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D I R A F F A E L E B A R O N E
C O R S O D I F O R M A Z I O N E E C M
P I A Z Z A A R M E R I N A
C T A S . A N T O N I O
2 8 / 1 0 / 2 0 1 5
S I T O : R A F F A E L E B A R O N E W O R D P R E S S . C O M
Il gruppo di psicoanalisi
multifamiliare
Storia
 E’ stato inventato da Jorge Garcia Badaracco in
Argentina il quale iniziò a convocare i familiari alle
riunioni che teneva tutti giorni con i pazienti al fine
di discutere tutti i problemi che, prevedibilmente, si
sarebbero potuto ripresentare, di lì a poco, una volta
che il paziente migliorato, durante il ricovero,
sarebbe rientrato in famiglia
conversazione
 Secondo le idee di Badaracco il gruppo è composto
dagli operatori, dai pazienti, dai loro genitori e altri
loro familiari. Si tratta di instaurare una situazione
in cui pazienti e genitori appartenenti a più nuclei
familiari e operatori possano partecipare a pieno
titolo ad una “conversazione” in cui ognuno può
esprimere quello che pensa e può sentire di poter
contare su qualcuno che aiuta a ritrovare sé stessi
Psicosi e gruppo multifamiliare
 Al suo interno è possibile prendere in considerazione
“ la psicosi” vedendo in azione non tanto i
meccanismi inconsci che l’hanno generato nel
tempo, quanto le interazione che, ripetendosi
all’infinito, la mantengono in vita anche in quel
momento: le interazioni patologiche e patogene
reciproche tra genitori e figli. Sono situazioni nelle
quali i figli, considerati in genere solo malati, ma
anche i genitori, visti soltanto come sani, sono
“abitati dalla presenza degli altri” che non li lasciano
essere sé stessi.
Imparare nuovamente ad ascoltare
 Il gruppo di psicoanalisi multifamiliare è un gruppo
aperto. I suoi componenti appartengono a
generazioni diverse e differenti nuclei familiari: fin
dalla prima volta che si partecipa si può intervenire
e, soprattutto, si può ascoltare. Badaracco sostiene
che la cosa più importante che avviene è che chi vi
partecipa può imparare nuovamente ad ascoltare
“narcisismo patologico”.
 Esso consiste nella tendenza a parlare ed ascoltare solo sé
stessi, presente nei genitori e nei figli, che non riescono a
vedere l’altro come “altro da sé” e che tendono, perciò, a
desiderare per tutta la vita che figli e genitori siano come loro
ritengono che debbono essere. Il rispetto per ognuno dei
partecipanti si ottiene pretendendo che ognuno che prende la
parola sia ascoltato dagli altri e che, quindi, si parli uno per
volta, aspettando che l’altro finisca, senza sovrapporre la
propria voce a quella degli altri. In questo modo si riattiva la
possibilità/capacità di ascoltare l’altro, che era andata perduta
in relazione all’instaurarsi della situazione simbiotica,
caratterizzata dalla convinzione di sapere meglio dell’altro
cosa l’altro sta per dire e, quindi, dalla tendenza a precederlo
o, comunque, a non ascoltarlo.
“rispecchiare metaforicamente”
 I componenti di un nucleo familiare patologico non
hanno occasione, nel corso della loro vita, di tirarsi
fuori dalla loro situazione e di mettersi ad osservare
“dall’esterno”, quello che accade loro. Nel gruppo
multifamiliare essi si possono “rispecchiare
metaforicamente” e praticamente nel modo di
funzionare di uno, o più, di uno, dei nuclei familiari
che si trovano di fronte e iniziare a riflettere su come
imparare a non ripetere acriticamente all’infinito “gli
stessi errori”.
i transfert multipli
I transfert psicotici possono essere diluiti, spezzettati
e ricomposti in un pensiero unico, a cui le menti di
tutti i partecipanti, sia di quelli che parlano che di
quelli che ascoltano possono dare un contributo
originale e significativo. Quando due persone sono
troppo vicine, come nelle situazioni simbiotiche,
diventa difficile pensare.
“la funzione di terzo”.
 Per tornare a pensare evolutivamente è necessario
introdurre la funzione di “terzo”. Gli operatori
possono svolgere la funzione di terzo con più facilità
che di altri contesti di cura della psicosi, ma è
soprattutto il gruppo nel suo complesso che con il
tempo impara a svolgere “la funzione di terzo”.
identificazione proiettiva
 Il gruppo multifamiliare come altri tipi di gruppi
induce le persone che vi partecipano a recuperare il
senso di sé rispetto agli altri che, con il tempo, li
spinge a ritrovare un senso di se rispetto a sé stessi.
Questo recupero sembra sia legato, da un lato alla
attenuazione delle tendenze ad espellere parti
indesiderati di sé nell’altro (cioè nel ricorso al
meccanismo difensivo della identificazione
proiettiva), dall’altro dalla tendenza a reintegrare
“le forze coesive dell’io” che, da tempo, avevano
dimenticato di possedere e di utilizzare.
La virtualità sana
 Focalizzando l’attenzione sulla necessità di
riacquisire parti di sé depositate nell’altro e di
evitare che l’altro deponga nuovamente parti di lui
in noi, cioè ricostituendo i confini ed evitando lo
sviluppo indiscriminato ed eccesivo del fenomeno
di “los otros in nosotros”, si giunge ad intravedere
di nuovo, o per la prima volta, la”virtualità sana”
presente nelle persone.
La virtualità sana non corrisponde
soltanto allo sviluppo di parti sane
 L’uso massiccio dell’identificazione proiettiva, che
conduce all’instaurazione di una comunicazione
basata esclusivamente sullo scambio di “messaggi
di relazione” e non “di contenuto”, inibisce la
differenziazione e lo sviluppo individuale e
favorisce le identificazioni reciproche
indifferenziate che danno luogo alle
interdipendenze patologiche e patogene.
 Lo sviluppo di un itinerario inverso permette il
recupero di una virtualità sana che non si sapeva,
spesso, nemmeno di possedere.
In un nuovo contesto si vedono e si
pensano cose nuove
 Lavorando nel gruppo di psicoanalisi multifamiliare
gli operatori sperimentano un situazione che
permette loro di porre al primo punto della loro
attenzione la scoperta della virtualità sana,
attualmente esistente, del paziente e dei genitori.
 La virtualità sana di entrambi, che quasi nessuno è in
grado di far emergere nella realtà e, quindi, di far
riconoscere agli altri come esistente.
L’inizio della malattia costituisce un
blocco del processo di sviluppo
 Il paziente, ammalandosi psichicamente, torna ad
essere piccolo e, quindi, meno responsabile della
propria vita e, implicitamente, sollecita il
mantenimento di un assetto costante della
relazione con il/i genitore/i.
 Il genitore torna a svolgere la funzione di
contenitore nei confronti del figlio, ma in una
forma stabile, non evolutiva, che non risente dei
continui aggiustamenti che lo svolgimento di
questa funzione richiede ad un genitore, in
relazione alla crescita del figlio.
Interdipendenza patologica e
patogena
 Così si costituisce una simbiosi patologica o quella
che Jorge Garcia Badaracco definisce una
interdipendenza patologica e patogena: genitore e
figlio rimangono bloccati nel loro processo di
crescita.
 I livelli generazionali diversi si confondono: nella
simbiosi non c’è più un padre o una madre e un figlio
o un figlia, ci sono due persone che formano un
tutt’uno e che sono in continua lotta per imporre il
proprio predominio l’uno sull’altro.
Processo terapeutico
 Consiste nel mettere in luce l’esistenza delle
interdipendenze patologiche e patogene e nel cercare di
indurre entrambi i soggetti a rendersi conto che la
situazione apparentemente senza via d’uscita nella quale
si trovano è legata a episodi traumatici avvenuti in
passato, che hanno dato origine alla costituzione di
legami simbiotici paziente-genitore i quali hanno influito
negativamente sui processi di identificazione. Queste
identificazioni vanni messi in discussione, cercando di
avviare processi di disidentificazione dell’uno e dell’altro.
Cercando di abbandonare aspetti propri del “falso Sè” del
paziente per accedere al riconoscimento di parti del “vero
Sè” finora del tutto sconosciuti.
Non si può riconoscere l’esistenza di
due livelli generazionali diversi
 Non si passa da una situazione a due ad una
situazione a tre, tutto rimane preedipico: non si
può sperimentare l’esclusione con amore che
garantisce la sopravvivenza del sé in forma
autonoma, cioè il complesso edipico.
 Ne risulta danneggiato lo sviluppo del
funzionamento corretto della mente che dovrebbe
imparare a riconoscere che come ci sono livelli
generazionali differenti, così ci sono livelli logici di
funzionamento gerarchicamente organizzati: per
es. dal concreto all’astratto e viceversa.
L’impossibilità di metacomunicare in
una situazione psicotica
 Prova di ciò è l’impossibilità di percepire che ci
possono essere due livelli di comunicazione
differenti, per cui quello che viene detto ad un
livello di comunicazione può essere negato ad un
altro, come nella situazione di doppio legame, della
quale il paziente psicotico e il genitore si vengono a
trovare prigionieri.
 Tanto è che ognuno di loro ama e odia la persona
che lo tiene avvinto e gli dà la sensazione di
esistere: se la perdesse, sentirebbe di poter andare
in frantumi.
Il processo di disidentificazione
 Il processo di disidentificazione riguarda tutte e due
o tre le persone ingabbiate nelle identificazioni
patologiche e patogene su cui si sono costituite le
interdipendenze patologiche e patogene.
 E’ un processo pieno di incognite e di inevitabili
ricadute, tendenti a confinare nuovamente le
persone nel precedente modo invalidante di vivere la
realtà, in un sincizio deidentificato.
Il dramma della disidentificazione
 E’ un processo drammatico perché si tratta di
abbandonare una situazione nella quale ognuna
delle due o tre persone che ne fanno parte non
hanno la percezione di sé come individui separati
ed autonomi, ma sono parte di una coppia o di un
terzetto, in cui ognuno sente di doversi
preoccupare delle esigenze dell’altro, oltre che delle
proprie e in cui ogni decisione e, quindi, nessuna
andrebbe presa tenendo presente l’opinione
dell’altro, purché sia simile alla propria.
“mente ampliada”
 Secondo Jorge Garcia Badaracco, con il passare dei
minuti, le menti dei componenti di un gruppo di
Psicoanalisi Multifamiliare iniziano a funzionare
come le parti di un’unica grande mente, la “mente
ampliada”, che si caratterizza, sostanzialmente, per
un aspetto: pareri diversi, espressi da persone
differenti, possono coesistere all’interno di un
ragionamento comune, a cui ognuno dei presenti
fornisce il proprio contributo per capire meglio
come stanno le cose e non per prevalere l’uno
sull’altro.
Conseguenze di ciò per pazienti e
genitori
 Pazienti e genitori possono finalmente partecipare
congiuntamente ad una discussione in cui ognuno
sente che non è tanto importante “pretendere di
avere ragione”, ma essere sicuro di essere ascoltato
e rispettato per quello che dice.
 I messaggi della comunicazione non sono più volti
ad ottenere di poter prevalere l’uno sull’altro, ma
vengono usati per spiegare meglio all’altro quello
che ognuno sente, pensa e fa.
Conseguenze per gli operatori
 Lo stesso risultato si verifica tra gli operatori: la
sensazione di potersi esprimere in base a quello
che si sente e/o si pensa e che il proprio parere,
qualsiasi esso sia, sarà tenuto nella giusta
considerazione dal resto del gruppo e, in
particolare, dagli altri operatori, contribuisce
all’instaurazione di un clima di collaborazione e di
rispetto reciproco che mira alla valorizzazione
massima dei contributi di tutti gli operatori.
Che cosa è il gruppo di psicoanalisi
multifamiliare per gli operatori?
 E’ il luogo psicologico in cui gli operatori possono
imparare a non avere paura della simbiosi patologica
o stato fusionale.
 In cui possono imparare ad accettare la simbiosi
come già fanno nel mondo esterno, anche nel loro
mondo interno.
 In cui possono iniziare a capire che, per una serie di
vicissitudini, sempre molto drammatiche, le persone,
legate alle e dalle interdipendenze patologiche e
patogene, hanno scelto di rimanere vincolate per far
sopravvivere le loro menti e che, per uscire da questa
situazione, l’unica misura di cui dispongono è di
mettersi a riflettere insieme, ripartendo dagli eventi
dolorosi sui quali si è edificata la loro unione.
Alcuni studi suggeriscono che le TMF
sono indicate per alcune situazioni
specifiche
 Pazienti al primo episodio psicotico
 Gravità sintomatologica
 Alto livello di Emozioni Espresse
 Schizofrenia con rischi elevati di ricadute
 Esordi psicotici con sintomi eclatanti
 Episodi depressivi che non rispondono ad altri
interventi
 Fallimento della terapia unifamiliare per certe
famiglie anoressiche
I familiari partners attivi della cura
 La pratica clinica e la ricerca per cura della grave
patologia mentale dimostrano con maggiore
evidenza che è fondamentale la partecipazione dei
familiari e della rete sociale
per attivare processi terapeutici orientati alla
guaribilità e poter pensare insieme ciò che non si può
pensare da soli.

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Il gruppo di psicoanalisi multifamiliare

  • 1. D I R A F F A E L E B A R O N E C O R S O D I F O R M A Z I O N E E C M P I A Z Z A A R M E R I N A C T A S . A N T O N I O 2 8 / 1 0 / 2 0 1 5 S I T O : R A F F A E L E B A R O N E W O R D P R E S S . C O M Il gruppo di psicoanalisi multifamiliare
  • 2. Storia  E’ stato inventato da Jorge Garcia Badaracco in Argentina il quale iniziò a convocare i familiari alle riunioni che teneva tutti giorni con i pazienti al fine di discutere tutti i problemi che, prevedibilmente, si sarebbero potuto ripresentare, di lì a poco, una volta che il paziente migliorato, durante il ricovero, sarebbe rientrato in famiglia
  • 3. conversazione  Secondo le idee di Badaracco il gruppo è composto dagli operatori, dai pazienti, dai loro genitori e altri loro familiari. Si tratta di instaurare una situazione in cui pazienti e genitori appartenenti a più nuclei familiari e operatori possano partecipare a pieno titolo ad una “conversazione” in cui ognuno può esprimere quello che pensa e può sentire di poter contare su qualcuno che aiuta a ritrovare sé stessi
  • 4. Psicosi e gruppo multifamiliare  Al suo interno è possibile prendere in considerazione “ la psicosi” vedendo in azione non tanto i meccanismi inconsci che l’hanno generato nel tempo, quanto le interazione che, ripetendosi all’infinito, la mantengono in vita anche in quel momento: le interazioni patologiche e patogene reciproche tra genitori e figli. Sono situazioni nelle quali i figli, considerati in genere solo malati, ma anche i genitori, visti soltanto come sani, sono “abitati dalla presenza degli altri” che non li lasciano essere sé stessi.
  • 5. Imparare nuovamente ad ascoltare  Il gruppo di psicoanalisi multifamiliare è un gruppo aperto. I suoi componenti appartengono a generazioni diverse e differenti nuclei familiari: fin dalla prima volta che si partecipa si può intervenire e, soprattutto, si può ascoltare. Badaracco sostiene che la cosa più importante che avviene è che chi vi partecipa può imparare nuovamente ad ascoltare
  • 6. “narcisismo patologico”.  Esso consiste nella tendenza a parlare ed ascoltare solo sé stessi, presente nei genitori e nei figli, che non riescono a vedere l’altro come “altro da sé” e che tendono, perciò, a desiderare per tutta la vita che figli e genitori siano come loro ritengono che debbono essere. Il rispetto per ognuno dei partecipanti si ottiene pretendendo che ognuno che prende la parola sia ascoltato dagli altri e che, quindi, si parli uno per volta, aspettando che l’altro finisca, senza sovrapporre la propria voce a quella degli altri. In questo modo si riattiva la possibilità/capacità di ascoltare l’altro, che era andata perduta in relazione all’instaurarsi della situazione simbiotica, caratterizzata dalla convinzione di sapere meglio dell’altro cosa l’altro sta per dire e, quindi, dalla tendenza a precederlo o, comunque, a non ascoltarlo.
  • 7. “rispecchiare metaforicamente”  I componenti di un nucleo familiare patologico non hanno occasione, nel corso della loro vita, di tirarsi fuori dalla loro situazione e di mettersi ad osservare “dall’esterno”, quello che accade loro. Nel gruppo multifamiliare essi si possono “rispecchiare metaforicamente” e praticamente nel modo di funzionare di uno, o più, di uno, dei nuclei familiari che si trovano di fronte e iniziare a riflettere su come imparare a non ripetere acriticamente all’infinito “gli stessi errori”.
  • 8. i transfert multipli I transfert psicotici possono essere diluiti, spezzettati e ricomposti in un pensiero unico, a cui le menti di tutti i partecipanti, sia di quelli che parlano che di quelli che ascoltano possono dare un contributo originale e significativo. Quando due persone sono troppo vicine, come nelle situazioni simbiotiche, diventa difficile pensare.
  • 9. “la funzione di terzo”.  Per tornare a pensare evolutivamente è necessario introdurre la funzione di “terzo”. Gli operatori possono svolgere la funzione di terzo con più facilità che di altri contesti di cura della psicosi, ma è soprattutto il gruppo nel suo complesso che con il tempo impara a svolgere “la funzione di terzo”.
  • 10. identificazione proiettiva  Il gruppo multifamiliare come altri tipi di gruppi induce le persone che vi partecipano a recuperare il senso di sé rispetto agli altri che, con il tempo, li spinge a ritrovare un senso di se rispetto a sé stessi. Questo recupero sembra sia legato, da un lato alla attenuazione delle tendenze ad espellere parti indesiderati di sé nell’altro (cioè nel ricorso al meccanismo difensivo della identificazione proiettiva), dall’altro dalla tendenza a reintegrare “le forze coesive dell’io” che, da tempo, avevano dimenticato di possedere e di utilizzare.
  • 11. La virtualità sana  Focalizzando l’attenzione sulla necessità di riacquisire parti di sé depositate nell’altro e di evitare che l’altro deponga nuovamente parti di lui in noi, cioè ricostituendo i confini ed evitando lo sviluppo indiscriminato ed eccesivo del fenomeno di “los otros in nosotros”, si giunge ad intravedere di nuovo, o per la prima volta, la”virtualità sana” presente nelle persone.
  • 12. La virtualità sana non corrisponde soltanto allo sviluppo di parti sane  L’uso massiccio dell’identificazione proiettiva, che conduce all’instaurazione di una comunicazione basata esclusivamente sullo scambio di “messaggi di relazione” e non “di contenuto”, inibisce la differenziazione e lo sviluppo individuale e favorisce le identificazioni reciproche indifferenziate che danno luogo alle interdipendenze patologiche e patogene.  Lo sviluppo di un itinerario inverso permette il recupero di una virtualità sana che non si sapeva, spesso, nemmeno di possedere.
  • 13. In un nuovo contesto si vedono e si pensano cose nuove  Lavorando nel gruppo di psicoanalisi multifamiliare gli operatori sperimentano un situazione che permette loro di porre al primo punto della loro attenzione la scoperta della virtualità sana, attualmente esistente, del paziente e dei genitori.  La virtualità sana di entrambi, che quasi nessuno è in grado di far emergere nella realtà e, quindi, di far riconoscere agli altri come esistente.
  • 14. L’inizio della malattia costituisce un blocco del processo di sviluppo  Il paziente, ammalandosi psichicamente, torna ad essere piccolo e, quindi, meno responsabile della propria vita e, implicitamente, sollecita il mantenimento di un assetto costante della relazione con il/i genitore/i.  Il genitore torna a svolgere la funzione di contenitore nei confronti del figlio, ma in una forma stabile, non evolutiva, che non risente dei continui aggiustamenti che lo svolgimento di questa funzione richiede ad un genitore, in relazione alla crescita del figlio.
  • 15. Interdipendenza patologica e patogena  Così si costituisce una simbiosi patologica o quella che Jorge Garcia Badaracco definisce una interdipendenza patologica e patogena: genitore e figlio rimangono bloccati nel loro processo di crescita.  I livelli generazionali diversi si confondono: nella simbiosi non c’è più un padre o una madre e un figlio o un figlia, ci sono due persone che formano un tutt’uno e che sono in continua lotta per imporre il proprio predominio l’uno sull’altro.
  • 16. Processo terapeutico  Consiste nel mettere in luce l’esistenza delle interdipendenze patologiche e patogene e nel cercare di indurre entrambi i soggetti a rendersi conto che la situazione apparentemente senza via d’uscita nella quale si trovano è legata a episodi traumatici avvenuti in passato, che hanno dato origine alla costituzione di legami simbiotici paziente-genitore i quali hanno influito negativamente sui processi di identificazione. Queste identificazioni vanni messi in discussione, cercando di avviare processi di disidentificazione dell’uno e dell’altro. Cercando di abbandonare aspetti propri del “falso Sè” del paziente per accedere al riconoscimento di parti del “vero Sè” finora del tutto sconosciuti.
  • 17. Non si può riconoscere l’esistenza di due livelli generazionali diversi  Non si passa da una situazione a due ad una situazione a tre, tutto rimane preedipico: non si può sperimentare l’esclusione con amore che garantisce la sopravvivenza del sé in forma autonoma, cioè il complesso edipico.  Ne risulta danneggiato lo sviluppo del funzionamento corretto della mente che dovrebbe imparare a riconoscere che come ci sono livelli generazionali differenti, così ci sono livelli logici di funzionamento gerarchicamente organizzati: per es. dal concreto all’astratto e viceversa.
  • 18. L’impossibilità di metacomunicare in una situazione psicotica  Prova di ciò è l’impossibilità di percepire che ci possono essere due livelli di comunicazione differenti, per cui quello che viene detto ad un livello di comunicazione può essere negato ad un altro, come nella situazione di doppio legame, della quale il paziente psicotico e il genitore si vengono a trovare prigionieri.  Tanto è che ognuno di loro ama e odia la persona che lo tiene avvinto e gli dà la sensazione di esistere: se la perdesse, sentirebbe di poter andare in frantumi.
  • 19. Il processo di disidentificazione  Il processo di disidentificazione riguarda tutte e due o tre le persone ingabbiate nelle identificazioni patologiche e patogene su cui si sono costituite le interdipendenze patologiche e patogene.  E’ un processo pieno di incognite e di inevitabili ricadute, tendenti a confinare nuovamente le persone nel precedente modo invalidante di vivere la realtà, in un sincizio deidentificato.
  • 20. Il dramma della disidentificazione  E’ un processo drammatico perché si tratta di abbandonare una situazione nella quale ognuna delle due o tre persone che ne fanno parte non hanno la percezione di sé come individui separati ed autonomi, ma sono parte di una coppia o di un terzetto, in cui ognuno sente di doversi preoccupare delle esigenze dell’altro, oltre che delle proprie e in cui ogni decisione e, quindi, nessuna andrebbe presa tenendo presente l’opinione dell’altro, purché sia simile alla propria.
  • 21. “mente ampliada”  Secondo Jorge Garcia Badaracco, con il passare dei minuti, le menti dei componenti di un gruppo di Psicoanalisi Multifamiliare iniziano a funzionare come le parti di un’unica grande mente, la “mente ampliada”, che si caratterizza, sostanzialmente, per un aspetto: pareri diversi, espressi da persone differenti, possono coesistere all’interno di un ragionamento comune, a cui ognuno dei presenti fornisce il proprio contributo per capire meglio come stanno le cose e non per prevalere l’uno sull’altro.
  • 22. Conseguenze di ciò per pazienti e genitori  Pazienti e genitori possono finalmente partecipare congiuntamente ad una discussione in cui ognuno sente che non è tanto importante “pretendere di avere ragione”, ma essere sicuro di essere ascoltato e rispettato per quello che dice.  I messaggi della comunicazione non sono più volti ad ottenere di poter prevalere l’uno sull’altro, ma vengono usati per spiegare meglio all’altro quello che ognuno sente, pensa e fa.
  • 23. Conseguenze per gli operatori  Lo stesso risultato si verifica tra gli operatori: la sensazione di potersi esprimere in base a quello che si sente e/o si pensa e che il proprio parere, qualsiasi esso sia, sarà tenuto nella giusta considerazione dal resto del gruppo e, in particolare, dagli altri operatori, contribuisce all’instaurazione di un clima di collaborazione e di rispetto reciproco che mira alla valorizzazione massima dei contributi di tutti gli operatori.
  • 24. Che cosa è il gruppo di psicoanalisi multifamiliare per gli operatori?  E’ il luogo psicologico in cui gli operatori possono imparare a non avere paura della simbiosi patologica o stato fusionale.  In cui possono imparare ad accettare la simbiosi come già fanno nel mondo esterno, anche nel loro mondo interno.  In cui possono iniziare a capire che, per una serie di vicissitudini, sempre molto drammatiche, le persone, legate alle e dalle interdipendenze patologiche e patogene, hanno scelto di rimanere vincolate per far sopravvivere le loro menti e che, per uscire da questa situazione, l’unica misura di cui dispongono è di mettersi a riflettere insieme, ripartendo dagli eventi dolorosi sui quali si è edificata la loro unione.
  • 25. Alcuni studi suggeriscono che le TMF sono indicate per alcune situazioni specifiche  Pazienti al primo episodio psicotico  Gravità sintomatologica  Alto livello di Emozioni Espresse  Schizofrenia con rischi elevati di ricadute  Esordi psicotici con sintomi eclatanti  Episodi depressivi che non rispondono ad altri interventi  Fallimento della terapia unifamiliare per certe famiglie anoressiche
  • 26. I familiari partners attivi della cura  La pratica clinica e la ricerca per cura della grave patologia mentale dimostrano con maggiore evidenza che è fondamentale la partecipazione dei familiari e della rete sociale per attivare processi terapeutici orientati alla guaribilità e poter pensare insieme ciò che non si può pensare da soli.