2. Sommario
1. Che cosa è in distretto industriale
2. I distretti industriali in Italia
3. Il meta (management) del distretto
4. I distretti di fronte alla globalizzazione
4. “Le piccole fabbriche, qualunque sia il loro numero, si trovano in forte svantaggio
rispetto alle grandi, a meno che non ve ne siano molte addensate in un stesso
distretto (…) La localizzazione dell’attività produttiva promuove ed educa l’abilità
e il gusto e diffonde la conoscenza tecnica. Dove larghe masse di persone si
dedicano a uno stesso genere di attività si educano a vicenda”
A. Marshall
“Il distretto industriale costituisce un ispessimento localizzato delle relazioni
interindustriali che presenta un carattere i ragionevole stabilità nel tempo(…)
Un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area
territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una
comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali(…) La comunità
e le imprese tendono, per così dire, ad interpenetrarsi a vicenda”
Becattini
Arnaldo Bagnasco, Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano
Sebastiano Brusco, Small firms and industrial districts: the experience of Italy
Gioacchino Garofoli, Modelli locali di sviluppo: i sistemi di piccola impresa
I DISTRETTI INDUSTRIALI
Introduzione
5. » Autore: Alfred Marshall, “Principi”, 1890
• Ragioni economiche: le economie esterne
– Specializzazione divisione del lavoro
– Economie interne (impresa), ma anche esterne (mercato)*
– L’ “industrial atmosphere”**
• Un bene collettivo
• Fondato sull’inerzia localizzativa***
– Le “reti di imprese”
• Ragioni sociali: la “cooperazione costruttiva”
– Fiducia come “ispessimento locale”
• Investe altre discipline oltre l’economia°
• Evolve con il tempo°°
– Organizzazione
• identificata “come un distinto fattore di produzione”
• “invisible factors in … economic development”
La teoria dei distretti industriali
6. Attributi del distretto industriale
» G.Becattini, “Distretti industriali”, in: Enciclopedia
dell’economia Garzanti
• ambito territoriale abbastanza ristretto
• popolazione di famiglie che vivono e lavorano in tale ambito
• popolazione di imprese manifatturiere piccole e/o medio-
piccole
– prevalentemente operanti nel territorio
– indipendenti le une dalle altre
– ognuna specializzata in qualche fase del processo
produttivo complessivamente caratterizzante il distretto
• rete di relazioni commerciali con l’esterno
• specifica “cultura”: valore del lavoro, della famiglia, del
risparmio, ecc.
• “rete istituzionale” propria: usi e costumi commerciali,
associazionismo economico, scuole, ecc.
• immagine unitaria e dei caratteri tipici riconosciuti all’interno
e dall’esterno
• forte senso di appartenenza e di identificazione
7. Distretti e modelli locali di sviluppo
• Le esperienze di sviluppo diffuso
– non sinonimo di arretratezza
– né di “dipendenza economica”
• ma nuovo modo di organizzazione della produzione
• autonomo “sentiero di sviluppo”
• Problemi per gli economisti
– Natura “fisiologica” (o no) del processo di “diffusione”
territoriale
– Prevalere dei caratteri di “autonomia” o “dipendenza”
dello sviluppo periferico
– Tipologia endogena/esogena dei modelli di sviluppo delle
regioni a sviluppo diffuso
– Eventuale presenza altre funzioni strategiche delle aree
“centrali”
– Nuovo sistema di interrelazioni territoriali
8. Individuazione dei Distretti
• Tasso di attività
• Quota attivi nell’industria manifatturiera ed
estrattiva
• Tasso di attività industriale (manifatturiero +
estrattivo)
• Quota attivi indipendenti
• Quota attivi indipendenti nell’industria
• Quota addetti manifatturieri in unità locali con
meno di 50 addetti
• Quota abitazioni occupate in proprietà
• Tasso di crescita demografica
• Consistente specializzazione produttiva
• Produzione sufficientemente importante da
coprire una quota rilevante della produzione del
comparto di specializzazione
• Molteplicità di imprese minori e mancanza di
un’impresa leader
• Diffusa professionalità della forza lavoro
• Elevati tassi di turn-over tra lavoratori
• Elevati tassi di ricambio tra le imprese
•Ampia articolazione sociale accompagnata
da continui processi di mobilità sociale
• Complesso sistema di interdipendenze
produttive tra le imprese locali
Gli indicatori di aree a
economia diffusa
Indicatori dei sistemi
produttivi locali
9. Individuazione dei Distretti 3
Indicatori per l’individuazione di un sistema produttivo
locale in un’area specifica(imprese/addetti).
• Indicatori di specializzazione produttiva ( quota di occupati del
settore sul totale manufatturiero), quote export assolute e relative
• Comparazione tra la specializzazione settoriale e la popolazione
attiva dell’area ( questo evidenzia il peso del settore di specializzazione
sull’economia locale)
• Quota degli occupati dell’area, comparata alla quota regionale nel
settore di specializzazione.
• Location quotient ( comparazione tra il tasso di occupati nel settore
di specializzazione ed il tasso corrispondente a livello regionale)
• Quota di occupati in unità locali con meno di 100 addetti nel settore
di specializzazione( indicatore della presenza della molteplicità di
imprese nell’area
10. Una definizione di PMI
MICRO Imprese
Dipendenti fino a 10
Volume di affari fino a 2 milioni di euro
Totale attivo patrimoniale 2 milioni di euro
PICCOLE Imprese
Dipendenti fino a 50
Volume d’affari fino a 10 milioni di euro
Totale attivo patrimoniale 10 milioni di euro
MEDIE imprese
Dipendenti fino a 250
Volume di affari fino a 50 milioni di euro
Totale attivo patrimoniale fino a 43 milioni di euro
11. Caratteristiche strutturali dei distretti -1
Sistema di aziende di piccole dimensioni con un ciclo
verticale integrato di produzione e una forte divisione
del lavoro= Economie di Specializzazione;
Contiguità di spazio tra le imprese e esistenza di
relazioni consolidate = costi di transazione ridotti;
Innovazione tecnologica costante e rapida
diffusione attraverso Processi imitativi;
Accumulazione di competenze tecnologiche/
saper fare= Elevata Professionalità;
Elevata competizione tra le imprese e modello di
impresa snello=Elevata Flessibilità.
12. Caratteristiche strutturali dei distretti -2
Cooperazione tra aziende e enti pubblici per
ciò che riguarda le economie esterne
Barriere d’entrata deboli ;
Barriere d’uscita alte: legate alla
specializzazione della microimpresa;
Ruolo centrale delle banche locali e del
sistema dei confidi per facilitare l’accesso al
credito;
Learning collettivo (learning by localizing,
learning by specializing, learning by
interacting).
13. Caratteristiche sociali dei distretti -1
Ruolo centrale della famiglia e divisione del
lavoro tra i membri della famiglia, ereditati dalla
società rurale;
Background sociale e valori comuni;
Elevata mobilità sociale e attitudine
imprenditoriale= Elevata elasticità;
14. D I S T R E T T O I N D U S T R I A L E :
UN M O D E L LO D I N A M I C O
• A) CRESCENTE DIVISIONE DEL LAVORO TRA LE IMPRESE
LOCALI
•
• B) PROGRESSIVA ACCUMULAZIONE DI CONOSCENZE E
COMPETENZE TECNICHE A LIVELLO LOCALE
•
• - ECONOMIE ESTERNE (BENI PUBBLICI)
• - VANTAGGI COMPETITIVI DINAMICI
•
• C) ALTO TASSO DI FORMAZIONE DI NUOVE IMPRESE
•
• D) CRESCENTE COMPLESSIFICAZIONE DEL SISTEMA
LOCALE (INTRODUZIONE DI NUOVI SETTORI E COMPARTI
PRODUTTIVI)
15. Definition
A geographically bounded concentration of similar, related or
complementary businesses with active channels for business
transactions, communication and dialogue that share specialized
infrastructure, labour markets, and services and that face common
opportunities and threats. (M. Porter- Vantaggio delle Nazioni )
Components
• firms of all sizes involved in the productive process,
including large leading firms, leading and supporting SMEs,
suppliers of raw materials and product-end firms
• firms supplying related services, such as legal, accounting,
management, marketing, financial, export and general consultancy
services
• forms of inter-firm collaboration, expressed through the
formation of consortia, supply chains and net works
What is a Cluster?
16. Types of clusters
film-making in Hollywood, financial services in London, Tokyo and NY,
machinery in Germany, the flower cluster in Netherlands, maritime in Norway,
ceramics in Spain and Portugal, leather and textiles in Italy, fashion in Paris
and Milan.
Size
Wine in California: 700 firms, optics in Arizona: 150firms,
Biella’s textile: 1300 firms.
Geographic boundaries
Refers to the territorial extend of the firms, customers, suppliers, support
services and institutions. A cluster can spread trough a state, province or be
located within a city.
Business relations within clusters
Small businesses who subcontract work to one another; subcontracting
systems around one or several large contractors; SMEs that concentrate in
specialized niche markets.
Characteristics of a Cluster (a)
17. • Increased levels of expertise
• The ability of firms to draw together complementary skills in order
to bid for large pieces of work
• The potential for economies of scale to be realized by further
specializing production within each firm, by joint purchasing of common
raw materials to attract bulk discounts or join market
• Strengthening social and other informal links, leading to the creation of
new ideas and new business
• Improved information flows within a cluster
• Enabling the development of an infrastructure of professional, legal,
financial, and other specialist services
Why focus on Clusters?
19. Lumezzane
Economic System - 1
with about 24.000 inhabitants and an area of 30 Km2, in
Lumezzane there are about 1.700 enterprises, which
means
one enterprise every 13 inhabitants (one every three
families) and one industrial enterprise every 24
inhabitants (one every 7 families)
88% of companies are partnership companies and 12%
are joint-stock companies, but even among these there
are a majority of activities controlled by a family.
Some hints about “Lumezzane system”:
L1
20. Lumezzane
Economic System - 2
with regard to the size of industrial enterprises :
70% employ between 1 to 10 workers
27% between 10 to 49 workers
3% is comprehended in the major classes.
total output of industrial companies in Lumezzane is
about 1500-1800 billions £ (0.8-1 billions $)*,
of which 50% is exported (especially to E.U.).
in Lumezzane are situated about 50% of the entire
national concerns, belonging to the category of taps and
valves(63.6%
of workers), tableware, pottery and cutlery (53.9% of
workers).
L2
21. Descriptive Traits
of the District
Employees for each
production field
Sanitary
fittings and
valves
40%
Houseware
and
kitchenware
30%
Die-casting
10%
Moulds
10%
Handles
10%
Production segments
in exports
E.E.C.
41%
U.S.A.
25%
Other
17%
Mediterrane
an
Countries
17%
L3
22. Production ways - 1
Lumezzane local production system can be seen as a widespread
companies area inside which it is realized a
integrated production cycle
sub-contractor of semi-finished products
sub-contractor of high-precision tooling
satellite sub-contractor
sub-contractor machining
Enterprises which operate
in the final stage
of processing activities
Enterprises which operate
in the first stage
of production activities
MAIN COMPANIES
L4
23. Filiera dei
Metalli non ferrosi
Materie Prime:
truciolame, rottame
Fonderie
Raffinerie
Rubinetterie Valvolame
Maniglierie Serramenta
Lavorazioni
meccaniche
Assemblaggio
Prodotto
Finito
Fusione
(fornielettrici)
Pani, Billette
cilindriche
Pezzo
stampato
Fusione
stampaggio
Altre lavorazioni interne
(taglio a freddo, ecc)
Tranciatura delle bave,
Foratura, Alesatura, ecc
Pulitura, Lucidatura,
brillantatura, Brunitura, ecc
Sgrassaggio
Rivestimenti inorganici
(Bagni galvanici)
25. Strategic map of
Lumezzane System
L7
ProductionRationalizationInterventions
Low Medium High
LowMediumHigh
a
b
c
Market Strategies
Material
Producers
Machinery
Producers
Services
Suppliers
26. Strategic map of
Lumezzane System
L7a
ProductionRationalizationInterventions
Low Medium High
LowMediumHigh
a
b
c
Market Strategies
Material
Producers
Machinery
Producers
Services
Suppliersa
b
c
Medium large enterprises
central to the local
producing system
Semi-finished products
and high precision tooling
suppliers
Satellite phases sub-contractors and
phases sub-contractors
27. Surplus outsourcingMarket expansion
Production with real
unitary decreasing costs
Outdoor purchase of
products at lower prices
Space contiguity between
enterprises and existence of
consolidated relationships
Reduced transaction cost
and higher intrinsic
reliability
“Sub-division” determining factors
Outsourcing of
diseconomies and
unbalancing factors
Unbalance of production
processes
Production ways - 2
L8
28. Highly skilled workers (“Learn-by-Doing”)
Saving and optimization of time
Development of specialized machines in the production for sub-
contractors and intended to improve the production processes
HIGHER PRODUCTIVITY
Elastic managing of production timetable (work timetable)
Advantages coming from “sub-division”
Production ways - 3
L9
29. Il distretto di PMI come organizzazione
• Un distretto è un insieme di reti di imprese
• Una rete di imprese rappresenta una forma originale di
divisione del lavoro (diversa da gerarchia e mercato)
• La relazione tra imprese sono regolate dalla comunicazione
interattiva e dalla cooperazione (accordi verticali, spesso
informali, basati su fiducia reciproca)
• Il sistema si coordina attraverso questi meccanismi di
comunicazione e cooperazione
• E’ sistema evolutivo, di tipo cognitivo (basato su processi di
apprendimento e competenze interne) ed autonomo rispetto
all’ambiente esterno (relazioni minime e selettive)
• E’ dotato di una spiccata capacità di auto-organizzazione:
forte e continuo cambiamento della configurazione interna
30. I meccanismi di coordinamento del
distretto
Interazione
comunicativa
Concorrenza
orizzontale
Cooperazione
verticale
31. Il distretto fonte supplementare di
vantaggio competitivo
1. L’efficiente decomponibilità tecnica del processo
produttivo (costellazione o “network” del valore).
2. Una virtuosa interazione tra imprese e contesto sociale,
culturale, politico, economico, tecnologico locale
(economie esterne)
3. La presenza di processi cognitivi esclusivi, capaci di
generare conoscenze uniche, radicate nel territorio
(risorse intangibili “district specific”)
4. L’affermazione di una identità collettiva che rafforza
l’immagine dei singoli e funge da barriera all’entrata e
all’uscita (reputazione “district specific”)
Fonti del vantaggio competitivo provenienti dal
sistema:
32. Esempi di imprese distrettuali
• Imprese capaci di stare autonomamente sul mercato con
propri prodotti (hanno sviluppato un set di competenze
completo)
• Imprese specialiste la cui offerta è rivolta al mercato locale,
perché specializzate in fasi di lavorazioni intermedie (hanno
un set di competenze specifiche e specialistiche per fase).
• Imprese subfornitrici, legate ad uno o pochi committenti del
distretto, deboli sotto il profilo contrattuale (se si esclude la
produzione, hanno un forte deficit di competenze).
• Imprese imitatrici, che sfruttano il distretto per imitare
prodotti sviluppati da altri e coordinano la realizzazione in loco
di prodotti simili (di fatto non hanno competenze).
Rispetto alle competenze detenute
33. Esempi di imprese distrettuali
• Imprese contoterziste: sono alla base del sistema; la loro propensione
alla crescita e all’innovazione è molto bassa; dipendono quasi
interamente dalle committenti (che decidono tempi e modi della
produzione); a loro è richiesta la massima flessibilità, affidabilità e un
forte contenimento dei costi.
• Imprese indirizzate al mercato: sono più autonome, sia in sede di
progettazione che in sede di produzione; fortemente orientate alla
differenziazione dei prodotti per poter meglio soddisfare la domanda
del mercato, producono piccoli lotti molto variabili; per contenere i
costi e i tempi di risposta devono saper essere quanto più flessibili
possibile
• Imprese innovative: sono quelle che hanno un prodotto nuovo; il loro
scopo è quello di difendere il proprio vantaggio competitivo cercando
di renderlo inimitabile: lo sforzo è teso ad innalzare barriere all’entrata
per impedire a nuovi competitors di entrare o di replicare quel
modello altrove; l’innovazione è continua, il prodotto viene
frequentemente ripensato e rivisto
34. Articolazione di un
distretto
Materie prime
Macchine
Semi-lavorati
FORNITORI
Fiducia
Mercato del lavoro
CAPITALE SOCIALE
Attitudine
Valore
Accessibilità
Trasporti
Depurazione acque
Aree edificabili
CAPITALE
MATERIALE
Banche
Designer
Trasporti
Agenti
SERVIZI PRIVATI
ATTIVITA’
CARATTERISTICHE
Subfornitura
CLIENTI
Mercati
Scuole
Associazioni di categoria
SERVIZI COLLETTIVI
Centri servizi
Consorzim
Ricerca
Marketing
ProduzioneSubfornitura
Subfornitura
3
36. La Massa Critica, alcune evidenze empiriche.
(Campione circa mille clusters/distretti)
Dimensioni:
IMPRESE
20% < 200 imprese
50% > 200 < 600 imprese
30% > 600 imprese
- ADDETTI
- 20% < 2000 addetti
- 50% > 2000< de 5,000 addetti
- 30% > 20,000 addetti
- Massa Critica competitività
- 10,000 addetti > competitività
Dott.LucianoConsolati
37. CICLO DI VITA
05
Stadio sviluppo crescita
eliminazione
selettiva
maturità saturazione
saturazione declino fossilizzaz.
Tasso di sviluppo
del mercato
esiguo molto
elevato
alto uguale
al P.i.l.
uguale alla
crescita
demografica
Negativo da esiguo
a nullo
Variazione del tasso
di sviluppo
modesta incremento
rapido
decremento
rapido
decremento
lento
scarsa decremento
rapido poi
lento, poi può
aumentare
lentamente
scarsa
Numero dei
segmenti
Pochissimi alcuni alcuni da alcuni a molti pochi pochi
Variazione tecnologica nel
disegno del prodotto
molto
grande
grande moderata scarsa scarsa scarsa scarsa
Variazione tecnologica nel
disegno del processo
scarsa scarsa
modesta
molto
grande
grande
moderata
scarsa scarsa scarsa
Interesse funzionale
più rilevante
ricerca e
sviluppo
engineering produzione marketing
distribuzione finanza
finanza marketing
e finanza
Unità
vendute
Profitti
Decollo
Punto di
flesso
Tasso
Crescita
P.i.l.
Tasso di
Crescita
demografica
Tasso di
Sviluppo < 0
Riposizionamento
38. Markusen, A. (1996). Sticky places in
slippery space: a typology of industrial
districts. Economic Geography 72, 293–
313.
Radicamento ‘territoriale’ e sviluppo endogeno
39. Le Tipologie dei Distretti
Fattori distintivi e strutturali Primordiale Evolutivo Consolidato Riposizionato
Numero di imprese e
dimensione
Poche micro e
piccole imprese
artigianali
Numero.significativo di
micro e piccole imprese.
Crescita dimensione
media
Imprese leader, micro e piccole
imprese (conseguimento di una
massa crítica)
Da modalità estensiva a
quella intensiva.
Riduzione imprese
marginali
Relazioni tra le imprese Scarse di tipo
orizzontale
Orizzontali e avvio di
processi di subdivsione
del lavoro
Ampie e articolate con
subdivisione del lavoro
verticale e reti orizzontali locali
Qualitative e quantitative.
Dalle reti corte alle reti
lunghe
Tecnologia di processo Bassa da fonti
esterne
Media, con learning by
doing
Elevato learning by interacting Elevato livello tecnologico
Grado di innovazione Scarso Scarsamente incrementale Incrementale costante Innovazione Radicale
Livello di differenziazione e
diversificazione
Nessuno Marginale Correlata al mercato o alla
tecnologia
Diversificazione correlata
e articolata
prodotto/mercato
Mercato del lavoro Informale Formale e Informale Formale Stabile Maggior qualificazione
Tipologia dei vantaggi
competitivi
Basso costo del
lavoro
Costi e inizio di economíe
di specializzazione
Costi e innovazione
incrementale
Maggiori economie esterne.
Innovazione, qualità,
apprendimento
Tipo di mercato Locale Locale/Regionale Nazionale e flussi di export Globale
Presenza e disponibilità di
risorse finanziarie
Scarsa/autofinanzia
mento
Bassa/autofinanziamento Disponibili Disponibili su progetti
Presenza di Banche locali Nessuna Poche Numerose Numerose con presenza
grandi gruppi bancari
Fattori istituzionali/sistema
Relazioni con le Istituzioni
Locali
Scarse e basilari Intense sugli aspetti
tecnico logistici.
Costanti e non solo di tipo
logistico, ma anche per lo
sviluppo
Intense per progetto di
sistema
Associazionismo Nessuno Nascita di gruppi e
associazioni
Consolidamento delle
Associazioni
Forte funzione delle
Associazioni
Servizi alla produzione No Domanda insufficiente a
livello locale
Presenza di servizi locali Forte evoluzione a
supporto delle imprese
Centri di Servizio/Agenzie No Definizione del bisogno Piena operatività Passaggio da Centri di
Servizio a Meta
40. Carta d’identità di un distretto
a) Informazioni anagrafiche:
- N° imprese, tipologia, occupati
- Localizzazione urbana, extraurbana ecc.
- Specializzazione del distretto
- Quota dell’attività di specializzazione sull’area di riferimento
- Quota dell’attività di specializzazione sul totale nazionale
- % esportazioni e quote relative
b) Tipologia: primordiale, evolutivo, ecc.
c) Storia di vita: nascita, crescita, ecc.
d) Presenza di Meta organizzazioni
e) Vantaggi competitivi: rapporto tra le imprese, concorrenza, ecc.
f) Minacce: concorrenza locale, internazionale
g) Strategie in atto
Dott.LucianoConsolati–09.2005-Mexico
Carta d’identità di un distretto
42. Perché si parla di un modello distrettuale
italiano?
• “Clusters” o “distretti” si trovano anche all’estero, però …
• Fattori che hanno favorito lo sviluppo dei distretti in Italia:
- Legislazione a favore delle imprese minori
- Frammentazione sistema distributivo
- Capitalismo (imprenditorialità) familiare
- Tradizione artigiana in settori a bassa tecnologia e bassa
standardizzazione
• Peculiarità dei distretti italiani:
- Consapevole cooperazione tra gli attori (ruolo delle
istituzioni)
- Meccanismi sociali di identificazione col distretto
(componente sociale)
• Oggi sono in sofferenza: “crisi strutturale” o “fase di
transazione”
43.
44. L’industria manifatturiera italiana nel 2001:
peso occupazionale delle specializzazioni e dei Distretti
100%
65%
44%
18%
Totale industria
manifatturiera
(4.894.796 addetti)
Settori tipici del Made in
Italy* (3.167.552 addetti,
57% dell’export italiano,
80 mld di euro di saldo
attivo con l’estero)
199 Sistemi Locali del
Lavoro-Distretti Istat
(2.174.000 addetti,
45% dell’export
italiano)
96 principali Distretti
industriali monoprodotto
(867.101 addetti)
* Moda, arredo-casa,
alimentare, meccanica
Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati Istat.
La fotografia dell’esistente
45. La rilevanza delle export dei distretti industriali
(in % export italiane negli stessi comparti)
Una forte presenza di distretti industriali
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70%
Meccanica Varia
Manufatti vari
Alimentare
Meccanica Strumentale
Beni per l'edilizia
Consumo Sistema moda
Intermedi Sistema moda
Mobili ed elettrodomestici
Totale distretti
Fonte: Banca Intesa, Monitor dei Distretti
46. Quote percentuali nell’export mondiale di alcuni
distretti industriali italiani leader: anni 1999-2000
Quote nell'export
mondiale
Cappe aspiranti per cucine Fabriano 55%
Piastrelle ceramiche Sassuolo 41%
Montature e occhiali Cadore e Padova 22%
Sedie e divani Udine e Bari-Matera 8%
Mobili e cucine Livenza, Brianza, Pesaro, Udine 11%
Calze Castel Goffredo 16%
Rubinetteria e valvolame Lago d'Orta-Valsesia e Lumezzane 15%
Selle per biciclette Rossano Veneto 41%
Macchine per il legno Rimini-Pesaro 9%
Macchine per imballaggio Bologna-Modena-Parma 12%
Macchine per gomma e plastica Milano-Udine 6%
Prodotti Distretti
Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati Istat e ONU
Ma il “Made in Italy” resiste alla sfida della globalizzazione
47.
48.
49.
50.
51. Il quadro normativo
Nell’ambito dell’ordinamento italiano, i principali riferimenti
legislativi per la definizione, localizzazione e gestione dei
distretti industriali sono i seguenti:
• Legge del 5 ottobre 1991, n. 317 (“interventi per
l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese”)
• Decreto del Ministero dell’Industria del 21 aprile 1993
• Legge dell’11 maggio 1999, n. 140 (“Norme in materia di
attività produttive”)
Con riferimento a questo quadro normativo le singole
Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano
provvedono alla specifica individuazione dei propri DI
52. 52
Fonte: Sito Cnel
REGIONE LEGGE/I DI RIFERIMENTO VERTICI/COMITATI
Abruzzo
L. R. n.11 3/3/99
L.R. n.97 18/05/00 Comitato di distretto della Marsica
Basilicata L. R. n.1 23/01/01 Comitato di distretto
Calabria L. R. n.21 13/10/04 Comitato di distretto
Friuli Venezia Giulia L. R. n.27 11/11/99 Comitato di distretto
Lazio L. R. n. 36 19/12/01 Comitato di distretto
Liguria L. R. n.33 13/08/02 Comitato di distretto
Lombardia
L. R. n.7 22/02/93
L.R. n.1 05/01/00 Comitato di distretto di Lecco
Marche L. R. n. 32 30/11/99 Comitato indirizzo e coordinamento (COICO)
Molise L. R. n.8 08/04/04 Comitato di distretto
Piemonte L. R. n. 24 12/05/97 Comitato di distretto
Puglia Bozza di Disegno di Legge Comitato di distretto
Sicilia L. n.17 28/12/04 Comitato di distretto
Toscana Del.Cons.Reg. n. 69 21/02/01 Comitato di distretto
Veneto PDL n. 23 19/07/02 Consulta distretti e metadistretti
Legenda: Per mista
si intende un
comitato/vertice
composto da
rappresentanti
degli enti locali,
dell'imprenditoria,
delle CCIAA, dei
sindacati, dei
Comuni dei distretti
e delle Province
COMPOSIZIONE FINANZIAMENTI
Mista a prevalenza Ass.
rappresentative delle Aziende agro-
industriali del Distretto Sì
Mista a prevalenza industriale Sì
Mista a prevalenza rapp. Comuni Non specificato
Mista a prevalenza rapp. Comuni,
industria e artigianato Sì
Mista a prevalenza CCIAA Sì
Mista a prevalenza org. sindacali Sì
Mista Sì
Mista pubblico/privato Sì
Mista pubblico/privato Sì
Mista pubblico/privato Sì
Mista a prevalenza imprenditoriale Sì
Mista a prevalenza rapp.
Commercio, artigianato e pesca Non specificato
Mista pubblico/privato Non specificato
Mista pubblico/privato Sì
53. Recentemente il tema dei distretti torna alla
ribalta
Sylos Labini: riformiamo le norme sui distretti
industriali
La riforma delle norme sui distretti industriali, in modo
da creare un ambiente più favorevole alle imprese e
contribuire alla rifondazione della base industriale
italiana. E' questo il nucleo della proposta avanzata
attraverso un disegno di legge dall'economista Paolo
Sylos Labini e sviluppata nell'articolo pubblicato sul
Sole 24 Ore del 15 luglio 2005.
http://www.clubdistretti.it/Archivi/archivi07/proposta-
Sylos-Labini.htm
I distretti nella legislazione italiana
54. Articolo 1 Riorganizzazione del sistema dei
distretti
Il sistema dei distretti, disciplinato dalla legge del 1991,
viene riorganizzato nei modi e nei termini stabiliti nella
presente legge. Le norme si applicano alle imprese che
operano nei distretti esistenti. Possono essere applicate,
previo parere favorevole dell’organo di cui all’articolo 2,
alle imprese che si costituiscono presso i distretti nuovi e
delle imprese che operano fuori dai distretti, con
particolare riguardo alle imprese inserite in filiere
produttive.
Per la riforma dei distretti e della base industriale
Bozza di un disegno di legge fondato sulle proposte emerse
nel gruppo di lavoro costituito nell’ottobre 2004 dal Cnel e che
lo stesso Cnel potrebbe presentare in Parlamento.
55. Articolo 2 Organo distrettuale di coordinamento e
d’indirizzo
In seno a ogni distretto viene istituito un organo
distrettuale di coordinamento e di indirizzo, d’ora in poi
definito “organo distrettuale”. Le modalità del
funzionamento di tale organo verranno definite per mezzo
di un protocollo d’intesa fra le parti sociali – associazioni di
industriali, artigiani e commercianti e sindacati – e le
Regioni, cui spetta un ruolo di grande rilievo. Il criterio
fondamentale, non derogabile, è di utilizzare lavoratori o
tecnici già operanti in ciascun distretto o comandati da
enti di ricerca e da Università, sulla base di rapporti
indicati nell’articolo 6.
L’organo distrettuale promuove i rapporti diretti fra le
imprese del distretto al livello orizzontale nelle filiere
produttive e i rapporti verticali, fra le imprese e gli enti
che si occupano di ricerca e di formazione e promuove, in
ciascun distretto, la creazione di scuole e istituti
professionali e, d’intesa con le università, corsi di laurea e
master post-laurea.
56. Articolo 3 Fondo di dotazione dell’organo
distrettuale
Per svolgere le sue mansioni istituzionali ogni
organo distrettuale disporrà di un fondo di dotazione che
si avvarrà dei contributi non solo del governo, ma anche
delle parti sociali e delle Regioni, secondo quote stabilite
nel protocollo d’intesa di cui all’articolo 2 e che in parte
potrà reintegrarsi con le entrate derivanti dai contributi e
dagli anticipi compiuti per conto delle imprese. L’organo
distrettuale è autorizzato a prendere accordi con le banche
e con le imprese sia per il credito normale che per quello
agevolato e collabora con le imprese per la gestione degli
incentivi fiscali e creditizi e per l’impiego di fondi destinati
alle innovazioni.
57. Articolo 4 Mansioni dell’organo distrettuale
All’organo distrettuale sono attribuite
cinque mansioni fondamentali. 1)Esecuzione per conto
delle imprese di tutti gli adempimenti amministrativi
necessari per l’avvio e l’attività delle imprese, fornendo
servizi d’informazione e di consulenza legale,
amministrativa, tecnica, finanziaria e fiscale. 2)Servizi di
consulenza e di promozione delle innovazioni provenienti
dal sistema della ricerca pubblica. 3)Promozione dei
rapporti con l’Unione europea. 4) Sostegno organizzativo,
anche d’intesa con gli organi di altri distretti o con
organismi europei, per progetti innovativi di speciale
rilevanza. 5) Infine, dovrà collaborare con le imprese e gli
organi del governo centrale per favorire gli sbocchi dei
prodotti locali sia nel mercato interno ed in quelli esteri.
58. Articolo 5 Modalità per l’unificazione degli
adempimenti
L’unificazione riguarda gli adempimenti pubblici
locali e centrali e i servizi di carattere pubblico. Fra quelli
pubblici rientrano gli adempimenti fiscali, i permessi di
edificare, gli infortuni sul lavoro; fra i servizi di carattere
pubblico rientrano gli allacciamenti per l’acqua, l’energia
elettrica, il gas e per il telefono.
Per attuare gli adempimenti l’organo distrettuale si
doterà di un sistema telematico attraverso il quale
trasmettere le richieste alle amministrazioni competenti,
sulla base delle dichiarazioni che rilasceranno le imprese
sotto la loro responsabilità. L’organo distrettuale richiederà
le autorizzazioni anche prima della effettiva utilizzazione,
sotto la sua responsabilità. Le amministrazioni competenti
non potranno opporre impedimenti alle richieste degli
organi distrettuali compiute secondo le regole qui
determinate.
59. Continua -Articolo 5 Modalità per l’unificazione degli
adempimenti
Il ministero dell’industria stabilirà i criteri che i distretti
dovranno seguire per assicurare la compatibilità dei loro
sistemi telematici, anche trasformando quelli già esistenti.
Lo stesso ministero assicurerà che gli stessi criteri vengano
via via adottati da le amministrazioni locali e da quella
centrale. Nel frattempo gli organi distrettuali useranno i
mezzi di cui dispongono nei rapporti reciproci e nei rapporti
con le autorità centrali e locali e i soggetti che amministrano
servizi di carattere pubblico.
Articolo 6 Riorganizzazione della ricerca applicata
L’organo distrettuale promuoverà la riorganizzazione
e lo sviluppo della ricerca applicata, tenendo conto della
vocazione dominante in ciascun distretto e promuovendo
un centro di ricerca per la gestione dei laboratori e per
regolare i rapporti fra il Centro, di cui al primo comma, gli
altri organi distrettuali, gli enti di ricerca, come l’ENEA e il
CNR, le Università e i centri di ricerca e gli organi europei.
L’organo distrettuale favorirà la collaborazione con gli organi
professionali, a cominciare con quello degli ingegneri.
60. Articolo 7 Rapporti coi centri di ricerca e gli organi
europei
L’organo distrettuale curerà rapporti sistematici coi
centri di ricerca europei, anche attraverso accordi, e con
organi dell’Unione europea per promuovere sostegni
organizzativi e finanziari e contribuire alle linee di una
politica industriale europea.
Articolo 8 Sostegno organizzativo per progetti di
innovazioni di particolare rilevanza
Progetti di innovazioni di particolare rilevanza,
approvati dai governi dei singoli Paesi e dagli organi tecnici
dell’Ue e finanziati almeno in parte con prestiti della Banca
europea degli investimenti possono godere d’incentivi e di
particolare sostegno a livello nazionale e/o a livello
europeo. Le modalità del finanziamento verranno stabilite
con la collaborazione dell’organo distrettuale, che potrà
ricevere la delega anche da imprese operanti fuori dal
distretto.
61. Articolo 9 Formazione dei lavoratori
L’organo distrettuale è autorizzato a promuovere,
d’intesa coi sindacati, con gli industriali e con le Regioni, il
rafforzamento e lo sviluppo della formazione di lavoratori,
anche specializzati, e di amministratori. Può inoltre
sostenere i sindacati qualora intendessero rafforzare ed
integrare, sulla base delle leggi esistenti, il sistema della
protezione dei lavoratori contro gli infortuni.
Articolo 10 Norme volte a favorire il
rafforzamento delle infrastrutture specifiche
L’organo distrettuale, d’intesa con le Regioni e coi
ministeri competenti, prenderà le misure utili a facilitare la
costruzione o l’ampliamento delle infrastrutture utili per i
distretti.
62. Articolo 11 Norme relative agli appalti
L’organo distrettuale studierà, insieme con le
imprese, le modalità adatte a evitare catene
eccessivamente lunghe e complicate di appalti e subappalti,
che aggravano i costi e favoriscono il lavoro nero.
Articolo 12 Il problema dell’energia al livello
distrettuale
L’organo distrettuale individuerà le forme più
adatte per rendere efficiente ed economico
l’approvvigionamento dell’energia per le imprese.
63. I distretti della Lombardia
• I distretti industriali lombardi sono stati definiti con le Deliberazioni della
Giunta Regionale (DDGR) n. 3839 marzo 2001 e n 76356 del 5 ottobre
2001. In particolare sono state definite due tipologie di distretto:
• Distretti “tradizionali” di specializzazione produttiva: aree
maggiormente consolidate e mature ove sono sedimentati da tempo
sistemi produttivi qualificati. Sono state individuate 16 aree appartenenti
ai seguenti settori di specializzazione:
- Produzione e lavorazione metalli
- Tessile-serico-calza-abbigliamento-accessori per l’abbigliamento
- Mobili e legno
- Gomma e plastica
- Apparecchi elettrici, elettronici e medicali
• “meta-distretti” o distretti tematici: aree caratterizzate dalla presenza
di filiere produttive ove i rapporti di contiguità fisica tra le imprese, si
sostituiscono i rapporti di rete ed una crescente intenzione tra imprese
produttive, criteri di ricerca e della conoscenza e attività di servizio della
filiera. Sono state individuate 5 aree meta-distrettuali nelle seguenti filiere:
Biotecnologie alimentari; Moda; Nuovi materiali; Altre biotecnologie;
Desing
64.
65. Con l’individuazione dei meta-distretti si
vogliono cogliere in via sperimentale
aree produttive di eccelenza con forti
legami esistenti o potenziali con il
mondo della ricerca e della produzione
dell’innovazione
Criteri di individuazione:
- significativa presenza di imprese
operanti in filiere produttive qualificate
da una significativa presenza sul
territorio regionale, e non
necessariamente nelle medesime aree;
-Presenza di centri di ricerche
scientifica e tecnologica connessi alla
medesima filiera e produttrici di output
tecnologici di elevato livello.
Distretti Produtivi
Distretti di specializzazione
Distretto tradizional X Metadistretto
67. Le caratteristiche dei
Distretti Tecnologici
I distretti tecnologici sono caratterizzati da fattori
quali:
• la presenza di centri di ricerca pubblici
• la presenza di imprese high-tech grandi (nazionali e/o
straniere) e/o piccole
• un elevato tasso di natalità e di crescita delle imprese
• la presenza di risorse umane qualificate
• uno spiccato spirito imprenditoriale nel campo delle tecnologie
avanzate
• la disponibilità di strumenti finanziari adatti ad iniziative ad alto
contenuto di innovazione
68. I Fattori e gli Indicatori per
l’identificazione dei Distretti Tecnologici
Fattori Indicatori utilizzati
A) Specializzazione
nell’ high-tech
A1) Consistenza delle imprese
high-tech
A2) Dinamica delle imprese
high-tech
Indice di specializzazione nei settori high-tech
superiore alla media nazionale
Distinzione tra high-tech industriale e high-tech terziario
Distinzione tra settori mediamente tecnologici e settori
altamente tecnologici
Variazione dei settori high-tech negli ultimi 5-10 anni
B) “Innovatività del
sistema”
B1) Disponibilità di risorse
umane qualificate
B2)Presenza dell’università e di
centri di ricerca pubblici e
privati
B3)Cultura imprenditoriale
Percentuale di laureati formati dalle università nelle
materie scientifico-tecnologiche sulla popolazione totale
superiore alla media nazionale
Percentuale di addetti all’università a ai centri di ricerca
nelle materie scientifico-tecnologiche sulla popolazione
totale superiore alla media nazionale
Tassodi natalitàdelleimprese
69. Le caratteristiche dei
Distretti Tecnologici italiani
Fattori/Tipologia di
distretti tecnologici
Grande impresa
high-tech che
innesca
l'interazione con
una forte ricerca
pubblica
Forte ricerca
pubblica che
genera sciame di
imprese con
crescente
vocazione
predominante
Ricerca industriale e
pubblica in via di
integrazione, in
presenza di
processi di
ristrutturazione
industriale
Ricerca pubblica che
crea condizioni di
base e imprenditore
schumpeteriano che
avvia la crescita con
specifica vocazione
high-tech
Imprenditore
schumpeteriano che
avvia la crescita e
successiva entrata di
soggetti industriali
dall'esterno
Poli di eccellenza
pubblici e privati in
via di integrazione
in assenza di
vocazione
predominante
Intervento
pubblico che
genera e attrae
sciame di imprese
sostenuto dalla
ricerca pubblica
Esempi Catania Pisa Torino, Genova Cagliari Mirandola Milano, Roma Trieste
Tipologia di città Città media Città piccola Città grande Città media Centro minore Aree Metropolitane Città media
Presenza di Epr *** ***** ** ** * *** **
Presenza di grandi
imprese high-tech ***** * ** ** *** *** *
Presenza di piccole
imprese high-tech ** **** ** ** **** *** **
Predominanza
economica della
vocazione high-tech *** **** ** ** **** ** ***
Predominanza di una
vocazione scientifico -
disciplinare **** *** ** **** ***** ** **
Puolo dell'intervente
pubblico *** ** *** ** * *** *****
Originalità ed
efficacia delle
collaborazioni
pubblico-privato *** ***** ** * * ** ***
Spirito imprenditoriale
nell'area *** ** ** *** ***** *** **
70. Fattori base per i Distretti
Tecnologici
• Presenza di centri di ricerca pubblici di elevato valore
• Presenza di (pochi) centri di ricerca industriali di grandi
dimensioni
• Presenza di agglomerazioni di attività ad elevato contenuto
tecnologico
• Presenza di risorse umane qualificate e a costi competitivi
72. a) Politiche di : sviluppo / emersione
manutenzione vantaggi competitivi
rivitalizzazione ( riposizionamento
strategico)
b) Politiche pubbliche come appoggio allo sviluppo e
cooperazione delle energie e competenze locali e
non come iniziative di supplenza
Le politiche industriali per i distretti
73. L’esperienza insegna
- il distretto non nasce per legge
- il distretto è un fenomeno organizzativo complesso
che deriva dall’interazione tra aspetti sociali-culturali
ed economici
- è necessario agire su tutte le componenti ambientali
74. Chi fa cosa?
Progetti di distretto e problemi
la messa in rete di tutti gli attori significativi
a livello locale per evitare la dispersione di
risorse e incrementare l’efficacia di interventi
e l’integrazione di diversi componenti
nell’economia locale interna al sistema
generare enti guida locali, che agiscano da
"catalizzatori", in grado di sviluppare linee
guida strategiche di sviluppo per i distretti
75. Il distretto come “sistema”
• E’ un SISTEMA EVOLUTIVO: evolve ogni qualvolta si
modificano le condizioni economiche, sociali ed ambientali
che lo circonda.
• E’ un SISTEMA COGNITIVO: apprende, produce e usa
conoscenza.
• E’ un SISTEMA AUTONOMO: ha una propria identità e una
propria autonomia, sebbene sia inserito in una fitta rete di
scambi di merci, di prodotti e di conoscenze che lo pongono
in continuo contatto con altre realtà.
• E’ un SISTEMA INSTABILE: incerto nelle dinamiche,
esposto a possibili forti conflittualità tra i vari attori.
• E’ un SISTEMA ORGANICO: ha origine spontanea e non
progettata, esiste di per sé, come conseguenza di una serie
di concause, di attività individuali non volontarie, ha un
elevato grado di libertà, che permette alti livelli di flessibilità,
di innovatività.
76. Una classificazione delle imprese distrettuali
Diffuso Concentrato
Elevata IMPRESA
GUIDA
IMPRESA
TRAINATA
Limitata IMPRESA
SPECIALIZZATA
IMPRESA
BLOCCATA
LIBERTA’
STRATEGICA
SVILUPPO DI COMPETENZE
I
II
III
IV
77. Tipologie di imprese distrettuali
• Imprese Guida: riescono ad esprimere una “dominanza” in
ambito competitivo e hanno raggiunto una posizione originale
sui mercati. Grande investimento nelle attività commerciali
(vendite, marchio, fiere, ecc) anche verso i clienti esteri.
Adeguata R&S e innovazione. Abilità nella gestione della rete di
subfornitura (elezione, coordinamento, motivazione).
• Imprese Trainate: sono deboli nell’innovazione e nella
progettazione, si muovono in spazi interstiziali, applicano
strategie imitative o adattive. Hanno competenze nel
coordinamento dei flussi produttivi e nell’allocazione del lavoro
tra le imprese locali (producono poco al loro interno). Usano
canali di vendita indiretti, si limitano alle fiere e all’export per
l’estero, non hanno un marchio affermato. Non hanno
competenze progettuali significative, non innovano. Applicano
strategie di tipo opportunistico, basate su un (precario)
vantaggio di costo. Si sostengono solo in virtù delle economie
78. Tipologie di imprese distrettuali
• Imprese Specializzate: hanno sviluppato competenze specifiche nell’area
produttiva, spesso sono le uniche in grado di svolgere una lavorazione in
zona. Hanno un livello di Know-how elevatissimo riguardo tecnologie,
impianti, processi, innovazione nel processo che presidiano. E’ situato lì il
loro vantaggio competitivo. Inoltre sono attente a mantenere al massima
efficienza di costo nel processo e così contribuiscono alla competitività
dell’intero distretto.
• Imprese Bloccate: sono imprese contoterziste, specializzate, che operano
in subfornitura per poche committenti locali, concentrate sulla riduzione dei
costi (mantenendo comunque standard di qualità in linea con la
commessa). Puntano al pieno sfruttamento della capacità produttiva.
Dipendono moltissimo dal cliente, anche per molte competenze produttive.
Non hanno strategie commerciali. Hanno una posizione contrattuale debole
e sono esposti al turnover dei clienti. Competono con la variabile prezzo.
Centralità assoluta dell’imprenditore, con competenze tecniche. Il vantaggio
di costo dipende dalla produttività del lavoro (competenze specifiche, ruolo
dell’imprenditore, capacità di gestire i flussi di lavoro).
79. Gli assetti organizzativi delle PMI
Come organizzare le PMI?
• “piccolo“ non significa “disorganizzato”
• diffidenza verso modelli e tecniche creati e
sviluppati per le grandi imprese
• il passaggio generazionale è il momento
critico: dal “saper fare” al “saper gestire”
80. Gli stimoli al cambiamento
• Sebbene il sistema distrettuale tradizionale sia chiuso, nei
momenti di crisi possono aprirsi dei “varchi” in cui si
introducono germi di cambiamento.
• Esempi:
- Sviluppo dimensionale delle imprese leader
- Entrata di protagonisti esterni (anche stranieri) per mezzo di M&A
di imprese locali o di investimenti diretti in loco
- Scelte di delocalizzazione, joint ventures, acquisizioni
extra-distrettuali da parte di imprese pioniere del distretto
- La riduzione degli ordini, della produzione, dell’export porta alla
chiusura di talune imprese
- Una nuova tecnologia
- Imprese intraprendono importanti strategie di diversificazione
• Queste operazioni sono sintomo di cambiamenti strategico-
organizzativi che modificano l’assetto dell’intero sistema
distrettuale
81. Il fabbisogno di governo
• Il sistema distrettuale si caratterizza per l’assenza di un
vertice strategico, di una struttura gerarchica, di un centro
decisionale sovraordinato.
• Le difficoltà incontrate da molti distretti sembrano dipendere
anche da una mancanza di “visione”, di direzione strategica
per lo sviluppo.
• Emerge la necessità/opportunità di assicurare al sistema un
meccanismo, una struttura, delle soluzioni che possano
spingere il sistema ad adattarsi dinamicamente ai
mutamenti del contesto ambientale di riferimento.
• Si richiede lo svolgimento di attività di valorizzazione delle
risorse, di consolidamento e/o riordino, di indirizzo, di guida, di
governo efficace del distretto.
“Si, ma …quale “tipo” di meccanismo di governo?”
82. Alternative teoriche
per la governance del sistema
• L’approccio di tipo “esogeno”:
- Autorità esterna
- Meccanismi di pianificazione dello sviluppo
- Formalità dei rapporti tra le imprese
• L’approccio di tipo “endogeno”:
- Autorizzazione
- Meccanismi di coordinamento essenziali
- Informalità nei rapporti tra le imprese
83. Il governo strategico del distretto
• Il governo del distretto avviene tramite l’identificazione di un
orientamento strategico di fondo che possa indirizzare i
singoli attori del sistema, che però operano in autonomia.
• Opera sulle condizioni di contesto.
• Promuove politiche a sostegno dell’imprenditorialità e del
patrimonio di risorse e competenze del sistema intero.
• Fornisce informazioni e agevola la comunicazione tra i nodi
del network.
• Conserva e alimenta la storia e la tradizione (le “radici”).
• Aiuta a individuare nuove prospettive e opportunità (le “ali”).
E’, in realtà, un’attività di “meta-management”
84. Il ruolo degli organi di governance
Compiti dell’organo di governo:
• evidenziare le problematiche da affrontare (analisi punti di forza e di
debolezza);
• individuare iniziative ad hoc coerenti con gli obiettivi prefissati;
• utilizzare metodi analitici e scientifici per la progettazione (business
plan, project financing, sistemi di valutazione della performance interna
ed esterna, sistemi di programmazione e controllo);
• incentivare e premiare gli imprenditori e i soggetti coinvolti in progetti
ambiziosi e innovativi;
• progettare meccanismi di accesso alle risorse finanziarie più adatti
alle esigenze del sistema distrettuale;
• selezionare e suggerire le strategie imprenditoriali più adatte al
momento (crescita per le linee interne, diversificazione, espansione
nelle stesse attività, aggregazioni informali o formali….).
85. Meta-management e ciclo di vita del
distretto
I distretti evolvono secondo un ciclo di vita, il sistema di governo
del distretto deve variare a seconda della fase del ciclo di vita:
Fase di formazione Fase di espansione Fase di maturità Fase di declino
Attività di
incubazione
del distretto,
assistenza e
promozione
dell’imprendit
orialità
Sostegno alla
crescita,
tramite
conferimento
di risorse ed
erogazione di
servizi alle
imprese
Ruolo
centrale,
compiti di
guida
strategica
per il
rilancio del
distretto
Presidio del
capitale
umano e
intellettuale
del territorio,
sviluppo di
progetti di
riconversione
86. Diverse tipologie di distretti
In base al livello di concentrazione delle imprese che vi appartengono,
si distinguono:
1. Distretti Indotti, ad alta concentrazione, caratterizzati dalla
presenza di pochi soggetti che governano larga parte delle
transazioni commerciali (es. Distretto di Belluno).
2. Distretti Concorrenziali aventi un livello di concentrazione più
basso, con alcune medie imprese con dimensioni e potere di
mercato paragonabili. (es. Montebelluna)
3. Distretti Polverizzati, con un elevato numero di piccole e
microimprese nessuna delle quali è commercialmente dominante
(es. Distretto di Prato).
Nell’ambito dei distretti produttivi la catena del valore
viene ad assumere delle configurazioni del tutto particolari.
87. Gli organi di meta-management
Enti che possono assumere la funzione di meta-
management:
CENTRI SERVIZI
AGENZIE DI SVILUPPO
BIC (Business Innovation Centres)
COMITATI DI DISTRETTO
88. I CENTRI SERVIZI distrettuali
• Producono servizi per le piccole e medie imprese locali, tutti
quei servizi che non è economico internalizzare, ad esempio:
consulenze tecnologiche; consulenze informatiche, internet e
Tlc; certificazioni della qualità; indagini di mercato e analisi dei
trend; marketing e comunicazione; formazione del personale;
internazionalizzazione….
• Presentano tipicamente un assetto proprietario misto,
pubblico e privato: hanno come enti fondatori le Pubbliche
Amministrazioni, la Camera di Commercio, le Associazioni di
categoria, le Banche locali e le singole Imprese.
• Vendono i loro servizi anche alle imprese non socie.
• Hanno una struttura molto flessibile, si avvalgono
prevalentemente di collaboratori piuttosto che di dipendenti.
• Esempi: Lumetel, Centro Ceramico, Centro Servizi Calze
90. LE AGENZIE DI SVILUPPO
• Enti pubblici costituiti e finanziati dai Governi (centrale o
locale) per promuovere lo sviluppo economico del territorio
attirando investimenti all’esterno (compresi capitali stranieri).
• Sono costituiti mediante Decreto legislativo il quale specifica le
caratteristiche fondamentali dell’agenzia: i suoi obiettivi, sia
istituzionali che operativi, l’ambito di iniziativa e i mezzi di
finanziamento.
• Gli ambiti di iniziativa sono più o meno ampi: ovviamente,
all’aumentare del territorio da promuovere, ma anche nel quale
cercare nuovi investitori, aumenterà la complessità gestionale.
L’agenzia è coinvolta in tutte le fasi del progetto, dalle sue fasi
preliminari fino a quelle finali.
• In Europa progetti di successo sono: la Welsh development
agency; la Irish development agency.
• Sono più di centocinquanta le agenzie di sviluppo che
aderiscono alla European association of development
agencies.
91. I BIC (Business Innovation Centre)
• Un BIC è un “sistema locale integrato di ricerca, selezione e orientamento di
imprenditori e progetti, inteso a cercare e sviluppare nuove attività
innovative indipendenti attraverso l’offerta di una gamma completa di servizi
alle imprese da parte di una struttura professionale ed economicamente
efficiente e attraverso la mobilitazione delle risorse e delle organizzazioni
pubbliche e private che rivestono responsabilità per lo sviluppo economico
della zona interessata”
• I BIC possono interessare non solo i distretti, ma anche i poli interessati
dalle grandi imprese, zone economicamente depresse.
• La loro attività comprende: comunicazione istituzionale; scelta dei possibili
futuri imprenditori; fornitura di servizi a prezzi molto contenuti.
• L’impresa nella fase di start-up rimane nell’incubatore per un periodo stimato
dai tre ai cinque anni, al termine del quale si presume possa operare in
modo autonomo sul mercato.
92. I Comitati di distretto
• Sono stati istituiti, ex legge 317/91, al fine di progettare un
piano per lo sviluppo dell’economia locale, di seguirne
direttamente la fase operativa attraverso gli investimenti previsti
in sede di programmazione (previa autorizzazione della Giunta
regionale).
• Possono essere strutture “leggere”, flessibili con un basso
grado di burocrazia (come nel caso della Lombardia); oppure
strutture burocratizzate, più lente e meno reattive (come nel
caso della Toscana).
• Molte Regioni tuttavia non hanno ancora provveduto al
riconoscimento dei propri distretti, impedendo così ai comitati di
entrare in funzione.
93. Gli altri enti che possono entrare in
gioco….
Camere di Commercio
Enti pubblici territoriali (Regione, Provincia, Comuni)
Università
Istituzioni finanziarie (Banche e società finanziarie)
Associazioni imprenditoriali (territoriali e di categoria)
95. La governance e la sfida
dell’internazionalizzazione
• Il nuovo contesto: interdipendenza dei mercati e delle
economie; facilità negli scambi transnazionali;
abolizione dei confini spazio-temporali; diffusione
mondiale della conoscenza.
• I distretti sono obbligati ad aprirsi.
• Gli organi di governance devono facilitare e orientare
questa apertura, promuovendo le relazioni.
• Gli organi di governance devono discernere tra gli
intangible assets replicabili e quelli peculiari (core
competences district specific) che invece devono
essere preservati.
96. La sfida della globalizzazione
La globalizzazione genera
pressione sui sistemi
distrettuali, perché crea
vaste reti globali di
produzione di beni e
conoscenza…
…il nuovo contesto
competitivo globale spinge
alcune “imprese-guida” del
distretto ( le più dinamiche)
ad internazionalizzarsi…
…la spinta delle imprese-
guida, supportata da strutture
di servizi distrettuali (qualità,
innovazione, promozione,
ricerca, formazione…)
favorisce l’apertura del
distretto e la sua
trasformazione in una…
RETE LOCALE
INTEGRATA IN
NETWORK GLOBALI
97. Il distretto tra “locale” e “globale”
• La ricerca di una maggiore competitività internazionale coincide con:
-il posizionamento in una logica di ampia divisione transnazionale del
lavoro,
-l’affiancamento ai flussi di esportazione di strategie di comunicazione e di
relazione stabili con i mercati, in grado di produrre nuova conoscenza da
incorporare in prodotti e processi.
• Nella costruzione delle reti trasnazionali, però, non vanno persi gli elementi
di specificità che hanno sempre contraddistinto le produzioni locali.
• Al contrario, questi rapporti complessi si creano solo quando vengono
valorizzate le caratteristiche peculiari di ciascun partecipante allo scambio: il
contesto locale deve essere in grado di far valere la propria originalità
distintiva nel panorama affollato delle varietà territoriali che entrano in
rapporto tra loro.
• La valorizzazione delle risorse distintive del locale diventa la condizione per
sostenere e qualificare la presenza nella dimensione trasnazionale.
98. Punti di debolezza
Localismo eccessivo e chiusura al mondo esterno “morte
per asfissia”;
Maturità del ciclo-vita dell’area;
Difficoltà ad affrontare innovazioni radicali;
Carenza di guida e strategie (governance) per crescere
e innovare (ad esempio, di attività di marketing e di
promozione a causa delle piccole dimensioni);
Forte esposizione alla concorrenza dai paesi a bassi
costi di produzione;
Difficoltà nell’entrare mercati potenziali emergenti;
99. RetiGlobalizzazione del mercato Evoluzione tecnologica
1. Innovazione tecnologica e tecnologie di rete
2. Risorse umane e qualificazione
3. Internazionalizzazione/globalizzazione
3,1 Decentramento di fasi di costi bassi
3,2 Smantellamento di reti tradizionali
3,3 Nuove reti e strategie "di CO-AFFARE"
Il nuovo contesto concorrenziale
Dott.LucianoConsolati
Impresa leader
100. Valore aggiunto di un prodotto nei differenti stati
del processo di produzione e commercializzazione
100
50
25
75
0
Materie
prime
Produzione Assemblaggio Distribuzione
all’ingrosso
Vendita
al dettaglio
101. Figura 2-2 Strategie generiche
VANTAGGIO COMPETITIVO
Obiettivo
ampio
Obiettivo
ristretto
Costo più basso Differenziazione
Differenziazione
Focalizzazione sui costi Differenziazione Localizzata
Leadership di costo
102. Figura 2-3 La catena del valore
ATTIVITA’ PRIMARIE
GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
SVILUPPO DELLA TECNOLOGIA
INFRASTRUTTURA DELL’IMPRESA
(per es. Finanza, Pianificazione)
APPROVVIGIONAMENTO
LOGISTICA
INTERNA
OPERAZIONI
(Produzione)
LOGISTICA
ESTERNA
MARKETING
E VENDITE
SERVIZI
POST-VENDITA
MARGINE
La catena del valore
104. Relationship models
Customer
Customer
S S S
S S S
S
S
S
S
S
S
Supplier Customer
Customer
SS SS SS
SS SS SS
SS
SS
SS
SS
SS
SS
PS
PSPS
PS
INNOVATIVE
LOCAL SUPPLIER
NETWORK
Primary Supplier
(Comaker)
Secondary Supplier
Customer
105. Relationship models
Customer
Customer
S S S
S S S
S
S
S
S
S
S
TRADITIONAL
SUPPLIER
NETWORK
Supplier Customer
Customer
SS SS SS
SS SS SS
SS
SS
SS
SS
SS
SS
PS
PSPS
PS
INNOVATIVE
LOCAL SUPPLIER
NETWORK
Primary Supplier
(Comaker)
Secondary Supplier
Customer
INNOVATIVE
GLOBAL SUPPLIER
NETWORK
106. Dai Distretti locali alle
Imprese virtuali globali
NetworkRegionaliIndipendenti
Utilizzo del concetto
di Impresa Virtuale
per lo sviluppo
d’affari:
Uso intensivo delle
moderne tecnologie
di comunicazione
Integrazione globale
degli affari
Imprese Virtuali
ImpreseVirtualiGlobali
107. FORUM
DISTRETTUALE
PIANO STRATEGICO
COMITATO GUIDA
PIANI DI FATTIBILITA’
Articolazione piattaforma metodologica sviluppo locale
FORUM
DISTRETTUALE
FORUM
DISTRETTUALE
• INNOVAZIONE TECNOLOCIGA
• CAPACITA’ PRODUTTIVA
• DESIGN
• INTERNAZIONALIZZAZIONE
• SCENARI
• BACKGROUND
CULTURALE
Graf. 1
Mappatura e analisi della
competitività socio-
economica del distretto
108. FASE 1: Costruzione degli scenari di riferimento
COMITATO GUIDA
BENCHMARKING
INTERNAZIONALE
COMPETITIVO
SCENARI
GLOBALI
BENCHMARKING
INTERNAZIONALE
ISTITUZIONALE
Graf. 2
109. Analisi strutturale
del distretto/area
Analisi competitiva
FORUM
DISTRETTUALE
MKT ISTITUZIONI
Analisi socio/
istituzionale
Benchmarking
Articolazione
tradizionale Distretti
Punti di forza e debolezza
Posizionamento competitivo • Differenze
• Scostamenti
Benchmarking
altri Distretti
FASE 2: Mappatura e analisi della
competitività socio-economica dell’area
Graf. 3
110. MKT ISTITUZIONI
Best practices
Ri-posizionamento
soggetti esistenti e
nuovi soggetti:
• Agenzie di sviluppo
• Consorzi
• Centri servizi
Benchmarking
Altri Distretti
Innovazione tecnologica
Capacità produttiva
Design
Internazionalizzazione
FORUM
DISTRETTUALE
FASE 3: Piano Strategico di Distretto
PIANO
STRATEGICO
4 Componenti
principali
Graf. 4
111. FASE 4: Piani di fattibilità specifici per ogni azione
Piani di fattibilità
INNOVAZIONE
TECNOLOGICA
CAPACITA’
PRODUTTIVA
DESIGN INTERNAZIONAL
IZZAZIONE
• SOGGETTI
• RUOLI
• RISORSE
• SOGGETTI
• RUOLI
• RISORSE
• SOGGETTI
• RUOLI
• RISORSE
• SOGGETTI
• RUOLI
• RISORSE
4 Componenti
principali
Graf. 5