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Basilea II
Il Nuovo Accordo sui requisiti minimi di capitale firmato a Basilea, meglio noto come Basilea II, è un accordo
internazionale di vigilanza prudenziale, maturato nell'ambito del Comitato di Basilea [1] , riguardante i requisiti
patrimoniali delle banche. In base a esso, le banche dei Paesi aderenti devono accantonare quote di capitale
proporzionate al rischio assunto, valutato attraverso lo strumento del rating.
L'accordo è strutturato in tre "pilastri":
1. Requisiti patrimoniali;
2. Controllo delle Autorità di vigilanza;
3. Disciplina di mercato e Trasparenza.
Il testo dell'accordo nella versione definitiva nel giugno del 2004, è entrato in vigore nel gennaio 2007, con una
proroga di un anno concessa alle banche che hanno adottato il metodo advanced. A seguito della crisi finanziaria che
ha colpito alcuni importanti istituti di credito, è allo studio una possibile nuova versione dell'accordo (Basilea III).
Motivazioni storiche dell'accordo
A partire dagli anni novanta la gestione del credito da parte di numerosi istituti di credito s'è rivelata poco prudente e
ci si è accorti dei limiti del quadro normativo in base al quale il rischio connesso ai prestiti concessi dalle banche alle
imprese.
L'accordo esistente sull'argomento, il Basilea I risultò incentrato su una visione semplificata dell'attività bancaria e
della rischiosità delle aziende.
Inizialmente, la principale preoccupazione dei partecipanti al Gruppo Basilea II fu la salvaguardia della stabilità del
settore bancario, perno attorno al quale ruotano le economie mondiali: la logica del nuovo accordo ruota intorno
all'idea che le banche non debbano assumere rischi eccessivi e debbano tutelarsi dai rischi assunti.
Lo scopo di Basilea II è assicurare una stabilità del sistema bancario e di modificare il rapporto tra banca e impresa,
fondandolo su fiducia reciproca, informazioni reali, da aggiornarsi continuamente, vincolate alla effettiva capacità di
produrre reddito in prospettiva di una crescita futura e non solo degli obiettivi a breve termine.
L'atteggiamento che le banche dovranno adottare va in direzione di una maggiore responsabilità, sia nei confronti
delle aziende, sia nei confronti dei risparmiatori. Il sistema economico italiano, in particolare, ha bisogno di una
maggiore intersezione tra banche, imprese e risparmiatori per dischiudere molte potenzialità.
Basilea II imponeva un limite al livello di rischiosità dei prestiti, e al di sotto di una certa soglia di rischio non
poneva restrizioni alla quantità di denaro che un istituto di credito può erogare.
In Europa sono rimasti in vigore altre normative che ponevano un limite assoluto alla quantità di denaro che una
banca può prestare, al di là del profilo di rischio degli investimenti, quali la riserva frazionaria e un rapporto fra
crediti erogati e patrimonio di vigilanza.
Negli Stati Uniti, nel 1999 fu approvata una legge che abrogava il Glass-Steagall Act, e in particolare la separazione
fra banca commerciale e banca d'investimenti. Seguì una concentrazione nel settore che portò a un oligopolio di
grandi istituti come Citigroup, o l'AIG o la Bank of America.
Su pressione dell'Unione Europea, il 28 aprile 2004 le cinque maggiori banche del settore si riunirono - con l'ausilio
dell'allora capo della Goldman-Sachs e futuro Segretario del Tesoro Hank Paulson - e lanciarono una proposta al
capo della SEC di allora, William Donaldson (nominato da George Bush), ex banchiere d'investimento. Le banche
proposero di accettare nuove norme che impedissero loro di intraprendere iniziative troppo rischiose, se avessero
ottenuto in cambio la rimozione di qualsiasi limite alla quantità di prestiti che volessero effettuare. Donaldson diede
il suo assenso alla proposta, e le nuove norme furono sufficienti a far sì che l'Unione Europea ritirasse la minaccia di
imporre proprie regole alle operazioni estere delle banche statunitensi, secondo il principio dell'home country
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control.
I principi cardine di Basilea II
Nodo fondamentale del problema risultò essere che l'accordo Basilea I valutava le aziende in base a requisiti molto
semplificati: da quanto tempo esisteva un certa ditta, che patrimonio possedeva, quale ragione sociale. In una parola
Basilea I si limitava a prendere atto della "storia" patrimoniale di una ditta, e della capacità attuale di rimborso della
stessa, senza avere la possibilità di valutare se, quanto e in quanto tempo la ditta avrebbe generato reddito. Questo
induceva un notevole immobilismo e penalizzava fortemente tutta una serie di settori e di investimenti, primi fra tutti
quelli sull'innovazione e sulla ricerca.
Era quindi necessario elaborare una struttura di analisi molto più sofisticata per potere comprendere la realtà del
mercato, che negli anni era notevolmente cambiata. Inoltre le banche si resero conto che il loro ruolo di semplici
prestatori andava evoluto in un ruolo di maggior responsabilità, cooperazione e integrazione tra impresa e istituto di
credito, se si desiderava che il mercato non stagnasse, ma continuasse a crescere in modo realmente produttivo.
Gli accordi hanno elevato la riserva frazionaria delle banche al 2% e fissato il coefficiente di salvaguardia sempre
all'8%. Le sofferenze (ossia crediti inesigibili) delle maggiori banche italiane sono al di sopra della media europea
che è dell'1.1%. Gli accordi di Basilea II hanno fissato il coefficiente di solvibilità all'8%. Tale coefficiente fissa
l'ammontare minimo di capitale che le banche devono possedere in rapporto al complesso delle attività ponderate in
base al loro rischio creditizio. In altri termini è una frazione il cui numeratore è dato dall'ammontare di patrimonio di
cui dispone una banca ed il denominatore dall'ammontare delle attività ponderate per classi di rischio. Se si considera
invece il rapporto tra attivo ponderato e patrimonio di vigilanza il valore richiesto dagli accordi di Basilea II sale a
12,5%.
I requisiti minimi patrimoniali devono coprire le perdite inattese dovute a tre rischi:
• Rischio di credito
• Rischio di mercato
• Rischio operativo, che ne rappresenta la maggiore novità.
La formula per la determinazione del patrimonio di vigilanza viene così ampliata e rivista:
Patrimonio regolamentare ≥ 8% di [ (RWA Rischio Credito) + (RWA Rischio Mercato) + (RWA Rischio Operativo) ]
Rischio operativo
Con la collaborazione degli operatori di settore, il Comitato di Basilea ha individuato i principali fattori di rischio
operativo [2] :
• frode interna - esempi: alterazione intenzionale di dati, sottrazione di beni e valori, operazioni in proprio basate su
informazioni riservate;
• frode esterna - esempi: furto, contraffazione, falsificazione, emissione di assegni a vuoto, pirateria informatica;
• rapporto di impiego e sicurezza sul posto di lavoro - esempi: risarcimenti richiesti da dipendenti, violazione delle
norme a tutela della salute e sicurezza del personale, attività sindacale, pratiche discriminatorie, responsabilità
civile;
• pratiche connesse con la clientela, i prodotti e l'attività - esempi: violazione del rapporto fiduciario, abuso di
informazioni confidenziali, transazioni indebite effettuate per conto della banca, riciclaggio di denaro di
provenienza illecita, vendita di prodotti non autorizzati;
• danni a beni materiali - esempi: atti di terrorismo e vandalismo, terremoti, incendi, inondazioni;
• disfunzioni e avarie di natura tecnica - esempi: anomalie di infrastrutture e applicazioni informatiche, problemi di
telecomunicazione, interruzioni nell'erogazione di utenze;
• conformità esecutiva e procedurale - esempi: errata immissione di dati, gestione inadeguata delle garanzie,
documentazione legale incompleta, indebito accesso consentito ai conti di clienti, inadempimenti di controparti
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non clienti, controversie legali con fornitori.
Sono previste tre metodologie di valutazione del rischio operativo.
Metodo Base (BIA)
Basic Indicator Approach
Requisito = α * GI
Il Requisito di capitale si ottiene moltiplicando il coefficiente α, che al momento è stato fissato al 15%, per
l'ammontare del Gross Income [Margine di Intermediazione Lordo] (media degli ultimi tre anni).
Metodo Standard (TSA)
Standardised Approach
Requisito = ∑ (β * GI)
Attività di investimento
Corporate Finance 18% (Beta Factor)
Negoziazione e Vendite 18%
Attività Bancaria
Intermedianzione al dettaglio 12%
Retail Banking 12%
Commercial Banking 15%
Altre attività
Pagamenti e Regolamenti 18%
Gestione Fiduciarie 15%
Asset Management 12%
Metodo Avanzato (AMA)
Il requisito è basato sulla stima dei rischi operativi del sistema di misurazione interno della banca. L'uso dell'AMA è
soggetto all'approvazione del Organo di Vigilanza.
Rischio di credito
Ai fini della ponderazione delle attività per il rischi di credito assume una importanza fondamentale l'attribuzione del
rating al cliente (sia esso azienda o persona fisica).
Il rating
Il rating è l'insieme di procedure di analisi e di calcolo grazie al quale una banca valuta quanto un cliente sia
rischioso e quanto sarà produttivo in futuro, se gli venisse concesso il credito che chiede. Tramite il rating si calcola
la "probabilità di default" ovvero la Pd (probability of default) associata ad ogni classe di rischio misurata negli anni
passati, si raccolgono nuove informazioni sulla capacità di generare reddito futuro del beneficiario.
Il rating di Basilea II cambia notevolmente rispetto al passato ed è improntato a una notevole flessibilità, restando
però vincolato ad un controllo incrociato di enti interni ed esterni all'istituto. Basilea II, infatti, introduce la
possibilità, per gli istituti di credito, di affiancare ai rating emessi dalle agenzie specializzate, Ecai (External Credit
Assessment Institution), rating prodotti al proprio interno. Ciò significa che le banche potranno dotarsi di strumenti
particolareggiati volti alla misurazione del rischio. Oltre alla metodologia standard, troviamo il metodo di
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misurazione IRB (Internal Rating Based Approach), diviso a sua volta nel metodo di base e nel metodo avanzato.
Questa novità procedurale fornisce molte più informazioni rilevanti e permette di fare valutazioni molto più concrete
e realistiche.
Il fatto che le banche possano usare strumenti analitici propri implica, chiaramente, la necessità di assicurare principi
di trasparenza ed omogeneità. Le banche dovranno riferirsi a modelli che trovano le loro radici in procedure
automatizzate; così un sistema di rating risulta essere l'intero complesso di raccolta, selezione, organizzazione, e
valutazione delle informazioni sui soggetti che compongono il portafoglio crediti della banca, le regole che ne
presiedono il funzionamento, le classi di rischio e le probabilità di insolvenza che le contraddistinguono.
Il processo ed i suoi metodi, inoltre, sono ulteriormente supervisionati da strutture diverse ed indipendenti ed è
chiesta espressamente una forte coerenza interna dei modelli ed un rodaggio di almeno tre anni per verificarne la
validità: infatti gli istituti italiani stanno già adottando quei modelli in prospettiva dell'entrata in vigore della
normativa nel 2007. I "fornitori di rating", per essere in regola con Basilea II, dovranno soddisfare una serie di
requisiti, riguardanti in particolare la trasparenza e l'omogeneità dei criteri adottati. Una banca, inoltre, potrà
"attingere" rating da più fonti, ma pur sempre nel rispetto di un insieme di regole volte a prevenire comportamenti
opportunistici. Ad esempio, non sarà possibile scegliere, per ogni cliente, l'agenzia che gli assegna il rating migliore,
così da ridurre il requisito patrimoniale totale.
Le modifiche dell'approccio di rating comportano costi aggiuntivi dal punto di vista operativo. Tuttavia garantiscono
informazioni maggiori, più realistiche e precise, più ancorate ai cambiamenti della realtà. È più facile calcolare la
vera percentuale di rischio, evitando di assumersi rischi inutili da un lato ed individuando esattamente, dall'altro, la
quota di accantonamento che si deve prevedere, evitando di fissarla troppo in alto e dovendo quindi ricaricare i suoi
costi sul cliente.
Metodologie di ponderazione del rischio di credito
Basilea II prevede tre approcci diversi:
Metodologia STANDARD (Standardized Approach)
Non presenta sostanziali cambiamenti rispetto all'accordo di Basilea I, e prevede l'accantonamento medio dell' 8%
delle attività ponderate per il rischio (inteso come valore degli impieghi ponderate sulla base delle caratteristiche
della controparte affidata ovvero del finanziamento concesso). Inoltre, seguendo il principio dei requisiti patrimoniali
proporzionali al rischio degli impieghi, propone che alle attività venga assegnato un fattore di ponderazione stimato
da agenzie esterne (rating).
Questo correttivo permette agli istituti di credito una certa sensibilità degli accantonamenti: ad un rating molto alto
(AAA) corrisponderà un accantonamento più basso dell'8%, perché si ritiene che l'azienda che chiede un credito dia
eccellenti garanzie di restituirlo nei tempi e modi previsiti. Di contro, ad un rating basso CCC corrisponderà un
accantonamento maggiore.
La metodologia standard analizza variabili qualitative e quantitative di tipo statico, come la categoria
economico-giuridica dell'azienda da finanziare, o la dimensione aziendale. Questa metodologia costituisce una
piramide relazionale, per cui esiste una sorta di mediazione nel rapporto tra banca-impresa. Quindi è, a ben vedere,
una fonte di deresponsabilizzazione per le banche.
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Metodologia IRB Foundation (FIRB)
La precedente metodologia ha il difetto di creare instabilità nel sistema economico, e soprattutto è causa di scarsa
cura nei rapporti banca-impresa; per ovviare a questa impasse, il Comitato di Basilea ha introdotto una nuova
metodologia.
Questa nuova concezione di valutazione del rischio crea un rapporto diretto tra banca (prestatore) e cliente
(prenditore), basato su parametri più realistici e flessibili di quelli della modalità standard.
In sostanza, l'accordo prevede che le banche possano calcolare, sulla base di strumenti analitici propri (previamente
approvati dagli organi di vigilanza), la PD (probabilità di default).
La definizione di default deve avere valore comune a livello internazionale, dato che i finanziamenti si muovono su
scala internazionale. La definizione data è la seguente: si ha default del prenditore al ricorrere di almeno una tra
due condizioni: la prima di tipo soggettivo (la banca ritiene improbabile che il debitore adempia in pieno alle
sue obbligazioni) e la seconda di tipo oggettivo (sussiste un ritardo nei pagamenti di almeno 90 giorni - 180
giorni per l'Italia fino al 2011).
Metodologia IRB Advanced
È l'approccio più avanzato, sofisticato e, per conseguenza, costoso. Calcola infatti altri due fattori distinti: LGD
(Loss Given Default), EaD (Exposure at Default) e la Maturity, che nell'approccio FIRB assumono valori determinati
dall'Autorità di Vigilanza.
L'LGD (letteralmente, la perdita manifestata in caso di insolvenza) risponde alla domanda: "Se il cliente a cui presto
dei soldi sarà inadempiente, quale percentuale del prestito andrà persa, al netto dei recuperi?".
L'EaD (letteralmente, l'esposizione presente al manifestarsi dell'insolvenza) implica la domanda: "E quale sarà
l'importo effettivamente prestato al momento dell'insolvenza? Cioè a che punto della storia del prestito il mio
debitore avrà seri problemi con i pagamenti? Quanto mi avrà restituito nel mentre?"
Rischio di mercato
Il rischio di mercato è definito come il rischio di perdite derivanti da negoziazione di strumenti finanziari sui mercati,
indipendentemente dalla loro classificazione in Bilancio. Fra i rischi ponderati sono presenti il rischio di cambio, di
tasso e di controparte. La determinazione del rischio di mercato viene tipicamente attribuita ad una specifica
funzione aziendale, tipiamente la funzione di Risk Management, che su incarico del Consiglio di Amministrazione si
occupa di applicare i modelli di ponderazione delle attività per il rischio di mercato.
Sono previste due metodologie di valutazione del rischio di mercato, entrambe basate sul VaR (Value at Risk) ma
molto diverse fra loro in termini di risultati ottenuti.
Metodo Standard
Con il metodo standard il Var viene calcolato applicando una percentuale fissa (30%) alla media delle ultime tre
misurazioni dell'indicatore rilevante. Per Indicatore Rilevante si intende in genere il fatturato, per un intermediario
finanziario o azienda bancaria corrisponde al margine di intermediazione.
Metodo Avanzato
Per l'attuazione del Metodo Avanzato la funzione di Risk Management deve disporre di strumenti evoluti che
consentano la rilevazione tempestiva delle informazioni correlate ai mercati, ai corsi azionari ed alle controparti.
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Pro e Contro di Basilea II: cosa cambierà
Il grande pregio di Basilea II è il realismo delle analisi del rapporto rischio/redditività e la necessità di aggiornarle di
continuo, seguendo dunque le aziende e il mercato molto più da vicino. Questo favorisce gli investimenti in
innovazione e ricerca, che sono più rischiosi, ma possono generare maggiore reddito nel futuro e maggior crescita
economica. Basilea II, inoltre, darà alle banche una maggior discrezionalità nelle decisioni imprenditoriali di quelle
imprese che chiedano un credito: in questo senso la banca diventa una sorta di Consulenza-controllore di qualità
dell'impresa. Il contro è che i rating e le metodologie previsti hanno costi molto più elevati. Alcuni imprenditori,
inoltre, lamentano la prospettiva dell'ingerenza degli istituti nelle decisione strategiche delle aziende, come una
mancanza di autonomia. Questa attribuzione di poteri nei confronti degli istituti è fortemente criticata da molti circoli
liberali europei, in quanto in realtà le banche raramente operano questo "controllo di qualità", o quando lo fanno ciò
avviene con una discrezionalità tutt'altro che omogenea. Ancora una volta, essi sostengono, l'eccesso di
regolamentazione sfocia in una falsa percezione di sicurezza, nella quale gli attori (creditori e debitori) operano sotto
un regime a "scaricabarile".
L'ovvia conseguenza è che queste analisi, e soprattutto l'IRB advanced, potrebbero essere alla portata solo degli
istituti più grossi e questo definisce una discriminante tra banche medio-piccole e grandi.
Più accurate sono le analisi e le informazioni che una banca può ottenere rispetto ad un'impresa, meno la banca
rischia che l'impresa non restituisca i soldi che le sono stati prestati. Meno la banca rischia, meno ha necessità di
accantonare denaro (il cosiddetto requisito minimo) per tutelarsi. Meno denaro accantona, meno lo deve ricaricare
sui clienti, risultando, quindi, più competitiva di una che non abbia effettuato analisi così specifiche.
Ne consegue che i grandi istituti, in grado di supportare i costi di queste analisi particolarmente complesse, potranno
detenere requisiti patrimoniali minimi minori rispetto a quelli necessari per gli istituti più piccoli. Basilea II
introduce, di fatto, una discriminante forte tra istituti di credito.
Prospettive future: il problema delle PMI e il caso Italia
Nell'ottica di Basilea II cambiano i ruoli per le piccole e medie banche. Infatti queste ultime potrebbero operare sul
mercato dei crediti differenziandosi dalle grandi banche mediante una focalizzazione maggiore nella concessione di
crediti alle piccole e medie imprese (PMI).
Un rinnovato rapporto gioverebbe ad entrambe le parti: le imprese, infatti, costituirebbero rapporti fiduciari con
istituti di credito presenti nel territorio, i quali hanno una maggior consapevolezza informativa della storia della
azienda e del mercato nel quale opera, rispetto ad un grosso istituto centrale. Di contro, gli istituti locali avrebbero
l'opportunità di crescere trasformando la loro prospettiva locale in globale: le PMI costituiscono in certi casi dei
centri di eccellenza che sicuramente non operano su mercati di grande scala, ma comunque competono a livello
internazionale; in altri casi la sopravvivenza stesse delle imprese di piccole e medie dimensioni è legata alla capacità
di confrontarsi con i mercati esteri.
Confrontandosi a livello internazionale, avranno bisogno di partner finanziari che adottano prospettive
internazionali. In questa ottica il passaggio dalla figura della banca-foraggiatrice a quello della banca-assistente
controllore e consulente può certamente contribuire a ridurre la presenza di intrecci poco chiari tra banche e alta
finanza e la stagnazione di mercato favorendo di contro la crescita delle piccole realtà in realtà più grandi e
competitive. Inoltre un approccio vincolato a concetti di controllo e adattamento rispetto al mercato potrà consentire
alle imprese di sviluppare una mentalità orientata non più solo a obiettivi a brevissimo termine, ma a una produttività
a medio lungo termine, indispensabile per una crescita reale e solida. Non guardare al futuro sviluppo
etico-economico vorrebbe dire ingessare il sistema dei finanziamenti-investimenti.
Basilea II è stata sottoposta da più parti a critiche per l'atteggiamento indotto nei confronti delle PMI. Una PMI,
infatti, ha minori possibilità di generare reddito o di generarne di ingente. Inoltre in alcuni paesi la PMI è solitamente
a conduzione familiare e quindi contraria all'ingresso di soci e capitali esterni, da un lato, non attrezzata nel settore
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analisi e gestione finanza dall'altro. In tal senso Basilea II è già stata sottoposta a diverse modifiche, soprattutto sotto
la spinta dei governi di Germania e Italia, ma il rischio resta e l'accordo continua a generare polemiche.
Se osserviamo la situazione italiana, in particolare, notiamo sia il rischio sia la potenzialità di un cambiamento di
questo tipo. L'Italia è un Paese che deve la sua ossatura produttiva alle PMI, inoltre ha un sistema economico molto
chiuso, rattrappito, carente di quella capacità di innovare che è la molla necessaria per la competitività.
L'origine del problema italiano è da rintracciarsi in una serie di motivi storici e politici il cui risultato non è più
sostenibile nel quadro economico internazionale. L'introduzione delle nuove metodologie dovrebbe spingere le
banche a cambiare strategie, se anch’esse vogliono competere a livello internazionale. Le banche hanno da tempo
iniziato a prendere atto delle nuove problematiche elaborando previsioni e cercando di coinvolgere i propri clienti
nella scoperta delle specifiche della nuova disciplina. Sono infatti costrette a confrontarsi sul piano internazionale e
vivono un regime di stringente concorrenza. Le imprese, invece, sono rimaste in buona parte ferme. Sondaggi
rilevano come il 50% degli imprenditori non sappia neanche cosa sia Basilea II e men che meno cosa offra e richieda
in cambio.
Le PMI italiane non hanno maturato una mentalità in grado di valutare quanto possa convenire la novità in termini di
sviluppo futuro. Gioca un ruolo importante anche il fatto che da più parti si è sfavorevoli ad abbandonare la cattiva
consuetudine nazionale, basata sulla netta prevalenza del finanziamento a breve e sul divieto di far entrare capitali di
terzi all'interno dell'impresa familiare. Le imprese italiane dimostrano di rifiutare, mediamente parlando, l'ingresso di
soci e di capitali esterni nell'impresa familiare nel modo più assoluto e anche se il rifiuto dovesse implicare che
l'azienda smette di crescere e di essere produttiva.
L'ovvia conseguenza è che le PMI Italia risultano avere un livello di capitalizzazione basso, specie raffrontato con le
loro numerose sorelle francesi e britanniche: inoltre, le prime fanno largo uso di strumenti di finanziamento emessi
dalle grandi banche popolari e le seconde dei capitali facilmente reperibili in borsa. Le imprese tedesche, invece,
godono della presenza di un unico istituto bancario di riferimento, coinvolto anche negli aspetti operativi dei processi
aziendali.
Per le imprese italiane in particolare, storicamente sottocapitalizzate e ancora basate sul pluriaffidamento bancario a
breve, quello di capitalizzazione sarà l'indicatore che darà più preoccupazioni: la ristrettezza del capitale proprio non
è certo un segnale di solidità e di propensione al rischio. Senza contare che a tutt'oggi la pratica delle garanzie
personali a fronte dei finanziamenti è stata circoscritta dalla nuova normativa a casi particolari, per cui non può più
essere di soccorso. L'immissione di nuovo capitale di rischio, attraverso l'ingresso di nuovi soci o l'utilizzo di nuovi
strumenti finanziari, sembrerebbe essere l'unica via percorribile per diminuire il proprio grado di rischiosità, ma si
scontra fondamentalmente con due fenomeni: da una parte la riluttanza patologica di molte imprese, specie se a
conduzione familiare, a diluire la proprietà e a permettere l'ingresso a nuovi soci; dall'altra la mancanza di una
politica fiscale che incentivi in modo deciso la capitalizzazione.
Le PMI italiane rischiano quindi, ancora più delle loro sorelle di essere maggiormente penalizzate dalle nuove
regole: la prospettiva é tutt'altro che irrilevante e desta gravi preoccupazioni se si consideri che le PMI costituiscono
la base produttiva del sistema economico italiano.
Questo tipo di aziende dovrebbero partire dalla costruzione di un database dei propri bilanci riclassificati, in modo da
evidenziare la qualità e l'attendibilità del loro bilancio d'esercizio e da riassumere le rispettive situazioni di
redditività, solidità e liquidità. Evidenzierebbero i punti di forza ma anche i punti di debolezza e potrebbero correre
immediatamente ai ripari.
È però innegabile che l'analisi finanziaria previsionale richiede investimenti di non poco conto in strumenti e
tecnologie, che le microimprese in particolare non possono affrontare, e sarebbe auspicabile, in questo senso, che
esse instaurassero un rapporto di consulenza con le banche. Tale processo, però, incontra barriere di non poco conto,
soprattutto psicologiche: è difficile, infatti, che l'imprenditore si risolva a trasmettere all'esterno dati prima
gelosamente custoditi e a sottoporsi al giudizio di terzi.
8. Basilea II 8
Conoscere con un certo grado di approssimazione quali sono le reali possibilità di successo e qual è il verosimile
ritorno di un investimento è condizione indispensabile per saper presentare alla banca il progetto da finanziare su
basi più solide, suffragate da dati verosimili. L'analisi previsionale ha, tuttavia, dei limiti: è estremamente
difficoltoso valutare il grado di adeguatezza e di errore delle valutazioni espresse, tanto più che quasi sempre tale
analisi si risolve in un ribaltamento del passato sul futuro, cosa ben poco verosimile.
Ne deriva che risulta essere fondamentale una gestione corretta che ponga la giusta attenzione alle posizioni di
redditività e di equilibrio finanziario, oltre che l'autovalutazione delle imprese (attraverso i sistemi di rating
assignement utilizzati dalle banche o indici di sintesi più facilmente padroneggiabili), e, non meno importante, una
corretta impostazione delle linee di azione per correggere scelte inadatte e consolidare situazioni patrimoniali o
reddituali vacillanti.
Un rapporto di maggior controllo fattuale da parte della banca, inoltre, renderebbe anche assai più oneroso, difficile e
rischioso per l'impresa avere scarsa cura del proprio assetto patrimoniale e perpetrare falsi in bilancio. Le banche,
infatti, rischiando di concedere denaro che non verrà loro restituito e avendo gli strumenti adatti, effettuano analisi
estremamente minuziose alla ricerca di falle e discrepanze nelle dichiarazioni patrimoniali. Un'impresa che maneggi
o annacqui i bilanci si vedrebbe assegnare un rating molto più basso e pagherebbe molto di più il denaro che le
verrebbe concesso, sempre che la banca si decida a concederlo.
Si può dunque auspicare che gli accordi di Basilea II contribuiranno, molto più di tanti altri interventi ad hoc, a fare
del bilancio una true and fair view dello stato della gestione aziendale.
Ovviamente tutto ciò deve sempre basarsi su criteri di veridicità e trasparenza, che sicuramente è una base solida per
costituire il rapporto banca-impresa.
BASILEA III
Il Comitato per la supervisione bancaria di Basilea calibrerà nel corso del 2010 nuove regole per la gestione delle
attività a rischio del sistema bancario, note come "Basilea III"; queste nuove regole dovranno integrare o sostituire
sia la versione del 1988 (Basilea I) sia la versione Basilea II entrata in vigore nel 2008. Le regole di Basilea III si
articoleranno su tre punti: la garanzia di liquidità a breve, la trasformazione delle scadenze e i requisiti di capitale.
L'adozione di Basilea III è controversa. Alcuni critici sostengono che questo sistema di regole porterebbe
all'abbassamento del core Tier 1 di importanti istituti bancari [3] e, se implementato in un frangente di profonda crisi
economica e finanziaria, aumenterebbe il rischio di credit crunch [4] .
Basilea II e la funzione aziendale Finanza
Come precedentemente affermato, le sfide che Basilea II lancia al mondo dell'impresa hanno come implicazione
diretta la necessità del fattivo contributo di un reparto finanziario esperto, dotato di competenze specialistiche e di un
valido sistema informativo. Ciò comporta che la funzione finanza, ormai troppo spesso confinata al ruolo di semplice
controllo finale dei cicli aziendali, sia oggetto di un ripotenziamento. Le risorse qualificate, che in tale funzione
dovranno essere inserite, dovranno riportare alla funzione finanza le seguenti competenze:
• elaborazione dei documenti richiesti dalle banche nel processo di rating assignement,
• confronto dei diversi approcci di ciascuna banca in modo da poter valutare l'offerta ed individuare la più idonea a
soddisfare le proprie esigenze,
• individuazione, in sede di pianificazione, dell'impatto che ogni decisione strategica va ad avere sul rating, e la
conseguente analisi delle diverse alternative riguardo alla gestione futura,
• programmazione anticipata della necessità di risorse finanziarie,
• predisposizione di materiale adeguato nella direzione della trasparenza informativa nei confronti delle banche,
con poste di bilancio più aderenti alla realtà e dati riguardo alla Corporate Governance e ai sistemi di
pianificazione.
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Prospettive future e il differenziarsi degli istituti di credito: specializzarsi nel
rischio
Come si è detto, alle banche non è richiesto di adottare un modello unico, quanto di garantirne la correttezza e
assoluta trasparenza. Si pensa, infatti, che adottando modelli diversi le banche si possano specializzare in settori
diversi di credito e adattarsi meglio al mercato. È probabile, infatti, che banche diverse si dedichino a diversi
segmenti di clientela: corporate, PMI, retail ecc. ed è altrettanto probabile che gli istituti si diversifichino anche in
riferimento ai diversi settori di basso, medio, alto rischio. Il differenziarsi nell'adozione di modelli diversi porterebbe
un maggior grado di concorrenza e una maggior trasparenza, sempre assumendo che valga un principio di
comportamento etico.
È probabile che si impongano modelli differenti, tra i quali possiamo citare:
• Judgemental
• Statistical
• Expert-constrained judgemental
Note
[1] Comitato di Basileaper la Supervisione Bancaria (http:/ / www. bis. org/ bcbs/ index. htm/ )
[2] Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (Febbraio 2003). Prassi corrette per la gestione e il controllo del rischio operativo (http:/ /
www. bis. org/ publ/ bcbs96ita. pdf). URL consultato il 2007-07-24.
[3] http:/ / www. laregione. ch/ gallery/ pdf_tematiche/ lunedi%20economia/ 2010. 02. 01_LUNEDIECO. pdf
[4] http:/ / archivio-radiocor. ilsole24ore. com/ articolo-779224/ banche-tremonti-basilea-iii-e/
Voci correlate
• Accordi di Basilea
• Basilea I
• Comitato di Basilea
• Rischio di credito
• Solvency II
• Tier 1 capital
• Margine d'intermediazione
Collegamenti esterni
• Ciclo economico e downturn LGD nelle banche (http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=23527)
• BasileaItalia: rischio bancario e accesso al credito (http://www.basileaitalia.it)
• L'impatto di Basilea 2 sulle imprese (http://www.e-gav.net/basilea2.htm)
10. Rating 1
Rating
Il rating, anche valutazione, è un metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari, che le imprese (vedi
anche modelli di rating IRB secondo Basilea 2) in base alla loro rischiosità. In questo caso, essi si definiscono rating
di merito creditizio da non confondersi ai rating etici che invece misurano la qualità della governance, della CSR, o
in generale della sostenibilità sociale ed ambientale di un'emittente.
Storia del rating
Si può far risalire l'origine del rating con il documento "History of Railroads and Canals in the United States" (Storia
finanziaria delle ferrovie e dei canali degli Stati Uniti), pubblicato da Henry Varnum Poor. Durante la sua vita Poor
si batté affinché le aziende fossero obbligate a rendere pubblici I loro bilanci al pubblico e a possibili investitori.
Colse questo appello il figlio Henry William, che insieme a Luther Lee Blake, un analista finanziario, crearono indici
finanziari chiari e trasparenti, fino alla fondazione dell'agenzia di rating Standard & Poor's.
Una storia simile riguarda un giornalista economico, John Moody, interessato alla trasparenza finanziaria delle
aziende, causa secondo lui di un mini-crash finanziario del 1909. Già nel 1900 pubblicò il Manual of industrial
securities e successivamente nel 1909 fondò Moody's.
Oggi, Standard & Poor's e Moody's sono le due maggiori agenzie di rating al mondo.
Descrizione
Viene espresso attraverso un voto in lettere (vedi sezione sotto), in base al quale il mercato stabilisce un premio per il
rischio da richiedere all'azienda per accettare quel determinato investimento. Scendendo nel rating aumenta il premio
per il rischio richiesto e quindi l'emittente deve pagare uno spread maggiore rispetto al tasso risk-free.
I rating sono periodicamente pubblicati da agenzie specializzate, principalmente Standard & Poor's, Moody's e Fitch
Ratings.
Una prima tipologia di potenziale conflitto di interesse riguarda i soggetti che pubblicano i rating e nel contempo
svolgono attività di banca di investimenti. Il rating potrebbe essere strumentalizzato nell'interesse della banca ovvero
dei clienti per attività speculative in Borsa, o per l'acquisizione di asset a prezzi di realizzo.
Un declassamento del rating di aziende o soggetti pubblici particolarmente indebitati, ha la conseguenza a breve
termine di provocare un rialzo degli interessi applicati ai prestiti in corso, e quindi un aumento degli oneri finanziari.
Il debitore potrebbe cedere beni immobili e mobili di sua proprietà a prezzi di realizzo, per evitare un peggioramento
del rating.
Non raramente, la maggior fonte di finanziamento dei costosi studi che portano a valutare il rating, non sono le
agenzie di stampa e la comunità finanziaria, ma le stesse società emittenti oggetto dell'indagine e singoli investitori
con molta liquidità. In questi casi, è evidente un conflitto d'interessi.
Infatti, per avere un rating, una società, una banca o uno Stato devono rivolgere una richiesta esplicita a una delle
agenzie di rating. Il servizio è a pagamento. Ottenuto l'incarico, l'agenzia inizia l'analisi della società, della banca o
dello Stato. L'analista incaricato attinge da informazioni pubbliche (ad esempio, i bilanci), studia i fondamentali
economici e finanziari e incontra i manager per raccogliere tutte le informazioni necessarie. Solo dopo questa analisi
è possibile esprimere un voto sull'affidabilità creditizia della società che ha richiesto il rating.
Terminato il lavoro dell'analista, entra in azione un comitato. Sarà, infatti, un organo collegiale - e non un singolo
analista - a valutare tutto il materiale raccolto e ad esprimere un giudizio sotto forma di rating. In seguito, il rating
viene votato a maggioranza dal comitato, formato da esperti del settore in cui opera la società che si sta valutando.
Dopo la votazione del rating, questo viene comunicato alla società, banca o Stato richiedente. Questo può appellarsi,
fornendo informazioni aggiuntive e chiedendo di avere un'ulteriore analisi. Il comitato può, se lo ritiene necessario,
11. Rating 2
riunirsi e deliberare di nuovo sul rating alla luce delle informazioni aggiuntive, decidendo di cambiare il voto o di
mantenere quello deciso in precedenza.
Una volta notificato il rating alla società che ha voluto farsi valutare, si passa alla pubblicazione. La società può
chiedere che il rating non venga pubblicato: in tal caso resterà riservato e non di pubblico dominio. In caso di
pubblicazione, invece, il rating diventa noto al mercato. Da questo momento in poi l'agenzia di valutazione tiene
sotto monitoraggio il rating, per vautare eventuali promozioni o declassamenti.
Questo meccanismo espone al rischio di aggiotaggio e insider trading, ovvero all'omissione di comunicazione al
mercato di informazioni in grado di abbassare il prezzo del titolo, che correttamente per la teoria economica deve
incorporare nel prezzo tutte le informazioni disponibili in un dato istante.
L'omissione o la ritardata diffusione non tempestiva avviene per favorire un cliente dell'agenzia di rating che può
pagare per avere informazioni privilegiate oppure fornire una percentuale su guadagni ottenuti speculando a breve
termine al ribasso, con la vendita del titolo a prezzi ancora remunerativi primachè la diffusione delle informazioni
sulla reale situazione dell'emittente, induca il crollo del corso azionario. Più che un guadagno si tratta di una mancata
perdita, a meno che il prezzo di vendita non superi comunque quello di acquisto del titolo. È più probabile un ritardo
nella diffusione delle informazioni critiche piuttosto che una completa omissione, che desterebbe dubbi
sull'attendibilità delle fonti informative dell'agenzia, che forse non era per nulla al corrente dei fatti; cosa che
dimostra falsa, con un annuncio tardivo.
In alternativa, è possibile una speculazione al rialzo, ossia nel lungo termine, con l'acquisto di titoli da rivendere a
prezzi più alti. L'agenzia può avere interesse a sovrastimare per lunghi periodi il rating di un titolo, per stimolare il
mercato ad acquistarlo e creare una domanda artificiale che ne alza il prezzo.
Il divario tra prezzo d'acquisto e di vendita, e il guadagno dello speculatore sono maggiori se il rialzo artificioso del
rating e del prezzo sono preceduti da un declassamento immotivato da reali peggioramenti della solvibilità
dell'emittente. Il declassamento consente di acquistare titoli quando tutto il mercato vende, per attendere la vendita
delle proprie posizioni al primo riapprezzamento del titolo (anche ai valori "normali" che precedevano la crisi).
Esiste poi una seconda forma, più "strutturale", di conflitto d'interessi. La realizzazione di uno studio di settore o
particolareggiato su un titolo, determina un costo fisso che deve essere remunerato. Chi paga gli studi di settore
finanzia quest'attività e a sua volta desidera che le informazioni in suo possesso siano redditizie; propriamente non
paga solo le informazioni, ma la disponibilità di queste informazioni che devono restare riservate, al limite
disponibili a chi paga altrettanto per venirne a conoscenza. Se vengono diffuse e incorporate nel prezzo, non sono
più una fonte di profitto. Difficilmente poi chi paga un'informazione accetta che poco tempo dopo venga resa nota al
mercato al prezzo di un quotidiano o di un'agenzia di stampa.
Un modello differente prevede che gli studi siano finanziati dalla comunità finanziaria che compra un quotidiano
economico a diffusione di massa e a basso costo, tale da rendere accessibile in modo tempestivo (come quotidiano) e
a un largo pubblico l'informazione finanziaria. Una seconda entrata deriverebbe dalle agenzie convocate
tempestivamente in conferenza stampa non appena siano acquisite informazioni price-sensitive. Tuttavia, è difficile
dire quanto un modello di business così etico sia remunerativo dei costi della struttura. Quando l'informazione
tempestiva è comunque obbligatoria per legge, il potere contrattuale maggiore è di chi fruisce le notizie, non di chi le
produce.
La società che realizza lo studio di settore non deve pubblicarle almeno per il tempo sufficiente perché il prezzo di
mercato non risenta dei nuovi dati e sia possibile vendere senza perdite. Viceversa, un'informazione tempestiva al
mercato è un dovere prima di tutto dell'emittente, che è il principale responsabile di una omissione, ma anche di
quanti sono a conoscenza di una situazione d'insolvenza che viene taciuta.
Un secondo problema viene a crearsi quando i risultati di uno studio di settore non aggiungono nessuna informazione
che possa cambiare rating e prezzo di un titolo, e semplicemente confermano la solvibilità dell'emittente e il rating
attuale. Non c'è rating sottovalutato per titoli da comprare, né rating sopravvalutato per titoli da acquistare, e in
12. Rating 3
definitiva informazione che qualche acquirente abbia interesse a comprare. Lo studio è comunque un costo sostenuto
da remunerare.
Questo rende sconvenienti accertamenti delle informazioni che costano tempo e denaro e rischiano di ripetere
informazioni già dette senza produrre nulla di nuovo. L'autore dello studio può avere interesse a modificare le
conclusioni dello studio in modo da rendere il prodotto una potenziale fonte di profitto, più interessante e vendibile.
La società emittente il titolo ha invece interesse ad uno studio che nuovamente confermi solvibilità e rating del titolo,
stabilizzandone il prezzo. Uno studio del genere rafforza l'immagine (brand) dell'emittente che è disposto a
finanziare questa pubblicità. Se ha un forte potere contrattuale, può chiedere all'agenzia di ritoccare in meglio il
rating del titolo.
Studi di settore e valutazioni sul rating dei titoli sono pubblicati dagli analisti di borsa. Per essere un analista non
occorre né l'iscrizione ad un albo professionale né una particolare laurea. Potenzialmente il numero di analisti è
elevato come il pluralismo della stampa economica.
Davanti al declassamento di un titolo la comunità finanziaria raramente non reagisce con un deprezzamento,
privilegiando le decisioni degli analisti rispetto alle ragioni portate dall'emittente. In questo senso, si è parlato di
"dittatura degli analisti", per il potere di condizionare la Borsa, riconosciuto loro dal mercato che in parte non tiene
conto dei conflitti d'interesse talora esistenti, in altra parte è relativamente interessato ad un rating veritiero e ad un
giusto prezzo dei titoli. Un declassamento o una sovrastima del rating aprono (a chi ha le giuste informazioni)
occasioni di guadagno speculativo.
Spetta alle autority nazionali il riconoscimento delle tipologie di attività nelle quali il rating rilasciato da un'agenzia
ha valore "ufficiale", e può essere utilizzato secondo quanto previsto dalle leggi vigenti. Ad esempio, l'autority
nazionale indica le Agenzie di Rating (ECAI) la cui valutazione può essere usata per gli accantonamenti di capitale
previsti da Basilea II. La Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS) indica i criteri internazionali di valutazione per
la Agenzie di Rating, che le banche centrali devono applicare (http://www.bis.org/publ/bcbs107b_ita.pdf]).
Classi di rating
Standard & Poor's
• AAA Elevata capacità di ripagare il debito
• AA Alta capacità di pagare il debito
• A Solida capacità di ripagare il debito, che potrebbe essere influenzata da circostanze avverse
• BBB Adeguata capacità di rimborso, che però potrebbe peggiorare
• BB, B Debito prevalentemente speculativo
• CCC, CC Debito altamente speculativo
• D Società insolvente
Moody's
• Aaa Livello minimo di rischio
• Aa Debito di alta qualità
• A Debito di buona qualità ma soggetto a rischio futuro
• Baa Grado di protezione medio
• Ba Debito con un certo rischio speculativo
• B Debito con bassa probabilità di ripagamento
• Caa, Ca, Investimento ad alto rischio
• C, Realistico pericolo di insolvenza
13. Rating 4
Moody's Standard & Poor's Fitch Ratings Descrizione
Lungo termine Breve termine Lungo Termine Breve termine Lungo termine Breve termine
Aaa P-1 AAA A-1+ AAA F1+ "Prime". Massima sicurezza del capitale.
Aa1 AA+ AA+ Rating alto. Qualità
più che buona
Aa2 AA AA
Aa3 AA- AA-
A1 A+ A-1 A+ F1 Rating medio-alto.
Qualità media
A2 A A
A3 P-2 A- A-2 A- F2
Baa1 BBB+ BBB+ Rating medio-basso.
Qualità medio-bassa
Baa2 P-3 BBB A-3 BBB F3
Baa3 BBB- BBB-
Ba1 Not Prime BB+ B BB+ B Area di non-investimento.
Speculativo
Ba2 BB BB
Ba3 BB- BB-
B1 B+ B+ Altamente speculativo
B2 B B
B3 B- B-
Caa CCC+ C CCC C Rischio considerevole
Ca CCC Estremamente speculativo
C CCC- Rischio di perdere il capitale
/ D / DDD / In perdita
/ DD
/ D
Agenzie di rating
• A. M. Best
• Baycorp Advantage
• Cerved Group
• Credo line
• Dagong Global
• Dominion Bond Rating Service
• Egan-Jones Rating Company
• / Fitch Ratings (parte del Fitch Group controllato dalla francese Fimalac)
• Japan Credit Rating Agency, Ltd.
• Moody's Investors Service
• Muros Ratings
• Standard & Poor's
14. Rating 5
Critiche
Le agenzie di rating sono state criticate dagli analisti finanziari per la non piena affidabilità delle loro analisi di rating
in quanto società private non esenti da conflitti di interessi col resto del mercato. Viene spesso citata a riguardo
l'analisi di rating positiva fornita nei confronti dell'istituto di credito Lehman Brothers appena una settimana prima
del suo fallimento all'interno della crisi finanziaria americana dei mutui subprime del 2008. D'altro canto altri analisti
fanno notare che eventuali agenzie di rating governative sarebbero ancor più inaffidabili in quanto dirette interessate
a non essere pienamente trasparenti e obiettive.
Voci correlate
• Investment grade
• Basilea 2
• Indicatori di redditività
• Rating etici
Altri progetti
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rating
15. Rating 6
Agenzie di rating
Standard & Poor's · Moody's
Agenzie minori
Fitch
A. M. Best
Dagong Global
Baycorp Advantage
Japan Credit Rating Agency
Dominion Bond Rating Service
Credo Line
Termini specifici
Downgrade - Outlook - Notch - Investment grade
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progetto:Economia
16. Fonti e autori delle voci 7
Fonti e autori delle voci
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