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L’EQUIVOCO DELLA BELLEZZA Congdon e il problema dell’icona A ciascuno Dio ha concesso Una certa misura di fede, cioè una convinzione di cose invisibili   Pavel Aleksandrovič  Florenskij
Introduzione ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],1.L’ Icona: incontro degli sguardi   « Per incontrare la bellezza a volto svelato, per attingere alla ricchezza della sua grazia,  occorre mediante una  trans-ascendenza, mediante un superamento del sensibile e dell’intelligibile oltrepassare le porte del Tempio con l’icona.  »   Pavel Evdokimov
« A dirla in breve, la pittura d’icone è una metafisica dell’essere – non una metafisica astratta ma concreta. Mentre la pittura a olio è più adatta a riprodurre la presenza sensibile del mondo, e l’incisione il suo schema razionalistico, la pittura d’icone sente ciò che raffigura come manifestazione sensibile dell’essenza metafisica » P. FLORENSKIJ Iconostasi  , Gerusalemme, Chiesa del Santo Sepolcro
L’oro, nell’interpretazione di Florenskij non è un colore; è cifra dell’altro, qualcosa di diverso dalla pura struttura metafisica delle cose: è il divino, è la luce della grazia divina che, nelle tracce dorate dei panneggi a lisca di pesce, penetra dentro il corpo santo raffigurato.   Icona della S. Famiglia « La luce [...] si dipinge con l’oro [...] mare di dorata beatitudine, lavata dai flutti della luce divina.  Nel suo grembo ‘viviamo, ci muoviamo ed esistiamo’, questo è lo spazio della realtà autentica ». P. Florenskij
Icona della Trinità , dipinta da Andrej Rublév agli inizi del secolo XV « Se esiste la trinità di Rublév, l’icona della trinità di Rublév, esiste pure Dio » (P. Florenskij ) L’icona permette di toccare il divino e infonde la luce nella vita umana e aiuta l’uomo a percepirsi come immagine di Dio. Il valore più grande dell’iconografia consiste nella possibilità di raccogliere insieme, di unire ciò che è eterno e temporale; incarnare l’incorruttibile in ciò che subisce morte e passa.  « non esiste altrove nulla di simile quanto a potenza e a bellezza artistica »  (Evdokimov)
2.L’equivoco della bellezza ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],Icona della crocefissione  - particolare
«  L’essere dell’uomo è l’immagine di  Dio, e poiché il peccato ha compenetrato tutto il “tempio” del creato, secondo l’Apostolo la persona non soltanto non è l’espressione esterna, ma anzi cela quest’essere. Come il peccato s’impadronisce della persona, il volto cessa d’essere la finestra da cui si effonde la luce di Dio. Viceversa la sublime ascesa spirituale accende nel volto uno sguardo luminoso, cancellando tutta la tenebra» P. FLORENSKIJ Se è vero che la bellezza salverà il mondo, allora questa bellezza non potrà essere altro che la manifestazione dell’Invisibile nelle cose visibili; sarà l’incontro fra l’esperienza estetica, etica e religiosa.  Questo incontro si esperisce nell’icona, in una lotta tra lo Sguardo di santità dei “vivi testimoni” dell’invisibile e la larva del male.  Questa lotta è contro ciò che è inautentico, che seduce e inganna, contro il “sensuale” che allontana dall’essere “a immagine di Dio”.
L’icona ci invita a vedere l’invisibile, «cercare attraverso il visibile, malgrado il visibile, il recupero di una dimensione invisibile»; e così ci costringe a un rimando alla salvezza, intesa in senso simbolico di una unità che conserva in sé il segno di una frattura che ci dischiude un mondo, un altro mondo, un aldilà.  Proprio nel verbo salvare è espresso il concetto di interezza e di integrità. Salvare, dunque, per restituire integrità alle parti che tendono a dissociarsi, per ricomporre la totalità.  Quest’idea di armonizzazione, di costituzione di un ordine ed equilibrio, appartiene proprio al concetto convenzionale di bellezza. Possiamo pensare a un’altra idea di bellezza che non abbia nella propria essenza l’armonia, la simmetria e l’ordine? È su questo che Florenskij ci interroga ancora, quando scrive la sua “prospettiva rovesciata”. Di qui :
Nelle varie stagioni dell’arte coesistono due modalità espressive differenti, una di natura imitativa della realtà e l’altra di natura simbolica, due modi di vedere e rappresentare ai quali corrispondono “due esperienze del mondo”, l’una “interiore”, l’altra “esteriore”.  La “prospettiva rovesciata” è un procedimento simbolico, sintetico, corrisponde ad una determinata concezione della vita e dell’umana esperienza del mondo.  Madre di Dio della Tenerezza  di Vladimir  Inizio del XII secolo L’icona ci chiede di cambiare il nostro sguardo sul mondo, di rinnegare la simmetria e il calcolo della visione prospettica, e di correre con gli occhi per “altre vie”, e miracolosamente riesce a non farci sentire a disagio.
3.William Congdon ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
L’arte di William Congdon (Providence 1912 - Gudo Gambaredo 1998) con la sua bellezza ci ferisce, ci provoca, ci fa “pensare molto”. Interprete della “prospettiva rovesciata” florenskiana, nei suoi dipinti, possiamo afferrare quella della frattura simbolica tipica dell’icona “tradizionale” , e sentirci sospinti attraverso la tavola e la densità materica dell’olio, a compiere quella che Pavel Evdokimov chiama “ trans-ascendenza”.  La vita del pittore americano, scomparso nel 1998, fu caratterizzata  da un singolare cammino di conversione, culminato con l’adesione  alla fede cattolica nel 1959.  Proveniente dall’esperienza artistica della Action Painting, approdò poi, nella sua permanenza italiana, al cosiddetto espressionismo astratto, focalizzando la sua riflessione artistica sul tema del Crocifisso.
Destroyed City   - William Congdon (1949)  «  ritornando dalla guerra alla ricchezza degli Stati Uniti non ho più potuto sopportare la vita né le cose della vita: dovevo cancellare ogni oggetto per creare la possibilità di una nuova vita  …  con un ferreo scarabocchio d’inchiostro su carta bagnata volevo cancellare l’eleganza vittoriana della mia origine  » William Congdon
Piazza San Marco   ,1957 « Il mio romanticismo esigeva sensazioni sempre più nuove e stravaganti. Come fossi assalito da un impeto cosmico per abbracciare tutta la terra in un’immagine monumentale.. Viaggiavo rapidamente e costantemente cercando nei simboli redentivi degli altri la salvezza … Ogni quadro, fatto con grande rapidità e intensità, era per me come un salvagente per l’uomo che affoga » William Congdon
Eiffel Tower 3 ,1955
Sahara 12  ,1955 «  il divino spunta dove vuole, e quindi anche nella natura e il deserto mi è sembrato così stupendo perché sono talmente consapevole delle barriere che l’uomo costruisce contro Dio.  Il piede nel colore è l’impronta nella sabbia è il viandante nel deserto. È il passo dell’intruso dell’uomo di città – nella casa del Nomade; della mente occidentale nella fede di un altro  » William Congdon
Guatemala 7  ( Dying Vulture) , 1957
Crocefisso 2 ,1960 «   Nella misura in cui Cristo aveva salvato la mia vita dal naufragio e adesso era la mia Verità, la Sua figura cominciava a prevalere su qualsiasi altra fonte di ispirazione.  L’incontro con Cristo mi fa scoprire che il suo dramma di croce è pure mio. » WILLIAM CONGDON
Crocefisso 1b   ,1960 «..E questo mi porta al Crocifisso tramite un ritorno alla figura, figura mai più da vedere o dipingere disgiunta dalla croce. Mi interessava non la figura in sé ma la figura come Croce, in ciò che la Croce fa del corpo di Cristo  ..  Il Crocefisso non è altro che la nostra carne sofferente/peccante...  E’ la mia carne Crocefissa! » William Congdon
Crocefisso 46   ,1969 « il nero è per me origine di luce; è la morte cristiana; non è superficie; non è solo supporto;  io vivo per il nero – perciò è sempre carico di luce » William Congdon
la figura non ha più articolazioni anatomiche, il tutto è una larva, quasi il bozzolo di quella nuova creatura che esploderà con la resurrezione. Anche il rapporto cromatico è ribaltato: corpo scuro, fondo luminoso.  Egli resta inchiodato a quel Crocifisso che vive e soffre il dramma della Croce ieri come oggi, a Bombay in India nei corpi accasciati nelle strade della città, fatti larve, non più uomini, come recita il Salmo 22 Crocifisso 90   (1974)  7 ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. 8 Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo   15 Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa  Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere.
Crocifisso 90  ,1974 «[il Crocifisso 90]  è tutto una piatta schiacciata colata di lava secca, ma calpestata come se il traffico del “peccato” l’avesse da eternità passato sopra, finché il corpo, ciò che era corpo, è diventato macchia. È la strada di Bombay, è il mondo che continuamente schiaccia il Cristo » William Congdon
Relitto 4 ,  1997 « Dipingo sempre quello che sono, non quel che vedo. Se ho dipinto la nave abbandonata vuol dire che c’è l’abbandono della nave in me.  Ma abbandono vuol dire l’estrema, l’ultima compagnia. Non c’è compagnia più bella, perché abbandono vuol dire abbandonare se stessi e tutto quello che c’è di comodo e di comfort. Io ho “abbandonato” dal primo giorno che ho preso i colori per dipingere, quello è stato l’inizio del mio abbandono e della mia compagnia. La compagnia che accompagna l’abbandono è Cristo, e la pittura è l’immagine dell’estrema compagnia » William Congdon
Tre Alberi  ( Venerdì Santo ) , 10 aprile 1998 Questo quadro è stato dipinto pochi giorni prima di morire,  dopo aver letto Proust: «Vidi gli alberi allontanarsi agitando disperatamente le braccia... E quando la carrozza svoltò...e cessai di vederli[...] ero triste come se avessi perduto un amico, come se fossi morto io stesso, avessi rinnegato un morto e disconosciuto un dio»
Conclusione ,[object Object],[object Object],.. Si vorrebbe essere  un balsamo per molte ferite ETTY HILLESUM
“ Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”   , si vorrebbe fermare quel sangue, ma Il nostro essere “balsamo” non può trovare realizzazione in un’arte che è costitutivamente simbolica, e che deve avere necessariamente in sé questa frattura, in modo da lasciare entrare l’invisibile, e non rendere la rappresentazione ad esso impermeabile. La ferita nella bellezza rivela qui il suo aspetto positivo: nella sua costante richiesta di nuovi sguardi, di nuove interpretazioni, stimola la nostra immaginazione e ci dà la possibilità, citando Kant, di “pensare molto”, facendo leva sull’immaginazione e rendendo qualitativamente più vasta la nostra conoscenza. Questo pensare molto, nel nostro caso, non può essere altro che il pensare la trascendenza divina.

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Lequivoco Della Bellezza Congdon E Il Problema Dellicona

  • 1. L’EQUIVOCO DELLA BELLEZZA Congdon e il problema dell’icona A ciascuno Dio ha concesso Una certa misura di fede, cioè una convinzione di cose invisibili   Pavel Aleksandrovič Florenskij
  • 2.
  • 3.
  • 4. « A dirla in breve, la pittura d’icone è una metafisica dell’essere – non una metafisica astratta ma concreta. Mentre la pittura a olio è più adatta a riprodurre la presenza sensibile del mondo, e l’incisione il suo schema razionalistico, la pittura d’icone sente ciò che raffigura come manifestazione sensibile dell’essenza metafisica » P. FLORENSKIJ Iconostasi , Gerusalemme, Chiesa del Santo Sepolcro
  • 5. L’oro, nell’interpretazione di Florenskij non è un colore; è cifra dell’altro, qualcosa di diverso dalla pura struttura metafisica delle cose: è il divino, è la luce della grazia divina che, nelle tracce dorate dei panneggi a lisca di pesce, penetra dentro il corpo santo raffigurato.   Icona della S. Famiglia « La luce [...] si dipinge con l’oro [...] mare di dorata beatitudine, lavata dai flutti della luce divina. Nel suo grembo ‘viviamo, ci muoviamo ed esistiamo’, questo è lo spazio della realtà autentica ». P. Florenskij
  • 6. Icona della Trinità , dipinta da Andrej Rublév agli inizi del secolo XV « Se esiste la trinità di Rublév, l’icona della trinità di Rublév, esiste pure Dio » (P. Florenskij ) L’icona permette di toccare il divino e infonde la luce nella vita umana e aiuta l’uomo a percepirsi come immagine di Dio. Il valore più grande dell’iconografia consiste nella possibilità di raccogliere insieme, di unire ciò che è eterno e temporale; incarnare l’incorruttibile in ciò che subisce morte e passa. « non esiste altrove nulla di simile quanto a potenza e a bellezza artistica » (Evdokimov)
  • 7.
  • 8. « L’essere dell’uomo è l’immagine di Dio, e poiché il peccato ha compenetrato tutto il “tempio” del creato, secondo l’Apostolo la persona non soltanto non è l’espressione esterna, ma anzi cela quest’essere. Come il peccato s’impadronisce della persona, il volto cessa d’essere la finestra da cui si effonde la luce di Dio. Viceversa la sublime ascesa spirituale accende nel volto uno sguardo luminoso, cancellando tutta la tenebra» P. FLORENSKIJ Se è vero che la bellezza salverà il mondo, allora questa bellezza non potrà essere altro che la manifestazione dell’Invisibile nelle cose visibili; sarà l’incontro fra l’esperienza estetica, etica e religiosa. Questo incontro si esperisce nell’icona, in una lotta tra lo Sguardo di santità dei “vivi testimoni” dell’invisibile e la larva del male. Questa lotta è contro ciò che è inautentico, che seduce e inganna, contro il “sensuale” che allontana dall’essere “a immagine di Dio”.
  • 9. L’icona ci invita a vedere l’invisibile, «cercare attraverso il visibile, malgrado il visibile, il recupero di una dimensione invisibile»; e così ci costringe a un rimando alla salvezza, intesa in senso simbolico di una unità che conserva in sé il segno di una frattura che ci dischiude un mondo, un altro mondo, un aldilà. Proprio nel verbo salvare è espresso il concetto di interezza e di integrità. Salvare, dunque, per restituire integrità alle parti che tendono a dissociarsi, per ricomporre la totalità. Quest’idea di armonizzazione, di costituzione di un ordine ed equilibrio, appartiene proprio al concetto convenzionale di bellezza. Possiamo pensare a un’altra idea di bellezza che non abbia nella propria essenza l’armonia, la simmetria e l’ordine? È su questo che Florenskij ci interroga ancora, quando scrive la sua “prospettiva rovesciata”. Di qui :
  • 10. Nelle varie stagioni dell’arte coesistono due modalità espressive differenti, una di natura imitativa della realtà e l’altra di natura simbolica, due modi di vedere e rappresentare ai quali corrispondono “due esperienze del mondo”, l’una “interiore”, l’altra “esteriore”. La “prospettiva rovesciata” è un procedimento simbolico, sintetico, corrisponde ad una determinata concezione della vita e dell’umana esperienza del mondo. Madre di Dio della Tenerezza di Vladimir Inizio del XII secolo L’icona ci chiede di cambiare il nostro sguardo sul mondo, di rinnegare la simmetria e il calcolo della visione prospettica, e di correre con gli occhi per “altre vie”, e miracolosamente riesce a non farci sentire a disagio.
  • 11.
  • 12. L’arte di William Congdon (Providence 1912 - Gudo Gambaredo 1998) con la sua bellezza ci ferisce, ci provoca, ci fa “pensare molto”. Interprete della “prospettiva rovesciata” florenskiana, nei suoi dipinti, possiamo afferrare quella della frattura simbolica tipica dell’icona “tradizionale” , e sentirci sospinti attraverso la tavola e la densità materica dell’olio, a compiere quella che Pavel Evdokimov chiama “ trans-ascendenza”. La vita del pittore americano, scomparso nel 1998, fu caratterizzata da un singolare cammino di conversione, culminato con l’adesione alla fede cattolica nel 1959. Proveniente dall’esperienza artistica della Action Painting, approdò poi, nella sua permanenza italiana, al cosiddetto espressionismo astratto, focalizzando la sua riflessione artistica sul tema del Crocifisso.
  • 13. Destroyed City - William Congdon (1949) « ritornando dalla guerra alla ricchezza degli Stati Uniti non ho più potuto sopportare la vita né le cose della vita: dovevo cancellare ogni oggetto per creare la possibilità di una nuova vita … con un ferreo scarabocchio d’inchiostro su carta bagnata volevo cancellare l’eleganza vittoriana della mia origine » William Congdon
  • 14. Piazza San Marco ,1957 « Il mio romanticismo esigeva sensazioni sempre più nuove e stravaganti. Come fossi assalito da un impeto cosmico per abbracciare tutta la terra in un’immagine monumentale.. Viaggiavo rapidamente e costantemente cercando nei simboli redentivi degli altri la salvezza … Ogni quadro, fatto con grande rapidità e intensità, era per me come un salvagente per l’uomo che affoga » William Congdon
  • 15. Eiffel Tower 3 ,1955
  • 16. Sahara 12 ,1955 « il divino spunta dove vuole, e quindi anche nella natura e il deserto mi è sembrato così stupendo perché sono talmente consapevole delle barriere che l’uomo costruisce contro Dio. Il piede nel colore è l’impronta nella sabbia è il viandante nel deserto. È il passo dell’intruso dell’uomo di città – nella casa del Nomade; della mente occidentale nella fede di un altro » William Congdon
  • 17. Guatemala 7 ( Dying Vulture) , 1957
  • 18. Crocefisso 2 ,1960 « Nella misura in cui Cristo aveva salvato la mia vita dal naufragio e adesso era la mia Verità, la Sua figura cominciava a prevalere su qualsiasi altra fonte di ispirazione. L’incontro con Cristo mi fa scoprire che il suo dramma di croce è pure mio. » WILLIAM CONGDON
  • 19. Crocefisso 1b ,1960 «..E questo mi porta al Crocifisso tramite un ritorno alla figura, figura mai più da vedere o dipingere disgiunta dalla croce. Mi interessava non la figura in sé ma la figura come Croce, in ciò che la Croce fa del corpo di Cristo .. Il Crocefisso non è altro che la nostra carne sofferente/peccante... E’ la mia carne Crocefissa! » William Congdon
  • 20. Crocefisso 46 ,1969 « il nero è per me origine di luce; è la morte cristiana; non è superficie; non è solo supporto; io vivo per il nero – perciò è sempre carico di luce » William Congdon
  • 21. la figura non ha più articolazioni anatomiche, il tutto è una larva, quasi il bozzolo di quella nuova creatura che esploderà con la resurrezione. Anche il rapporto cromatico è ribaltato: corpo scuro, fondo luminoso. Egli resta inchiodato a quel Crocifisso che vive e soffre il dramma della Croce ieri come oggi, a Bombay in India nei corpi accasciati nelle strade della città, fatti larve, non più uomini, come recita il Salmo 22 Crocifisso 90 (1974) 7 ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. 8 Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo   15 Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere.
  • 22. Crocifisso 90 ,1974 «[il Crocifisso 90] è tutto una piatta schiacciata colata di lava secca, ma calpestata come se il traffico del “peccato” l’avesse da eternità passato sopra, finché il corpo, ciò che era corpo, è diventato macchia. È la strada di Bombay, è il mondo che continuamente schiaccia il Cristo » William Congdon
  • 23. Relitto 4 , 1997 « Dipingo sempre quello che sono, non quel che vedo. Se ho dipinto la nave abbandonata vuol dire che c’è l’abbandono della nave in me. Ma abbandono vuol dire l’estrema, l’ultima compagnia. Non c’è compagnia più bella, perché abbandono vuol dire abbandonare se stessi e tutto quello che c’è di comodo e di comfort. Io ho “abbandonato” dal primo giorno che ho preso i colori per dipingere, quello è stato l’inizio del mio abbandono e della mia compagnia. La compagnia che accompagna l’abbandono è Cristo, e la pittura è l’immagine dell’estrema compagnia » William Congdon
  • 24. Tre Alberi ( Venerdì Santo ) , 10 aprile 1998 Questo quadro è stato dipinto pochi giorni prima di morire, dopo aver letto Proust: «Vidi gli alberi allontanarsi agitando disperatamente le braccia... E quando la carrozza svoltò...e cessai di vederli[...] ero triste come se avessi perduto un amico, come se fossi morto io stesso, avessi rinnegato un morto e disconosciuto un dio»
  • 25.
  • 26. “ Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite” , si vorrebbe fermare quel sangue, ma Il nostro essere “balsamo” non può trovare realizzazione in un’arte che è costitutivamente simbolica, e che deve avere necessariamente in sé questa frattura, in modo da lasciare entrare l’invisibile, e non rendere la rappresentazione ad esso impermeabile. La ferita nella bellezza rivela qui il suo aspetto positivo: nella sua costante richiesta di nuovi sguardi, di nuove interpretazioni, stimola la nostra immaginazione e ci dà la possibilità, citando Kant, di “pensare molto”, facendo leva sull’immaginazione e rendendo qualitativamente più vasta la nostra conoscenza. Questo pensare molto, nel nostro caso, non può essere altro che il pensare la trascendenza divina.