Il mio progetto di servizio civile: l'essenziale è visibile agli occhi
1. Matteo Aluigi
Matricola n. 156027
Dipartimento di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in “Filosofia e linguaggi
della modernità” (LM-78)
E-mail: matteoaluigi@alice.it
Cellulare: 3281543133
“L’essenziale
è visibile agli
occhi”:
progetto di
Servizio Civile
Attività formative e
professionali sostitutive al
tirocinio
Anno accademico 2013/2014
2. Introduzione
Questa breve relazione ha tre scopi, a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo. Il primo scopo è
descrittivo e mira a fornire le informazioni di base circa l’attività che ho svolto in alternativa al tirocinio. Il
secondo invece è valutativo perché è tramite un’autovalutazione che posso riportare quelli che considero i
tratti formativi salienti del percorso intrapreso. Il terzo scopo è infine più intellettuale, in quanto concepito
come un momento di riflessione – soprattutto personale – nel tentativo di cogliere la congruità dell’attività
scelta con il mio corso di studi.
#1. Servizio Civile Volontario nel settore dell’assistenza ai disabili
Il 1/11/2013 ha inizio il mio cammino con e per le persone con disabilità in qualità di “servizio civilista”
all’interno delle attività promosse dalla cooperativa sociale “La Rete”. Questa cooperativa è un ente che
offre servizi diversificati di sostegno alle persone con disabilità (competenza soprattutto di un’équipe di
educatori professionali), di supporto alle loro famiglie (competenza soprattutto di un’équipe di assistenti
sociali) e di sensibilizzazione nonché di corresponsabilizzazione della comunità (competenza in generale di
tutti gli operatori). Il mio contratto di Servizio Civile (“Un anno per ES.SER.CI.”, esperienza di Servizio Civile
Provinciale promosso dalla Provincia Autonoma di Trento) prevede l’inserimento nelle attività di sostegno
alle persone con disabilità e mi pone quindi in stretto contatto con l’équipe degli educatori. Di
conseguenza, la mia area di lavoro da un canto è assistenziale ma dall’altro pedagogica. In questo settore,
il cammino che sono chiamato ad intraprendere si dirama perlomeno in quattro direzioni.
Anzitutto sono tenuto a partecipare in prima persona a diverse attività di gruppo diurne (ove ogni
gruppo ha almeno un educatore di riferimento ed è composto da persone con disabilità, volontari,
tirocinanti, ecc…). Ogni lunedì mi unisco ai lavori, ed in parte li coordino, di un gruppo di persone con
disabilità fisica che ricerca su Internet del materiale informativo per poi redigere mensilmente una
newsletter interna alla cooperativa (“gruppo Web”). Ogni martedì pomeriggio prendo parte alle discussioni
di un gruppo di persone con disabilità fisica, relazionandomi e confrontandomi con loro circa tematiche
personali (“gruppo Noi”). Ogni giovedì supporto alcune persone con disabilità fisica e/o intellettiva mentre
sperimentano l’arte in diverse forme – soprattutto tramite disegni e tramite la musica (“gruppo Giokarte” e
“gruppo Diapason”). Ogni venerdì assisto persone con disabilità fisica e/o intellettiva nell’apprendimento e
nell’esercizio di nozioni elementari d’informatica (“gruppo Cyber”). Ogni sabato trascorro con persone con
disabilità fisica e/o intellettiva un momento di divertimento condiviso e di relazione normalizzante per
mezzo di incontri o uscite nel territorio (“gruppo Rosa dei venti”).
In secondo luogo sono tenuto a seguire individualmente una persona con disabilità cognitiva nel suo P.i.s.
(Progetto Integrazione Sociale) una volta a settimana. Il P.i.s. prevede l’inserimento graduale di persone
con disabilità in contesti lavorativi che consentano di valorizzare le capacità e le autonomie del soggetto.
Così ogni martedì mattina affianco e cerco di supervisionare l’andamento lavorativo e relazionale di una
persona con disabilità all’interno di “Cavit”, nel reparto del packaging di bottiglie di vini e spumanti.
In terzo luogo, grande rilevanza hanno i momenti con uno spessore formativo più marcato. Nel dettaglio,
il contratto di Servizio Civile contempla un momento di formazione generale ed uno di formazione
specifica. Il primo momento consiste in una serie d’incontri organizzati dall’Ufficio Servizio Civile della
Provincia Autonoma di Trento in cui ai “servizio civilisti” si propone un percorso di crescita di sé, di sé in
quanto parte della società e quindi della comunità in generale. Tra alcuni momenti di frontalità ed altri di
dibattito, si riflette insieme su temi quali la storia del servizio civile, il suo significato sociale, la difesa della
patria, il viaggio, la costruzione dell’identità, la diversità, ecc… Il secondo momento invece, quello di
formazione specifica, è più incentrato sul settore disabilità e relativamente a quest’ultimo mira a fornire
3. nozioni di base ma anche espedienti operativi circa il “saper essere” e il “saper fare”. Si tratta
sostanzialmente del Corso Volontari “Con e per la persona con disabilità e la sua famiglia”, organizzato
direttamente da “La Rete” e frequentato da me nel 2012, per potermi candidare ed essere accettato come
volontario presso la cooperativa (da febbraio a maggio 2013), prima ancora che come “servizio civilista”.
Infine, da menzionare sempre tra i momenti di un certo spessore formativo, la partecipazione ogni
mercoledì alla riunione di pianificazione strategica dell’équipe degli educatori – in cui ci si accorda sugli
obiettivi, sui piani d’azione educativa, sul programma della settimana, ecc… –.
In quarto ed ultimo luogo, è fondamentale sottolineare che il Servizio Civile comporta in primis la scelta
di un progetto da realizzare (piuttosto che di un ente in cui operare). Nel mio caso il progetto presenta il
titolo simbolico “L’essenziale è visibile agli occhi: identità in viaggio” e la sua essenza risiede nel fotografare,
documentare e poi catalogare diversi attimi e diverse attività svolte dalle persone con disabilità, per
rilasciare infine a ciascuno di loro un bagaglio personale di ricordi che in parte possa “raccontarli”. Questo
progetto ha quindi come finalità quella di fornire una testimonianza ed è un’operazione delicata e
significativa, in quanto costituisce un canale espressivo di sé per soggetti che spesso incontrano difficoltà a
spiegare la propria persona oppure a ripercorrere momenti, sensazioni, emozioni e pensieri.
#2. Maturazione formativa ricavata da quest’esperienza
Ancor prima d’iniziare effettivamente il servizio, l’Ufficio Servizio Civile della Provincia Autonoma di
Trento invitò tutti i futuri ragazzi “servizio civilisti” a riflettere sulle attese e sulle aspettative che nutrivamo
relativamente a quest’esperienza formativa e professionale. In questo stadio ancora preventivo, ritenevo
che il mio Servizio Civile potesse essere sia un’opportunità di crescita personale – un’esperienza istitutrice
di un “me” più forte e responsabile, una volta che questo “me” si fosse messo in discussione ed in gioco
all’interno di un processo d’apertura costante verso l’altro – che un’occasione per creare utilità sociale –
un’esperienza che mi permettesse l’acquisizione di una maggiore consapevolezza d’essere anch’io parte
costituente (passiva) e costitutiva (attiva) del mondo sociale –. Dopo aver iniziato di fatto il servizio, un
bilancio consuntivo, in cui vengono valutati i risultati conseguiti nei primi mesi, non è altro che una
conferma delle attese e delle aspettative pensate in precedenza. Il Servizio Civile nel settore dell’assistenza
ai disabili si rivela essere un percorso di maturazione formativa sia a livello esistenziale (di me come
persona) che a livello sociale (di me come parte della società) nonché una modalità privilegiata di
orientamento professionale e di maturazione di competenze professionali, potenzialmente spendibili in
futuro nel mondo del lavoro. Concentrandomi soprattutto sulla maturazione formativa ricavata da
quest’esperienza, mi soffermo qui di seguito sinteticamente su alcune capacità, competenze o sfide
formative che ho raccolto lungo il mio cammino con e per la persona con disabilità descritto nel capitolo
precedente.
Capacità, competenze e sfide relazionali: capacità di ascolto e relazione, acquisite attraverso la
conoscenza teorica della disabilità psicofisica e nella pratica della relazione d’aiuto. Capacità di offrire
supporto educativo e psico-pedagogico, maturata nell’approfondimento delle tematiche relative alla
disabilità e nel costante lavoro a contatto con professionisti del settore. Sviluppo dello spirito di
gruppo e della capacità di lavorare in team attraverso la partecipazione agli incontri d’équipe, alle
attività di gruppo e alla cooperazione con gli operatori de “La Rete”.
Capacità, competenze e sfide organizzative: senso dell’organizzazione e capacità di sviluppare
progetti, acquisite nelle fasi di progettazione e organizzazione delle diverse attività che
caratterizzano nello specifico il mio progetto e che, in generale, stanno alla base dei servizi alla
persona che offre la cooperativa. Conoscenza di diversi soggetti (istituzioni, pubbliche
amministrazioni, privati) che offrono strumenti importanti per poter pianificare lo svolgimento di
4. attività varie e capacità di entrare con loro in un rapporto prolifico di collaborazione e di utilità
sociale.
Capacità, competenze e sfide artistiche: competenze artistiche basilari ed elementari di didattica
artistica per bisogni educativi speciali, acquisite da un canto nell’ambito del mio progetto (portando
avanti il lavoro di testimonianza da realizzare per mezzo di fotografie e video) e dall’altro
supportando persone con disabilità nella loro manualità artistico-espressiva (lavori con arte materica
al “gruppo Giokarte” ed esecuzione di brani musicali al “gruppo Diapason”).
#3. Congruità dell’esperienza formativa con il mio percorso di studi
L’attività di Servizio Civile Volontario che ho descritto finora, tanto in termini di attività in cui consiste
(primo capitolo) quanto in termini di bagaglio formativo che rilascia (secondo capitolo), va infine rapportata
in qualche modo al percorso di studi che sto svolgendo – corso di laurea magistrale in “Filosofia e linguaggi
della modernità” presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento,
curriculum “Storia della filosofia e scienze umane”. A tale scopo vorrei compiere un’operazione azzardata:
tralasciare per quest’ultimo punto l’aspetto più formale della presente relazione ed avventurarmi in una
serie di considerazioni più strettamente personali. Incontrerei infatti grandi difficoltà nel rendere conto in
modo convenzionale della congruità della mia esperienza di Servizio Civile nel settore dell’assistenza ai
disabili con il mio percorso di studi nell’ambito filosofico. Di primo acchito, si tratta di due sentieri diversi, la
cui conciliazione è ardua se non forzata. Eppure, per mezzo di una riflessione personale di ampio respiro,
qualche nesso tra le due strade può essere colto eccome! Dal mio punto di vista, il tirocinio (o un’attività
formativa e professionale sostitutiva al tirocinio) rientra nel nostro percorso di studi in quanto costituisce
una prima esercitazione pratica delle nozioni teoriche acquisite, una prima sperimentazione concreta nel
mondo del lavoro di quanto appreso nel mondo universitario. Non che queste due sfere siano distinte o
distanti, anzi: teoria e pratica, mondo dell’università e del lavoro, pensieri sulla vita e vita convivono a
stretto contatto. Sotto questo profilo, sarebbe interessante concepire il tirocinio come un momento utile
per acquisire consapevolezza circa l’inesistenza del dualismo di pratica e teoria, di vita e sistemi di
pensiero sulla vita. Questo vale anche (e forse soprattutto) per uno studente di filosofia, se accettiamo
l’idea oggi in voga che già «le opere filosofiche dell’antichità non fossero composte per esporre un sistema,
ma per produrre un effetto formativo», per riflettere su e per far propri «un modo di vivere, una forma di
vita, una scelta di vita» (A. I. DAVIDSON, Prefazione in P. HADOT, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi,
Torino 2013, pp. XI-XIII). Da queste considerazioni mi sembra emergere il fatto che gli studi universitari in
generale e quelli filosofici in particolare contribuiscono a creare anzitutto una forma mentis con la quale
approcciarci alla nostra quotidianità, piuttosto che distaccarsi da essa e rinchiudersi (e rinchiuderci) in torri
d’avorio. Sotto questo aspetto allora il valore formativo che si persegue tramite lo studio della filosofia
sarebbe in gran parte lo stesso di quello che si consegue e si può affinare tramite un’esperienza di Servizio
Civile. Anzi, la praticità e la “formatività” di fondo, alle quali farebbe appello la filosofia sin dall’antichità,
si troverebbero in un rapporto senza soluzione di continuità con un percorso, come quello d’incontro con
la sfera della diversità e della disabilità, che sia in grado di mettere alla prova tutti i giorni la nostra
Weltanschauung. A partire da questa impostazione – che mi rendo conto, in quanto del tutto personale, è
del tutto opinabile –, cerco di rendere conto della congruità del mio percorso di studi in filosofia con la mia
esperienza nel settore dell’assistenza ai disabili. E lo faccio riportando l’attenzione su alcuni espedienti
formativi filosofici – in senso lato – che sono stati direttamente chiamati in causa durante il mio cammino
con e per la persona con disabilità.
Al di là degli stereotipi e dei pregiudizi: si parla spesso di filosofia presentandola come una disciplina
che consente d’inquadrare il mondo e le persone a partire da punti di vista inusitati. Infatti la messa
5. in discussione delle proprie idee consolidate, al fine di raggiungere, attraverso un nuovo modo di
volgere lo sguardo alle cose, un nuovo sapere possibilmente più certo del precedente, è un punto
archimedeo per diverse correnti di pensiero. In questa sede, è forse sufficiente menzionare
fugacemente tre esempi emblematici: l’“ἐποχή” degli scettici in epoca ellenistica, il “dubbio
metodico” ed “iperbolico” di Cartesio agli albori dell’età moderna e la “sospensione del giudizio”
fenomenologica ancora centrale nella contemporaneità. Quest’operazione probabilmente è uno dei
motivi principali per cui si usa dire che la filosofia permette di allargare le proprie visioni del mondo.
E questo sicuramente è un tratto di grande valore pratico. Durante il mio cammino con e per la
persona con disabilità ho potuto saggiare in prima persona l’importanza di ricorrere costantemente a
quest’espediente, che è uno slancio continuo al di là degli stereotipi e dei pregiudizi. Cerco di
spiegarmi in breve. Da un canto è opportuno conoscere e riconoscere la patologia che poi può
diventare disabilità per una persona; ma dall’altro lato è necessario guardare il soggetto al di là di
questa sua caratteristica, per vederlo veramente, perché sarebbe riduttivo e falso inquadrarlo solo in
quanto portatore di disabilità. Una persona con disabilità non è solo la sua disabilità ma, come tutti,
è una persona con tante altre caratteristiche individuali. Per dirla con una frase ricorrente al corso di
formazione specifica, “conoscere per tipologie è conoscere per stereotipi. Lo stereotipo è un calco
che riproduce sempre lo stesso disegno. Occorre conoscere questo calco, ma poi occorre poterlo
rompere per conoscere e riconoscere una originalità individuale”. Per di più, la capacità di
approcciarsi alle situazioni con una forma mentis aperta, che non sia annebbiata dal ragionamento
per partito preso, è un requisito di grande importanza al fine di produrre idee o proporre chiavi di
lettura al fine, ad esempio, di stillare un piano d’azione educativa nei momenti organizzativi come
quelli di pianificazione strategica dell’équipe degli educatori.
Il grande (ma ineffabile) valore della relazione: la relazione costituisce un grattacapo filosofico già a
partire da Aristotele, quando venne concepita come una delle categorie dell’essere (“πρός τι”, in
rapporto a) piuttosto problematica, in quanto la più distante dalla sostanza (“οὐσία”, essere
dell’essere) e quindi uno dei generi dell’essere con minore consistenza ontologica. Di fatto, ancora
oggi la relazione è una dimensione molto delicata, difficile da normare e sfuggevole ad una rigida
concettualizzazione, in diversi ambiti disciplinari che presentano molte affinità con la filosofia (per
esempio l’approccio umanistico in psicologia ed il counseling). Ora, nel mio curriculum (che, oltre ad
essere centrato sulla storia della filosofia, già di per sé contempla alcuni corsi generici di scienze
umane) ho inserito degli esami di psicologia e di storia della pedagogia: questo tradisce il mio grande
interesse per dei settori in cui l’aspetto relazionale è di rilevanza primaria. Pertanto trovo
profondamente utile un’esperienza di Servizio Civile che mi consenta di sperimentare direttamente
la relazione (e nello specifico la relazione d’aiuto) in un contesto in cui dei professionisti riescono ad
impostarla e a valorizzarla anche e soprattutto in una prospettiva psico-pedagogica. Allora,
nonostante l’ineffabilità teoretica della relazione, imparare a viverla al meglio persino in contesti
difficili (quali quelli assistenziali) e interiorizzare alcune modalità per gestirla al meglio dal punto di
vista psico-pedagogico crea di per sé una certa congruità della mia esperienza con il mio corso di
studi. Tanta e inestimabile è pertanto l’utilità che ho potuto ricavare lavorando su diversi aspetti e
differenti impostazioni della relazione (accettazione incondizionata, ascolto attivo, empatia,
comprensione di linguaggi non-verbali, metodo direttivo e non-direttivo, aiuto nel fare e parimenti
stimolo a fare da sé), sia che in un futuro mi dedichi all’insegnamento della filosofia nelle scuole, sia
che in un futuro decida d’intraprendere un percorso per diventare counselor o educatore, sia che
non faccia niente di tutto ciò e rimanga semplicemente una persona che quotidianamente si
relaziona con l’altro da sé cercando di ricavare il meglio da ogni singolo rapporto. Per di più,
considerati i miei interessi per la pedagogia, è risultata molto suggestiva la sperimentazione sul
6. campo della “non-direttività interveniente” di Michel Lobrot e Thierry Bonfanti utilizzato come
metodo di conduzione degli incontri di formazione generale del Servizio Civile.
Pensiero, azione e sentimento: il “pensare altrimenti”, il “saper fare” ed il “saper essere”: esistono
molti quesiti filosofici che nascono caratterizzati da un’aporia di fondo e rimangono ancora oggi
insoluti. Uno di questi quesiti è il problema del “male come sofferenza” – problema di teodicea –
che, pur non avendo mai ricevuto una soluzione, ha avuto comunque diverse risposte. Un modo
efficace per rispondere al “perché” del male è quello di non considerare la domanda esclusivamente
su un piano speculativo, ma di “pensare altrimenti” attorno ad essa, che equivale a dire sfruttando
«la convergenza tra pensiero, azione (in senso morale e politico) e una trasformazione spirituale dei
sentimenti» (P. RICOEUR, Il male: una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana, Brescia 1993, p.
47). Al problema del male quindi si può rispondere – e si dovrebbe rispondere, se vogliamo
rafforzare la nostra risposta – non solo con la «dialettica trionfante di Hegel» ma anche «agendo
eticamente e politicamente contro il male» e trasformando i sentimenti negativi ed improduttivi,
quali quelli che generano sterilmente «la lamentazione e la doglianza», in sentimenti positivi e
produttivi, quali l’«amore per nulla», ossia l’amore gratuito (ibid., pp. 49-55). Riepilogando, il ricorso
ad un pensiero che scavalchi il suo recinto puramente noetico, e che si apra anche alla dimensione
dell’azione e dei sentimenti, può essere fondamentale per trovare quantomeno abbozzi di risposte a
problemi difficili, quali quello del “male come sofferenza”. La necessità e l’utilità di ricorrere a questa
convergenza di pensiero, azione e sentimento l’ho potuta ritrovare quasi sempre lungo il mio
cammino con e per la persona con disabilità (ed è ridondante specificare che, con riferimento a
persone con disabilità fisica o cognitiva lieve, il problema della sofferenza – per la propria condizione
– non è del tutto un esempio casuale). In particolare, già a partire dal corso di formazione specifica
organizzato da “La Rete”, si è insistito molto sia sugli aspetti pratici (e quindi sul “saper fare” da parte
del volontario/”servizio civilista”) che su quelli più emozionali ed attitudinali (e quindi sul “saper
essere” da parte del volontario/”servizio civilista”) che contraddistinguono una situazione
problematica quale quella della relazione d’aiuto. Ho potuto sperimentare allora direttamente
l’efficacia di approcciarsi ai problemi in maniera integrale – non solo col pensiero – ed enfatizzando
di volta in volta, a scopi assistenziali e/o educativi, l’aspetto legato al fare o quello legato all’essere.
E, alla luce di tutto ciò, mi è sembrato che in una dimensione relazionale in cui convivono equamente
pensiero, fare ed essere, si possano trovare davvero molte risposte (mi azzarderei a dire quasi delle
soluzioni) a diverse problematiche – o almeno molte più risposte rispetto a quelle che si ottengono
cercando ossessivamente col pensiero razionale (o analitico) l’essenza delle cose chiedendosi
continuamente “perché”… perché, come appurava Wittgenstein nelle Philosophische
Untersuchungen, si rimane con nulla in mano se si va ricercando l’essenza di un carciofo
sbucciandolo… perché “l’essenziale è (già) visibile agli occhi”.1
1
Aggiungo un’ulteriore ed ultima nota a margine relativamente a quest’ultimo aspetto circa la congruità della mia
esperienza di Servizio Civile con il mio percorso di studi – percorso di studi che ho desiderato integrare seguendo le
lezioni di filosofia orientale proposte da curriculum nel corso di Diploma da parte della “Scuola Superiore di Filosofia
Orientale e Comparativa” di Rimini: «per coloro che non sanno nulla di Zen le montagne sono soltanto montagne, gli
alberi sono soltanto alberi, gli uomini soltanto uomini. Dopo avere studiato lo Zen per qualche tempo, uno giunge a
percepire la vanità e fugacità di tutte le forme, e le montagne non sono più montagne, gli alberi non sono più alberi,
gli uomini non sono più uomini; giacché mentre l’ignorante crede nella realtà oggettiva delle cose, chi è parzialmente
illuminato vede che esse sono soltanto apparenze, che non hanno nessuna durevole realtà e trascorrono come nuvole
in fuga. Ma, conclude la parabola, per colui che ha compreso pienamente lo Zen le montagne sono di nuovo
montagne, gli alberi sono alberi e gli uomini sono uomini» (A. WATTS, Lo Zen: un modo di vita, lavoro e arte in Estremo
Oriente, Bompiani, Milano 1964, pp. 75-6).