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1
Seconda Università degli Studi di Napoli
Dipartimento di Economia
Corso di Laurea in Economia Aziendale
TESI DI LAUREA
IN
ANALISI ECONOMICO-FINANZIARIA D'AZIENDA
Avviamento: principali criticità dell'attuale trattamento
contabile
2
INDICE
INTRODUZIONE.........................................................................................4
CAPITOLO 1
COS’È L’AVVIAMENTO ...........................................................................7
1.1 IL CONCETTO DI AVVIAMENTO .....................................................8
1.2 LA VALUTAZIONE DELL’AVVIAMENTO ....................................12
1.2.1 CAPITALE NETTO ..........................................................................13
1.2.2 CAPITALE ECONOMICO ...............................................................15
Metodi diretti...............................................................................................16
Metodi indiretti............................................................................................20
E.V.A........................................................................................................... 27
Ulteriori considerazioni............................................................................... 32
1.3 I MOTIVI PER VALUTARE L’AVVIAMENTO............................... 32
CAPITOLO 2
TRATTAMENTO CONTABILE ATTUALE ........................................... 38
2.1 PREMESSA.......................................................................................... 38
2.2 L’AVVIAMENTO ACQUISITO E QUELLO INTERNAMENTE
GENERATO ...............................................................................................39
2.3 LA RECOGNITION DELL’AVVIAMENTO...................................... 43
2.4 TRATTAMENTO CONTABILE SUCCESSIVO ............................... 53
2.5 DISCLOSURE...................................................................................... 63
3
CAPITOLO 3
ATTUALI CRITICITÀ............................................................................... 68
3.1 IL RUOLO DELL’AVVIAMENTO NELLA CRISI FINANZIARIA 73
3.2 CRITICITÀ DELL’IMPAIRMENT-ONLY APPROACH.................. 80
3.3 LA REINTRODUZIONE DELL’AMMORTAMENTO PER IL
GOODWILL ................................................................................................86
3.4 IL RUOLO DEL GOODWILL NEI CONFLITTI DI AGENZIA........ 97
CONCLUSIONI........................................................................................ 105
RIFERIMENTI ......................................................................................... 109
4
5
INTRODUZIONE
L’avviamento è certamente elemento in merito al quale, tutt’oggi, molti dibattiti
sono ancora aperti e lo riguardano in maniera trasversale: dal suo inquadramento
concettuale fino ai giudizi circa l’adeguatezza del suo trattamento contabile in relazione
anche alle criticità emerse dall’analisi delle evidenze empiriche. Formalmente, si tratta di
un elemento che figura in bilancio tra l’ampia categoria delle immobilizzazioni
immateriali pur presentando, rispetto alla quasi totalità degli altri elementi dell’attivo e
del passivo, la peculiarità di non essere ricollegabile ad alcun diritto giuridico, tratto che
rende l’avviamento un item non osservabile e scarsamente propenso ad una traduzione
numeraria oggettiva e, quindi, attendibile. Trattasi, inoltre, di elemento la cui rilevanza
all’interno della dottrina economico-aziendale è indiscussa in quanto parte
imprescindibile del processo di valutazione della dinamica aziendale: la sua esistenza è,
se vogliamo, ricollegata al concetto stesso di azienda come entità sinergica e coordinata
e non come mero raggruppamento dei singoli beni ivi ricompresi. Tale principio
dottrinale ha delle implicazioni per quanto concerne la determinazione del valore
dell’impresa, il quale non può essere ricondotto a quello dei suoi fattori osservabili ma
deve ricomprendere elementi intangibili e non quantificabili ma essenziali al fine di creare
quelle condizioni ottimali che consentano all’azienda di poter essere definita come tale.
L’avviamento racchiude proprio quest’ultima essenza: esso è dato dal surplus che il
valore dell’impresa assume rispetto a quello delle singole parti che la compongono. Il
valore complessivo dell’impresa è dato, a sua volta, dalla sua capacità di creare ricchezza
in quanto attitudine, quest’ultima, che meglio di altre esprime l’abilità nel gestire e
combinare i singoli fattori aziendali in modo da creare un sistema efficiente e coordinato.
Con queste prime osservazioni non si vuole, di certo, pretendere di fornire un
inquadramento esaustivo del concetto di avviamento. Tuttavia, esse contribuiscono già
da ora a rendere un’idea della particolarità di questo elemento e delle conseguenti
problematicità in merito ad una sua “traduzione” nel linguaggio contabile. In merito a
quest’ultimo punto è bene sottolineare come l’impresa non debba in nessun caso includere
in bilancio il proprio avviamento: ciò contrasta con le finalità del bilancio stesso tra le
quali non vi è quella di delineare un quadro della capacità dell’impresa di produrre
6
guadagni futuri. L’inclusione del goodwill nell’attivo patrimoniale è giustificata soltanto
dalla messa in atto di operazioni interaziendali (come le acquisizioni aziendali) attraverso
le quali due o più imprese divengono parte di un unico business. Tali pratiche sono
divenute sempre più frequenti1
alla luce del recente processo di globalizzazione che ha
portato alla deregolamentazione e l’apertura dei mercati internazionali agli investimenti
esteri. Si tratta di considerazioni di carattere macroeconomico ma che rendono
maggiormente rilevante il goodwill in relazione al ruolo svolto dallo stesso
nell’informativa di bilancio.
Peculiarità concettuali, difficoltà di realizzare una quantificazione oggettiva e
pienamente condivisibile e ruolo assunto in relazione alle problematiche emerse
dall’osservazione delle evidenze empiriche sono gli elementi principali che rendono
necessaria una messa in discussione dell’attuale modo di intendere l’avviamento in
contabilità. La presente discussione si propone di evidenziare le principali criticità
dell’attuale trattamento contabile, cercando, se possibile, di porre un po’ d’ordine
all’interno delle varie linee di pensiero esistenti in materia. Ricerche empiriche e
considerazioni accademiche attinenti l’argomento verranno prese in considerazione al
fine di realizzare un analisi più esaustiva attraverso una discussione della quale si illustra
brevemente il modo in cui si è deciso di strutturarla in questa sede.
Anzitutto si tenterà di realizzare un inquadramento del concetto di avviamento in
senso strettamente economico e tralasciando, per il momento la sua definizione contabile.
Nel farlo saranno indispensabili alcuni richiami alla dottrina economico-aziendale ad
integrazione dei quali si proporranno considerazioni di carattere finanziario. Se è vero
che le modalità di trattamento contabile di qualsiasi elemento riflettono i tratti qualitativi
di quest’ultimo, allora andare a delineare questo inquadramento concettuale è premessa
imprescindibile per valutare la conformità dell’avviamento al suo attuale trattamento
contabile, che rappresenta il passaggio successivo. Nel fare ciò si procederà con il
1
R. Caiazza, Cross-Border M&A. Determinanti e fattori critici di successo, Torino, Giappichelli Editore,
2011. L’autore sottolinea come il fenomeno delle operazioni che giustificano il sorgere in bilancio di un
valore di avviamento sia divenuto rilevante nell’ultimo decennio: “Dopo il trend negativo che ha
caratterizzato il triennio 2001-2003, il fenomeno delle fusioni e acquisizioni ha cominciato a crescere
nuovamente dal 2004, raggiungendo il suo picco nel 2007 per poi decrescere per effetto della grande crisi
mondiale del 2009. Tale ondata è stata caratterizzata da operazioni di natura cross-border quale risposta
all’integrazione dei mercati, alla necessità di consolidare il core business attraverso l’unione con i
concorrenti, dalla maggiore dimensione delle operazioni, dal crescente ruolo degli investitori istituzionali
e dall’ingresso di operatori provenienti da paesi a sviluppo emergente, quali PECO e Cina, che nelle scorse
decadi erano rimasti fuori dalla competizione globale.”
7
seguente ordine: anzitutto verranno delineate le modalità di prima iscrizione e, quindi, il
modo in cui è determinato il valore di bilancio dell’avviamento; in seguito si procederà
ad evidenziare quanto attualmente previsto per il suo trattamento contabile successivo la
recognition e, infine, si illustrerà quanto i documenti contabili dispongono in materia di
disclosure. Nel fare tutto ciò si prenderanno in considerazione i documenti contabili
nazionali dell’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) e quelli internazionali, gli
IAS/IFRS emessi dall’International Accounting Standard Board; verranno, quindi,
evidenziate le principali differenze di trattamento contabile tra i due ambiti alla luce della
crescente necessità di convergenza delle pratiche di redazione del bilancio a livello
globale dettata da circostanze quali l’avvicinamento dei mercati internazionali e
l’aumento degli investimenti esteri che amplificano l’esigenza di rendere i bilanci
comparabili anche a livello internazionale. Soltanto in seguito potranno essere formulati
giudizi circa l’adeguatezza dell’attuale trattamento contabile per il goodwill alla luce della
definizione concettuale proposta nella prima parte della discussione. Discutendo delle
attuali criticità si farà riferimento, in particolare, ad un modello concettuale che offre una
visione originale e, a parere di chi scrive, esaustiva del concetto di avviamento: è sulla
base di tale modello, denominato discernible-element approach, che verranno mosse
molte delle critiche relative al modo di intendere il goodwill negli standard internazionali.
Ma la messa in discussione dell’attuale trattamento contabile verrà fatta anche in
relazione ad alcune tendenze macroeconomiche (dettate, a loro volta, da aspetti di natura
comportamentale) che sono state rilevate, in particolare, negli anni successivi lo scoppio
della crisi finanziaria del 2007 e che hanno fatto emergere problematiche non di poco
conto.
8
CAPITOLO 1
COS’È L’AVVIAMENTO
Le problematiche relative all’identificazione dell’avviamento e alla sua
successiva misurazione contabile derivano dalle difficoltà di realizzare appieno ed in
maniera condivisa un suo inquadramento concettuale. Ragionando in termini astratti resta
pacifico che qualsiasi posta di bilancio necessiti di essere definita in termini qualitativi
affinché si possa pervenire ad una corretta riconversione quantitativa della medesima;
affinché la si possa, in altri termini, tradurre in numeri. Del resto, ciò rispecchia l’essenza
stessa del sistema di contabilità in senso lato come analisi della dinamica economica
dell’azienda prima ancora che come mero adempimento legislativo. In questi termini la
ragioneria si pone come medium dell’analisi aziendale: essa è, infatti, da un lato, risultato
del processo di conversione degli aspetti qualitativi in termini numerari, e, dall’altro,
punto di partenza per la successiva riconversione degli stessi in dinamica economica2
.
Ora, se è vero che sono questi i compiti ai quali ogni sistema di contabilità deve
adempiere, risulta chiara l’importanza di una corretta definizione in chiave concettuale di
ogni singolo elemento aziendale come condizione imprescindibile per una sua successiva
conversione in numeri.
Ecco perché dell’avviamento si cercheranno di comprendere, prima ancora
dell’attuale metodo di rilevazione e misurazione, i suoi tratti fondamentali ed il suo ruolo
nella realtà economica aziendale. Soltanto successivamente potranno essere formulati
giudizi circa eventuali inadeguatezze nell’attuale trattamento contabile.
2
E. Giannessi, 1960 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 2010
9
1.1 IL CONCETTO DI AVVIAMENTO
Nel definire cosa sia l’avviamento risulta necessario capire il modo in cui esso è
inteso nella dottrina economico-aziendale, ove l’obiettivo di fornirne un adeguato
inquadramento concettuale è subordinato, anzitutto, alla discussione circa le diverse
configurazioni di capitale e le relazioni intercorrenti tra le stesse. Soltanto in questo modo
risulterà possibile pervenire ad una chiara interpretazione dei dettati normativi in materia,
i quali, considerati isolatamente, risultano inadeguati nell’ottemperare allo scopo.
Passando in rassegna un breve richiamo delle fonti normative in materia contabile,
infatti, ci si accorge subito della peculiare natura di tale elemento se lo si confronta agli
altri elementi aziendali. Al par. 7 del documento “OIC 24 Immobilizzazioni immateriali”
ne viene data una prima definizione, ove esso è inteso come “l’attitudine di un’azienda a
produrre utili che derivino […] da incrementi di valore che il complesso dei beni
aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni in virtù
dell’organizzazione dei beni in un sistema efficiente”. Si potrebbero, idealmente,
discernere dalla definizione proposta dall’OIC 24 due chiavi di lettura delle quali una è
squisitamente economica mentre l’altra è legata all’ottica manageriale. Fermo restando la
stretta interconnessione tra le due.
Ed è già dalla prima che si possono riscontrare profondi elementi di discontinuità
tra l’avviamento e gli altri fattori aziendali. Questa discontinuità attiene al fatto che,
tenendo a mente l’idea di contabilità in senso lato accennata poc’anzi, se l’analisi della
dinamica aziendale presuppone la conversione in numeri dei fattori aziendali che,
congiuntamente, concorrono a definire l’attitudine dell’azienda stessa a produrre
ricchezza, l’avviamento è definito proprio come tale attitudine e non come singolo
elemento della realtà aziendale. In particolare, il suo sorgere presuppone la capacità di
chi fa impresa di “mettere insieme nel modo giusto” (volendo esprimere il concetto in
modo molto basilare) i vari fattori aziendali in modo da ottenere dei profitti maggiori di
quelli che si otterrebbero utilizzando i vari fattori come elementi a se stanti piuttosto che
come parte di un più complesso schema di combinazione. Altrove questo concetto viene
ricondotto all’espressione di “excess earning power” (tradotto letteralmente: capacità di
guadagni in eccesso), espressione con la quale molti identificano, in pratica, l’avviamento
stesso.
10
Per quanto attiene l’ottica manageriale essa fa riferimento alla capacità da parte
del management di far sì che i vari fattori aziendali interagiscano tra di loro all’interno
dell’azienda formando una combinazione che meglio di altre consenta il raggiungimento
dello scopo economico di creazione di valore. Ecco perché si afferma che la definizione
stessa del concetto di azienda non si esaurisce nei fattori che essa possiede ma nella
modalità in cui essi vengono combinati al fine di creare valore3
. Ma accanto a questa
prospettiva intra-aziendale, se ne instaura un’altra che attiene ai rapporti tra l’impresa e
gli stimoli che promanano dall’ambiente circostante (sul quale essa esercita un’influenza
ed è, a sua volta, influenzata in maniera più o meno rilevante a seconda di fattori quali la
prossimità dell’ambiente considerato o le dimensioni dell’azienda stessa) e la capacità del
management di gestire la complessità di questi rapporti che, se inadeguatamente
fronteggiati, compromettono il processo di creazione di valore.
Di tutto ciò tiene in considerazione anche la definizione, già citata, fornita
dall’OIC 24 quando, nel prosieguo dello stesso paragrafo, specifica le possibili
motivazioni che potrebbero giustificare il pagamento di un corrispettivo che superi il
valore della somma dei singoli elementi dell’azienda nell’ambito di un’ipotetica
acquisizione aziendale: “extra reddito generato da prodotti innovativi o di ampia
richiesta, creazione di valore attraverso sinergie produttive o commerciali, ecc.”. Ecco
perché, come si diceva in precedenza, nel tentare di fornire una definizione
dell’avviamento non si può far riferimento soltanto ai dettami normativi ma si necessita
che essi siano letti alla luce della dottrina economico-aziendale. Del resto la discussione
non fa riferimento ad un elemento al quale è riconducibile un costo o specifiche tutele
legali, bensì a un’attitudine aziendale, derivante da fattori spesso non osservabili e
quantificabili.
Il problema (se di problema si può parlare) è che anche elementi quali capacità e
competenze nel gestire la combinazione dei fattori aziendali sono essi stessi fattori
aziendali, al pari di un macchinario o delle scorte di magazzino, in quanto, esattamente
come questi ultimi, concorrono a consolidare la capacità dell’impresa di produrre valore.
Volendo, infatti, intraprendere un ragionamento a ritroso, ricordando quelli che vengono
definiti come “fattori aziendali primigeni”, vale a dire capitale e lavoro, possiamo con
ragionevolezza ricondurre le capacità imprenditoriali alla seconda categoria.
3
E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
11
Essendo, in sintesi, pacifico che, al pari della dotazione fisica e finanziaria, anche
elementi meno visibili quali l’esperienza o la conoscenza sono legittimati ad essere
ricompresi nell’accezione “fattore aziendale”, è altresì palese che questi ultimi, così come
i primi, concorrano ugualmente allo svolgimento dell’attività aziendale e, quindi, alla
creazione di ricchezza, rilevando sulla determinazione del valore stesso dell’impresa. Ma
mentre la dotazione fisica (impianti, macchinari, scorte, ecc.) ben si presta ad essere
ricondotta oggettivamente a valori numerici, non si può dire lo stesso per tutti i fattori
aziendali, tra i quali ve ne sono alcuni la cui stima deve necessariamente basarsi su
congetture più o meno realistiche (si pensi a molte delle attività intangibili) ed altri ai
quali risulta pressoché impossibile pervenire ad una quantificazione attendibile nemmeno
operando congetture e semplificazioni (si pensi alle capacità manageriali).
Orbene, premesso che, come già ricordato, il valore dell’impresa va oltre il valore
delle sue singole parti, e considerato che molte delle componenti della realtà aziendale
mancano dei requisiti che le consentirebbero di essere tradotte in valori numerari e,
quindi, per forza di cose sono escluse dal bilancio stesso dell’impresa, emerge una
discrepanza tra il valore contabile dell’impresa e il suo valore economico, inteso
quest’ultimo come valore dell’insieme di fattori che, opportunamente combinati tra di
loro, concorrono a formare la capacità della stessa di creare ricchezza.
Volendo ragionare in termini di singoli fattori produttivi possiamo affermare che
la suddetta discrepanza sorge in quanto il valore di un fattore di produzione non dipende
soltanto dalla natura dello stesso ma dall’utilizzo per il quale è preposto. Ciò significa
che, se considerato parte integrante di una più complessa organizzazione produttiva (c.d.
use in combination), esso assume un valore maggiore rispetto all’ipotesi in cui sia
considerato come elemento a se stante (c.d. stand alone basis). E significa, altresì, che
un’ipotetica valutazione al fair value4
di tutti i fattori aziendali andrebbe probabilmente a
ridurre (ma non ad annullare) la suddetta discrepanza. Valutare un’attività aziendale al
fair value, infatti, vuol dire operare una stima che rifletta il valore assunto nella
combinazione aziendale e che, quindi, ne massimizzi l’utilizzo o il valore di presumibile
realizzo in caso di cessione nel caso in cui l’acquirente ne vada a fare un uso analogo,
4
IASB, IFRS 13 Fair Value Measurement. Il documento fornisce una esplicita definizione del concetto di
fair value: “The price that would be received to sell an asset or paid to transfer a liability in an orderly
transaction between market participants at the measurement date.”
12
oppure, nel caso di una passività, operare una stima del corrispettivo che, al tempo
presente, sarebbe necessario per estinguere tale obbligazione.
In senso lato è comunque da sottolineare come sia ipotesi irrealistica
l’incorporazione del valore economico dell’impresa in bilancio in quanto definita in
assenza dei principi di ragionevolezza e prudenza: se è vero che una pervasiva valutazione
a fair value avvicinerebbe5
il valore del capitale netto aziendale a quello economico, è
anche vero che nella determinazione di quest’ultimo si deve ancora tener conto di quei
già citati fattori non incorporabili in bilancio (capacità imprenditoriali, esperienza, know-
how…) che continuano a giustificare l’esistenza di tale differenza e, quindi,
dell’avviamento. Tale ipotesi comporterebbe, come logica conseguenza, l’anticipazione
dei redditi futuri, quelli per i quali, cioè, se ne presume ragionevolmente la realizzazione
futura ma comunque subordinata al completamento di processi produttivi non ancora
ultimati. In altre parole, presuppone un mancato rispetto del principio della competenza
economica.
L’ipotesi di una valutazione al fair value di tutti gli elementi patrimoniali
contribuisce a fornire una differente prospettiva della questione di fondo, che, come già
discusso, attiene alla presenza di una discrepanza tra i due modi di intendere il capitale
aziendale, ovvero come somma dei valori delle singole parti, da un lato, e come valore
intrinseco dell’azienda che si manifesta nella sua capacità di generare ricchezza dall’altro.
Questa differenza attiene, tra le altre cose, all’impossibilità oggettiva di valutare
taluni fattori aziendali, alla quale si affianca l’inopportunità di suddetta valutazione,
derivante dalla presa d’atto che sarebbe controproducente unificare i valori di capitale
netto e capitale economico in un unico ammontare per le ragioni di cui si è parlato poco
fa.
A ciò si aggiunga una ulteriore riflessione: l’inesistenza, come vedremo, di una
metodologia condivisa che permetta di giungere alla determinazione di un valore
economico del capitale aziendale univoco ha come conseguenza l’impossibilità di trovare
per l’avviamento un valore altrettanto condiviso. Esistono, piuttosto, differenti tecniche
valutative, ognuna delle quali parte da presupposti e basi teoriche differenti, così come,
5
Si badi: “avvicinerebbe” e non “farebbe coincidere” in quanto, anche nel caso di una valutazione a fair
value di tutti gli elementi patrimoniali, la differenza tra capitale netto e valore complessivo aziendale
continuerebbe ad essere alimentata dalla presenza dei già citati fattori aziendali che, seppur non
comparendo negli schemi di bilancio, concorrono comunque alla creazione di valore.
13
del resto, sono differenti i punti di vista di chi muove tale analisi. Ecco, quindi, che la
valutazione dell’avviamento presuppone di tenere in considerazione non soltanto la
tipologia del modello valutativo ma anche gli interessi particolari dei soggetti che, a vario
titolo, sono interessati a conoscere l’entità di questo elemento. In linea di massima si
potrebbe abbreviare la questione semplicemente costatando l’esistenza di due gruppi di
soggetti interessati a valutare l’azienda nel suo complesso e, quindi, l’avviamento:
soggetti interni all’azienda, la cui esigenza può essere, ad esempio, di natura strategica o
di valutazione della bontà delle operazioni di gestione poste in essere; soggetti esterni
all’azienda, tra i quali si instaurano, a vario titolo, analisti finanziari, potenziali investitori
oppure potenziali acquirenti dell’azienda stessa. Comunque si tenterà nel seguito del
capitolo di illustrare più nel dettaglio sia le differenti metodologie di valutazione sia i
potenziali interessi in capo a chi effettua tale analisi.
In ogni caso, la discrepanza tra le due configurazioni di capitale ci fornisce
un’indicazione di massima di quanto l’azienda sia legittimata ad essere considerata tale
piuttosto che un semplice raggruppamento di vari elementi: ci dice, insomma, se essa sia
o meno avviata e in che misura. Ecco perché suddetta differenza viene identificata con il
termine “avviamento”.
1.2 LA VALUTAZIONE DELL’AVVIAMENTO
La discussione appena proposta può essere sintetizzata nella seguente definizione,
che vede l’avviamento come “l’eccedenza del valore del capitale economico del
complesso, rispetto al valore delle singole parti patrimoniali che lo compongono […]
esso indica di quanto l’insieme vale più della somma delle parti6
”. Per dirlo in altri
termini, la differenza tra il valore dell’insieme e quello delle singole parti suggerisce se e
di quanto l’impresa è avviata. Ci suggerisce, altresì, che la problematica principale circa
la valutazione dell’avviamento presuppone la “corretta” valutazione delle singole parti e
6
A. Amaduzzi, 1960 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
14
quella dell’insieme. E prima ancora, una specificazione adeguata dell’aggettivo
“corretta”.
Si tenterà, quindi, di cogliere i tratti essenziali di quei concetti senza la cui
determinazione risulta impossibile la quantificazione dell’avviamento aziendale, ovvero:
il capitale netto e le sue opportune riqualificazioni; il valore economico del capitale, al
quale è riconducibile, in sostanza, il valore stesso dell’azienda.
1.2.1 CAPITALE NETTO
E’, in linea di massima, identificabile con la ricchezza direttamente riconducibile
agli shareholder, ovvero a ciò che è iscritto nello Stato Patrimoniale civilistico sotto il
nome di Patrimonio Netto. Tale grandezza può essere variamente intesa: oltre alla
definizione appena proposta può essere definita come il capitale conferito nella fase di
avvio dell’attività di impresa dai soci con l’aggiunta dei conferimenti successivi e degli
utili conseguiti trattenuti in azienda a titolo di rifinanziamento; oppure come la somma
delle attività nette (decurtate delle passività).
Riprendendo quest’ultima definizione (attivo meno passivo) risulta chiaro come
la corretta stima del capitale netto dipenda da quella operata per le attività e le passività,
ove il termine “corretta” usato (forse impropriamente ma volutamente) fino a questo
punto fa riferimento ad una stima che presenti un elevato grado di attendibilità; il quale,
a sua volta, presuppone che “l’assegnazione dei valori agli elementi del capitale venga
definita in funzione di quelli da assegnare al reddito di periodo7
”. Suddetta assegnazione
deve avvenire, in altri termini, rispecchiando i principi di ragionevolezza e prudenza che
consentano di imputare al periodo in corso solo gli utili conseguiti a seguito di processi
produttivi ultimati nell’arco temporale di riferimento, rispettando il principio della
competenza economica: in altre parole, per una corretta valutazione dell’avviamento il
7
E. Ardemani, 1978 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
15
capitale netto deve il più possibile rispecchiare quello di funzionamento la cui
determinazione è comunque condizionata dall’impossibilità di ricondurvi “quelle risorse
immateriali accumulate in maniera graduale e spontanea nel tempo […] riconoscibili e
valutabili con maggiore difficoltà e la loro considerazione mal si concilia con le esigenze
di oggettività delle determinazioni di reddito di periodo”8
. In ogni caso, essa è comunque
orientata dai dettami normativi la cui stesura, sia in ambito nazionale che internazionale,
è in linea di massima indirizzata affinché siano rispettati diversi principi tra i quali
troviamo anche quelli appena citati9
.
Nonostante la sua determinazione sia guidata dai dettami normativi, non sempre
il capitale netto risulta essere un valore univoco in senso assoluto. Esso risulta, in un certo
senso, influenzato dalle necessità di chi muove l’analisi. Per cui se la sua determinazione
viene effettuata ai fini dell’adempimento dell’obbligo di comunicazione imposto dal
legislatore, allora i dettami normativi cui si è appena fatto riferimento svolgono un ruolo
“unificatore” in quanto la loro ottemperanza non consente a chi svolge l’analisi di
discostarsi da un certo range di valori. Ma in altri casi l’analisi viene condotta per scopi
diversi dall’adempimento burocratico e il valore del capitale netto andrà a rispecchiare le
diverse esigenze conoscitive di chi ne effettua la quantificazione, come si avrà modo di
osservare nel prosieguo.
1.2.2 CAPITALE ECONOMICO
8
Lucio Potito, Economia Aziendale, Torino, Giappichelli editore, 2014
9
Ciò è riscontrabile tanto nel Conceptual Framework for Financial Reporting dello IASB quanto nel
documento 11 dell’OIC nonostante i due Board seguano palesemente una diversa impostazione concettuale.
Se è, infatti, esplicito il fine perseguito dal primo, ossia, in sostanza, quello di statuire standard contabili
che agevolino la lettura dei bilanci a chi deve prendere decisioni economiche inerenti l’azienda (e, quindi,
di agevolare le decisioni di un potenziale investitore che deve decidere di finanziare a titolo di proprietà o
di debito) è chiara, invece, l’impostazione seguita dall’OIC di elevare a stakeholder primari i creditori
impostando i principi contabili al fine della loro tutela. Il che genera differenze, talvolta sostanziali, che
fanno riferimento, ad esempio, ad una maggior enfasi posta in ambito nazionale sul requisito della prudenza
rispetto a quello della tempestività dell’informazione, rimarcato con maggior forza dal Framework. Ma,
nonostante queste peculiarità, principi quali comparabilità, chiarezza, rappresentazione fedele sono comuni
ad entrambi.
16
Si potrebbe dire che la differenza più rilevante tra questa configurazione di
capitale e quella di cui si è appena discusso sta nel rispetto del principio della competenza
economica. Se esso è imprescindibile nella definizione dei valori di bilancio, non lo è,
invece, nella definizione del valore globale dell’impresa che, anzi, si riflette proprio nel
valore della ricchezza che essa presumibilmente produrrà in futuro. A tal proposito è bene
segnalare che, proprio per la caratteristica di essere influenzato da stime e congetture sui
redditi futuri, non esiste un modo univoco di definizione del capitale economico.
Esistono, piuttosto, differenti metodologie caratterizzate da un grado più o meno elevato
di discrezionalità e, quindi, di attendibilità. In aggiunta, c’è da sottolineare che si tratta
pur sempre di metodi riconducibili alla dottrina economico-aziendale o all’ambito
finanziario, scarsamente suscettibili di una “traduzione” in ambito normativo: il che
genera rilevanti ripercussioni nel modo in intendere l’avviamento negli standard
contabili, come si avrà modo di vedere più avanti.
Pur tenendo presente la già citata mancanza di univocità nel metodo di
determinazione del valore economico del capitale, è generalmente condivisa l’idea che
essa debba avvenire ispirandosi quanto più possibile ai criteri seguenti10
:
a) Generalità: la valutazione deve prescindere da effetti contingenti di domanda e
offerta e in particolare, qualora la valutazione sia finalizzata alla determinazione
di un corrispettivo per l’acquisto di un’azienda, deve essere indipendente dagli
interessi specifici delle parti, dal loro potere contrattuale e, più in generale, dalle
loro caratteristiche;
b) Razionalità: la valutazione deve seguire un metodo valido concettualmente e
dotato di consistenza teorica, secondo uno schema logico, chiaro e condivisibile;
c) Obiettività: fa riferimento alla concretezza nell’applicabilità del metodo e a questo
principio si ricollegano quelli di dimostrabilità (attinente alla credibilità ed
oggettività sui quali si fondano i valori e le quantità inclusi nel metodo stesso) e
stabilità (i valori e le quantità inclusi nel metodo devono quanto più possibile
rispecchiare eventi che raffigurino una prospettiva temporale orientata alla
10
La digressione circa la determinazione del capitale economico trae spunto, in particolare, da: Luigi
Rabuini, Metodologie di stima del capitale economico delle aziende, 2008, in www.borsaitaliana.it
17
continuità, escludendo, quindi, quelle componenti di natura straordinaria ed
occasionale).
Fatta questa dovuta premessa, nella prassi i differenti metodi di valutazione del
capitale economico di un’azienda o ramo d’azienda possono essere ricondotti a due
macro-classi: metodi diretti e indiretti. A loro volta, da tali macro-classi si dipartono
tecniche di valutazione differenti: così, mentre nella prima categoria possiamo distinguere
tra i metodi diretti in senso stretto e quelli fondati su moltiplicatori empirici, nella seconda
troviamo metodi basati su grandezze flusso e metodi basati su grandezze stock, oltre che
una terza tipologia che costituisce una sorta di incrocio tra le due metodologie indirette
(c.d. metodi misti). In ogni caso si tenterà di illustrare tali tecniche valutative nel
prosieguo.
Metodi diretti
Sono compresi in questa categoria tutti quei metodi la cui valutazione si basa su
dati desunti dall’esterno, ricorrendo a paragoni con altre imprese simili alla valutanda per
caratteristiche qualitative e quantitative. In particolare, i dati in questione fanno
riferimento a valori formatisi in due differenti contesti di mercato:
a) Il mercato di borsa per le imprese quotate, cui segue l’utilizzo di multipli di
borsa (stock market multiples);
b) Il mercato del controllo per le imprese non quotate, cui segue il riferimento a
transazioni aventi ad oggetto imprese comparabili (deal multiples).
Nell’ambito della categoria dei metodi diretti, ulteriore distinzione può essere fatta
tra quelli in senso stretto e quelli fondati su moltiplicatori empirici.
18
Con i metodi diretti in senso stretto il capitale economico dell’impresa valutanda
viene stimato sulla base del valore complessivo delle sue azioni (nel caso in cui,
ovviamente, l’impresa sia quotata) oppure sulla base del valore complessivo delle azioni
di imprese similari a quella oggetto di valutazione. Volendo tradurre in numeri, indicando
il capitale economico con W, abbiamo:
𝑊 = ∑ 𝑃𝑖 ∗ 𝑚𝑖
𝑛
𝑖=1
dove:
𝑃𝑖 è il prezzo di mercato di un’azione della tipologia i (ordinaria, privilegiata, di
risparmio…)
𝑚𝑖 è il numero di azioni della tipologia i
Qualora sia possibile operare tale confronto senza discostarsi dai criteri guida di
valutazione del capitale economico precedentemente elencati, il metodo risulta possedere
un elevato grado di validità in quanto tipicamente i prezzi delle azioni, così come valutati
da mercati efficienti in cui è riscontrabile la sostanziale assenza di asimmetrie
informative, riflettono le potenzialità attuali e future dell’azienda: ricalcano, in altre
parole, la definizione stessa di “capitale economico”.
Nel caso in cui l’azienda oggetto di valutazione non sia quotata il suo capitale
economico può essere stimato approssimandolo a quello di altre imprese le cui
caratteristiche quali-quantitative risultino essere simili. Algebricamente il metodo è
caratterizzato da una media aritmetica, semplice o ponderata, in una maniera che ricalca
la seguente:
𝑊 =
∑ 𝑊𝑠
𝑛
𝑖=1 ∗ 𝑝𝑖
∑ 𝑝𝑖
𝑛
𝑖=1
19
dove:
𝑊𝑠 indica i valori economici del capitale delle aziende prese in considerazione sulla
base di transazioni aventi ad oggetto imprese simili
𝑝𝑖 indica i pesi attribuiti a ciascuna valutazione
Per quanto riguarda i metodi diretti fondati su moltiplicatori empirici, essi si
basano sui c.d. multipli come punto di riferimento per la valutazione del capitale
economico. Tali multipli sono, in pratica, calcolati come il rapporto tra il valore
economico di un campione di imprese similari alla valutanda (con riferimento a imprese
facenti parte del mercato borsistico o di quello di controllo a seconda del fatto che la
valutanda sia o meno quotata) ed alcune variabili relative alle imprese stesse (fatturato,
risultato operativo, margine operativo lordo, cash flow, ecc.; è intuitivo il perché tra tali
variabili non sia stato menzionato il risultato netto: in quanto tale, esso incorpora anche
elementi facenti riferimento alla gestione extra-caratteristica e il suo impiego
comporterebbe, quindi, il mancato rispetto del requisito della stabilità). Dopo aver stimato
il multiplo, il valore economico del capitale si ottiene moltiplicandolo per la stessa
variabile considerata in precedenza ma stavolta riferita all’impresa oggetto di valutazione.
Analiticamente:
𝑊 = (𝑃/𝑘) 𝑠 ∗ 𝑘
dove:
(𝑃/𝑘) 𝑠 è il moltiplicatore di mercato di un campione di imprese simili alla
valutanda per caratteristiche quali-quantitative ottenuto mettendo a rapporto il prezzo di
mercato di tali imprese (𝑃𝑠) desunto dal contesto di mercato cui si è fatto riferimento e la
grandezza, tra tutte quelle espressive del valore di tali imprese, ritenuta più appropriata
per la valutazione (𝑘 𝑠)
20
𝑘 rappresenta la stessa caratteristica usata per la stima del moltiplicatore ma
riferita all’impresa valutanda
A tale metodo vi si fa anche riferimento con l’espressione equity approach to
valuation, in quanto consente di pervenire direttamente alla stima del capitale economico,
a differenza di un’ulteriore metodologia fondata anch’essa sui moltiplicatori empirici,
denominata entity approach to valuation che consente di pervenire, invece, alla stima
dell’enterprise value (valore di mercato del capitale operativo) e, quindi, sottraendo a
quest’ultimo il valore dei debiti finanziari, al capitale economico nella maniera seguente:
𝑊 = [(𝑃 + 𝐷)/𝑘] 𝑠 ∗ 𝑘 − 𝐷𝑡
dove:
𝐷𝑠 è il valore di mercato dei debiti finanziari delle imprese-campione
𝐷𝑡 è il valore di mercato dei debiti finanziari dell’impresa valutanda
In conclusione, possiamo affermare che, con i metodi di valutazione diretti, il
valore del capitale economico di un’impresa è desunto da valori reperiti in specifici
contesti di mercato. Nel caso in cui l’impresa oggetto di valutazione è quotata in borsa,
ciò equivale ad affermare che il suo valore economico si approssima al prezzo teorico
delle azioni determinatosi sul mercato borsistico. Ma la correttezza nella determinazione
di tale prezzo teorico è subordinata al corretto funzionamento del mercato stesso che, a
sua volta, dipende dall’esistenza di determinate condizioni quali l’assenza di asimmetrie
informative che rende ogni operatore onnisciente e razionale o la concorrenzialità di tale
mercato. Nella realtà, tuttavia, l’assenza di tali tratti inficia l’attendibilità delle
metodologie di valutazione di cui si è appena discusso.
Metodi indiretti
21
La presa d’atto della possibile presenza di imperfezioni nei mercati finanziari
rende necessaria la definizione di metodi di stima del capitale economico che annullino
la loro dipendenza dai dati desunti da tali mercati ma che si basino, invece, su dati di
natura endogena all’azienda opportunamente rielaborati. In estrema sintesi possiamo
distinguere tre differenti metodologie indirette di stima del valore economico del capitale:
a) Metodi basati su grandezze flusso
b) Metodi basati su grandezze stock (patrimoniali)
c) Metodi di valutazione misti
Possiamo, poi, ulteriormente scindere la categoria sub. a) a seconda dei valori
considerati nella valutazione fermo restando che l’impostazione di fondo del processo
resta invariata, in quanto essa atterrà comunque all’attualizzazione dei presumibili valori
di flusso futuri. Avremo, quindi:
1) Metodi reddituali
2) Metodi finanziari
Nel primo caso si perviene alla stima del valore economico del capitale
attualizzando i flussi di reddito normalizzati che si presume l’impresa riuscirà a
conseguire in futuro. La valutazione complessiva di un’azienda, lo ricordiamo, attiene, in
estrema sintesi, alla capacità di creare ricchezza attraverso l’attività di gestione sulla quale
la stessa fonda l’oggetto della sua esistenza. Attraverso, cioè, quella sequenza di
operazioni coordinate e sinergiche di cui se ne dà per scontata la ripetizione in un arco di
tempo relativamente lungo. E’ soltanto l’attività tipica di gestione dell’azienda che deve
essere presa in considerazione per la sua valutazione complessiva, motivo per il quale
risulta necessario normalizzare le grandezze reddituali per epurarle dalle componenti
atipiche di gestione attraverso procedimenti quali l’eliminazione di oneri o proventi
estranei alla gestione tipica oppure la riconsiderazione degli oneri fiscali (ad esempio,
22
considerando solo quella parte degli stessi che, in maniera proporzionale, può essere
ricondotta al reddito operativo).
Fatta questa dovuta premessa possiamo esprimere in formule il tutto:
𝑊 = 𝑅1 𝑣1 + 𝑅2 𝑣2 + … + 𝑅 𝑛 𝑣 𝑛 + 𝑃𝑛 𝑣 𝑛
dove:
𝑅1, 𝑅2, … 𝑅 𝑛 sono i flussi futuri di reddito (normalizzati) che si ritiene l’impresa
sia in grado di realizzare
𝑃𝑛 è il valore di realizzo dell’azienda alla fine dell’arco temporale entro il quale
viene condotta la valutazione (n), decurtato delle riserve formate dagli utili non distribuiti
in quanto elementi, questi ultimi, già incorporati nella definizione di R
𝑣1, 𝑣2, … 𝑣 𝑛 sono i coefficienti di attualizzazione dei flussi reddituali
Il metodo finanziario ricalca esattamente la stessa metodologia con la differenza
che debbono essere considerati i flussi di cassa (cash flow) anziché quelli reddituali. Si
arriva così alla definizione squisitamente finanziaria di DCF (Discounted Cash Flow).
Si fa convenzionalmente riferimento a tali metodologie di valutazione con
l’espressione metodi fondamentali teorici, di cui si rende necessaria una ulteriore
precisazione. Se è pacifica la loro validità concettuale in quanto rispecchiano appieno la
definizione di capitale economico, sorgono delle difficoltà in merito alla loro applicazione
dal momento che il metodo presenta evidenti limiti legati alla sua soggettività e
imprevedibilità. La soggettività si traduce nel mancato rispetto del requisito della
generalità in quanto la determinazione dei valori potrebbe oltremodo essere influenzata
dagli interessi particolari che guidano la motivazione stessa della valutazione.
L’imprevedibilità lede, invece, il requisito della dimostrabilità in quanto i flussi reddituali
(o monetari) sono difficilmente prevedibili e di certo non possono essere stimati
esclusivamente sulla base di informazioni passate e presenti. Ne deriva una mancanza di
oggettività nella stima del capitale economico che si traduce nell’impossibilità di definire
23
un valore univoco per l’avviamento che da questo punto di vista sembra quasi risultare
un valore di compromesso tra le molteplici metodologie di valutazione del valore
complessivo aziendale dettate dalle differenti esigenze di tutti coloro che risultano
interessati alla quantificazione di tale valore.
Alla metodologia fondamentale si affiancano i metodi semplificati (puri) che
partono dall’assunto di un arco temporale infinito e ai flussi reddituali (o finanziari)
determinati in previsione di ogni singolo periodo se ne sostituisce uno che ne rappresenta
una sintesi (c.d. reddito medio prospettico). La formula è quella della rendita perpetua:
𝑊 =
𝑅
𝑖
dove:
𝑅 è il flusso reddituale o finanziario
𝑖 è il tasso di capitalizzazione (o di sconto)
In entrambi i casi, oltre alla normalizzazione dei flussi considerati, è fondamentale
stimare la misura del fattore di sconto, di cui si accenna brevemente qui di seguito.
Esso deve incorporare due profili di rischio:
a) Il rischio sistematico (o non diversificabile), ovvero quello che non può essere
ridotto dalla diversificazione; per la sua stima si fa riferimento al rendimento dei
titoli privi di rischio presenti sul mercato (generalmente i titoli di stato)11
;
b) Il rischio specifico (o diversificabile), ovvero il rischio che può essere ridotto
tramite la diversificazione; esso fa più esplicitamente riferimento al rischio
11
Lucio Potito, Economia Aziendale, op.cit. Come osservato dall’autore, la convenzione di associare il
tasso privo di rischio a quello dei titoli di stato era accettabile fino al momento in cui la crisi finanziaria ha
posto in evidenza come nemmeno questi ultimi possano essere ritenuti sicuri in senso assoluto.
24
ricollegabile all’attività d’impresa e viene stimato con metodologie quali il
CAPM12
(Capital Asset Pricing Model).
A differenza dei metodi reddituali e finanziari, il metodo patrimoniale perviene
alla stima del capitale economico attraverso una opportuna rielaborazione degli elementi
dell’attivo e del passivo patrimoniale dai quali, per differenza, si determina il capitale
netto a sua volta rettificato. Tale rielaborazione è finalizzata alla riformulazione degli
elementi patrimoniali a valori correnti. Ciò significa stimare13
:
a) I fattori aziendali destinati allo scambio al loro valore di presumibile realizzo;
b) I fattori aziendali destinati a prestare la loro utilità per più esercizi al loro valore
di sostituzione;
c) Le passività aziendali al loro valore corrente di estinzione.
Riprendendo la metodologia pura basata su valori di flusso e ipotizzando una
continuazione dell’attività aziendale che non vede limiti temporali (n tende a infinito)
abbiamo che:
𝑊 =
𝑅
𝑖
12
In: www.borsaitaliana.it Più specificamente tale modello mostra la relazione tra il rendimento di un titolo
ed il rischio associato in ipotesi di assenza di imperfezioni nei mercati finanziari (assenza di asimmetrie
informative e costi di transazione, omogeneità delle aspettative, divisibilità all’infinito dei titoli…). In
formule:
𝑟 − 𝑟𝑓 = 𝛽(𝑟 𝑚 − 𝑟𝑓)
dove il termine a sinistra rappresenta il premio per il rischio specifico, dato dalla differenza tra il rendimento
del titolo specifico e quello free risk e indica il rendimento aggiuntivo richiesto per investire in un titolo
rischioso anziché in uno sicuro; il termine a destra esprime il premio per il rischio di mercato (la differenza
tra parentesi, detto anche market risk premium) moltiplicato per 𝛽, ossia la misura della reattività del
rendimento del titolo rispetto ai movimenti del mercato (in altri termini, il rischio sistematico del titolo
stesso).
13
Ovviamente ciò si traduce in procedimenti di stima ad-hoc per ogni singolo elemento patrimoniale sui
quali si è ritenuto inopportuno soffermarsi in questa sede.
25
da cui:
𝑅 = 𝑊𝑖
Indicando, ora, con 𝐾𝑡 il patrimonio netto dell’azienda valutanda opportunamente
rettificato in modo da rispecchiare il suo valore economico (𝑊 ≅ 𝐾𝑡) possiamo riscrivere
in questo modo la precedente uguaglianza:
𝑅 = 𝐾𝑡 𝑖
In altri termini, il metodo patrimoniale parte dall’assunto che il reddito atteso sia
uguale al tasso di sconto moltiplicato per il capitale netto rettificato.
Il metodo appena proposto è definito semplice e, opportunamente integrato,
consente di pervenire alla stima del capitale economico secondo la metodologia definita,
invece, complessa. Tale integrazione attiene all’aggiunta di quegli elementi intangibili
non rilevati negli schemi contabili ma che incorporano in sé parte delle potenzialità
aziendali che, in sinergia con le altre, consentono il corretto funzionamento dell’impresa.
Anche in questo caso è palese la validità concettuale del metodo che risulta, tuttavia, non
applicabile se non ricorrendo a stime e congetture. Del resto risulta necessaria anche in
questo caso, oltre alla valutazione degli elementi non inseribili in bilancio in quanto
scarsamente suscettibili di quantificazione monetaria per le loro caratteristiche, la stima
dei flussi reddituali futuri, il che porta, tendenzialmente, ad una coincidenza tra i risultati
ottenuti con i metodi reddituali e quelli ottenuti con i metodi patrimoniali.
Questi ultimi possono, poi, venire considerati congiuntamente nel processo di
stima dando vita ai c.d. metodi di valutazione misti in cui, appunto, vengono presi in
considerazione valori sia di flusso che di stock.
26
Uno di questi è il metodo del valore medio che consiste in una sintesi tra il metodo
patrimoniale semplice e quello di attualizzazione dei futuri flussi di reddito. In tal caso il
valore economico del capitale è dato da:
𝑊 =
𝑘 𝑡 + 𝑅/𝑖
2
formula che, se rielaborata, può essere espressa anche nel modo seguente:
𝑊 = 𝑘 𝑡 +
1
2
(𝑅/𝑖 − 𝑘 𝑡)
dove il termine tra parentesi (differenza tra flussi futuri di reddito attualizzati e
capitale netto espresso a valori correnti) rappresenta proprio l’avviamento. Per cui:
 se 𝑅/𝑖 > 𝑘 𝑡 vi è la presenza di un goodwill (avviamento
positivo); l’azienda, nel suo complesso, vale più della somma del valore delle sue
parti stimate a prezzi correnti;
 se 𝑅/𝑖 < 𝑘 𝑡 vi è la presenza di un badwill (avviamento
negativo); il valore economico del capitale è inferiore al valore corrente delle sue
parti.
In questo caso l’avviamento è considerato solo per metà del suo valore totale a
differenza di quanto accade, invece, nell’utilizzo del metodo della stima autonoma
dell’avviamento14
. Tenendo a mente che il valore economico di un’azienda è dato dalla
somma del suo valore patrimoniale (ove i valori sono espressi a prezzi correnti) e
l’avviamento (𝑊 = 𝐾𝑡 + 𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙) quest’ultimo è definito come segue:
14
Nella illustrazione di tale metodologia si è fatto riferimento, in particolare, a: D. Balducci, La Valutazione
dell’Azienda, Milano, FAG editore, 2012
27
𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙 = (𝑅 – 𝐾𝑡 𝑖)𝑎 𝑛┐𝑖’
dove:
𝑎 𝑛┐𝑖’ indica il valore attuale di una rendita con durata definita in n anni con un
tasso di sconto pari a 𝑖’15, mentre 𝑖 rappresenta il tasso di remunerazione del capitale
investito.
Sommando all’avviamento il valore patrimoniale rettificato 𝐾𝑡 otteniamo il valore
complessivo dell’azienda. E’ da notare che in tale formula si suppone che l’extra-reddito
da cui scaturisce l’avviamento sia conseguibile solo per un arco temporale circoscritto
(indicato con n): per questo motivo il metodo è anche detto di durata limitata
dell’avviamento e la sua applicazione è subordinata alla possibilità di poter quantificare
in maniera ragionevole la misura di tale extra-reddito e il periodo di tempo in cui
l’impresa potrà beneficiarne. Qualora non fosse possibile formulare tali supposizioni
basandole su dati oggettivi, si può ricorrere, anche in questo caso, ad un metodo di calcolo
che ricalca quello della rendita perpetua, ipotizzando cioè che l’attività d’impresa continui
a svolgersi in futuro per una durata illimitata o, comunque, indefinita. In formule:
𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙 =
(𝑅 – 𝐾𝑡 𝑖)
𝑖’
15
R.A. Brealey, S.C. Myers, F. Allen, S. Sandri, Principi di finanza aziendale, Mc-Graw Hill, 2010. Più
precisamente, supponendo di dover attualizzare ad un tasso 𝑖 una rendita annua unitaria il cui primo
pagamento avviene nell’anno 𝑛, abbiamo che il suo valore attuale (che indichiamo con V) è pari a:
𝑉 =
1
𝑖
1
𝑖(1 + 𝑖) 𝑛
Ora, dato che questa formula fa riferimento ad un arco temporale che va da 𝑛 a infinito, basta sottrarla a
quella della rendita perpetua per trovare il valore attualizzato facente riferimento ad un arco temporale che
va da 0 a 𝑛. Per cui:
𝑎 𝑛┐𝑖 =
1
𝑖
−
1
𝑖
1
𝑖(1 + 𝑖) 𝑛
28
In questo modo l’avviamento è espresso come valore attuale dell’eccedenza del
reddito medio prospettico sul rendimento normalizzato del capitale netto rettificato a
valori correnti. Come in precedenza, occorre prestare attenzione alla differenza fra il tasso
di sconto utilizzato per attualizzare tale eccedenza (la 𝑖’ al denominatore) e il tasso di
remunerazione del capitale netto rettificato (la 𝑖 al numeratore). Mentre il primo è desunto
da considerazioni di carattere prettamente finanziario (incorpora sia il rischio specifico
dell’attività tipica dell’azienda oggetto di valutazione sia il rischio sistematico) il secondo
indica il rendimento normalizzato del capitale investito. Inoltre la formula fa riferimento
alla rettifica del patrimonio netto a valori correnti, senza però specificarne le modalità.
Come già osservato, tale rettifica può avvenire tramite metodo patrimoniale semplice
rielaborando le voci patrimoniali che figurano in bilancio a valori correnti (vedi sopra)
ovvero metodo patrimoniale complesso sommando al valore ottenuto tramite il metodo
semplice i valori di quelle componenti intangibili che, seppur non figurando in bilancio,
concorrono alla determinazione del valore aziendale complessivo.
E.V.A.
Tra le metodologie di determinazione del valore economico dell’azienda si è
scelto di dare maggiormente risalto a quella dell’Economic Value Added (E.V.A.) per via
del suo crescente grado di utilizzo, dovuto ai numerosi vantaggi a cui tale metodologia è
legata. Uno di questi è quello di fornire una valutazione in termini assoluti, ovvero che
non necessita di termini paragoni in quanto punto terminale (e non di partenza) del
processo valutativo. Inoltre essa possiede carattere globale: la rielaborazione contabile di
alcuni aspetti sui quali si fonda consente il superamento della problematica legata alla
discrezionalità nell’applicazione dei principi contabili che differiscono da paese in paese.
Per tali caratteristiche il metodo si pone come risolutore di alcune questioni dettate dalla
progressiva globalizzazione e apertura dei mercati, primo su tutti la comparabilità
internazionale degli investimenti. Tale possibilità risulta, infatti, preclusa con l’utilizzo di
29
indicatori quali R.O.E. e R.O.I.16
certamente più diffusi ma il cui calcolo è fortemente
condizionato dalla normativa contabile.
Il metodo si fonda sul concetto di “reddito economico” che esprime la redditività
nella logica dello “shareholder value, sintetizzando decisioni operative e decisioni di
investimento, livello di rischio e di rendimento in un unico indicatore di performance”17
.
In modo molto sintetico si può affermare che tramite l’E.V.A. si determina la misura del
reddito residuo, ovvero quella ricchezza aggiuntiva che resta dopo aver remunerato tutti
i finanziatori dell’azienda, sia quelli che hanno prestato denaro a titolo di prestito, sia
quelli che hanno finanziato a titolo di proprietà. Il costo complessivo del capitale così
determinato è riassunto in un indicatore chiamato WACC18
(Weighted Average Cost of
Capital):
𝑊𝐴𝐶𝐶 = 𝑟𝑑(1 − 𝑡 𝑐)
𝐷
𝐷 + 𝐸
+ 𝑟𝑒
𝐸
𝐷 + 𝐸
dove:
𝑟𝑑 è il costo del debito
𝑡 𝑐 è l’aliquota fiscale in capo all’impresa
𝑟𝑒 è il costo opportunità del capitale investito a titolo di rischio (di proprietà) e
indica il rendimento richiesto dagli investitori per intraprendere questo tipo di
investimento nell’azienda oggetto di valutazione piuttosto che investimenti alternativi
simili
𝐷 ed 𝐸 sono i finanziamenti attinti a titolo, rispettivamente, di debito e di rischio
Premesso ciò, possiamo definire l’E.V.A. come:
16
R.O.E. e R.O.I. sono, rispettivamente, misura della redditività netta e di quella operativa. Il primo è dato
dal rapporto reddito netto/equity, il secondo da quello reddito operativo/capitale investito.
17
A. Tami, 2001 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
18
R.A. Brealey, S.C. Myers, F. Allen, S. Sandri, Principi di finanza aziendale, op. cit.
30
𝐸𝑉𝐴 = 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑜 = 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑔𝑢𝑎𝑑𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜 − 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜
dove:
𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 ∗ 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜
In formule:
𝐸𝑉𝐴 = 𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 − 𝑊𝐴𝐶𝐶 ∗ 𝐶𝐼
da cui:
𝐸𝑉𝐴 = (
𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇
𝐶𝐼
− 𝑊𝐴𝐶𝐶) ∗ 𝐶𝐼
dove:
𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 sta per Net Operative Profit After Taxes (reddito operativo al netto delle
imposte)
𝐶𝐼 è il capitale investito
Risulta utile esprimere l’equazione secondo questa ultima forma funzionale in
quanto evidenzia un aspetto alquanto importante. Essendo pacifico che l’E.V.A.
rappresenti il valore creato dall’impresa in un dato periodo (valore determinato al netto
del costo complessivo del capitale che, lo ricordiamo, viene inteso qui come
remunerazione sia del debito sia delle aspettative di guadagno iniziali degli shareholder)
possiamo apprezzare come tale valore dipenda dallo spread tra il rendimento del capitale
investito (il rapporto tra parentesi) e il relativo costo (espresso dal 𝑊𝐴𝐶𝐶). Se il termine
31
tra parentesi è positivo vuol dire che, nell’arco temporale di riferimento, l’azienda ha
creato ricchezza; viceversa, l’azienda ha distrutto ricchezza.
Anche in questo caso il legame tra tale metodo misto di valutazione e
l’avviamento si evince estendendo l’orizzonte temporale dell’analisi. Più precisamente è
possibile calcolare autonomamente l’avviamento tramite l’attualizzazione del valore
degli E.V.A. futuri attesi (tale valore prende il nome di Market Value Added, M.V.A.)
determinando così la presenza di un goodwill (MVA > 0) o di un badwill (MVA< 0).
Sommando a tale valore il capitale investito è possibile pervenire all’Enterprise Value
(EV) ossia una misura del valore della società senza considerare il suo indebitamento:
rappresenta, cioè, il prezzo che dovrebbe pagare chi volesse acquisire la società senza
debiti19
. In altri termini, abbiamo:
𝑀𝑉𝐴 = (𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 − 𝑊𝐴𝐶𝐶 ∗ 𝐶𝐼)𝑎 𝑛┐𝑖’
𝐸𝑉 = 𝐶𝐼 + 𝑀𝑉𝐴
𝑊 = 𝐸𝑉 − 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑏𝑖𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜
Questi sono i passaggi per pervenire alla stima del valore economico del capitale
partendo dal metodo dell’Economic Value Added. Ai fini della trattazione si sottolinea
come lo schema logico consenta di arrivare ad una stima autonoma dell’avviamento
tramite l’attualizzazione degli E.V.A. futuri, cosicché abbiamo:
𝑎𝑣𝑣𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 = 𝑀𝑉𝐴
In aggiunta, tale metodo ci consente di apprezzare le variabili da cui l’avviamento
stesso (e, di conseguenza, il valore dell’azienda) dipende, costituendo, secondo questa
19
Fonte: www.borsaitaliana.it
32
prospettiva di osservazione, uno strumento di controllo rilevante anche in chiave
strategica in quanto costituisce, tra le altre cose, punto di partenza per l’individuazione di
quelle leve ritenute determinanti ai fini della quantificazione della performance dalla
quale dipende, in ultima analisi, il valore del complesso aziendale. E’ stato ritenuto
opportuno rimarcare questo aspetto in quanto ad esso è strettamente collegata la durata
dell’avviamento. Essa dipende, infatti, dalla possibilità da parte del management
aziendale di influire su queste leve che, a sua volta, è collegata alla natura di queste ultime.
Se sono intese come fattori capaci di influenzare la misura della capacità di generare
redditi in eccesso (concetto al quale abbiamo in precedenza fatto riferimento con
l’espressione “excess earning power”) risulta chiaro che tra questi fattori molti risultano
essere esogeni all’azienda, in quanto collegati, ad esempio, a fattori macro-ambientali su
quali il management non può esercitare alcun effetto.
In generale, possiamo dire che sono molteplici i fattori che influenzano la capacità
dell’impresa di creare ricchezza in eccesso, ognuno dei quali esercita sulla stessa un certo
grado di incidenza. Tali fattori possono avere un livello di prossimità spaziale all’impresa
più o meno rilevante20
, il che li rende, a volte, scarsamente controllabili, con il rischio di
minare il valore dell’avviamento dell’azienda senza che quest’ultima possa avere
possibilità di replica. E’ in base alla natura di questi fattori e del relativo grado di controllo
esercitabile che il management deve stimare la durata dell’avviamento21
: maggiore risulta
essere tale grado di controllo, più lungo sarà il periodo di tempo in cui l’impresa potrà
beneficiare dell’avviamento.
Tutto ciò rileva ai fini della scelta del metodo di valutazione del capitale
economico. A questo punto risulta chiaro che, nel caso in cui, ad esempio, la redditività
aziendale dipende da fattori poco controllabili o temporanei, è preferibile evitare l’utilizzo
di metodi di valutazione basati sulla rendita perpetua e tener conto di tale aspetto
20
S. Sciarelli, La Gestione dell’Impresa, Padova, CEDAM, 2011. In particolare tali fattori esogeni possono
far riferimento al micro o al macro-ambiente, ove il primo è composto dall’ambiente transazionale e da
quello competitivo, mentre il secondo da tutti quei fattori riconducibili ad una molteplicità di ambienti
(politico-istituzionale, socio-demografico, culturale, tecnologico…) su cui l’impresa può esercitare un
effetto molto limitato.
21
D. Balducci, La Valutazione dell’Azienda, op. cit. Nello specifico, l’autore distingue, un avviamento
stabile e durevole da uno volatile. Nel primo caso esso deriva da fattori direttamente influenzabili da chi
gestisce l’azienda e, in via approssimativa, la sua durata viene stimata in 5-8 anni. Nel secondo, invece,
essa viene stimata in 3-5 anni e si specifica come la volatilità non derivi soltanto da fattori la cui limitata
possibilità di controllo sia legata alla distanza tra i fattori stessi e l’azienda, ma dalla fonte degli stessi (se
la fonte della maggior redditività è da ricondurre alle capacità manageriali, ad esempio, la volatilità
dell’avviamento deriva dal fatto che non si possono costringere tali manager a restare in azienda in eterno).
33
temporaneo nella scelta delle modalità di attualizzazione dei flussi reddituali (o monetari)
futuri e dell’orizzonte temporale entro cui orientare la stima.
Ulteriori considerazioni
Anche in questo caso, tuttavia, pur con i pregi legati al metodo dell’E.V.A.
evidenziati in precedenza, la stima dell’avviamento e, in ultima analisi, del valore
complessivo dell’azienda è soggetta ad ampi margini di discrezionalità in quanto
imprescindibile da processi di attualizzazione di flussi economici o finanziari futuri. In
questo senso, le tre linee guida che dovrebbero essere seguite nel determinare un metodo
di valutazione del valore economico aziendale (requisiti di generalità, obiettività e
razionalità) sembrano fungere solo da precetto che impedisca di formulare stime
irrealistiche in quanto resta presente la componente soggettiva nella valutazione
dell’avviamento aziendale la cui quantificazione, in sintesi, difficilmente può essere
scissa dagli interessi particolari di chi muove l’analisi.
1.3 I MOTIVI PER VALUTARE L’AVVIAMENTO
Discutendo dei metodi di stima del capitale economico e dei numerosi modi di
intendere quello netto non si è comunque riusciti a fornire una definizione universale del
concetto di avviamento. Non basta, infatti, identificarlo nello spread intercorrente tra le
due configurazioni di capitale dal momento che anche queste ultime possono essere
variamente intese: i valori patrimoniali possono essere espressi tanto al fair value quanto
al loro costo storico, così come le diverse metodologie di calcolo del valore complessivo
dell’azienda permettono di pervenire a soluzioni simili ma non omogenee. Tale assenza
34
di univocità nella quantificazione dell’avviamento sembra, in effetti, testimoniata da
numerosi studi e ricerche da parte di chi si è variamente cimentato nel definire con
precisione questa attitudine implicita dell’azienda. Vengono proposte nel prosieguo
alcune definizioni, fermo restando che, in molti casi, chi definisce il goodwill enfatizza la
differenza tra quello acquisito (purchased goodwill) e quello internamente generato
(internally generated goodwill). Per il momento non prenderemo in considerazione
questa distinzione in quanto essa presuppone alcune implicazioni sul piano contabile che
verranno trattate successivamente.
Volendo partire da una definizione ufficiale, possiamo riprendere quella, già
fornita, che ne dà il documento 24 dell’OIC quando specifica che il goodwill deriva “da
incrementi di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma
dei valori dei singoli beni in virtù dell’organizzazione dei beni in un sistema efficiente”.
Formula che sembrava tanto precisa all’inizio e tanto vaga adesso, in virtù delle difficoltà
nella definizione:
a) del valore del complesso dei beni aziendali;
b) della somma del valore dei singoli beni.
Si potrebbe obiettare che la definizione del punto sub. b) possa essere ricondotta
agli standard dallo stesso OIC ma tali standard sono dettati per esigenze diverse rispetto
alle quelle di un potenziale osservatore che voglia effettuare un analisi oggettiva del
valore dell’avviamento. Ma l’incertezza resta anche se spostiamo l’attenzione agli
standard internazionali, dove esso è definito soltanto in via residuale rispetto agli altri
asset intangibili22
, quasi come se il suo inserimento tra questi ultimi fosse un fatto solo
convenzionale, dando vita, inoltre, ad una discussione circa la sua conformità alla
definizione di attività proposta nel Framework. I principi contabili, pur specificandone il
trattamento contabile, non riescono a fornire una definizione esaustiva del concetto,
scopo, invece, perseguito da molti studiosi il cui confronto neanche in questo caso riesce
a dare univocità.
22
IASB, IAS 38 Intangible Assets
35
C’è chi identifica nell’avviamento un “premio in termini di maggior valore” che
scaturisce principalmente dalla reputazione aziendale e quantifica tale maggior valore
nella semplice differenza tra il valore complessivo dell’azienda ed il fair value delle
attività nette identificabili23
. Altri cercano di fornire definizioni più approfondite. Reilly
e Schweihs, ad esempio, pur specificando l’assenza di definizioni “universali”,
identificano nel goodwill la presenza di tre componenti24
:
1) il going-concern value, ovvero la presenza di fattori produttivi pronti all’uso;
2) l’excess economic income ovvero quella parte di ricchezza la cui creazione non
può essere ricondotta ad alcun asset identificabile specifico;
3) le aspettative circa eventi futuri non correlati direttamente alle operazioni
aziendali.
Se i primi due elementi sono strettamente collegati al concetto generale di
avviamento, è il terzo a rappresentare un elemento di discontinuità. Secondo gli autori,
infatti, il valore del goodwill incorpora anche le aspettative circa possibili eventi futuri
che in qualche modo possono influenzare l’attività dell’azienda e il suo valore. Nel
prosieguo è specificato meglio il concetto: “Investors (and owners) assign a goodwill
value to a business if they expect net present value of the income associated with the
future events to be positive”. Per capire meglio tale affermazione si faccia riferimento ad
uno dei metodi c.d. fondamentali teorici, quello che stima il valore dell’impresa nel valore
attuale dei suoi flussi di reddito futuri. Tale metodo presuppone delle supposizioni circa
la misura di tali redditi. Ebbene, Reilly e Schweihs ci dicono semplicemente che la stima
di suddetti flussi deve incorporare anche le aspettative di chi muove l’analisi circa
probabili accadimenti futuri (non meglio specificati ma si suppone che possano far
riferimento a quelli già citati discutendo del metodo dell’E.V.A.) che si ritiene possano,
positivamente o negativamente, influenzare la capacità dell’impresa di produrre
ricchezza. Tale definizione probabilmente rende un ottimo contributo all’inquadramento
dell’avviamento in chiave concettuale ma è evidente come non si possa dire lo stesso
anche dal punto di vista pratico. Se, come affermano i due autori, l’avviamento è
23
Definizione tratta da: J.M. Samuels, R.E. Brayshaw, J.M. Cramer, Financial Statement Analysis in
Europe, Chapman & All, 1995
24
R. Reilly, R. Schweihs, Valuing Intangible Assets, Mc-Graw Hill, 1998
36
assimilabile alla somma delle tre componenti e, volendo ragionare per assurdo, si ritiene
di poter assegnare alle prime due valori precisi ed univoci, è la presenza delle aspettative
che non ci consente di limitare il margine di discrezionalità associato alla sua
misurazione. Anche in questo caso a rilevare è il punto di osservazione dal quale si pone
chi muove l’analisi: il manager dell’impresa oggetto di valutazione e un analista esterno,
ad esempio, possono essere in possesso di informazioni discordanti che portano,
innanzitutto, a delle differenze nel modo in cui essi formano le loro aspettative sul futuro
(siano esse strettamente collegate all’impresa in questione o facenti parte del più
complesso ambiente economico e le cui ripercussioni sulla stessa avvengono solo in un
secondo momento) e, quindi, al modo in cui essi riflettono le loro aspettative sulle analisi.
Altra definizione che, per sommi capi, ricalca il concetto generale di avviamento
definito fin ora è quella fornita da Johnson e Petrone, che lo definiscono come “la capacità
di un’azienda di conseguire un tasso di rendimento maggiore da un insieme di attività
nette rispetto a quello conseguibile se tali attività fossero acquisite separatamente
(riflettendo le sinergie di tali attività nette e i fattori correlati alle imperfezioni di mercato,
ad esempio quando un’azienda possiede la capacità di conseguire profitti monopolistici o
quando esistono barriere all’entrata di quel determinato mercato per i potenziali
competitors)”25
. Anche in questa definizione viene enfatizzato il ruolo giocato da
elementi esogeni all’azienda (si parla genericamente di imperfezioni di mercato legate,
probabilmente, a tutte le condizioni che allontanano la struttura del mercato dalla visione
utopistica della perfetta concorrenzialità) che influiscono sul modo in cui la stessa riesce
a sfruttare le sinergie produttive da cui deriva l’abilità di ottenere tassi di rendimento
superiori al normale, dove il normale è inteso nell’ipotesi in cui i fattori produttivi siano
acquisiti al di fuori della combinazione produttiva (il concetto di stand-alone basis già
menzionato nella trattazione).
A parere di chi scrive, il trait d’union di tutte le analisi proposte fino a questo
punto sta nella presenza di una sorta di proporzionalità inversa tra la validità concettuale
della definizione di avviamento e la possibilità di ricondurvi un metodo di quantificazione
25
L.T. Johnson, K.R. Petrone, Commentary: is Goodwill an Asset? Accounting Horizons, 1988. Essi
definiscono il goodwill come: “the ability of a stand-alone business to earn a higher rate of return on an
organized collection of net assets than would be expected if those assets had to be acquired separately
(reflecting the synergies of the net assets of the business and factors related to market imperfections, such
as where a business has the ability to earn monopoly profits or where there are barriers to entry to the
market by potential competitors)”.
37
attendibile, un metodo, cioè, che incorpori in toto i principi di razionalità, obiettività e
generalità. Se è vero che il valore dell’avviamento incorpora le aspettative su eventi futuri
formulate da chi muove l’analisi (come evidenziato da Reilly e Schweihs), è altresì vero
che a tali aspettative non può essere ricondotto un metodo affidabile di valutazione; per
cui la componente soggettiva risulta inscindibile dalla valutazione stessa (inconveniente
al quale, come si vedrà, i principi contabili stessi rispondono operando supposizioni e
semplificazioni).
E’ per questi motivi che si richiama una definizione di avviamento azzardata in
precedenza, in cui esso risulta derivare da una sorta di compromesso tra i dati contabili,
da un lato, e gli interessi particolari di chi ne effettua l’analisi, dall’altro. Si ritiene che
tali interessi vadano a formare la componente soggettiva accennata in precedenza e che
conferisce valori differenti all’avviamento a seconda del punto di vista dal quale ne viene
condotta l’analisi. Si ritiene utile, dunque, un accenno a tali possibili interessi citando
ancora una volta Reilly e Schweihs, i quali forniscono diverse ragioni che possono far
nascere l’esigenza di analizzare l’avviamento, tra le quali vengono menzionate:
- Damage analysis: il verificarsi di un fenomeno, sia esso di natura macro-
ambientale o anche più circoscritto in termini spaziali (si fa riferimento, nel testo,
a disastri naturali, scioperi ma anche violazione di accordi contrattuali e altri
accadimenti simili) che riguarda direttamente l’impresa, fa nascere la necessità di
valutare l’avviamento per capire se è stata lesa la capacità di produrre ricchezza
extra. All’occorrenza può essere utile effettuare una comparazione tra il valore
dell’avviamento prima e dopo il manifestarsi di tale evento per capire non solo se
l’impresa ne abbia risentito, ma anche in che misura.
- Business or professional practice merger and separation: nel caso di fusione tra
imprese è necessario stimare il valore complessivo dell’impresa fusa e, quindi,
anche il suo avviamento in modo tale da poterlo riallocare sulla base del contributo
che è in grado di garantire ai partner. Anche nel caso di una scissione è
fondamentale conoscere il valore del goodwill in modo da poterlo ripartire
secondo le stesse considerazioni fatte nel caso della fusione.
- Solvency test: in linea generale, la capacità dell’impresa di tener fede agli obblighi
assunti verso terzi deriva dal suo valore complessivo.
38
- Transfer price: ovviamente, nel caso di acquisto di azienda o ramo d’azienda, il
compratore deve conoscerne il valore complessivo per determinare un adeguato
corrispettivo.
- Bancarotta e riorganizzazione: se l’impresa è in bancarotta la stima del goodwill
presente o di quello potenzialmente ottenibile a parità di condizioni produttive
presenti è utile per capire se vale la pena cimentarsi in una riorganizzazione
aziendale per renderla nuovamente funzionante oppure se procedere alla
liquidazione.
- Business enterprise valuation: attiene alle numerose prospettive esterne che
possono spingere alla determinazione del valore complessivo dell’impresa (ad
esempio, da parte di un ipotetico soggetto che deve decidere se finanziarla o
meno).
39
CAPITOLO 2
TRATTAMENTO CONTABILE ATTUALE
In questo capitolo si tenterà di analizzare l’attuale disciplina inerente il trattamento
contabile dell’avviamento in ambito nazionale ed internazionale. Nel fare ciò verranno
presi in considerazione i documenti OIC (che, in conformità ai dettami del Codice Civile,
statuiscono le modalità di redazione del bilancio) e quelli dell’IAS/IFRS e si tenterà di
analizzare le principali differenze di trattamento.
2.1 PREMESSA
Gli standard contabili sono soggetti ad una continua messa in discussione dettata
dai numerosi mutamenti nello scenario economico che richiede alle imprese di adeguarsi
alle nuove esigenze conoscitive e di cambiare il loro modo di porsi nei confronti
dell’ambiente esterno. Ciò è vero, soprattutto, alla luce dell’attuale processo di
globalizzazione che, con l’abbattimento delle distanze geografiche e l’introduzione di
nuovi strumenti contrattuali, ha radicalmente cambiato il modo di intendere la
comunicazione aziendale vincolata: è in tale contesto che ci si accorge di come il modello
di bilancio presenti evidenti carenze strutturali. La conseguenza più rilevante è stata la
40
recente presa d’atto della necessità di un’unificazione dei principi contabili a livello
internazionale che consenta la comparabilità dei bilanci tra imprese per le quali, come si
è detto, la distanza geografica è divenuta un elemento sempre meno divisivo. Sempre più
imprese dislocate in paesi o continenti diversi intraprendono tra di loro rapporti
commerciali e nella scelta dei loro partner internazionali fanno affidamento a svariate
fonti informative, prima fra tutte il bilancio. Motivo per il quale quest’ultimo necessita di
essere comprensibile anche all’estero e deve essere capace di fornire informazioni che
siano rilevanti e non influenzate dalla particolarità dei principi contabili del paese in cui
esso è redatto: è in questa chiave di lettura che assume un ruolo centrale la comparabilità
dello stesso a livello internazionale. Ecco perché, pur conservando alcuni tratti distintivi,
la fondazione OIC si propone come obiettivo quello di emanare standard che avvicinino
il più possibile il modo di intendere il bilancio in ambito nazionale con quello in ambito
internazionale.
Uno degli argomenti in esame nell’ambito dell’abbattimento di tali discrepanze
informative è proprio il goodwill le cui difformità inerenti il suo trattamento contabile
sono state analizzate e discusse, tra gli altri, dall’OIC in concerto con lo standard setter
giapponese (ASBJ) e dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) in
un discussion paper. La necessità di mettere in discussione il modo di intendere
l’avviamento nei principi contabili deriva da fattori non soltanto di natura contabile ma il
cui effetto è percepibile a livello macroeconomico. Essi saranno comunque trattati nel
prosieguo. Si illustrerà, anzitutto, l’attuale disciplina contabile.
2.2 L’AVVIAMENTO ACQUISITO E QUELLO INTERNAMENTE
GENERATO
La discussione circa il trattamento contabile dell’avviamento presuppone
l’introduzione della distinzione tra due tipologie di avviamento, rimarcata con forza sia
41
dagli standard sia dagli studiosi che si sono variamente cimentati nel definire un quadro
concettuale dell’argomento in questione:
a) l’avviamento internamente generato (internally generated goodwill);
b) l’avviamento acquisito (purchased goodwill).
A ben vedere, il concetto stesso di avviamento non cambia: in entrambi i casi
siamo di fronte all’attitudine dell’azienda di generare, tramite la combinazione dei vari
fattori aziendali, utili in eccesso (excess earning power) rispetto a quelli ottenibili
secondo una prospettiva stand-alone basis. Cambia, piuttosto, il punto di osservazione.
Mettendoci nei panni di un’impresa che deve redigere il proprio bilancio, l’avviamento
sub. a) rappresenta quello formatosi a seguito dell’attività dell’impresa stessa, mentre
quello sub. b) fa riferimento all’avviamento di un’ipotetica azienda o ramo d’azienda che
l’impresa si accinge ad acquisire. Tuttavia la distinzione ha importanti implicazioni per
quanto attiene al trattamento contabile in quanto a tal fine è rilevante solo l’avviamento
acquisito: solo questo può comparire in bilancio mentre in nessun caso è ammessa la
contabilizzazione dell’avviamento generato internamente. Si tratta, a ben vedere, di una
sorta di trait d’union tra i diversi standard setter ognuno dei quali rimarca con forza questo
aspetto: in effetti è uno dei pochi tratti che accomuna la disciplina civilistica a quella
internazionale, a dispetto delle numerose difformità attinenti altri aspetti delle due
discipline contabili. Nell’ambito nazionale, ad esempio, prima ancora che i documenti
OIC, è lo stesso codice civile a stabilirne l’acquisizione a titolo oneroso come condizione
necessaria ai fini della sua iscrizione26
.
Ma al di là dei precetti normativi, le ragioni che motivano questo trattamento sono
comunque chiare: andare ad esporre in stato patrimoniale, accanto a tutti i valori dei fattori
aziendali, anche quello del proprio avviamento, significa comunicare all’esterno una
stima del valore complessivo dell’azienda. Stima, per altro, soggettiva e mai condivisibile
in senso assoluto. Una esposizione in bilancio come quella appena proposta sarebbe
26
Art. 2426 Cod. Civ. Criteri di valutazione: ”l'avviamento può essere iscritto nell'attivo con il consenso,
ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e
deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni”.
42
profondamente discordante con le finalità dello stesso, che, in linea di massima, possono
essere ricondotte ad una rappresentazione dei valori incentrata alla determinazione del
risultato netto d’esercizio rispettando, tra gli altri, il principio di competenza economica.
Ebbene, ricordando che alla quantificazione del valore dell’avviamento vi si perviene
attraverso un processo di attualizzazione dei redditi che si presume saranno conseguiti in
futuro, esporre in bilancio anche il proprio avviamento significherebbe anticipare al
presente tali redditi futuri: la conseguenza sarebbe una (inopportuna) convergenza tra il
valore dell’equity contabile dell’impresa e la sua capitalizzazione di mercato. Inoltre,
sempre in ambito nazionale, la capitalizzazione dell’internally generated goodwill
allontanerebbe dallo scopo che lo stesso OIC attribuisce al bilancio attraverso la
statuizione di postulati quali la prudenza, la verificabilità e, in linea con questa
discussione, “l’incompatibilità delle finalità del bilancio di esercizio con l’inclusione
delle valutazioni prospettiche dell’investitore”27
. A riprova, si richiama, in ambito
internazionale, un dettato del Conceptual Framework for Financial Reporting, il quale
esplica chiaramente che uno dei propositi degli standard IAS/IFRS, che ad esso devono
conformarsi, deve essere quello di una valutazione oggettiva degli elementi dell’azienda,
ma non del suo valore economico. A supporto di quanto stabilito dalle fonti normative
c’è anche chi aggiunge che un altro motivo della sua non inclusione in bilancio è
rappresentato dalla difficoltà di stabilire con precisione i processi e le modalità con le
quali esso si è venuto a formare (ovvero se esso sia da ricondurre principalmente alle
sinergie intercorrenti tra i vari fattori aziendali oppure al valore di elementi immateriali
non suscettibili di identificazione e, in quanto tali, non esposti in bilancio): la logica
conseguenza è l’impossibilità di ricondurvi una voce di costo e, quindi, di poterne stimare
il valore in modo attendibile28
. Inoltre, come evidenziato da altri studiosi, andare ad
esporre in bilancio l’avviamento internamente generato significherebbe, in pratica,
attuare una duplicazione dei valori sintetizzanti la performance aziendale e un’ipotetica
attuazione di tale metodo in maniera pervasiva comprometterebbe la comparabilità dei
bilanci e le valutazioni circa i rendimenti29
.
27
OIC 11 Bilancio d’esercizio: finalità e postulati
28
R.V. Ratiu, A. Tiron Tudor, The Classification of Goodwill: an Essential Accounting Analysis, Review
of Economic Studies and Research Virgil Madgearu, 2013
29
M. Bloom, Double Accounting for Goodwill: a problem redefined, United Kingdom, Routledge, 2008.
43
In sintesi, è pacifico che l’avviamento internamente generato non rileva ai fini del
trattamento contabile in quanto non è presente, tra gli scopi della contabilità intesa in
senso generale, quello di mostrare il valore economico del capitale di un’azienda.
Se, dunque, tra le immobilizzazioni immateriali del bilancio di un’azienda
compare l’avviamento vuole dire che la stessa lo abbia rilevato nell’ambito di
acquisizione di altra azienda o ramo d’azienda (o ancora a seguito di un’operazione di
conferimento, fusione o scissione). Secondo quanto stabilito dall’OIC 24
Immobilizzazioni Immateriali tale avviamento si identifica nella “parte di corrispettivo
riconosciuta a titolo oneroso, non attribuibile ai singoli elementi patrimoniali acquisiti
di un’azienda ma piuttosto riconducibile al suo valore intrinseco”. Lo stesso documento
integra, poi, tale definizione quando, nell’ambito della rilevazione e valutazione, specifica
che ai fini dell’iscrizione in bilancio è necessario che:
a) il valore dell’avviamento sia quantificabile in quanto incluso nel corrispettivo
pagato;
b) sia costituito da costi ad utilità differita nel tempo, che generino, cioè, utili futuri
o risparmi di costo;
c) sia soddisfatto il principio della recuperabilità del relativo costo, ovvero non vi si
trovi in presenza di cattivo affare.
Nel prosieguo viene poi specificato che il valore dell’avviamento da iscrivere in
stato patrimoniale è dato dalla differenza tra il corrispettivo pagato ed il valore corrente
attribuito agli altri elementi patrimoniali attivi e passivi che vengono trasferiti.
Anche in questo caso si può notare come, per forza di cose, lo standard sia
costretto a lasciare un certo margine di discrezionalità circa la rilevazione o meno
dell’avviamento. In particolare il principio di recuperabilità del costo come condizione
necessaria per la sua capitalizzazione presuppone valutazioni inerenti l’entità dei
probabili benefici economici futuri. Ma ovviamente il fatto di non poter quantificare con
oggettività tali benefici fa sì che il valore dell’avviamento sia ancorato a quello del
corrispettivo deciso di pagare dall’impresa che lo ha acquisito a seguito della
44
contrattazione tra le parti interessate. Anche gli IAS/IFRS operano in maniera simile a
quanto accade in ambito nazionale avallando tale supposizione, dettata anche qui
dall’impossibilità di definire in maniera chiara ed univoca una valore economico del
capitale per l’impresa acquisita. Tale tematica sarà, tuttavia, approfondita discutendo
circa la recognition dell’avviamento.
2.3 LA RECOGNITION DELL’AVVIAMENTO
Sia in ambito nazionale che internazionale l’avviamento è incluso, qualora se ne
presentino le condizioni, nell’attivo dello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni
immateriali. La sua inclusione in tale categoria, però, è tutt’ora oggetto di discussione. Si
è ampiamente discusso di come esso non possa essere ricondotto ad un’attività o fattore
specifico ma piuttosto ad un’attitudine dell’azienda, una sua qualità intrinseca. Resta da
capire se questo modo di intenderlo possa cambiare se lo si osserva, nell’ottica contabile,
non più come avviamento aziendale in senso generico ma come avviamento acquisito
dall’esterno. Il motivo per cui si ritiene utile cimentarsi in questa discussione non è tanto
l’inclusione formale dell’avviamento nell’attivo immobilizzato, quanto, piuttosto, la
valutazione della sua conformità in termini qualitativi agli altri elementi appartenenti a
tale categoria al fine di poter stabilire l’adeguatezza dell’attuale metodo di trattamento
contabile.
In ambito nazionale, il codice civile parla, in maniera generica, di elementi
patrimoniali quando, all’art. 2424 bis comma 1, specifica che quelli “destinati ad essere
utilizzati durevolmente devono essere inclusi nelle immobilizzazioni” lasciando, in
pratica, allo standard setter l’onere di definire con precisione i requisiti affinché
un’immobilizzazione immateriale possa essere identificata come tale. Ed, in effetti,
secondo la definizione fornita dall’OIC 24 Immobilizzazioni Immateriali l’avviamento
sembra legittimato ad essere incluso in tale categoria. Il documento pone tre requisiti:
45
a) la mancanza di tangibilità;
b) il sostenimento di costi per la loro acquisizione o produzione interna e la capacità
di identificare e misurare tali costi;
c) l’utilità pluriennale, ovvero la capacità di generare benefici economici futuri in
termini di maggiori ricavi o minori costi rispetto a quelli che si avrebbero in
assenza.
Si può osservare che l’avviamento rispecchia tutti e tre i requisiti richiesti, per cui
è pienamente legittimato, in ambito nazionale, ad essere incluso formalmente e
sostanzialmente tra le immobilizzazioni immateriali; il che, come verrà meglio
evidenziato nel prosieguo, giustifica un trattamento contabile in linea di massima similare
con gli altri elementi inclusi in tale categoria.
In ambito internazionale il discorso merita opportune precisazioni. Infatti, a
differenza delle prescrizioni civilistiche e di quelle fornite dall’OIC, gli standard dello
IASB forniscono definizioni più dettagliate e criteri più specifici, sia per quanto attiene
alla definizione di asset che a quella di intangible asset. Si discute della conformità
dell’avviamento alle due definizioni proposte.
Innanzitutto il Conceptual Framework for Financial Reporting specifica che ci si
trova in presenza di un asset quando tale risorsa:
1) sia controllata dall’azienda;
2) sia il risultato di eventi passati;
3) ci si aspetta generi benefici economici futuri.
Appurato che gli eventi passati di cui si parla possono essere ricondotti al
sostenimento di costi per acquisizione o produzione interna e che anche il requisito dei
benefici economici futuri è comune a quanto richiesto dall’OIC, l’unico punto di
discontinuità è rappresentato dal requisito del controllo che, come inteso nel Framework,
è correlato alla capacità da parte dell’impresa di beneficiare, in via esclusiva, dei vantaggi
46
economici futuri derivanti proprio dall’esistenza di un avviamento. Viene, altresì,
puntualizzato come il supporto offerto da tutele legali o comunque da altri strumenti
normativi possa rinforzare il controllo sull’asset in questione. In effetti la presenza
dell’avviamento nel bilancio di un’impresa non è supportata dalla presenza di uno
strumento contrattuale o altro tipo di supporto legale né tantomeno essa può essere
giustificata dalle tutele legali collegate alle altre attività e passività la cui acquisizione ha
dato origine all’avviamento stesso. Tuttavia, nel prosieguo, il documento puntualizza che
il possedimento del requisito della controllabilità non sia necessariamente correlato alla
presenza di tali fattori30
per cui da questo punto di vista non sembra preclusa la possibilità
di identificare il goodwill come un asset a pieno titolo. In quest’ultima affermazione è,
inoltre, racchiuso il principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma
giuridica, rimarcato a grandi linee dal Framework: pur non essendo presenti elementi di
natura giuridica o legale che supportino la presenza di tale attività in bilancio, è palese
che, indipendente da quest’ultimo aspetto, la stessa rappresenti fonte di probabili benefici
economici futuri ricollegabili a maggiori ricavi o minori costi dei quali l’impresa potrà
beneficiare e ciò è sufficiente a comprovare la conformità dell’avviamento alla
definizione di asset.
Tale conformità è posta, tuttavia, come condizione necessaria ma non sufficiente
ai fini della recognition, ovvero del processo di incorporazione in bilancio degli elementi
patrimoniali e reddituali. Quest’ultima, infatti, è subordinata all’esistenza di due ulteriori
requisiti:
a) la probabilità dell’esistenza di benefici economici futuri collegati all’asset in
questione;
b) l’affidabilità della misurazione del suo costo o valore.
Per quanto attiene al requisito sub. a) esso è collegato al grado di incertezza circa
la possibilità che i benefici economici in questione fluiranno o meno all’impresa. Tale
grado di incertezza dipende, a sua volta, dalle caratteristiche dell’ambiente specifico in
30
Oltre che dal Framework tale aspetto è rimarcato anche dal documento IAS 38 Intangible Assets.
47
cui l’impresa stessa svolge la sua attività operativa. Il rispetto del requisito sub. b), invece,
impone la non inclusione in bilancio di tutte quelle poste il cui costo o valore non può
essere attendibilmente misurato, fermo restando la possibilità di sottolinearne comunque
l’esistenza includendole in altri sistemi di rilevazione al di fuori del bilancio. Ritornando
alla discussione circa la conformità dell’avviamento a questi requisiti, è da notare come
il Framework parli genericamente di “probabilità dell’esistenza di benefici futuri”, senza
richiederne una quantificazione attendibile del valore. Dei dubbi restano per ciò che
riguarda il grado di attendibilità con il quale si può decretare la reale presenza di tali
benefici futuri e circa la conformità dell’avviamento al requisito dell’affidabilità, dal
momento che la misurazione del suo valore è soggetta ai numerosi processi valutativi
discrezionali di cui si è ampiamente discusso. Tali dubbi vengono, tuttavia, dissipati
quando il documento specifica che i criteri per la recognition devono essere letti alla luce
della supposizione che il management aziendale prenda solo ed esclusivamente delle
decisioni mirate all’ottenimento di benefici economici futuri. Riconsiderando i requisiti
esposti fino ad ora alla luce di quest’ultima chiave di lettura si può affermare che
l’avviamento è qualitativamente conforme a tali requisiti. Infatti, secondo questa
interpretazione, è da ritenere palese che il management paghi un certo corrispettivo per
l’acquisizione di altra azienda solo qualora ritenga che esso possa essere pienamente
recuperato in futuro.
Valutata la conformità dell’avviamento alla definizione di asset, resta ora la
discussione circa la sua inclusione tra gli Intangible Assets. Secondo quanto disposto
dallo IAS 38, un’attività immateriale si caratterizza per:
a) l’assenza di sostanza fisica
b) l’identificabilità
A sua volta, quello dell’identificabilità è uno dei requisiti da rispettare affinché un
attività immateriale si possa considerare come tale. Gli altri due attengono alla
controllabilità e ai benefici economici futuri e vengono ripresi dal Framework nell’ambito
dell’identificazione degli asset e dei quali si è già discusso. Lo IAS 38 Intangible Assets
48
definisce con più precisione il requisito sub. b) quando afferma che un asset è
identificabile quando:
a) è separabile, ovvero capace di essere separato o diviso dall’impresa e ceduto,
trasferito, dato in licenza, affittato o scambiato, o individualmente o assieme ad
altro elemento ad esso collegato (contratto, attività identificabile o passività)
indipendentemente dal fatto che l’impresa intenda farlo o meno; oppure
b) sorge da contratti o altri diritti legali, indipendentemente dal fatto che questi ultimi
possano essere o meno trasferibili o separabili dall’azienda o da altro fattore.
Ovviamente l’avviamento non accoglie nessuna delle due definizioni: esso manca
del requisito di identificabilità. Anzi, è lo stesso documento che sottolinea come il rispetto
dello stesso requisito presupponga la separabilità del goodwill dagli altri intangibles: in
altri termini, un asset immateriale è definibile come tale solo se può essere tenuto distinto
dall’avviamento. Il che consente di notare come sia quasi convenzionale il suo
inserimento tra gli intangibles a differenza di quanto, invece, accade in ambito nazionale
dove, si è visto, esso risulta pienamente conforme alla definizione di “Immobilizzazione
immateriale” fornita dall’OIC 24. Tant’è vero che lo stesso IAS 38 si limita a rimarcare
il divieto tassativo di capitalizzare il goodwill internamente generato ma non
approfondisce la tematica relativa alla recognition dello stesso se non rinviando la
discussione ad un altro standard, l’IFRS 3 Business Combination. Tale standard nella sua
attuale formulazione, è quello che più di altri si sforza di delineare un quadro completo
circa la recognition del goodwill, anche perché la pratica dell’aggregazione aziendale è
forse quella che più di altre giustifica il sorgere dello stesso nel bilancio aziendale: la
presenza del purchased goodwill (l’unico a rilevare per fini contabili) presuppone, infatti,
l’acquisizione di un’azienda o ramo d’azienda.
Innanzitutto lo standard fornisce una definizione di business combination con la
quale si propone anche di tener separata tale pratica da un qualsiasi altro tipo di
transazione. In pratica l’esistenza di un’aggregazione aziendale presuppone:
49
a) la presenza di almeno due parti delle quali una può essere identificata come
l’impresa acquirente (acquirer) e l’altra come quella acquisita (acquiree);
b) una transazione avente ad oggetto attività e passività che, al momento
dell’aggregazione, formano un business;
c) l’ottenimento del controllo dell’impresa acquisita da parte dell’acquirer.
Ad integrare questa definizione ne viene poi fornita un’altra integrativa del
concetto di business, inteso come “un insieme integrato di attività capace di essere gestito
allo scopo di fornire un rendimento in termini di dividendi, minori costi o altri benefici
economici direttamente riconducibili ai proprietari”.
Ebbene, la discussione circa gli elementi preliminari caratterizzanti il processo di
Business Combination fornisce il punto di partenza per poterla definire con precisione.
Nello specifico, vengono ricompresi sotto l’espressione di acquisition method quella serie
di atti sequenziali attinenti al trattamento contabile relativo all’intero processo di
aggregazione. I vari passaggi caratterizzanti l’acquisition method sono:
a) identificazione dell’acquirer;
b) determinazione della data di acquisizione (acquisition date);
c) riconoscimento e misurazione delle attività identificabili acquisite, delle passività
trasferite e di qualsiasi altra quota di minoranza;
d) riconoscimento e misurazione del goodwill o di un guadagno su acquisto a prezzi
favorevoli.
Mentre l’identificazione dell’acquirer è elemento intrinseco della definizione di
aggregazione aziendale proposta dal documento e presuppone l’identificazione, altresì,
dell’acquiree e del business oggetto di trasferimento, l’acquisition date fa riferimento al
momento in cui si ottiene il controllo dell’impresa acquisita. Per quanto attiene alla
recognition, l’acquirente ha l’obbligo di valutare tutti gli elementi oggetto del
trasferimento al loro fair value alla data di acquisizione avendo cura:
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Avviamento: principali criticità dell'attuale trattamento contabile

  • 1. 1 Seconda Università degli Studi di Napoli Dipartimento di Economia Corso di Laurea in Economia Aziendale TESI DI LAUREA IN ANALISI ECONOMICO-FINANZIARIA D'AZIENDA Avviamento: principali criticità dell'attuale trattamento contabile
  • 2. 2 INDICE INTRODUZIONE.........................................................................................4 CAPITOLO 1 COS’È L’AVVIAMENTO ...........................................................................7 1.1 IL CONCETTO DI AVVIAMENTO .....................................................8 1.2 LA VALUTAZIONE DELL’AVVIAMENTO ....................................12 1.2.1 CAPITALE NETTO ..........................................................................13 1.2.2 CAPITALE ECONOMICO ...............................................................15 Metodi diretti...............................................................................................16 Metodi indiretti............................................................................................20 E.V.A........................................................................................................... 27 Ulteriori considerazioni............................................................................... 32 1.3 I MOTIVI PER VALUTARE L’AVVIAMENTO............................... 32 CAPITOLO 2 TRATTAMENTO CONTABILE ATTUALE ........................................... 38 2.1 PREMESSA.......................................................................................... 38 2.2 L’AVVIAMENTO ACQUISITO E QUELLO INTERNAMENTE GENERATO ...............................................................................................39 2.3 LA RECOGNITION DELL’AVVIAMENTO...................................... 43 2.4 TRATTAMENTO CONTABILE SUCCESSIVO ............................... 53 2.5 DISCLOSURE...................................................................................... 63
  • 3. 3 CAPITOLO 3 ATTUALI CRITICITÀ............................................................................... 68 3.1 IL RUOLO DELL’AVVIAMENTO NELLA CRISI FINANZIARIA 73 3.2 CRITICITÀ DELL’IMPAIRMENT-ONLY APPROACH.................. 80 3.3 LA REINTRODUZIONE DELL’AMMORTAMENTO PER IL GOODWILL ................................................................................................86 3.4 IL RUOLO DEL GOODWILL NEI CONFLITTI DI AGENZIA........ 97 CONCLUSIONI........................................................................................ 105 RIFERIMENTI ......................................................................................... 109
  • 4. 4
  • 5. 5 INTRODUZIONE L’avviamento è certamente elemento in merito al quale, tutt’oggi, molti dibattiti sono ancora aperti e lo riguardano in maniera trasversale: dal suo inquadramento concettuale fino ai giudizi circa l’adeguatezza del suo trattamento contabile in relazione anche alle criticità emerse dall’analisi delle evidenze empiriche. Formalmente, si tratta di un elemento che figura in bilancio tra l’ampia categoria delle immobilizzazioni immateriali pur presentando, rispetto alla quasi totalità degli altri elementi dell’attivo e del passivo, la peculiarità di non essere ricollegabile ad alcun diritto giuridico, tratto che rende l’avviamento un item non osservabile e scarsamente propenso ad una traduzione numeraria oggettiva e, quindi, attendibile. Trattasi, inoltre, di elemento la cui rilevanza all’interno della dottrina economico-aziendale è indiscussa in quanto parte imprescindibile del processo di valutazione della dinamica aziendale: la sua esistenza è, se vogliamo, ricollegata al concetto stesso di azienda come entità sinergica e coordinata e non come mero raggruppamento dei singoli beni ivi ricompresi. Tale principio dottrinale ha delle implicazioni per quanto concerne la determinazione del valore dell’impresa, il quale non può essere ricondotto a quello dei suoi fattori osservabili ma deve ricomprendere elementi intangibili e non quantificabili ma essenziali al fine di creare quelle condizioni ottimali che consentano all’azienda di poter essere definita come tale. L’avviamento racchiude proprio quest’ultima essenza: esso è dato dal surplus che il valore dell’impresa assume rispetto a quello delle singole parti che la compongono. Il valore complessivo dell’impresa è dato, a sua volta, dalla sua capacità di creare ricchezza in quanto attitudine, quest’ultima, che meglio di altre esprime l’abilità nel gestire e combinare i singoli fattori aziendali in modo da creare un sistema efficiente e coordinato. Con queste prime osservazioni non si vuole, di certo, pretendere di fornire un inquadramento esaustivo del concetto di avviamento. Tuttavia, esse contribuiscono già da ora a rendere un’idea della particolarità di questo elemento e delle conseguenti problematicità in merito ad una sua “traduzione” nel linguaggio contabile. In merito a quest’ultimo punto è bene sottolineare come l’impresa non debba in nessun caso includere in bilancio il proprio avviamento: ciò contrasta con le finalità del bilancio stesso tra le quali non vi è quella di delineare un quadro della capacità dell’impresa di produrre
  • 6. 6 guadagni futuri. L’inclusione del goodwill nell’attivo patrimoniale è giustificata soltanto dalla messa in atto di operazioni interaziendali (come le acquisizioni aziendali) attraverso le quali due o più imprese divengono parte di un unico business. Tali pratiche sono divenute sempre più frequenti1 alla luce del recente processo di globalizzazione che ha portato alla deregolamentazione e l’apertura dei mercati internazionali agli investimenti esteri. Si tratta di considerazioni di carattere macroeconomico ma che rendono maggiormente rilevante il goodwill in relazione al ruolo svolto dallo stesso nell’informativa di bilancio. Peculiarità concettuali, difficoltà di realizzare una quantificazione oggettiva e pienamente condivisibile e ruolo assunto in relazione alle problematiche emerse dall’osservazione delle evidenze empiriche sono gli elementi principali che rendono necessaria una messa in discussione dell’attuale modo di intendere l’avviamento in contabilità. La presente discussione si propone di evidenziare le principali criticità dell’attuale trattamento contabile, cercando, se possibile, di porre un po’ d’ordine all’interno delle varie linee di pensiero esistenti in materia. Ricerche empiriche e considerazioni accademiche attinenti l’argomento verranno prese in considerazione al fine di realizzare un analisi più esaustiva attraverso una discussione della quale si illustra brevemente il modo in cui si è deciso di strutturarla in questa sede. Anzitutto si tenterà di realizzare un inquadramento del concetto di avviamento in senso strettamente economico e tralasciando, per il momento la sua definizione contabile. Nel farlo saranno indispensabili alcuni richiami alla dottrina economico-aziendale ad integrazione dei quali si proporranno considerazioni di carattere finanziario. Se è vero che le modalità di trattamento contabile di qualsiasi elemento riflettono i tratti qualitativi di quest’ultimo, allora andare a delineare questo inquadramento concettuale è premessa imprescindibile per valutare la conformità dell’avviamento al suo attuale trattamento contabile, che rappresenta il passaggio successivo. Nel fare ciò si procederà con il 1 R. Caiazza, Cross-Border M&A. Determinanti e fattori critici di successo, Torino, Giappichelli Editore, 2011. L’autore sottolinea come il fenomeno delle operazioni che giustificano il sorgere in bilancio di un valore di avviamento sia divenuto rilevante nell’ultimo decennio: “Dopo il trend negativo che ha caratterizzato il triennio 2001-2003, il fenomeno delle fusioni e acquisizioni ha cominciato a crescere nuovamente dal 2004, raggiungendo il suo picco nel 2007 per poi decrescere per effetto della grande crisi mondiale del 2009. Tale ondata è stata caratterizzata da operazioni di natura cross-border quale risposta all’integrazione dei mercati, alla necessità di consolidare il core business attraverso l’unione con i concorrenti, dalla maggiore dimensione delle operazioni, dal crescente ruolo degli investitori istituzionali e dall’ingresso di operatori provenienti da paesi a sviluppo emergente, quali PECO e Cina, che nelle scorse decadi erano rimasti fuori dalla competizione globale.”
  • 7. 7 seguente ordine: anzitutto verranno delineate le modalità di prima iscrizione e, quindi, il modo in cui è determinato il valore di bilancio dell’avviamento; in seguito si procederà ad evidenziare quanto attualmente previsto per il suo trattamento contabile successivo la recognition e, infine, si illustrerà quanto i documenti contabili dispongono in materia di disclosure. Nel fare tutto ciò si prenderanno in considerazione i documenti contabili nazionali dell’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) e quelli internazionali, gli IAS/IFRS emessi dall’International Accounting Standard Board; verranno, quindi, evidenziate le principali differenze di trattamento contabile tra i due ambiti alla luce della crescente necessità di convergenza delle pratiche di redazione del bilancio a livello globale dettata da circostanze quali l’avvicinamento dei mercati internazionali e l’aumento degli investimenti esteri che amplificano l’esigenza di rendere i bilanci comparabili anche a livello internazionale. Soltanto in seguito potranno essere formulati giudizi circa l’adeguatezza dell’attuale trattamento contabile per il goodwill alla luce della definizione concettuale proposta nella prima parte della discussione. Discutendo delle attuali criticità si farà riferimento, in particolare, ad un modello concettuale che offre una visione originale e, a parere di chi scrive, esaustiva del concetto di avviamento: è sulla base di tale modello, denominato discernible-element approach, che verranno mosse molte delle critiche relative al modo di intendere il goodwill negli standard internazionali. Ma la messa in discussione dell’attuale trattamento contabile verrà fatta anche in relazione ad alcune tendenze macroeconomiche (dettate, a loro volta, da aspetti di natura comportamentale) che sono state rilevate, in particolare, negli anni successivi lo scoppio della crisi finanziaria del 2007 e che hanno fatto emergere problematiche non di poco conto.
  • 8. 8 CAPITOLO 1 COS’È L’AVVIAMENTO Le problematiche relative all’identificazione dell’avviamento e alla sua successiva misurazione contabile derivano dalle difficoltà di realizzare appieno ed in maniera condivisa un suo inquadramento concettuale. Ragionando in termini astratti resta pacifico che qualsiasi posta di bilancio necessiti di essere definita in termini qualitativi affinché si possa pervenire ad una corretta riconversione quantitativa della medesima; affinché la si possa, in altri termini, tradurre in numeri. Del resto, ciò rispecchia l’essenza stessa del sistema di contabilità in senso lato come analisi della dinamica economica dell’azienda prima ancora che come mero adempimento legislativo. In questi termini la ragioneria si pone come medium dell’analisi aziendale: essa è, infatti, da un lato, risultato del processo di conversione degli aspetti qualitativi in termini numerari, e, dall’altro, punto di partenza per la successiva riconversione degli stessi in dinamica economica2 . Ora, se è vero che sono questi i compiti ai quali ogni sistema di contabilità deve adempiere, risulta chiara l’importanza di una corretta definizione in chiave concettuale di ogni singolo elemento aziendale come condizione imprescindibile per una sua successiva conversione in numeri. Ecco perché dell’avviamento si cercheranno di comprendere, prima ancora dell’attuale metodo di rilevazione e misurazione, i suoi tratti fondamentali ed il suo ruolo nella realtà economica aziendale. Soltanto successivamente potranno essere formulati giudizi circa eventuali inadeguatezze nell’attuale trattamento contabile. 2 E. Giannessi, 1960 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, Torino, Giappichelli Editore, 2010
  • 9. 9 1.1 IL CONCETTO DI AVVIAMENTO Nel definire cosa sia l’avviamento risulta necessario capire il modo in cui esso è inteso nella dottrina economico-aziendale, ove l’obiettivo di fornirne un adeguato inquadramento concettuale è subordinato, anzitutto, alla discussione circa le diverse configurazioni di capitale e le relazioni intercorrenti tra le stesse. Soltanto in questo modo risulterà possibile pervenire ad una chiara interpretazione dei dettati normativi in materia, i quali, considerati isolatamente, risultano inadeguati nell’ottemperare allo scopo. Passando in rassegna un breve richiamo delle fonti normative in materia contabile, infatti, ci si accorge subito della peculiare natura di tale elemento se lo si confronta agli altri elementi aziendali. Al par. 7 del documento “OIC 24 Immobilizzazioni immateriali” ne viene data una prima definizione, ove esso è inteso come “l’attitudine di un’azienda a produrre utili che derivino […] da incrementi di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni in virtù dell’organizzazione dei beni in un sistema efficiente”. Si potrebbero, idealmente, discernere dalla definizione proposta dall’OIC 24 due chiavi di lettura delle quali una è squisitamente economica mentre l’altra è legata all’ottica manageriale. Fermo restando la stretta interconnessione tra le due. Ed è già dalla prima che si possono riscontrare profondi elementi di discontinuità tra l’avviamento e gli altri fattori aziendali. Questa discontinuità attiene al fatto che, tenendo a mente l’idea di contabilità in senso lato accennata poc’anzi, se l’analisi della dinamica aziendale presuppone la conversione in numeri dei fattori aziendali che, congiuntamente, concorrono a definire l’attitudine dell’azienda stessa a produrre ricchezza, l’avviamento è definito proprio come tale attitudine e non come singolo elemento della realtà aziendale. In particolare, il suo sorgere presuppone la capacità di chi fa impresa di “mettere insieme nel modo giusto” (volendo esprimere il concetto in modo molto basilare) i vari fattori aziendali in modo da ottenere dei profitti maggiori di quelli che si otterrebbero utilizzando i vari fattori come elementi a se stanti piuttosto che come parte di un più complesso schema di combinazione. Altrove questo concetto viene ricondotto all’espressione di “excess earning power” (tradotto letteralmente: capacità di guadagni in eccesso), espressione con la quale molti identificano, in pratica, l’avviamento stesso.
  • 10. 10 Per quanto attiene l’ottica manageriale essa fa riferimento alla capacità da parte del management di far sì che i vari fattori aziendali interagiscano tra di loro all’interno dell’azienda formando una combinazione che meglio di altre consenta il raggiungimento dello scopo economico di creazione di valore. Ecco perché si afferma che la definizione stessa del concetto di azienda non si esaurisce nei fattori che essa possiede ma nella modalità in cui essi vengono combinati al fine di creare valore3 . Ma accanto a questa prospettiva intra-aziendale, se ne instaura un’altra che attiene ai rapporti tra l’impresa e gli stimoli che promanano dall’ambiente circostante (sul quale essa esercita un’influenza ed è, a sua volta, influenzata in maniera più o meno rilevante a seconda di fattori quali la prossimità dell’ambiente considerato o le dimensioni dell’azienda stessa) e la capacità del management di gestire la complessità di questi rapporti che, se inadeguatamente fronteggiati, compromettono il processo di creazione di valore. Di tutto ciò tiene in considerazione anche la definizione, già citata, fornita dall’OIC 24 quando, nel prosieguo dello stesso paragrafo, specifica le possibili motivazioni che potrebbero giustificare il pagamento di un corrispettivo che superi il valore della somma dei singoli elementi dell’azienda nell’ambito di un’ipotetica acquisizione aziendale: “extra reddito generato da prodotti innovativi o di ampia richiesta, creazione di valore attraverso sinergie produttive o commerciali, ecc.”. Ecco perché, come si diceva in precedenza, nel tentare di fornire una definizione dell’avviamento non si può far riferimento soltanto ai dettami normativi ma si necessita che essi siano letti alla luce della dottrina economico-aziendale. Del resto la discussione non fa riferimento ad un elemento al quale è riconducibile un costo o specifiche tutele legali, bensì a un’attitudine aziendale, derivante da fattori spesso non osservabili e quantificabili. Il problema (se di problema si può parlare) è che anche elementi quali capacità e competenze nel gestire la combinazione dei fattori aziendali sono essi stessi fattori aziendali, al pari di un macchinario o delle scorte di magazzino, in quanto, esattamente come questi ultimi, concorrono a consolidare la capacità dell’impresa di produrre valore. Volendo, infatti, intraprendere un ragionamento a ritroso, ricordando quelli che vengono definiti come “fattori aziendali primigeni”, vale a dire capitale e lavoro, possiamo con ragionevolezza ricondurre le capacità imprenditoriali alla seconda categoria. 3 E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
  • 11. 11 Essendo, in sintesi, pacifico che, al pari della dotazione fisica e finanziaria, anche elementi meno visibili quali l’esperienza o la conoscenza sono legittimati ad essere ricompresi nell’accezione “fattore aziendale”, è altresì palese che questi ultimi, così come i primi, concorrano ugualmente allo svolgimento dell’attività aziendale e, quindi, alla creazione di ricchezza, rilevando sulla determinazione del valore stesso dell’impresa. Ma mentre la dotazione fisica (impianti, macchinari, scorte, ecc.) ben si presta ad essere ricondotta oggettivamente a valori numerici, non si può dire lo stesso per tutti i fattori aziendali, tra i quali ve ne sono alcuni la cui stima deve necessariamente basarsi su congetture più o meno realistiche (si pensi a molte delle attività intangibili) ed altri ai quali risulta pressoché impossibile pervenire ad una quantificazione attendibile nemmeno operando congetture e semplificazioni (si pensi alle capacità manageriali). Orbene, premesso che, come già ricordato, il valore dell’impresa va oltre il valore delle sue singole parti, e considerato che molte delle componenti della realtà aziendale mancano dei requisiti che le consentirebbero di essere tradotte in valori numerari e, quindi, per forza di cose sono escluse dal bilancio stesso dell’impresa, emerge una discrepanza tra il valore contabile dell’impresa e il suo valore economico, inteso quest’ultimo come valore dell’insieme di fattori che, opportunamente combinati tra di loro, concorrono a formare la capacità della stessa di creare ricchezza. Volendo ragionare in termini di singoli fattori produttivi possiamo affermare che la suddetta discrepanza sorge in quanto il valore di un fattore di produzione non dipende soltanto dalla natura dello stesso ma dall’utilizzo per il quale è preposto. Ciò significa che, se considerato parte integrante di una più complessa organizzazione produttiva (c.d. use in combination), esso assume un valore maggiore rispetto all’ipotesi in cui sia considerato come elemento a se stante (c.d. stand alone basis). E significa, altresì, che un’ipotetica valutazione al fair value4 di tutti i fattori aziendali andrebbe probabilmente a ridurre (ma non ad annullare) la suddetta discrepanza. Valutare un’attività aziendale al fair value, infatti, vuol dire operare una stima che rifletta il valore assunto nella combinazione aziendale e che, quindi, ne massimizzi l’utilizzo o il valore di presumibile realizzo in caso di cessione nel caso in cui l’acquirente ne vada a fare un uso analogo, 4 IASB, IFRS 13 Fair Value Measurement. Il documento fornisce una esplicita definizione del concetto di fair value: “The price that would be received to sell an asset or paid to transfer a liability in an orderly transaction between market participants at the measurement date.”
  • 12. 12 oppure, nel caso di una passività, operare una stima del corrispettivo che, al tempo presente, sarebbe necessario per estinguere tale obbligazione. In senso lato è comunque da sottolineare come sia ipotesi irrealistica l’incorporazione del valore economico dell’impresa in bilancio in quanto definita in assenza dei principi di ragionevolezza e prudenza: se è vero che una pervasiva valutazione a fair value avvicinerebbe5 il valore del capitale netto aziendale a quello economico, è anche vero che nella determinazione di quest’ultimo si deve ancora tener conto di quei già citati fattori non incorporabili in bilancio (capacità imprenditoriali, esperienza, know- how…) che continuano a giustificare l’esistenza di tale differenza e, quindi, dell’avviamento. Tale ipotesi comporterebbe, come logica conseguenza, l’anticipazione dei redditi futuri, quelli per i quali, cioè, se ne presume ragionevolmente la realizzazione futura ma comunque subordinata al completamento di processi produttivi non ancora ultimati. In altre parole, presuppone un mancato rispetto del principio della competenza economica. L’ipotesi di una valutazione al fair value di tutti gli elementi patrimoniali contribuisce a fornire una differente prospettiva della questione di fondo, che, come già discusso, attiene alla presenza di una discrepanza tra i due modi di intendere il capitale aziendale, ovvero come somma dei valori delle singole parti, da un lato, e come valore intrinseco dell’azienda che si manifesta nella sua capacità di generare ricchezza dall’altro. Questa differenza attiene, tra le altre cose, all’impossibilità oggettiva di valutare taluni fattori aziendali, alla quale si affianca l’inopportunità di suddetta valutazione, derivante dalla presa d’atto che sarebbe controproducente unificare i valori di capitale netto e capitale economico in un unico ammontare per le ragioni di cui si è parlato poco fa. A ciò si aggiunga una ulteriore riflessione: l’inesistenza, come vedremo, di una metodologia condivisa che permetta di giungere alla determinazione di un valore economico del capitale aziendale univoco ha come conseguenza l’impossibilità di trovare per l’avviamento un valore altrettanto condiviso. Esistono, piuttosto, differenti tecniche valutative, ognuna delle quali parte da presupposti e basi teoriche differenti, così come, 5 Si badi: “avvicinerebbe” e non “farebbe coincidere” in quanto, anche nel caso di una valutazione a fair value di tutti gli elementi patrimoniali, la differenza tra capitale netto e valore complessivo aziendale continuerebbe ad essere alimentata dalla presenza dei già citati fattori aziendali che, seppur non comparendo negli schemi di bilancio, concorrono comunque alla creazione di valore.
  • 13. 13 del resto, sono differenti i punti di vista di chi muove tale analisi. Ecco, quindi, che la valutazione dell’avviamento presuppone di tenere in considerazione non soltanto la tipologia del modello valutativo ma anche gli interessi particolari dei soggetti che, a vario titolo, sono interessati a conoscere l’entità di questo elemento. In linea di massima si potrebbe abbreviare la questione semplicemente costatando l’esistenza di due gruppi di soggetti interessati a valutare l’azienda nel suo complesso e, quindi, l’avviamento: soggetti interni all’azienda, la cui esigenza può essere, ad esempio, di natura strategica o di valutazione della bontà delle operazioni di gestione poste in essere; soggetti esterni all’azienda, tra i quali si instaurano, a vario titolo, analisti finanziari, potenziali investitori oppure potenziali acquirenti dell’azienda stessa. Comunque si tenterà nel seguito del capitolo di illustrare più nel dettaglio sia le differenti metodologie di valutazione sia i potenziali interessi in capo a chi effettua tale analisi. In ogni caso, la discrepanza tra le due configurazioni di capitale ci fornisce un’indicazione di massima di quanto l’azienda sia legittimata ad essere considerata tale piuttosto che un semplice raggruppamento di vari elementi: ci dice, insomma, se essa sia o meno avviata e in che misura. Ecco perché suddetta differenza viene identificata con il termine “avviamento”. 1.2 LA VALUTAZIONE DELL’AVVIAMENTO La discussione appena proposta può essere sintetizzata nella seguente definizione, che vede l’avviamento come “l’eccedenza del valore del capitale economico del complesso, rispetto al valore delle singole parti patrimoniali che lo compongono […] esso indica di quanto l’insieme vale più della somma delle parti6 ”. Per dirlo in altri termini, la differenza tra il valore dell’insieme e quello delle singole parti suggerisce se e di quanto l’impresa è avviata. Ci suggerisce, altresì, che la problematica principale circa la valutazione dell’avviamento presuppone la “corretta” valutazione delle singole parti e 6 A. Amaduzzi, 1960 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
  • 14. 14 quella dell’insieme. E prima ancora, una specificazione adeguata dell’aggettivo “corretta”. Si tenterà, quindi, di cogliere i tratti essenziali di quei concetti senza la cui determinazione risulta impossibile la quantificazione dell’avviamento aziendale, ovvero: il capitale netto e le sue opportune riqualificazioni; il valore economico del capitale, al quale è riconducibile, in sostanza, il valore stesso dell’azienda. 1.2.1 CAPITALE NETTO E’, in linea di massima, identificabile con la ricchezza direttamente riconducibile agli shareholder, ovvero a ciò che è iscritto nello Stato Patrimoniale civilistico sotto il nome di Patrimonio Netto. Tale grandezza può essere variamente intesa: oltre alla definizione appena proposta può essere definita come il capitale conferito nella fase di avvio dell’attività di impresa dai soci con l’aggiunta dei conferimenti successivi e degli utili conseguiti trattenuti in azienda a titolo di rifinanziamento; oppure come la somma delle attività nette (decurtate delle passività). Riprendendo quest’ultima definizione (attivo meno passivo) risulta chiaro come la corretta stima del capitale netto dipenda da quella operata per le attività e le passività, ove il termine “corretta” usato (forse impropriamente ma volutamente) fino a questo punto fa riferimento ad una stima che presenti un elevato grado di attendibilità; il quale, a sua volta, presuppone che “l’assegnazione dei valori agli elementi del capitale venga definita in funzione di quelli da assegnare al reddito di periodo7 ”. Suddetta assegnazione deve avvenire, in altri termini, rispecchiando i principi di ragionevolezza e prudenza che consentano di imputare al periodo in corso solo gli utili conseguiti a seguito di processi produttivi ultimati nell’arco temporale di riferimento, rispettando il principio della competenza economica: in altre parole, per una corretta valutazione dell’avviamento il 7 E. Ardemani, 1978 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit.
  • 15. 15 capitale netto deve il più possibile rispecchiare quello di funzionamento la cui determinazione è comunque condizionata dall’impossibilità di ricondurvi “quelle risorse immateriali accumulate in maniera graduale e spontanea nel tempo […] riconoscibili e valutabili con maggiore difficoltà e la loro considerazione mal si concilia con le esigenze di oggettività delle determinazioni di reddito di periodo”8 . In ogni caso, essa è comunque orientata dai dettami normativi la cui stesura, sia in ambito nazionale che internazionale, è in linea di massima indirizzata affinché siano rispettati diversi principi tra i quali troviamo anche quelli appena citati9 . Nonostante la sua determinazione sia guidata dai dettami normativi, non sempre il capitale netto risulta essere un valore univoco in senso assoluto. Esso risulta, in un certo senso, influenzato dalle necessità di chi muove l’analisi. Per cui se la sua determinazione viene effettuata ai fini dell’adempimento dell’obbligo di comunicazione imposto dal legislatore, allora i dettami normativi cui si è appena fatto riferimento svolgono un ruolo “unificatore” in quanto la loro ottemperanza non consente a chi svolge l’analisi di discostarsi da un certo range di valori. Ma in altri casi l’analisi viene condotta per scopi diversi dall’adempimento burocratico e il valore del capitale netto andrà a rispecchiare le diverse esigenze conoscitive di chi ne effettua la quantificazione, come si avrà modo di osservare nel prosieguo. 1.2.2 CAPITALE ECONOMICO 8 Lucio Potito, Economia Aziendale, Torino, Giappichelli editore, 2014 9 Ciò è riscontrabile tanto nel Conceptual Framework for Financial Reporting dello IASB quanto nel documento 11 dell’OIC nonostante i due Board seguano palesemente una diversa impostazione concettuale. Se è, infatti, esplicito il fine perseguito dal primo, ossia, in sostanza, quello di statuire standard contabili che agevolino la lettura dei bilanci a chi deve prendere decisioni economiche inerenti l’azienda (e, quindi, di agevolare le decisioni di un potenziale investitore che deve decidere di finanziare a titolo di proprietà o di debito) è chiara, invece, l’impostazione seguita dall’OIC di elevare a stakeholder primari i creditori impostando i principi contabili al fine della loro tutela. Il che genera differenze, talvolta sostanziali, che fanno riferimento, ad esempio, ad una maggior enfasi posta in ambito nazionale sul requisito della prudenza rispetto a quello della tempestività dell’informazione, rimarcato con maggior forza dal Framework. Ma, nonostante queste peculiarità, principi quali comparabilità, chiarezza, rappresentazione fedele sono comuni ad entrambi.
  • 16. 16 Si potrebbe dire che la differenza più rilevante tra questa configurazione di capitale e quella di cui si è appena discusso sta nel rispetto del principio della competenza economica. Se esso è imprescindibile nella definizione dei valori di bilancio, non lo è, invece, nella definizione del valore globale dell’impresa che, anzi, si riflette proprio nel valore della ricchezza che essa presumibilmente produrrà in futuro. A tal proposito è bene segnalare che, proprio per la caratteristica di essere influenzato da stime e congetture sui redditi futuri, non esiste un modo univoco di definizione del capitale economico. Esistono, piuttosto, differenti metodologie caratterizzate da un grado più o meno elevato di discrezionalità e, quindi, di attendibilità. In aggiunta, c’è da sottolineare che si tratta pur sempre di metodi riconducibili alla dottrina economico-aziendale o all’ambito finanziario, scarsamente suscettibili di una “traduzione” in ambito normativo: il che genera rilevanti ripercussioni nel modo in intendere l’avviamento negli standard contabili, come si avrà modo di vedere più avanti. Pur tenendo presente la già citata mancanza di univocità nel metodo di determinazione del valore economico del capitale, è generalmente condivisa l’idea che essa debba avvenire ispirandosi quanto più possibile ai criteri seguenti10 : a) Generalità: la valutazione deve prescindere da effetti contingenti di domanda e offerta e in particolare, qualora la valutazione sia finalizzata alla determinazione di un corrispettivo per l’acquisto di un’azienda, deve essere indipendente dagli interessi specifici delle parti, dal loro potere contrattuale e, più in generale, dalle loro caratteristiche; b) Razionalità: la valutazione deve seguire un metodo valido concettualmente e dotato di consistenza teorica, secondo uno schema logico, chiaro e condivisibile; c) Obiettività: fa riferimento alla concretezza nell’applicabilità del metodo e a questo principio si ricollegano quelli di dimostrabilità (attinente alla credibilità ed oggettività sui quali si fondano i valori e le quantità inclusi nel metodo stesso) e stabilità (i valori e le quantità inclusi nel metodo devono quanto più possibile rispecchiare eventi che raffigurino una prospettiva temporale orientata alla 10 La digressione circa la determinazione del capitale economico trae spunto, in particolare, da: Luigi Rabuini, Metodologie di stima del capitale economico delle aziende, 2008, in www.borsaitaliana.it
  • 17. 17 continuità, escludendo, quindi, quelle componenti di natura straordinaria ed occasionale). Fatta questa dovuta premessa, nella prassi i differenti metodi di valutazione del capitale economico di un’azienda o ramo d’azienda possono essere ricondotti a due macro-classi: metodi diretti e indiretti. A loro volta, da tali macro-classi si dipartono tecniche di valutazione differenti: così, mentre nella prima categoria possiamo distinguere tra i metodi diretti in senso stretto e quelli fondati su moltiplicatori empirici, nella seconda troviamo metodi basati su grandezze flusso e metodi basati su grandezze stock, oltre che una terza tipologia che costituisce una sorta di incrocio tra le due metodologie indirette (c.d. metodi misti). In ogni caso si tenterà di illustrare tali tecniche valutative nel prosieguo. Metodi diretti Sono compresi in questa categoria tutti quei metodi la cui valutazione si basa su dati desunti dall’esterno, ricorrendo a paragoni con altre imprese simili alla valutanda per caratteristiche qualitative e quantitative. In particolare, i dati in questione fanno riferimento a valori formatisi in due differenti contesti di mercato: a) Il mercato di borsa per le imprese quotate, cui segue l’utilizzo di multipli di borsa (stock market multiples); b) Il mercato del controllo per le imprese non quotate, cui segue il riferimento a transazioni aventi ad oggetto imprese comparabili (deal multiples). Nell’ambito della categoria dei metodi diretti, ulteriore distinzione può essere fatta tra quelli in senso stretto e quelli fondati su moltiplicatori empirici.
  • 18. 18 Con i metodi diretti in senso stretto il capitale economico dell’impresa valutanda viene stimato sulla base del valore complessivo delle sue azioni (nel caso in cui, ovviamente, l’impresa sia quotata) oppure sulla base del valore complessivo delle azioni di imprese similari a quella oggetto di valutazione. Volendo tradurre in numeri, indicando il capitale economico con W, abbiamo: 𝑊 = ∑ 𝑃𝑖 ∗ 𝑚𝑖 𝑛 𝑖=1 dove: 𝑃𝑖 è il prezzo di mercato di un’azione della tipologia i (ordinaria, privilegiata, di risparmio…) 𝑚𝑖 è il numero di azioni della tipologia i Qualora sia possibile operare tale confronto senza discostarsi dai criteri guida di valutazione del capitale economico precedentemente elencati, il metodo risulta possedere un elevato grado di validità in quanto tipicamente i prezzi delle azioni, così come valutati da mercati efficienti in cui è riscontrabile la sostanziale assenza di asimmetrie informative, riflettono le potenzialità attuali e future dell’azienda: ricalcano, in altre parole, la definizione stessa di “capitale economico”. Nel caso in cui l’azienda oggetto di valutazione non sia quotata il suo capitale economico può essere stimato approssimandolo a quello di altre imprese le cui caratteristiche quali-quantitative risultino essere simili. Algebricamente il metodo è caratterizzato da una media aritmetica, semplice o ponderata, in una maniera che ricalca la seguente: 𝑊 = ∑ 𝑊𝑠 𝑛 𝑖=1 ∗ 𝑝𝑖 ∑ 𝑝𝑖 𝑛 𝑖=1
  • 19. 19 dove: 𝑊𝑠 indica i valori economici del capitale delle aziende prese in considerazione sulla base di transazioni aventi ad oggetto imprese simili 𝑝𝑖 indica i pesi attribuiti a ciascuna valutazione Per quanto riguarda i metodi diretti fondati su moltiplicatori empirici, essi si basano sui c.d. multipli come punto di riferimento per la valutazione del capitale economico. Tali multipli sono, in pratica, calcolati come il rapporto tra il valore economico di un campione di imprese similari alla valutanda (con riferimento a imprese facenti parte del mercato borsistico o di quello di controllo a seconda del fatto che la valutanda sia o meno quotata) ed alcune variabili relative alle imprese stesse (fatturato, risultato operativo, margine operativo lordo, cash flow, ecc.; è intuitivo il perché tra tali variabili non sia stato menzionato il risultato netto: in quanto tale, esso incorpora anche elementi facenti riferimento alla gestione extra-caratteristica e il suo impiego comporterebbe, quindi, il mancato rispetto del requisito della stabilità). Dopo aver stimato il multiplo, il valore economico del capitale si ottiene moltiplicandolo per la stessa variabile considerata in precedenza ma stavolta riferita all’impresa oggetto di valutazione. Analiticamente: 𝑊 = (𝑃/𝑘) 𝑠 ∗ 𝑘 dove: (𝑃/𝑘) 𝑠 è il moltiplicatore di mercato di un campione di imprese simili alla valutanda per caratteristiche quali-quantitative ottenuto mettendo a rapporto il prezzo di mercato di tali imprese (𝑃𝑠) desunto dal contesto di mercato cui si è fatto riferimento e la grandezza, tra tutte quelle espressive del valore di tali imprese, ritenuta più appropriata per la valutazione (𝑘 𝑠)
  • 20. 20 𝑘 rappresenta la stessa caratteristica usata per la stima del moltiplicatore ma riferita all’impresa valutanda A tale metodo vi si fa anche riferimento con l’espressione equity approach to valuation, in quanto consente di pervenire direttamente alla stima del capitale economico, a differenza di un’ulteriore metodologia fondata anch’essa sui moltiplicatori empirici, denominata entity approach to valuation che consente di pervenire, invece, alla stima dell’enterprise value (valore di mercato del capitale operativo) e, quindi, sottraendo a quest’ultimo il valore dei debiti finanziari, al capitale economico nella maniera seguente: 𝑊 = [(𝑃 + 𝐷)/𝑘] 𝑠 ∗ 𝑘 − 𝐷𝑡 dove: 𝐷𝑠 è il valore di mercato dei debiti finanziari delle imprese-campione 𝐷𝑡 è il valore di mercato dei debiti finanziari dell’impresa valutanda In conclusione, possiamo affermare che, con i metodi di valutazione diretti, il valore del capitale economico di un’impresa è desunto da valori reperiti in specifici contesti di mercato. Nel caso in cui l’impresa oggetto di valutazione è quotata in borsa, ciò equivale ad affermare che il suo valore economico si approssima al prezzo teorico delle azioni determinatosi sul mercato borsistico. Ma la correttezza nella determinazione di tale prezzo teorico è subordinata al corretto funzionamento del mercato stesso che, a sua volta, dipende dall’esistenza di determinate condizioni quali l’assenza di asimmetrie informative che rende ogni operatore onnisciente e razionale o la concorrenzialità di tale mercato. Nella realtà, tuttavia, l’assenza di tali tratti inficia l’attendibilità delle metodologie di valutazione di cui si è appena discusso. Metodi indiretti
  • 21. 21 La presa d’atto della possibile presenza di imperfezioni nei mercati finanziari rende necessaria la definizione di metodi di stima del capitale economico che annullino la loro dipendenza dai dati desunti da tali mercati ma che si basino, invece, su dati di natura endogena all’azienda opportunamente rielaborati. In estrema sintesi possiamo distinguere tre differenti metodologie indirette di stima del valore economico del capitale: a) Metodi basati su grandezze flusso b) Metodi basati su grandezze stock (patrimoniali) c) Metodi di valutazione misti Possiamo, poi, ulteriormente scindere la categoria sub. a) a seconda dei valori considerati nella valutazione fermo restando che l’impostazione di fondo del processo resta invariata, in quanto essa atterrà comunque all’attualizzazione dei presumibili valori di flusso futuri. Avremo, quindi: 1) Metodi reddituali 2) Metodi finanziari Nel primo caso si perviene alla stima del valore economico del capitale attualizzando i flussi di reddito normalizzati che si presume l’impresa riuscirà a conseguire in futuro. La valutazione complessiva di un’azienda, lo ricordiamo, attiene, in estrema sintesi, alla capacità di creare ricchezza attraverso l’attività di gestione sulla quale la stessa fonda l’oggetto della sua esistenza. Attraverso, cioè, quella sequenza di operazioni coordinate e sinergiche di cui se ne dà per scontata la ripetizione in un arco di tempo relativamente lungo. E’ soltanto l’attività tipica di gestione dell’azienda che deve essere presa in considerazione per la sua valutazione complessiva, motivo per il quale risulta necessario normalizzare le grandezze reddituali per epurarle dalle componenti atipiche di gestione attraverso procedimenti quali l’eliminazione di oneri o proventi estranei alla gestione tipica oppure la riconsiderazione degli oneri fiscali (ad esempio,
  • 22. 22 considerando solo quella parte degli stessi che, in maniera proporzionale, può essere ricondotta al reddito operativo). Fatta questa dovuta premessa possiamo esprimere in formule il tutto: 𝑊 = 𝑅1 𝑣1 + 𝑅2 𝑣2 + … + 𝑅 𝑛 𝑣 𝑛 + 𝑃𝑛 𝑣 𝑛 dove: 𝑅1, 𝑅2, … 𝑅 𝑛 sono i flussi futuri di reddito (normalizzati) che si ritiene l’impresa sia in grado di realizzare 𝑃𝑛 è il valore di realizzo dell’azienda alla fine dell’arco temporale entro il quale viene condotta la valutazione (n), decurtato delle riserve formate dagli utili non distribuiti in quanto elementi, questi ultimi, già incorporati nella definizione di R 𝑣1, 𝑣2, … 𝑣 𝑛 sono i coefficienti di attualizzazione dei flussi reddituali Il metodo finanziario ricalca esattamente la stessa metodologia con la differenza che debbono essere considerati i flussi di cassa (cash flow) anziché quelli reddituali. Si arriva così alla definizione squisitamente finanziaria di DCF (Discounted Cash Flow). Si fa convenzionalmente riferimento a tali metodologie di valutazione con l’espressione metodi fondamentali teorici, di cui si rende necessaria una ulteriore precisazione. Se è pacifica la loro validità concettuale in quanto rispecchiano appieno la definizione di capitale economico, sorgono delle difficoltà in merito alla loro applicazione dal momento che il metodo presenta evidenti limiti legati alla sua soggettività e imprevedibilità. La soggettività si traduce nel mancato rispetto del requisito della generalità in quanto la determinazione dei valori potrebbe oltremodo essere influenzata dagli interessi particolari che guidano la motivazione stessa della valutazione. L’imprevedibilità lede, invece, il requisito della dimostrabilità in quanto i flussi reddituali (o monetari) sono difficilmente prevedibili e di certo non possono essere stimati esclusivamente sulla base di informazioni passate e presenti. Ne deriva una mancanza di oggettività nella stima del capitale economico che si traduce nell’impossibilità di definire
  • 23. 23 un valore univoco per l’avviamento che da questo punto di vista sembra quasi risultare un valore di compromesso tra le molteplici metodologie di valutazione del valore complessivo aziendale dettate dalle differenti esigenze di tutti coloro che risultano interessati alla quantificazione di tale valore. Alla metodologia fondamentale si affiancano i metodi semplificati (puri) che partono dall’assunto di un arco temporale infinito e ai flussi reddituali (o finanziari) determinati in previsione di ogni singolo periodo se ne sostituisce uno che ne rappresenta una sintesi (c.d. reddito medio prospettico). La formula è quella della rendita perpetua: 𝑊 = 𝑅 𝑖 dove: 𝑅 è il flusso reddituale o finanziario 𝑖 è il tasso di capitalizzazione (o di sconto) In entrambi i casi, oltre alla normalizzazione dei flussi considerati, è fondamentale stimare la misura del fattore di sconto, di cui si accenna brevemente qui di seguito. Esso deve incorporare due profili di rischio: a) Il rischio sistematico (o non diversificabile), ovvero quello che non può essere ridotto dalla diversificazione; per la sua stima si fa riferimento al rendimento dei titoli privi di rischio presenti sul mercato (generalmente i titoli di stato)11 ; b) Il rischio specifico (o diversificabile), ovvero il rischio che può essere ridotto tramite la diversificazione; esso fa più esplicitamente riferimento al rischio 11 Lucio Potito, Economia Aziendale, op.cit. Come osservato dall’autore, la convenzione di associare il tasso privo di rischio a quello dei titoli di stato era accettabile fino al momento in cui la crisi finanziaria ha posto in evidenza come nemmeno questi ultimi possano essere ritenuti sicuri in senso assoluto.
  • 24. 24 ricollegabile all’attività d’impresa e viene stimato con metodologie quali il CAPM12 (Capital Asset Pricing Model). A differenza dei metodi reddituali e finanziari, il metodo patrimoniale perviene alla stima del capitale economico attraverso una opportuna rielaborazione degli elementi dell’attivo e del passivo patrimoniale dai quali, per differenza, si determina il capitale netto a sua volta rettificato. Tale rielaborazione è finalizzata alla riformulazione degli elementi patrimoniali a valori correnti. Ciò significa stimare13 : a) I fattori aziendali destinati allo scambio al loro valore di presumibile realizzo; b) I fattori aziendali destinati a prestare la loro utilità per più esercizi al loro valore di sostituzione; c) Le passività aziendali al loro valore corrente di estinzione. Riprendendo la metodologia pura basata su valori di flusso e ipotizzando una continuazione dell’attività aziendale che non vede limiti temporali (n tende a infinito) abbiamo che: 𝑊 = 𝑅 𝑖 12 In: www.borsaitaliana.it Più specificamente tale modello mostra la relazione tra il rendimento di un titolo ed il rischio associato in ipotesi di assenza di imperfezioni nei mercati finanziari (assenza di asimmetrie informative e costi di transazione, omogeneità delle aspettative, divisibilità all’infinito dei titoli…). In formule: 𝑟 − 𝑟𝑓 = 𝛽(𝑟 𝑚 − 𝑟𝑓) dove il termine a sinistra rappresenta il premio per il rischio specifico, dato dalla differenza tra il rendimento del titolo specifico e quello free risk e indica il rendimento aggiuntivo richiesto per investire in un titolo rischioso anziché in uno sicuro; il termine a destra esprime il premio per il rischio di mercato (la differenza tra parentesi, detto anche market risk premium) moltiplicato per 𝛽, ossia la misura della reattività del rendimento del titolo rispetto ai movimenti del mercato (in altri termini, il rischio sistematico del titolo stesso). 13 Ovviamente ciò si traduce in procedimenti di stima ad-hoc per ogni singolo elemento patrimoniale sui quali si è ritenuto inopportuno soffermarsi in questa sede.
  • 25. 25 da cui: 𝑅 = 𝑊𝑖 Indicando, ora, con 𝐾𝑡 il patrimonio netto dell’azienda valutanda opportunamente rettificato in modo da rispecchiare il suo valore economico (𝑊 ≅ 𝐾𝑡) possiamo riscrivere in questo modo la precedente uguaglianza: 𝑅 = 𝐾𝑡 𝑖 In altri termini, il metodo patrimoniale parte dall’assunto che il reddito atteso sia uguale al tasso di sconto moltiplicato per il capitale netto rettificato. Il metodo appena proposto è definito semplice e, opportunamente integrato, consente di pervenire alla stima del capitale economico secondo la metodologia definita, invece, complessa. Tale integrazione attiene all’aggiunta di quegli elementi intangibili non rilevati negli schemi contabili ma che incorporano in sé parte delle potenzialità aziendali che, in sinergia con le altre, consentono il corretto funzionamento dell’impresa. Anche in questo caso è palese la validità concettuale del metodo che risulta, tuttavia, non applicabile se non ricorrendo a stime e congetture. Del resto risulta necessaria anche in questo caso, oltre alla valutazione degli elementi non inseribili in bilancio in quanto scarsamente suscettibili di quantificazione monetaria per le loro caratteristiche, la stima dei flussi reddituali futuri, il che porta, tendenzialmente, ad una coincidenza tra i risultati ottenuti con i metodi reddituali e quelli ottenuti con i metodi patrimoniali. Questi ultimi possono, poi, venire considerati congiuntamente nel processo di stima dando vita ai c.d. metodi di valutazione misti in cui, appunto, vengono presi in considerazione valori sia di flusso che di stock.
  • 26. 26 Uno di questi è il metodo del valore medio che consiste in una sintesi tra il metodo patrimoniale semplice e quello di attualizzazione dei futuri flussi di reddito. In tal caso il valore economico del capitale è dato da: 𝑊 = 𝑘 𝑡 + 𝑅/𝑖 2 formula che, se rielaborata, può essere espressa anche nel modo seguente: 𝑊 = 𝑘 𝑡 + 1 2 (𝑅/𝑖 − 𝑘 𝑡) dove il termine tra parentesi (differenza tra flussi futuri di reddito attualizzati e capitale netto espresso a valori correnti) rappresenta proprio l’avviamento. Per cui:  se 𝑅/𝑖 > 𝑘 𝑡 vi è la presenza di un goodwill (avviamento positivo); l’azienda, nel suo complesso, vale più della somma del valore delle sue parti stimate a prezzi correnti;  se 𝑅/𝑖 < 𝑘 𝑡 vi è la presenza di un badwill (avviamento negativo); il valore economico del capitale è inferiore al valore corrente delle sue parti. In questo caso l’avviamento è considerato solo per metà del suo valore totale a differenza di quanto accade, invece, nell’utilizzo del metodo della stima autonoma dell’avviamento14 . Tenendo a mente che il valore economico di un’azienda è dato dalla somma del suo valore patrimoniale (ove i valori sono espressi a prezzi correnti) e l’avviamento (𝑊 = 𝐾𝑡 + 𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙) quest’ultimo è definito come segue: 14 Nella illustrazione di tale metodologia si è fatto riferimento, in particolare, a: D. Balducci, La Valutazione dell’Azienda, Milano, FAG editore, 2012
  • 27. 27 𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙 = (𝑅 – 𝐾𝑡 𝑖)𝑎 𝑛┐𝑖’ dove: 𝑎 𝑛┐𝑖’ indica il valore attuale di una rendita con durata definita in n anni con un tasso di sconto pari a 𝑖’15, mentre 𝑖 rappresenta il tasso di remunerazione del capitale investito. Sommando all’avviamento il valore patrimoniale rettificato 𝐾𝑡 otteniamo il valore complessivo dell’azienda. E’ da notare che in tale formula si suppone che l’extra-reddito da cui scaturisce l’avviamento sia conseguibile solo per un arco temporale circoscritto (indicato con n): per questo motivo il metodo è anche detto di durata limitata dell’avviamento e la sua applicazione è subordinata alla possibilità di poter quantificare in maniera ragionevole la misura di tale extra-reddito e il periodo di tempo in cui l’impresa potrà beneficiarne. Qualora non fosse possibile formulare tali supposizioni basandole su dati oggettivi, si può ricorrere, anche in questo caso, ad un metodo di calcolo che ricalca quello della rendita perpetua, ipotizzando cioè che l’attività d’impresa continui a svolgersi in futuro per una durata illimitata o, comunque, indefinita. In formule: 𝑔𝑜𝑜𝑑𝑤𝑖𝑙𝑙 = (𝑅 – 𝐾𝑡 𝑖) 𝑖’ 15 R.A. Brealey, S.C. Myers, F. Allen, S. Sandri, Principi di finanza aziendale, Mc-Graw Hill, 2010. Più precisamente, supponendo di dover attualizzare ad un tasso 𝑖 una rendita annua unitaria il cui primo pagamento avviene nell’anno 𝑛, abbiamo che il suo valore attuale (che indichiamo con V) è pari a: 𝑉 = 1 𝑖 1 𝑖(1 + 𝑖) 𝑛 Ora, dato che questa formula fa riferimento ad un arco temporale che va da 𝑛 a infinito, basta sottrarla a quella della rendita perpetua per trovare il valore attualizzato facente riferimento ad un arco temporale che va da 0 a 𝑛. Per cui: 𝑎 𝑛┐𝑖 = 1 𝑖 − 1 𝑖 1 𝑖(1 + 𝑖) 𝑛
  • 28. 28 In questo modo l’avviamento è espresso come valore attuale dell’eccedenza del reddito medio prospettico sul rendimento normalizzato del capitale netto rettificato a valori correnti. Come in precedenza, occorre prestare attenzione alla differenza fra il tasso di sconto utilizzato per attualizzare tale eccedenza (la 𝑖’ al denominatore) e il tasso di remunerazione del capitale netto rettificato (la 𝑖 al numeratore). Mentre il primo è desunto da considerazioni di carattere prettamente finanziario (incorpora sia il rischio specifico dell’attività tipica dell’azienda oggetto di valutazione sia il rischio sistematico) il secondo indica il rendimento normalizzato del capitale investito. Inoltre la formula fa riferimento alla rettifica del patrimonio netto a valori correnti, senza però specificarne le modalità. Come già osservato, tale rettifica può avvenire tramite metodo patrimoniale semplice rielaborando le voci patrimoniali che figurano in bilancio a valori correnti (vedi sopra) ovvero metodo patrimoniale complesso sommando al valore ottenuto tramite il metodo semplice i valori di quelle componenti intangibili che, seppur non figurando in bilancio, concorrono alla determinazione del valore aziendale complessivo. E.V.A. Tra le metodologie di determinazione del valore economico dell’azienda si è scelto di dare maggiormente risalto a quella dell’Economic Value Added (E.V.A.) per via del suo crescente grado di utilizzo, dovuto ai numerosi vantaggi a cui tale metodologia è legata. Uno di questi è quello di fornire una valutazione in termini assoluti, ovvero che non necessita di termini paragoni in quanto punto terminale (e non di partenza) del processo valutativo. Inoltre essa possiede carattere globale: la rielaborazione contabile di alcuni aspetti sui quali si fonda consente il superamento della problematica legata alla discrezionalità nell’applicazione dei principi contabili che differiscono da paese in paese. Per tali caratteristiche il metodo si pone come risolutore di alcune questioni dettate dalla progressiva globalizzazione e apertura dei mercati, primo su tutti la comparabilità internazionale degli investimenti. Tale possibilità risulta, infatti, preclusa con l’utilizzo di
  • 29. 29 indicatori quali R.O.E. e R.O.I.16 certamente più diffusi ma il cui calcolo è fortemente condizionato dalla normativa contabile. Il metodo si fonda sul concetto di “reddito economico” che esprime la redditività nella logica dello “shareholder value, sintetizzando decisioni operative e decisioni di investimento, livello di rischio e di rendimento in un unico indicatore di performance”17 . In modo molto sintetico si può affermare che tramite l’E.V.A. si determina la misura del reddito residuo, ovvero quella ricchezza aggiuntiva che resta dopo aver remunerato tutti i finanziatori dell’azienda, sia quelli che hanno prestato denaro a titolo di prestito, sia quelli che hanno finanziato a titolo di proprietà. Il costo complessivo del capitale così determinato è riassunto in un indicatore chiamato WACC18 (Weighted Average Cost of Capital): 𝑊𝐴𝐶𝐶 = 𝑟𝑑(1 − 𝑡 𝑐) 𝐷 𝐷 + 𝐸 + 𝑟𝑒 𝐸 𝐷 + 𝐸 dove: 𝑟𝑑 è il costo del debito 𝑡 𝑐 è l’aliquota fiscale in capo all’impresa 𝑟𝑒 è il costo opportunità del capitale investito a titolo di rischio (di proprietà) e indica il rendimento richiesto dagli investitori per intraprendere questo tipo di investimento nell’azienda oggetto di valutazione piuttosto che investimenti alternativi simili 𝐷 ed 𝐸 sono i finanziamenti attinti a titolo, rispettivamente, di debito e di rischio Premesso ciò, possiamo definire l’E.V.A. come: 16 R.O.E. e R.O.I. sono, rispettivamente, misura della redditività netta e di quella operativa. Il primo è dato dal rapporto reddito netto/equity, il secondo da quello reddito operativo/capitale investito. 17 A. Tami, 2001 citato in: E. Cavalieri, Economia Aziendale, op. cit. 18 R.A. Brealey, S.C. Myers, F. Allen, S. Sandri, Principi di finanza aziendale, op. cit.
  • 30. 30 𝐸𝑉𝐴 = 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑜 = 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑔𝑢𝑎𝑑𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜 − 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜 dove: 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 ∗ 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 In formule: 𝐸𝑉𝐴 = 𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 − 𝑊𝐴𝐶𝐶 ∗ 𝐶𝐼 da cui: 𝐸𝑉𝐴 = ( 𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 𝐶𝐼 − 𝑊𝐴𝐶𝐶) ∗ 𝐶𝐼 dove: 𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 sta per Net Operative Profit After Taxes (reddito operativo al netto delle imposte) 𝐶𝐼 è il capitale investito Risulta utile esprimere l’equazione secondo questa ultima forma funzionale in quanto evidenzia un aspetto alquanto importante. Essendo pacifico che l’E.V.A. rappresenti il valore creato dall’impresa in un dato periodo (valore determinato al netto del costo complessivo del capitale che, lo ricordiamo, viene inteso qui come remunerazione sia del debito sia delle aspettative di guadagno iniziali degli shareholder) possiamo apprezzare come tale valore dipenda dallo spread tra il rendimento del capitale investito (il rapporto tra parentesi) e il relativo costo (espresso dal 𝑊𝐴𝐶𝐶). Se il termine
  • 31. 31 tra parentesi è positivo vuol dire che, nell’arco temporale di riferimento, l’azienda ha creato ricchezza; viceversa, l’azienda ha distrutto ricchezza. Anche in questo caso il legame tra tale metodo misto di valutazione e l’avviamento si evince estendendo l’orizzonte temporale dell’analisi. Più precisamente è possibile calcolare autonomamente l’avviamento tramite l’attualizzazione del valore degli E.V.A. futuri attesi (tale valore prende il nome di Market Value Added, M.V.A.) determinando così la presenza di un goodwill (MVA > 0) o di un badwill (MVA< 0). Sommando a tale valore il capitale investito è possibile pervenire all’Enterprise Value (EV) ossia una misura del valore della società senza considerare il suo indebitamento: rappresenta, cioè, il prezzo che dovrebbe pagare chi volesse acquisire la società senza debiti19 . In altri termini, abbiamo: 𝑀𝑉𝐴 = (𝑁𝑂𝑃𝐴𝑇 − 𝑊𝐴𝐶𝐶 ∗ 𝐶𝐼)𝑎 𝑛┐𝑖’ 𝐸𝑉 = 𝐶𝐼 + 𝑀𝑉𝐴 𝑊 = 𝐸𝑉 − 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑏𝑖𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 Questi sono i passaggi per pervenire alla stima del valore economico del capitale partendo dal metodo dell’Economic Value Added. Ai fini della trattazione si sottolinea come lo schema logico consenta di arrivare ad una stima autonoma dell’avviamento tramite l’attualizzazione degli E.V.A. futuri, cosicché abbiamo: 𝑎𝑣𝑣𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 = 𝑀𝑉𝐴 In aggiunta, tale metodo ci consente di apprezzare le variabili da cui l’avviamento stesso (e, di conseguenza, il valore dell’azienda) dipende, costituendo, secondo questa 19 Fonte: www.borsaitaliana.it
  • 32. 32 prospettiva di osservazione, uno strumento di controllo rilevante anche in chiave strategica in quanto costituisce, tra le altre cose, punto di partenza per l’individuazione di quelle leve ritenute determinanti ai fini della quantificazione della performance dalla quale dipende, in ultima analisi, il valore del complesso aziendale. E’ stato ritenuto opportuno rimarcare questo aspetto in quanto ad esso è strettamente collegata la durata dell’avviamento. Essa dipende, infatti, dalla possibilità da parte del management aziendale di influire su queste leve che, a sua volta, è collegata alla natura di queste ultime. Se sono intese come fattori capaci di influenzare la misura della capacità di generare redditi in eccesso (concetto al quale abbiamo in precedenza fatto riferimento con l’espressione “excess earning power”) risulta chiaro che tra questi fattori molti risultano essere esogeni all’azienda, in quanto collegati, ad esempio, a fattori macro-ambientali su quali il management non può esercitare alcun effetto. In generale, possiamo dire che sono molteplici i fattori che influenzano la capacità dell’impresa di creare ricchezza in eccesso, ognuno dei quali esercita sulla stessa un certo grado di incidenza. Tali fattori possono avere un livello di prossimità spaziale all’impresa più o meno rilevante20 , il che li rende, a volte, scarsamente controllabili, con il rischio di minare il valore dell’avviamento dell’azienda senza che quest’ultima possa avere possibilità di replica. E’ in base alla natura di questi fattori e del relativo grado di controllo esercitabile che il management deve stimare la durata dell’avviamento21 : maggiore risulta essere tale grado di controllo, più lungo sarà il periodo di tempo in cui l’impresa potrà beneficiare dell’avviamento. Tutto ciò rileva ai fini della scelta del metodo di valutazione del capitale economico. A questo punto risulta chiaro che, nel caso in cui, ad esempio, la redditività aziendale dipende da fattori poco controllabili o temporanei, è preferibile evitare l’utilizzo di metodi di valutazione basati sulla rendita perpetua e tener conto di tale aspetto 20 S. Sciarelli, La Gestione dell’Impresa, Padova, CEDAM, 2011. In particolare tali fattori esogeni possono far riferimento al micro o al macro-ambiente, ove il primo è composto dall’ambiente transazionale e da quello competitivo, mentre il secondo da tutti quei fattori riconducibili ad una molteplicità di ambienti (politico-istituzionale, socio-demografico, culturale, tecnologico…) su cui l’impresa può esercitare un effetto molto limitato. 21 D. Balducci, La Valutazione dell’Azienda, op. cit. Nello specifico, l’autore distingue, un avviamento stabile e durevole da uno volatile. Nel primo caso esso deriva da fattori direttamente influenzabili da chi gestisce l’azienda e, in via approssimativa, la sua durata viene stimata in 5-8 anni. Nel secondo, invece, essa viene stimata in 3-5 anni e si specifica come la volatilità non derivi soltanto da fattori la cui limitata possibilità di controllo sia legata alla distanza tra i fattori stessi e l’azienda, ma dalla fonte degli stessi (se la fonte della maggior redditività è da ricondurre alle capacità manageriali, ad esempio, la volatilità dell’avviamento deriva dal fatto che non si possono costringere tali manager a restare in azienda in eterno).
  • 33. 33 temporaneo nella scelta delle modalità di attualizzazione dei flussi reddituali (o monetari) futuri e dell’orizzonte temporale entro cui orientare la stima. Ulteriori considerazioni Anche in questo caso, tuttavia, pur con i pregi legati al metodo dell’E.V.A. evidenziati in precedenza, la stima dell’avviamento e, in ultima analisi, del valore complessivo dell’azienda è soggetta ad ampi margini di discrezionalità in quanto imprescindibile da processi di attualizzazione di flussi economici o finanziari futuri. In questo senso, le tre linee guida che dovrebbero essere seguite nel determinare un metodo di valutazione del valore economico aziendale (requisiti di generalità, obiettività e razionalità) sembrano fungere solo da precetto che impedisca di formulare stime irrealistiche in quanto resta presente la componente soggettiva nella valutazione dell’avviamento aziendale la cui quantificazione, in sintesi, difficilmente può essere scissa dagli interessi particolari di chi muove l’analisi. 1.3 I MOTIVI PER VALUTARE L’AVVIAMENTO Discutendo dei metodi di stima del capitale economico e dei numerosi modi di intendere quello netto non si è comunque riusciti a fornire una definizione universale del concetto di avviamento. Non basta, infatti, identificarlo nello spread intercorrente tra le due configurazioni di capitale dal momento che anche queste ultime possono essere variamente intese: i valori patrimoniali possono essere espressi tanto al fair value quanto al loro costo storico, così come le diverse metodologie di calcolo del valore complessivo dell’azienda permettono di pervenire a soluzioni simili ma non omogenee. Tale assenza
  • 34. 34 di univocità nella quantificazione dell’avviamento sembra, in effetti, testimoniata da numerosi studi e ricerche da parte di chi si è variamente cimentato nel definire con precisione questa attitudine implicita dell’azienda. Vengono proposte nel prosieguo alcune definizioni, fermo restando che, in molti casi, chi definisce il goodwill enfatizza la differenza tra quello acquisito (purchased goodwill) e quello internamente generato (internally generated goodwill). Per il momento non prenderemo in considerazione questa distinzione in quanto essa presuppone alcune implicazioni sul piano contabile che verranno trattate successivamente. Volendo partire da una definizione ufficiale, possiamo riprendere quella, già fornita, che ne dà il documento 24 dell’OIC quando specifica che il goodwill deriva “da incrementi di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni in virtù dell’organizzazione dei beni in un sistema efficiente”. Formula che sembrava tanto precisa all’inizio e tanto vaga adesso, in virtù delle difficoltà nella definizione: a) del valore del complesso dei beni aziendali; b) della somma del valore dei singoli beni. Si potrebbe obiettare che la definizione del punto sub. b) possa essere ricondotta agli standard dallo stesso OIC ma tali standard sono dettati per esigenze diverse rispetto alle quelle di un potenziale osservatore che voglia effettuare un analisi oggettiva del valore dell’avviamento. Ma l’incertezza resta anche se spostiamo l’attenzione agli standard internazionali, dove esso è definito soltanto in via residuale rispetto agli altri asset intangibili22 , quasi come se il suo inserimento tra questi ultimi fosse un fatto solo convenzionale, dando vita, inoltre, ad una discussione circa la sua conformità alla definizione di attività proposta nel Framework. I principi contabili, pur specificandone il trattamento contabile, non riescono a fornire una definizione esaustiva del concetto, scopo, invece, perseguito da molti studiosi il cui confronto neanche in questo caso riesce a dare univocità. 22 IASB, IAS 38 Intangible Assets
  • 35. 35 C’è chi identifica nell’avviamento un “premio in termini di maggior valore” che scaturisce principalmente dalla reputazione aziendale e quantifica tale maggior valore nella semplice differenza tra il valore complessivo dell’azienda ed il fair value delle attività nette identificabili23 . Altri cercano di fornire definizioni più approfondite. Reilly e Schweihs, ad esempio, pur specificando l’assenza di definizioni “universali”, identificano nel goodwill la presenza di tre componenti24 : 1) il going-concern value, ovvero la presenza di fattori produttivi pronti all’uso; 2) l’excess economic income ovvero quella parte di ricchezza la cui creazione non può essere ricondotta ad alcun asset identificabile specifico; 3) le aspettative circa eventi futuri non correlati direttamente alle operazioni aziendali. Se i primi due elementi sono strettamente collegati al concetto generale di avviamento, è il terzo a rappresentare un elemento di discontinuità. Secondo gli autori, infatti, il valore del goodwill incorpora anche le aspettative circa possibili eventi futuri che in qualche modo possono influenzare l’attività dell’azienda e il suo valore. Nel prosieguo è specificato meglio il concetto: “Investors (and owners) assign a goodwill value to a business if they expect net present value of the income associated with the future events to be positive”. Per capire meglio tale affermazione si faccia riferimento ad uno dei metodi c.d. fondamentali teorici, quello che stima il valore dell’impresa nel valore attuale dei suoi flussi di reddito futuri. Tale metodo presuppone delle supposizioni circa la misura di tali redditi. Ebbene, Reilly e Schweihs ci dicono semplicemente che la stima di suddetti flussi deve incorporare anche le aspettative di chi muove l’analisi circa probabili accadimenti futuri (non meglio specificati ma si suppone che possano far riferimento a quelli già citati discutendo del metodo dell’E.V.A.) che si ritiene possano, positivamente o negativamente, influenzare la capacità dell’impresa di produrre ricchezza. Tale definizione probabilmente rende un ottimo contributo all’inquadramento dell’avviamento in chiave concettuale ma è evidente come non si possa dire lo stesso anche dal punto di vista pratico. Se, come affermano i due autori, l’avviamento è 23 Definizione tratta da: J.M. Samuels, R.E. Brayshaw, J.M. Cramer, Financial Statement Analysis in Europe, Chapman & All, 1995 24 R. Reilly, R. Schweihs, Valuing Intangible Assets, Mc-Graw Hill, 1998
  • 36. 36 assimilabile alla somma delle tre componenti e, volendo ragionare per assurdo, si ritiene di poter assegnare alle prime due valori precisi ed univoci, è la presenza delle aspettative che non ci consente di limitare il margine di discrezionalità associato alla sua misurazione. Anche in questo caso a rilevare è il punto di osservazione dal quale si pone chi muove l’analisi: il manager dell’impresa oggetto di valutazione e un analista esterno, ad esempio, possono essere in possesso di informazioni discordanti che portano, innanzitutto, a delle differenze nel modo in cui essi formano le loro aspettative sul futuro (siano esse strettamente collegate all’impresa in questione o facenti parte del più complesso ambiente economico e le cui ripercussioni sulla stessa avvengono solo in un secondo momento) e, quindi, al modo in cui essi riflettono le loro aspettative sulle analisi. Altra definizione che, per sommi capi, ricalca il concetto generale di avviamento definito fin ora è quella fornita da Johnson e Petrone, che lo definiscono come “la capacità di un’azienda di conseguire un tasso di rendimento maggiore da un insieme di attività nette rispetto a quello conseguibile se tali attività fossero acquisite separatamente (riflettendo le sinergie di tali attività nette e i fattori correlati alle imperfezioni di mercato, ad esempio quando un’azienda possiede la capacità di conseguire profitti monopolistici o quando esistono barriere all’entrata di quel determinato mercato per i potenziali competitors)”25 . Anche in questa definizione viene enfatizzato il ruolo giocato da elementi esogeni all’azienda (si parla genericamente di imperfezioni di mercato legate, probabilmente, a tutte le condizioni che allontanano la struttura del mercato dalla visione utopistica della perfetta concorrenzialità) che influiscono sul modo in cui la stessa riesce a sfruttare le sinergie produttive da cui deriva l’abilità di ottenere tassi di rendimento superiori al normale, dove il normale è inteso nell’ipotesi in cui i fattori produttivi siano acquisiti al di fuori della combinazione produttiva (il concetto di stand-alone basis già menzionato nella trattazione). A parere di chi scrive, il trait d’union di tutte le analisi proposte fino a questo punto sta nella presenza di una sorta di proporzionalità inversa tra la validità concettuale della definizione di avviamento e la possibilità di ricondurvi un metodo di quantificazione 25 L.T. Johnson, K.R. Petrone, Commentary: is Goodwill an Asset? Accounting Horizons, 1988. Essi definiscono il goodwill come: “the ability of a stand-alone business to earn a higher rate of return on an organized collection of net assets than would be expected if those assets had to be acquired separately (reflecting the synergies of the net assets of the business and factors related to market imperfections, such as where a business has the ability to earn monopoly profits or where there are barriers to entry to the market by potential competitors)”.
  • 37. 37 attendibile, un metodo, cioè, che incorpori in toto i principi di razionalità, obiettività e generalità. Se è vero che il valore dell’avviamento incorpora le aspettative su eventi futuri formulate da chi muove l’analisi (come evidenziato da Reilly e Schweihs), è altresì vero che a tali aspettative non può essere ricondotto un metodo affidabile di valutazione; per cui la componente soggettiva risulta inscindibile dalla valutazione stessa (inconveniente al quale, come si vedrà, i principi contabili stessi rispondono operando supposizioni e semplificazioni). E’ per questi motivi che si richiama una definizione di avviamento azzardata in precedenza, in cui esso risulta derivare da una sorta di compromesso tra i dati contabili, da un lato, e gli interessi particolari di chi ne effettua l’analisi, dall’altro. Si ritiene che tali interessi vadano a formare la componente soggettiva accennata in precedenza e che conferisce valori differenti all’avviamento a seconda del punto di vista dal quale ne viene condotta l’analisi. Si ritiene utile, dunque, un accenno a tali possibili interessi citando ancora una volta Reilly e Schweihs, i quali forniscono diverse ragioni che possono far nascere l’esigenza di analizzare l’avviamento, tra le quali vengono menzionate: - Damage analysis: il verificarsi di un fenomeno, sia esso di natura macro- ambientale o anche più circoscritto in termini spaziali (si fa riferimento, nel testo, a disastri naturali, scioperi ma anche violazione di accordi contrattuali e altri accadimenti simili) che riguarda direttamente l’impresa, fa nascere la necessità di valutare l’avviamento per capire se è stata lesa la capacità di produrre ricchezza extra. All’occorrenza può essere utile effettuare una comparazione tra il valore dell’avviamento prima e dopo il manifestarsi di tale evento per capire non solo se l’impresa ne abbia risentito, ma anche in che misura. - Business or professional practice merger and separation: nel caso di fusione tra imprese è necessario stimare il valore complessivo dell’impresa fusa e, quindi, anche il suo avviamento in modo tale da poterlo riallocare sulla base del contributo che è in grado di garantire ai partner. Anche nel caso di una scissione è fondamentale conoscere il valore del goodwill in modo da poterlo ripartire secondo le stesse considerazioni fatte nel caso della fusione. - Solvency test: in linea generale, la capacità dell’impresa di tener fede agli obblighi assunti verso terzi deriva dal suo valore complessivo.
  • 38. 38 - Transfer price: ovviamente, nel caso di acquisto di azienda o ramo d’azienda, il compratore deve conoscerne il valore complessivo per determinare un adeguato corrispettivo. - Bancarotta e riorganizzazione: se l’impresa è in bancarotta la stima del goodwill presente o di quello potenzialmente ottenibile a parità di condizioni produttive presenti è utile per capire se vale la pena cimentarsi in una riorganizzazione aziendale per renderla nuovamente funzionante oppure se procedere alla liquidazione. - Business enterprise valuation: attiene alle numerose prospettive esterne che possono spingere alla determinazione del valore complessivo dell’impresa (ad esempio, da parte di un ipotetico soggetto che deve decidere se finanziarla o meno).
  • 39. 39 CAPITOLO 2 TRATTAMENTO CONTABILE ATTUALE In questo capitolo si tenterà di analizzare l’attuale disciplina inerente il trattamento contabile dell’avviamento in ambito nazionale ed internazionale. Nel fare ciò verranno presi in considerazione i documenti OIC (che, in conformità ai dettami del Codice Civile, statuiscono le modalità di redazione del bilancio) e quelli dell’IAS/IFRS e si tenterà di analizzare le principali differenze di trattamento. 2.1 PREMESSA Gli standard contabili sono soggetti ad una continua messa in discussione dettata dai numerosi mutamenti nello scenario economico che richiede alle imprese di adeguarsi alle nuove esigenze conoscitive e di cambiare il loro modo di porsi nei confronti dell’ambiente esterno. Ciò è vero, soprattutto, alla luce dell’attuale processo di globalizzazione che, con l’abbattimento delle distanze geografiche e l’introduzione di nuovi strumenti contrattuali, ha radicalmente cambiato il modo di intendere la comunicazione aziendale vincolata: è in tale contesto che ci si accorge di come il modello di bilancio presenti evidenti carenze strutturali. La conseguenza più rilevante è stata la
  • 40. 40 recente presa d’atto della necessità di un’unificazione dei principi contabili a livello internazionale che consenta la comparabilità dei bilanci tra imprese per le quali, come si è detto, la distanza geografica è divenuta un elemento sempre meno divisivo. Sempre più imprese dislocate in paesi o continenti diversi intraprendono tra di loro rapporti commerciali e nella scelta dei loro partner internazionali fanno affidamento a svariate fonti informative, prima fra tutte il bilancio. Motivo per il quale quest’ultimo necessita di essere comprensibile anche all’estero e deve essere capace di fornire informazioni che siano rilevanti e non influenzate dalla particolarità dei principi contabili del paese in cui esso è redatto: è in questa chiave di lettura che assume un ruolo centrale la comparabilità dello stesso a livello internazionale. Ecco perché, pur conservando alcuni tratti distintivi, la fondazione OIC si propone come obiettivo quello di emanare standard che avvicinino il più possibile il modo di intendere il bilancio in ambito nazionale con quello in ambito internazionale. Uno degli argomenti in esame nell’ambito dell’abbattimento di tali discrepanze informative è proprio il goodwill le cui difformità inerenti il suo trattamento contabile sono state analizzate e discusse, tra gli altri, dall’OIC in concerto con lo standard setter giapponese (ASBJ) e dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) in un discussion paper. La necessità di mettere in discussione il modo di intendere l’avviamento nei principi contabili deriva da fattori non soltanto di natura contabile ma il cui effetto è percepibile a livello macroeconomico. Essi saranno comunque trattati nel prosieguo. Si illustrerà, anzitutto, l’attuale disciplina contabile. 2.2 L’AVVIAMENTO ACQUISITO E QUELLO INTERNAMENTE GENERATO La discussione circa il trattamento contabile dell’avviamento presuppone l’introduzione della distinzione tra due tipologie di avviamento, rimarcata con forza sia
  • 41. 41 dagli standard sia dagli studiosi che si sono variamente cimentati nel definire un quadro concettuale dell’argomento in questione: a) l’avviamento internamente generato (internally generated goodwill); b) l’avviamento acquisito (purchased goodwill). A ben vedere, il concetto stesso di avviamento non cambia: in entrambi i casi siamo di fronte all’attitudine dell’azienda di generare, tramite la combinazione dei vari fattori aziendali, utili in eccesso (excess earning power) rispetto a quelli ottenibili secondo una prospettiva stand-alone basis. Cambia, piuttosto, il punto di osservazione. Mettendoci nei panni di un’impresa che deve redigere il proprio bilancio, l’avviamento sub. a) rappresenta quello formatosi a seguito dell’attività dell’impresa stessa, mentre quello sub. b) fa riferimento all’avviamento di un’ipotetica azienda o ramo d’azienda che l’impresa si accinge ad acquisire. Tuttavia la distinzione ha importanti implicazioni per quanto attiene al trattamento contabile in quanto a tal fine è rilevante solo l’avviamento acquisito: solo questo può comparire in bilancio mentre in nessun caso è ammessa la contabilizzazione dell’avviamento generato internamente. Si tratta, a ben vedere, di una sorta di trait d’union tra i diversi standard setter ognuno dei quali rimarca con forza questo aspetto: in effetti è uno dei pochi tratti che accomuna la disciplina civilistica a quella internazionale, a dispetto delle numerose difformità attinenti altri aspetti delle due discipline contabili. Nell’ambito nazionale, ad esempio, prima ancora che i documenti OIC, è lo stesso codice civile a stabilirne l’acquisizione a titolo oneroso come condizione necessaria ai fini della sua iscrizione26 . Ma al di là dei precetti normativi, le ragioni che motivano questo trattamento sono comunque chiare: andare ad esporre in stato patrimoniale, accanto a tutti i valori dei fattori aziendali, anche quello del proprio avviamento, significa comunicare all’esterno una stima del valore complessivo dell’azienda. Stima, per altro, soggettiva e mai condivisibile in senso assoluto. Una esposizione in bilancio come quella appena proposta sarebbe 26 Art. 2426 Cod. Civ. Criteri di valutazione: ”l'avviamento può essere iscritto nell'attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni”.
  • 42. 42 profondamente discordante con le finalità dello stesso, che, in linea di massima, possono essere ricondotte ad una rappresentazione dei valori incentrata alla determinazione del risultato netto d’esercizio rispettando, tra gli altri, il principio di competenza economica. Ebbene, ricordando che alla quantificazione del valore dell’avviamento vi si perviene attraverso un processo di attualizzazione dei redditi che si presume saranno conseguiti in futuro, esporre in bilancio anche il proprio avviamento significherebbe anticipare al presente tali redditi futuri: la conseguenza sarebbe una (inopportuna) convergenza tra il valore dell’equity contabile dell’impresa e la sua capitalizzazione di mercato. Inoltre, sempre in ambito nazionale, la capitalizzazione dell’internally generated goodwill allontanerebbe dallo scopo che lo stesso OIC attribuisce al bilancio attraverso la statuizione di postulati quali la prudenza, la verificabilità e, in linea con questa discussione, “l’incompatibilità delle finalità del bilancio di esercizio con l’inclusione delle valutazioni prospettiche dell’investitore”27 . A riprova, si richiama, in ambito internazionale, un dettato del Conceptual Framework for Financial Reporting, il quale esplica chiaramente che uno dei propositi degli standard IAS/IFRS, che ad esso devono conformarsi, deve essere quello di una valutazione oggettiva degli elementi dell’azienda, ma non del suo valore economico. A supporto di quanto stabilito dalle fonti normative c’è anche chi aggiunge che un altro motivo della sua non inclusione in bilancio è rappresentato dalla difficoltà di stabilire con precisione i processi e le modalità con le quali esso si è venuto a formare (ovvero se esso sia da ricondurre principalmente alle sinergie intercorrenti tra i vari fattori aziendali oppure al valore di elementi immateriali non suscettibili di identificazione e, in quanto tali, non esposti in bilancio): la logica conseguenza è l’impossibilità di ricondurvi una voce di costo e, quindi, di poterne stimare il valore in modo attendibile28 . Inoltre, come evidenziato da altri studiosi, andare ad esporre in bilancio l’avviamento internamente generato significherebbe, in pratica, attuare una duplicazione dei valori sintetizzanti la performance aziendale e un’ipotetica attuazione di tale metodo in maniera pervasiva comprometterebbe la comparabilità dei bilanci e le valutazioni circa i rendimenti29 . 27 OIC 11 Bilancio d’esercizio: finalità e postulati 28 R.V. Ratiu, A. Tiron Tudor, The Classification of Goodwill: an Essential Accounting Analysis, Review of Economic Studies and Research Virgil Madgearu, 2013 29 M. Bloom, Double Accounting for Goodwill: a problem redefined, United Kingdom, Routledge, 2008.
  • 43. 43 In sintesi, è pacifico che l’avviamento internamente generato non rileva ai fini del trattamento contabile in quanto non è presente, tra gli scopi della contabilità intesa in senso generale, quello di mostrare il valore economico del capitale di un’azienda. Se, dunque, tra le immobilizzazioni immateriali del bilancio di un’azienda compare l’avviamento vuole dire che la stessa lo abbia rilevato nell’ambito di acquisizione di altra azienda o ramo d’azienda (o ancora a seguito di un’operazione di conferimento, fusione o scissione). Secondo quanto stabilito dall’OIC 24 Immobilizzazioni Immateriali tale avviamento si identifica nella “parte di corrispettivo riconosciuta a titolo oneroso, non attribuibile ai singoli elementi patrimoniali acquisiti di un’azienda ma piuttosto riconducibile al suo valore intrinseco”. Lo stesso documento integra, poi, tale definizione quando, nell’ambito della rilevazione e valutazione, specifica che ai fini dell’iscrizione in bilancio è necessario che: a) il valore dell’avviamento sia quantificabile in quanto incluso nel corrispettivo pagato; b) sia costituito da costi ad utilità differita nel tempo, che generino, cioè, utili futuri o risparmi di costo; c) sia soddisfatto il principio della recuperabilità del relativo costo, ovvero non vi si trovi in presenza di cattivo affare. Nel prosieguo viene poi specificato che il valore dell’avviamento da iscrivere in stato patrimoniale è dato dalla differenza tra il corrispettivo pagato ed il valore corrente attribuito agli altri elementi patrimoniali attivi e passivi che vengono trasferiti. Anche in questo caso si può notare come, per forza di cose, lo standard sia costretto a lasciare un certo margine di discrezionalità circa la rilevazione o meno dell’avviamento. In particolare il principio di recuperabilità del costo come condizione necessaria per la sua capitalizzazione presuppone valutazioni inerenti l’entità dei probabili benefici economici futuri. Ma ovviamente il fatto di non poter quantificare con oggettività tali benefici fa sì che il valore dell’avviamento sia ancorato a quello del corrispettivo deciso di pagare dall’impresa che lo ha acquisito a seguito della
  • 44. 44 contrattazione tra le parti interessate. Anche gli IAS/IFRS operano in maniera simile a quanto accade in ambito nazionale avallando tale supposizione, dettata anche qui dall’impossibilità di definire in maniera chiara ed univoca una valore economico del capitale per l’impresa acquisita. Tale tematica sarà, tuttavia, approfondita discutendo circa la recognition dell’avviamento. 2.3 LA RECOGNITION DELL’AVVIAMENTO Sia in ambito nazionale che internazionale l’avviamento è incluso, qualora se ne presentino le condizioni, nell’attivo dello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni immateriali. La sua inclusione in tale categoria, però, è tutt’ora oggetto di discussione. Si è ampiamente discusso di come esso non possa essere ricondotto ad un’attività o fattore specifico ma piuttosto ad un’attitudine dell’azienda, una sua qualità intrinseca. Resta da capire se questo modo di intenderlo possa cambiare se lo si osserva, nell’ottica contabile, non più come avviamento aziendale in senso generico ma come avviamento acquisito dall’esterno. Il motivo per cui si ritiene utile cimentarsi in questa discussione non è tanto l’inclusione formale dell’avviamento nell’attivo immobilizzato, quanto, piuttosto, la valutazione della sua conformità in termini qualitativi agli altri elementi appartenenti a tale categoria al fine di poter stabilire l’adeguatezza dell’attuale metodo di trattamento contabile. In ambito nazionale, il codice civile parla, in maniera generica, di elementi patrimoniali quando, all’art. 2424 bis comma 1, specifica che quelli “destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere inclusi nelle immobilizzazioni” lasciando, in pratica, allo standard setter l’onere di definire con precisione i requisiti affinché un’immobilizzazione immateriale possa essere identificata come tale. Ed, in effetti, secondo la definizione fornita dall’OIC 24 Immobilizzazioni Immateriali l’avviamento sembra legittimato ad essere incluso in tale categoria. Il documento pone tre requisiti:
  • 45. 45 a) la mancanza di tangibilità; b) il sostenimento di costi per la loro acquisizione o produzione interna e la capacità di identificare e misurare tali costi; c) l’utilità pluriennale, ovvero la capacità di generare benefici economici futuri in termini di maggiori ricavi o minori costi rispetto a quelli che si avrebbero in assenza. Si può osservare che l’avviamento rispecchia tutti e tre i requisiti richiesti, per cui è pienamente legittimato, in ambito nazionale, ad essere incluso formalmente e sostanzialmente tra le immobilizzazioni immateriali; il che, come verrà meglio evidenziato nel prosieguo, giustifica un trattamento contabile in linea di massima similare con gli altri elementi inclusi in tale categoria. In ambito internazionale il discorso merita opportune precisazioni. Infatti, a differenza delle prescrizioni civilistiche e di quelle fornite dall’OIC, gli standard dello IASB forniscono definizioni più dettagliate e criteri più specifici, sia per quanto attiene alla definizione di asset che a quella di intangible asset. Si discute della conformità dell’avviamento alle due definizioni proposte. Innanzitutto il Conceptual Framework for Financial Reporting specifica che ci si trova in presenza di un asset quando tale risorsa: 1) sia controllata dall’azienda; 2) sia il risultato di eventi passati; 3) ci si aspetta generi benefici economici futuri. Appurato che gli eventi passati di cui si parla possono essere ricondotti al sostenimento di costi per acquisizione o produzione interna e che anche il requisito dei benefici economici futuri è comune a quanto richiesto dall’OIC, l’unico punto di discontinuità è rappresentato dal requisito del controllo che, come inteso nel Framework, è correlato alla capacità da parte dell’impresa di beneficiare, in via esclusiva, dei vantaggi
  • 46. 46 economici futuri derivanti proprio dall’esistenza di un avviamento. Viene, altresì, puntualizzato come il supporto offerto da tutele legali o comunque da altri strumenti normativi possa rinforzare il controllo sull’asset in questione. In effetti la presenza dell’avviamento nel bilancio di un’impresa non è supportata dalla presenza di uno strumento contrattuale o altro tipo di supporto legale né tantomeno essa può essere giustificata dalle tutele legali collegate alle altre attività e passività la cui acquisizione ha dato origine all’avviamento stesso. Tuttavia, nel prosieguo, il documento puntualizza che il possedimento del requisito della controllabilità non sia necessariamente correlato alla presenza di tali fattori30 per cui da questo punto di vista non sembra preclusa la possibilità di identificare il goodwill come un asset a pieno titolo. In quest’ultima affermazione è, inoltre, racchiuso il principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, rimarcato a grandi linee dal Framework: pur non essendo presenti elementi di natura giuridica o legale che supportino la presenza di tale attività in bilancio, è palese che, indipendente da quest’ultimo aspetto, la stessa rappresenti fonte di probabili benefici economici futuri ricollegabili a maggiori ricavi o minori costi dei quali l’impresa potrà beneficiare e ciò è sufficiente a comprovare la conformità dell’avviamento alla definizione di asset. Tale conformità è posta, tuttavia, come condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della recognition, ovvero del processo di incorporazione in bilancio degli elementi patrimoniali e reddituali. Quest’ultima, infatti, è subordinata all’esistenza di due ulteriori requisiti: a) la probabilità dell’esistenza di benefici economici futuri collegati all’asset in questione; b) l’affidabilità della misurazione del suo costo o valore. Per quanto attiene al requisito sub. a) esso è collegato al grado di incertezza circa la possibilità che i benefici economici in questione fluiranno o meno all’impresa. Tale grado di incertezza dipende, a sua volta, dalle caratteristiche dell’ambiente specifico in 30 Oltre che dal Framework tale aspetto è rimarcato anche dal documento IAS 38 Intangible Assets.
  • 47. 47 cui l’impresa stessa svolge la sua attività operativa. Il rispetto del requisito sub. b), invece, impone la non inclusione in bilancio di tutte quelle poste il cui costo o valore non può essere attendibilmente misurato, fermo restando la possibilità di sottolinearne comunque l’esistenza includendole in altri sistemi di rilevazione al di fuori del bilancio. Ritornando alla discussione circa la conformità dell’avviamento a questi requisiti, è da notare come il Framework parli genericamente di “probabilità dell’esistenza di benefici futuri”, senza richiederne una quantificazione attendibile del valore. Dei dubbi restano per ciò che riguarda il grado di attendibilità con il quale si può decretare la reale presenza di tali benefici futuri e circa la conformità dell’avviamento al requisito dell’affidabilità, dal momento che la misurazione del suo valore è soggetta ai numerosi processi valutativi discrezionali di cui si è ampiamente discusso. Tali dubbi vengono, tuttavia, dissipati quando il documento specifica che i criteri per la recognition devono essere letti alla luce della supposizione che il management aziendale prenda solo ed esclusivamente delle decisioni mirate all’ottenimento di benefici economici futuri. Riconsiderando i requisiti esposti fino ad ora alla luce di quest’ultima chiave di lettura si può affermare che l’avviamento è qualitativamente conforme a tali requisiti. Infatti, secondo questa interpretazione, è da ritenere palese che il management paghi un certo corrispettivo per l’acquisizione di altra azienda solo qualora ritenga che esso possa essere pienamente recuperato in futuro. Valutata la conformità dell’avviamento alla definizione di asset, resta ora la discussione circa la sua inclusione tra gli Intangible Assets. Secondo quanto disposto dallo IAS 38, un’attività immateriale si caratterizza per: a) l’assenza di sostanza fisica b) l’identificabilità A sua volta, quello dell’identificabilità è uno dei requisiti da rispettare affinché un attività immateriale si possa considerare come tale. Gli altri due attengono alla controllabilità e ai benefici economici futuri e vengono ripresi dal Framework nell’ambito dell’identificazione degli asset e dei quali si è già discusso. Lo IAS 38 Intangible Assets
  • 48. 48 definisce con più precisione il requisito sub. b) quando afferma che un asset è identificabile quando: a) è separabile, ovvero capace di essere separato o diviso dall’impresa e ceduto, trasferito, dato in licenza, affittato o scambiato, o individualmente o assieme ad altro elemento ad esso collegato (contratto, attività identificabile o passività) indipendentemente dal fatto che l’impresa intenda farlo o meno; oppure b) sorge da contratti o altri diritti legali, indipendentemente dal fatto che questi ultimi possano essere o meno trasferibili o separabili dall’azienda o da altro fattore. Ovviamente l’avviamento non accoglie nessuna delle due definizioni: esso manca del requisito di identificabilità. Anzi, è lo stesso documento che sottolinea come il rispetto dello stesso requisito presupponga la separabilità del goodwill dagli altri intangibles: in altri termini, un asset immateriale è definibile come tale solo se può essere tenuto distinto dall’avviamento. Il che consente di notare come sia quasi convenzionale il suo inserimento tra gli intangibles a differenza di quanto, invece, accade in ambito nazionale dove, si è visto, esso risulta pienamente conforme alla definizione di “Immobilizzazione immateriale” fornita dall’OIC 24. Tant’è vero che lo stesso IAS 38 si limita a rimarcare il divieto tassativo di capitalizzare il goodwill internamente generato ma non approfondisce la tematica relativa alla recognition dello stesso se non rinviando la discussione ad un altro standard, l’IFRS 3 Business Combination. Tale standard nella sua attuale formulazione, è quello che più di altri si sforza di delineare un quadro completo circa la recognition del goodwill, anche perché la pratica dell’aggregazione aziendale è forse quella che più di altre giustifica il sorgere dello stesso nel bilancio aziendale: la presenza del purchased goodwill (l’unico a rilevare per fini contabili) presuppone, infatti, l’acquisizione di un’azienda o ramo d’azienda. Innanzitutto lo standard fornisce una definizione di business combination con la quale si propone anche di tener separata tale pratica da un qualsiasi altro tipo di transazione. In pratica l’esistenza di un’aggregazione aziendale presuppone:
  • 49. 49 a) la presenza di almeno due parti delle quali una può essere identificata come l’impresa acquirente (acquirer) e l’altra come quella acquisita (acquiree); b) una transazione avente ad oggetto attività e passività che, al momento dell’aggregazione, formano un business; c) l’ottenimento del controllo dell’impresa acquisita da parte dell’acquirer. Ad integrare questa definizione ne viene poi fornita un’altra integrativa del concetto di business, inteso come “un insieme integrato di attività capace di essere gestito allo scopo di fornire un rendimento in termini di dividendi, minori costi o altri benefici economici direttamente riconducibili ai proprietari”. Ebbene, la discussione circa gli elementi preliminari caratterizzanti il processo di Business Combination fornisce il punto di partenza per poterla definire con precisione. Nello specifico, vengono ricompresi sotto l’espressione di acquisition method quella serie di atti sequenziali attinenti al trattamento contabile relativo all’intero processo di aggregazione. I vari passaggi caratterizzanti l’acquisition method sono: a) identificazione dell’acquirer; b) determinazione della data di acquisizione (acquisition date); c) riconoscimento e misurazione delle attività identificabili acquisite, delle passività trasferite e di qualsiasi altra quota di minoranza; d) riconoscimento e misurazione del goodwill o di un guadagno su acquisto a prezzi favorevoli. Mentre l’identificazione dell’acquirer è elemento intrinseco della definizione di aggregazione aziendale proposta dal documento e presuppone l’identificazione, altresì, dell’acquiree e del business oggetto di trasferimento, l’acquisition date fa riferimento al momento in cui si ottiene il controllo dell’impresa acquisita. Per quanto attiene alla recognition, l’acquirente ha l’obbligo di valutare tutti gli elementi oggetto del trasferimento al loro fair value alla data di acquisizione avendo cura: