1. [ EditorialE ]
di Giovanni Iozzia
Non si va lontano M i è capitato di trascorrere una mezza giornata in una tipi-
ca azienda del made in Italy. Marchio storico, controllo
familiare alla quarta generazione, qualche milione di fatturato,
senza memoria grande proiezione internazionale. Nella fabbrica-laboratorio
a pochi chilometri da Torino si fanno penne, dal cappuccio al
pennino. Ci sono le macchine, ma guidate da mano umana.
e senza alleanze Cesare Verona, esuberante cinquantenne che guida Aurora da
un anno, è pacatamente ottimista. Guarda avanti con fiducia ma
parla tanto del bisnonno che si chiamava come lui e che a modo
suo, nell’Italia di fine 800, fu un innovatore, perché salì su un
GIOCO DI SQUADRA Le imprese italiane spesso bastimento per andare negli Stati Uniti e conquistarsi l’impor-
dimenticano la loro storia. E sbagliano. Come quando tazione della macchina per scrivere. Da lì comincia la storia di
si considerano regni autarchici. Perché l’esperienza oggi. Verona sta cercando di ricostruirla, pezzo dopo pezzo, una
penna acquistata a un’asta, un documento d’epoca recuperato da
dimostra che le aggregazioni rendono. E sono sempre
un vecchio dipendente, una foto ingiallita che salta fuori seguendo
più necessarie per affrontare i mercati internazionali. un filo individuato su Internet. Perché lo fa? Perché non vuol
Recuperando competitività e capacità di innovazione. perdere la memoria. Perché crede che quel passato sia parte del
valore della sua azienda. Perché è convinto che ricordare aiuti
ad affrontare il futuro. A ritrovare lo slancio per l’innovazione.
Quante sono le aziende italiane come Aurora? Quante han-
no rischiato o stanno rischiando di dimenticare la loro storia e
quindi di perdere il senso della loro attività? Io credo molte e
per questo ritengo che quel che sta facendo Cesare Verona sia
opera meritoria e dovrebbe fare scuola. Soprattutto in questa fase
in cui siamo tutti alla disperata ricerca di ricette per lo sviluppo.
L’identità è uno degli ingredienti fondamentali, perché dà forza
e sicurezza. A patto che non generi quelle forme di supponenza
e tracotanza che finiscono per fare delle imprese regni autarchici
incapaci di comunicare, e per questo votati a un inevitabile de-
clino. È possibile, però, che le cose vadano bene, capita sempre
più spesso. Mentre è alla ricerca della sua memoria e consolida
la sua identità, Aurora entra in un consorzio di imprese piemon-
tesi di alta gamma nato per sostenere la crescita all’estero. La
tendenza all’aggregazione è forte, strumenti come il contratto
di rete cominciano a essere utilizzati con regolarità e in diverse
aree geografiche. È un vero e proprio boom, come raccontiamo
nella nostra storia di copertina. Evidentemente l’esigenza di fare
squadra era ed è forte fra gli imprenditori.
L’export continua a premiare il made in Italy, ma per esportare
bene bisogna avere una certa dimensione. Se si è piccoli, come
capita alla maggioranza delle imprese italiane, non è possibile
presidiare decine e decine di mercati, partecipare a fiere ovunque
nel mondo, reggere i costi di marketing, garantire un servizio
postvendita. Dimenticare stupide gelosie e rivalità inutili, unire le
forze e puntare a un obiettivo comune diventa così una necessità
stefano carrara
per restare competitivi. E per comprendere che le identità forti
volano più lontano se viaggiano in buona compagnia. E
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