SAN CAMILLO IN MUSICA - Presidio Sanitario San Camillo di Torino
Avvenire 22 settembre
1. Leazionidioggiegliorizzontididomani
DI PIETRO BALLOTTA
al carisma dell’Ordine dei Camilliani,
che da sempre incontrano i malati, al
futuro delle strutture sanitarie religio-
se, al sostegno degli ultimi: parla padre Vitto-
rio Paleari, Superiore Maggiore della Provin-
cia Italiana dell’Ordine del Ministri degli In-
fermi (conosciuti come Camilliani).
Padre Paleari, qual è oggi la missione dei
Camilliani e delle loro opere?
Il Carisma, dono di Dio a san Camillo e al-
l’Ordine da lui fondato, è chiaro e specifico:
la misericordia verso i malati e in particolare
verso i più bisognosi. Non una misericordia
qualsiasi, ma quella stessa che Dio usa verso
di noi, paterna e materna, senza giudizio, af-
fettuosa e premurosa, attenta alla nostra li-
bertà, gratuita. I religiosi Camilliani esprimo-
no la loro consacrazione a Dio attraverso la
professione di un quarto voto, dopo la po-
vertà, la castità e l’obbedienza, che è appunto
il servizio agli infermi, senza scopo di lucro e
totale, fino alla morte. D’altronde se un uomo
si vota a Dio, la vita la mette nelle Sue mani.
Obbedendo poi al nostro vero e unico datore
di lavoro, praticando le opere di misericordia
incontriamo "Il figlio del Padrone" diventato
nostro fratello e amico, proprio nell’approc-
cio con il malato, l’af-
famato e il forestiero.
Cito le parole di Gesù
"qualunque cosa fate a
questi miei fratelli più
piccoli la fate a me".
Dunquel’incontrocon
Lui nell’uomo biso-
gnoso, ci porta oltre la
vita terrena, entriamo
già da ora in un ambi-
to eterno.
Storicamente i Ca-
milliani attraverso quali strumenti hanno
praticato la loro missione di servizio al
malato?
Fin dagli albori dell’Ordine religioso i Camil-
liani hanno sempre "incontrato" il malato e il
povero sia laddove le istituzioni cercavano di
curarli, perlomeno di radunarli, sia nelle case
private o dove riuscivano a campare: sotto i
ponti, lungo gli argini del Tevere. Il nostro Or-
dine, nato a Roma verso la fine del ’500, è un
Ordine da Controriforma: i primi confratelli
la vita l’hanno messa a repentaglio senza tan-
ti tentennamenti. Erano tempi di repentine e-
pidemie pestilenziali e assenza di procedure
precauzionalisenonilazzaretti:inostri"mar-
tiri della carità" vi entravano per il servizio e
vi morivano (nei primi 50 anni dell’Ordine
sono morti circa 250 religiosi per questo mo-
tivo). Abbiamo sempre esercitato secondo il
Carisma di san Camillo nelle grandi istituzio-
ni ospedaliere pubbliche e nelle case private.
Nel ’900 c’è stato un cambio di rotta che ha
dato notevole impulso alla crescita dell’Ordi-
ne: è nato il pensiero di avere strutture proprie
affinché si potessero realizzare luoghi di cura
dovetuttal’organizzazionedipendessedalCa-
risma, quindi dalla centralità del malato, dal-
lo stile materno dell’attenzione e del servizio.
Lestrutturesanitariepropriesonocostatemol-
to care e non intendo parlare in senso econo-
micofinanziario.Ireligiosiimpegnatiperilser-
vizio davano di certo una connotazione pre-
cisa e marcata: uno stile "camilliano". A poco
a poco però sono stati sottratti dal "servizio a
domicilio",cheèandatoquasisparendo,eso-
no rimasti nelle strutture pubbliche solo co-
me cappellani. Il servizio religioso è una per-
D
on è possibile avere una ricetta per
il vasto campo di presenza opera-
tivadellaChiesaperl’uomo,inpar-
ticolare per il malato»: ne è certo padre Vitto-
rio Paleari quando parla di cosa stiano realiz-
zando i Camilliani in Italia. «Abbiamo costi-
tuito due Fondazioni per separare nettamen-
te la gestione delle opere sanitarie e socio-as-
sistenziali dall’Istituto religioso. Alle Fonda-
zioni il compito amministrativo e ai religiosi
i compiti pastorali. A una grande "liberazio-
ne" dei religiosi corrisponda un profondo ri-
torno alla diretta attenzione all’uomo, senza
confini istituzionali».
«Unasecondaazione–riprende–èstatalacen-
tralizzazioneeunificazionegestionale-ammi-
nistrativa per concentrare risorse, controllare
la spesa, ottimizzare le competenze e fare e-
conomia di scala. Purtroppo il risparmio im-
posto dalle circostanze o dalla politica è an-
dato a discapito degli utenti. La nostra è stata
N«
una vera riforma organizzativa dove si è visto
diminuireilpoteredeidirettorilocaliaffinché
tuttipartecipasseroconsapevolmenteallescel-
te strategiche».
«Tra le azioni svolte, la trasparenza dei bilan-
ci è un altro passaggio importante. Una seria
certificazione dei conti economico-finanziari
è il minimo per una presentazione delle Fon-
dazionicomecredibilieaffidabili.Ilnostrobi-
lancio è chiaro, aperto, rispettoso delle neces-
sità dei cittadini e di chi ancora lotta per una
granderesponsabilitàsocialecomeillavorodei
propri dipendenti.
Un ultimo punto a cui tengo particolarmente
èlacollaborazioneconglialtriIstituitireligiosi
che operano nei servizi socio-sanitari. Mag-
gior collaborazione o addirittura confedera-
zione tra gli istituti della Chiesa è una realtà
che si imporrà da sé. Oggi gli Istituti religiosi
nel campo sanitario ed assistenziale sono ra-
dunatinell’associazioneAris(Associazionere-
ligiosi istituti spedalieri) la quale però è uno
strumentochevarifondatonelladirezionedo-
ve gli associati non si accontentano dei servi-
zi che possono ricevere bensì accomunano e
affidano anche il campo gestionale in modo
d’aver un peso maggiore come parte sociale
imprenditoriale a difesa del bene più prezio-
so che ci passa tra le mani: il paziente, l’uomo.
La riconversione dell’impegno verso il biso-
gno reale è fondamentale. Oggi le Asl chiedo-
no molto più supporto nei servizi socio-sani-
tari-assistenziali che in quelli sanitari puri. In
altreparoleilnostroserviziocorrispondemol-
todipiùaibisognidelterritorioquandoside-
clina in hospice o comunità psichiatriche an-
ziché nelle Case di cura, soprattutto là dove è
già fortemente presente il pubblico e il priva-
to for profit».
Bisogna concentrare le risorse solo sulle ec-
cellenze e sulle strutture davvero necessarie –
conclude Paleari –. Il resto sia dedicato a co-
Ilservizioaimalatiintempodicrisi,
trabisogniemergentienuoveattenzioni
ggi in Italia molte opere apostoliche
ospitano e curano i poveri
gratuitamente anche con la partecipazione di
personale medico e infermieristico», sostiene il
Superiore della Provincia italiana dell’Ordine dei
Camilliani, padre Vittorio Paleari, tuttavia, mette
in guardia: «Se decenni fa le opere religiose
hanno avuto qualche vantaggio economico da
eventuali guadagni e si è potuto investirli in
progetti per altre tipologie di difficoltà umane a
carattere sociale e missionario, da oltre dieci
anni ciò non è più possibile. Siamo arrivati a un
punto di oggettiva insostenibilità. In questa crisi
però la generosità della gente semplice continua
imperterrita permettendoci di mantenere i
nostri sforzi missionari senza i proventi delle
strutture, che dunque hanno perso anche il loro
valore aggiunto di supporto alle missioni». Come
sosteniamo allora le missioni? Per padre Paleari
«Grazie al trionfo dei poveri che si aiutano tra
loro con sacrifici di solidarietà. Guardate
all’esempio di fratel Ettore che a Milano
O« conoscono tutti: ha forse avuto qualche struttura
sanitaria dietro a sostenere il servizio per i suoi
senza tetto? Nulla di tutto ciò, eppure la sua
carità attira ancora altrettanta carità da gente
semplice e umile per quel tanto che basta ad
andare avanti con dignità». Un’altra via allora
potrebbe essere quella della sanità low cost? «Le
prestazioni mediche a tariffe ridotte sono
tentativi di rispondere ai bisogni creati dalla crisi
– prosegue il Camilliano – e di rendere
accessibili a molti alcuni servizi medici basilari.
Tuttavia non sono le azioni delle singole
strutture, ma la sussidiarietà pubblico-privata e
fra Istituti religiosi che può dare una risposta
concreta e su grande scala ai bisogni delle fasce
deboli. È necessario agire di concerto con la
pubblica amministrazione per intercettare i reali
bisogni della cittadinanza e del territorio. La
nostra missione è di servire i dimenticati, coloro
di cui nessuno ancora si sta prendendo cura o
coloro che devono essere serviti
pazientemente».
Unireleforzeperservirechistamale
Mossastrategicaedibuonsenso
na maggiore collaborazione tra sanità
pubblica e privata e fra Istituti religiosi.
È quanto si augura padre Vittorio Paleari
anche se indispensabili sono dialogo e
disponibilità a lavorare per l’uomo e il bene
sociale. «Se le intenzioni sono affini –
sottolinea con forza il Padre – e tutte le
parti vogliono il bene per l’umanità, allora
il dialogo porterà dei frutti. Da parte nostra
non possiamo accontentarci del nostro
lavoro così come è, senza adattarci ai
bisogni socio-assistenziali. Nessuno come le
istituzioni ecclesiastiche lavora e
accompagna la storia dell’uomo, nel suo
evolversi imprevedibile e prorompente ma
a volte anche discriminante o indifferente
verso categorie di persone che non ce la
fanno, o popoli interi stretti da morse di
mercati non rispettosi delle persone,
miranti solo al profitto e insensibili verso i
più deboli».
«Nell’accompagnamento dell’uomo credo
U sia necessario adattare il nostro apostolato,
il nostro ministero, la nostra
organizzazione.
Unire le forze tra chi crede nelle stesse
motivazioni per servire l’uomo mi sembra
perfino banale sostenerlo. Non c’è un altro
futuro se vogliamo rimanere presenti e
significativi nell’ambito della cura. Unire
dunque le forze a livello di istituti e Ordini
religiosi, ma io aggiungo, ivi compresa la
Chiesa diocesana e soprattutto la
Conferenza episcopale italiana. È una mossa
strategica che deriva dal buon senso.
Significherebbe dar peso e consistenza alle
opinioni e alle scelte, e immagine di unità e
di serietà di servizio durevole nel tempo.
Certo è che ogni istituzione ecclesiastica
deve saper mettere in comune ciò che ha,
attenersi alle strategie di un organismo
centrale che, alleggerendo i vari istituti, si
assume responsabilità civili, finanziarie e
manageriali».
la preziosa negli ospedali
pubblici,tuttaviaèsolouna
parte del nostro Carisma.
Oggi in Italia il contesto è
sicuramente cambiato, co-
sì come i bisogni sanitari
delle persone. Ritiene che
le opere religiose stiano
perseguendo i principi del
proprio apostolato?
Per non perdere le peculia-
ritàdelCarismacamilliano,
cheèdedicatoalserviziodei
più poveri, abbiamo tra-
sformato case di cura priva-
teinstruttureaccreditate.La
collaborazione con il pub-
bliconell’accreditamentoci
hariportatoallivellodeibi-
sogni del popolo. Tuttavia
le strutture ospedaliere reli-
giose faticano, ancor più in
tempo di crisi, a esprimere
un livello di qualità e attenzione al malato a-
deguato alla missione. Perlomeno in Italia, ri-
schiamo di offrire un servizio che non è una
risposta alla realizzazione del Carisma. Con-
siderando quella che è la nostra missione ori-
ginaria, le opere apostoliche sanitarie sono ar-
rivate a un capolinea
per cui si rendono
obbligatorie alcune
scelte.
Come ritiene si sia
arrivati negli anni a
questa situazione?
Le principali cause
sono due: la prima è
stata l’omogeneizza-
zione del servizio,
forzatadall’accredita-
mento al Sistema sa-
nitario nazionale; la seconda causa è la diffi-
coltà a esprimere una qualità peculiare del ser-
vizio rispetto le altre strutture sanitarie private
e pubbliche. Se da un lato sono diminuite le
risorse (lo Stato non è solo in crisi finanziaria,
ma sembra non tenerci in specifica considera-
zione),dall’altrolaqualitàtecnicaemedicaha
raggiunto buoni livelli diffusi. Benché partia-
modaprincipievangeliciche
ci distinguono, oggi i risulta-
ti concreti delle opere reli-
giose non hanno sostanziali
differenze dalle altre struttu-
re. Le nostre strutture hanno
davvero un incredibile valo-
re storico di servizio, basti
pensare a come eroicamente
abbiano supplito fin dal do-
poguerra alla debolezza del
sistema sanitario. Ora però
queste opere hanno com-
piuto la loro età e allo stato
attuale è difficile trovarle
sempre all’avanguardia, ri-
schianoquindididivenireu-
na negazione del principio
pastorale dell’apostolato: "Il
servizio all’uomo a secondo
del suo tempo e delle sue ne-
cessità". Il rischio è quello di
affezionarsiedifenderetrop-
po ciò che si è creato, consumando ogni ri-
sorsa dell’Istituto religioso e perdendo la cen-
tralità dell’uomo, motivazione fondamentale
per ogni "investimento pastorale".
Le sue sono parole forti. Ritiene che le ope-
re possano divenire per gli Ordini religiosi
un ostacolo alla propria missione?
Assolutamente sì. C’è bisogno di non sentirsi
soffocati dalle macerie dei monumenti seco-
lari realizzati ieri e che oggi rischiano di di-
ventare "pietre tombali" degli istituti religiosi
stessi. Il bene fatto in passato è un’eredità pre-
ziosa, ma difficile poiché può inibire l’azione
caritativa nel presente. È lo stare a diretto con-
tatto con il povero e l’ammalato che ricarica la
vocazione e l’entusiasmo missionario; altri-
menti il rischio è che subentri un senso di i-
nutilità dettato proprio dal fatto di non servi-
re le persone con i bisogni più gravi e che tro-
vano poca attenzione altrove. Le strutture o-
spedaliere degli Ordini religiosi non sono più
valide e rispondenti alle necessità come lo so-
nostatenelpassato.Nonparlodituttelestrut-
ture ovviamente, ma di quelle presenti dove
l’offerta sanitaria è già alta o che si acconten-
tano di offrire servizi medici diffusi. La cen-
tralitàdiognisforzoormaisembraessereladi-
fesa della struttura stessa. La linea pastorale
della centralità dell’uomo scricchiola sotto i
colpi della necessità di far quadrare i bilanci.
Sostanzialmente stiamo perdendo tempo in
una resistenza inutile.
Che scelte devono compiere le opere reli-
giose per riavvicinarsi alla missione origi-
naria di servizio del malato e dei suoi biso-
gni concreti?
Non ho ancora citato una distinzione fonda-
mentale fra le opere religiose, quella fra le o-
pere sanitarie e le opere socio-assistenziali. Fi-
nora abbiamo parlato delle difficoltà solo nel
campo sanitario, ma negli ultimi anni l’atten-
zione che l’ammini-
strazione pubblica ci
rivolge riguarda so-
prattutto il nostro o-
perato socio-assisten-
ziale. Nel pubblico
stiamoassistendoaun
forte processo di deo-
spedalizzazione: in o-
spedale si riducono il
più possibile i tempi e
i costi di degenza affi-
dando alle case di ri-
poso quelli che erano i molteplici servizi del-
le antiche lungodegenze. Le stesse Rsa (Resi-
denzesocio-assistenziali)sonochiamateaspe-
cializzarsi per hospice, stati vegetativi persi-
stenti, cure palliative, country hospital, post-
acuzie, neuropatie degenerative... Il cosiddet-
to "sociale" riguarda una gamma di servizi al-
l’uomo molto vasta ma sempre nell’idea delle
comunità d’accoglienza o delle comunità-fa-
miglie (cioè con ospiti non oltre un numero
plausibile) per malati psichici o psichiatrici,
perrecuperoumanoesocialedifratellidrogati,
alcolizzati o dipendenti da altri disturbi, per
bambini con problemi d’inserimento, per di-
versamente abili, per profughi o stranieri in
cerca di lavoro. Mi pare che un vasto campo
davanti a noi rimanga ancora aperto; la cosa
più interessante è vedere chi resta rigido a di-
fendere ciò che ha, centrando i suoi sforzi sul-
lastruttura,echiinveceaccettalasfidaediventa
elastico intercettando la domanda, concen-
trandolasuaattenzionesuibisognidell’uomo
inunterritoriospecifi-
co,conorganismipre-
posti e che ancora
chiedono collabora-
zione. Quindi per ri-
spondere direttamen-
te alla domanda dico:
discernere se e quali
strutturesonodavvero
necessarie in uno spe-
cifico territorio e dia-
logare con la pubblica
amministrazione per
accordarci sulla eventuale trasformazione-ri-
conversione delle strutture in favore dei biso-
gni reali. La pubblica amministrazione ci de-
ve vedere come un interlocutore da un lato in-
teressato all’uomo nelle sue necessità, dall’al-
tro interessante per la nostra sensibilità e pre-
mura nella cura, oltre che per la competitività
del nostro costo.
loro che lo Stato non riesce più a servire, alle
necessitàdelterritorio,allerealiemergenzeso-
ciali, alle nuove povertà. D’altronde se voglia-
mo vita nuova bisogna che qualche semente
accetti di morire. Capisco che è molto diffici-
le staccarsi da strutture che sono costate care
in risorse affettive, umane e finanziarie e che
ci hanno accompagnato e aiutato tanto nella
storia recente ma bisogna rendersi conto che
ètuttoesoloministero,nulladiassoluto.Dob-
biamo fare uno sforzo per restare meno lega-
ti a forme di ministero che in definitiva fanno
solo il percorso della loro storia che non è e-
terna, per essere disponibili alla provvisorietà
e più a contatto diretto con l’uomo, specie se
precario. Siamo chiamati ad essere lievito con
opere di misericordia nella massa del mondo,
collaborando con chi ha a cuore l’uomo, non
pretendendo d’essere assicurati da ferrei con-
tratti, ma seguendo le indicazioni della Divi-
naProvvidenzadisponibiliallaprovvisorietà».
Operereligiose,
èoradicambiare?
La casa di cura San Pio X di Milano
DOMENICA
22 SETTEMBRE 201324 speciale FONDAZIONE OPERA SAN CAMILLO
Parla padre Vittorio Paleari
«I Camilliani hanno sempre
"incontrato" il malato e il
povero fino a creare strutture
dove si potessero curare,
realizzando il proprio carisma»
«Considerando quella che è
la nostra missione originaria,
le opere apostoliche sanitarie
sono arrivate a un capolinea
per cui si rendono oggi
obbligatorie alcune scelte»
Fratel Ettore Boschini con alcuni ospiti del Rifugio di via Sammartini a Milano
Pagina a cura di padre Vittorio Paleari,
Superiore Maggiore della Provincia Italiana
dell'Ordine Religioso dei Ministri degli Infermi - Camilliani
Presidente delle Fondazioni Opera e Ospedale San Camillo
via Vittorio Veneto 47, 24042 Capriate San Gervasio (BG)
tel. : 02.69515200
AcolloquioconilSuperioreMaggioredei
Camillianitrastoria,missioneediscernimento
Padre Vittorio Paleari