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Avete presente la situazione in cui avete tanti sol-
di e non sapete come spenderli? Io, ovviamente, no
e mi auguro che per voi possa essere il contrario,
sebbene non sia di ricchezza e povertà che si vuol
discutere in questo editoriale. Semplicemente pen-
so che un’iperbolica situazione di ricchezza possa
rappresentare un ottimo metro di paragone rispet-
to all’argomento che s’intende trattare in queste
righe. Potremmo dire che a tutti indistintamente,
chi con più e chi con meno sofismi, sia capitato di
parlare di “Rivoluzione Digitale”. Ne parla chiun-
que e se ne parla ovunque; nelle case, nelle strade,
nelle scuole, consapevolmente, inconsapevolmente
ed è proprio questo che affida all’avvento dei mezzi
digitali (cellulari in particolare)un carattere rivo-
luzionario: il fatto che si siano ormai cementificati
tra i pilastri portanti delle nostre giornate e che ne
abbiano sostanzialmente modificato i lineamenti.
Per chiarirci, chiamando in causa Wikipedia, la Ri-
voluzione Digitale è: “ l’ampia diffusione che hanno
avuto i vari prodotti digitali e tutta quella serie di
cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti in
merito all’avvento della digitalizzazione di gran par-
te degli accessi all’informazione.” In che modo, però,
un cellulare o un qualsiasi prodotto digitale può
aver modificato così radicalmente il contatto con la
realtà?
Ciò che tenterò adesso è un’analisi di un piccolis-
simo aspetto sul tema della “Rivoluzione Digitale”
con cui spero di non minimizzare un argomento
che meriterebbe, e sicuramente gli sono già state
dedicate, analisi molto più approfondite di questa.
Il processo che è avvenuto prima con l’universaliz-
zazione dei computer, poi con il dilagante utilizzo
dei social networks e, infine, con la totale sintesi di
tutto questo unicamente nel cellullare, non è stato
nient’altro che una progressiva privazione di esi-
genze. Mi spiego, in un cellulare è racchiuso tutto:
enciclopedia, atlante, libro, giornale, agenda, calen-
dario, meteorologo, bar, gioco ecc…. La convinzione,
dunque, di poter accedere a qualsiasi cosa in qualsi-
asi momento, dai rapporti personali all’etimologia
di una parola, ha impigrito l’uomo allo stesso modo
di come il possedere una barca di soldi ci impigri-
rebbe nell’impegnarci a spenderli in maniera otti-
male e soprattutto a lavorare per guadagnarne altri.
Con un conto in banca a tanti zeri probabilmente
faremmo lavorare altri al posto nostro esattamente
come, al posto nostro, avendo un numero di como-
dità a tanti zeri, facciamo lavorare i nostri cellulari.
Un cellulare, dunque, cambia il contatto con la re-
altà nel momento in cui modifica il rapporto con la
necessità. Un esempio valido può essere rappresen-
tato da quello che è diventato il nostro rapporto con
l’informazione, la notizia o, più in generale, con la
conoscenza. La cultura di trent’anni fa era indis-
solubilmente legata a mezzi come i succitati libri,
atlanti, enciclopedie o, ancora, vocabolari, dizionari
dai quali il rapporto con la conoscenza non poteva
prescindere. A trent’anni di distanza la cultura è
diventata un bagaglio formato tascabile ed è stata
compressa negli schermi luminosi al punto da cam-
biare non solo le potenzialità della cultura e i modi
d’accesso alla stessa, ma anche, per esempio, i re-
quisiti dell’intelligenza. Quest’ultima, infatti, non si
ferma più all’abilità di metabolizzare e padroneg-
giare il proprio bagaglio culturale, ma si completa
nel saper sfruttare tutte le potenzialità contenute
nella cultura 2.0., rotante attorno un rapporto uo-
mo-macchina che ha allargato gli orizzonti cono-
scitivi di qualsiasi persona che possieda uno smar-
tphone.
Ora, la domanda è se le strutture socio-culturali
fondamentali, prima fra tutte la scuola, si arricchi-
scano o risentano di questo cambiamento contro
ogni limite di velocità. Pur non avendone una uni-
versale, la risposta è, senz’altro, custodita nel rap-
porto tra chi trasmette e chi recepisce la cultura,
ovvero tra insegnante e studente; un rapporto che
può essere costruttivo quando le due diverse rela-
zioni alla conoscenza si fondono in una vincente
simbiosi, distruttivo quando a prevalere è l’incomu-
nicabilità tra adulto e giovane, dovuta a concezioni
di cultura, intelligenza, sapere, conoscenza, in po-
che parole, a due approcci alla vita troppo diver-
si. Non mi interessa che al termine di questa rifles-
sioni traspaia la scuola di pensiero di cui mi sento
parte, piuttosto, il mio augurio è che aumentino le
occasioni per discutere di quelle che sono le infinite
potenzialità dell’era in cui è impossibile separare il
Virtuale dal Reale e che, oltre a contare tutti i sol-
di in più nel portafoglio, ci si
armi di quella parsimonia e di
quella intelligenza in grado di
prendere la ricchezza e farne
una virtù.
TUTTA UNA VITA IN TASCA
EDITORIALE
di Marco Lorusso
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Società
2
“Chi mi dice ‘’ ti amo’’/ ma togli
il cane/escluso il cane/ tutti gli
altri son cattivi/ pressoché poco
disponibili”.
Con queste parole Rino
Gaetano esprimeva, nel 1977,
il suo bisogno di affetto, amore
e amicizia da parte delle
persone che lo circondavano:
desiderava un affetto vero,
sincero, ma soprattutto
infinito, senza facili soluzioni
o aforismi perduti nel nulla.
Quello che riceveva, però,
era tutto il contrario: tutti lo
‘’amavano’’ ma nessuno gli
concedevaancheunsologiornodi
quella che Cesare Pavese definiva
simpatia totale, da uomo a uomo.
Ogni giorno è inerzia grigia:
si va avanti tanto per inerzia,
senza che nulla di speciale
accada; si ammazza il tempo
e gli ‘’amici’’, le distrazioni,
la musica, i videogiochi e
i filmetti della domenica
pomeriggio ci aiutano a farlo.
Stare a contatto con gli altri
è diventato sempre più un
passatempo; non ci si vede più
per il piacere di farlo, ma solo
per trascorrere il tempo in
compagnia. Lo si fa solo perché si
vede la solitudine come un peso
insopportabile.
Tutto è sempre uguale, tutto è
sempre grigio, mai niente di
nuovo, mai niente di utile. Ci
si sveglia, si passa il tempo e
si dorme. E poi si ricomincia.
Ascoltando le parole di Gaetano
mi sono chiesto se sia possibile
affrontare questa inerzia grigia.
La prima domanda che può
venire in mente è quella del come
affrontarla. Io credo, invece,
che la questione importante
sia con chi affrontarla.
Nella canzone Rino cita come suo
unico, vero compagno il cane.
Questo perché, probabilmente,
il cane mostra al suo padrone un
affetto infinito, gratuito e che
non cambia mai, a prescindere
da tutto e da tutti: è bello avere un
cane perché quando torni a casa
dopo una giornata faticosa, di
studio, di lavoro, di inerzia grigia,
appunto, dietro la porta c’è lui
ad aspettarti e a guardarti come
se gli mancassi da sempre; che
tu sia arrabbiato o triste, felice o
nervoso,luic’èedèlìchetiaspetta.
Forse è proprio per questo
che amiamo gli animali.
Ora, non sto attribuendo una
superiorità alla razza canina,
anzi, come canta Willie Peyote,
“i cani sono meglio delle
persone che dicono che i cani
sono meglio delle persone” , sto
solo riconoscendo nei cani,
come ha fatto il cantautore
ESCLUSO IL CANE,
CHI MI AIUTA A COMBATTERE
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calabrese, quel bene che tutti noi
vorremmo ricevere dagli uomini.
Mi sono chiesto: ricevo io un
bene così grande da qualcuno
che non sia il cane? Tu che stai
leggendo queste parole, hai
qualcuno che sia pronto, come
scriveva Pavese nel diario che
poi sarebbe diventato Il mestiere
di vivere, a legarsi con te per
tutta la vita e rinnovare cioè
ad ogni giornata la dedizione ?
Il bisogno che sentiva Gaetano è
lo stesso che tutti noi sentiamo.
E noi, alle persone a cui diciamo
di voler bene, vogliamo questo
tipo di bene? O siamo anche
noi pressoché poco disponibili?
Mi sento troppo spesso come Rino
eallostessotempomirendoconto
che probabilmente molte persone
si sentono così a causa mia.
Conosco qualcuno con cui non
ammazzo il tempo? Qualcuno con
cui do valore al tempo che passa?
Forse sì, forse no. Bisogna saper
riconoscere quel qualcuno
o qualcosa che, come diceva
Calvino, “in mezzo all’inferno non
è inferno, e farlo durare, dargli
spazio”.
Cosa fare, allora? Qual è la
soluzione alla monotonia?
Nell’opera di Beckett erano
VladimiredEstragonadaspettare
speranzosi Godot. E se per una
volta ci trovassimo dall’altra
parte e fossimo noi dei Godot?
Riusciremmo a riconoscere, tra
tutti gli amici, quelli che davvero
ci aspettano sempre e comunque?
Forse non sarebbe così facile
e si renderebbe necessaria
una sorta di selezione tra tutta
quella “gente assurda con le loro
facili soluzioni” che invece di
aiutarti a risolvere un problema
ti suggerisce di non pensarci.
E se invece di restare bloccati nel
grigiore delle giornate scandite
dalle facili soluzioni decidessimo
di trascorrerle con qualcuno che
sia in grado di vedere i colori? E
se decidessimo di camminare
accanto a qualcuno che sia
pronto a scorgere “i gialli dei
limoni” in mezzo al grigio,
affinché “le loro canzoni, le
trombe d’oro della solarità”(E.M.)
ci scroscino in petto?
di Giuseppe Manicone
RE L’INERZIA GRIGIA?
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Psicologia
4
L’autismo è un disturbo del neuro-
sviluppo caratterizzato da deficit
della comunicazione e dell’intera-
zione sociale, interessi e comporta-
menti limitati e ripetitivi. In Italia
ne soffre un bambino su 100, ne-
gli Stati Uniti si parla addirittura
di 1 su 68. Questi numeri tendo-
no a peggiorare, eppure ci si osti-
na a parlare di “patologia rara”.
È Leo Kanner nel 1943 a parla-
re di autismo per la prima vol-
ta; Bruno Bettelheim, invece, fu
il primo a cercarne le cause con
la teoria delle “madri frigorifero”
che attribuiva ai genitori un com-
portamento freddo e distaccato
nei confronti del bambino, che
avrebbe poi causato problemi
comportamentali. Con il passa-
re del tempo le ipotesi relative a
fattori familiari sono state su-
perate in favore di studi riguar-
danti origini organiche; si parla
dunque di problemi ambientali,
infiammazioni cerebrali, rea-
zioni a vaccini, genetica, ma-
lattie infettive. Purtroppo non è
ancora possibile dare certezza alle
tesi elencate.
Un soggetto autistico tende ad
isolarsi al punto da perdere il
contatto con la realtà, vivendo
in uno stato di estraniazione e
solitudine. I comportamenti più
comuni in un bambino autistico,
infatti, rimandano a tentativi di
proteggersi dal mondo e dalle
persone: il rifiuto del contatto
oculare, la mancanza di contat-
to fisico, la tendenza a scappa-
re; questo avviene perché sono
soggetti “iper-sensoriali”, ovvero
il loro cervello è fatto in modo da
concepire contemporaneamente
stimoli uditivi, olfattivi, visivi.
Ogni autistico è diverso; non tutti
parlano, alcuni hanno addirittu-
ra un quoziente intellettivo supe-
riore alla norma.
Al giorno d’oggi ci sono nume-
rosi interventi per il migliora-
mento del soggetto autistico.
Ad esempio, una dieta priva di
caseina e glutine può attenua-
re comportamenti aggressivi o
iperattivi e può stimolare l’at-
tenzione, infatti, alcune ricerche
hanno constatato che il proble-
ma dell’autismo è anche del cor-
po e la maggior parte degli auti-
stici soffre di allergie alimentari
e di problemi intestinali. Esisto-
no poi, numerosi tipi di terapie
riabilitative, come l’Analisi Ap-
plicata del Comportamento (ABA),
o il metodo dell’Autogestione ver-
bo-vocale (AUGEV).
È importante ora rendere chiara
una cosa: dall’autismo non si
guarisce… ma, si impara a convi-
verci. Inoltre, per capirne qualco-
sa in più bisognerebbe incontra-
re una persona autistica, perché
nel lavoro con le persone non
esistono manuali e modi di agire
adatti a tutte le occasioni. Esisto-
no “solo” la pratica, l’inventiva
e la volontà. Occorre quindi sa-
pere di questi drammi silenziosi,
sfatare miti come quello dell’au-
tistico “che non prova emozioni”.
È importante sapere che quando
un soggetto con diagnosi au-
tistica diventa maggiorenne, la
“Medicina” ha deciso che quella
diagnosi non esisterà più: scom-
parirà con un misterioso incante-
simo e si trasformerà in un’inde-
finita psicosi. Occorre stabilire un
contatto con loro, per scoprire un
mondo che non ci apparterrà mai
del tutto, ma che ci farà sentire più
che mai…
completi!
di Silvia Miglionico
AUTISMO
LA VITA NEL SILENZIO
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Musica
5
Nel cervello, i punti di contatto
tra neuroni in grado di propaga-
re gli impulsi nervosi, sono chia-
mati sinapsi, che, dotate di pla-
sticità sinaptica, sono soggette
a continue modifiche ogni volta
che vengono stimolate. Quando
questo stimolo proviene dalla
musica, gli effetti possono essere
terapeutici o sviluppano alcune
aree cerebrali.
Nel tentativo di spiegare la “ma-
gia” della musica, molti studi
neuro-scientifici hanno dimo-
strato che il cervello dei musicisti
esperti è più sviluppato nelle aree
coinvolte nell’apprendimento e
nella memoria, caratterizzate ap-
punto dall’azione delle sinapsi,
rispetto ad un altro. Inoltre, un
nuovo studio chiamato “Effetto
Mozart” dimostra che ascoltare
musica classica provoca un au-
mento dei geni coinvolti nella
neurotrasmissione sinaptica e
nella secrezione di dopamina,
importanti per la memoria e l’ap-
prendimento.
Questo è quello che avviene nel
nostro cervello a livello funziona-
le,malamusicapuòfareancheda
“medicinale”? Ebbene sì! In Ame-
rica negli anni del dopoguerra
si utilizzava il suono per far star
bene i soldati, tornati dalla guer-
ra, che avevano subìto esperienze
traumatiche sia fisicamente che
psicologicamente. La musicote-
rapia, quindi, è utilizzata per i pa-
zienti prossimi a un processo di
riabilitazione, per colmare l’ansia
e per curare la depressione. Si di-
vide in attiva e recettiva: attiva
quando vengono utilizzati stru-
menti per permettere al paziente
di esprimere i propri sentimenti
ed emozioni, recettiva quando il
terapeuta educa l’ascolto del pa-
ziente attraverso la guida di brani
musicali. Quest’ultima permette,
quindi, anche di esprimersi attra-
verso gli strumenti.
Il concetto di musicoterapia come
disciplina scientifica, pur svilup-
pandosi già nella prima metà del
Settecento grazie al medico lon-
dinese, Richard Brocklesby, at-
tecchisce effetivamente soltanto
dal 1959 in paesi come Vienna,
Salisburgo e specialmente New
York dove con il Music Therapy
Center e il Creative Arts Riabilita-
tion Center, la musicoterapia di-
viene finalmente realtà. Tuttora è
Rolando Benenson, docente uni-
versitario a Buenos Aires, tra i te-
rapeuti più importanti al mondo.
Oggi in Italia i principali centri
nei quali si applica si trovano a
Milano, Assisi, Bologna e Catania.
Esiste persino un corso accade-
mico nei Conservatori di Verona
e dell’Aquila che rilascia un di-
ploma biennale di specializzazio-
ne in musicoterapia. Ovviamen-
te non bisogna pensare che la si
possa sostituire totalmente a vere
e proprie cure mediche, ma non
si deve dimenticare che i malanni
dell’anima spesso si riversano sul
nostro organismo. Chi di noi non
ha mai sofferto per un mal di sto-
maco dovuto all’ansia?
Platone, infatti, ci ricorda che il
corpo non è disconnesso dalla
persona, affermando nel “Timeo”
che l’armonia della musica è del-
la stessa natura dell’anima. La
musicoterapia quindi è la prova
scientifica di un contatto tra il
nostro benessere fisico e quello
psicologico. Siamo davvero pron-
ti a pensare alla musica non solo
come un piacevole interesse, ma
anche come un possibile “alle-
ato” della
m e d i c i n a
moderna?
E, se sì, ri-
usciremmo
ad affidarci
completa-
mente ad
essa?
di Nadia Lavecchia
MUSICOTERAPIAQUANDO LA MUSICA GUARISCE
Scienza
6 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN
Divinazione, visioni profetiche,
stati di trance, parole sconnesse.
Nell’antica Grecia i grandi uomini
cercavano di comprendere meglio
la loro vita recandosi a colloquio
con le sibille. Donne toccate dalle
divinità, erano in grado di ricevere
i loro messaggi e di comunicarli
agli uomini. O forse no. 
È noto che dagli anni cinquanta in
poilasacralitàdicertiritihainiziato
a diventare qualcosa di troppo
comune e di conseguenza difficile
da accettare. In effetti nasce
nel 1956 la parola “psichedelia”,
trovata per la prima volta in una
lettera indirizzata ad Aldous
Huxley ed utilizzata per definire
quelle sostanze che “liberano il
pensiero dalle sovrastrutture delle
convenzionisociali”. Larivoluzione
psichedelica è cominciata grazie
alle scoperte di un solo uomo:
Albert Hoffman. Questo abile
chimico è riuscito a sintetizzare un
alcaloide denominato da lui LSD-
25 dalla segale, che quando viene
attaccata da un fungo, l’ergot,
muta diventando segale cornuta,
poiché piena di escrescenze. Nella
storia è stata portatrice della
famosa “Febbre del pellegrino”,
strana malattia che provocava
dolori e stati febbrili ricchi di
allucinazioni.  
Il dietilammide dell’acido lisergico
è il più potente allucinogeno mai
studiatoedèquestochelohaportato
alla gloria e alla rapida diffusione,
oltre al fatto che per diversi anni
la Sandoz (l’azienda farmaceutica
nella quale lavorava Hoffman) ha
prodotto un medicinale basato
sull’LSD, il “Delysid”. Il suo utilizzo
ha permesso di penetrare nei più
remoti anfratti della mente di
persone problematiche e di ridurre
anni di terapie psicoanalitiche
ad un unico pomeriggio. Poi, in
seguito ad una larga diffusione il
farmacovenneresoillegaleintutto
il mondo. Ogni sperimentazione
scientifica a riguardo, inoltre,
venneimmediatamenteinterrotta.
L’LSD diventerà per Hoffman il “Il
mio bambino difficile”, titolo del
libro pubblicato da Hoffman nel
1979. Ma quali sono le principali
sostanze cosiddette psichedeliche? 
Segue un prontuario a scopo
puramente scientifico delle
sostanze psichedeliche:
di Michele Pellegrino
LSDCOSA NON SAPPIAMO DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI
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LSD
Dosaggio: intorno ai 20 micro-
grammi, non crea dipendenza in
chi ne fa uso per il fatto che la tol-
leranza cresce molto rapidamente:
per ottenere gli stessi effetti, già la
seconda volta che la si assume bi-
sognerebbe raddoppiare la dose.
Effetti: molto dipende dal “set”
ossia la condizione psicologica
della persona che lo assume al
momento del trip, infatti provoca
alterazioni della coscienza, perce-
zioni esteriori ed interiori inten-
sificate e alle volte sinestesia. La
correlazione tra LSD e aumento
di patologie psicologiche preesi-
stenti non è provato, anche se per
ridurre la sua diffusione si affer-
mava il contrario.
MESCALINA
Descrizione: la sostanza è pre-
sente in una famosissima pianta
grassa messicana: il peyote. Esso è
da sempre presente nella cultura
del centro america, utilizzato da-
gli sciamani per le sue proprietà
psicoattive, ma i nativi americani
lo hanno utilizzato anche come
farmaco. Si è diffuso nella cultura
psichedelica ed è stato reso illega-
le negli anni 70. Piccola curiosità:
in America un movimento religio-
so la “Native American Church” e i
suoi adepti hanno la facoltà legale
di consumare il peyote.
Dosaggio: la dose media si aggira
tra i 300 e i 500 microgrammi e a
parità di dosi è 4000 volte meno
potente dell’ LSD e dunque è faci-
le intuire il motivo per il quale sia
stato sostituito da esso tra gli psi-
conauti negli anni cinquanta. Non
provoca astinenza, ma potrebbe
instaurarsi una dipendenza psi-
cologia (possibilità abbastanza
rara data la forza e la peculia-
rità delle esperienze indotte).
Effetti: possono durare anche 24
ore e possono indurre allucinazio-
ni sensoriali, percezioni alterate,
visioni, senso di benessere, ma
anche ansia panico e paura, stati
d’animo che come nel caso dell’L-
SD sono definiti dalla condizione
di chi assume la sostanza. È sta-
ta riscontrata in diversi casi una
sensazione particolare, una sorta
di frantumazione dell’io e la con-
seguente illusione di trovarsi dap-
pertutto.
PSILOCINA
Descrizione: sostanza alluci-
nogena estraibile dai funghi
della specie “Psilocybe”. L’alca-
loide in questione è stato isola-
to dallo stesso Albert Hoffman
che voleva studiare le differen-
ze con il suo bambino difficile.
Dosaggio: la LD50 ossia la dose
letale per almeno il 50% del cam-
pione analizzato è di circa 280
microgrammi per chilogrammo e
la peculiarità di questa sostanza
è che ha un effettistica per ogni
quantitativo di dose ingerita.
Effetti: se ingerita in dosi basse
provoca euforia, ilarità e brevi al-
lucinazioni; se ingerita in dosi me-
dio-alte è in grado di provocare sta-
ti allucinatori molto potenti; dosi
molto alte provocano esperienze
mistiche e addirittura “near death
experience” esperienze che allon-
tanano completamente la coscien-
za dello psiconauta dalla realtà.
DMT
Descrizione:la dimetiltriptam-
mina è una sostanza presente in
natura in molte varietà di piante
e funghi e anche nel fluido cere-
bro spinale degli esseri umani.
Infatti secondo alcune ricerche la
nostra ghiandola pineale produ-
ce dosi blande di DMT intorno alle
ore 3-4 del mattino, la cosiddetta
fase REM, quella in cui sognamo.
L’uso di piante contenenti DMT è
una pratica antichissima diffu-
sa soprattutto in Sud America. In
Brasile alcune comunità religiose
consumano un composto di di-
verse piante chiamato Ayahuasca,
diventato particolarmente cono-
sciuto.
Dosaggio: ci sono diverse moda-
lità di assunzione. Si possono fu-
mare i cristalli di DM tramite una
pipetta, oppure mischiarli a del ta-
bacco e in questi due casi la dose
media per avere effetti è di circa
30-50 milligrammi. Può essere an-
che ingerita, ad esempio bevendo
l’ayahuasca e in questo caso il do-
saggio sufficiente diminuisce di
molto arrivando intorno agli 0.03
grammi.
Effetti: provoca viaggi brevi ri-
spetto alle precedenti sostanze,
che durano 20-30 minuti e porta
la mente in uno stato di trascen-
denza totale, con allucinazioni vi-
vide, intensificazione dei colori e
nella seconda fase caratterizzata
da uno stato di semi-incoscienza si
possono avere percezioni di figure
luminose,cangianti e in movimen-
to. Non ha nessun rischio per la sa-
lute e l’unica possibilità di morte è
quella “per stupore”. 
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Storia
8
“Ha toccato”, dichiarava solenne
e orgoglioso Tito Stagno, il croni-
sta che in diretta narrò l’allunag-
gio ad un popolo italiano oramai
alla fine del boom economico.
L’Italia era tutt’orecchi e guarda-
va meravigliata la nazione a stel-
le e strisce come una ragazzina
appena adolescente guarda sua
sorella maggiore già indipenden-
te e emancipata. Quello di allora
era un clima gelido, glaciale, a
dispetto della data, quella del 20
luglio 1969. Dopotutto era Guerra
Fredda e nient’altro ci si poteva
aspettare che un duello serrato
su tutti i fronti tra le due poten-
ze uscite vincitrici dalla II Guerra
Mondiale: USA e URSS.
In realtà il termine “guerra”, nel
suo significato più autentico e
originale, appare piuttosto inade-
guato a descrivere la situazione
globale di quel periodo: si inau-
gurava un nuovo tipo di scontro,
combattutosìsulterritoriodisva-
riati paesi (Corea, Vietnam, la cit-
tà di Berlino), ma soprattutto sui
tavoli e sulle cartine geografiche
di Washington e di Mosca, dove in
quel periodo si stabilivano i nuovi
equilibri geopolitici mondiali. Lo
stato delle cose era abbastanza
complesso, anche se il duello che
si venne a formare era del tutto
paragonabile (con le dovute pro-
porzioni) a una partita di ping-
pong: scambi serrati e dispetti
vicendevoli, come l’ormai famosa
“corsa agli armamenti”, vero pro-
cesso centrale del conflitto USA-
URSS. Non si trattava di conqui-
stare territori, né di ottenere un
guadagno economico, tutt’altro,
dato che ingente fu l’investimen-
to in termini di denaro per il rag-
giungimento del reale obiettivo,
ossia quello di apparire come il
più forte agli occhi del mondo
intero. Una macchina propagan-
distica sfrenata prese piede come
non mai allora. Cominciarono a
essere disegnate da vignettisti di
tutto il mondo migliaia di vignet-
te satiriche che personificavano
i due paesi e ne esaltavano le pe-
culiarità più bizzarri. Alla propa-
ganda, però, dovevano seguire
fatti tangibili. Compiere un’im-
presa “spaziale” era l’unico vero
modo in cui affermare la propria
superiorità e avere tutti ai propri
piedi. Già un’avveniristica (ma
fallimentare) operazione condot-
ta dall’URSS nel 1957, che aveva
lanciato a bordo del razzo Sput-
nik 2 la cagnetta Laika, era segno
principale di un ostentato sensa-
zionalismo da parte di ambo le
fazioni. Gli Stati Uniti, però, ap-
parivano essere maggiormente
C’MOON :
LUNA CHIAMA TERRA
PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 9
attrezzati rispetto ai rivali, grazie
al più avanzato sviluppo tecno-
logico e alla politica governativa
applicata da Nixon, rivelatasi poi
anche troppo flessibile.
E così in una shakespeariana
notte di mezza estate, il modulo
lunare Apollo 11 con a bordo i
due astronauti americani Buzz
Aldrin e Neil Armstrong, alle ore
21.18 italiane, toccò con i suoi fer-
rosi e freddi piedi il suolo lunare.
Un attimo che ha segnato l’intera
storia del genere umano, che sin
dalla sua nascita s’interrogava
su quella misteriosa sfera bianca
che, maestosa, campeggiava nel
cielo. L’uomo era riuscito per la
prima volta ad avvicinare a sé il
sogno che aveva sempre avuto e
che, a causa della sua apparente
irraggiungibilità, aveva reso sog-
getto di alcune delle sue migliori
produzioni artistiche e delle sue
aspirazioni di gloria. Il segno di-
stintivo della notte, della malin-
conia e della solitudine, improv-
visamente, in un contesto storico
molto particolare, era diventato
stimolo e spinta propulsiva. Si
era arrivati fuori dai confini del
pianeta che ormai l’umanità go-
vernava da padrona assoluta.
Oramai la Terra le stava stretta e
cominciava a cercare nuove sfide
e nuove opportunità, dall’alto del
suo sentimento di quasi onnipo-
tenza frutto dell’esperienza bel-
lica della II Guerra Mondiale, che
le aveva lasciato sfiorare l’idea
di essere la sola e unica padrona
del proprio destino. Lasciare una
propria traccia su ciò che appa-
rentemente era inarrivabile, era
sempre stata un’idea stuzzicante
per l’uomo. Significava ottenere
una autolegittimazione e una ve-
rifica oggettiva delle proprie in-
numerevoli possibilità. Per la pri-
ma volta, quella sera, la questione
di prospettive del film Dear John,
non era più valida: la luna era più
grande del pollice dei due astro-
nauti ed era più vicina alla terra
di quanto non fosse mai stata. Il
contatto di quell’estate del 1969
fu riservato solamente ad Arm-
strong ed Aldrin, ma chissà quan-
te volte ciascun uomo ha sognato,
come un bambino, di avvicinare
per un atti-
mo la luna
e portarla
a dormire
con sé.
di Pasquale Moramarco
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Astronomia
10
Era il 1960 quando venne condot-
to il primo tentativo di ricerca di
segnali radio provenienti da civil-
tà extraterrestri, ad opera dell’a-
strofisico Frank Drake, padre di
una famosa equazione che porta
il suo nome, la quale fornirebbe
una stima del numero di pianeti
della Via Lattea abitati da indi-
vidui in grado di comunicare. Il
tentativo, purtroppo, fallì insie-
me a tutti gli altri sino ad oggi,
ma ciò non ha mai scoraggiato gli
scienziati, che, grazie al rapido
sviluppo della radioastronomia,
continuano a inviare messaggi
nello spazio e attendono pazien-
temente una risposta. Il progetto
SETI (Search for Extra-Terrestrial
Intelligence), proposto da Drake
e ancora oggi attivo, si occupa di
inviare “SMS intergalattici”.
I requisiti minimi affinché ci sia
vita su un pianeta sono risapu-
ti, ossia la presenza di acqua e le
condizioni climatiche non estre-
me; in altre parole, un pianeta
non deve essere né troppo caldo
né troppo freddo. Eppure, sulla
Terra sono presenti esseri mi-
croscopici di vario tipo, i batteri,
che hanno delle caratteristiche
eccezionali, tant’è che sopporta-
no temperature fino a 110 gradi
centigradi o vivono in ambienti
ad altissima acidità; la NASA ha
scoperto che alcuni, addirittura,
si cibano di arsenico. La grande
varietà di esseri sul nostro piane-
ta porta a ipotizzare che possano
esistere, su altri corpi celesti, cre-
ature capaci di vivere in condizio-
ni ancora più spinte e ben diverse
da quelle appena citate.
L’idea di un alieno avente le di-
mensioni di un batterio potrebbe
sicuramente deludere gli appas-
sionati di ufologia, nella mente
dei quali padroneggia l’alieno
da cinema americano con occhi
nerissimi ed enormi, fisico esile,
bassa statura, testa gigante.
I presunti casi registrati di cosid-
detti “incontri ravvicinati del terzo
tipo”, avvenuti fra umani e alieni,
sono migliaia, a partire dal quel-
lo del disco volante schiantatosi
al suolo a Roswell (New Mexico)
nel 1947, poi smentito dall’aero-
nautica militare statunitense. Su
eventi di questo tipo è nata una
letteratura vastissima la quale,
per certi aspetti, ha messo in ridi-
colo il tema che, al contrario, è di
grande rilevanza scientifica.
Perché dunque è così importante
cercare altre forme di vita oltre
a quelle terrestri? Non è solo per
una mera curiosità o per ambizio-
ni coloniali alla “Avatar”. Scopri-
re e studiare esseri non terrestri
aiuterebbe la Scienza a compren-
dere meglio gli intricati meccani-
smi della genesi della vita e forse,
anche dell’universo. La recente
scoperta di sette nuovi piane-
ti simili al nostro ha risvegliato
l’attenzione di tutti sul tema, ma
è meglio, è il caso di dirlo, torna-
re coi piedi per terra: le distanze
che ci separano da essi sono im-
mense. Dovremmo costruire dei
mezzi che viaggiano a velocità
spaventose per sperare di arriva-
re destinazione su uno di questi
pianeti; forse, sarebbe più profi-
cuo, come afferma l’astrofisica
Margherita Hack nel suo libro “Il
mio infinito”, “impiegare denaro e
tecnologia per mantenere la Ter-
ra in buona salute e i diplomatici
d e l l ’ O N U
per mante-
nere la pace
fra i popoli
della Terra”.
di Domenico Cornacchia
C’È QUALCUNO LÀ FUORI?
GLI STUDI, LE IDEE E LE POSSIBILITÀ SUGLI EXTRATERRESTRI
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Sociologia
11
Quanto tempo è necessario affin-
ché un’emozione negativa e pas-
seggera si trasformi in uno stato
d’animo perdurante? E quanto
ne occorre per addensare quello
stesso stato d’animo in un’idea
irrimediabilmente radicata nei
meandri della mente? Ed infine,
una convinzione così consolidata
può tramutarsi in una scelta di
vita consapevole? Se l’emozione
iniziale, dove nasce il precedente
percorso, è il risultato di un mix
di tristezza, ansia per il futuro
e paura del mondo circostante,
condito da una malsana ricerca
di attenzioni, la risposta all’ulti-
ma domanda potrebbe essere af-
fermativa.
In Giappone è così che nasce un
hikikomori. Il fenomeno degli
hikikomori (hiku e komoru signifi-
cano infatti rispettivamente tira-
re e ritirarsi) nasce in Giappone a
partire dagli anni ’80 e coinvolge
soprattutto adolescenti e giova-
ni adulti, i quali scelgono di rin-
chiudersi in casa e abbandonare
ogni tipo di contatto con il mon-
do esterno.Da allora, circa un mi-
lione di giovani ha scelto di far
proprio questo particolarissimo
“eremitaggio 2.0”, dove il culto e
la simbiosi con la tecnologia e con
altri elementi caratterizzanti del-
la cultura nipponica, assurgono
al rango di scappatoia da un mon-
do troppo complicato, ossessivo e
pressante.I primissimi hikikomo-
ri erano considerati degli “inediti
ribelli”, figli di una realtà, quella
post-moderna, dove per manife-
stare un’idea non è più necessario
occupare le piazze per esprimere
il dissenso ed il disagio sociale,
ma è sufficiente rintanarsi dietro
lo schermo di un computer, unica
valvola di sfogo nel silenzio ovat-
tato della propria stanza da letto.
Con il totale isolamento in casa,
gli hikikomori esprimono dun-
que il rifiuto per l’ultra competi-
tiva società giapponese, fondata
esclusivamente sul successo per-
sonale e sulla spiccata prevalenza
del mondo lavorativo su quello
personale-affettivo.
È nata così una schiera di au-
tomi silenziosi, in larga parte
schiacciati dal peso di patologie
e disturbi della personalità; indi-
vidui dalla psiche irretita ed atro-
fizzata dalla tecnologia, la quale
costituisce al contempo causa di
isolamento ma anche unica porta
d’accesso al mondo esterno.
Il fenomeno hikikomori tutta-
via, oggi trascende dalla sua di-
mensione patologica e numerosi
giovani giapponesi accettano la
propria condizione con serenità.
Sembra essersi dunque trasfor-
mato in una sorta di fenomeno
narcisistico di massa, dove ra-
gazzi nati e cresciuti in seno a
famiglie benestanti, dotati di un
intelletto sviluppato ma impigri-
to e timoroso, si abbandonano
alle tentazioni di una progressiva
regressione socio-emotiva, celan-
dosi in un involucro impenetra-
bile.
Ora che il fenomeno ha superato
i confini giapponesi, diffonden-
dosi, seppur con alcune significa-
tive differenze, in Europa e per-
sino in Italia, è inevitabile porsi
un interrogativo. Se è infatti vero
che qualsiasi scelta di vita, per
essere rispettata e non conside-
rata come patologia ha, come re-
quisiti fondamentali, quelli della
indipendenza e dell’autonomia,
allora chi sceglie di essere un
hikikomori, attendendo pazien-
temente una ciotola di cibo fuori
dalla porta della propria stanza
da letto, dipendendo completa-
mente dai propri genitori e be-
andosi del proprio ozio inconclu-
dente, deve essere accettato o ha
invece bisogno di essere aiutato?
di Marco Nuzzi
IL RIFIUTO DELLA SOCIETÀ
FENOMENO SOCIALE O PATOLOGIA?
IL MONDO DEGLI HIKIKOMORI
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Arte
12
«Voglio sottoporre a torture il mio
corpo, far soffrire il mio corpo, far
morire il mio corpo, far resuscitare
il mio corpo in modo da poter stac-
care mediante questo processo di
morte e rinascita il mio corpo dalla
realtà per donarlo all’arte.» – Jan
Fabre
Quando si parla di contatto, il ri-
ferimento alla fisicità in ogni sua
manifestazione sembra inevi-
tabile. Ancor più se si pensa alle
correnti artistiche sorte negli
anni sessanta che danno un cor-
po unico ad anime da sempre te-
nute a distanza: la pittura, la dan-
za, la musica, il teatro.
Vito Acconci indaga e mette in
discussione la convenzionalità
dei rapporti attraverso un esperi-
mento che prevede l’inseguimen-
to, l’avvicinamento - fin quasi al
contatto fisico- di persone scelte
a caso; Chris Burden si fa sparare
da un amico di fronte ad un pub-
blico “consenziente” per denun-
ciare l’assuefazione alla violenza;
Hermann Nitsch, legato a una pa-
rete con una tunica bianca, si fa
cospargere del sangue di anima-
li macellati, così che il pubblico
viva il sacrificio in maniera tota-
lizzante e catartica e percepisca
il dolore di Cristo e delle vittime
dell’Olocausto; Marina Abra-
mović, protagonista di una delle
azioni più sconvolgenti della sto-
ria dell’arte, invitando i presenti
ad usare su di lei vari oggetti, si
ritrova nel giro di qualche minu-
to sfregiata, seminuda, con una
pistola puntata alla testa: la di-
mostrazione della facilità con cui
l’uomo esercita violenza su un es-
sere vulnerabile. Altro suo capo-
lavoro è Imponderabilia: la donna
e il suo compagno, appoggiati alle
pareti di uno stretto varco l’uno
di fronte all’altro, costringono
chiunque voglia entrare nel mu-
seo ad un contatto fisico con i loro
corpi nudi.
Spostandosi un po’ in avanti con
gli anni, si arriva a Jan Fabre,
CONTRO LE ARTI C
JAN FABRE E LA RIVA
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artista, regista e coreografo bel-
ga ancora esistente. Il suo tea-
tro-danza permette al corpo di
diventare specchio dell’identità,
della sessualità, del dolore e della
morte. In rappresentazioni come
Je suis sang o L’histoire des lar-
mes, gli attori non fingono: ven-
gono feriti, si eccitano, compiono
azioni e ripetono date in manie-
ra ossessiva, portando sulla sce-
na una fisicità da secoli negata.
«Spellerò la mia anima», dichia-
ra apertamente l’artista: un’ani-
ma che, come Artaud e il Teatro
della crudeltà insegnano, non
ha nulla di etereo, ma è incro-
stata di elementi fisiologici come
sangue, urina, sperma, feci, che
compaiono sulla scena lasciando
il pubblico inorridito ed estasiato.
Due i fini di Jan Fabre: analizzare
l’empatia attore-pubblico e le ri-
percussioni che tale perfomance
può avere sui neuroni specchio –
ricerca, questa, supportata da un
team di scienziati e sociologi- ed
esorcizzare la morte attraverso
l’ostentazione di un corpo mar-
toriato, svuotato dei suoi umori e
per questo sublimato, riempito di
un senso e di una bellezza impos-
sibili senza lotta.
Abbattuta la barriera tra artista
e spettatore, l’arte performativa
ci sbatte in faccia un “quadro”
che non può essere contemplato,
tocca lo spirito dionisiaco che è in
noi, stimola il contatto con biso-
gni primari che le norme sociali
ci spingono a reprimere.
di Elena Altamura
I CONTEMPLATIVE
RIVALSA DI DIONISIO
TRASPORTI INFIORESRL
Strada Privata Albenga, 30
Nunzia 337 588408 - Michele 337 588646
P.iva 07723600727
trasportinfiore@gmail.com
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Mondo
14
Qualsiasi essere umano avverte
un senso di appartenenza quando
si misura con l’aspetto selvaggio
di sé. Sono molte le vittime della
globalizzazione che cercano un
rifugio nella natura o rincorrono
un isolamento volontario lontano
dalla società. C’è chi difende a
spada (o a freccia) tratta la scelta
di una vita primordiale, pura,
in simbiosi con i propri istinti.
Attualmente, esistono più di
100 tribù diffuse nel mondo (in
particolare in Ecuador, Messico
e Perù) dette incontattate perché
rifiutano qualsiasi contatto con il
mondo civilizzato.
Non è la necessità che li porta
all’isolamento, ma il rifiuto,
siccome reduci del colonialismo,
diqualsiasiformadicivilizzazione
etentativodicontattodapartedei
civili. Sono popoli estremamente
vulnerabili e privi di difese
immunitarie, pertanto qualsiasi
virus proveniente dall’esterno
potrebbe sterminare intere
tribù, arma utilizzata dai civili in
passato.
Attualmente la fame di
energia del mondo provoca il
disboscamento di aree protette
in Amazzonia, con conseguente
genocidio di tribù di incontattati:
in Ecuador, di recente, son stati
uccisi più di 20 indigeni per
estrarre petrolio dal parco Yasuni,
con conseguenze ambientali
disastrose.
Il confronto tra civili e indigeni
non assume, pertanto, delle vesti
pacifiche ed è quello che Survival,
tenta di dimostrare dal 1969.
Survival è l’unico movimento
mondiale che si occupa dei
diritti degli indigeni cercando di
ostacolare con qualsiasi mezzo
il contatto con i civili, ritenendo
che esso porti vantaggio solo per
questi ultimi e che l’unico modo
per garantire la sopravvivenza
degli isolati sia proteggendo le
loro terre. Le loro aree di interesse
sono varie: ad esempio, in Perù,
da sempre abitato da varie tribù
come gli Isconahua, i Matsigenka,
i Matsés, o i Mashco-Piro, è in corso
una politica di protezione della
loro terra, delineando confini
invalicabili. Ad opporsi, però,
alla posizione di Survival, ci sono
molti governi e multinazionali
chevedononell’imporrealletribù
di abbracciare la civilizzazione,
snaturando le loro tradizioni
tenacemente tramandate e
garantendo loro una posizione di
sfruttamento, l’unico mezzo per
combattere ulteriori spargimenti
di sangue . L’unico strumento
di valore legislativo che
protegge i diritti degli indigeni
è la Convenzione ILO 169, che si
impegna nel proteggere oltre ai
diritti fondamentali dell’uomo,
quelli sulle terre ancestrali. È
valida, al momento, per i 22
stati che l’hanno ratificata (tra
cui nessuno europeo). Potrebbe
sembrare una scelta dettata dalla
mancanza di tribù nel territorio
dell’ UE, ma moltissimi stati,
tra i quali l’Italia, finanziano
interventi che intaccano le aree
abitate dai nativi, soprattutto di
natura economica. È importante
ricordare che associazioni come
Survival esistono per denunciare
i soprusi e le violenze a cui gli
indigeni sono stati sottoposti
in passato e si impegnano per
far sì che i loro diritti vengano
riconosciuti e rispettati. Invadere
i loro spazi con prepotenza,
tentare un integrazione forzata
e poco costruttiva porterebbe alla
distruzione
di una
realtà che,
forse, non è
così lontana
dalla nostra
natura.
di Chiara Genco
NELLE TERRE SELVAGGE
INDIGENI E TRIBÙ NELL’ERA DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE
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Sogni
15
Nella conoscenza comune, so-
gnare ed essere svegli sono due
condizioni opposte, due stati non
compatibili fra loro. Antiche tra-
dizioni mistiche e recenti ricer-
che scientifiche ci dimostrano
tuttavia il contrario: l’uomo può
essere perfettamente sveglio
anche durante un sogno, un’e-
sperienza che si concretizza nel
sogno lucido. La lucidità onirica
consiste nella presa di coscien-
za di stare sognando, mentre si
è assopiti; qualora un individuo
realizzasse di trovarsi in un so-
gno potrebbe godere di ogni tipo
di libertà che nel presente non
è possibile avere, divertendosi
nel fare tutto ciò che desidera e
con una concezione della realtà
del sogno identica a quella dello
stato di veglia. I sogni coscienti
dimostrano infatti che il cervello
addormentato può, in determi-
nate circostanze, sostenere livelli
molto elevati di consapevolezza
riflessiva, e per questo funziona
in modo alquanto simile allo sta-
to di veglia.
Lo psicofisiologo americano, non-
ché pioniere nella ricerca scien-
tifica dei sogni lucidi Stephen
LaBerge, grazie ai numerosissimi
esperimenti svolti nel suo labora-
torio, ha dimostrato sperimen-
talmente l’esistenza dei sogni lu-
cidi. LaBerge e il ricercatore Alan
Worsley, dopo essersi sottoposti
a monitoraggi celebrali durante
un sogno lucido, hanno potuto
inviare un messaggio dal mon-
do onirico: durante uno dei sogni
lucidi hanno comunicato ocu-
larmente agli operatori di labo-
ratorio i numeri prestabiliti che
avrebbero poi segnalato con pre-
cisi movimenti degli occhi nella
la fase REM (Movimento Oculare
Rapido), la fase del sonno che più
interessa i sogni. Grazie a queste
importanti ricerche, LaBerge ha
potuto esplorare altri aspetti mai
conosciuti prima, come ad esem-
pio la durata dei sogni o la conce-
zione del tempo nel mondo oni-
rico, sviluppando persino metodi
di induzione dei sogni lucidi. Le
continue ricerche su questo feno-
meno sono incentivate dalle po-
tenziali capacità dei sogni lucidi
di essere uno strumento per una
maggiore autoconoscenza e per
accrescere la propria creatività,
ispirazione ed autostima. Perso-
ne con disabilità hanno l’oppor-
tunità nei sogni lucidi di godere
di piena salute fisica, correndo e
saltando, cosa che non gli è per-
messa nella realtà. Inoltre molti
artisti, letterati e ricercatori (tra
cui Albert Einstein) hanno testi-
moniato di aver ottenuto spunti
per le loro opere attraverso i so-
gni lucidi; altri invece hanno af-
fermato di aver superato i propri
problemi emotivi, come ad esem-
pio affrontare il pubblico duran-
te un’esibizione, grazie a queste
esperienze.
La speranza di LaBerge come di
altri psicologi e ricercatori è che
il sogno lucido, un’esperienza
spesso sminuita, sia sperimenta-
ta da ognuno di noi affinché di-
venti un effettivo strumento per
una migliore comprensione di
noi stessi, per il raggiungimento
di un’armonia interiore, per la
risoluzione dei problemi emoti-
vi e relazionali e naturalmente
per l’ottenimento di un piacere
impossibile da raggiungere nella
sovente “te-
diosa” real-
tà.
di Francesco Ferrulli
ONIRONAUTA: PADRONE DEI PROPRI SOGNI
GLI STUDI, LE CARATTERISTICHE E LA VERITÀ SUI SOGNI LUCIDI
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN16
Negli ultimi anni si è tornati a parlare di emigra-
zione Sud-Nord come processo in forte ripresa e dal
peso rilevante sullo sviluppo del Meridione, sia in
riferimento al gruppo degli insegnanti lì trasferiti,
sia a quello degli studenti universitari, con l’Istat
che ha quantificato come il numero di fuori sede
al Centro-Nord sia pari a circa un quarto del totale
degli universitari meridionali. Accanto all’aumen-
to del numero di emigranti c’è un altro dato impor-
tante che non ottiene la stessa attenzione dei pe-
riodici titoli di giornale: il progressivo calo dell’età
media di trasferimento, con il notevole incremento
di ragazzi trasferitisi subito dopo le scuole superio-
ri, senza alcuna fase intermedia negli atenei delle
proprie regioni.
I motivi per una scelta rilevante come quella di
emigrare non si limitano alla sola qualità dei cor-
si di studio, soprattutto per ragazzi meno che ven-
tenni, eppur questa viene trattata come l’unico ele-
mento determinante per la scelta post maturità; le
motivazioni si estendono anche alle considerazioni
sull’ambiente che circonda lo studio e lezioni, tanto
pre quanto post laurea. Vivere in centri dalla tradi-
zioni universitaria più antica e radicata di quella di
buona parte delle città meridionali, con poche se-
colari eccezioni come Napoli e Palermo, significa
spesso aver a che fare con attività, incontri e spazi
di grande fermento culturale e sociale, maggior-
mente intrecciati col sistema economico circostan-
te e spesso anche al centro di scambi internaziona-
li. Tutti elementi che compongono il quadro ideale
per un ventenne, in netta contrapposizione con gli
ambienti più ‘’piatti’’ o ‘’sterili’’ della propria città
(aprendo qui un altro rilevante tema, ossia quello
della partecipazione e accessibilità alla vita cultu-
rale dei centri del Meridione, che stenta a decollare
anche dove i semi sono già impiantati). Elementi
che non possono essere considerati assolutamente
secondari alla qualità dello studio, perché spesso al-
trettanto essenziali per la crescita personale. E piut-
tosto che rinunciare a tutto ciò, ‘’fuggi da Foggia!’’.
Non c’è crescita della vivibilità di alcuni centri del
Sud che tenga: le città delle due Italie sono ancora
separate da un netto abisso, che solo in alcuni setto-
ri si assottiglia e in altri s’allarga ancora, e che ma-
gari malinconicamente viene attraversato da quel
quarto di ragazzi del Sud. Da meno di un anno ho
rinforzato anche io la schiera dei fuori sede, spinto
dalla necessità di entrare in un ambiente più aper-
to e pronto al mio campo di specializzazione (quello
dell’economia della cultura). Il passaggio a Torino è
nato, in un certo senso, proprio dall’osservare Alta-
mura, il suo scenario culturale e l’urgenza di inter-
vento con conoscenze e capacità che in Puglia non
avrei potuto ritrovare con la stessa immediatezza e
semplicità. Si sa: si emigra anche per la necessità di
imparare, anche dal vivo, per arricchire le proprio
conoscenze.
Per quanto l’emigrazione universitaria porti con sé,
tra le altre cose, un rilevante deficit di risorse per le
famiglie e per le Regioni, potrebbe anche essere un
nodo cruciale per lo sviluppo: i ragazzi fuori sede,
in buona parte, vorrebbero poter essere ponti e cavi
sopra l’abisso col Nord, se fosse possibile utilizzare
tutto quanto appreso al proprio ritorno, all’interno
di un Sud più propenso alla crescita, all’innovazio-
ne culturale, sociale ed economica; se, insomma, il
divario col Settentrione fosse superato tanto nella
qualità degli atenei, quanto in quella dell’ambien-
te che circonda lo studio e la ricerca, attraverso la
maturità del capitale umano e sociale delle nostre
città. In questo modo anche l’emigrazione divente-
rebbe humus fertile per il Sud e l’Italia nel suo com-
plesso, cosicché i ragazzi non debbano più essere
costretti a partire per necessità, ma possano farlo
per pura scelta, magari per imparare l’arte e met-
terla da parte a casa.
di Michele Cornacchia
FUGA DAL SUD
IL PESO DELLE NUOVE EMIGRAZIONI
PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE
Periodico di cultura,
informazione e attualità,
supplemento de La Nuova Murgia.
Anno II, n. 6, Maggio 2017,
Registrato presso il tribunale di Bari
il 09/11/2000 n 1493
Edito dall’Associazione Culturale
La Nuova Murgia
Piazza Zanardelli 22 70022 Altamura (BA)
Tel. 3293394234
e-mail: sedicipaginemagazine@gmail.com
Co-direttori:
Antonio Molinari & Domenico Stea
Caporedattore:
Marco Lorusso
Caporedattore Matera:
Mario Paolicelli
Presidente de La Nuova Murgia:
Michele Cannito
Direttore Responsabile:
Giovanni Brunelli
Pubblicità:
Domenico Stea 344 1139614
Redazione Numero 6:
Silvia Miglionico
Nadia Lavecchia
Pasquale Moramarco
Domenico Cornacchia
Marco Nuzzi
Michele Pellegrino
Elena Altamura
Giuseppe Manicone
Francesco Ferrulli
Chiara Genco
Michele Cornacchia
Co-direttori Matera:
Antonio Loponte 331 4099293
Francesci Coretti 327 3125505
Un ringraziamento particolare a:
Donatella Lorusso
Francesca Sanrocco
Progetto grafico, impaginazione e fotografo:
Francesco Viscanti 392 8759874
Stampa: Grafica & Stampa
Questo numero è stato chiuso il 01/05/2017 alle
ore 21:00
www.sipremsrl.it
16 Pagine - Numero 6

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  • 3. PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 1 Avete presente la situazione in cui avete tanti sol- di e non sapete come spenderli? Io, ovviamente, no e mi auguro che per voi possa essere il contrario, sebbene non sia di ricchezza e povertà che si vuol discutere in questo editoriale. Semplicemente pen- so che un’iperbolica situazione di ricchezza possa rappresentare un ottimo metro di paragone rispet- to all’argomento che s’intende trattare in queste righe. Potremmo dire che a tutti indistintamente, chi con più e chi con meno sofismi, sia capitato di parlare di “Rivoluzione Digitale”. Ne parla chiun- que e se ne parla ovunque; nelle case, nelle strade, nelle scuole, consapevolmente, inconsapevolmente ed è proprio questo che affida all’avvento dei mezzi digitali (cellulari in particolare)un carattere rivo- luzionario: il fatto che si siano ormai cementificati tra i pilastri portanti delle nostre giornate e che ne abbiano sostanzialmente modificato i lineamenti. Per chiarirci, chiamando in causa Wikipedia, la Ri- voluzione Digitale è: “ l’ampia diffusione che hanno avuto i vari prodotti digitali e tutta quella serie di cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti in merito all’avvento della digitalizzazione di gran par- te degli accessi all’informazione.” In che modo, però, un cellulare o un qualsiasi prodotto digitale può aver modificato così radicalmente il contatto con la realtà? Ciò che tenterò adesso è un’analisi di un piccolis- simo aspetto sul tema della “Rivoluzione Digitale” con cui spero di non minimizzare un argomento che meriterebbe, e sicuramente gli sono già state dedicate, analisi molto più approfondite di questa. Il processo che è avvenuto prima con l’universaliz- zazione dei computer, poi con il dilagante utilizzo dei social networks e, infine, con la totale sintesi di tutto questo unicamente nel cellullare, non è stato nient’altro che una progressiva privazione di esi- genze. Mi spiego, in un cellulare è racchiuso tutto: enciclopedia, atlante, libro, giornale, agenda, calen- dario, meteorologo, bar, gioco ecc…. La convinzione, dunque, di poter accedere a qualsiasi cosa in qualsi- asi momento, dai rapporti personali all’etimologia di una parola, ha impigrito l’uomo allo stesso modo di come il possedere una barca di soldi ci impigri- rebbe nell’impegnarci a spenderli in maniera otti- male e soprattutto a lavorare per guadagnarne altri. Con un conto in banca a tanti zeri probabilmente faremmo lavorare altri al posto nostro esattamente come, al posto nostro, avendo un numero di como- dità a tanti zeri, facciamo lavorare i nostri cellulari. Un cellulare, dunque, cambia il contatto con la re- altà nel momento in cui modifica il rapporto con la necessità. Un esempio valido può essere rappresen- tato da quello che è diventato il nostro rapporto con l’informazione, la notizia o, più in generale, con la conoscenza. La cultura di trent’anni fa era indis- solubilmente legata a mezzi come i succitati libri, atlanti, enciclopedie o, ancora, vocabolari, dizionari dai quali il rapporto con la conoscenza non poteva prescindere. A trent’anni di distanza la cultura è diventata un bagaglio formato tascabile ed è stata compressa negli schermi luminosi al punto da cam- biare non solo le potenzialità della cultura e i modi d’accesso alla stessa, ma anche, per esempio, i re- quisiti dell’intelligenza. Quest’ultima, infatti, non si ferma più all’abilità di metabolizzare e padroneg- giare il proprio bagaglio culturale, ma si completa nel saper sfruttare tutte le potenzialità contenute nella cultura 2.0., rotante attorno un rapporto uo- mo-macchina che ha allargato gli orizzonti cono- scitivi di qualsiasi persona che possieda uno smar- tphone. Ora, la domanda è se le strutture socio-culturali fondamentali, prima fra tutte la scuola, si arricchi- scano o risentano di questo cambiamento contro ogni limite di velocità. Pur non avendone una uni- versale, la risposta è, senz’altro, custodita nel rap- porto tra chi trasmette e chi recepisce la cultura, ovvero tra insegnante e studente; un rapporto che può essere costruttivo quando le due diverse rela- zioni alla conoscenza si fondono in una vincente simbiosi, distruttivo quando a prevalere è l’incomu- nicabilità tra adulto e giovane, dovuta a concezioni di cultura, intelligenza, sapere, conoscenza, in po- che parole, a due approcci alla vita troppo diver- si. Non mi interessa che al termine di questa rifles- sioni traspaia la scuola di pensiero di cui mi sento parte, piuttosto, il mio augurio è che aumentino le occasioni per discutere di quelle che sono le infinite potenzialità dell’era in cui è impossibile separare il Virtuale dal Reale e che, oltre a contare tutti i sol- di in più nel portafoglio, ci si armi di quella parsimonia e di quella intelligenza in grado di prendere la ricchezza e farne una virtù. TUTTA UNA VITA IN TASCA EDITORIALE di Marco Lorusso
  • 4. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN Società 2 “Chi mi dice ‘’ ti amo’’/ ma togli il cane/escluso il cane/ tutti gli altri son cattivi/ pressoché poco disponibili”. Con queste parole Rino Gaetano esprimeva, nel 1977, il suo bisogno di affetto, amore e amicizia da parte delle persone che lo circondavano: desiderava un affetto vero, sincero, ma soprattutto infinito, senza facili soluzioni o aforismi perduti nel nulla. Quello che riceveva, però, era tutto il contrario: tutti lo ‘’amavano’’ ma nessuno gli concedevaancheunsologiornodi quella che Cesare Pavese definiva simpatia totale, da uomo a uomo. Ogni giorno è inerzia grigia: si va avanti tanto per inerzia, senza che nulla di speciale accada; si ammazza il tempo e gli ‘’amici’’, le distrazioni, la musica, i videogiochi e i filmetti della domenica pomeriggio ci aiutano a farlo. Stare a contatto con gli altri è diventato sempre più un passatempo; non ci si vede più per il piacere di farlo, ma solo per trascorrere il tempo in compagnia. Lo si fa solo perché si vede la solitudine come un peso insopportabile. Tutto è sempre uguale, tutto è sempre grigio, mai niente di nuovo, mai niente di utile. Ci si sveglia, si passa il tempo e si dorme. E poi si ricomincia. Ascoltando le parole di Gaetano mi sono chiesto se sia possibile affrontare questa inerzia grigia. La prima domanda che può venire in mente è quella del come affrontarla. Io credo, invece, che la questione importante sia con chi affrontarla. Nella canzone Rino cita come suo unico, vero compagno il cane. Questo perché, probabilmente, il cane mostra al suo padrone un affetto infinito, gratuito e che non cambia mai, a prescindere da tutto e da tutti: è bello avere un cane perché quando torni a casa dopo una giornata faticosa, di studio, di lavoro, di inerzia grigia, appunto, dietro la porta c’è lui ad aspettarti e a guardarti come se gli mancassi da sempre; che tu sia arrabbiato o triste, felice o nervoso,luic’èedèlìchetiaspetta. Forse è proprio per questo che amiamo gli animali. Ora, non sto attribuendo una superiorità alla razza canina, anzi, come canta Willie Peyote, “i cani sono meglio delle persone che dicono che i cani sono meglio delle persone” , sto solo riconoscendo nei cani, come ha fatto il cantautore ESCLUSO IL CANE, CHI MI AIUTA A COMBATTERE
  • 5. PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 3 calabrese, quel bene che tutti noi vorremmo ricevere dagli uomini. Mi sono chiesto: ricevo io un bene così grande da qualcuno che non sia il cane? Tu che stai leggendo queste parole, hai qualcuno che sia pronto, come scriveva Pavese nel diario che poi sarebbe diventato Il mestiere di vivere, a legarsi con te per tutta la vita e rinnovare cioè ad ogni giornata la dedizione ? Il bisogno che sentiva Gaetano è lo stesso che tutti noi sentiamo. E noi, alle persone a cui diciamo di voler bene, vogliamo questo tipo di bene? O siamo anche noi pressoché poco disponibili? Mi sento troppo spesso come Rino eallostessotempomirendoconto che probabilmente molte persone si sentono così a causa mia. Conosco qualcuno con cui non ammazzo il tempo? Qualcuno con cui do valore al tempo che passa? Forse sì, forse no. Bisogna saper riconoscere quel qualcuno o qualcosa che, come diceva Calvino, “in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durare, dargli spazio”. Cosa fare, allora? Qual è la soluzione alla monotonia? Nell’opera di Beckett erano VladimiredEstragonadaspettare speranzosi Godot. E se per una volta ci trovassimo dall’altra parte e fossimo noi dei Godot? Riusciremmo a riconoscere, tra tutti gli amici, quelli che davvero ci aspettano sempre e comunque? Forse non sarebbe così facile e si renderebbe necessaria una sorta di selezione tra tutta quella “gente assurda con le loro facili soluzioni” che invece di aiutarti a risolvere un problema ti suggerisce di non pensarci. E se invece di restare bloccati nel grigiore delle giornate scandite dalle facili soluzioni decidessimo di trascorrerle con qualcuno che sia in grado di vedere i colori? E se decidessimo di camminare accanto a qualcuno che sia pronto a scorgere “i gialli dei limoni” in mezzo al grigio, affinché “le loro canzoni, le trombe d’oro della solarità”(E.M.) ci scroscino in petto? di Giuseppe Manicone RE L’INERZIA GRIGIA?
  • 6. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN Psicologia 4 L’autismo è un disturbo del neuro- sviluppo caratterizzato da deficit della comunicazione e dell’intera- zione sociale, interessi e comporta- menti limitati e ripetitivi. In Italia ne soffre un bambino su 100, ne- gli Stati Uniti si parla addirittura di 1 su 68. Questi numeri tendo- no a peggiorare, eppure ci si osti- na a parlare di “patologia rara”. È Leo Kanner nel 1943 a parla- re di autismo per la prima vol- ta; Bruno Bettelheim, invece, fu il primo a cercarne le cause con la teoria delle “madri frigorifero” che attribuiva ai genitori un com- portamento freddo e distaccato nei confronti del bambino, che avrebbe poi causato problemi comportamentali. Con il passa- re del tempo le ipotesi relative a fattori familiari sono state su- perate in favore di studi riguar- danti origini organiche; si parla dunque di problemi ambientali, infiammazioni cerebrali, rea- zioni a vaccini, genetica, ma- lattie infettive. Purtroppo non è ancora possibile dare certezza alle tesi elencate. Un soggetto autistico tende ad isolarsi al punto da perdere il contatto con la realtà, vivendo in uno stato di estraniazione e solitudine. I comportamenti più comuni in un bambino autistico, infatti, rimandano a tentativi di proteggersi dal mondo e dalle persone: il rifiuto del contatto oculare, la mancanza di contat- to fisico, la tendenza a scappa- re; questo avviene perché sono soggetti “iper-sensoriali”, ovvero il loro cervello è fatto in modo da concepire contemporaneamente stimoli uditivi, olfattivi, visivi. Ogni autistico è diverso; non tutti parlano, alcuni hanno addirittu- ra un quoziente intellettivo supe- riore alla norma. Al giorno d’oggi ci sono nume- rosi interventi per il migliora- mento del soggetto autistico. Ad esempio, una dieta priva di caseina e glutine può attenua- re comportamenti aggressivi o iperattivi e può stimolare l’at- tenzione, infatti, alcune ricerche hanno constatato che il proble- ma dell’autismo è anche del cor- po e la maggior parte degli auti- stici soffre di allergie alimentari e di problemi intestinali. Esisto- no poi, numerosi tipi di terapie riabilitative, come l’Analisi Ap- plicata del Comportamento (ABA), o il metodo dell’Autogestione ver- bo-vocale (AUGEV). È importante ora rendere chiara una cosa: dall’autismo non si guarisce… ma, si impara a convi- verci. Inoltre, per capirne qualco- sa in più bisognerebbe incontra- re una persona autistica, perché nel lavoro con le persone non esistono manuali e modi di agire adatti a tutte le occasioni. Esisto- no “solo” la pratica, l’inventiva e la volontà. Occorre quindi sa- pere di questi drammi silenziosi, sfatare miti come quello dell’au- tistico “che non prova emozioni”. È importante sapere che quando un soggetto con diagnosi au- tistica diventa maggiorenne, la “Medicina” ha deciso che quella diagnosi non esisterà più: scom- parirà con un misterioso incante- simo e si trasformerà in un’inde- finita psicosi. Occorre stabilire un contatto con loro, per scoprire un mondo che non ci apparterrà mai del tutto, ma che ci farà sentire più che mai… completi! di Silvia Miglionico AUTISMO LA VITA NEL SILENZIO
  • 7. PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Musica 5 Nel cervello, i punti di contatto tra neuroni in grado di propaga- re gli impulsi nervosi, sono chia- mati sinapsi, che, dotate di pla- sticità sinaptica, sono soggette a continue modifiche ogni volta che vengono stimolate. Quando questo stimolo proviene dalla musica, gli effetti possono essere terapeutici o sviluppano alcune aree cerebrali. Nel tentativo di spiegare la “ma- gia” della musica, molti studi neuro-scientifici hanno dimo- strato che il cervello dei musicisti esperti è più sviluppato nelle aree coinvolte nell’apprendimento e nella memoria, caratterizzate ap- punto dall’azione delle sinapsi, rispetto ad un altro. Inoltre, un nuovo studio chiamato “Effetto Mozart” dimostra che ascoltare musica classica provoca un au- mento dei geni coinvolti nella neurotrasmissione sinaptica e nella secrezione di dopamina, importanti per la memoria e l’ap- prendimento. Questo è quello che avviene nel nostro cervello a livello funziona- le,malamusicapuòfareancheda “medicinale”? Ebbene sì! In Ame- rica negli anni del dopoguerra si utilizzava il suono per far star bene i soldati, tornati dalla guer- ra, che avevano subìto esperienze traumatiche sia fisicamente che psicologicamente. La musicote- rapia, quindi, è utilizzata per i pa- zienti prossimi a un processo di riabilitazione, per colmare l’ansia e per curare la depressione. Si di- vide in attiva e recettiva: attiva quando vengono utilizzati stru- menti per permettere al paziente di esprimere i propri sentimenti ed emozioni, recettiva quando il terapeuta educa l’ascolto del pa- ziente attraverso la guida di brani musicali. Quest’ultima permette, quindi, anche di esprimersi attra- verso gli strumenti. Il concetto di musicoterapia come disciplina scientifica, pur svilup- pandosi già nella prima metà del Settecento grazie al medico lon- dinese, Richard Brocklesby, at- tecchisce effetivamente soltanto dal 1959 in paesi come Vienna, Salisburgo e specialmente New York dove con il Music Therapy Center e il Creative Arts Riabilita- tion Center, la musicoterapia di- viene finalmente realtà. Tuttora è Rolando Benenson, docente uni- versitario a Buenos Aires, tra i te- rapeuti più importanti al mondo. Oggi in Italia i principali centri nei quali si applica si trovano a Milano, Assisi, Bologna e Catania. Esiste persino un corso accade- mico nei Conservatori di Verona e dell’Aquila che rilascia un di- ploma biennale di specializzazio- ne in musicoterapia. Ovviamen- te non bisogna pensare che la si possa sostituire totalmente a vere e proprie cure mediche, ma non si deve dimenticare che i malanni dell’anima spesso si riversano sul nostro organismo. Chi di noi non ha mai sofferto per un mal di sto- maco dovuto all’ansia? Platone, infatti, ci ricorda che il corpo non è disconnesso dalla persona, affermando nel “Timeo” che l’armonia della musica è del- la stessa natura dell’anima. La musicoterapia quindi è la prova scientifica di un contatto tra il nostro benessere fisico e quello psicologico. Siamo davvero pron- ti a pensare alla musica non solo come un piacevole interesse, ma anche come un possibile “alle- ato” della m e d i c i n a moderna? E, se sì, ri- usciremmo ad affidarci completa- mente ad essa? di Nadia Lavecchia MUSICOTERAPIAQUANDO LA MUSICA GUARISCE
  • 8. Scienza 6 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN Divinazione, visioni profetiche, stati di trance, parole sconnesse. Nell’antica Grecia i grandi uomini cercavano di comprendere meglio la loro vita recandosi a colloquio con le sibille. Donne toccate dalle divinità, erano in grado di ricevere i loro messaggi e di comunicarli agli uomini. O forse no.  È noto che dagli anni cinquanta in poilasacralitàdicertiritihainiziato a diventare qualcosa di troppo comune e di conseguenza difficile da accettare. In effetti nasce nel 1956 la parola “psichedelia”, trovata per la prima volta in una lettera indirizzata ad Aldous Huxley ed utilizzata per definire quelle sostanze che “liberano il pensiero dalle sovrastrutture delle convenzionisociali”. Larivoluzione psichedelica è cominciata grazie alle scoperte di un solo uomo: Albert Hoffman. Questo abile chimico è riuscito a sintetizzare un alcaloide denominato da lui LSD- 25 dalla segale, che quando viene attaccata da un fungo, l’ergot, muta diventando segale cornuta, poiché piena di escrescenze. Nella storia è stata portatrice della famosa “Febbre del pellegrino”, strana malattia che provocava dolori e stati febbrili ricchi di allucinazioni.   Il dietilammide dell’acido lisergico è il più potente allucinogeno mai studiatoedèquestochelohaportato alla gloria e alla rapida diffusione, oltre al fatto che per diversi anni la Sandoz (l’azienda farmaceutica nella quale lavorava Hoffman) ha prodotto un medicinale basato sull’LSD, il “Delysid”. Il suo utilizzo ha permesso di penetrare nei più remoti anfratti della mente di persone problematiche e di ridurre anni di terapie psicoanalitiche ad un unico pomeriggio. Poi, in seguito ad una larga diffusione il farmacovenneresoillegaleintutto il mondo. Ogni sperimentazione scientifica a riguardo, inoltre, venneimmediatamenteinterrotta. L’LSD diventerà per Hoffman il “Il mio bambino difficile”, titolo del libro pubblicato da Hoffman nel 1979. Ma quali sono le principali sostanze cosiddette psichedeliche?  Segue un prontuario a scopo puramente scientifico delle sostanze psichedeliche: di Michele Pellegrino LSDCOSA NON SAPPIAMO DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI
  • 9. 7PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE LSD Dosaggio: intorno ai 20 micro- grammi, non crea dipendenza in chi ne fa uso per il fatto che la tol- leranza cresce molto rapidamente: per ottenere gli stessi effetti, già la seconda volta che la si assume bi- sognerebbe raddoppiare la dose. Effetti: molto dipende dal “set” ossia la condizione psicologica della persona che lo assume al momento del trip, infatti provoca alterazioni della coscienza, perce- zioni esteriori ed interiori inten- sificate e alle volte sinestesia. La correlazione tra LSD e aumento di patologie psicologiche preesi- stenti non è provato, anche se per ridurre la sua diffusione si affer- mava il contrario. MESCALINA Descrizione: la sostanza è pre- sente in una famosissima pianta grassa messicana: il peyote. Esso è da sempre presente nella cultura del centro america, utilizzato da- gli sciamani per le sue proprietà psicoattive, ma i nativi americani lo hanno utilizzato anche come farmaco. Si è diffuso nella cultura psichedelica ed è stato reso illega- le negli anni 70. Piccola curiosità: in America un movimento religio- so la “Native American Church” e i suoi adepti hanno la facoltà legale di consumare il peyote. Dosaggio: la dose media si aggira tra i 300 e i 500 microgrammi e a parità di dosi è 4000 volte meno potente dell’ LSD e dunque è faci- le intuire il motivo per il quale sia stato sostituito da esso tra gli psi- conauti negli anni cinquanta. Non provoca astinenza, ma potrebbe instaurarsi una dipendenza psi- cologia (possibilità abbastanza rara data la forza e la peculia- rità delle esperienze indotte). Effetti: possono durare anche 24 ore e possono indurre allucinazio- ni sensoriali, percezioni alterate, visioni, senso di benessere, ma anche ansia panico e paura, stati d’animo che come nel caso dell’L- SD sono definiti dalla condizione di chi assume la sostanza. È sta- ta riscontrata in diversi casi una sensazione particolare, una sorta di frantumazione dell’io e la con- seguente illusione di trovarsi dap- pertutto. PSILOCINA Descrizione: sostanza alluci- nogena estraibile dai funghi della specie “Psilocybe”. L’alca- loide in questione è stato isola- to dallo stesso Albert Hoffman che voleva studiare le differen- ze con il suo bambino difficile. Dosaggio: la LD50 ossia la dose letale per almeno il 50% del cam- pione analizzato è di circa 280 microgrammi per chilogrammo e la peculiarità di questa sostanza è che ha un effettistica per ogni quantitativo di dose ingerita. Effetti: se ingerita in dosi basse provoca euforia, ilarità e brevi al- lucinazioni; se ingerita in dosi me- dio-alte è in grado di provocare sta- ti allucinatori molto potenti; dosi molto alte provocano esperienze mistiche e addirittura “near death experience” esperienze che allon- tanano completamente la coscien- za dello psiconauta dalla realtà. DMT Descrizione:la dimetiltriptam- mina è una sostanza presente in natura in molte varietà di piante e funghi e anche nel fluido cere- bro spinale degli esseri umani. Infatti secondo alcune ricerche la nostra ghiandola pineale produ- ce dosi blande di DMT intorno alle ore 3-4 del mattino, la cosiddetta fase REM, quella in cui sognamo. L’uso di piante contenenti DMT è una pratica antichissima diffu- sa soprattutto in Sud America. In Brasile alcune comunità religiose consumano un composto di di- verse piante chiamato Ayahuasca, diventato particolarmente cono- sciuto. Dosaggio: ci sono diverse moda- lità di assunzione. Si possono fu- mare i cristalli di DM tramite una pipetta, oppure mischiarli a del ta- bacco e in questi due casi la dose media per avere effetti è di circa 30-50 milligrammi. Può essere an- che ingerita, ad esempio bevendo l’ayahuasca e in questo caso il do- saggio sufficiente diminuisce di molto arrivando intorno agli 0.03 grammi. Effetti: provoca viaggi brevi ri- spetto alle precedenti sostanze, che durano 20-30 minuti e porta la mente in uno stato di trascen- denza totale, con allucinazioni vi- vide, intensificazione dei colori e nella seconda fase caratterizzata da uno stato di semi-incoscienza si possono avere percezioni di figure luminose,cangianti e in movimen- to. Non ha nessun rischio per la sa- lute e l’unica possibilità di morte è quella “per stupore”. 
  • 10. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN Storia 8 “Ha toccato”, dichiarava solenne e orgoglioso Tito Stagno, il croni- sta che in diretta narrò l’allunag- gio ad un popolo italiano oramai alla fine del boom economico. L’Italia era tutt’orecchi e guarda- va meravigliata la nazione a stel- le e strisce come una ragazzina appena adolescente guarda sua sorella maggiore già indipenden- te e emancipata. Quello di allora era un clima gelido, glaciale, a dispetto della data, quella del 20 luglio 1969. Dopotutto era Guerra Fredda e nient’altro ci si poteva aspettare che un duello serrato su tutti i fronti tra le due poten- ze uscite vincitrici dalla II Guerra Mondiale: USA e URSS. In realtà il termine “guerra”, nel suo significato più autentico e originale, appare piuttosto inade- guato a descrivere la situazione globale di quel periodo: si inau- gurava un nuovo tipo di scontro, combattutosìsulterritoriodisva- riati paesi (Corea, Vietnam, la cit- tà di Berlino), ma soprattutto sui tavoli e sulle cartine geografiche di Washington e di Mosca, dove in quel periodo si stabilivano i nuovi equilibri geopolitici mondiali. Lo stato delle cose era abbastanza complesso, anche se il duello che si venne a formare era del tutto paragonabile (con le dovute pro- porzioni) a una partita di ping- pong: scambi serrati e dispetti vicendevoli, come l’ormai famosa “corsa agli armamenti”, vero pro- cesso centrale del conflitto USA- URSS. Non si trattava di conqui- stare territori, né di ottenere un guadagno economico, tutt’altro, dato che ingente fu l’investimen- to in termini di denaro per il rag- giungimento del reale obiettivo, ossia quello di apparire come il più forte agli occhi del mondo intero. Una macchina propagan- distica sfrenata prese piede come non mai allora. Cominciarono a essere disegnate da vignettisti di tutto il mondo migliaia di vignet- te satiriche che personificavano i due paesi e ne esaltavano le pe- culiarità più bizzarri. Alla propa- ganda, però, dovevano seguire fatti tangibili. Compiere un’im- presa “spaziale” era l’unico vero modo in cui affermare la propria superiorità e avere tutti ai propri piedi. Già un’avveniristica (ma fallimentare) operazione condot- ta dall’URSS nel 1957, che aveva lanciato a bordo del razzo Sput- nik 2 la cagnetta Laika, era segno principale di un ostentato sensa- zionalismo da parte di ambo le fazioni. Gli Stati Uniti, però, ap- parivano essere maggiormente C’MOON : LUNA CHIAMA TERRA
  • 11. PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 9 attrezzati rispetto ai rivali, grazie al più avanzato sviluppo tecno- logico e alla politica governativa applicata da Nixon, rivelatasi poi anche troppo flessibile. E così in una shakespeariana notte di mezza estate, il modulo lunare Apollo 11 con a bordo i due astronauti americani Buzz Aldrin e Neil Armstrong, alle ore 21.18 italiane, toccò con i suoi fer- rosi e freddi piedi il suolo lunare. Un attimo che ha segnato l’intera storia del genere umano, che sin dalla sua nascita s’interrogava su quella misteriosa sfera bianca che, maestosa, campeggiava nel cielo. L’uomo era riuscito per la prima volta ad avvicinare a sé il sogno che aveva sempre avuto e che, a causa della sua apparente irraggiungibilità, aveva reso sog- getto di alcune delle sue migliori produzioni artistiche e delle sue aspirazioni di gloria. Il segno di- stintivo della notte, della malin- conia e della solitudine, improv- visamente, in un contesto storico molto particolare, era diventato stimolo e spinta propulsiva. Si era arrivati fuori dai confini del pianeta che ormai l’umanità go- vernava da padrona assoluta. Oramai la Terra le stava stretta e cominciava a cercare nuove sfide e nuove opportunità, dall’alto del suo sentimento di quasi onnipo- tenza frutto dell’esperienza bel- lica della II Guerra Mondiale, che le aveva lasciato sfiorare l’idea di essere la sola e unica padrona del proprio destino. Lasciare una propria traccia su ciò che appa- rentemente era inarrivabile, era sempre stata un’idea stuzzicante per l’uomo. Significava ottenere una autolegittimazione e una ve- rifica oggettiva delle proprie in- numerevoli possibilità. Per la pri- ma volta, quella sera, la questione di prospettive del film Dear John, non era più valida: la luna era più grande del pollice dei due astro- nauti ed era più vicina alla terra di quanto non fosse mai stata. Il contatto di quell’estate del 1969 fu riservato solamente ad Arm- strong ed Aldrin, ma chissà quan- te volte ciascun uomo ha sognato, come un bambino, di avvicinare per un atti- mo la luna e portarla a dormire con sé. di Pasquale Moramarco
  • 12. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN Astronomia 10 Era il 1960 quando venne condot- to il primo tentativo di ricerca di segnali radio provenienti da civil- tà extraterrestri, ad opera dell’a- strofisico Frank Drake, padre di una famosa equazione che porta il suo nome, la quale fornirebbe una stima del numero di pianeti della Via Lattea abitati da indi- vidui in grado di comunicare. Il tentativo, purtroppo, fallì insie- me a tutti gli altri sino ad oggi, ma ciò non ha mai scoraggiato gli scienziati, che, grazie al rapido sviluppo della radioastronomia, continuano a inviare messaggi nello spazio e attendono pazien- temente una risposta. Il progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), proposto da Drake e ancora oggi attivo, si occupa di inviare “SMS intergalattici”. I requisiti minimi affinché ci sia vita su un pianeta sono risapu- ti, ossia la presenza di acqua e le condizioni climatiche non estre- me; in altre parole, un pianeta non deve essere né troppo caldo né troppo freddo. Eppure, sulla Terra sono presenti esseri mi- croscopici di vario tipo, i batteri, che hanno delle caratteristiche eccezionali, tant’è che sopporta- no temperature fino a 110 gradi centigradi o vivono in ambienti ad altissima acidità; la NASA ha scoperto che alcuni, addirittura, si cibano di arsenico. La grande varietà di esseri sul nostro piane- ta porta a ipotizzare che possano esistere, su altri corpi celesti, cre- ature capaci di vivere in condizio- ni ancora più spinte e ben diverse da quelle appena citate. L’idea di un alieno avente le di- mensioni di un batterio potrebbe sicuramente deludere gli appas- sionati di ufologia, nella mente dei quali padroneggia l’alieno da cinema americano con occhi nerissimi ed enormi, fisico esile, bassa statura, testa gigante. I presunti casi registrati di cosid- detti “incontri ravvicinati del terzo tipo”, avvenuti fra umani e alieni, sono migliaia, a partire dal quel- lo del disco volante schiantatosi al suolo a Roswell (New Mexico) nel 1947, poi smentito dall’aero- nautica militare statunitense. Su eventi di questo tipo è nata una letteratura vastissima la quale, per certi aspetti, ha messo in ridi- colo il tema che, al contrario, è di grande rilevanza scientifica. Perché dunque è così importante cercare altre forme di vita oltre a quelle terrestri? Non è solo per una mera curiosità o per ambizio- ni coloniali alla “Avatar”. Scopri- re e studiare esseri non terrestri aiuterebbe la Scienza a compren- dere meglio gli intricati meccani- smi della genesi della vita e forse, anche dell’universo. La recente scoperta di sette nuovi piane- ti simili al nostro ha risvegliato l’attenzione di tutti sul tema, ma è meglio, è il caso di dirlo, torna- re coi piedi per terra: le distanze che ci separano da essi sono im- mense. Dovremmo costruire dei mezzi che viaggiano a velocità spaventose per sperare di arriva- re destinazione su uno di questi pianeti; forse, sarebbe più profi- cuo, come afferma l’astrofisica Margherita Hack nel suo libro “Il mio infinito”, “impiegare denaro e tecnologia per mantenere la Ter- ra in buona salute e i diplomatici d e l l ’ O N U per mante- nere la pace fra i popoli della Terra”. di Domenico Cornacchia C’È QUALCUNO LÀ FUORI? GLI STUDI, LE IDEE E LE POSSIBILITÀ SUGLI EXTRATERRESTRI
  • 13. PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Sociologia 11 Quanto tempo è necessario affin- ché un’emozione negativa e pas- seggera si trasformi in uno stato d’animo perdurante? E quanto ne occorre per addensare quello stesso stato d’animo in un’idea irrimediabilmente radicata nei meandri della mente? Ed infine, una convinzione così consolidata può tramutarsi in una scelta di vita consapevole? Se l’emozione iniziale, dove nasce il precedente percorso, è il risultato di un mix di tristezza, ansia per il futuro e paura del mondo circostante, condito da una malsana ricerca di attenzioni, la risposta all’ulti- ma domanda potrebbe essere af- fermativa. In Giappone è così che nasce un hikikomori. Il fenomeno degli hikikomori (hiku e komoru signifi- cano infatti rispettivamente tira- re e ritirarsi) nasce in Giappone a partire dagli anni ’80 e coinvolge soprattutto adolescenti e giova- ni adulti, i quali scelgono di rin- chiudersi in casa e abbandonare ogni tipo di contatto con il mon- do esterno.Da allora, circa un mi- lione di giovani ha scelto di far proprio questo particolarissimo “eremitaggio 2.0”, dove il culto e la simbiosi con la tecnologia e con altri elementi caratterizzanti del- la cultura nipponica, assurgono al rango di scappatoia da un mon- do troppo complicato, ossessivo e pressante.I primissimi hikikomo- ri erano considerati degli “inediti ribelli”, figli di una realtà, quella post-moderna, dove per manife- stare un’idea non è più necessario occupare le piazze per esprimere il dissenso ed il disagio sociale, ma è sufficiente rintanarsi dietro lo schermo di un computer, unica valvola di sfogo nel silenzio ovat- tato della propria stanza da letto. Con il totale isolamento in casa, gli hikikomori esprimono dun- que il rifiuto per l’ultra competi- tiva società giapponese, fondata esclusivamente sul successo per- sonale e sulla spiccata prevalenza del mondo lavorativo su quello personale-affettivo. È nata così una schiera di au- tomi silenziosi, in larga parte schiacciati dal peso di patologie e disturbi della personalità; indi- vidui dalla psiche irretita ed atro- fizzata dalla tecnologia, la quale costituisce al contempo causa di isolamento ma anche unica porta d’accesso al mondo esterno. Il fenomeno hikikomori tutta- via, oggi trascende dalla sua di- mensione patologica e numerosi giovani giapponesi accettano la propria condizione con serenità. Sembra essersi dunque trasfor- mato in una sorta di fenomeno narcisistico di massa, dove ra- gazzi nati e cresciuti in seno a famiglie benestanti, dotati di un intelletto sviluppato ma impigri- to e timoroso, si abbandonano alle tentazioni di una progressiva regressione socio-emotiva, celan- dosi in un involucro impenetra- bile. Ora che il fenomeno ha superato i confini giapponesi, diffonden- dosi, seppur con alcune significa- tive differenze, in Europa e per- sino in Italia, è inevitabile porsi un interrogativo. Se è infatti vero che qualsiasi scelta di vita, per essere rispettata e non conside- rata come patologia ha, come re- quisiti fondamentali, quelli della indipendenza e dell’autonomia, allora chi sceglie di essere un hikikomori, attendendo pazien- temente una ciotola di cibo fuori dalla porta della propria stanza da letto, dipendendo completa- mente dai propri genitori e be- andosi del proprio ozio inconclu- dente, deve essere accettato o ha invece bisogno di essere aiutato? di Marco Nuzzi IL RIFIUTO DELLA SOCIETÀ FENOMENO SOCIALE O PATOLOGIA? IL MONDO DEGLI HIKIKOMORI
  • 14. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN Arte 12 «Voglio sottoporre a torture il mio corpo, far soffrire il mio corpo, far morire il mio corpo, far resuscitare il mio corpo in modo da poter stac- care mediante questo processo di morte e rinascita il mio corpo dalla realtà per donarlo all’arte.» – Jan Fabre Quando si parla di contatto, il ri- ferimento alla fisicità in ogni sua manifestazione sembra inevi- tabile. Ancor più se si pensa alle correnti artistiche sorte negli anni sessanta che danno un cor- po unico ad anime da sempre te- nute a distanza: la pittura, la dan- za, la musica, il teatro. Vito Acconci indaga e mette in discussione la convenzionalità dei rapporti attraverso un esperi- mento che prevede l’inseguimen- to, l’avvicinamento - fin quasi al contatto fisico- di persone scelte a caso; Chris Burden si fa sparare da un amico di fronte ad un pub- blico “consenziente” per denun- ciare l’assuefazione alla violenza; Hermann Nitsch, legato a una pa- rete con una tunica bianca, si fa cospargere del sangue di anima- li macellati, così che il pubblico viva il sacrificio in maniera tota- lizzante e catartica e percepisca il dolore di Cristo e delle vittime dell’Olocausto; Marina Abra- mović, protagonista di una delle azioni più sconvolgenti della sto- ria dell’arte, invitando i presenti ad usare su di lei vari oggetti, si ritrova nel giro di qualche minu- to sfregiata, seminuda, con una pistola puntata alla testa: la di- mostrazione della facilità con cui l’uomo esercita violenza su un es- sere vulnerabile. Altro suo capo- lavoro è Imponderabilia: la donna e il suo compagno, appoggiati alle pareti di uno stretto varco l’uno di fronte all’altro, costringono chiunque voglia entrare nel mu- seo ad un contatto fisico con i loro corpi nudi. Spostandosi un po’ in avanti con gli anni, si arriva a Jan Fabre, CONTRO LE ARTI C JAN FABRE E LA RIVA
  • 15. PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 13 artista, regista e coreografo bel- ga ancora esistente. Il suo tea- tro-danza permette al corpo di diventare specchio dell’identità, della sessualità, del dolore e della morte. In rappresentazioni come Je suis sang o L’histoire des lar- mes, gli attori non fingono: ven- gono feriti, si eccitano, compiono azioni e ripetono date in manie- ra ossessiva, portando sulla sce- na una fisicità da secoli negata. «Spellerò la mia anima», dichia- ra apertamente l’artista: un’ani- ma che, come Artaud e il Teatro della crudeltà insegnano, non ha nulla di etereo, ma è incro- stata di elementi fisiologici come sangue, urina, sperma, feci, che compaiono sulla scena lasciando il pubblico inorridito ed estasiato. Due i fini di Jan Fabre: analizzare l’empatia attore-pubblico e le ri- percussioni che tale perfomance può avere sui neuroni specchio – ricerca, questa, supportata da un team di scienziati e sociologi- ed esorcizzare la morte attraverso l’ostentazione di un corpo mar- toriato, svuotato dei suoi umori e per questo sublimato, riempito di un senso e di una bellezza impos- sibili senza lotta. Abbattuta la barriera tra artista e spettatore, l’arte performativa ci sbatte in faccia un “quadro” che non può essere contemplato, tocca lo spirito dionisiaco che è in noi, stimola il contatto con biso- gni primari che le norme sociali ci spingono a reprimere. di Elena Altamura I CONTEMPLATIVE RIVALSA DI DIONISIO TRASPORTI INFIORESRL Strada Privata Albenga, 30 Nunzia 337 588408 - Michele 337 588646 P.iva 07723600727 trasportinfiore@gmail.com
  • 16. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN Mondo 14 Qualsiasi essere umano avverte un senso di appartenenza quando si misura con l’aspetto selvaggio di sé. Sono molte le vittime della globalizzazione che cercano un rifugio nella natura o rincorrono un isolamento volontario lontano dalla società. C’è chi difende a spada (o a freccia) tratta la scelta di una vita primordiale, pura, in simbiosi con i propri istinti. Attualmente, esistono più di 100 tribù diffuse nel mondo (in particolare in Ecuador, Messico e Perù) dette incontattate perché rifiutano qualsiasi contatto con il mondo civilizzato. Non è la necessità che li porta all’isolamento, ma il rifiuto, siccome reduci del colonialismo, diqualsiasiformadicivilizzazione etentativodicontattodapartedei civili. Sono popoli estremamente vulnerabili e privi di difese immunitarie, pertanto qualsiasi virus proveniente dall’esterno potrebbe sterminare intere tribù, arma utilizzata dai civili in passato. Attualmente la fame di energia del mondo provoca il disboscamento di aree protette in Amazzonia, con conseguente genocidio di tribù di incontattati: in Ecuador, di recente, son stati uccisi più di 20 indigeni per estrarre petrolio dal parco Yasuni, con conseguenze ambientali disastrose. Il confronto tra civili e indigeni non assume, pertanto, delle vesti pacifiche ed è quello che Survival, tenta di dimostrare dal 1969. Survival è l’unico movimento mondiale che si occupa dei diritti degli indigeni cercando di ostacolare con qualsiasi mezzo il contatto con i civili, ritenendo che esso porti vantaggio solo per questi ultimi e che l’unico modo per garantire la sopravvivenza degli isolati sia proteggendo le loro terre. Le loro aree di interesse sono varie: ad esempio, in Perù, da sempre abitato da varie tribù come gli Isconahua, i Matsigenka, i Matsés, o i Mashco-Piro, è in corso una politica di protezione della loro terra, delineando confini invalicabili. Ad opporsi, però, alla posizione di Survival, ci sono molti governi e multinazionali chevedononell’imporrealletribù di abbracciare la civilizzazione, snaturando le loro tradizioni tenacemente tramandate e garantendo loro una posizione di sfruttamento, l’unico mezzo per combattere ulteriori spargimenti di sangue . L’unico strumento di valore legislativo che protegge i diritti degli indigeni è la Convenzione ILO 169, che si impegna nel proteggere oltre ai diritti fondamentali dell’uomo, quelli sulle terre ancestrali. È valida, al momento, per i 22 stati che l’hanno ratificata (tra cui nessuno europeo). Potrebbe sembrare una scelta dettata dalla mancanza di tribù nel territorio dell’ UE, ma moltissimi stati, tra i quali l’Italia, finanziano interventi che intaccano le aree abitate dai nativi, soprattutto di natura economica. È importante ricordare che associazioni come Survival esistono per denunciare i soprusi e le violenze a cui gli indigeni sono stati sottoposti in passato e si impegnano per far sì che i loro diritti vengano riconosciuti e rispettati. Invadere i loro spazi con prepotenza, tentare un integrazione forzata e poco costruttiva porterebbe alla distruzione di una realtà che, forse, non è così lontana dalla nostra natura. di Chiara Genco NELLE TERRE SELVAGGE INDIGENI E TRIBÙ NELL’ERA DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE
  • 17. PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Sogni 15 Nella conoscenza comune, so- gnare ed essere svegli sono due condizioni opposte, due stati non compatibili fra loro. Antiche tra- dizioni mistiche e recenti ricer- che scientifiche ci dimostrano tuttavia il contrario: l’uomo può essere perfettamente sveglio anche durante un sogno, un’e- sperienza che si concretizza nel sogno lucido. La lucidità onirica consiste nella presa di coscien- za di stare sognando, mentre si è assopiti; qualora un individuo realizzasse di trovarsi in un so- gno potrebbe godere di ogni tipo di libertà che nel presente non è possibile avere, divertendosi nel fare tutto ciò che desidera e con una concezione della realtà del sogno identica a quella dello stato di veglia. I sogni coscienti dimostrano infatti che il cervello addormentato può, in determi- nate circostanze, sostenere livelli molto elevati di consapevolezza riflessiva, e per questo funziona in modo alquanto simile allo sta- to di veglia. Lo psicofisiologo americano, non- ché pioniere nella ricerca scien- tifica dei sogni lucidi Stephen LaBerge, grazie ai numerosissimi esperimenti svolti nel suo labora- torio, ha dimostrato sperimen- talmente l’esistenza dei sogni lu- cidi. LaBerge e il ricercatore Alan Worsley, dopo essersi sottoposti a monitoraggi celebrali durante un sogno lucido, hanno potuto inviare un messaggio dal mon- do onirico: durante uno dei sogni lucidi hanno comunicato ocu- larmente agli operatori di labo- ratorio i numeri prestabiliti che avrebbero poi segnalato con pre- cisi movimenti degli occhi nella la fase REM (Movimento Oculare Rapido), la fase del sonno che più interessa i sogni. Grazie a queste importanti ricerche, LaBerge ha potuto esplorare altri aspetti mai conosciuti prima, come ad esem- pio la durata dei sogni o la conce- zione del tempo nel mondo oni- rico, sviluppando persino metodi di induzione dei sogni lucidi. Le continue ricerche su questo feno- meno sono incentivate dalle po- tenziali capacità dei sogni lucidi di essere uno strumento per una maggiore autoconoscenza e per accrescere la propria creatività, ispirazione ed autostima. Perso- ne con disabilità hanno l’oppor- tunità nei sogni lucidi di godere di piena salute fisica, correndo e saltando, cosa che non gli è per- messa nella realtà. Inoltre molti artisti, letterati e ricercatori (tra cui Albert Einstein) hanno testi- moniato di aver ottenuto spunti per le loro opere attraverso i so- gni lucidi; altri invece hanno af- fermato di aver superato i propri problemi emotivi, come ad esem- pio affrontare il pubblico duran- te un’esibizione, grazie a queste esperienze. La speranza di LaBerge come di altri psicologi e ricercatori è che il sogno lucido, un’esperienza spesso sminuita, sia sperimenta- ta da ognuno di noi affinché di- venti un effettivo strumento per una migliore comprensione di noi stessi, per il raggiungimento di un’armonia interiore, per la risoluzione dei problemi emoti- vi e relazionali e naturalmente per l’ottenimento di un piacere impossibile da raggiungere nella sovente “te- diosa” real- tà. di Francesco Ferrulli ONIRONAUTA: PADRONE DEI PROPRI SOGNI GLI STUDI, LE CARATTERISTICHE E LA VERITÀ SUI SOGNI LUCIDI
  • 18. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGIN16 Negli ultimi anni si è tornati a parlare di emigra- zione Sud-Nord come processo in forte ripresa e dal peso rilevante sullo sviluppo del Meridione, sia in riferimento al gruppo degli insegnanti lì trasferiti, sia a quello degli studenti universitari, con l’Istat che ha quantificato come il numero di fuori sede al Centro-Nord sia pari a circa un quarto del totale degli universitari meridionali. Accanto all’aumen- to del numero di emigranti c’è un altro dato impor- tante che non ottiene la stessa attenzione dei pe- riodici titoli di giornale: il progressivo calo dell’età media di trasferimento, con il notevole incremento di ragazzi trasferitisi subito dopo le scuole superio- ri, senza alcuna fase intermedia negli atenei delle proprie regioni. I motivi per una scelta rilevante come quella di emigrare non si limitano alla sola qualità dei cor- si di studio, soprattutto per ragazzi meno che ven- tenni, eppur questa viene trattata come l’unico ele- mento determinante per la scelta post maturità; le motivazioni si estendono anche alle considerazioni sull’ambiente che circonda lo studio e lezioni, tanto pre quanto post laurea. Vivere in centri dalla tradi- zioni universitaria più antica e radicata di quella di buona parte delle città meridionali, con poche se- colari eccezioni come Napoli e Palermo, significa spesso aver a che fare con attività, incontri e spazi di grande fermento culturale e sociale, maggior- mente intrecciati col sistema economico circostan- te e spesso anche al centro di scambi internaziona- li. Tutti elementi che compongono il quadro ideale per un ventenne, in netta contrapposizione con gli ambienti più ‘’piatti’’ o ‘’sterili’’ della propria città (aprendo qui un altro rilevante tema, ossia quello della partecipazione e accessibilità alla vita cultu- rale dei centri del Meridione, che stenta a decollare anche dove i semi sono già impiantati). Elementi che non possono essere considerati assolutamente secondari alla qualità dello studio, perché spesso al- trettanto essenziali per la crescita personale. E piut- tosto che rinunciare a tutto ciò, ‘’fuggi da Foggia!’’. Non c’è crescita della vivibilità di alcuni centri del Sud che tenga: le città delle due Italie sono ancora separate da un netto abisso, che solo in alcuni setto- ri si assottiglia e in altri s’allarga ancora, e che ma- gari malinconicamente viene attraversato da quel quarto di ragazzi del Sud. Da meno di un anno ho rinforzato anche io la schiera dei fuori sede, spinto dalla necessità di entrare in un ambiente più aper- to e pronto al mio campo di specializzazione (quello dell’economia della cultura). Il passaggio a Torino è nato, in un certo senso, proprio dall’osservare Alta- mura, il suo scenario culturale e l’urgenza di inter- vento con conoscenze e capacità che in Puglia non avrei potuto ritrovare con la stessa immediatezza e semplicità. Si sa: si emigra anche per la necessità di imparare, anche dal vivo, per arricchire le proprio conoscenze. Per quanto l’emigrazione universitaria porti con sé, tra le altre cose, un rilevante deficit di risorse per le famiglie e per le Regioni, potrebbe anche essere un nodo cruciale per lo sviluppo: i ragazzi fuori sede, in buona parte, vorrebbero poter essere ponti e cavi sopra l’abisso col Nord, se fosse possibile utilizzare tutto quanto appreso al proprio ritorno, all’interno di un Sud più propenso alla crescita, all’innovazio- ne culturale, sociale ed economica; se, insomma, il divario col Settentrione fosse superato tanto nella qualità degli atenei, quanto in quella dell’ambien- te che circonda lo studio e la ricerca, attraverso la maturità del capitale umano e sociale delle nostre città. In questo modo anche l’emigrazione divente- rebbe humus fertile per il Sud e l’Italia nel suo com- plesso, cosicché i ragazzi non debbano più essere costretti a partire per necessità, ma possano farlo per pura scelta, magari per imparare l’arte e met- terla da parte a casa. di Michele Cornacchia FUGA DAL SUD IL PESO DELLE NUOVE EMIGRAZIONI
  • 19. PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Periodico di cultura, informazione e attualità, supplemento de La Nuova Murgia. Anno II, n. 6, Maggio 2017, Registrato presso il tribunale di Bari il 09/11/2000 n 1493 Edito dall’Associazione Culturale La Nuova Murgia Piazza Zanardelli 22 70022 Altamura (BA) Tel. 3293394234 e-mail: sedicipaginemagazine@gmail.com Co-direttori: Antonio Molinari & Domenico Stea Caporedattore: Marco Lorusso Caporedattore Matera: Mario Paolicelli Presidente de La Nuova Murgia: Michele Cannito Direttore Responsabile: Giovanni Brunelli Pubblicità: Domenico Stea 344 1139614 Redazione Numero 6: Silvia Miglionico Nadia Lavecchia Pasquale Moramarco Domenico Cornacchia Marco Nuzzi Michele Pellegrino Elena Altamura Giuseppe Manicone Francesco Ferrulli Chiara Genco Michele Cornacchia Co-direttori Matera: Antonio Loponte 331 4099293 Francesci Coretti 327 3125505 Un ringraziamento particolare a: Donatella Lorusso Francesca Sanrocco Progetto grafico, impaginazione e fotografo: Francesco Viscanti 392 8759874 Stampa: Grafica & Stampa Questo numero è stato chiuso il 01/05/2017 alle ore 21:00 www.sipremsrl.it