
stato vinto dallo studio Vector
Architects di Pechino che ha
concorso con il progetto Seashore
Library. Una manifestazione
densa di eventi che in tre giorni
ha visto sfilare 42 atelier
d’architettura sotto il vigile
occhio della giuria, presieduta da
Luca Molinari e costituita da
personaggi autorevoli del mondo
dell'architettura e della critica
quali Lucy Bullivant, William
Menking, Wassim Naghi, Li Brian
Zhang e Elie Haddad. Sono stati
premiati anche i migliori lavori di
ognuna delle dieci categorie: Arts
& Culture, Education Buildings,
Religious Buildings, Workspaces,
Hotel & Leisure, Private Housing,
Mixed Tenure Housing &
Buildings, Retrofitting &
Refurbishment, Urban Design &
Public Spaces e Transport.
Lo studio Park & Associati,
fondato da Michele Rossi e
Filippo Pagliani, ha ottenuto il
primo posto nella categoria "Hotel
& Leisure" con il progetto
Princeless Milano, una struttura
definito dalla giuria come
«un'architettura nomade e
temporanea che esplora gli spazi
della città in modo nuovo», così
definisce la giuria questa
temporary structure per la
ristorazione installata in Piazza
della Scala a Milano sulla
sommità di Palazzo Beltrami. S.G.
Lo ha stabilito una recente ricerca
presentata dall’autorevolissima
Stanford University che ha
impiegato dei robot NAO per
questo curioso esperimento.
I ricercatori hanno dimostrarlo
che noi umani siamo costruiti un
po’ alla buona per quel che
riguarda i gusti sessuali e che non
facciamo molta differenza se il
palpeggiamento di un gluteo, di
una mammella e di altre zone
considerate erogene siano di un
altro umano o di un… robot!
In effetti questa tendenza
l’avremmo dovuta già constatare
con il successo di vendita che
hanno toccato i sexy toys e le
bambole gonfiabili la cui
massima espressione sono i
macabri costosissimi e realistici
automi RealDoll, ma torniamo
all’esperimento. Lo studio in sé è
abbastanza semplice: alcuni
studenti sono stati messi da soli
in una stanza con un robot
NAO. Sulla loro mano non
dominante è stato collegato un
sensore a conduttanza della pelle
per misurare la loro eccitazione
fisiologica. Il robot chiede alle
“cavie” di essere toccato in più
punti del suo “corpo” e,
indovinate” la massima
eccitazione raggiunta dalla
“cavia” è ovviamente nelle zone
“genitali“ del robot! A quanto pare
sembra che siamo noi umani ad
avere qualche serio bug nei nostri
algoritmi! S.G.
Molestare un robot? È eccitante!
Vector Architects: Seashore Library, la biblioteca che guarda l’Oceano
88
99
P
er quasi un’ora mi sono
scervellato a cercare
l’autore di questa
meravigliosa frase che
severamente sentenzia: “Ogni
popolo ha il governo che si
merita”. Sulla rete viene attribuita
a più personaggi storici, da
Aristotele a W. Churchill, e a me
piace particolarmente perché da
noi sembra trovare una delle sue
più riuscite e fulgide
esemplificazioni.
Anche se in essa si parla di
“governo” e la tentazione di
parlare male della politica è molto
forte non è proprio di quest’ultima
che voglio parlare ma di una sua
particolarissima specializzazione
la cui crescita e sviluppo nel
nostro Paese ha veramente
superato negli ultimi decenni
ogni più rosea aspettativa: la
corruzione.
Ero solo un bambino quando, con
un certo tedio, ascoltavo le
interminabili lamentazioni degli
adulti a commento dell’ennesimo
scandalo per corruzione generato
da un uomo politico o dal potente
di turno. Quarant’anni dopo, con
lo stesso tedio, ascolto le
interminabili lamentazioni degli
innumerevoli talk show e para-
telegiornali di taglio politico che
popolano le serate televisive e
radiofoniche italiane. Al pari di
certe culture indigene, che per
tradizione orale si tramandano la
loro storia, così il popolo italiota
si tramanda, sempre per
tradizione orale, l’esercizio della
lamentazione: il padre o la madre
o, peggio ancora, entrambi i
genitori si lamentano della
corruzione di politici e pubblici
amministratori davanti ai loro
figli in modo tale che poi un
giorno anche loro faranno
esattamente la stessa cosa e cioè
sapranno SOLO lamentarsi. Tutto
ciò mi ricorda molto il
meccanismo legato al vizio del
fumo. Il problema di questo stato
di cose è basato sul fatto che da
noi la corruzione è endemica, è un
qualcosa che ci portiamo nel DNA
e che coinvolge, con travolgente
passionalità, tutto e tutti:
dall’Onorevolissimo Ministro
senza Portafogli al Primo Usciere
Applicato del Sig. Sindaco di
Pranzate Sopra, dall’Egregissimo
Ingegnere Collaudatore Capo al III
Capo Mastro Scelto del sub, sub
appaltante, dall’integerrimo
Luogotenente Aiutante di Brigata
all’ineffabile pluridecorato Vice
Comandante Generale del Corpo
d’Armata, dall’onnipresente ed
instancabile Bidello Scelto di II
Classe al Magnifico ed Eccellentissimo
Rettoredell’UniversitàdiSparatjunapizza!
In Italia la corruzione non è una
questione morale ma una
questione fisica! Quel piacevole
brivido blu che corre lungo la
schiena quando la mano amica e
complice del corruttore ti passa
un giornale, o una busta, bella
piena zeppa di banconotoni da
Cinquecento Euro! Si ho scritto
proprio Cinquecento Euro: la
banconota creata dalla UE
appositamente per agevolare la
corruzione e il malaffare nel
Vecchio Continente. Fuori battuta
questo annoso problema della
corruzione nell’amministrazione
della cosa pubblica italiana è
legato alla mancanza di un reato
che leda effettivamente,
totalmente e permanentemente la
reputazione professionale di
corrotti e corruttori impedendo
loro, per sempre, l’accesso a
qualsiasi futura mansione
lavorativa in cui possano entrare
a contatto con le casse di un
qualsivoglia pubblico ufficio. Per
assurdo da noi corrompere o
essere corrotti fa curriculum, fa
esperienza: “E’ stato corrotto?
Magnifico! È proprio l’uomo che
stavamo cercando!”, oppure
“Scusi ma lei sa corrompere bene?
Altrimenti guardi lasciamo stare!
No, perché quegli appalti di cui le
parlavo prima sono di vitale
importanza per la nostra
azienda!” Lasciatemi chiosare il
tutto con una riflessione: se è vero
che il Made in Italy è sempre una
garanzia di qualità ed affidabilità,
allora perché i nostri Atenei non
varano dei bei Corsi di Laurea in
Economia e Commercio ad
indirizzo Truffaldino oppure dei
Master in Arte della Corruzione e
Falso Ideologico o, ancora, dei
Dottorati di Ricerca sulla Teoria e
Tecnica delle Applicazioni di
Disonestà nelle PP.AA?
Parafrasando il noto precetto
manzoniano riusciremo a fare di
Slealtà, Virtù e… qualcuno ci
guadagnerebbe pure qualche altro
soldo! Meditate gente, meditate!
di Salvio Giglio
Da Pubblici Vizi a inaspettate Virtù?
1010
1111
Impariamo a sbrogliare un
circuito: la fase di layout
D
opo aver dato una
fugace occhiata ai criteri
di dimensionamento
delle piste di un
circuito stampato e aver definito
il concetto di sbrogliatura, adesso
ci occupiamo della realizzazione
pratica del master definitivo del
nostro PCB. A tal fine dobbiamo
aver presenti due punti
estremamente importanti: lo
studio del layout, per la
disposizione ottimale dei
componenti sulla scheda, e quello
inerente lo sbroglio delle piste di
collegamento, cercando di
definire il miglior percorso
possibile e in grado di soddisfare
tutti i collegamenti elettrici
previsti.
Per darvi forza durante questa
fase progettuale ripeterete, più e
più volte, questo mantra:
“Procederò con molta pazienza,
per affinamenti successivi e
anche se qualcosa va storto non
mollerò! Sono io il più forte ed
arriverò alla soluzione ottimale!”…
Il layout passo dopo passo
La sequenza operativa che vi
propongo in questo paragrafo è
ricavata dal flow chart
normalmente impiegato nella
produzione industriale i cui
criteri generali possono essere
però tranquillamente adottati
anche per la produzione
artigianale personale. Prima di
passare allo sviluppo del
master, dobbiamo già conoscere
o quanto meno avere un’idea su:
 la tecnologia di montaggio
(THT o SMT) da adottare;
 la tipologia di montaggio (a
singola faccia, a doppia faccia,
ecc.) da applicare;
 la modalità di montaggio dei
componenti (orizzontale o
verticale) da implementare;
 la scelta fra uno o più PCB e, a
tal proposito, va detto che ci
sono alcuni validissimi motivi
(come la forma del volume
disponibile, la manutenibilità,
la modularità di alcuni
componenti, ecc.,) che possono
giustamente far propendere la
progettazione verso l’adozione
di una combinazione di PCB
opportunamente interconnessi
tra loro. Ovviamente la
soluzione a singolo PCB offre
numerosi vantaggi, quali la
minor superficie complessiva,
il risparmio di connessioni e
connettori, senza contare un
certo risparmio nei costi di
produzione. Di contro la
soluzione con due o più PCB
propone la semplificazione
della sbrogliatura e della
fabbricazione, collaudo e
VII puntata, II parte
di Salvio Giglio
La fase di layout è immediatamente precedente a quella di sbroglio e può essere considerata come una bozza di
quello che sarà il nostro PCB finito. In questo articolo, otto passaggi per realizzare un layout efficace e ragionato
che si avvicini quanto più possibile al circuito finale. In ogni caso sappiate che vi dovete armare di molta pazienza!
1212
diagnostica degli errori
semplificata, una
manutenzione più rapida e,
conseguentemente, una
riduzione del tempo di fermo
macchina.
 le dimensioni fisiche del
contenitore in cui sarà
custodito;
 le condizioni ambientali di
esercizio in cui dovrà operare; il
numero d’esemplari da
produrre;
 la classe dell’apparecchiatura
(militare, industriale, civile,
ecc.).
Stabiliti i punti di cui sopra si
procede con il layout vero e
proprio. In caso di circuiti non
estremamente complessi si
possono fare dei bozzetti
preliminari su carta e poi trasporli
in bella copia sul PC. In linea di
principio, in questa fase si parte
dal perimetro esterno della scheda
(relegando componenti caldi e con
tensioni pericolose lontano dalla
componentistica delicata e di
precisione, in prossimità di grate
e/o ventole di areazione per
dissipare il calore) e si procede
gradualmente verso il centro della
scheda, sino all’eventuale zoccolo
del processore. Ecco, in estrema
sintesi, una scaletta con i passaggi
salienti della stesura del layout:
1. Rappresentazione del
perimetro esterno del PCB in
base alle esigenze di progetto.
2. Posizionamento dei fori di
fissaggio della scheda.
Ricordate a tal proposito che ad
ogni foro deve essere associata
un’area keep-out (tenersi fuori)
necessaria per evitare contatti
tra la testa della vite di
fissaggio e parti sotto tensione;
in questa zona non è
assolutamente consentito il
passaggio di piste, espansioni
di massa, il posizionamento di
vias, componenti e aree
conduttrici.
3. Determinazione del bordo della
scheda. Il bordo è un’area
perimetrale in cui è ammessa
la sola presenza di componenti
specifici destinati al comando,
alla connettività, alla
regolazione, o che sono
frequentemente soggetti a
manutenzione. Questa fascia
descrive idealmente anche il
perimetro dell’area utile di
lavoro (la zona destinata alla
componentistica per
capirci), arretrato rispetto a
quello esterno di una distanza
compresa tra i da 2 e 5 mm, in
funzione dei sistemi di
produzione e di fissaggio del
PCB nel prodotto finale. Questa
fascia può essere impiegata
per il passaggio di eventuali
piste a patto che ciò non
costituisca potenziali pericoli
di cortocircuito. In ogni caso è
preferibile che per le piste sia
rispettata sempre una distanza
minima di 1,5 mm rispetto al
perimetro esterno della scheda
poiché, durante l’operazione di
tranciatura della basetta, esse
potrebbero staccarsi dal
supporto isolante.
4. Suddivisione in zone
funzionali. I componenti vanno
disposti considerando sempre
lo schema elettrico di partenza,
immaginando per ciascuno di
essi il collegamento più breve e
ottimizzando al massimo la
lunghezza delle piste. In questa
fase conviene suddividere e
risolvere il circuito in zone
funzionali (alimentazione,
segnali in ingresso,
elaborazione, segnali in uscita)
studiando, zona per zona, la
disposizione più semplice dei
componenti e, allo stesso
tempo, sia in grado di
evitare l’impiego di un numero
eccessivo di vias e/o di piste
troppo lunghe.
5. Creazione di gruppi e
sottogruppi. Come accade
normalmente nel CAD, nella
modellazione 3D o nella grafica
vettoriale, ragioneremo per
gruppi nidificati (gruppo
principale composto da
sottogruppi più elementari) e
collocheremo questi all’interno
dell’area utile di lavoro. Nella
maggioranza dei casi
quest’area è decisamente
superiore rispetto alle reali
esigenze produttive, fatto
questo che può essere sfruttato
nella successiva fase di
sbrogliatura in cui,
normalmente, i gruppi
precedentemente creati sono
riposizionati per ottenere una
combinazione ottimale e il
massimo guadagno di spazio.
Nei gruppi posizioneremo i
componenti in modo uniforme,
orizzontalmente e
verticalmente, disponendoli in
base ad una griglia.
6. Scelta della griglia di
riferimento. È un ausilio grafico
per la progettazione
consistente in
una quadrettatura a passo
costante, espresso in pollici,
pari a:
 0.100" o 100 mils = 2,54 mm;
 0.050" o 50 mils = 1,27 mm;
 0.025" o 25 mils = 0,635 mm.
7. Suddivisione delle tensioni. La
Norma CEI 64-8 contempla tre
sistemi di alimentazione
principali per garantire la
protezione delle persone contro
i contatti diretti e indiretti. I
sistemi in questione sono
denominati:
 a bassissima tensione di
sicurezza (SELV) alimentati
con tensioni non superiori a
50 V CA e 120 V CC non
ondulata;
 a bassissima tensione di
protezione (PELV)
alimentati con tensioni non
superiori a 50 V CA e 120 V
CC non ondulata;
 a bassissima tensione
funzionale (FELV).
In alcune circostanze che
presentano maggiore rischio, la
tensione di alimentazione deve
1313
Fig. 1, flow chart dei dati iniziali prima dell’elaborazione del layout
1414
essere ridotta a 25 V CA e 60 V
CC. Le sorgenti di
alimentazione saranno scelte
tra le seguenti:
 trasformatore di sicurezza o
sorgente con grado di
sicurezza equivalente;
 batterie di accumulatori.
In ogni caso, la zona di
alimentazione primaria, ove è
presente la tensione di rete e/o
tensioni pericolose, deve
distare sempre di uno spazio ≥
3mm dalla zona a bassissima
tensione.
8. Componenti speciali. Vi
consiglio, infine, di adottare le
seguenti precauzioni se nel
vostro progetto sono presenti:
 Amplificatori operazionali, il
criterio da seguire per
realizzare una configurazione
tipica (somma, inversione,
derivazione, integrazione,
ecc.) consiste nel creare un
gruppo formato dall’integrato
operazionale con intorno i
componenti necessari
all’esecuzione delle varie
operazioni (resistenze e/o
condensatori).
 Condensatori di filtro,
devono essere ubicati nelle
immediate vicinanze del
piedino di alimentazione
piuttosto che a quello della
massa dell’integrato di
pertinenza.
 Connettori, nella maggioranza
dei casi vanno collocati a
bordo scheda, anche se è
piuttosto frequente il
loro posizionamento in
zone centrali del circuito.
 Microcontrollori, per il loro
elevato numero di
connessioni si predilige il
montaggio in posizione
centrale. Ricordate poi che il
gruppo del clock di sistema,
formato da un quarzo e due
condensatori, deve essere
montato il più vicino
possibile ai terminali del
microcontrollore.
 Varistori, sono dispositivi di
protezione contro le
sovratensioni che vanno
installati adiacentemente ai
connettori perché potrebbero
danneggiare seriamente il
circuito.
Per questa puntata ci fermiamo
qui! Sul prossimo numero vedremo
gli step principali della fase di
sbroglio.
Continua...
Fig. 2, sequenza delle principali fasi del layout
1515
1616
The truth is, the Science of NatureThe truth is, the Science of Nature
has been already too long made onlyhas been already too long made only
a work of thea work of the BrainBrain and theand the FancyFancy::
It is now high time that it shouldIt is now high time that it should
return to the plainness and soundnessreturn to the plainness and soundness
ofof ObservationsObservations onon materialmaterial andand
obviousobvious things.things.
Robert HookeRobert Hooke
MicrographiaMicrographia (1665). In(1665). In Extracts from MicrographiaExtracts from Micrographia (1906),(1906),
1717
R
obert Hooke è uno di
quei personaggi con cui
la storia ha ancora un
grosso debito aperto
nonostante siano passati diversi
secoli dalla sua scomparsa. Non a
caso ho deciso di stabilire come
punto di partenza di questo nuovo
ciclo di puntate proprio questo
scienziato inglese entusiasta,
votato totalmente allo studio e
alla conoscenza, declinati in ogni
loro possibile applicazione per
quei tempi: dall’astronomia alla
fisica, dalla chimica alla biologia,
dalla geologia alla musica sacra,
dall'architettura all’urbanistica,
dalla meccanica alla tecnologia
navale. Hooke incarna
perfettamente la figura di uomo
rinascimentale e di umanista per
la sua intelligenza e insaziabile
sete di sapere. Una sete che lo ha
spinto, poco più che adolescente,
dall’Isola di Wight in quel di
Londra: una città all’epoca
pericolosa e difficile già solo per
chi ci era nato, figuriamoci per un
ingenuo ragazzino dalla salute
precaria che arrivava da una
sperduta isoletta della Manica,
figlio di un curato di un
minuscolo villaggio di pescatori.
Contro ogni funesta previsione, la
crescita culturale di Robert è
inarrestabile e finisce col
renderlo un personaggio unico,
un punto di riferimento per gli
stessi dotti del suo tempo che per
lui creano un ruolo professionale
specifico in ambito accademico e
che lo vogliono come
pianificatore urbano dopo il
Grande Incendio di Londra del
1666. A fare in modo che di Hooke
la storia perdesse quasi
completamente la cognizione,
nonostante la quantità e la qualità
di ricerche scientifiche da lui
condotte per oltre quarant’anni,
saranno l’invidia e il “mestiere” di
certi accade mic i suo i
contemporanei e rivali.
Ut tensio, sic vis!
Hooke coltivava sin dall’infanzia,
una grande passione per
l’orologeria e la meccanica di
precisione. A tal proposito è lui
stesso a citare un episodio
r i s a l e n t e a l p e r i o d o
dell’adolescenza in cui smontò
completamente un orologio in
ottone per capirne il
funzionamento e finì col
realizzarne una replica in legno
funzionante che segnava le ore
con un certa precisione. Anche la
stessa legge sul comportamento
dei materiali elastici era nata per
scopi puramente pratici sul finire
del 1660, poco prima che Hooke
diventasse un membro della
Royal Society, ed era legata alla
sua vecchia passione per
l’orologeria. Hooke stava tentando
di sviluppare una molla a spirale
molto sottile e di piccole
dimensioni per azionare i
meccanismi di un suo modello di
orologio portatile. La molla, per
ragioni di precisione, avrebbe
dovuto rilasciare costantemente
la sua “carica” elastica agli
ingranaggi dell’orologio. Prima di
giungere alla nota relazione con
cui è espressa la sua legge, Hooke
testò una gran quantità di molle e
cavi in acciaio, assicelle e travetti
di legno sottoponendoli a trazione
con carichi man mano crescenti e
avvalendosi di una bilancia per
eseguire le misurazioni. Per ogni
test ricavò una serie di grafici in
cui era rappresentato su di un
diagramma cartesiano il rapporto
tra carico e deformazioni: il
tracciato ottenuto, in tutti i casi,
risultava essere sempre una linea
retta a dimostrazione della
p r o p o r z i o n a l i t à d i r e t t a
sussistente tra i due termini.
Quando Hooke cominciò a parlare
apertamente della sua scoperta
nella Royal Society, nacque
un’accesa disputa con il
matematico olandese sulla
paternità della formulazione.
L’olandese sosteneva infatti che
Hooke era un millantatore dal
momento che avrebbe sviluppato
questa teoria poco tempo dopo il
suo ingresso nella Royal Society,
facendo propri i risultati delle sue
ricerche. Era costume dell’epoca
I puntata - I parte
di Salvio Giglio
Abbiamo deciso di dare un taglio storico a questo nuovo ciclo di puntate ospitato in questa rubrica. Il tentativo è
quello di spiegare che dietro ai nomi e alle formulazioni teoriche, propinate sterilmente dai libri di testo, ci sono
sempre e solo delle persone che con le loro vicende umane, superano per importanza ed esemplarità le stesse
leggi e teoremi che li hanno resi famosi. Il primo personaggio in cerca di lettori è Robert Hooke: uno scienziato
inglese del XVII secolo il cui talento e ingegno lo elevano allo stesso rango del grande Leonardo. A differenza
però del genio rinascimentale italiano ad Hooke l’Inghilterra non solo non gli ha ancora riconosciuto il giusto
tributo storico ma ha anche smarrito i suoi resti mortali...
Gli autori delle grandi teorie per la Scienza &
la Tecnica delle Costruzioni contemporanea
1818
Fig. 1, immagine estratta dal trattato di Hooke “Lectures de potentia reflitutiva or of Spring. Explaining the power of sprin-
ging bodies” del 1678. La didascalia dell’immagine è stata tradotta dal redattore
1919
preannunciare con anagrammi di
frasi in latino scoperte ed
invenzioni; non di meno fa Hooke
che, nel 1675, pubblica alla fine
del suo trattato Descriptions of
Helioscopes l’anagramma
CEIIINOSSSTTUV relativo alla sua
teoria sull’elasticità dei materiali.
Nel 1678, Hooke completa e
pubblica un documento dedicato
alle sue osservazioni Lectures de
potentia reflitutiva or of spring
explaining the power of springing
bodies e svela la frase misteriosa
dell’anagramma. “Ut tensio, sic
vis" significa: "Come la forza, così
l'estensione" e spiega che: ”la forza
di qualsiasi molla è proporzionale
alla tensione ad essa applicata:
così, se un tratto di molla sarà
piegato in un solo spazio, due
saranno piegati in due, tre saranno
piegati in tre, e così via. Ora,
siccome la teoria è molto breve,
quindi il modo di provarla è molto
facile.“.
Ecco la relazione che fu motivo di
tanto contendere:
Essa, come vi dicevo prima,
esprime il legame di
proporzionalità diretta tra la forza
F e l’allungamento prodotto da
essa sul materiale δ mentre la
costante k rappresenta la costante
elastica del materiale espresso in
N/m.
La legge di Hooke origina tre
diversi ordini di considerazioni:
1. Un materiale solido può
resistere a una forza ad esso
applicata solo cedendo ad essa:
contraendosi se sottoposto a
compressione o allungandosi
se sottoposto trazione. In
questo contesto si deve
considerare come una
deformazione ogni minima
a l t e r a z i o n e d e l l a
configurazione normale di un
corpo (quella in stato di riposo)
in termini sia dimensionali
che di forma: è l’azione della
forza agente sul corpo a
originare il cambiamento. La
nuova conformazione del
solido assunta sotto l'azione di
forze esterne corrisponde ad
una variazione delle sue forze
interne che tendono a
raggiungere, finché ciò è
possibile, uno stato di equilibrio
con esse.
2. I materiali solidi sono elastici:
quando viene rimosso un carico
che era stato loro applicato in
precedenza, riacquistano la loro
forma e dimensione originale a
patto che esso non superi i
limiti di elasticità. Con la
rimozione progressiva del
carico, Hooke osservò che anche
il ritorno alle condizioni
geometriche iniziali era lineare
e, in base alle tolleranze
adottate per le sue misurazioni,
tutti gli oggetti riacquistavano la
loro lunghezza originale.
3. Nei materiali o nelle strutture la
deformazione è sempre
proporzionale al carico
applicato. Quest’ultima
affermazione risulta sempre
vera, anche quando il carico
applicato al solido supera oltre il
punto di non ritorno il limite di
elasticità del materiale e
talvolta raggiunge il valore di
rottura dello stesso.
Torneremo nuovamente sulla
legge di Hooke nella prossima
puntata, ove analizzeremo le sue
implicazioni e sviluppi in ambito
progettuale. Giunti a questo punto
però, mi preme di più presentarvi
la storia e il talento di questo
geniale scienziato.
La storiografia su Hooke: un
tentativo di rendergli giustizia
Mentre sono in cerca di notizie
storiche in rete mi amareggia
molto apprendere, da un sito web
interamente dedicato a Hooke (il
roberthooke.org.uk), che nonostante
egli sia stato uno dei più brillanti e
versatili scienziati inglesi del XVII
secolo, gli storici e la comunità
scientifica del suo Paese non sono
ancora riusciti a diffondere e
popolarizzare la sua figura e il suo
enorme contributo scientifico al
pari di altri personaggi suoi
contemporanei.
Trovo poi ancora più scandaloso e
riprovevole il fatto che la sua
patria abbia in tempi recenti
persino smarrito i suoi resti
mortali. Hooke era stato
originariamente tumulato nella
bella chiesa di St. Helen
Bishopsgate nel 1703; nel 1992 e
nel 1993 l’organizzazione
terroristica nord irlandese IRA
prende di mira il monumento e
piazza due devastanti ordigni
nelle immediate vicinanze. I danni
alla chiesa sono ingenti e i resti di
Hooke, per motivi di sicurezza
vengono traslati in un luogo non
precisato e di cui si sono
completamente poi perse le
tracce... Neanche da noi in Italia
saremmo riusciti a fare una cosa
tanto maldestra!
Fortunatamente, nonostante queste
meschinità e il fatto che siano
passati più di quattro secoli, è la
rete a mettere spontaneamente a
disposizione del pubblico del buon
materiale documentale su questo
straordinario personaggio storico.
Cosciente dell’impossibilità di
zippare Hooke in questa sede,
preferisco esordire indicandovi
subito un percorso storiografico a
lui dedicato che, anche se tutto in
inglese, sarà capace di farvelo
apprezzare pienamente.
Partiamo da John Aubrey , che ne
traccia un ritratto molto definito,
quando Hooke era ancora in vita,
nel suo “Schediasmata: Brief
Lives”, una raccolta manoscritta
in tre volumi in folio di profili
biografici depositata, nel 1693, nel
Ashmolean Museum di Oxford ed
ora custodita presso la Bodleian
Library sempre ad Oxford. Richard
Waller, ce ne parla nella sua
introduzione al trattato “The
Posthumous Works of Robert
Hooke, (…)” stampato nel 1705.
John Ward lo descrive nel periodo
2020
“London Burning by Day, 1666”. Da una stampa tedesca nella collezione Goss. In "The Great Fire of London” da Walter Geor-
ge Bell, 1914.
A sinistra, ritratto di John Wilkins eseguito da Mary Beale nel 1670 e custodito nella Bodleian Library di Oxford. A destra,
ritratto di Oliver Cromwell eseguito da Robert Walker nel 1649.
2121
in cui Hooke era docente di
Geometria presso il Gresham
College nel suo resoconto: “The
Lives of the Professors of Gresham
College, to which is prefixed the
Life of the Founder, Sir Thomas
Gresham” pubblicato a Londra nel
1740.
Robert Gunther, storico della
scienza, fu poi talmente attratto
dalla vastità dell’opera di Hooke
che finì col dedicargli ben cinque
tomi, su quattordici, del suo lavoro
enciclopedico “Early Science in
Oxford” del 1920, un trattato
storico sulla ricerca scientifica ad
Oxford durante il Protettorato, la
Restaurazione e il secolo dei Lumi.
Una ricerca molto approfondita su
Hooke è, infine e sicuramente, il
lavoro del famoso storico inglese
Allan Chapman che, nel 1996, il gli
dedica un libro in cui, sin dal
titolo, lo definisce "England's
Leonardo(…)” cioè il Leonardo
d’Inghilterra. Il lavoro di Chapman
è una bell’analisi storica, molto
dettagliata, della vita di Hooke e
viene presentata al lettore
suddivisa in tre periodi chiave: gli
esordi come ricercatore scientifico
universitario senza stipendio
(dev’essere una consuetudine
legata a questo ruolo); gli anni del
successo in cui, oltre alle
innumerevoli soddisfazioni
raccolte in ambito accademico, lo
scienziato ottiene dalle massime
autorità cittadine un ruolo di vitale
importanza nella pianificazione
della ricostruzione di Londra,
andata quasi totalmente distrutta
col devastante incendio del 1666;
gli anni del declino che vedono lo
scienziato logorato dalla
vecchiaia, dalle malattie e
dall’invidia dei suoi non pochi
rivali. A questi Chapman
attribuisce la responsabilità di non
aver fatto annoverare il nome di
Hooke tra quello dei grandi
scienziati britannici subito dopo la
sua morte. In definitiva “England’s
Leonardo” ci restituisce la figura
di un uomo onestissimo,
innamorato della vita in ogni sua
manifestazione, dinamico, pieno
di genio e talento che la parola
umanista riesce perfettamente a
riassumere.
I primi anni di vita
E’ un’autobiografia, iniziata nel
1696 e mai completata, a fornire un
punto di partenza affidabile da cui
attingere notizie sui primi anni di
vita di Hooke. Robert nacque nel
1635 in Inghilterra sull’Isola di
Wight nel villaggio di Freshwater,
ultimo di quattro figli nati dal
matrimonio tra il pastore
anglicano John Hooke e Cecily
Gyles. Fu proprio il padre a dargli
le prime basi formative, essendo
anche il maestro della scuola
locale, con la speranza che il figlio
seguisse le sue orme in ambito
religioso anche se presto si rese
conto che quel ragazzo di grande
intelligenza, ma dalla salute
cagionevole, avrebbe fatto ben
altro nella vita. Infatti, il giovane
Robert aveva un grande spirito
d’osservazione, era affascinato
dalla meccanica e aveva gran
talento per il disegno e la pittura:
interessi questi che avrebbe
seguito in vari modi per tutta la
sua vita. Nel 1648 con la morte del
padre, Robert eredita quaranta
sterline, una bella cifra per l’epoca,
e comincia un breve periodo di
apprendistato come allievo pittore
a Londra presso la bottega di Peter
Lely. Poco tempo dopo, per
perfezionare il suo ciclo di studi,
Hooke frequenta le superiori
presso la celebre Westminster
School di Londra, sotto il
patrocinio del reverendo
anglicano Richard Busby. Gli anni
della formazione del giovane
Hooke si svolgono in un momento
particolarmente delicato per
l’Inghilterra, passato poi alla storia
col nome di Rivoluzione inglese.
Stiamo parlando del periodo in cui
il condottiero e politico Olivier
Cromwell e tutto il Parlamento
inglese dichiarano decaduta la
monarchia e instaurano il
Protettorato (dal 1649 al 1653),
crearono il Consiglio di Stato,
abolirono la Camera dei Lord e
proclamarono la Repubblica Unita
di Inghilterra, Scozia e Irlanda (o
Commonwealth).
Il periodo di Oxford
Nel frattempo Hooke è diventato
un brillante studente al Wadham
College, uno dei collegi costituenti
l'Università di Oxford, e fa parte di
un ristretto gruppo di ardenti
filomonarchici capitanato dal
pastore anglicano John Wilkins
che fu scrittore, filosofo
naturalista nonché fondatore
dell'Invisible College e
cofondatore della Royal Society.
Wilkins avvertiva un senso di
grande urgenza nel preservare il
lavoro scientifico, dal momento
che il Protettorato era percepito
come una seria minaccia per
l’operato di scienziati e liberi
pensatori. A parte questa
tumultuosa fase politica,
fortunatamente di breve durata, il
periodo oxfordiano di Hooke è
caratterizzato dalla sua passione
per la scienza e dal
consolidamento di amicizie,
alcune delle quali sono durate per
tutta la vita come quella con
Christopher Wren. In quegli anni
Robert raggiunge un ottimo livello
formativo anche in ambito
musicale, frequentando un corso
di venti lezioni per
l’apprendimento dell’organo e
delle basi del canto corale. Proprio
grazie alle sue doti canore, nel
1653 Robert entra come corista
nella Christ Church di Oxford. In
quell’ambito Hooke conosce il
dott. Thomas Willis di cui conosce
ed ammira il lavoro di ricerca in
ambito medico e ne diviene
l’assistente chimico per un breve
periodo. Poco tempo dopo Robert
diventerà assistente, dal 1655 al
’62, del famoso fisico e filosofo
naturalista irlandese Robert Boyle,
per il quale costruirà dei
2222
A sinistra, ritratto di Robert Boyle eseguito da Johann Kerseboom nel 1689 e custodito nella Gawthorpe Hall (GB). A destra, la
pompa a vuoto realizzata da Robert Hooke per gli esperimenti sulla Legge dei gas.
A sinistra, frontespizio di Micrographia del 1665. A destra il microscopio di Hooke: la luce della fiamma di una lampada a
petrolio (K) viene focalizzata attraverso una sfera di vetro (G) ed una lente (I) per illuminare l’oggetto da esaminare (M) attra-
verso il microscopio. Si notino i complessi cinematismi per regolare le varie parti dello strumento.
2323
dispositivi per il vuoto impiegati
poi negli esperimenti sulla nota
legge sui gas. Queste due
esperienze lavorative ritarderanno
il conseguimento del rango
accademico di Master of Arts sino
1663.
Curatore scientifico alla Royal
Society
Il 28 novembre 1660, in seno al
Gresham College, il gruppo di
intellettuali chiamato The 1660
committee of 12 annuncia la
fondazione di un "Collegio per la
promozione e l’insegnamento
sperimentale di discipline fisico-
matematiche", che si riunirà
settimanalmente per discutere di
scienze e presentare eventuali
esperimenti eseguiti; nasceva così
la Royal Society. Il 5 novembre
1661, uno dei membri fondatori, Sir
Robert Moray, propone la
creazione di una figura
professionale specifica, quella del
curatore scientifico, che sembrava
essere fatta apposta per Hooke.
Questo ruolo, infatti, che
prevedeva espressamente la
progettazione e la realizzazione
dell’equipaggiamento scientifico
necessario agli esperimenti
condotti dalla Royal Society, fu
affidato con approvazione
unanime a Hooke appena una
settimana dopo. A partire dal 1664,
Sir John Cutler stabilisce inoltre
un’ulteriore sovvenzione annuale
di cinquanta sterline per la Società
affinché fondi un ulteriore
comitato tecnico sulla Meccanica
e, considerata la grande
esperienza in questo campo,
Hooke riceve la nomina per questo
nuovo compito il 27 giugno 1664.
Nello stesso anno Hooke è
nominato professore di Geometria
presso il Gresham College di
Londra. L’11 gennaio 1665 Hooke
viene confermato curatore
scientifico a vita con un cospicuo
aumento di stipendio aggiuntivo
di ben trenta sterline l’anno. La
figura professionale di Hooke gli
permetteva ora di promuovere
liberamente esperimenti
scientifici propri oltre a verificare
ed eseguire quelli proposti dagli
altri membri della Società. Le sue
innumerevoli intuizioni e le
relative indagini scientifiche e
realizzazioni tecniche lo hanno
reso un vero pioniere scientifico.
Qui di seguito, per farvi fare
un’idea sul personaggio, vi cito
solo alcuni dei principali filoni di
ricerca da lui seguiti in quel
periodo.
 Uso dei microscopi
nell’esplorazione scientifica.
Hooke aveva competenze sulla
luce e sull’ottica tali da
consentirgli di apportare alcuni
significativi miglioramenti al
microscopio: i suoi modelli,
infatti, furono equipaggiati con
sistemi ottici e di illuminazione
rivoluzionari per l’epoca. Dalla
pratica tecnica sperimentale e
dal collaudo degli strumenti
scaturì poi uno studio che lo
condusse ad una serie di
scoperte e osservazioni sul
mondo dell’infinitamente
piccolo che confluirono nel suo
trattato Micrographia del 1665.
In questo lavoro Hooke
relazionò minuziosamente le
sue esperienze di laboratorio
condotte principalmente su:
l’anatomia di insetti e piccoli
fossili, i cui esiti lo avevano poi
instradato verso le basi della
teoria evoluzionistica in
biologia; l’analisi di tessuti
vegetali, come il sughero, in cui
aveva ravvisato delle cavità
separate da pareti chiamate
cells (cellule); sui cristalli
macroscopici, attraverso cui
aveva elaborato dei
pionieristici modelli strutturali
per dedurre la loro disposizione
atomica in base alla loro forma.
Furono osservazioni che
risultarono poi vitali per la
nascente scienza della
cristallografia.
 Costruzione del primo
telescopio gregoriano,
realizzato nel 1673 su progetto
dell’astronomo e matematico
scozzese James Gregory che lo
impiegò per l’osservazione
delle orbite di Marte e Giove.
 Studio del fenomeno della
rifrazione, da cui Hooke
dedusse la teoria ondulatoria
della luce.
 Studio sul fenomeno della
dilatazione termica dei corpi
solidi.
 Studio sulla composizione
dell’aria, in cui ipotizzò che
essa fosse formata da piccole
particelle separate da distanze
relativamente grandi.
 Studio di nuovi criteri per il
rilevamento cartografico.
 Studio sulla formulazione di
una legge sulla forza di gravità
e il moto dei pianeti, idea poi
ampiamente “sviluppata” da
Isaac Newton.
Hooke architetto ed urbanista
Dopo il grande incendio del 1666,
Hooke viene nominato Surveyor
(ispettore) per la Città di Londra e
assistente capo di Christopher
Wren. Entrambi sono impegnati
nella pianificazione della
ricostruzione della capitale che
con l’incendio ha perso oltre 85%
del suo patrimonio storico e
immobiliare. In questa fase sono
tanti i lavori in cui si rintraccia la
mano di Hooke a partire dal
Monument to the fire (Monumento
al fuoco) che, al di là della
funzione commemorativa, era
stato progettato con finalità
astronomiche. Hooke e Wren
erano entrambi appassionati
astronomi e avevano pensato la
colonna del monumento come
supporto di un piccolo laboratorio
astronomico munito di telescopio
per l’osservazione dei transiti
planetari e l’esecuzione di
misurazioni di precisione.
Purtroppo dopo il completamento
del monumento gli autori stessi si
resero conto dell’instabilità della
2424
1 e 2, Monument to the Great Fire of London visto dal piano stradale e in un dettaglio della balconata panoramica posta sulla
sua sommità a 62 metri d’altezza. 3, il Royal Greenwich Observatory. 4, Teatro anatomico Cutlerian a Warwick Lane. 5, la
suntuosa facciata neoclassica della Ragley Hall. 6, il Pepys Building nel Magdalene College a Cambridge, al piano terra è allo-
cata la Pepys Library interamente progettata da Hooke
  
 

2525
colonna nelle giornate di vento e
abbandonarono così
definitivamente l’idea.
Tra le altre opere di quel periodo
tra cui figura la firma di Hooke
troviamo: il Royal Greenwich
Observatory (l'Osservatorio Reale
di Greenwich), la Montagu House
in Bloomsbury (Casa Montagu a
Bloomsbury), il The Royal College
of Physicians, la Ragley Hall nel
Warwickshire, Ramsbury Manor
nel Wiltshire, il famigerato
ospedale psichiatrico Bethlem
Royal Hospital, la chiesa
parrocchiale di St Mary
Magdalene at Willen a Milton
Keynes. Hooke e Wren progettano
anche la St Paul's Cathedral, in
particolare la cupola fu edificata
impiegando un metodo di
costruzione ideato da Hooke.
Hooke partecipa anche alla
progettazione della Pepys Library,
ove sono stati custoditi i diari
manoscritti di Samuel Pepys, un
drammatico resoconto
testimoniale del grande incendio.
Per quanto riguarda la
progettazione urbanistica della
nuova Londra, Hooke propose
l’impiego di un impianto a griglia
munito di ampi viali e arterie;
modello questo che sarà
successivamente utilizzato nella
ristrutturazione di Parigi,
Liverpool e molte città americane.
Hooke sul viale del tramonto
Robert Hooke non si è mai sposato
se non con i suoi studi e ha
trascorso gran parte della sua vita
sull'isola di Wight, a Oxford e a
Londra. L’ultimo tratto della sua
vita è tormentato, per una parte, da
problemi di salute sempre più
frequenti e, dall’altra, da alcune
dispute intellettuali legate alla sua
enorme attività di ricerca
scientifica. Un’ultima
soddisfazione accademica gli
viene conferita nel 1698: si tratta di
un dottorato in Fisica al Gresham
College. Hooke si spegne il 3
marzo 1703, all’età di 68 anni a
Londra e, nella sua stanza al
Gresham College, viene rinvenuta
una cassa contenente una fortuna:
8.000 sterline tra oro e denaro. Più
volte Hooke aveva parlato di
lasciare una generosa donazione
alla Royal Society, che
sicuramente a sua volta avrebbe
dato il suo nome ad una biblioteca,
ad alcuni laboratori e avrebbe
indetto una serie di conferenze
sullo scienziato scomparso… Per
ironia della sorte dal momento che
Hooke non aveva lasciato nessun
testamento scritto, il denaro fu
destinato al parente più prossimo
sulla linea testamentaria: la
cugina analfabeta Elizabeth
Stephens.
Alla figura di Hooke sono state
associate tante dicerie e malignità
gratuite dettate dall’invidia e dalla
voglia di visibilità dei suoi rivali.
Un primo colpo abbastanza forte
fu la controversia con Henry
Oldenburg sulla fuga di notizie
circa il suo brevetto su di un
congegno per l’orologeria
chiamato scappamento e
sviluppato in seno alla Royal
Society. Di pari portata poi deve
essere stata la disputa con Isaac
Newton per il riconoscimento del
lavoro sulla gravitazione. Anche
dopo la morte di Hooke, Newton
avvalendosi della sua posizione
prominente di presidente della
Royal Society, ha infangato la
reputazione dello scienziato
scomparso arrivando persino a far
distruggere il suo unico ritratto. I
suoi detrattori malignarono sul
fatto che per le mani di Hooke, in
quanto curatore di esperimenti per
la Royal Society, siano passate
centinaia di idee inviate alla
Società da scienziati seri e
inventori improvvisati; d’altro
canto è altrettanto vero che Hooke
era una persona super impegnata
e che non aveva neanche il tempo
di trasformare in brevetto le
proprie idee, figuriamoci quelle
degli altri.
Sembra poi esserci quasi un nesso
tra Newton e il primo biografo di
Hooke, Richard Waller; lo scrittore,
in più occasioni, descrive Hooke
come una persona sgradevole, un
misantropo malinconico,
diffidente e invidioso. Commenti
questi che influenzeranno
negativamente per oltre due secoli
gli storiografi
Un minimo di giustizia a questo
personaggio la rende la
pubblicazione de “The Diary of
Robert Hooke, M.A., M.D., F.R.S.,
1672–1680” ad opera di H. W.
Robinson e di Adams. W. del 1935,
in cui finalmente emerge un pezzo
di vita quotidiana di Hooke come
quando per esempio entra in
contatto con noti artigiani
dell’epoca (come Thomas Tompion,
l'orologiaio e Christopher Cock un
costruttore di strumenti) per
realizzare attrezzature per i suoi
esperimenti. Il diario di Hooke,
inoltre, fa spesso riferimento a
caffetterie e taverne in cui egli
s’incontrava con Robert Boyle,
Christopher Wren, John Aubrey,
Harry Hunt, persone con cui ha
condiviso molti interessi e con cui
ha avuto una duratura amicizia.
A questo punto tocca alla
storiografia contemporanea fare
nuove ricerche su Hooke, a partire
dal luogo della sua sepoltura, e
tentare di restituire quanto dovuto
a questo affascinante personaggio
storico.
In quanto a noi ci diamo
appuntamento nella seconda parte
di questo articolo per approfondire
la teoria sull’elasticità.
Continua...
2626
C
redo che un approccio
corretto all’analisi di un
personaggio tanto
complesso e
multimediale deve
necessariamente prescindere
dalla ricerca di una poetica
compositiva fondamentale,
unitaria: sarebbe un errore
macroscopico cercare questa
portante in Munari, dal momento
che la sua formatività è stata
generosamente riversata in
discipline molto diverse fra di
loro e che il suo percorso
professionale è stato
costantemente condizionato dalla
curiosità per tutto ciò che era
innovazione tecnologica e
tormentato da una sete d’arte che
è finita solo con la sua
scomparsa.
Sicuramente il punto di partenza
di questo percorso è stato il
futurismo, ma il futurismo di
Munari era sentitamente e
rigorosamente tale? L’adesione di
Munari al Movimento Futurista
non è piuttosto ludica che
sentitamente ideologica! Il
futurismo “munariano” infatti
sembra essere più una via di
mezzo tra una palestra e un
laboratorio, quasi un luogo
dell’anima in cui le cognizioni di
disegno meccanico, apprese per
lavoro, si fondono con quelle del
disegno artistico e della pittura,
appresi per puro diletto, e in cui
giocare con geometrie, caratteri,
colori alla ricerca di uno stile
nuovo, unico e personale. C’è poi
da chiedersi con quale Munari si
stia avendo a che fare mentre si
osserva la sua “Macchina Aerea”,
del 1930, o le Macchine Inutili
realizzate successivamente con
lo stesso sentire... Le parole sono
importanti: quando un artista
utilizza un aggettivo come
“Inutili”, riferendolo alla parola
“Macchine”, si può ancora
definire “Futurista”? Sicuramente
è un momento di rottura col
futurismo e potrebbe apparire
addirittura un gesto dadaistico (la
giocosità del NULLA) se non fosse
sorretto da un forte messaggio
costruttivo:
«Ma più che altro io penso che
quello da considerare sia il
passaggio di una forma, che ha
delle dimensioni, attraverso una
metamorfosi, come fluida, per
diventare un’altra, allora non si ha
più una forma definita ma un
momento di passaggio da una
forma ad un’altra, e questo è
soltanto riconoscibile attraverso
il movimento». (*)
Una dichiarazione questa che
potrebbe apparire per un
momento quasi come la poetica
Alla ricerca delle poetiche di Munari
II ed ultima puntata
di Salvio Giglio
Un artista “normale” ha una sua poetica specifica, al massimo due… In Bruno Munari no! È inutile cercare in
Munari un denominatore comune capace di risolvervi la vostra ricerca di storia dell’arte in dieci minuti, magari da
Wikipedia! Se siete alle prese col maestro vi tocca rimboccarvi le maniche e sudare le famose 7 camicie: avrete
a che fare con una galassia di materiale, perché questa è la produzione di Munari. La sua anima ha narrato in
forme molto diverse fatti, materie, tempi e uomini e questo impiegando LINGUAGGI sicuramente NON
CONVENZIONALI...
2727
stessa di Munari, sempre a patto
che egli fosse stato un artista
“normale”. Tracce di questa sua
visione di arte in movimento sono
riscontrabili, in un modo o in un
altro, nella quasi totalità della sua
produzione anche se ogni suo
lavoro è realmente un capitolo a sé
stante.
Una sicura invariante
compositiva, che accomuna tutti i
lavori di Munari, è l’attenta e
minuziosa analisi morfologica e
temporale di ciascun oggetto
rappresentato: gli elementi delle
sue composizioni vengono
inquadrati nel momento della loro
transizione, da una forma all’altra,
conservando in qualche modo nel
movimento la loro fisicità.
Nel giovane Munari la sua ricerca
artistica, anche se appena
cominciata, è già pregna della
modernità del suo tempo. Munari
comincia a raccontare il suo
tempo con ironia e leggerezza
attraverso opere che si rivelano
una sintesi raffinatissima di arte e
conoscenza tecnologica, come
l’installazione Concavo-convesso
del 1947.
Su questa direzione, nel 1948,
fonda il Movimento Arte Concreta
insieme ad altre tre anime belle di
quel periodo: Gillo Dorfles, Gianni
Monnet e Atanasio Soldati. Il MAC
rappresenta il trionfo del concetto
di multimedialità per Munari: il
Movimento rispondeva alle
istanze dell’astrattismo italiano
proponendo nuovi strumenti di
comunicazione da affiancare alla
pittura tradizionale ed era in grado
di dimostrare al mondo dell’arte, e
a quello dell’imprenditoria, che
una fusione tra arte e tecnica era
realmente praticabile.
Negli anni ‘50 nel nostro Paese si
attua una vera, profonda, radicale
rivoluzione: si trasforma
l’economia, cambia la società e, di
conseguenza, i comportamenti e i
modelli di vita degli italiani;
Milano è il lŏcus ove tutto ciò si
realizza prima che altrove e,
proprio qui, Munari incarna la
figura dell’Art Director, che
diventa sempre di più supporto
vitale per il commercio e
l’industria. Sempre a Milano, nel
1950, inventa la pittura proiettata
impiegando composizioni astratte
custodite tra i vetrini da
diapositiva mentre nel 1952
scompone la luce avvalendosi di
un filtro Polaroid e realizza così la
pittura polarizzata. Sempre nello
stesso anno, Munari scrive il
Manifesto del macchinismo, un
testo pieno d’ironia in cui l’uomo
si prende cura delle macchine,
quasi fossero animali domestici,
fino a diventarne del tutto schiavo.
In questa suggestiva visione
Munari vede gli artisti come i
salvatori del genere umano che,
dopo aver rinunziato al loro ruolo
da protagonisti e abbandonati tela,
colori e scalpello, cominciano a
lavorare collettivamente
realizzando opere d’arte attraverso
progetti ben definiti, “distraendo”
le macchine dal loro lavoro
razionale e facendole diventare
così "inutili". Da queste idee nasce
un movimento artistico che trova
la sua ufficializzazione in
un’esposizione, tenutasi nel 1962
presso la sede Olivetti di Milano,
in cui viene proposta la rassegna
"Arte programmata". È proprio per
quest’occasione che Bruno
Munari, insieme a Giorgio Soavi,
conia il termine che darà il nome
al movimento. L’Arte
programmata trova fondamento in
quella corrente artistica nata negli
anni ’20 del Novecento, chiamata
Arte cinetica, che teorizzava
l’introduzione di particolari di
un’installazione artistica dotati di
movimento o che riuscissero ad
esprimerlo, pur nella loro assoluta
staticità, attraverso effetti visivi e/
o deformazioni plastiche.
Contaminazioni di arte cinematica
le troviamo anche nel Futurismo:
penso inevitabilmente ad Umberto
Boccioni e alla sua scultura
“Forme uniche della continuità
nello spazio”, una vera icona del
movimento futurista esposta al
MoMA di New York. Ecco perché
resto convinto che, se da un verso,
Munari abbia in parte
scherzosamente contestato il
futurismo proprio perché era una
corrente artistica troppo legata al
mondo delle macchine, dall’altro
abbia mutuato da esso la
concezione della tecnica e del
dinamismo. Il lettore non
dimentichi che la propagazione di
quest’ultimo concetto,
celebrazione artistica inconscia
del Relativismo di Einstein, si
tramutò in una serie di felici
realizzazioni artistiche. Condusse
Munari all’Arte programmata.
Favorì lo sviluppo dell’Optical Art,
approfondendo l'esame
dell'illusione ottica
bidimensionale, con i primi
esperimenti cinetici realizzati
dagli artisti Richard Anuszkiewicz,
Bridget Riley, Julio Le Parc e
Victor Vasarely, nei cui lavori
l'artificio ottico è sagacemente
studiato in ogni minimo dettaglio.
Guidò Jean Tinguely alle sculture
cinetiche, Alexander Calder alle
installazioni mobili, Gianni
Colombo alle prospettive mobili
Getulio Alviani alle "superfici a
testura vibratile" e l’elenco
potrebbe continuare.
Denominatore comune di tutte
queste manifestazioni artistiche è
il rapporto attivo che si innesca fra
spettatore e opera d’arte: essa
diventa in qualche modo “viva”,
cangiante, capace di modificarsi
autonomamente o al variare del
punto di vista di chi la osserva.
Munari e la scrittura
Se la smaterializzazione
dell’oggetto artistico è stato il
tema dominate della produzione
visuale del maestro, molto
concreta invece sembra essere la
sua scrittura. Nella scrittura di
Munari convivono talvolta
simultaneamente almeno tre
anime: quella dello scrittore, quella
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dell’illustratore e quella del
grafico editoriale; la coscienza
derivante dalla fusione di questi
distinti punti di vista suggerisce,
per pratica intellettuale e
professionale, la definizione
stessa di libro:
«è un oggetto che delimita un
blocco di spazio. Per attraversare
questo spazio occorre sfogliare le
pagine dalla prima, che sta dietro
la copertina, fino all'ultima. Ci si
mette un certo tempo ed è come
una passeggiata nella neve. Per
entrare in questo spazio bisogna
aprire la copertina, che è come
una porta che permette
l'attraversamento del libro.». (*)
Se il libro è un blocco di spazio
significante, al contenuto
significato ci pensa Munari
seguendo, di volta in volta, un
filone poetico specifico: quello dei
libri per ragazzi, quello dei libri
illeggibili, quello della saggistica
artistica, quello della
manualistica dedicata alla prima
infanzia, quello della grafica
editoriale, ecc. Munari ha scritto
130 libri: 130 piccole deliziose
opere d’arte di cui ha curato
dettagliatamente scrittura e
contenuto visuale estendendo il
concetto di multimedialità ad un
oggetto universalizzato e
storicizzato qual è il libro. Più
segnatamente l’idea di Munari
per questo eccezionale ed
insostituibile contenitore di
messaggi è che esso deve poter
comunicare:
«per forme e colori, per sequenze,
per materie (alcune pagine
semitrasparenti possono dare
l'idea della nebbia, oppure pagine
lisce e pagine ruvide, oppure
molli e rigide...). È un libro di
comunicazione plurisensoriale,
oltre che visiva.». (*)
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
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
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1, disegno di macchina inutile, 1937 pubblicata su Arte come mestiere, Laterza. 2, disegno per macchina inutile realizzata in le-
gno dipinto, 1939 pubblicato sul volume di A. Tanchis Bruno Munari, Idea Books, p.37. 3, macchina inutile 1945–
1995, particolare. 4, schema progettuale con misure della macchina inutile del 1937 pubblicato sul libro Arte come mestiere,
Laterza. 5, macchina inutile, 1934 collezione Galleria d'arte moderna, Roma. 6, macchina inutile 1934 ottenuta da una zucca
2929
3030
3131
Progettare una CASA
In questa seconda fase si produce la documentazione necessaria per ottenere il rilascio dell’atto autorizzativo.
Per ‘rilascio‘, si intende sia l’effettivo ottenimento di un ‘permesso‘, come il Permesso di Costruire, sia la
presentazione di una denuncia/segnalazione, alle quali non segue il rilascio di alcun provvedimento. Il progetto
realizzato in questa fase è indicativo, infatti si chiama Progetto di massima.
Progetto: documentazione di base
Compilazione del modello per la
domanda/segnalazione
dell’intervento edilizio; disegno e
stampa degli elaborati grafici
contenenti gli elementi previsti
dal Regolamento Edilizio, e della
relazione tecnico descrittiva
dell’intervento. Barriere
architettoniche: elaborati grafici;
relazione descrittiva;
dichiarazione asseverata.
Impianto fognario: progetto
impianto e parere dell’ufficio/ente
preposto. ISTAT: compilazione del
modello statistico. Rilievo
fotografico. Ottenere parere
igienico sanitario A.S.L. o allegare
autodichiarazione. Compilazione
e firma di numerose dichiarazioni
di esclusione da particolari
adempimenti.
Sicurezza: il D.U.R.C.
Presa in consegna di: Documento
Unico Regolarità Contributiva
(D.U.R.C.), dichiarazione
dell’organico medio annuo, della
visura camerale, della
dichiarazione del committente di
aver verificato l’idoneità e la
regolarità dell’impresa esecutrice.
Questi documenti sono
obbligatori anche per piccoli
interventi dove non sia
obbligatoria la nomina del
Coordinatore per la Sicurezza, e
non siano quindi obbligatori il
P.S.C e la Notifica Preliminare. È
quindi obbligatorio produrli
anche se interviene un’unica
impresa. Se mancano questi
allegati, l’Amministrazione rifiuta
la pratica, o ne sospende
l’efficacia. Le imprese non
possono essere irregolari!
Sicurezza: lavori in quota
La Regione Veneto, con Delibera
di Giunta Regionale n. 2774 del 22
settembre 2009, ha introdotto
l’obbligo delle ‘Misure preventive
e protettive da predisporre negli
edifici per l’accesso, il transito, e
l’esecuzione dei lavori di
manutenzione in quota, in
condizioni di sicurezza‘. La
disposizione è stata poi
aggiornata con la Delibera della
Giunta Regionale n. 97 del 31
gennaio 2012. È in sostanza il
progetto di sistemi fissi, ai quali
gli operai si agganceranno
durante le manutenzioni future.
La disposizione si applica nelle
nuove costruzioni, o nelle
ristrutturazioni che prevedono il
rifacimento completo del tetto.
Pareri complementari
Pratica per l’ottenimento del
parere (favorevole) di uno o più
Enti/Settori competenti:
soprintendenza Beni Culturali e/o
Ambientali; enti Parco;
infrastrutture quali Ferrovie/
Autostrade/Anas; zone particolari
di tutela; igiene edilizia; eccetera.
Ognuno di questi pareri è una
pratica a se stante, con un proprio
costo relativo. Tali pareri devono
essere prodotti prima del rilascio
del Permesso di Costruire, o
allegati subito alle D.I.A.-S.C.I.A..
Raramente possono essere
necessari più di uno o due di tali
pareri, per lo stesso intervento
edilizio; si indicano quindi
frequenza e incidenza costi,
riferiti mediamente a una singola
pratica.
Continua
II puntata
di Antonio Martini
“Fase 2: l’atto autorizzativo”“Fase 2: l’atto autorizzativo”“Fase 2: l’atto autorizzativo”
3232
3333
Dati geografici e vita quotidiana
La geomatica è una disciplina nuova risalente ai primi anni ’80 dello scorso secolo. Le sue implicazioni operative sono
tantissime: dai navigatori satellitari alle stazioni STM, dalla guida dei droni alla consegna delle merci, dagli smartphone
alle app per visitare un museo semplicemente passandoci accanto. Nella progettazione poi i suoi campi di applicazione
permettono di valutare una serie di parametri che vanno dal soleggiamento all’impatto ambientale… Ed è solo l’inizio!
S
ono passati giusto sei
lustri, lo scorso 30 aprile,
da quando il nostro
Paese fece click e si
collegò per la prima volta a quella
che poi sarebbe diventata la più
importante, imponente e
complessa dorsale di
comunicazioni planetaria della
storia: internet. All’epoca pochi
immaginavano che questa novità
avrebbe favorito, in un tempo
brevissimo per la storia, la
diffusione dell’informatica e di
dispositivi digitali di varia
tipologia, tra le cui
specializzazioni troviamo anche
l’interazione immediata col
territorio attraverso l’elaborazione di
Informazioni Geografiche, o IG. Le
IG sono l’insieme di dati digitali
relativi ad una porzione di
territorio che consentono di
ottenere istantaneamente delle
informazioni su di esso attraverso
la rete e/o software specifici.
Questa tipologia di dati si avvale
del concetto di georeferenziazione,
cioè l'attribuzione a un dato di
un'informazione relativa alla sua
dislocazione geografica; tale
posizione è espressa attraverso
un particolare sistema geodetico
di riferimento. Un esempio di
impiego di IG può essere quello
classico di un nostro vecchio
amico che ha cambiato casa da
poco e che ci invita a pranzare da
lui. Tra una parola e l’altra ci
lascia il suo nuovo indirizzo,
senza darci però troppi dettagli su
come raggiungerlo nel nuovo
quartiere in cui si è trasferito. E
che problema c’è?! Andiamo su
Google, scriviamo il suo indirizzo
nella casella di ricerca e, pochi
secondi dopo, ecco comparire in
cima alla lista della pagina dei
risultati una miniatura della
mappa con l’indirizzo che
stavamo cercando indicato dal
segnaposto rosso… Non finisce
qui! Da Google Maps poi,
possiamo anche ottenere
informazioni estremamente
dettagliate sul tragitto da fare,
semplicemente indicando il
punto di partenza (casa nostra) e
quello di destinazione finale (casa
del nostro amico): la piattaforma
ci indicherà prontamente il
percorso più breve da seguire sia
che preferiamo spostarci a piedi,
in auto o con i mezzi pubblici. A
questo si aggiunga la possibilità
visitare virtualmente, con delle
elaborazioni fotorealistiche,
I puntata
di Salvio Giglio
3434
l’intero percorso in modalità Street
View, comodamente seduti dietro
al nostro PC.
Questo è solo un piccolo esempio
di impiego di dati georeferenziati
scaturiti dalla meravigliosa
fusione avvenuta da qualche
decennio a questa parte tra
geografia ed informatica. Non
parliamo poi, solo per il momento,
degli sviluppi che questa fusione
ha portato nel mondo della
progettazione, dei trasporti,
dell’analisi sociale e geopolitica:
sulla rete tutto ciò è già una
piacevole realtà, in termini di
portali ed applicazioni, da far
“girare” su qualsiasi tipo di
dispositivo compatibile. Il motivo
di questo successo delle IG è da
rintracciare principalmente in due
fattori che si accompagnano ad
esse:
 la semplificazione decisionale
nei processi di pianificazione
ed analisi legati al territorio;
 il loro grande potenziale
economico.
Per quest’ultimo punto potete
gettare un occhio sulla Direttiva
Europea sul Riuso dell'Informazione
del Settore Pubblico (PSI). Purtroppo
però, a prescindere dall’innata
curiosità suscitata dallo sviluppo
della geografia digitale, nel
Vecchio Continente questa
materia non è ancora del tutto
disciplinata.
Cosa blocca lo sviluppo dell’IG?
Sorprendentemente, nonostante
siano oramai più che noti gli
innumerevoli benefici derivanti
dall’impiego dell’IG e il ruolo
strategico assunto da essa in
tantissimi ambiti professionali,
Italia ed Europa non riescono
ancora a superare due gravi
handicap che ne rallentano la
diffusione:
 il formato e la struttura dei
dati non sono ancora del tutto
standardizzati e condivisi
comunitariamente;
 la mancanza di un’omogenea
identità culturale ed istituzionale
comunitaria determina, anche in
questo caso, una frammentazione
nella produzione e gestione dei
dati territoriali.
Tutto ciò è causato, per quanto
possa sembrare paradossale, dagli
svariati Enti (generalmente
pubblici) che amministrano i dati
territoriali: sono i primi
responsabili del blocco alla
condivisione e all’accesso delle IG.
L’utente finale si trova così
innanzi ad una situazione
notevolmente confusa:
 La creazione e distribuzione
dei dati ad opera di più soggetti
determinano difficoltà di
condivisione,riusoed integrazione.
 Formati ed applicazioni in
continuo aumento.
 La mancanza di un accesso
sistematico e indicizzato alle
risorse di dati causa
frequentemente doppioni che
aumentano notevolmente il caos.
Il modo migliore per districarsi in
questo marasma generale è
sicuramente quello di conseguire
autonomamente delle conoscenze
sulle varie modalità di
Mamma mia! A me serve
solo una cartina stradale!
Che CAOS!
3535
acquisizione di dati geografici e
scegliere il sistema che con
maggiore facilità ci permetta di
impiegarli per i nostri studi, il
nostro lavoro o i nostri hobby!
Detto questo occupiamoci adesso
della disciplina che ha per
argomento l’elaborazione digitale
degli elementi geografici: la
Geomatica.
Una definizione di Geomatica
E’ il geometra franco-canadese
Michel Paradis ad aver coniato nel
1981 il termine scientifico
geomatica, in un articolo
pubblicato su The Canadian
Surveyor, in cui spiega che: “alla
fine del XX secolo, la necessità di
ottenere informazioni geografiche
raggiungerà una portata senza
precedenti nella storia. Proprio per
rispondere a queste esigenze, si è
reso necessario integrare in una
nuova disciplina sia le materie
tradizionali della topografia e del
territorio con nuovi strumenti e
tecniche di cattura,
manipolazione, stoccaggio e
diffusione dei dati geografici”.
Dall’articolo di Paradis si ricava
quindi che geomatica è:
“l'insieme delle tecniche e degli
strumenti di rilevamento ed
elaborazione che permettono di
trattare i dati e l'informazione di
tipo geografico per via
informatica.”.
Nella prima parte della nostra
definizione sono citate
indirettamente le branche
principali della geomatica:
 Analisi spaziale/ Spatial
Analysis
 CartografiaWeb/Web Mapping
 Fotogrammetria/ Photogramm
etry
 Geodesia/ Geodesy
 GIS
 Sistemi globali di navigazione
satellitare/ Global Navigation
Satellite Systems
 Telerilevamento/ Remote
Sensing
Topografia/Topography
Sono proprio queste, infatti, a
costituire i principali strumenti
per la produzione, la
manipolazione e lo sfruttamento
di dati geografici. Di ciascuna di
esse tratteremo, più o meno
diffusamente, in questa serie di
articoli il cui intento è quello di
presentare a voi lettori i rudimenti
e le potenzialità associate a questa
nuova disciplina, già strettamente
relazionata con il CAD e la
modellazione 3D. Attraverso una
serie di tutorial vi spiegheremo
anche il modo più semplice per
farvi produrre velocemente mappe
professionali in 2 e 3D… Quindi:
stay tuned with us!
Continua...
A sinistra, Michel Paradis in una foto del 1995; a destra, una copia di Geomatica, il magazine del Canadian Institute of Geo-
matics
3636
3737
Simulazione computazionale del cuore: un nuovo
strumento per salvare vite umane
Natalia Alexandrova Trayanova, ricercatrice presso il Johns Hopkins Institute for Computational
Medicine e direttrice del Dr. Trayanova’s Computational Cardiology Lab, riesce a costruire con il suo
team un modello computerizzato del cuore umano, personalizzato per ogni individuo, che i medici possono
utilizzare per studiarne le patologie e per simularne la risposta ai trattamenti terapeutici.
N
egli ultimi dieci anni
g l i i n g e g n e r i
biomedici hanno
imparato ad utilizzare
modelli numerici per realizzare
“organi virtuali” sempre più
sofisticati, e rapidi sviluppi in
ambito di simulazione cardiaca
hanno fatto del cuore virtuale, ad
oggi, il modello più completo di
tutti. È una replica complessa, in
quanto deve simulare il
funzionamento del cuore dalla
scala molecolare, alla scala
cellulare, fino al livello di tutto
l’organo e del tessuto muscolare
dove si espande e si contrae ad
ogni battito cardiaco. È
necessaria, inoltre, una stretta
integrazione tra tutti questi livelli
per descrivere con precisione le
interazioni di feedback costanti
che governano le funzioni del
cuore. I ricercatori del Dr.
Trayanova’s Computational
Cardiology Lab, alla Johns
Hopkins University, fanno proprio
questo: realizzano modelli per
simulare il comportamento del
cuore di singoli pazienti,
fornendo supporto ai cardiologi
nell’attuare trattamenti salva-
vita. Tali modelli hanno già
dimostrato il loro valore per la
ricerca di base in ambito
cardiologico, permettendo agli
scienziati di studiare ciò che
accade sia nei cuori sani che in
quelli affetti da diverse patologie.
I cuori virtuali sono ora pronti a
rivoluzionare i trattamenti sui
pazienti: grazie ad essi
i cardiologi potranno migliorare
le terapie, ridurre al minimo
l’invasività delle procedure
diagnostiche e inaugurare un
nuovo tipo di assistenza sanitaria
personalizzata con costi ridotti e
risultati sorprendenti. A partire
da una semplice risonanza
magnetica, infatti, gli specialisti
in cardiologia computazionale
oggi possono costruire un
modello del cuore personalizzato,
con cui i cardiologi possono
i n t e r a g i r e , s e r v e n d o s i
di stimolazioni virtuali per
potern studiarne le risposte ed i
relativi disturbi: un’operazione
assolutamente impensabile da
eseguire alla leggera su un cuore
reale!
Ruolo dei modelli nel supporto
alle decisioni
Attualmente i cardiologi
stabiliscono se procedere o meno
di Francesca Albano
“Un poeta può sostene-
re che il cuore di ogni essere
umano sia un mistero unico:
chi lavora nel nuovo campo
della medicina computazio-
nale, tuttavia, riesce
a modellare ognuno di quei
cuori unici con mirabile pre-
cisione e a rivelare i loro se-
greti. “ Natalia Trayanova
3838
Francesca Albano
Studentessa di Ingegneria Biomedica
presso il Politecnico di Torino.
Nutre una forte passione per la tecnolo-
gia, non solo in campo medico.
Notizie
sull’ autore
Due video in cui la Trayanova espone la sua visione sulle potenzialità della simulazione computazionale e sulla rappresenta-
zione di funzioni e disfunzioni nel modello cardiaco.
Nel dettaglio, in alto a destra, una risonanza magnetica del cuore di un paziente; in basso a sinistra un modello di tessuto
cicatriziale che determina l’andamento elettrico dei segnali che transitano attraverso il cuore
3939
con un intervento al cuore
(trapianto o impianto di
p a c e m a k e r ) b a s a n d o s i
sulla frazione di eiezione del
paziente: se risulta inferiore al
35%, i medici consigliano al
paziente di sottoporsi
all’intervento. Sono molti gli
interventi predisposti sulla base
di questo criterio, ma già nel
primo anno dopo l’intervento, il
5% dei pazienti mostra una
tendenza a sviluppare aritmie
ventricolari. È evidente, da un
lato, che molti pazienti rischiano
complicanze chirurgiche
(infezioni, guasti dei dispositivi)
i n u t i l m e n t e , p e r c h é
p r o b a b i l m e n t e n o n
rappresentano la soluzione
ottimale per il loro cuore. I
pacemaker impiantati e i
relativi elettrodi che monitorano
il cuore, infatti, possono
presentare malfunzionamenti: si
corre il rischio che si
inneschino shock pericolosi,
perché ricevere una scossa del
genere è come ricevere calci al
petto da un cavallo, e i pazienti a
volte perdono conoscenza, il che
potrebbe rivelarsi mortale, ad
esempio, se sono alla guida.
È importante, dall’altro lato,
notare che la frazione di eiezione
non è in generale un buon
indicatore per il rischio di
aritmie: continuano a verificarsi,
infatti, molti casi di pazienti che,
sebbene abbiano frazioni di
eiezione abbastanza elevate e non
soddisfino dunque i criteri attuali
per la predisposizione di un
intervento, muoiono per arresto
cardiaco improvviso, spesso nel
pieno della loro vita.
Realizzazione di un modello di
cuore virtuale
Per essere clinicamente utile, il
modello deve rappresentare
l’anatomia unica dell’individuo. Si
parte perciò dalla risonanza
magnetica del paziente (MRI) o
dalla tomografia computerizzata
(TC), da cui si ottengono immagini
che rappresentano “fette” di
cuore. Si usano tecniche di
elaborazione delle immagini per
identificare il tessuto muscolare
nelle pareti delle camere del
cuore e per mappare il tessuto
cicatriziale della regione di cuore
danneggiata. Si prosegue
utilizzando queste informazioni
per costruire un modello
geometrico e infine ci si serve
delle immagini ottenute per
stimare l’orientamento delle fibre
muscolari, che determinano come
i segnali elettrici si propagano
attraverso il tessuto. Una volta
ottenuta la struttura geometrica
specifica del paziente, si
sovrappone ad essa un modello
computazionale di un cuore
generico per identificarne il
funzionamento interno. Bisogna
rappresentare l’attività a livello
cellulare e molecolare, in cui gli
scambi ionici attraverso le
membrane delle cellule cardiache
innescano le contrazioni e le
correnti fluiscono da cellula a
cellula. Il risultato è un modello di
cuore personalizzato che può
essere paragonato a Google Earth:
Simulazioni di segnale elettrico che può causare un arresto cardiaco
4040
“Pensare ad esso come “Google
Heart” ci permette di aumentare e
diminuire il livello di dettaglio,
così da poter esaminare gli
aspetti fisiologici anche a livello
di tutto l’organo”, sostiene la
dottoressa Trayanova.
Ulteriori applicazioni
Questo modello di cuore virtuale
può essere utilizzato anche per
a l t r e a p p l i c a z i o n i i n
ambito cardiologico. La
Trayanova ed il suo team, infatti,
stanno testando la prima
applicazione clinica dei loro
modelli in pazienti che hanno
sviluppato una forma di
tachicardia ventricolare che può
risultare molto pericolosa.
L’intenzione è quella di
c o s t r u ir e u n m o d e l l o
tridimensionale del cuore con il
quale poter esaminare le
“stranezze” strutturali e le aree
specifiche di tessuto morto che
causano le interferenze elettriche,
ed eseguire quindi alcuni test sul
modello ottenuto, per analizzare
tutte le possibili aritmie che
potrebbero svilupparsi nel cuore,
e per individuare così il tessuto
responsabile degli impulsi
elettrici difettosi. Dopodiché il
medico, grazie ai risultati ottenuti
dai test e dalla simulazione,
sarebbe in grado di distruggere la
minima quantità di tessuto
necessaria per eliminare il
problema. Questo metodo
permetterebbe sicuramente di
abbreviare in modo significativo
le varie procedure che i medici
devono eseguire e di ridurre
e s p o n e n z i a l m e n t e l e
complicanze, ottenendo così un
aumento del tasso di successo in
questa tipologia di interventi.
Risultati dell’impiego di modelli
di cuori virtuali
Il primo studio retrospettivo alla
Johns Hopkins è stato
promettente: sono stati realizzati
modelli di cuore per circa 40
pazienti che avevano subito
attacchi cardiaci e che si erano
sottoposti ad un intervento
chirurgico per impiantare un
pacemaker. Attraverso le
simulazioni dei cuori virtuali, si
è previsto che, nei 5 anni
successivi all’intervento, l’85% dei
pazienti avrebbe sviluppato
aritmie, mentre la percentuale
prevista dal metodo basato
sulla frazione di eiezione era pari
solo al 51%: il follow-up di questo
gruppo di pazienti alla fine ha
dato ragione alle prime
previsioni. Per convalidare
definitivamente questo metodo ed
ottenere il via libera per l’utilizzo
in ambito clinico, il team della
T r a y a n o v a s t a o r a
realizzando cuori virtuali
personalizzati per pazienti che
hanno subito un attacco cardiaco
dopo l’intervento e che
presentano una frazione di
eiezione maggiore del 35%,
dunque non esposti a gravi rischi
di aritmie secondo il metodo di
previsione standard. Le
raccomandazioni cliniche per
questi pazienti sono davvero
molto scarse, ma il team è in
grado di gestire le simulazioni ed
effettuare previsioni.
Tessuto cicatriziale del cuore Modello 3D raffigurante anatomia del cuore Orientamento delle fibre muscolari
Questo articolo è originariamente apparso in stampa come “Your Personal Virtual Heart”
Photos: Johns Hopkins University/Heart Rhythm
4141
4242
4343
Il percorso per “diventare architetti” è un’esperienza assolutamente soggettiva: è paragonabile ad un complesso
mosaico composto da centinaia e centinaia di tessere prodotte dal vissuto specifico dell’aspirante autore. Il
“mestiere” d’architetto è quindi un’attività in continuo divenire che, più di altre, necessita della vita stessa dei suoi
artefici dal momento che frutto della sua produzione è proprio la sedimentazione di esperienze “immediate” e
“irriflesse” che riguardano la loro stessa, indistinta, corporea oggettività e tutto ciò che, di “esterno”, ruota intorno ad
esse. In definitiva, proprio per questo motivo, ogni progetto finisce col rappresentare ed esprimere sempre, ed in
ogni caso, la coscienza tutta dei suoi autori, “pulita” o “sporca” che essa sia.
Simone Paganelli
I
n cerca di tue info per
preparare quest'intervista mi
imbatto, sul tuo blog "Prima
della pioggia: collezione di
opere di Simone P.", in questa tua
criptica affermazione: "Sono un
sopravvissuto e, come tutti i
sopravvissuti, non voglio
raccontare la mia storia.".
Ok, sorvoliamo sulla tua storia!,
ma almeno ci parli della tua
passione per il disegno e la
progettazione? Quando hai deciso
che la matita sarebbe diventata
un'ulteriore modalità con cui
raccontare esperienze del vissuto
quotidiano?
In realtà quella è una vecchia
pagina che non curo più. Mea
Culpa. Prendendo in prestito la
formula di Camilleri “mi sono
fatto persuaso” che in questi
tempi saturi di personalismi e di
dominio dell’io-io-io non sia
indispensabile unirsi al coro dei
presenzialisti col proprio
esercizio di autopromozione. Ché
spesso è un esercizio vacuo. Si è
detto, ad esempio, che
l’architettura di Mies Van Der
Rohe “parla da sola”: è un bel
concetto che si può allargare a
tutte le forme d’arte. E in
definitiva ho sviluppato un
approccio schivo che cozza un po’
coi tempi che corrono, d’altra
parte il mio cineasta preferito è
Eric Rohmer, non proprio effetti
speciali e supereroi.
Scherzi a parte, provo a
sviluppare un ragionamento.
Credo che l’arte non debba
palesarsi eccessivamente,
bisogna lasciare lo spazio al
fruitore che deve completarla.
Altrimenti avremmo frainteso
molte delle conquiste intellettuali
dell’ultimo secolo. Se si vuole
volare ancora più in alto: è un’idea
di armonia che si può far risalire
alla Grecia classica e l’aveva
compresa bene Lessing che nel
suo Laocoonte esaltava la smorfia
appena accennata dell’eroe, pur
nella tragica disperazione del
momento. Mi pare una metafora
efficace di come l’arte debba
suggerire e non rivelare. Mi piace
che l’arte sia il luogo del dubbio,
non della verità.
Sono uscito un po’ dai confini
della tua domanda, ma mi
premeva affermare un principio
che è anche una dichiarazione di
intenti, più o meno consapevole.
Per quanto riguarda la matita
direi che ci ho fatto amicizia
quando ero molto piccolo, per
colpa di Topolino: volevo disegnare
come Giorgio Cavazzano, che
ovviamenteèungenio di proporzioni
rinascimentali nella mia mente.
di Salvio Giglio
4444
Osservando i tuoi lavori si capisce
che hai una particolare
predilezione e un notevole talento
per il disegno a mano libera… Al
computer come cominci un
progetto? Parti direttamente con i
volumi in 3D o preferisci la
progettazione classica in 2D?
Sorvolo sulle lusinghe. Ho sempre
prediletto il disegno a mano libera
a quello tecnico. Anzi, detestavo le
“squadrette” che ho dovuto
rispolverare all’esame di stato. E a
dire il vero anche lì ho disegnato a
mano libera. Infinitamente più
comodo e funzionale allo scopo
(consiglio per i futuri colleghi, non
perdete tempo con la precisione, la
maturità del candidato salta fuori
anche con uno scarabocchio!).
Più in generale Il disegno a mano
libera e il disegno al computer
possono e devono rimanere spazi
permeabili perché costituiscono
una corrispondenza biunivoca che
può generare incessantemente
idee. Quindi non ho una gerarchia
rigida. L’esperienza dovrebbe
portare poi a gestire una massa di
dati che, proprio grazie alla
tecnologia, è diventata negli anni
sempre più imponente e ad evitare
quella compartimentazione stagna
che diventa una trappola
all’interno di un processo creativo.
In effetti credo che il buon
progettista sia proprio colui che
riesca ad avere visione d’insieme e
capacità di sintesi. Un saggio
demiurgo, si potrebbe dire.
Il 2D, il 3D a mano o al computer
costituiscono un flusso di lavoro
elastico: un disegno può partire
dall’interno verso l’esterno e
viceversa, almeno nel mio
approccio solito.
Quando affermi che: "(...) la mia
pratica è aperta alla
contaminazione tra le diverse
discipline: Architettura, Pittura,
Designeverything, Scrittura...", alla
fine racconti una parte
significativa della tua storia. Sei
alla ricerca di una tua poetica che
faccia da denominatore comune a
tutte queste discipline o cerchi per
ognuna di esse una poetica
specifica che, in una visione
d'insieme, racconti in qualche
modo Simone P.?
Mi rifaccio alla visione
ottocentesca di un’arte totale ma
con l'ego tragicomico e
disintegrato dell'uomo del
Novecento. Con tutta l’ironia del
caso! Trovare le connessioni è, in
astratto, un esercizio connaturato
alla progettazione. E l'architettura,
se si vuole affermare una
definizione generale, è proprio
quell'arte che può contenerle tutte.
In senso letterale, per la sua
natura di involucro, ma anche
formalmente. Un’attitudine
conservatrice non paga in questo
4545
4646
campo, io credo. Ovvero, ben venga
ogni genere di contaminazione: la
sintesi arriverà per sottrazione, se
non altro.
Da quale percorso di studio sei
approdato alla Facoltà
d'Architettura?
Sono passato per il liceo
scientifico Innocenzo XII di Anzio.
E, dopotutto, ho amato la scuola
pubblica e la vivacità intellettuale
di quei 5 anni in cui si sono
alternati moltissimi professori
giovani e appassionati che,
nonostante le loro nomine annuali,
hanno saputo regalare con
generosità i loro saperi e le loro
esperienze umane. Io ero un po’
quello che disegnava tutto il
tempo, come Zerocalcare diciamo.
Architettura poi è stata una scelta
dettata dal fatto che ai miei occhi
risultasse la facoltà con più
armonia tra la natura scientifica e
quella umanistica. Non credo
affatto nella cultura della
specializzazione. E in questo mi
sento molto italiano.
Non si devono formare tecnici ma
menti complesse. In America
probabilmente questa è una specie
di bestemmia: loro sono figli del
fordismo e della divisione del
lavoro. I filosofi siamo noi.
Tra i maestri dell’Architettura che
hai studiato quale tra tutti ha
rapito il tuo cuore e condizionato,
in qualche modo, la tua
progettazione?
Questa è una domanda
complicata. Amo il “modernismo
poetico” di Alvaro Siza, è l’autore
che frequento più spesso, ci torno
come si fa con un caro amico. Ma
tirar fuori un nome solo rasenta
l’impresa: perché c’è
l’essenzialismo di Chipperfield
che ogni volta mi entusiasma; il
brutalismo strutturale e
morfologico di Rem Koolhaas;
l’intransigenza poetica quasi
francescana di Zumthor; la
dodecafonia del primo
decostruttivismo. Poi vorrei dire
che non ho mai amato
l’architettura scultorea di Zaha
Hadid. Ma non la conosco ancora
bene e la sua prematura
scomparsa mi ha colpito. Di fatto
fraintendevo le sue radici,
pensando più al Gabinetto del
dottor Caligari che non ad
un’estetica profondamente legata
all’universo mediorientale.
Continua a non piacermi, ma ne
riconosco la ricerca geniale e
coerente.
A distanza di anni si possono
cogliere elementi incompresi,
l’architettura è un’arte piuttosto
subdola perché apparentemente
silenziosa.
Ultimamente sono molto interessato
allo studio dell’architettura collettiva
sovietica in contrapposizione
all’individualismo capitalista
dell’architettura americana.
Una specie di estetica da Guerra
Fredda declinata all’arte del
costruire. Penso che ci sia ancora
molto da recuperare-studiare-
scrivere. Mi solletica l’idea di un
libro illustrato, ma un tale progetto
potrebbe trasformarsi in una
specie di porta dell’inferno di
Rodin: un’opera infinita.
Quale architetto italiano
contemporaneo stimi di più?
Domanda figlia della precedente e
altrettanto insidiosa.
Adoro le piccole firm(s), come
dicono gli anglofoni, Beniamino
Servino, Lapo Ruffi, Cino Zucchi, la
metafisica di Monestiroli e in
generale rivendico la fecondità di
talenti della nostra terra. Non
siamo il paese per i grandi studi di
progettazione. Per ragioni anche
strutturali. Ma siamo sicuramente
un paese che genera talenti
assoluti. E questo richiederebbe
analisi politiche, economiche e più
in generale culturali.
Mi piace fare l’esempio del
cinema: a differenza degli
americani il nostro cinema non è
mai stato industria. La
consideriamo un’arte in senso più
stretto, o meglio non consideriamo
l’industria come un luogo dove si
può fare arte. Ci manca la cultura
dello standard, purtroppo e per
fortuna insieme. Così da noi più
che altrove sono possibili picchi
assoluti in entrambi i versi:
l’atrocità di certe periferie
contemporanee e l’opera somma,
estemporanea, quasi casuale.
La Laurea oggi sembra essere
diventata quasi una formalità:
“Basta che ti laurei, anche con un
66, va benissimo!”, sei d’accordo?
Per quel che ti riguarda, quali aree
didattiche del tuo C.d.L. ti hanno
lasciato effettivamente qualcosa di
spendibile nella professione?
Non posso parlare di tutte le
facoltà, ma sono fermamente
convinto che per Architettura
questo discorso non potrà mai
essere valido. Progettare implica
una maturità e una complessità
culturale amplificata dalla sua
natura interdisciplinare che
appunto è intrinseca. Il fattore non
è il tempo in assoluto ma il sapere
in sé.
Amici, assemblee, seminari, notti
passate a disegnare, feste e amori:
in base alla tua esperienza
personale, cosa resta in termini
umani del periodo universitario al
di là degli esami?
Appunto, con le tue parole
definisci il concetto stesso di
Universitas che è un processo di
formazione completo e che non si
limita al risultato. Il percorso è il
vero senso, non l’arrivo. Ritengo
questo concetto tutt’altro che
banale e la sua comprensione è
funzione della maturità stessa che
si può acquisire solo con
l’esperienza diretta. Penso ad
esempio ai corsi telematici che
sono un surrogato. Si perde il
4747
4848
meglio, cioè proprio
quell’universalità che è la vera
essenza dell’alta formazione. Poi
per carità, da noi andrebbe forse
rivista la questione turbolenta
delle varie occupazioni, autogestioni,
gruppi pseudopoliticizzati che mi
sembrano più un rito stanco e
sempre più privo di significato.
Ciò non toglie che l'università resti
un luogo privilegiato dove una
mente curiosa può trovare
l'entusiasmo che cerca.
Come è stato il primo impatto con
la professione? Con cosa hai
esordito?
In Italia credo il primo impatto sia
ineluttabilmente traumatico. La
professione è inflazionata e troppo
individualista. Ognuno è geloso
del proprio sapere che è
inevitabilmente limitato. C’è poca
cultura della condivisione e questo
si vede a vari livelli e in vari
ambiti. Ho iniziato (sto iniziando)
con piccole ristrutturazioni di
residenze private che alterno a
vari concorsi per ora
prevalentemente nazionali. Vorrei
costruire una squadra di gente
entusiasta e volenterosa di
chiacchierare di filosofia applicata
all’architettura: il concorso deve
avere una sua componente ludica.
Per tutto il resto c’è il catasto.
Gettando l’occhio ai concorsi
d’architettura, nazionali e non,
quale tipologia progettuale ti
stuzzica di più?
Ho fatto mia una frase di Bob
Borson (autore di un godibilissimo
e fortunato blog,
lifeofanarchitect.com): “there are
no small projects”. Dunque, in una
visione democratica dei temi
d’architettura, sono convinto che
sia utile sporcarsi le mani con le
più svariate tipologie. “From spoon
to city”, per dirla con Rogers. In
generale mi sono confrontato più
con le piazze e i luoghi pubblici di
aggregazione finora, ma mi sforzo
di eliminare tutti i freni inibitori e
provare cose diverse. Un concorso
che mi è sempre piaciuto è
Europan, dedicato agli under 40. Si
progetta su scale urbanistiche. Ne
escono molte idee ambiziose e
buffe. Lo consiglio praticamente a
tutti, anzi chi volesse fare squadra
si faccia avanti, penso di
partecipare quest’anno (credo sia
inizio 2017. C’è tempo), soprattutto
per il gusto di confrontarsi e
discutere all’infinito di massimi
sistemi e utopie.
Milano, Bologna, Firenze, Roma,
Bari, Napoli e Palermo: secondo te
è ancora possibile azzardare per
queste città l’applicazione del
concetto di total quality
management su scala urbana?
Ecco, non lo so. La città è un tema
totale e si deve ancora capire la
città contemporanea. Il concetto
stesso di periferia è relativamente
giovane. E per di più la città
italiana è una città stratificata che
si trova ad affrontare ostacoli
diversi dalla città americana che è
il punto di partenza di
quest’approccio… da certificazione
ISO. Mi perplime l’idea di ridurre la
città ad un’azienda. Il
pragmatismo d’altronde è proprio
della cultura d’oltreoceano. La
nostra è una città metafisica, la
loro è una città per produrre.
Questo non vuol dire che non sia
possibile migliorare le nostre
vetuste e gloriose città, ma
attenzione ad applicare
pedissequamente modelli nati in
altri contesti per foraggiare un
modello puramente consumistico.
Vale il caso per caso di Cesare
Brandi piuttosto, specie nella
vecchia Europa.
Il patrimonio architettonico,
monumentale e paesaggistico
italiano è realmente tutelato? Cosa
ne pensi delle sempre più
frequenti iniziative intraprese
dalle amministrazioni locali di
trasformare svariati monumenti
nazionali in discoteche
estemporanee? Penso agli Uffizi
affittati per una festa privata, al
Castel Sant’Elmo di Napoli che
ospita raves e nottate danzanti con
musica udibile a Km di distanza…
Siamo destinati a diventare la Las
Vegas del vecchio continente?
Qui si sconfina nello studio
sociologico. Che è un parente
dell’architettura in senso ampio.
La museificazione del centro,
l’entertainment, l’effimero. Sono
parametri che si sono aggiunti
arricchendo la naturale complessità
dell’habitat urbano. Visto che citi
Las Vegas mi permetto di
suggerire il sempre stimolante
libro di Robert Venturi: “Imparare
da Las Vegas” scritto nei primi
anni settanta e che si occupa
proprio di questi mutamenti quasi
antropologici con una brillantezza
che è propria dell’autore.
Insomma, non si può prescindere
dalla comprensione profonda delle
mutate condizioni dell’uomo
contemporaneo. E, ripeto, il
modello della città ipercapitalista
non è un prodotto della nostra
cultura anche se ovviamente le
culture sono permeabili e si
influenzano a vicenda in una sorta
di bilanciamento termodinamico-
sociale: magari in America è stato
possibile esaltare l'effimero fino a
farne il paradigma del progresso
(Delirious New York di Koolhaas
parla di questo) da noi il fenomeno
si è mitigato per ora limitandosi ai
grandi shopping mall che
gravitano intorno ai centri. Ma è
un fenomeno tutt'ora evidentemente
in atto e serviranno prospettive
storiche. Certamente quella
architettonica è una delle
discipline invitate al ballo.
Cosa ti fa incazzare di più,
architettonicamente parlando,
mentre sei in giro per la tua città?
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  • 1. 11 Aprile maggio 2016, numero 2, ANNO III Il magazineIl magazine open access gratuitoopen access gratuito di divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & designdi divulgazione sul CAD e su tutto ciò che fa tecnologia, progettazione, grafica & design /11 I concetti di base sulla sbrogliatura di un circuito per la corretta pianificazione produttiva e lo sviluppo in ambiente ECAD Arduino /16 La sorprendente vicenda di Robert Hooke, illustre scienziato britannico del XVII secolo, oscurato alla storia della Scienza da un rivale famoso Robert Hooke /26 Bruno Munari Si conclude la panoramica biografica su di un artista emblematico che ha dominato con gentilezza ed ironia la scena della creatività italiana del secolo scorso
  • 2. 22
  • 3. 33 Un lavoro di pura scienza “Non dobbiamo dimenticare che quando l’elemento radio venne scoperto nessu- no sapeva che si sarebbe rivelato utile negli ospedali. Era un lavoro di pura scienza. E questa è la prova che il lavoro scientifi- co non deve essere considerato dal pun- to di vista della diretta utilità dello stesso. Deve essere svolto per se stesso, per la bellezza della scienza, e poi c’è sempre la probabilità che una scoperta scientifi- ca possa diventare, come il radio, un beneficio per l’umanità.” Marie Curie (1867 - 1934) Premio Nobel per la chimica e la fisica
  • 4. 44 In questo numero...In questo numero... Caporedattore: S. Giglio Redazione: N. Amalfitano, P, Bubici, A. Buccella, N. Nullo, A. Martini, G. Rogo Segretaria di redazione: N. Nullo Curatori editoriali: N. Amalfitano, N. Nullo Scienziato [scien·zià·to] sostantivo maschile Studioso o promotore di una scienza o di una sua particolare disci prestigio acquisita. rubricherubriche PAG. 07 NEWS PAG. 09 EDITORIALE di Salvio Giglio “Da Pubblici Vizi a inaspettate Virtù?” PAG. 11 ARDUINO, ECAD ED ELETTRONICA APPLICATA di Salvio Giglio “Impariamo a sbrogliare un circuito...”, VII PUNTATA, II PARTE PAG. 16 BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTA- ZIONE di Salvio Giglio “Robert Hooke: il Leonardo d’Inghilterra ancora scono- sciuto”, I PUNTATA, I PARTE PAG. 26 DESIGNER’S STORY di Salvio Giglio “Alla ricerca delle poetiche di Munari”, II ed ULTIMA PUNTATA PAG. 31 ELEMENTI DI PROGETTAZIONE EDILE di Antonio Martini “Fase 2: l’atto autoriz- zativo”, II PUNTATA PAG. 33 GEOMATICA di Salvio Giglio “Dati geografici e vita quotidiana” PAG. 37 INGEGNERIA BIOMEDICA OPEN AC- CESS di Francesca Albano “Simulazione computazionale del cuore...” PAG. 43 INTERVISTA di Salvio Giglio “Simone Paganelli” PAG. 53 MUSICA di Nicola Amalfitano “Gli Urlatori” PAG. 57 NEW HARDWARE FOR CAD di Sal- vio Giglio “UAV contemporanei: dal fronte alle applicazioni civili”, V PUNTATA corsi & tutorialscorsi & tutorials PAG. 65 CORSO DI ORIENTAMENTO ALLA BIM di Salvio Giglio “Le fasi della pianificazio- ne esecutiva BIM per professionisti ed imprese”, XIV PUNTATA PAG. 70 CORSO DI BASE PER SKETCHUP di Salvio Giglio “Il menù Strumenti, il Sistema CSG & gli Strumenti solidi”, XVI PUNTATA PAG. 74 TUTORIAL: PRODURRE UN MODE di Antonello Bucc render in SketchU ritocchi finali in P PAG. 76 CORSO DI U “Umap come stru I PUNTATA eventuali & varieeventuali & varie PAG. 78 UMORISMO PAG. 79 GIOCHI La Sbrogliatura di un circuito elettronico è oggetto della rubrica “Arduino, ECAD ed elettronica applicata”. La singolare storia di Robert Hooke è il tema della rubrica "Basi per il disegno e la progettazione". La "Designer’s Story" di questo mese completa l’analisi biografica su Bruno Munari. La rubrica "Elementi di progettazione edile", condotta da A. Martini, ha per oggetto “L’atto autorizzativo” per l’edilizia residenziale. Parte con “Dati geografici e vita quotidiana” un ciclo di puntate dedicate alla “Geomatica”. F. Albano spiega la preziosa realizzazione di un modello computazionale del cuore umano nella rubrica “Ingegneria Biomedica Open Access”. Simone Paganelli, giovane e poliedrico architetto romano, si racconta in una piacevole chiacchierata nell’Intervista di questo mese. N. Amalfitano descrive un momento epico della recente storia della musica italiana parlandoci de “Gli Urlatori”. Si conclude la panoramica storica sugli UAV nella rubrica “New hardware for CAD”. “Le fasi della pianificazione esecutiva BIM per professionisti ed imprese” è il tema del “Corso di orientamento alla BIM”. Nel “Corso di base per SketchUp” si parla de “Il menù Strumenti, il Sistema CSG & gli Strumenti solidi”. Chiudono questo numero la seconda parte del tutorial di A. Buccella sulla renderizzazione di un modello 3D per Google Earth e la prima puntata sul “Corso di Umap” di P. Bubici.
  • 5. 55 Cos’è CADZINECos’è CADZINE È una rivista gratuita nata in seno alla Community di “AutoCAD, Rhino & Sket- chUp designer” per informare & formare disegnatori tecnici e appassionati sul CAD ed i suoi “derivati”. La pubblicitàLa pubblicità Le inserzioni pubblicitarie pre- senti sono gratuite, create e pubblicate a discrezione della redazione. Per contattarciPer contattarci Vuoi segnalarci un argomento? Vuoi suggerirci delle modifiche? Vuoi segnalarci degli errori? Vuoi pubblicare un tuo articolo? Scrivi una mail a: redazionecadzine@gmail.com Vuoi saperne di più suVuoi saperne di più su questo progetto?questo progetto? CADZINE è solo uno dei progetti crossmediali in corso legati alla nostra Community… Visita il nostro sito cadzine.jimdo.com e, se ti garba, collabora con noi mettendo a disposizione di tutti e gratuitamente le tue cono- scenze. Sarai il benvenuto! Grafico editoriale: S. Giglio Editore: Calamèo (Hachette) Web site support: Jimdo.com E’ consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci una copia. Questa pubblicazione è CopyLeft & Open Access iplina, per lo più con riferimento alla posizione di particolare preminenza o : RENDERIZZARE & POST- ELLO PER GOOGLE EARTH cella “Inquadrature di un Up per Google Earth e Photoshop”, II PARTE UMAP di Paolo Bubici mento di lavoro”, Questo discorso si ricollega in qualche modo al pensiero di Marie Curie, di pag. 3, sulla bellezza della Scienza, cioè sulla libertà di cui dovrebbe godere qualunque ricercatore scientifico rispetto all’oggetto delle sue ricerche, che dovrebbero restare sempre e comunque dei lavori di pura scienza. Ed è stato un lavoro di pura scienza l’intera attività di Robert Hooke, che rapito da tanta bellezza, è riuscito a compiere un viaggio straordinario nella conoscenza facendolo persino approdare alla teorizzazione del corpus iuris sulla Gravitazione Universale. Hooke, con estrema modestia, lo presentò ai fellow della Royal Society come semplice ipotesi in cerca di una verifica matematica, seguendo il rigido protocollo del metodo scientifico in uso all’epoca… In cerca di questo Hooke, con uno spirito che oggi lo avrebbe reso popolare nel mondo dell’Open Source e dell’Open Project, scrisse ad Isaac Newton invitandolo a partecipare a questo lavoro e a tentare una verifica della sua teoria. Per Newton fu un vero colpo di fortuna anche perché le sue ipotesi sulla gravitazione universale, sino ad allora, si scontravano con le 3 leggi sul moto dei pianeti ricavate da Keplero, agli inizi del XVII secolo, in base alle osservazioni sul moto retrogrado di Marte di Tycho Brahe, di cui Keplero era seguace. Newton nella sua teorizzazione aveva “integrato” il pensiero di Hooke e i calcoli di Keplero, ottenendo così una formulazione verificabile che presentò alla Royal Society come totalmente sua. Ne conseguì da ciò l’accesa disputa sulla paternità della Legge di gravitazione universale tra Newton e Hooke che non si concluse neanche con la scomparsa di quest’ultimo, dal momento che Newton tenterà successivamente di “cancellare” dalla storia il suo avversario... S. G. Se lo sgambetto te lo fa Newton…Se lo sgambetto te lo fa Newton…
  • 6. 66
  • 7. 77 Auto senza guidatore: una realtà entro 5 anni La favola, un filo invisibile tra culture diverse Archmarathon Award 2016 La International Cartographic Association (ICA) è un'associazione internazionale formata da organizzazioni nazionali il cui scopo è quello di fornire un forum sulle questioni e le nuove tecniche di cartografia e GIS. ICA è stata fondata il 9 giugno 1959, a Berna, in Svizzera. Sulla sciadel lavoro di Barbara Petchenik la ICA ha fondato un Contest biennale per cartografiin erba... Dal 1993 la ICA organizza il Barbara Petchenik Competition, in memoria della cartografa Barbara Petchenik, ex vice presidente dell'ICA, che si è prodigata per tutta la vita nel promuovere la cartografia fra i più piccoli. Lo scopo del concorso è quello di promuovere la rappresentazione creativa del mondo stimolando la creatività grafica dei bambini. Il contest biennale è articolato in due momenti: una prima selezione avviene a livello nazionale, nei vari P a e s i me m b r i d e ll ’ I C A ; successivamente i vincitori nazionali possono quindi c o m p e t e r e n e l l a f i n a l e internazionale, che si svolge durante le ICC, le Conferenze Cartografiche Internazionali. I lavori dei giovanissimi concorrenti vengono vagliati da una giuria internazionale il cui lavoro è coadiuvato anche da una votazione pubblica. Dei circa 300 partecipanti iniziali ne i vincitori sono solo 12 suddivisi in 4 categorie. La Galleria con tutti i meravigliosi lavori dei talentuosi vincitori è visionabile al seguente indirizzo: https://childrensmaps.library.carleton.ca/ Paolo Bubici FCA ha siglato un’intesa con Google sulla realizzazione di un lotto di 100 veicoli a guida automatica derivati dal minivan Pacifica, cercando di anticipare la concorrenza ed acquisire competenze su questa nuova tecnologia che rivoluzionerà l’industria dell’auto. Non si sbilancia ancora più di tanto Sergio Marchionne circa l’accordo con Google sul minivan Pacifica affermando blandamente che il progetto è ad una «prima fase della relazione, poi si vedrà». Marchionne pur ribadendo che ci sono ancora molti nodi da sciogliere e che la partnership non è esclusiva, si dice più che ottimista sul futuro delle auto senza guidatore, che potrebbero cominciare a girare su strada prima del previsto, forse già fra cinque anni. L’A.D. della FCA definisce «attiva» la partnership col colosso di Mountain View pur mantenendo ancora un certo riserbo sulla possibilità che Google possa essere quel partner per il consolidamento del gruppo da tempo cercato, affermando che «sarebbe molto naif da parte mia ritenere che sono l’unico sulla terra a parlare con Google. Se Google chiama, tu di solito rispondi». Marchionne afferma che «stiamo esplorando un settore con persone che vogliono esplorare insieme a noi e ci consentono di entrare nel loro mondo» ed aggiunge: «dobbiamo muoverci in questa transizione, e farlo camminando con chi è stato considerato a lungo un potenziale nemico del nostro business alla sua velocità, è la migliore soluzione per noi per determinare quale sarà il nostro stato futuro». La fase iniziale di questa collaborazione, spiega l’A.D., «è molto mirata per portare la sua tecnologia nel minivan». La FCA produrrà 100 esemplari della Pacifica, questo il nome della deliziosa vetturetta, che sarà «fisicamente diversa» da quella attuale. La FCA l’ha scelta perché «è la vettura che più si presta. L’architettura elettrica della Pacifica è abbastanza forte per la tecnologia di Google». A sua volta Google ha accettato perché gli consente di testare e mettere a punto la sua tecnologia su di un veicolo più grande, in cui i passeggeri possono entrare e uscire più comodamente. Staremo a vedere come si evolverà la vicenda. S.G. Ha vinto un team del lontano oriente la prestigiosa tre giorni milanese sull’architettura; lo studio Vector Architects ha proposto un lavoro dalle forme pulite, scevro da qualsiasi superfetazione stilistica e in simbiosi perfetta col paesaggio circostante Quest’anno il prestigioso premio Archmarathon Award 2016, una maratona di architettura che si è tenuta a Milano dal 13 al 15 maggio negli East End Studios, è stato vinto dallo studio Vector Architects di Pechino che ha concorso con il progetto Seashore Library. Una manifestazione densa di eventi che in tre giorni ha visto sfilare 42 atelier d’architettura sotto il vigile occhio della giuria, presieduta da Luca Molinari e costituita da personaggi autorevoli del mondo dell'architettura e della critica quali Lucy Bullivant, William Menking, Wassim Naghi, Li Brian Zhang e Elie Haddad. Sono stati premiati anche i migliori lavori di ognuna delle dieci categorie: Arts & Culture, Education Buildings, Religious Buildings, Workspaces, Hotel & Leisure, Private Housing, Mixed Tenure Housing & Buildings, Retrofitting & Refurbishment, Urban Design & Public Spaces e Transport. Lo studio Park & Associati, fondato da Michele Rossi e Filippo Pagliani, ha ottenuto il primo posto nella categoria "Hotel & Leisure" con il progetto Princeless Milano, una struttura definito dalla giuria come «un'architettura nomade e temporanea che esplora gli spazi della città in modo nuovo», così definisce la giuria questa temporary structure per la ristorazione installata in Piazza della Scala a Milano sulla sommità di Palazzo Beltrami. S.G. Lo ha stabilito una recente ricerca presentata dall’autorevolissima Stanford University che ha impiegato dei robot NAO per questo curioso esperimento. I ricercatori hanno dimostrarlo che noi umani siamo costruiti un po’ alla buona per quel che riguarda i gusti sessuali e che non facciamo molta differenza se il palpeggiamento di un gluteo, di una mammella e di altre zone considerate erogene siano di un altro umano o di un… robot! In effetti questa tendenza l’avremmo dovuta già constatare con il successo di vendita che hanno toccato i sexy toys e le bambole gonfiabili la cui massima espressione sono i macabri costosissimi e realistici automi RealDoll, ma torniamo all’esperimento. Lo studio in sé è abbastanza semplice: alcuni studenti sono stati messi da soli in una stanza con un robot NAO. Sulla loro mano non dominante è stato collegato un sensore a conduttanza della pelle per misurare la loro eccitazione fisiologica. Il robot chiede alle “cavie” di essere toccato in più punti del suo “corpo” e, indovinate” la massima eccitazione raggiunta dalla “cavia” è ovviamente nelle zone “genitali“ del robot! A quanto pare sembra che siamo noi umani ad avere qualche serio bug nei nostri algoritmi! S.G. Molestare un robot? È eccitante! Vector Architects: Seashore Library, la biblioteca che guarda l’Oceano
  • 8. 88
  • 9. 99 P er quasi un’ora mi sono scervellato a cercare l’autore di questa meravigliosa frase che severamente sentenzia: “Ogni popolo ha il governo che si merita”. Sulla rete viene attribuita a più personaggi storici, da Aristotele a W. Churchill, e a me piace particolarmente perché da noi sembra trovare una delle sue più riuscite e fulgide esemplificazioni. Anche se in essa si parla di “governo” e la tentazione di parlare male della politica è molto forte non è proprio di quest’ultima che voglio parlare ma di una sua particolarissima specializzazione la cui crescita e sviluppo nel nostro Paese ha veramente superato negli ultimi decenni ogni più rosea aspettativa: la corruzione. Ero solo un bambino quando, con un certo tedio, ascoltavo le interminabili lamentazioni degli adulti a commento dell’ennesimo scandalo per corruzione generato da un uomo politico o dal potente di turno. Quarant’anni dopo, con lo stesso tedio, ascolto le interminabili lamentazioni degli innumerevoli talk show e para- telegiornali di taglio politico che popolano le serate televisive e radiofoniche italiane. Al pari di certe culture indigene, che per tradizione orale si tramandano la loro storia, così il popolo italiota si tramanda, sempre per tradizione orale, l’esercizio della lamentazione: il padre o la madre o, peggio ancora, entrambi i genitori si lamentano della corruzione di politici e pubblici amministratori davanti ai loro figli in modo tale che poi un giorno anche loro faranno esattamente la stessa cosa e cioè sapranno SOLO lamentarsi. Tutto ciò mi ricorda molto il meccanismo legato al vizio del fumo. Il problema di questo stato di cose è basato sul fatto che da noi la corruzione è endemica, è un qualcosa che ci portiamo nel DNA e che coinvolge, con travolgente passionalità, tutto e tutti: dall’Onorevolissimo Ministro senza Portafogli al Primo Usciere Applicato del Sig. Sindaco di Pranzate Sopra, dall’Egregissimo Ingegnere Collaudatore Capo al III Capo Mastro Scelto del sub, sub appaltante, dall’integerrimo Luogotenente Aiutante di Brigata all’ineffabile pluridecorato Vice Comandante Generale del Corpo d’Armata, dall’onnipresente ed instancabile Bidello Scelto di II Classe al Magnifico ed Eccellentissimo Rettoredell’UniversitàdiSparatjunapizza! In Italia la corruzione non è una questione morale ma una questione fisica! Quel piacevole brivido blu che corre lungo la schiena quando la mano amica e complice del corruttore ti passa un giornale, o una busta, bella piena zeppa di banconotoni da Cinquecento Euro! Si ho scritto proprio Cinquecento Euro: la banconota creata dalla UE appositamente per agevolare la corruzione e il malaffare nel Vecchio Continente. Fuori battuta questo annoso problema della corruzione nell’amministrazione della cosa pubblica italiana è legato alla mancanza di un reato che leda effettivamente, totalmente e permanentemente la reputazione professionale di corrotti e corruttori impedendo loro, per sempre, l’accesso a qualsiasi futura mansione lavorativa in cui possano entrare a contatto con le casse di un qualsivoglia pubblico ufficio. Per assurdo da noi corrompere o essere corrotti fa curriculum, fa esperienza: “E’ stato corrotto? Magnifico! È proprio l’uomo che stavamo cercando!”, oppure “Scusi ma lei sa corrompere bene? Altrimenti guardi lasciamo stare! No, perché quegli appalti di cui le parlavo prima sono di vitale importanza per la nostra azienda!” Lasciatemi chiosare il tutto con una riflessione: se è vero che il Made in Italy è sempre una garanzia di qualità ed affidabilità, allora perché i nostri Atenei non varano dei bei Corsi di Laurea in Economia e Commercio ad indirizzo Truffaldino oppure dei Master in Arte della Corruzione e Falso Ideologico o, ancora, dei Dottorati di Ricerca sulla Teoria e Tecnica delle Applicazioni di Disonestà nelle PP.AA? Parafrasando il noto precetto manzoniano riusciremo a fare di Slealtà, Virtù e… qualcuno ci guadagnerebbe pure qualche altro soldo! Meditate gente, meditate! di Salvio Giglio Da Pubblici Vizi a inaspettate Virtù?
  • 10. 1010
  • 11. 1111 Impariamo a sbrogliare un circuito: la fase di layout D opo aver dato una fugace occhiata ai criteri di dimensionamento delle piste di un circuito stampato e aver definito il concetto di sbrogliatura, adesso ci occupiamo della realizzazione pratica del master definitivo del nostro PCB. A tal fine dobbiamo aver presenti due punti estremamente importanti: lo studio del layout, per la disposizione ottimale dei componenti sulla scheda, e quello inerente lo sbroglio delle piste di collegamento, cercando di definire il miglior percorso possibile e in grado di soddisfare tutti i collegamenti elettrici previsti. Per darvi forza durante questa fase progettuale ripeterete, più e più volte, questo mantra: “Procederò con molta pazienza, per affinamenti successivi e anche se qualcosa va storto non mollerò! Sono io il più forte ed arriverò alla soluzione ottimale!”… Il layout passo dopo passo La sequenza operativa che vi propongo in questo paragrafo è ricavata dal flow chart normalmente impiegato nella produzione industriale i cui criteri generali possono essere però tranquillamente adottati anche per la produzione artigianale personale. Prima di passare allo sviluppo del master, dobbiamo già conoscere o quanto meno avere un’idea su:  la tecnologia di montaggio (THT o SMT) da adottare;  la tipologia di montaggio (a singola faccia, a doppia faccia, ecc.) da applicare;  la modalità di montaggio dei componenti (orizzontale o verticale) da implementare;  la scelta fra uno o più PCB e, a tal proposito, va detto che ci sono alcuni validissimi motivi (come la forma del volume disponibile, la manutenibilità, la modularità di alcuni componenti, ecc.,) che possono giustamente far propendere la progettazione verso l’adozione di una combinazione di PCB opportunamente interconnessi tra loro. Ovviamente la soluzione a singolo PCB offre numerosi vantaggi, quali la minor superficie complessiva, il risparmio di connessioni e connettori, senza contare un certo risparmio nei costi di produzione. Di contro la soluzione con due o più PCB propone la semplificazione della sbrogliatura e della fabbricazione, collaudo e VII puntata, II parte di Salvio Giglio La fase di layout è immediatamente precedente a quella di sbroglio e può essere considerata come una bozza di quello che sarà il nostro PCB finito. In questo articolo, otto passaggi per realizzare un layout efficace e ragionato che si avvicini quanto più possibile al circuito finale. In ogni caso sappiate che vi dovete armare di molta pazienza!
  • 12. 1212 diagnostica degli errori semplificata, una manutenzione più rapida e, conseguentemente, una riduzione del tempo di fermo macchina.  le dimensioni fisiche del contenitore in cui sarà custodito;  le condizioni ambientali di esercizio in cui dovrà operare; il numero d’esemplari da produrre;  la classe dell’apparecchiatura (militare, industriale, civile, ecc.). Stabiliti i punti di cui sopra si procede con il layout vero e proprio. In caso di circuiti non estremamente complessi si possono fare dei bozzetti preliminari su carta e poi trasporli in bella copia sul PC. In linea di principio, in questa fase si parte dal perimetro esterno della scheda (relegando componenti caldi e con tensioni pericolose lontano dalla componentistica delicata e di precisione, in prossimità di grate e/o ventole di areazione per dissipare il calore) e si procede gradualmente verso il centro della scheda, sino all’eventuale zoccolo del processore. Ecco, in estrema sintesi, una scaletta con i passaggi salienti della stesura del layout: 1. Rappresentazione del perimetro esterno del PCB in base alle esigenze di progetto. 2. Posizionamento dei fori di fissaggio della scheda. Ricordate a tal proposito che ad ogni foro deve essere associata un’area keep-out (tenersi fuori) necessaria per evitare contatti tra la testa della vite di fissaggio e parti sotto tensione; in questa zona non è assolutamente consentito il passaggio di piste, espansioni di massa, il posizionamento di vias, componenti e aree conduttrici. 3. Determinazione del bordo della scheda. Il bordo è un’area perimetrale in cui è ammessa la sola presenza di componenti specifici destinati al comando, alla connettività, alla regolazione, o che sono frequentemente soggetti a manutenzione. Questa fascia descrive idealmente anche il perimetro dell’area utile di lavoro (la zona destinata alla componentistica per capirci), arretrato rispetto a quello esterno di una distanza compresa tra i da 2 e 5 mm, in funzione dei sistemi di produzione e di fissaggio del PCB nel prodotto finale. Questa fascia può essere impiegata per il passaggio di eventuali piste a patto che ciò non costituisca potenziali pericoli di cortocircuito. In ogni caso è preferibile che per le piste sia rispettata sempre una distanza minima di 1,5 mm rispetto al perimetro esterno della scheda poiché, durante l’operazione di tranciatura della basetta, esse potrebbero staccarsi dal supporto isolante. 4. Suddivisione in zone funzionali. I componenti vanno disposti considerando sempre lo schema elettrico di partenza, immaginando per ciascuno di essi il collegamento più breve e ottimizzando al massimo la lunghezza delle piste. In questa fase conviene suddividere e risolvere il circuito in zone funzionali (alimentazione, segnali in ingresso, elaborazione, segnali in uscita) studiando, zona per zona, la disposizione più semplice dei componenti e, allo stesso tempo, sia in grado di evitare l’impiego di un numero eccessivo di vias e/o di piste troppo lunghe. 5. Creazione di gruppi e sottogruppi. Come accade normalmente nel CAD, nella modellazione 3D o nella grafica vettoriale, ragioneremo per gruppi nidificati (gruppo principale composto da sottogruppi più elementari) e collocheremo questi all’interno dell’area utile di lavoro. Nella maggioranza dei casi quest’area è decisamente superiore rispetto alle reali esigenze produttive, fatto questo che può essere sfruttato nella successiva fase di sbrogliatura in cui, normalmente, i gruppi precedentemente creati sono riposizionati per ottenere una combinazione ottimale e il massimo guadagno di spazio. Nei gruppi posizioneremo i componenti in modo uniforme, orizzontalmente e verticalmente, disponendoli in base ad una griglia. 6. Scelta della griglia di riferimento. È un ausilio grafico per la progettazione consistente in una quadrettatura a passo costante, espresso in pollici, pari a:  0.100" o 100 mils = 2,54 mm;  0.050" o 50 mils = 1,27 mm;  0.025" o 25 mils = 0,635 mm. 7. Suddivisione delle tensioni. La Norma CEI 64-8 contempla tre sistemi di alimentazione principali per garantire la protezione delle persone contro i contatti diretti e indiretti. I sistemi in questione sono denominati:  a bassissima tensione di sicurezza (SELV) alimentati con tensioni non superiori a 50 V CA e 120 V CC non ondulata;  a bassissima tensione di protezione (PELV) alimentati con tensioni non superiori a 50 V CA e 120 V CC non ondulata;  a bassissima tensione funzionale (FELV). In alcune circostanze che presentano maggiore rischio, la tensione di alimentazione deve
  • 13. 1313 Fig. 1, flow chart dei dati iniziali prima dell’elaborazione del layout
  • 14. 1414 essere ridotta a 25 V CA e 60 V CC. Le sorgenti di alimentazione saranno scelte tra le seguenti:  trasformatore di sicurezza o sorgente con grado di sicurezza equivalente;  batterie di accumulatori. In ogni caso, la zona di alimentazione primaria, ove è presente la tensione di rete e/o tensioni pericolose, deve distare sempre di uno spazio ≥ 3mm dalla zona a bassissima tensione. 8. Componenti speciali. Vi consiglio, infine, di adottare le seguenti precauzioni se nel vostro progetto sono presenti:  Amplificatori operazionali, il criterio da seguire per realizzare una configurazione tipica (somma, inversione, derivazione, integrazione, ecc.) consiste nel creare un gruppo formato dall’integrato operazionale con intorno i componenti necessari all’esecuzione delle varie operazioni (resistenze e/o condensatori).  Condensatori di filtro, devono essere ubicati nelle immediate vicinanze del piedino di alimentazione piuttosto che a quello della massa dell’integrato di pertinenza.  Connettori, nella maggioranza dei casi vanno collocati a bordo scheda, anche se è piuttosto frequente il loro posizionamento in zone centrali del circuito.  Microcontrollori, per il loro elevato numero di connessioni si predilige il montaggio in posizione centrale. Ricordate poi che il gruppo del clock di sistema, formato da un quarzo e due condensatori, deve essere montato il più vicino possibile ai terminali del microcontrollore.  Varistori, sono dispositivi di protezione contro le sovratensioni che vanno installati adiacentemente ai connettori perché potrebbero danneggiare seriamente il circuito. Per questa puntata ci fermiamo qui! Sul prossimo numero vedremo gli step principali della fase di sbroglio. Continua... Fig. 2, sequenza delle principali fasi del layout
  • 15. 1515
  • 16. 1616 The truth is, the Science of NatureThe truth is, the Science of Nature has been already too long made onlyhas been already too long made only a work of thea work of the BrainBrain and theand the FancyFancy:: It is now high time that it shouldIt is now high time that it should return to the plainness and soundnessreturn to the plainness and soundness ofof ObservationsObservations onon materialmaterial andand obviousobvious things.things. Robert HookeRobert Hooke MicrographiaMicrographia (1665). In(1665). In Extracts from MicrographiaExtracts from Micrographia (1906),(1906),
  • 17. 1717 R obert Hooke è uno di quei personaggi con cui la storia ha ancora un grosso debito aperto nonostante siano passati diversi secoli dalla sua scomparsa. Non a caso ho deciso di stabilire come punto di partenza di questo nuovo ciclo di puntate proprio questo scienziato inglese entusiasta, votato totalmente allo studio e alla conoscenza, declinati in ogni loro possibile applicazione per quei tempi: dall’astronomia alla fisica, dalla chimica alla biologia, dalla geologia alla musica sacra, dall'architettura all’urbanistica, dalla meccanica alla tecnologia navale. Hooke incarna perfettamente la figura di uomo rinascimentale e di umanista per la sua intelligenza e insaziabile sete di sapere. Una sete che lo ha spinto, poco più che adolescente, dall’Isola di Wight in quel di Londra: una città all’epoca pericolosa e difficile già solo per chi ci era nato, figuriamoci per un ingenuo ragazzino dalla salute precaria che arrivava da una sperduta isoletta della Manica, figlio di un curato di un minuscolo villaggio di pescatori. Contro ogni funesta previsione, la crescita culturale di Robert è inarrestabile e finisce col renderlo un personaggio unico, un punto di riferimento per gli stessi dotti del suo tempo che per lui creano un ruolo professionale specifico in ambito accademico e che lo vogliono come pianificatore urbano dopo il Grande Incendio di Londra del 1666. A fare in modo che di Hooke la storia perdesse quasi completamente la cognizione, nonostante la quantità e la qualità di ricerche scientifiche da lui condotte per oltre quarant’anni, saranno l’invidia e il “mestiere” di certi accade mic i suo i contemporanei e rivali. Ut tensio, sic vis! Hooke coltivava sin dall’infanzia, una grande passione per l’orologeria e la meccanica di precisione. A tal proposito è lui stesso a citare un episodio r i s a l e n t e a l p e r i o d o dell’adolescenza in cui smontò completamente un orologio in ottone per capirne il funzionamento e finì col realizzarne una replica in legno funzionante che segnava le ore con un certa precisione. Anche la stessa legge sul comportamento dei materiali elastici era nata per scopi puramente pratici sul finire del 1660, poco prima che Hooke diventasse un membro della Royal Society, ed era legata alla sua vecchia passione per l’orologeria. Hooke stava tentando di sviluppare una molla a spirale molto sottile e di piccole dimensioni per azionare i meccanismi di un suo modello di orologio portatile. La molla, per ragioni di precisione, avrebbe dovuto rilasciare costantemente la sua “carica” elastica agli ingranaggi dell’orologio. Prima di giungere alla nota relazione con cui è espressa la sua legge, Hooke testò una gran quantità di molle e cavi in acciaio, assicelle e travetti di legno sottoponendoli a trazione con carichi man mano crescenti e avvalendosi di una bilancia per eseguire le misurazioni. Per ogni test ricavò una serie di grafici in cui era rappresentato su di un diagramma cartesiano il rapporto tra carico e deformazioni: il tracciato ottenuto, in tutti i casi, risultava essere sempre una linea retta a dimostrazione della p r o p o r z i o n a l i t à d i r e t t a sussistente tra i due termini. Quando Hooke cominciò a parlare apertamente della sua scoperta nella Royal Society, nacque un’accesa disputa con il matematico olandese sulla paternità della formulazione. L’olandese sosteneva infatti che Hooke era un millantatore dal momento che avrebbe sviluppato questa teoria poco tempo dopo il suo ingresso nella Royal Society, facendo propri i risultati delle sue ricerche. Era costume dell’epoca I puntata - I parte di Salvio Giglio Abbiamo deciso di dare un taglio storico a questo nuovo ciclo di puntate ospitato in questa rubrica. Il tentativo è quello di spiegare che dietro ai nomi e alle formulazioni teoriche, propinate sterilmente dai libri di testo, ci sono sempre e solo delle persone che con le loro vicende umane, superano per importanza ed esemplarità le stesse leggi e teoremi che li hanno resi famosi. Il primo personaggio in cerca di lettori è Robert Hooke: uno scienziato inglese del XVII secolo il cui talento e ingegno lo elevano allo stesso rango del grande Leonardo. A differenza però del genio rinascimentale italiano ad Hooke l’Inghilterra non solo non gli ha ancora riconosciuto il giusto tributo storico ma ha anche smarrito i suoi resti mortali... Gli autori delle grandi teorie per la Scienza & la Tecnica delle Costruzioni contemporanea
  • 18. 1818 Fig. 1, immagine estratta dal trattato di Hooke “Lectures de potentia reflitutiva or of Spring. Explaining the power of sprin- ging bodies” del 1678. La didascalia dell’immagine è stata tradotta dal redattore
  • 19. 1919 preannunciare con anagrammi di frasi in latino scoperte ed invenzioni; non di meno fa Hooke che, nel 1675, pubblica alla fine del suo trattato Descriptions of Helioscopes l’anagramma CEIIINOSSSTTUV relativo alla sua teoria sull’elasticità dei materiali. Nel 1678, Hooke completa e pubblica un documento dedicato alle sue osservazioni Lectures de potentia reflitutiva or of spring explaining the power of springing bodies e svela la frase misteriosa dell’anagramma. “Ut tensio, sic vis" significa: "Come la forza, così l'estensione" e spiega che: ”la forza di qualsiasi molla è proporzionale alla tensione ad essa applicata: così, se un tratto di molla sarà piegato in un solo spazio, due saranno piegati in due, tre saranno piegati in tre, e così via. Ora, siccome la teoria è molto breve, quindi il modo di provarla è molto facile.“. Ecco la relazione che fu motivo di tanto contendere: Essa, come vi dicevo prima, esprime il legame di proporzionalità diretta tra la forza F e l’allungamento prodotto da essa sul materiale δ mentre la costante k rappresenta la costante elastica del materiale espresso in N/m. La legge di Hooke origina tre diversi ordini di considerazioni: 1. Un materiale solido può resistere a una forza ad esso applicata solo cedendo ad essa: contraendosi se sottoposto a compressione o allungandosi se sottoposto trazione. In questo contesto si deve considerare come una deformazione ogni minima a l t e r a z i o n e d e l l a configurazione normale di un corpo (quella in stato di riposo) in termini sia dimensionali che di forma: è l’azione della forza agente sul corpo a originare il cambiamento. La nuova conformazione del solido assunta sotto l'azione di forze esterne corrisponde ad una variazione delle sue forze interne che tendono a raggiungere, finché ciò è possibile, uno stato di equilibrio con esse. 2. I materiali solidi sono elastici: quando viene rimosso un carico che era stato loro applicato in precedenza, riacquistano la loro forma e dimensione originale a patto che esso non superi i limiti di elasticità. Con la rimozione progressiva del carico, Hooke osservò che anche il ritorno alle condizioni geometriche iniziali era lineare e, in base alle tolleranze adottate per le sue misurazioni, tutti gli oggetti riacquistavano la loro lunghezza originale. 3. Nei materiali o nelle strutture la deformazione è sempre proporzionale al carico applicato. Quest’ultima affermazione risulta sempre vera, anche quando il carico applicato al solido supera oltre il punto di non ritorno il limite di elasticità del materiale e talvolta raggiunge il valore di rottura dello stesso. Torneremo nuovamente sulla legge di Hooke nella prossima puntata, ove analizzeremo le sue implicazioni e sviluppi in ambito progettuale. Giunti a questo punto però, mi preme di più presentarvi la storia e il talento di questo geniale scienziato. La storiografia su Hooke: un tentativo di rendergli giustizia Mentre sono in cerca di notizie storiche in rete mi amareggia molto apprendere, da un sito web interamente dedicato a Hooke (il roberthooke.org.uk), che nonostante egli sia stato uno dei più brillanti e versatili scienziati inglesi del XVII secolo, gli storici e la comunità scientifica del suo Paese non sono ancora riusciti a diffondere e popolarizzare la sua figura e il suo enorme contributo scientifico al pari di altri personaggi suoi contemporanei. Trovo poi ancora più scandaloso e riprovevole il fatto che la sua patria abbia in tempi recenti persino smarrito i suoi resti mortali. Hooke era stato originariamente tumulato nella bella chiesa di St. Helen Bishopsgate nel 1703; nel 1992 e nel 1993 l’organizzazione terroristica nord irlandese IRA prende di mira il monumento e piazza due devastanti ordigni nelle immediate vicinanze. I danni alla chiesa sono ingenti e i resti di Hooke, per motivi di sicurezza vengono traslati in un luogo non precisato e di cui si sono completamente poi perse le tracce... Neanche da noi in Italia saremmo riusciti a fare una cosa tanto maldestra! Fortunatamente, nonostante queste meschinità e il fatto che siano passati più di quattro secoli, è la rete a mettere spontaneamente a disposizione del pubblico del buon materiale documentale su questo straordinario personaggio storico. Cosciente dell’impossibilità di zippare Hooke in questa sede, preferisco esordire indicandovi subito un percorso storiografico a lui dedicato che, anche se tutto in inglese, sarà capace di farvelo apprezzare pienamente. Partiamo da John Aubrey , che ne traccia un ritratto molto definito, quando Hooke era ancora in vita, nel suo “Schediasmata: Brief Lives”, una raccolta manoscritta in tre volumi in folio di profili biografici depositata, nel 1693, nel Ashmolean Museum di Oxford ed ora custodita presso la Bodleian Library sempre ad Oxford. Richard Waller, ce ne parla nella sua introduzione al trattato “The Posthumous Works of Robert Hooke, (…)” stampato nel 1705. John Ward lo descrive nel periodo
  • 20. 2020 “London Burning by Day, 1666”. Da una stampa tedesca nella collezione Goss. In "The Great Fire of London” da Walter Geor- ge Bell, 1914. A sinistra, ritratto di John Wilkins eseguito da Mary Beale nel 1670 e custodito nella Bodleian Library di Oxford. A destra, ritratto di Oliver Cromwell eseguito da Robert Walker nel 1649.
  • 21. 2121 in cui Hooke era docente di Geometria presso il Gresham College nel suo resoconto: “The Lives of the Professors of Gresham College, to which is prefixed the Life of the Founder, Sir Thomas Gresham” pubblicato a Londra nel 1740. Robert Gunther, storico della scienza, fu poi talmente attratto dalla vastità dell’opera di Hooke che finì col dedicargli ben cinque tomi, su quattordici, del suo lavoro enciclopedico “Early Science in Oxford” del 1920, un trattato storico sulla ricerca scientifica ad Oxford durante il Protettorato, la Restaurazione e il secolo dei Lumi. Una ricerca molto approfondita su Hooke è, infine e sicuramente, il lavoro del famoso storico inglese Allan Chapman che, nel 1996, il gli dedica un libro in cui, sin dal titolo, lo definisce "England's Leonardo(…)” cioè il Leonardo d’Inghilterra. Il lavoro di Chapman è una bell’analisi storica, molto dettagliata, della vita di Hooke e viene presentata al lettore suddivisa in tre periodi chiave: gli esordi come ricercatore scientifico universitario senza stipendio (dev’essere una consuetudine legata a questo ruolo); gli anni del successo in cui, oltre alle innumerevoli soddisfazioni raccolte in ambito accademico, lo scienziato ottiene dalle massime autorità cittadine un ruolo di vitale importanza nella pianificazione della ricostruzione di Londra, andata quasi totalmente distrutta col devastante incendio del 1666; gli anni del declino che vedono lo scienziato logorato dalla vecchiaia, dalle malattie e dall’invidia dei suoi non pochi rivali. A questi Chapman attribuisce la responsabilità di non aver fatto annoverare il nome di Hooke tra quello dei grandi scienziati britannici subito dopo la sua morte. In definitiva “England’s Leonardo” ci restituisce la figura di un uomo onestissimo, innamorato della vita in ogni sua manifestazione, dinamico, pieno di genio e talento che la parola umanista riesce perfettamente a riassumere. I primi anni di vita E’ un’autobiografia, iniziata nel 1696 e mai completata, a fornire un punto di partenza affidabile da cui attingere notizie sui primi anni di vita di Hooke. Robert nacque nel 1635 in Inghilterra sull’Isola di Wight nel villaggio di Freshwater, ultimo di quattro figli nati dal matrimonio tra il pastore anglicano John Hooke e Cecily Gyles. Fu proprio il padre a dargli le prime basi formative, essendo anche il maestro della scuola locale, con la speranza che il figlio seguisse le sue orme in ambito religioso anche se presto si rese conto che quel ragazzo di grande intelligenza, ma dalla salute cagionevole, avrebbe fatto ben altro nella vita. Infatti, il giovane Robert aveva un grande spirito d’osservazione, era affascinato dalla meccanica e aveva gran talento per il disegno e la pittura: interessi questi che avrebbe seguito in vari modi per tutta la sua vita. Nel 1648 con la morte del padre, Robert eredita quaranta sterline, una bella cifra per l’epoca, e comincia un breve periodo di apprendistato come allievo pittore a Londra presso la bottega di Peter Lely. Poco tempo dopo, per perfezionare il suo ciclo di studi, Hooke frequenta le superiori presso la celebre Westminster School di Londra, sotto il patrocinio del reverendo anglicano Richard Busby. Gli anni della formazione del giovane Hooke si svolgono in un momento particolarmente delicato per l’Inghilterra, passato poi alla storia col nome di Rivoluzione inglese. Stiamo parlando del periodo in cui il condottiero e politico Olivier Cromwell e tutto il Parlamento inglese dichiarano decaduta la monarchia e instaurano il Protettorato (dal 1649 al 1653), crearono il Consiglio di Stato, abolirono la Camera dei Lord e proclamarono la Repubblica Unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda (o Commonwealth). Il periodo di Oxford Nel frattempo Hooke è diventato un brillante studente al Wadham College, uno dei collegi costituenti l'Università di Oxford, e fa parte di un ristretto gruppo di ardenti filomonarchici capitanato dal pastore anglicano John Wilkins che fu scrittore, filosofo naturalista nonché fondatore dell'Invisible College e cofondatore della Royal Society. Wilkins avvertiva un senso di grande urgenza nel preservare il lavoro scientifico, dal momento che il Protettorato era percepito come una seria minaccia per l’operato di scienziati e liberi pensatori. A parte questa tumultuosa fase politica, fortunatamente di breve durata, il periodo oxfordiano di Hooke è caratterizzato dalla sua passione per la scienza e dal consolidamento di amicizie, alcune delle quali sono durate per tutta la vita come quella con Christopher Wren. In quegli anni Robert raggiunge un ottimo livello formativo anche in ambito musicale, frequentando un corso di venti lezioni per l’apprendimento dell’organo e delle basi del canto corale. Proprio grazie alle sue doti canore, nel 1653 Robert entra come corista nella Christ Church di Oxford. In quell’ambito Hooke conosce il dott. Thomas Willis di cui conosce ed ammira il lavoro di ricerca in ambito medico e ne diviene l’assistente chimico per un breve periodo. Poco tempo dopo Robert diventerà assistente, dal 1655 al ’62, del famoso fisico e filosofo naturalista irlandese Robert Boyle, per il quale costruirà dei
  • 22. 2222 A sinistra, ritratto di Robert Boyle eseguito da Johann Kerseboom nel 1689 e custodito nella Gawthorpe Hall (GB). A destra, la pompa a vuoto realizzata da Robert Hooke per gli esperimenti sulla Legge dei gas. A sinistra, frontespizio di Micrographia del 1665. A destra il microscopio di Hooke: la luce della fiamma di una lampada a petrolio (K) viene focalizzata attraverso una sfera di vetro (G) ed una lente (I) per illuminare l’oggetto da esaminare (M) attra- verso il microscopio. Si notino i complessi cinematismi per regolare le varie parti dello strumento.
  • 23. 2323 dispositivi per il vuoto impiegati poi negli esperimenti sulla nota legge sui gas. Queste due esperienze lavorative ritarderanno il conseguimento del rango accademico di Master of Arts sino 1663. Curatore scientifico alla Royal Society Il 28 novembre 1660, in seno al Gresham College, il gruppo di intellettuali chiamato The 1660 committee of 12 annuncia la fondazione di un "Collegio per la promozione e l’insegnamento sperimentale di discipline fisico- matematiche", che si riunirà settimanalmente per discutere di scienze e presentare eventuali esperimenti eseguiti; nasceva così la Royal Society. Il 5 novembre 1661, uno dei membri fondatori, Sir Robert Moray, propone la creazione di una figura professionale specifica, quella del curatore scientifico, che sembrava essere fatta apposta per Hooke. Questo ruolo, infatti, che prevedeva espressamente la progettazione e la realizzazione dell’equipaggiamento scientifico necessario agli esperimenti condotti dalla Royal Society, fu affidato con approvazione unanime a Hooke appena una settimana dopo. A partire dal 1664, Sir John Cutler stabilisce inoltre un’ulteriore sovvenzione annuale di cinquanta sterline per la Società affinché fondi un ulteriore comitato tecnico sulla Meccanica e, considerata la grande esperienza in questo campo, Hooke riceve la nomina per questo nuovo compito il 27 giugno 1664. Nello stesso anno Hooke è nominato professore di Geometria presso il Gresham College di Londra. L’11 gennaio 1665 Hooke viene confermato curatore scientifico a vita con un cospicuo aumento di stipendio aggiuntivo di ben trenta sterline l’anno. La figura professionale di Hooke gli permetteva ora di promuovere liberamente esperimenti scientifici propri oltre a verificare ed eseguire quelli proposti dagli altri membri della Società. Le sue innumerevoli intuizioni e le relative indagini scientifiche e realizzazioni tecniche lo hanno reso un vero pioniere scientifico. Qui di seguito, per farvi fare un’idea sul personaggio, vi cito solo alcuni dei principali filoni di ricerca da lui seguiti in quel periodo.  Uso dei microscopi nell’esplorazione scientifica. Hooke aveva competenze sulla luce e sull’ottica tali da consentirgli di apportare alcuni significativi miglioramenti al microscopio: i suoi modelli, infatti, furono equipaggiati con sistemi ottici e di illuminazione rivoluzionari per l’epoca. Dalla pratica tecnica sperimentale e dal collaudo degli strumenti scaturì poi uno studio che lo condusse ad una serie di scoperte e osservazioni sul mondo dell’infinitamente piccolo che confluirono nel suo trattato Micrographia del 1665. In questo lavoro Hooke relazionò minuziosamente le sue esperienze di laboratorio condotte principalmente su: l’anatomia di insetti e piccoli fossili, i cui esiti lo avevano poi instradato verso le basi della teoria evoluzionistica in biologia; l’analisi di tessuti vegetali, come il sughero, in cui aveva ravvisato delle cavità separate da pareti chiamate cells (cellule); sui cristalli macroscopici, attraverso cui aveva elaborato dei pionieristici modelli strutturali per dedurre la loro disposizione atomica in base alla loro forma. Furono osservazioni che risultarono poi vitali per la nascente scienza della cristallografia.  Costruzione del primo telescopio gregoriano, realizzato nel 1673 su progetto dell’astronomo e matematico scozzese James Gregory che lo impiegò per l’osservazione delle orbite di Marte e Giove.  Studio del fenomeno della rifrazione, da cui Hooke dedusse la teoria ondulatoria della luce.  Studio sul fenomeno della dilatazione termica dei corpi solidi.  Studio sulla composizione dell’aria, in cui ipotizzò che essa fosse formata da piccole particelle separate da distanze relativamente grandi.  Studio di nuovi criteri per il rilevamento cartografico.  Studio sulla formulazione di una legge sulla forza di gravità e il moto dei pianeti, idea poi ampiamente “sviluppata” da Isaac Newton. Hooke architetto ed urbanista Dopo il grande incendio del 1666, Hooke viene nominato Surveyor (ispettore) per la Città di Londra e assistente capo di Christopher Wren. Entrambi sono impegnati nella pianificazione della ricostruzione della capitale che con l’incendio ha perso oltre 85% del suo patrimonio storico e immobiliare. In questa fase sono tanti i lavori in cui si rintraccia la mano di Hooke a partire dal Monument to the fire (Monumento al fuoco) che, al di là della funzione commemorativa, era stato progettato con finalità astronomiche. Hooke e Wren erano entrambi appassionati astronomi e avevano pensato la colonna del monumento come supporto di un piccolo laboratorio astronomico munito di telescopio per l’osservazione dei transiti planetari e l’esecuzione di misurazioni di precisione. Purtroppo dopo il completamento del monumento gli autori stessi si resero conto dell’instabilità della
  • 24. 2424 1 e 2, Monument to the Great Fire of London visto dal piano stradale e in un dettaglio della balconata panoramica posta sulla sua sommità a 62 metri d’altezza. 3, il Royal Greenwich Observatory. 4, Teatro anatomico Cutlerian a Warwick Lane. 5, la suntuosa facciata neoclassica della Ragley Hall. 6, il Pepys Building nel Magdalene College a Cambridge, al piano terra è allo- cata la Pepys Library interamente progettata da Hooke      
  • 25. 2525 colonna nelle giornate di vento e abbandonarono così definitivamente l’idea. Tra le altre opere di quel periodo tra cui figura la firma di Hooke troviamo: il Royal Greenwich Observatory (l'Osservatorio Reale di Greenwich), la Montagu House in Bloomsbury (Casa Montagu a Bloomsbury), il The Royal College of Physicians, la Ragley Hall nel Warwickshire, Ramsbury Manor nel Wiltshire, il famigerato ospedale psichiatrico Bethlem Royal Hospital, la chiesa parrocchiale di St Mary Magdalene at Willen a Milton Keynes. Hooke e Wren progettano anche la St Paul's Cathedral, in particolare la cupola fu edificata impiegando un metodo di costruzione ideato da Hooke. Hooke partecipa anche alla progettazione della Pepys Library, ove sono stati custoditi i diari manoscritti di Samuel Pepys, un drammatico resoconto testimoniale del grande incendio. Per quanto riguarda la progettazione urbanistica della nuova Londra, Hooke propose l’impiego di un impianto a griglia munito di ampi viali e arterie; modello questo che sarà successivamente utilizzato nella ristrutturazione di Parigi, Liverpool e molte città americane. Hooke sul viale del tramonto Robert Hooke non si è mai sposato se non con i suoi studi e ha trascorso gran parte della sua vita sull'isola di Wight, a Oxford e a Londra. L’ultimo tratto della sua vita è tormentato, per una parte, da problemi di salute sempre più frequenti e, dall’altra, da alcune dispute intellettuali legate alla sua enorme attività di ricerca scientifica. Un’ultima soddisfazione accademica gli viene conferita nel 1698: si tratta di un dottorato in Fisica al Gresham College. Hooke si spegne il 3 marzo 1703, all’età di 68 anni a Londra e, nella sua stanza al Gresham College, viene rinvenuta una cassa contenente una fortuna: 8.000 sterline tra oro e denaro. Più volte Hooke aveva parlato di lasciare una generosa donazione alla Royal Society, che sicuramente a sua volta avrebbe dato il suo nome ad una biblioteca, ad alcuni laboratori e avrebbe indetto una serie di conferenze sullo scienziato scomparso… Per ironia della sorte dal momento che Hooke non aveva lasciato nessun testamento scritto, il denaro fu destinato al parente più prossimo sulla linea testamentaria: la cugina analfabeta Elizabeth Stephens. Alla figura di Hooke sono state associate tante dicerie e malignità gratuite dettate dall’invidia e dalla voglia di visibilità dei suoi rivali. Un primo colpo abbastanza forte fu la controversia con Henry Oldenburg sulla fuga di notizie circa il suo brevetto su di un congegno per l’orologeria chiamato scappamento e sviluppato in seno alla Royal Society. Di pari portata poi deve essere stata la disputa con Isaac Newton per il riconoscimento del lavoro sulla gravitazione. Anche dopo la morte di Hooke, Newton avvalendosi della sua posizione prominente di presidente della Royal Society, ha infangato la reputazione dello scienziato scomparso arrivando persino a far distruggere il suo unico ritratto. I suoi detrattori malignarono sul fatto che per le mani di Hooke, in quanto curatore di esperimenti per la Royal Society, siano passate centinaia di idee inviate alla Società da scienziati seri e inventori improvvisati; d’altro canto è altrettanto vero che Hooke era una persona super impegnata e che non aveva neanche il tempo di trasformare in brevetto le proprie idee, figuriamoci quelle degli altri. Sembra poi esserci quasi un nesso tra Newton e il primo biografo di Hooke, Richard Waller; lo scrittore, in più occasioni, descrive Hooke come una persona sgradevole, un misantropo malinconico, diffidente e invidioso. Commenti questi che influenzeranno negativamente per oltre due secoli gli storiografi Un minimo di giustizia a questo personaggio la rende la pubblicazione de “The Diary of Robert Hooke, M.A., M.D., F.R.S., 1672–1680” ad opera di H. W. Robinson e di Adams. W. del 1935, in cui finalmente emerge un pezzo di vita quotidiana di Hooke come quando per esempio entra in contatto con noti artigiani dell’epoca (come Thomas Tompion, l'orologiaio e Christopher Cock un costruttore di strumenti) per realizzare attrezzature per i suoi esperimenti. Il diario di Hooke, inoltre, fa spesso riferimento a caffetterie e taverne in cui egli s’incontrava con Robert Boyle, Christopher Wren, John Aubrey, Harry Hunt, persone con cui ha condiviso molti interessi e con cui ha avuto una duratura amicizia. A questo punto tocca alla storiografia contemporanea fare nuove ricerche su Hooke, a partire dal luogo della sua sepoltura, e tentare di restituire quanto dovuto a questo affascinante personaggio storico. In quanto a noi ci diamo appuntamento nella seconda parte di questo articolo per approfondire la teoria sull’elasticità. Continua...
  • 26. 2626 C redo che un approccio corretto all’analisi di un personaggio tanto complesso e multimediale deve necessariamente prescindere dalla ricerca di una poetica compositiva fondamentale, unitaria: sarebbe un errore macroscopico cercare questa portante in Munari, dal momento che la sua formatività è stata generosamente riversata in discipline molto diverse fra di loro e che il suo percorso professionale è stato costantemente condizionato dalla curiosità per tutto ciò che era innovazione tecnologica e tormentato da una sete d’arte che è finita solo con la sua scomparsa. Sicuramente il punto di partenza di questo percorso è stato il futurismo, ma il futurismo di Munari era sentitamente e rigorosamente tale? L’adesione di Munari al Movimento Futurista non è piuttosto ludica che sentitamente ideologica! Il futurismo “munariano” infatti sembra essere più una via di mezzo tra una palestra e un laboratorio, quasi un luogo dell’anima in cui le cognizioni di disegno meccanico, apprese per lavoro, si fondono con quelle del disegno artistico e della pittura, appresi per puro diletto, e in cui giocare con geometrie, caratteri, colori alla ricerca di uno stile nuovo, unico e personale. C’è poi da chiedersi con quale Munari si stia avendo a che fare mentre si osserva la sua “Macchina Aerea”, del 1930, o le Macchine Inutili realizzate successivamente con lo stesso sentire... Le parole sono importanti: quando un artista utilizza un aggettivo come “Inutili”, riferendolo alla parola “Macchine”, si può ancora definire “Futurista”? Sicuramente è un momento di rottura col futurismo e potrebbe apparire addirittura un gesto dadaistico (la giocosità del NULLA) se non fosse sorretto da un forte messaggio costruttivo: «Ma più che altro io penso che quello da considerare sia il passaggio di una forma, che ha delle dimensioni, attraverso una metamorfosi, come fluida, per diventare un’altra, allora non si ha più una forma definita ma un momento di passaggio da una forma ad un’altra, e questo è soltanto riconoscibile attraverso il movimento». (*) Una dichiarazione questa che potrebbe apparire per un momento quasi come la poetica Alla ricerca delle poetiche di Munari II ed ultima puntata di Salvio Giglio Un artista “normale” ha una sua poetica specifica, al massimo due… In Bruno Munari no! È inutile cercare in Munari un denominatore comune capace di risolvervi la vostra ricerca di storia dell’arte in dieci minuti, magari da Wikipedia! Se siete alle prese col maestro vi tocca rimboccarvi le maniche e sudare le famose 7 camicie: avrete a che fare con una galassia di materiale, perché questa è la produzione di Munari. La sua anima ha narrato in forme molto diverse fatti, materie, tempi e uomini e questo impiegando LINGUAGGI sicuramente NON CONVENZIONALI...
  • 27. 2727 stessa di Munari, sempre a patto che egli fosse stato un artista “normale”. Tracce di questa sua visione di arte in movimento sono riscontrabili, in un modo o in un altro, nella quasi totalità della sua produzione anche se ogni suo lavoro è realmente un capitolo a sé stante. Una sicura invariante compositiva, che accomuna tutti i lavori di Munari, è l’attenta e minuziosa analisi morfologica e temporale di ciascun oggetto rappresentato: gli elementi delle sue composizioni vengono inquadrati nel momento della loro transizione, da una forma all’altra, conservando in qualche modo nel movimento la loro fisicità. Nel giovane Munari la sua ricerca artistica, anche se appena cominciata, è già pregna della modernità del suo tempo. Munari comincia a raccontare il suo tempo con ironia e leggerezza attraverso opere che si rivelano una sintesi raffinatissima di arte e conoscenza tecnologica, come l’installazione Concavo-convesso del 1947. Su questa direzione, nel 1948, fonda il Movimento Arte Concreta insieme ad altre tre anime belle di quel periodo: Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati. Il MAC rappresenta il trionfo del concetto di multimedialità per Munari: il Movimento rispondeva alle istanze dell’astrattismo italiano proponendo nuovi strumenti di comunicazione da affiancare alla pittura tradizionale ed era in grado di dimostrare al mondo dell’arte, e a quello dell’imprenditoria, che una fusione tra arte e tecnica era realmente praticabile. Negli anni ‘50 nel nostro Paese si attua una vera, profonda, radicale rivoluzione: si trasforma l’economia, cambia la società e, di conseguenza, i comportamenti e i modelli di vita degli italiani; Milano è il lŏcus ove tutto ciò si realizza prima che altrove e, proprio qui, Munari incarna la figura dell’Art Director, che diventa sempre di più supporto vitale per il commercio e l’industria. Sempre a Milano, nel 1950, inventa la pittura proiettata impiegando composizioni astratte custodite tra i vetrini da diapositiva mentre nel 1952 scompone la luce avvalendosi di un filtro Polaroid e realizza così la pittura polarizzata. Sempre nello stesso anno, Munari scrive il Manifesto del macchinismo, un testo pieno d’ironia in cui l’uomo si prende cura delle macchine, quasi fossero animali domestici, fino a diventarne del tutto schiavo. In questa suggestiva visione Munari vede gli artisti come i salvatori del genere umano che, dopo aver rinunziato al loro ruolo da protagonisti e abbandonati tela, colori e scalpello, cominciano a lavorare collettivamente realizzando opere d’arte attraverso progetti ben definiti, “distraendo” le macchine dal loro lavoro razionale e facendole diventare così "inutili". Da queste idee nasce un movimento artistico che trova la sua ufficializzazione in un’esposizione, tenutasi nel 1962 presso la sede Olivetti di Milano, in cui viene proposta la rassegna "Arte programmata". È proprio per quest’occasione che Bruno Munari, insieme a Giorgio Soavi, conia il termine che darà il nome al movimento. L’Arte programmata trova fondamento in quella corrente artistica nata negli anni ’20 del Novecento, chiamata Arte cinetica, che teorizzava l’introduzione di particolari di un’installazione artistica dotati di movimento o che riuscissero ad esprimerlo, pur nella loro assoluta staticità, attraverso effetti visivi e/ o deformazioni plastiche. Contaminazioni di arte cinematica le troviamo anche nel Futurismo: penso inevitabilmente ad Umberto Boccioni e alla sua scultura “Forme uniche della continuità nello spazio”, una vera icona del movimento futurista esposta al MoMA di New York. Ecco perché resto convinto che, se da un verso, Munari abbia in parte scherzosamente contestato il futurismo proprio perché era una corrente artistica troppo legata al mondo delle macchine, dall’altro abbia mutuato da esso la concezione della tecnica e del dinamismo. Il lettore non dimentichi che la propagazione di quest’ultimo concetto, celebrazione artistica inconscia del Relativismo di Einstein, si tramutò in una serie di felici realizzazioni artistiche. Condusse Munari all’Arte programmata. Favorì lo sviluppo dell’Optical Art, approfondendo l'esame dell'illusione ottica bidimensionale, con i primi esperimenti cinetici realizzati dagli artisti Richard Anuszkiewicz, Bridget Riley, Julio Le Parc e Victor Vasarely, nei cui lavori l'artificio ottico è sagacemente studiato in ogni minimo dettaglio. Guidò Jean Tinguely alle sculture cinetiche, Alexander Calder alle installazioni mobili, Gianni Colombo alle prospettive mobili Getulio Alviani alle "superfici a testura vibratile" e l’elenco potrebbe continuare. Denominatore comune di tutte queste manifestazioni artistiche è il rapporto attivo che si innesca fra spettatore e opera d’arte: essa diventa in qualche modo “viva”, cangiante, capace di modificarsi autonomamente o al variare del punto di vista di chi la osserva. Munari e la scrittura Se la smaterializzazione dell’oggetto artistico è stato il tema dominate della produzione visuale del maestro, molto concreta invece sembra essere la sua scrittura. Nella scrittura di Munari convivono talvolta simultaneamente almeno tre anime: quella dello scrittore, quella
  • 28. 2828 dell’illustratore e quella del grafico editoriale; la coscienza derivante dalla fusione di questi distinti punti di vista suggerisce, per pratica intellettuale e professionale, la definizione stessa di libro: «è un oggetto che delimita un blocco di spazio. Per attraversare questo spazio occorre sfogliare le pagine dalla prima, che sta dietro la copertina, fino all'ultima. Ci si mette un certo tempo ed è come una passeggiata nella neve. Per entrare in questo spazio bisogna aprire la copertina, che è come una porta che permette l'attraversamento del libro.». (*) Se il libro è un blocco di spazio significante, al contenuto significato ci pensa Munari seguendo, di volta in volta, un filone poetico specifico: quello dei libri per ragazzi, quello dei libri illeggibili, quello della saggistica artistica, quello della manualistica dedicata alla prima infanzia, quello della grafica editoriale, ecc. Munari ha scritto 130 libri: 130 piccole deliziose opere d’arte di cui ha curato dettagliatamente scrittura e contenuto visuale estendendo il concetto di multimedialità ad un oggetto universalizzato e storicizzato qual è il libro. Più segnatamente l’idea di Munari per questo eccezionale ed insostituibile contenitore di messaggi è che esso deve poter comunicare: «per forme e colori, per sequenze, per materie (alcune pagine semitrasparenti possono dare l'idea della nebbia, oppure pagine lisce e pagine ruvide, oppure molli e rigide...). È un libro di comunicazione plurisensoriale, oltre che visiva.». (*)       1, disegno di macchina inutile, 1937 pubblicata su Arte come mestiere, Laterza. 2, disegno per macchina inutile realizzata in le- gno dipinto, 1939 pubblicato sul volume di A. Tanchis Bruno Munari, Idea Books, p.37. 3, macchina inutile 1945– 1995, particolare. 4, schema progettuale con misure della macchina inutile del 1937 pubblicato sul libro Arte come mestiere, Laterza. 5, macchina inutile, 1934 collezione Galleria d'arte moderna, Roma. 6, macchina inutile 1934 ottenuta da una zucca
  • 29. 2929
  • 30. 3030
  • 31. 3131 Progettare una CASA In questa seconda fase si produce la documentazione necessaria per ottenere il rilascio dell’atto autorizzativo. Per ‘rilascio‘, si intende sia l’effettivo ottenimento di un ‘permesso‘, come il Permesso di Costruire, sia la presentazione di una denuncia/segnalazione, alle quali non segue il rilascio di alcun provvedimento. Il progetto realizzato in questa fase è indicativo, infatti si chiama Progetto di massima. Progetto: documentazione di base Compilazione del modello per la domanda/segnalazione dell’intervento edilizio; disegno e stampa degli elaborati grafici contenenti gli elementi previsti dal Regolamento Edilizio, e della relazione tecnico descrittiva dell’intervento. Barriere architettoniche: elaborati grafici; relazione descrittiva; dichiarazione asseverata. Impianto fognario: progetto impianto e parere dell’ufficio/ente preposto. ISTAT: compilazione del modello statistico. Rilievo fotografico. Ottenere parere igienico sanitario A.S.L. o allegare autodichiarazione. Compilazione e firma di numerose dichiarazioni di esclusione da particolari adempimenti. Sicurezza: il D.U.R.C. Presa in consegna di: Documento Unico Regolarità Contributiva (D.U.R.C.), dichiarazione dell’organico medio annuo, della visura camerale, della dichiarazione del committente di aver verificato l’idoneità e la regolarità dell’impresa esecutrice. Questi documenti sono obbligatori anche per piccoli interventi dove non sia obbligatoria la nomina del Coordinatore per la Sicurezza, e non siano quindi obbligatori il P.S.C e la Notifica Preliminare. È quindi obbligatorio produrli anche se interviene un’unica impresa. Se mancano questi allegati, l’Amministrazione rifiuta la pratica, o ne sospende l’efficacia. Le imprese non possono essere irregolari! Sicurezza: lavori in quota La Regione Veneto, con Delibera di Giunta Regionale n. 2774 del 22 settembre 2009, ha introdotto l’obbligo delle ‘Misure preventive e protettive da predisporre negli edifici per l’accesso, il transito, e l’esecuzione dei lavori di manutenzione in quota, in condizioni di sicurezza‘. La disposizione è stata poi aggiornata con la Delibera della Giunta Regionale n. 97 del 31 gennaio 2012. È in sostanza il progetto di sistemi fissi, ai quali gli operai si agganceranno durante le manutenzioni future. La disposizione si applica nelle nuove costruzioni, o nelle ristrutturazioni che prevedono il rifacimento completo del tetto. Pareri complementari Pratica per l’ottenimento del parere (favorevole) di uno o più Enti/Settori competenti: soprintendenza Beni Culturali e/o Ambientali; enti Parco; infrastrutture quali Ferrovie/ Autostrade/Anas; zone particolari di tutela; igiene edilizia; eccetera. Ognuno di questi pareri è una pratica a se stante, con un proprio costo relativo. Tali pareri devono essere prodotti prima del rilascio del Permesso di Costruire, o allegati subito alle D.I.A.-S.C.I.A.. Raramente possono essere necessari più di uno o due di tali pareri, per lo stesso intervento edilizio; si indicano quindi frequenza e incidenza costi, riferiti mediamente a una singola pratica. Continua II puntata di Antonio Martini “Fase 2: l’atto autorizzativo”“Fase 2: l’atto autorizzativo”“Fase 2: l’atto autorizzativo”
  • 32. 3232
  • 33. 3333 Dati geografici e vita quotidiana La geomatica è una disciplina nuova risalente ai primi anni ’80 dello scorso secolo. Le sue implicazioni operative sono tantissime: dai navigatori satellitari alle stazioni STM, dalla guida dei droni alla consegna delle merci, dagli smartphone alle app per visitare un museo semplicemente passandoci accanto. Nella progettazione poi i suoi campi di applicazione permettono di valutare una serie di parametri che vanno dal soleggiamento all’impatto ambientale… Ed è solo l’inizio! S ono passati giusto sei lustri, lo scorso 30 aprile, da quando il nostro Paese fece click e si collegò per la prima volta a quella che poi sarebbe diventata la più importante, imponente e complessa dorsale di comunicazioni planetaria della storia: internet. All’epoca pochi immaginavano che questa novità avrebbe favorito, in un tempo brevissimo per la storia, la diffusione dell’informatica e di dispositivi digitali di varia tipologia, tra le cui specializzazioni troviamo anche l’interazione immediata col territorio attraverso l’elaborazione di Informazioni Geografiche, o IG. Le IG sono l’insieme di dati digitali relativi ad una porzione di territorio che consentono di ottenere istantaneamente delle informazioni su di esso attraverso la rete e/o software specifici. Questa tipologia di dati si avvale del concetto di georeferenziazione, cioè l'attribuzione a un dato di un'informazione relativa alla sua dislocazione geografica; tale posizione è espressa attraverso un particolare sistema geodetico di riferimento. Un esempio di impiego di IG può essere quello classico di un nostro vecchio amico che ha cambiato casa da poco e che ci invita a pranzare da lui. Tra una parola e l’altra ci lascia il suo nuovo indirizzo, senza darci però troppi dettagli su come raggiungerlo nel nuovo quartiere in cui si è trasferito. E che problema c’è?! Andiamo su Google, scriviamo il suo indirizzo nella casella di ricerca e, pochi secondi dopo, ecco comparire in cima alla lista della pagina dei risultati una miniatura della mappa con l’indirizzo che stavamo cercando indicato dal segnaposto rosso… Non finisce qui! Da Google Maps poi, possiamo anche ottenere informazioni estremamente dettagliate sul tragitto da fare, semplicemente indicando il punto di partenza (casa nostra) e quello di destinazione finale (casa del nostro amico): la piattaforma ci indicherà prontamente il percorso più breve da seguire sia che preferiamo spostarci a piedi, in auto o con i mezzi pubblici. A questo si aggiunga la possibilità visitare virtualmente, con delle elaborazioni fotorealistiche, I puntata di Salvio Giglio
  • 34. 3434 l’intero percorso in modalità Street View, comodamente seduti dietro al nostro PC. Questo è solo un piccolo esempio di impiego di dati georeferenziati scaturiti dalla meravigliosa fusione avvenuta da qualche decennio a questa parte tra geografia ed informatica. Non parliamo poi, solo per il momento, degli sviluppi che questa fusione ha portato nel mondo della progettazione, dei trasporti, dell’analisi sociale e geopolitica: sulla rete tutto ciò è già una piacevole realtà, in termini di portali ed applicazioni, da far “girare” su qualsiasi tipo di dispositivo compatibile. Il motivo di questo successo delle IG è da rintracciare principalmente in due fattori che si accompagnano ad esse:  la semplificazione decisionale nei processi di pianificazione ed analisi legati al territorio;  il loro grande potenziale economico. Per quest’ultimo punto potete gettare un occhio sulla Direttiva Europea sul Riuso dell'Informazione del Settore Pubblico (PSI). Purtroppo però, a prescindere dall’innata curiosità suscitata dallo sviluppo della geografia digitale, nel Vecchio Continente questa materia non è ancora del tutto disciplinata. Cosa blocca lo sviluppo dell’IG? Sorprendentemente, nonostante siano oramai più che noti gli innumerevoli benefici derivanti dall’impiego dell’IG e il ruolo strategico assunto da essa in tantissimi ambiti professionali, Italia ed Europa non riescono ancora a superare due gravi handicap che ne rallentano la diffusione:  il formato e la struttura dei dati non sono ancora del tutto standardizzati e condivisi comunitariamente;  la mancanza di un’omogenea identità culturale ed istituzionale comunitaria determina, anche in questo caso, una frammentazione nella produzione e gestione dei dati territoriali. Tutto ciò è causato, per quanto possa sembrare paradossale, dagli svariati Enti (generalmente pubblici) che amministrano i dati territoriali: sono i primi responsabili del blocco alla condivisione e all’accesso delle IG. L’utente finale si trova così innanzi ad una situazione notevolmente confusa:  La creazione e distribuzione dei dati ad opera di più soggetti determinano difficoltà di condivisione,riusoed integrazione.  Formati ed applicazioni in continuo aumento.  La mancanza di un accesso sistematico e indicizzato alle risorse di dati causa frequentemente doppioni che aumentano notevolmente il caos. Il modo migliore per districarsi in questo marasma generale è sicuramente quello di conseguire autonomamente delle conoscenze sulle varie modalità di Mamma mia! A me serve solo una cartina stradale! Che CAOS!
  • 35. 3535 acquisizione di dati geografici e scegliere il sistema che con maggiore facilità ci permetta di impiegarli per i nostri studi, il nostro lavoro o i nostri hobby! Detto questo occupiamoci adesso della disciplina che ha per argomento l’elaborazione digitale degli elementi geografici: la Geomatica. Una definizione di Geomatica E’ il geometra franco-canadese Michel Paradis ad aver coniato nel 1981 il termine scientifico geomatica, in un articolo pubblicato su The Canadian Surveyor, in cui spiega che: “alla fine del XX secolo, la necessità di ottenere informazioni geografiche raggiungerà una portata senza precedenti nella storia. Proprio per rispondere a queste esigenze, si è reso necessario integrare in una nuova disciplina sia le materie tradizionali della topografia e del territorio con nuovi strumenti e tecniche di cattura, manipolazione, stoccaggio e diffusione dei dati geografici”. Dall’articolo di Paradis si ricava quindi che geomatica è: “l'insieme delle tecniche e degli strumenti di rilevamento ed elaborazione che permettono di trattare i dati e l'informazione di tipo geografico per via informatica.”. Nella prima parte della nostra definizione sono citate indirettamente le branche principali della geomatica:  Analisi spaziale/ Spatial Analysis  CartografiaWeb/Web Mapping  Fotogrammetria/ Photogramm etry  Geodesia/ Geodesy  GIS  Sistemi globali di navigazione satellitare/ Global Navigation Satellite Systems  Telerilevamento/ Remote Sensing Topografia/Topography Sono proprio queste, infatti, a costituire i principali strumenti per la produzione, la manipolazione e lo sfruttamento di dati geografici. Di ciascuna di esse tratteremo, più o meno diffusamente, in questa serie di articoli il cui intento è quello di presentare a voi lettori i rudimenti e le potenzialità associate a questa nuova disciplina, già strettamente relazionata con il CAD e la modellazione 3D. Attraverso una serie di tutorial vi spiegheremo anche il modo più semplice per farvi produrre velocemente mappe professionali in 2 e 3D… Quindi: stay tuned with us! Continua... A sinistra, Michel Paradis in una foto del 1995; a destra, una copia di Geomatica, il magazine del Canadian Institute of Geo- matics
  • 36. 3636
  • 37. 3737 Simulazione computazionale del cuore: un nuovo strumento per salvare vite umane Natalia Alexandrova Trayanova, ricercatrice presso il Johns Hopkins Institute for Computational Medicine e direttrice del Dr. Trayanova’s Computational Cardiology Lab, riesce a costruire con il suo team un modello computerizzato del cuore umano, personalizzato per ogni individuo, che i medici possono utilizzare per studiarne le patologie e per simularne la risposta ai trattamenti terapeutici. N egli ultimi dieci anni g l i i n g e g n e r i biomedici hanno imparato ad utilizzare modelli numerici per realizzare “organi virtuali” sempre più sofisticati, e rapidi sviluppi in ambito di simulazione cardiaca hanno fatto del cuore virtuale, ad oggi, il modello più completo di tutti. È una replica complessa, in quanto deve simulare il funzionamento del cuore dalla scala molecolare, alla scala cellulare, fino al livello di tutto l’organo e del tessuto muscolare dove si espande e si contrae ad ogni battito cardiaco. È necessaria, inoltre, una stretta integrazione tra tutti questi livelli per descrivere con precisione le interazioni di feedback costanti che governano le funzioni del cuore. I ricercatori del Dr. Trayanova’s Computational Cardiology Lab, alla Johns Hopkins University, fanno proprio questo: realizzano modelli per simulare il comportamento del cuore di singoli pazienti, fornendo supporto ai cardiologi nell’attuare trattamenti salva- vita. Tali modelli hanno già dimostrato il loro valore per la ricerca di base in ambito cardiologico, permettendo agli scienziati di studiare ciò che accade sia nei cuori sani che in quelli affetti da diverse patologie. I cuori virtuali sono ora pronti a rivoluzionare i trattamenti sui pazienti: grazie ad essi i cardiologi potranno migliorare le terapie, ridurre al minimo l’invasività delle procedure diagnostiche e inaugurare un nuovo tipo di assistenza sanitaria personalizzata con costi ridotti e risultati sorprendenti. A partire da una semplice risonanza magnetica, infatti, gli specialisti in cardiologia computazionale oggi possono costruire un modello del cuore personalizzato, con cui i cardiologi possono i n t e r a g i r e , s e r v e n d o s i di stimolazioni virtuali per potern studiarne le risposte ed i relativi disturbi: un’operazione assolutamente impensabile da eseguire alla leggera su un cuore reale! Ruolo dei modelli nel supporto alle decisioni Attualmente i cardiologi stabiliscono se procedere o meno di Francesca Albano “Un poeta può sostene- re che il cuore di ogni essere umano sia un mistero unico: chi lavora nel nuovo campo della medicina computazio- nale, tuttavia, riesce a modellare ognuno di quei cuori unici con mirabile pre- cisione e a rivelare i loro se- greti. “ Natalia Trayanova
  • 38. 3838 Francesca Albano Studentessa di Ingegneria Biomedica presso il Politecnico di Torino. Nutre una forte passione per la tecnolo- gia, non solo in campo medico. Notizie sull’ autore Due video in cui la Trayanova espone la sua visione sulle potenzialità della simulazione computazionale e sulla rappresenta- zione di funzioni e disfunzioni nel modello cardiaco. Nel dettaglio, in alto a destra, una risonanza magnetica del cuore di un paziente; in basso a sinistra un modello di tessuto cicatriziale che determina l’andamento elettrico dei segnali che transitano attraverso il cuore
  • 39. 3939 con un intervento al cuore (trapianto o impianto di p a c e m a k e r ) b a s a n d o s i sulla frazione di eiezione del paziente: se risulta inferiore al 35%, i medici consigliano al paziente di sottoporsi all’intervento. Sono molti gli interventi predisposti sulla base di questo criterio, ma già nel primo anno dopo l’intervento, il 5% dei pazienti mostra una tendenza a sviluppare aritmie ventricolari. È evidente, da un lato, che molti pazienti rischiano complicanze chirurgiche (infezioni, guasti dei dispositivi) i n u t i l m e n t e , p e r c h é p r o b a b i l m e n t e n o n rappresentano la soluzione ottimale per il loro cuore. I pacemaker impiantati e i relativi elettrodi che monitorano il cuore, infatti, possono presentare malfunzionamenti: si corre il rischio che si inneschino shock pericolosi, perché ricevere una scossa del genere è come ricevere calci al petto da un cavallo, e i pazienti a volte perdono conoscenza, il che potrebbe rivelarsi mortale, ad esempio, se sono alla guida. È importante, dall’altro lato, notare che la frazione di eiezione non è in generale un buon indicatore per il rischio di aritmie: continuano a verificarsi, infatti, molti casi di pazienti che, sebbene abbiano frazioni di eiezione abbastanza elevate e non soddisfino dunque i criteri attuali per la predisposizione di un intervento, muoiono per arresto cardiaco improvviso, spesso nel pieno della loro vita. Realizzazione di un modello di cuore virtuale Per essere clinicamente utile, il modello deve rappresentare l’anatomia unica dell’individuo. Si parte perciò dalla risonanza magnetica del paziente (MRI) o dalla tomografia computerizzata (TC), da cui si ottengono immagini che rappresentano “fette” di cuore. Si usano tecniche di elaborazione delle immagini per identificare il tessuto muscolare nelle pareti delle camere del cuore e per mappare il tessuto cicatriziale della regione di cuore danneggiata. Si prosegue utilizzando queste informazioni per costruire un modello geometrico e infine ci si serve delle immagini ottenute per stimare l’orientamento delle fibre muscolari, che determinano come i segnali elettrici si propagano attraverso il tessuto. Una volta ottenuta la struttura geometrica specifica del paziente, si sovrappone ad essa un modello computazionale di un cuore generico per identificarne il funzionamento interno. Bisogna rappresentare l’attività a livello cellulare e molecolare, in cui gli scambi ionici attraverso le membrane delle cellule cardiache innescano le contrazioni e le correnti fluiscono da cellula a cellula. Il risultato è un modello di cuore personalizzato che può essere paragonato a Google Earth: Simulazioni di segnale elettrico che può causare un arresto cardiaco
  • 40. 4040 “Pensare ad esso come “Google Heart” ci permette di aumentare e diminuire il livello di dettaglio, così da poter esaminare gli aspetti fisiologici anche a livello di tutto l’organo”, sostiene la dottoressa Trayanova. Ulteriori applicazioni Questo modello di cuore virtuale può essere utilizzato anche per a l t r e a p p l i c a z i o n i i n ambito cardiologico. La Trayanova ed il suo team, infatti, stanno testando la prima applicazione clinica dei loro modelli in pazienti che hanno sviluppato una forma di tachicardia ventricolare che può risultare molto pericolosa. L’intenzione è quella di c o s t r u ir e u n m o d e l l o tridimensionale del cuore con il quale poter esaminare le “stranezze” strutturali e le aree specifiche di tessuto morto che causano le interferenze elettriche, ed eseguire quindi alcuni test sul modello ottenuto, per analizzare tutte le possibili aritmie che potrebbero svilupparsi nel cuore, e per individuare così il tessuto responsabile degli impulsi elettrici difettosi. Dopodiché il medico, grazie ai risultati ottenuti dai test e dalla simulazione, sarebbe in grado di distruggere la minima quantità di tessuto necessaria per eliminare il problema. Questo metodo permetterebbe sicuramente di abbreviare in modo significativo le varie procedure che i medici devono eseguire e di ridurre e s p o n e n z i a l m e n t e l e complicanze, ottenendo così un aumento del tasso di successo in questa tipologia di interventi. Risultati dell’impiego di modelli di cuori virtuali Il primo studio retrospettivo alla Johns Hopkins è stato promettente: sono stati realizzati modelli di cuore per circa 40 pazienti che avevano subito attacchi cardiaci e che si erano sottoposti ad un intervento chirurgico per impiantare un pacemaker. Attraverso le simulazioni dei cuori virtuali, si è previsto che, nei 5 anni successivi all’intervento, l’85% dei pazienti avrebbe sviluppato aritmie, mentre la percentuale prevista dal metodo basato sulla frazione di eiezione era pari solo al 51%: il follow-up di questo gruppo di pazienti alla fine ha dato ragione alle prime previsioni. Per convalidare definitivamente questo metodo ed ottenere il via libera per l’utilizzo in ambito clinico, il team della T r a y a n o v a s t a o r a realizzando cuori virtuali personalizzati per pazienti che hanno subito un attacco cardiaco dopo l’intervento e che presentano una frazione di eiezione maggiore del 35%, dunque non esposti a gravi rischi di aritmie secondo il metodo di previsione standard. Le raccomandazioni cliniche per questi pazienti sono davvero molto scarse, ma il team è in grado di gestire le simulazioni ed effettuare previsioni. Tessuto cicatriziale del cuore Modello 3D raffigurante anatomia del cuore Orientamento delle fibre muscolari Questo articolo è originariamente apparso in stampa come “Your Personal Virtual Heart” Photos: Johns Hopkins University/Heart Rhythm
  • 41. 4141
  • 42. 4242
  • 43. 4343 Il percorso per “diventare architetti” è un’esperienza assolutamente soggettiva: è paragonabile ad un complesso mosaico composto da centinaia e centinaia di tessere prodotte dal vissuto specifico dell’aspirante autore. Il “mestiere” d’architetto è quindi un’attività in continuo divenire che, più di altre, necessita della vita stessa dei suoi artefici dal momento che frutto della sua produzione è proprio la sedimentazione di esperienze “immediate” e “irriflesse” che riguardano la loro stessa, indistinta, corporea oggettività e tutto ciò che, di “esterno”, ruota intorno ad esse. In definitiva, proprio per questo motivo, ogni progetto finisce col rappresentare ed esprimere sempre, ed in ogni caso, la coscienza tutta dei suoi autori, “pulita” o “sporca” che essa sia. Simone Paganelli I n cerca di tue info per preparare quest'intervista mi imbatto, sul tuo blog "Prima della pioggia: collezione di opere di Simone P.", in questa tua criptica affermazione: "Sono un sopravvissuto e, come tutti i sopravvissuti, non voglio raccontare la mia storia.". Ok, sorvoliamo sulla tua storia!, ma almeno ci parli della tua passione per il disegno e la progettazione? Quando hai deciso che la matita sarebbe diventata un'ulteriore modalità con cui raccontare esperienze del vissuto quotidiano? In realtà quella è una vecchia pagina che non curo più. Mea Culpa. Prendendo in prestito la formula di Camilleri “mi sono fatto persuaso” che in questi tempi saturi di personalismi e di dominio dell’io-io-io non sia indispensabile unirsi al coro dei presenzialisti col proprio esercizio di autopromozione. Ché spesso è un esercizio vacuo. Si è detto, ad esempio, che l’architettura di Mies Van Der Rohe “parla da sola”: è un bel concetto che si può allargare a tutte le forme d’arte. E in definitiva ho sviluppato un approccio schivo che cozza un po’ coi tempi che corrono, d’altra parte il mio cineasta preferito è Eric Rohmer, non proprio effetti speciali e supereroi. Scherzi a parte, provo a sviluppare un ragionamento. Credo che l’arte non debba palesarsi eccessivamente, bisogna lasciare lo spazio al fruitore che deve completarla. Altrimenti avremmo frainteso molte delle conquiste intellettuali dell’ultimo secolo. Se si vuole volare ancora più in alto: è un’idea di armonia che si può far risalire alla Grecia classica e l’aveva compresa bene Lessing che nel suo Laocoonte esaltava la smorfia appena accennata dell’eroe, pur nella tragica disperazione del momento. Mi pare una metafora efficace di come l’arte debba suggerire e non rivelare. Mi piace che l’arte sia il luogo del dubbio, non della verità. Sono uscito un po’ dai confini della tua domanda, ma mi premeva affermare un principio che è anche una dichiarazione di intenti, più o meno consapevole. Per quanto riguarda la matita direi che ci ho fatto amicizia quando ero molto piccolo, per colpa di Topolino: volevo disegnare come Giorgio Cavazzano, che ovviamenteèungenio di proporzioni rinascimentali nella mia mente. di Salvio Giglio
  • 44. 4444 Osservando i tuoi lavori si capisce che hai una particolare predilezione e un notevole talento per il disegno a mano libera… Al computer come cominci un progetto? Parti direttamente con i volumi in 3D o preferisci la progettazione classica in 2D? Sorvolo sulle lusinghe. Ho sempre prediletto il disegno a mano libera a quello tecnico. Anzi, detestavo le “squadrette” che ho dovuto rispolverare all’esame di stato. E a dire il vero anche lì ho disegnato a mano libera. Infinitamente più comodo e funzionale allo scopo (consiglio per i futuri colleghi, non perdete tempo con la precisione, la maturità del candidato salta fuori anche con uno scarabocchio!). Più in generale Il disegno a mano libera e il disegno al computer possono e devono rimanere spazi permeabili perché costituiscono una corrispondenza biunivoca che può generare incessantemente idee. Quindi non ho una gerarchia rigida. L’esperienza dovrebbe portare poi a gestire una massa di dati che, proprio grazie alla tecnologia, è diventata negli anni sempre più imponente e ad evitare quella compartimentazione stagna che diventa una trappola all’interno di un processo creativo. In effetti credo che il buon progettista sia proprio colui che riesca ad avere visione d’insieme e capacità di sintesi. Un saggio demiurgo, si potrebbe dire. Il 2D, il 3D a mano o al computer costituiscono un flusso di lavoro elastico: un disegno può partire dall’interno verso l’esterno e viceversa, almeno nel mio approccio solito. Quando affermi che: "(...) la mia pratica è aperta alla contaminazione tra le diverse discipline: Architettura, Pittura, Designeverything, Scrittura...", alla fine racconti una parte significativa della tua storia. Sei alla ricerca di una tua poetica che faccia da denominatore comune a tutte queste discipline o cerchi per ognuna di esse una poetica specifica che, in una visione d'insieme, racconti in qualche modo Simone P.? Mi rifaccio alla visione ottocentesca di un’arte totale ma con l'ego tragicomico e disintegrato dell'uomo del Novecento. Con tutta l’ironia del caso! Trovare le connessioni è, in astratto, un esercizio connaturato alla progettazione. E l'architettura, se si vuole affermare una definizione generale, è proprio quell'arte che può contenerle tutte. In senso letterale, per la sua natura di involucro, ma anche formalmente. Un’attitudine conservatrice non paga in questo
  • 45. 4545
  • 46. 4646 campo, io credo. Ovvero, ben venga ogni genere di contaminazione: la sintesi arriverà per sottrazione, se non altro. Da quale percorso di studio sei approdato alla Facoltà d'Architettura? Sono passato per il liceo scientifico Innocenzo XII di Anzio. E, dopotutto, ho amato la scuola pubblica e la vivacità intellettuale di quei 5 anni in cui si sono alternati moltissimi professori giovani e appassionati che, nonostante le loro nomine annuali, hanno saputo regalare con generosità i loro saperi e le loro esperienze umane. Io ero un po’ quello che disegnava tutto il tempo, come Zerocalcare diciamo. Architettura poi è stata una scelta dettata dal fatto che ai miei occhi risultasse la facoltà con più armonia tra la natura scientifica e quella umanistica. Non credo affatto nella cultura della specializzazione. E in questo mi sento molto italiano. Non si devono formare tecnici ma menti complesse. In America probabilmente questa è una specie di bestemmia: loro sono figli del fordismo e della divisione del lavoro. I filosofi siamo noi. Tra i maestri dell’Architettura che hai studiato quale tra tutti ha rapito il tuo cuore e condizionato, in qualche modo, la tua progettazione? Questa è una domanda complicata. Amo il “modernismo poetico” di Alvaro Siza, è l’autore che frequento più spesso, ci torno come si fa con un caro amico. Ma tirar fuori un nome solo rasenta l’impresa: perché c’è l’essenzialismo di Chipperfield che ogni volta mi entusiasma; il brutalismo strutturale e morfologico di Rem Koolhaas; l’intransigenza poetica quasi francescana di Zumthor; la dodecafonia del primo decostruttivismo. Poi vorrei dire che non ho mai amato l’architettura scultorea di Zaha Hadid. Ma non la conosco ancora bene e la sua prematura scomparsa mi ha colpito. Di fatto fraintendevo le sue radici, pensando più al Gabinetto del dottor Caligari che non ad un’estetica profondamente legata all’universo mediorientale. Continua a non piacermi, ma ne riconosco la ricerca geniale e coerente. A distanza di anni si possono cogliere elementi incompresi, l’architettura è un’arte piuttosto subdola perché apparentemente silenziosa. Ultimamente sono molto interessato allo studio dell’architettura collettiva sovietica in contrapposizione all’individualismo capitalista dell’architettura americana. Una specie di estetica da Guerra Fredda declinata all’arte del costruire. Penso che ci sia ancora molto da recuperare-studiare- scrivere. Mi solletica l’idea di un libro illustrato, ma un tale progetto potrebbe trasformarsi in una specie di porta dell’inferno di Rodin: un’opera infinita. Quale architetto italiano contemporaneo stimi di più? Domanda figlia della precedente e altrettanto insidiosa. Adoro le piccole firm(s), come dicono gli anglofoni, Beniamino Servino, Lapo Ruffi, Cino Zucchi, la metafisica di Monestiroli e in generale rivendico la fecondità di talenti della nostra terra. Non siamo il paese per i grandi studi di progettazione. Per ragioni anche strutturali. Ma siamo sicuramente un paese che genera talenti assoluti. E questo richiederebbe analisi politiche, economiche e più in generale culturali. Mi piace fare l’esempio del cinema: a differenza degli americani il nostro cinema non è mai stato industria. La consideriamo un’arte in senso più stretto, o meglio non consideriamo l’industria come un luogo dove si può fare arte. Ci manca la cultura dello standard, purtroppo e per fortuna insieme. Così da noi più che altrove sono possibili picchi assoluti in entrambi i versi: l’atrocità di certe periferie contemporanee e l’opera somma, estemporanea, quasi casuale. La Laurea oggi sembra essere diventata quasi una formalità: “Basta che ti laurei, anche con un 66, va benissimo!”, sei d’accordo? Per quel che ti riguarda, quali aree didattiche del tuo C.d.L. ti hanno lasciato effettivamente qualcosa di spendibile nella professione? Non posso parlare di tutte le facoltà, ma sono fermamente convinto che per Architettura questo discorso non potrà mai essere valido. Progettare implica una maturità e una complessità culturale amplificata dalla sua natura interdisciplinare che appunto è intrinseca. Il fattore non è il tempo in assoluto ma il sapere in sé. Amici, assemblee, seminari, notti passate a disegnare, feste e amori: in base alla tua esperienza personale, cosa resta in termini umani del periodo universitario al di là degli esami? Appunto, con le tue parole definisci il concetto stesso di Universitas che è un processo di formazione completo e che non si limita al risultato. Il percorso è il vero senso, non l’arrivo. Ritengo questo concetto tutt’altro che banale e la sua comprensione è funzione della maturità stessa che si può acquisire solo con l’esperienza diretta. Penso ad esempio ai corsi telematici che sono un surrogato. Si perde il
  • 47. 4747
  • 48. 4848 meglio, cioè proprio quell’universalità che è la vera essenza dell’alta formazione. Poi per carità, da noi andrebbe forse rivista la questione turbolenta delle varie occupazioni, autogestioni, gruppi pseudopoliticizzati che mi sembrano più un rito stanco e sempre più privo di significato. Ciò non toglie che l'università resti un luogo privilegiato dove una mente curiosa può trovare l'entusiasmo che cerca. Come è stato il primo impatto con la professione? Con cosa hai esordito? In Italia credo il primo impatto sia ineluttabilmente traumatico. La professione è inflazionata e troppo individualista. Ognuno è geloso del proprio sapere che è inevitabilmente limitato. C’è poca cultura della condivisione e questo si vede a vari livelli e in vari ambiti. Ho iniziato (sto iniziando) con piccole ristrutturazioni di residenze private che alterno a vari concorsi per ora prevalentemente nazionali. Vorrei costruire una squadra di gente entusiasta e volenterosa di chiacchierare di filosofia applicata all’architettura: il concorso deve avere una sua componente ludica. Per tutto il resto c’è il catasto. Gettando l’occhio ai concorsi d’architettura, nazionali e non, quale tipologia progettuale ti stuzzica di più? Ho fatto mia una frase di Bob Borson (autore di un godibilissimo e fortunato blog, lifeofanarchitect.com): “there are no small projects”. Dunque, in una visione democratica dei temi d’architettura, sono convinto che sia utile sporcarsi le mani con le più svariate tipologie. “From spoon to city”, per dirla con Rogers. In generale mi sono confrontato più con le piazze e i luoghi pubblici di aggregazione finora, ma mi sforzo di eliminare tutti i freni inibitori e provare cose diverse. Un concorso che mi è sempre piaciuto è Europan, dedicato agli under 40. Si progetta su scale urbanistiche. Ne escono molte idee ambiziose e buffe. Lo consiglio praticamente a tutti, anzi chi volesse fare squadra si faccia avanti, penso di partecipare quest’anno (credo sia inizio 2017. C’è tempo), soprattutto per il gusto di confrontarsi e discutere all’infinito di massimi sistemi e utopie. Milano, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e Palermo: secondo te è ancora possibile azzardare per queste città l’applicazione del concetto di total quality management su scala urbana? Ecco, non lo so. La città è un tema totale e si deve ancora capire la città contemporanea. Il concetto stesso di periferia è relativamente giovane. E per di più la città italiana è una città stratificata che si trova ad affrontare ostacoli diversi dalla città americana che è il punto di partenza di quest’approccio… da certificazione ISO. Mi perplime l’idea di ridurre la città ad un’azienda. Il pragmatismo d’altronde è proprio della cultura d’oltreoceano. La nostra è una città metafisica, la loro è una città per produrre. Questo non vuol dire che non sia possibile migliorare le nostre vetuste e gloriose città, ma attenzione ad applicare pedissequamente modelli nati in altri contesti per foraggiare un modello puramente consumistico. Vale il caso per caso di Cesare Brandi piuttosto, specie nella vecchia Europa. Il patrimonio architettonico, monumentale e paesaggistico italiano è realmente tutelato? Cosa ne pensi delle sempre più frequenti iniziative intraprese dalle amministrazioni locali di trasformare svariati monumenti nazionali in discoteche estemporanee? Penso agli Uffizi affittati per una festa privata, al Castel Sant’Elmo di Napoli che ospita raves e nottate danzanti con musica udibile a Km di distanza… Siamo destinati a diventare la Las Vegas del vecchio continente? Qui si sconfina nello studio sociologico. Che è un parente dell’architettura in senso ampio. La museificazione del centro, l’entertainment, l’effimero. Sono parametri che si sono aggiunti arricchendo la naturale complessità dell’habitat urbano. Visto che citi Las Vegas mi permetto di suggerire il sempre stimolante libro di Robert Venturi: “Imparare da Las Vegas” scritto nei primi anni settanta e che si occupa proprio di questi mutamenti quasi antropologici con una brillantezza che è propria dell’autore. Insomma, non si può prescindere dalla comprensione profonda delle mutate condizioni dell’uomo contemporaneo. E, ripeto, il modello della città ipercapitalista non è un prodotto della nostra cultura anche se ovviamente le culture sono permeabili e si influenzano a vicenda in una sorta di bilanciamento termodinamico- sociale: magari in America è stato possibile esaltare l'effimero fino a farne il paradigma del progresso (Delirious New York di Koolhaas parla di questo) da noi il fenomeno si è mitigato per ora limitandosi ai grandi shopping mall che gravitano intorno ai centri. Ma è un fenomeno tutt'ora evidentemente in atto e serviranno prospettive storiche. Certamente quella architettonica è una delle discipline invitate al ballo. Cosa ti fa incazzare di più, architettonicamente parlando, mentre sei in giro per la tua città?
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