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Dipartimento di Antichistica, Lingue , Educazione, Filosofia (A.L.E.F)
Corso di Laurea in Lingue e Civiltà Straniere Moderne
DISCOVERING ITALY BY BACKPACKING
Relatore:
Chiar.mo Prof. Gillian Mansfield
Correlatore:
Chiar.mo Prof. Micòl Beseghi
Laureando:
LUCA AMODIO
Anno accademico 2014/2015
2
3
INDICE
INDICE.........................................................................................................3
INTRODUCTION.......................................................................................5
1. BACKPACKING & BACKPACKERS ................................................7
1.1 The Original Adventurer (1947 – 1957) ................................................................... 7
1.2 Ernest Hemingway (1899 – 1961): The Founding Father......................................... 7
1.3 Drifters & Hippies (1957-1970): Off the beaten track ............................................. 8
1.4 Jack Kerouac (1922-1969) & Hunter S. Thompson (1937-2005) : Hitting the road
with the Beat Generation ....................................................................................................... 10
1.5 From the Counterculture to the Mass-drifter tourism (1975 – 1990)................... 11
1.6 Bruce Chatwin (1940 -1989): The Sophisticated traveller........................................ 11
1.7 Backpackers & Lifestyle Travellers (1990 – 2015): Gap year or a way of life? .. 12
1.8 Bill Bryson: Travel celebrity...................................................................................... 13
1.9 Italy from a backpack: Youth wanderlust................................................................ 15
2. DISCOVERING BACKPACKING.....................................................17
2.1 Introduction............................................................................................................... 17
2.2 Norms and Assumptions........................................................................................... 17
2.2.1 Tourist angst...................................................................................................... 17
2.2.2 Guidebook as Gospel.......................................................................................... 18
2.2.3 Outsider.............................................................................................................. 20
2.2.4 Worth every euro ................................................................................................ 21
2.3 Rituals And Icons ...................................................................................................... 24
2.3.1 Adventure........................................................................................................... 24
2.3.2 Hostage of the Hostile Hostel ............................................................................ 24
2.3.3 Alcohol................................................................................................................ 26
2.3.4 50.000 lire for the Room..................................................................................... 27
2.3.5 Cheapness........................................................................................................... 29
2.3.6 Masters of the Southern Italy Night .................................................................. 30
3. THE OTHER’S GAZE.........................................................................33
3.1 Introduction............................................................................................................... 33
3.2 Tourist & Backpacker gaze...................................................................................... 33
3.3 Cultural Heritage ...................................................................................................... 34
3.4 Stereotypes................................................................................................................. 37
3.5 The reversed gaze...................................................................................................... 40
4
3.6 The cultural shock..................................................................................................... 41
3.7 Disruption or Construction of self-identity?........................................................... 43
CONCLUSIONS........................................................................................45
BIBLIOGRAPHY .....................................................................................49
RINGRAZIAMENTI................................................................................52
5
INTRODUCTION
La presente dissertazione si presenta come un’analisi del fenomeno conosciuto come
backpacking e del suo protagonista principale, il backpacker. Benché una frangia degli
studi accademici (Clifford 1997; Richards & Wilson 2004; O’Reilly 2006) ritiene che
questo movimento rappresenta una mera sottocategoria del turismo di massa, mediante
un vero e proprio viaggio tra la storia, le caratteristiche e il modo in cui il personaggio
principale costruisce la sua personalità, la seguente tesi si propone di descrivere in
maniera esaustiva il backpacker al fine di differenziare il backpacking da qualsiasi
sottoclasse del turismo. Per sostenere gli argomenti presentati sono stati presi in
considerazione alcuni racconti inseriti nel testo di riferimento Italy from a backpack,
non solo perché scritti in prima persona da oltre trenta backpackers in viaggio per
l’Italia, ma anche perché l’analisi si presenta come una valida occasione per
comprendere, tramite “lo sguardo dell’altro”, l’impressione che i viaggiatori hanno sugli
italiani e sull’Italia, sulla loro cultura, sui loro stereotipi e sulle loro tradizioni.
Il primo capitolo si focalizza sulla storia e l’evoluzione venutasi a formare nel
movimento del backpacking. Si fa riferimento al suo antenato primordiale,
“l’adventurer” per poi considerare le sue fasi evolutive: del “drifter”, del
“sophisticated traveller”, ed infine del “backpacker”. Per poter comprendere al meglio
la natura e la personalità che sviluppa il backpacker nel corso del tempo, si è ritenuto
opportuno fare riferimento non solo ai periodi storici in questione, bensì ai movimenti
culturali a cui egli si è identificato, nonché alla grande influenza che hanno esercitato gli
scrittori più importanti del genere.
Il secondo capitolo identifica le caratteristiche peculiari del backpacker presentando in
un primo momento le sue norme quali tourist angst e l’essere outsider. Queste
risulteranno di notevole importanza per identificare i tratti distintivi che distinguono il
backpacker da un normalissimo turista. Successivamente, la tesi evidenzia i rituali e le
icone che il backpacker assume, ovvero adventure, alcohol e cheapness. Per cercare di
immedesimarsi il più possibile e per cogliere al meglio la personalità del personaggio, si
è deciso di collegare ogni caratteristica ad un racconto scelto e selezionato dal testo di
riferimento Italy from a back pack. Le peculiarità riportate in questo capitolo
risulteranno essenziali per comprendere in un successivo momento in che maniera il
backpacker percepisce la realtà circostante tramite the other’s gaze.
6
Il terzo ed ultimo capitolo descrive proprio questo ultimo concetto, ovvero lo sguardo
dell’altro. Per intensificare la differenza tra turista e backpacker vengono analizzate le
differenti modalità di percezione di ambo i partecipanti nei confronti della cultura
ricevente. Anche in questo capitolo, i riferimenti all’Italia ovvero patrimonio culturale,
agli stereotipi e al ruolo svolto dall’italiano tramite lo sguardo del nativo (del reversed
gaze), saranno rilevanti al fine di evidenziare il modo in cui il backpacker “modella”
costantemente la sua identità.
7
1. BACKPACKING & BACKPACKERS
A journey through the history of the movement and its characters
1.1 The Original Adventurer (1947 – 1957)
Il fenomeno del backpacking nasce nella sua versione moderna nell’Europa Occidentale
solo alcuni anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Come suggerisce
E. Cohen (1972, 1973), studenti e giovani perlopiù appartenenti alla classe sociale
media iniziarono a muovere i primi passi, con zaino in spalla, verso l’esplorazione del
continente ed in particolare delle mete più ambite, quali Londra, Amsterdam e
Copenhagen. Questi giovani viaggiatori si immergevano completamente nella cultura
ricevente, attraverso il contatto e l’ospitalità dei membri che ne facevano parte. Il
modello è quindi quello dell’ Adventurer, soggetto guidato da un’insaziabile sete di
conoscenza dell’ignoto, nonché da un’estenuante ricerca dell’avventura. Tale figura a
prima vista potrebbe ricordare i movimenti giovanili antecedenti del working tourism,
dove studenti pieni di ideali tentavano di combinare lavoro ed esplorazione in un
modello di vita, formando ciò che Pape (1964) definirà successivamente con il termine
“touristry”: una maniera di viaggiare che prevedeva l’impiego in lavori occasionali
nell’ambito turistico, universitario e del volontariato, allo scopo di finanziare il viaggio
successivo. Tuttavia, a differenza dell’orientamento collettivo dei movimenti giovanili,
gli adventurers sono individualisti, sprezzanti delle ideologie, avversi al turismo di
massa. Il miglior esempio dell’antipatriottismo, essi viaggiano frequentemente all’estero
principalmente per fuggire dalla propria terra d’origine. In un certo senso, sia i membri
dei movimenti giovanili che gli adventurers ritraggono un quadro della vita che
rappresenta una fuga dalla realtà; eppure, se tale fuga nei giovani del working tourism è
impregnata delle tonalità di un’evasione di tipo romantica, poiché volta ad obiettivi
sociali - costruttivi, quella della prima generazione di adventurers è dipinta dei colori
vivi dell’edonismo e sfuma nelle tinte forti del puro anarchismo.
1.2 Ernest Hemingway (1899 – 1961): The Founding Father
Il migliore rappresentante della prima generazione di adventurers è Ernest Hemingway:
giornalista statunitense, scrittore di oltre cinquanta tra romanzi e racconti brevi,
vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954 con il romanzo The Old man and
the sea e considerato da molti il padre fondatore del movimento oggi denominato
8
backpacking. In particolare, Richards & Wilson (2004) sottolineano come i luoghi
narrati e visitati dallo scrittore siano diventati un’icona, un modello di adventurous life
cosi affascinante da essere imitato e ricreato dalle generazioni successive di lettori,
attraverso il viaggio alla ricerca delle esperienze vissute in prima persona dall’autore.
Hemingway visse una vita irrequieta, spostandosi continuamente da una città all’altra:
da Chicago a Parigi allo scoppio della prima guerra mondiale, a Toronto, visitò Milano,
fu inviato quale reporter speciale a Costantinopoli, a New York, a Cuba, ad Hong Kong;
sulla scia di queste esperienze l’autore dipinge nei suoi racconti ritratti di soldati,
cacciatori, nonché di bullfighters grazie alle sue visite in Spagna, a Siviglia, a Madrid,
ed è alla festa di San Firmino a Pamplona nel 1924. Non sorprende quindi che le guide
della Lonely Planet fanno spesso riferimento agli “Hemingway’s haunts”: a Cuba
(“Hemingway’s hangout”), alla Spagna (“Enough bullfighting to make Papa
Hemingway blush”) ed alla Florida (“The legendary land of Hemingway”)1
. Tuttavia
Hemingway non è solo il prototipo del viaggiatore ideale per le successive generazioni
di backpackers, bensì i suoi racconti influenzeranno enormemente gli scrittori suoi
contemporanei come Key West, nonché autori futuri come Michael Palin che
cercheranno di imitarne lo stile di scrittura, la brama irrefrenabile delle esperienze
eroiche nella natura, la ricerca della genuinità spesso ritrovata nelle cose semplici della
vita. Hemingway infine rappresenta un caposaldo importante nell’ambito della Travel
literature, poiché come indicano Hall & Kinnaird (1994), egli appartiene a quella
generazione di “travellers who write”, cioè di scrittori che viaggiavano con il fine unico
di scrivere, a differenza delle generazioni moderne dei “travel writers” laddove l’atto
del viaggiare ha un fine a sé stesso e solo successivamente diventa soggetto di scrittura.
1.3 Drifters & Hippies (1957-1970): Off the beaten track
Con il passare degli anni il numero di adventurers cresce notevolmente, grazie anche
allo sviluppo di mezzi di trasporto e la comparsa di alloggi provvisori sempre più
economici, i cosiddetti ostelli. Iniziano pertanto ad allargarsi anche gli orizzonti e le
destinazioni, che non comprendono più solo l’Europa ma anche l’America centrale,
L’Asia meridionale e del sud-est, nonché l’Africa orientale. Non si incontrano più
soltanto viaggiatori Europei, ma si riscontra una crescita sostanziale di adventurers
americani, canadesi ed australiani (anche se rimane ancora perlopiù un Western
1
Richards, G. & Wilson, J. (2004) Travel writers and writers who travel: Nomadic icons for the
backpacker subculture? Journal of Tourism and Cultural Change 2(1), pp. 46-68
9
phenomenon), e per la prima volta si identifica l’antenato del backpacker, coniato
ufficialmente da E. Cohen (1972) con il nome di “drifter”:
“…the type of international tourist who ventures furthest away from the beaten
track…he shuns any kind of connection with the tourist establishment….He tries to
live the way the people he visits live…The drifter has no fixed itinerary or
timetable and no well-defined goals of travel” (1972:166).
Già dai primi studi negli anni sessanta quindi, si denota una certa complessità nel
tracciare l’identità del drifter. È possibile però individuare alcune delle sue sfumature,
relative a quella che Kavolis (1970:445) definisce la mentalità del “post-modern man”:
l’individuo cerca sé stesso nelle zone periferiche, verso gli orizzonti che svaniscono, è
caratterizzato da una personalità decentralizzata, disorganizzata ed asimmetrica (da ciò
deriverebbe quindi la sua scelta di non prefissarsi mete e destinazioni). Parallela alla
corrente del drifting incontriamo quella Hippie, il famoso movimento giovanile
statunitense, venutosi a formare agli inizi degli anni sessanta e che si diffuse,
successivamente, in tutto il mondo. I due movimenti plasmano menti dalle
caratteristiche simili, a tal punto che spesso si finisce per concepire uno stesso
individuo, quello che E. Cohen (1973:100) definisce come “ Itinerant Hippie” : “The
travelling drop-out, on his way to some drug-sanctuary in Europe or Asia or drifting aimlessly
from one ‘hippie’community to another”.
Tuttavia, è opportuno fare attenzione a non identificare tutti i drifters come hippies, dato
che come indica Kenniston (1968) tantissimi drifters non fanno utilizzo di droghe o ne
praticano solo un consumo saltuario. Ciò che vale la pena ricordare invece, sono gli
ideali economici, politici e culturali che i due movimenti condividono, a differenza del
rifiuto ideologico degli adventurers della generazione precedente. Questi ideali
affluiscono nella rinomata corrente della “Beat generation”2
, successivamente
denominata negli anni sessanta “Counterculture”, una controcultura che, dal punto di
vista dei viaggiatori, si ribella ai modelli di vita prestabiliti e alle convenzioni sociali
mediante lo scioglimento delle cravatte, l’abbandono del senso del dovere, la negazione
dei comfort e delle tecnologie della società moderna al fine di viaggiare verso mete
lontane, primitive, esotiche. Infine, il viaggio diventa anche sinonimo di protesta, di
propaganda anti-guerra e, in particolare da parte dei giovani americani, alla guerra del
Vietnam.
2
Anderson, Terry H. (1995). The Movement and the Sixties. Oxford: Oxford University Press
10
1.4 Jack Kerouac (1922-1969) & Hunter S. Thompson (1937-2005) : Hitting the road
with the Beat Generation
In uno studio sulla seconda generazione di backpackers dal 1950 in avanti, Marteau
(1998) inserisce Kerouac come scrittore-icona quale esempio più concreto del
travelstyle nel panorama primordiale del backpacking. Kerouac inoltre influì
profondamente nello sviluppo del beat movement, ed in un certo senso il suo romanzo
On the road (1957) viene considerato un po’ la bibbia della Beat Generation. Anche se
l’autore ha spesso rifiutato l’etichetta di autore beat, in esso ritroviamo tutti i temi di
un’intera generazione: dal rifiuto delle norme imposte al disagio dell’individuo nella
vita quotidiana ma soprattutto, secondo Richards & Wilson (2004) nelle sue parole si
riscontra il sentimento di alienazione dell’uomo nella società contemporanea:
…I had traveled eight thousand miles around the American continent and I
was back on Times Square…seeing with my innocent road-eyes the
absolute madness and fantastic hoorair of New York with its millions and
millions hustling forever for a buck amongst themselves, the mad dream –
grabbing, taking, giving, sighing, dying, just so they could be buried in
those awful cemetery cities beyond Long Island City… 3
Le avventure di Kerouac furono sicuramente di ispirazione ai viaggiatori della sua
generazione e ai romanzi degli scrittori, sia suoi contemporanei che futuri, tra i quali è
degno di menzione Hunter S. Thompson. Quest’ultimo acquisì notevole notorietà negli
anni sessanta per aver inventato un nuovo stile giornalistico, il “gonzo”, caratterizzato
dall’immersione totale del reporter nell’azione al punto da diventarne il protagonista
principale. Esempio illustre di applicazione di tale tecnica narrativa in bilico tra realtà e
finzione è il suo celebre romanzo Fear and Lathing in Las Vegas: A Savage Journey to
the Heart of the American Dream (1971). Tuttavia, fatta eccezione per la vita sregolata
a base di droghe, sesso ed alcol del protagonista e dell’autore stesso, il romanzo
suggerisce qualcosa di molto più sottile e fugace, le cui avventure fanno dell’autore un
antieroe per i giovani della Counterculture poiché in fondo la rappresentazione di quella
Las Vegas è la stessa dell’americano medio all’inizio degli anni settanta, che dal
radicalismo scivola lentamente nel conformismo. Il fallimento del sogno americano
quindi, corrisponde anche al fallimento dei valori e degli ideali della Counterculture.
3
Kerouac, J. (2000 [1957]) On the road. London: Penguin Classics. IN Richards, G. & Wilson, J. (2004)
Travel writers and writers who travel: Nomadic icons for the backpacker subculture? Journal of Tourism
and Cultural Change 2(1), pp. 46-68
11
1.5 From the Counterculture to the Mass-drifter tourism (1975 – 1990)
Dagli inizi degli anni settanta iniziano a verificarsi sostanziali cambiamenti nel
movimento del backpacking allora noto come drifting (vedi 1.3), da un lato a causa
della penetrazione degli interessi economici che ne modificano gli itinerari, gli
spostamenti e l’icona stessa del desiderio di avventura; dall’altro secondo E. Cohen
(1973) si assiste ad una vera e propria crisi dei valori della Counterculture. Per quello
che concerne gli interessi economici, è impossibile non citare il ruolo giocato dalla
nascita delle guide turistiche di quegli anni come Project London o Europe Under 25
contenenti informazioni essenziali su ostelli, cibo, visite e percorsi: un chiaro esempio
della offerta del Colosso del Turismo alla domanda dei drifters. Le mete iniziano quindi
ad essere prefissate, i drifters lentamente ed inconsciamente diventano consumatori e
simbolo di quello che successivamente verrà definito come “Mass-drifter tourism” 4
.
Iniziano a formarsi, nei paesi del Medio Oriente, le prime compagnie di trasporto che
offrono sconti su autobus, treni, nonché vere e proprie tariffe speciali per i giovani
viaggiatori. Allo stesso tempo, l’elemento di “vera avventura” è drasticamente
spogliato di contenuti. Non ci si imbatte più nelle giungle del Sud America o nel Sud-
Est Asiatico o nella profonda Africa come l’originario l’adventurer, il nuovo prototipo
di drifter non è più motivato se non a seguire le classiche rotte verso l’India. Si assiste,
inoltre, ad una significativa perdita di contatto con i membri della cultura ricevente, alla
nascita delle “drifter communities” 5
dove l’interazione sociale avviene esclusivamente
tra gli stessi viaggiatori. È la cosiddetta crisi dei valori, della Counterculture in
particolare, ed il drifter, ispirato ancora ai valori dei movimenti Hippie e della
controcorrente (i cui membri negarono, rifiutarono e cercarono di rivoluzionare la
propria società e cultura), paradossalmente iniziano a divenire i simboli di tutto ciò che
vi è di negativo e di marcio nella Western culture.
1.6 Bruce Chatwin (1940 -1989): The Sophisticated traveller
Si è deciso di collegare Bruce Chatwin al sopracitato periodo in merito ad alcune
considerazioni. In primo luogo, con il suddetto autore assistiamo ad un primo
spostamento del baricentro dell’asse dai writers who travel verso i travel writers (anche
se Chatwin ha sempre rifiutato quest’ultima etichetta). In secondo luogo è lecito
considerare Chatwin un'eccezione al nuovo movimento di mass-drifter tourism che si
4
Cohen, E. (1973) Nomads from Affluence: Notes on the Phenomenon of Drifter-Tourism. International
Journal of Comparative Sociology 14 (1-2), pp. 89-103
5
Ibidem
12
stava formando in quegli anni, attraverso i suoi capolavori In Patagonia (1977) e The
Songlines (1987). Con i racconti sui luoghi visitati, con le sue immersioni tra le persone
e le tribù incontrate, con il suo desiderio di esplorare l’irrequietezza umana, secondo
Murray (1993: 39) “Chatwin ha invigorito il genere del travel writing”. Caratteristica
principale del suo stile di scrittura è il costante oscillamento tra finzione e realtà ed a
volte le sue descrizioni distorte delle culture e delle tribù visitate non sono state sempre
apprezzate da chi vi si è riconosciuto:
“I quit my job in the ‘art world’ and went back to the dry places: alone,
travelling light. The names of the tribes I travelled among are unimportant:
Rguibat, Quashgai, Taimanni, Turkomen, Bororo, Tuareg – people whose
journeys, unlike my own, had neither beginning nor end” (Chatwin,
1987:18).
D’altro canto Chatwin si è però guadagnato il suo posto tra quelli che Clifford (1997)
concepisce come “sophisticated travellers”, ovvero tra quegli esploratori culturali il cui
viaggio ha l’obiettivo preciso di recuperare una conoscenza culturale, scientifica, e
spirituale. Ciò che sorprende dalla descrizione di Clifford (1997) è che non si fa più
riferimento ad un drifter né ad un adventurer come eccezione al turismo di massa, bensì
ad un viaggiatore specializzato che, all’interno di una élite, cerca attivamente
l’interazione con le popolazioni locali e la loro comunità. Tale descrizione permette di
comprendere come la figura del drifter stia lentamente scomparendo, per lasciare il
posto ad una sua controfigura post-moderna, distorta, lontana dal suo prototipo iniziale:
un sophisticated traveller.
1.7 Backpackers & Lifestyle Travellers (1990 – 2015): Gap year or a way of life?
La letteratura critica degli ultimi vent’anni presenta varie sfumature e differenti punti di
vista in merito al fenomeno del backpacking. Già nel 1976 Vogt, in contrasto con le
dichiarazioni di E. Cohen (1972), suggerì che la spinta a viaggiare del giovane errante
non fosse ignota, bensì rispondesse ad un preciso percorso di crescita personale; Perciò
alla denominazione peggiorativa di drifter, propone quella di wanderer. Riley (1988)
afferma che sia Vogt (1976) che Cohen (1972) si focalizzarono solo su giovani
viaggiatori, senza tenere in considerazione quelli che definì long-term budget travellers.
Eppure nessuno di questi due termini trovò un riscontro pratico negli studi accademici e
sarà necessario aspettare sino al 1995, quando Loker-Murphy & Pearce introdussero per
la prima volta l’appellativo di backpacker: un giovane turista con budget limitato in un
periodo di vacanza relativamente lungo, una figura più inquadrata rispetto al drifter e
13
che prende presumibilmente le distanze dal turismo di massa tramite la propria
organizzazione indipendente e flessibile delle destinazioni, che predilige alloggi
relativamente economici e pone maggiore enfasi nel voler conoscere altri backpackers
ed abitanti locali.
Si potrebbe presumere che quest’ultima corrisponda alla versione contemporanea del
sophisticated traveller, eppure i backpackers percepiscono i loro viaggi come una
fuoriuscita dai propri sentieri di vita, come un rito di passaggio autoimposto, e alcuni
testimoniano di aver attraversato vere e proprie crisi di vita e di valori prima di
imbarcarsi nel viaggio, proprio come i precedenti drifter. Tuttavia come suggerisce S.
Cohen (2010) molti di questi viaggi avvengono in un frangente ben preciso, ovvero tra
la fine del liceo e l’università, oppure tra l’università e l’inizio di una carriera, o nel
passaggio da una professione all’altra, e la maggior parte dei backpackers sa che farà
ritorno alla propria società di origine. Pertanto, si potrebbe affermare di trovarsi di
fronte a ciò che O’Reilly (2006) definisce un gap year tourist. Tale affermazione
porterebbe quindi, in maniera plausibile, ad accomunare il backpacking e il turismo di
massa, o perlomeno a ricondurlo ad una sua sottocategoria. Ciononostante, Noy &
Cohen (2005) suggeriscono che, per taluni soggetti, il backpacking può smettere di
essere una mera fase della vita, per diventare “a way of life in itself”. Solo negli ultimi
anni infatti, grazie al sondaggio condotto da S. Cohen (2011) ed eseguito su venticinque
soggetti che hanno intrapreso questa scelta di vita, si riesce a delineare una figura
all’interno del backpacking che può rappresentare il drifter contemporaneo: il Lifestyle
Traveller. In primo luogo, la durata del viaggio intrapreso dai partecipanti al sondaggio
oscilla dai tre ai diciassette anni, non proprio quindi un semplice periodo di transizione
ma si ha piuttosto la sensazione che il viaggio sia diventato di per sé la normalità. In
secondo luogo, sebbene alcuni lifestyle travellers identifichino in una crisi di vita o
nell’alienazione sociale i fattori decisivi che li spingono a mettersi in marcia, molti
tracciano l’inizio del loro coinvolgimento al backpacking sin dalle mere esperienze di
viaggio adolescenziali. Infine, il lifestyle traveller non pensa di rientrare nella propria
società di origine, piuttosto è alla ricerca continua, per quanto ardua, di un nuovo posto
da chiamare casa.
1.8 Bill Bryson: Travel celebrity
Bill Bryson è uno scrittore Anglo-americano famoso per i suoi libri di avventura
umoristici. Nato negli Stati Uniti, vive la maggior parte della sua vita da adulto in
14
Inghilterra e benché tornò negli USA nel 1995 fece ritorno in Gran Bretagna con sua
moglie ed i suoi figli nel 2003. Bryson attirò la sua attenzione con The Lost Continent
(1990), primo di una lunga serie di capolavori appartenenti alla letteratura da viaggio
umoristica che ne fanno uno dei più grandi scrittori dell’ultimo secolo. Ma Bryson non è
solo un semplice scrittore appartenente alla Travel literature, egli rappresenta infatti
secondo Richards & Wilson (2004), il definitivo spostamento dell’ago della bilancia dai
Writers who travel ai Travel Writers, laddove il viaggio ha una fine a se stesso, e
successivamente diviene soggetto di scrittura. A dimostrazione di quanto riportato,
sembra impossibile non fare riferimento al suo lavoro Neither Here Nor There: Travels
in Europe (1991) dove l’autore ripercorre uno stesso viaggio fatto in Europa ben
vent’anni prima. Il romanzo è pieno di flashbacks che fanno riferimento al giovane
backpacker americano quando si avventurò per quattro mesi nel vecchio continente. Si
potrebbe presumere che Bryson appartenga a quella generazione di backpackers che
O’Reilly (2006) identifica come gap year tourists, laddove l’esperienza del viaggio ha
un fine introspettivo nella conoscenza di se stessi, per poi fare ritorno alla propria
società d’origine. Eppure per quanto ciò sia vero, non si può non sottolineare come
l’autore, proprio a seguito di quel viaggio, si trasferì e visse in Inghilterra per circa
vent’anni, e che quindi trovò un nuovo posto da chiamare casa. Con ciò non si vuole
mettere in discussione la letteratura critica fino ad oggi pubblicata, ma si vuole
sottolineare l’importanza del viaggio nei confronti dei giovani backpackers. Con Bryson
si anticipano alcuni temi che verranno presentati a posteriori, come quello degli
stereotipi, l’autore spesso e volentieri gioca con lo stereotipo nazionale, in modo
particolare quando questo crea effetti di humour: “England was full of words I'd never
heard before - streaky bacon, short back and sides, Belisha beacon, serviettes, high tea,
ice-cream cornet” (1995:22).
Ciò che suscita interesse sull’autore sono i piccoli dettagli della vita quotidiana altrui, è
qui che si fonda il suo umorismo ed il suo gioco sulle stranezze delle altre culture.
Tuttavia, Bryson si giustifica facendo notare che gli europei convivono con i loro
stereotipi da ormai 300 anni e quindi è colpa loro se scelgono di comportarsi come da
stereotipo.
15
1.9 Italy from a backpack: Youth wanderlust
Italy from a backpack è una collezione di racconti brevi sui viaggi intrapresi e narrati da
più di trenta backpackers che non hanno nulla in comune tra loro, eccetto che tutte le
loro storie hanno luogo in Italia. Uno dei due autori del libro è Mark Pearson, il quale,
dopo essersi laureato in economia, fondò la sua piccola casa editrice freelance, la
Pearson Venture Group, pubblicando la prima edizione del libro nel 2006. Il secondo,
Martin Westerman, è anche autore di How to flirt, Easy Green, The Business
Environmental Handbook e di centinaia di studi accademici per conto della University
of Washington Bussiness School di Seattle. I due, dopo essersi laureati nelle rispettive
università hanno viaggiato da backpackers per tutta l’Europa ed al loro ritorno negli
Stati uniti, hanno deciso di raccogliere e pubblicare alcune delle storie più avventurose e
stravaganti avvenute in Italia. La scelta che ricade su questa raccolta non solo come
libro rappresentativo dell’ultima generazione di backpackers ma anche come testo di
riferimento di questa tesi ha varie motivazioni. In base alle considerazioni esposte
precedentemente, si è potuto osservare come indipendentemente dalla scelta di vita del
viaggiatore, l’evoluzione dal backpacker al lifestyle traveller (colui che decide di
viaggiare come scelta di vita) avviene a seguito di un evento ben preciso: il viaggio
durante il gap year. La presente tesi quindi, si propone di delineare la personalità del
backpacker analizzando l’individuo nel periodo del suo gap year, attraverso lo studio
delle sue caratteristiche più comuni quali: icone, rituali, simboli, figure eroiche, norme e
credenze. Inoltre, attraverso lo sguardo dell’altro, l’analisi si presenta anche come una
valida occasione per comprendere l’impressione che i viaggiatori hanno sugli italiani e
sull’Italia, sulla loro cultura, sui loro stereotipi e sulle loro tradizioni. Italy from a
backpack, con i suoi trenta Travel Writers in giro per l’Italia nel loro gap year, si
presenta come il testo ideale per intraprendere questo studio.
16
17
2. DISCOVERING BACKPACKING
through its norms, assumptions, rituals and icons
2.1 Introduction
In base ad alcune considerazioni esposte nel capitolo precedente, si è potuto osservare
come molti lifestyle travellers decidono di viaggiare “as a way of life” a seguito di un
evento particolare, ovvero il viaggio da backpacker durante il loro gap year. Perciò,
volendo dimostrare che il backpacking non appartiene ad una sottocategoria del turismo
di massa ma anzi in alcuni casi può portare ad un viaggio per la vita, il seguente capitolo
si propone di individuare i tratti salienti del backpacker al fine di comprendere come
questi pensa ed agisce. Tra le caratteristiche peculiari più frequenti del backpacking
sono state riconosciute il tourist angst e l’essere outsider, entrambe inserite di seguito
nella categoria “Norms and assumptions”, mentre per quello che concerne le icone del
movimento quali adventure, alcohol e cheapness, queste sono state inquadrate nel
gruppo “Rituals & Icons”. Al fine di “delucidare” gli argomenti esposti, ogni
caratteristica e/o icona è seguita e collegata ad un racconto selezionato dal testo di
riferimento “Italy from a backpack”di Mark Pearson e Martin Westerman. I brani in
questione dove si incontrano backpackers nei loro gap year, saranno inoltre oggetto di
analisi nel terzo ed ultimo capitolo per quello che riguarda “the other’s gaze” e la
creazione della “self-identity”.
2.2Norms and Assumptions
2.2.1 Tourist angst
Caratteristica comune a tutti i backpackers è il cosiddetto Tourist angst, termine
utilizzato per indicare quella ossessione continua e imperterrita posseduta sin dal
vecchio drifter caratterizzata dal volersi dissociare a tutti i costi dal tipico turista in
vacanza, colui che appartiene alla categoria del turismo di massa. Questa angoscia fu
descritta per la prima volta da Alan Brien e citato da da Fussel (1980:49) come: “a
gnawing suspicion that after all…you are still a tourist like every tourist”.
L’autore sottolinea come il termine “mass” viene denigrato anche dai travel writers con
sostantivi quali: “flocks”, “sheep”, “droves” ed “insects”. Palin (1992) ad esempio
18
utilizza il termine “invasion” mentre Mitford (1959) quello di “Barbarian”. Benché
siano già state descritte dettagliatamente in precedenza le differenze tra il backpacker e
quello che può essere considerato un tourist (si veda capitolo 1), è anche stato
sottolineato come il fenomeno del backpacking sia aumentato vertiginosamente nel
corso dell’ ultimo decennio. Richards & Wilson (2004) segnalano come questo
incremento ha portato a considerare il tourist angst all’interno del movimento del
backpacking. Quindi si potrebbe quasi parlare di backpacking angst: molti backpackers
non si identificano più come tali e cercano di differenziarsene lamentando i rapidi
cambiamenti che stanno avvenendo all’interno del loro movimento (proprio come i
drifters presero le distanze dallo sviluppo inesorabile del turismo). Secondo Dann
(1999) i cambiamenti principali si identificano nelle tre variabili tipiche del viaggiatore:
luoghi visitati, alloggio e trasporto. Pertanto sembra impossibile non menzionare il
ruolo decisivo ricoperto dalle guide turistiche. Anche le guide più diversificate come la
Lonely Planet o Rough Guides, sebbene indirizzate ad avventurieri e turisti
indipendenti, esercitano un potere pubblicitario incredibile trascinando all’interno del
backpacking una grande fetta di nuovi arrivati. Il risultato è un sovraffollamento degli
ostelli, i sentieri da nascosti diventano battuti e nessun luogo o itinerario sulla terra si
possono più considerare avventurosi o eccitanti oramai.
2.2.2 Guidebook as Gospel
Campbell Jefferys intitola il suo racconto Guidebook as Gospel: Sin dal titolo è
possibile individuare dagli elementi linguistici e metatestuali un certo grado di ironia
che in qualche modo annuncia il dibattito presentato di seguito. Il racconto è inserito
all’interno del libro Italy from a backpack mostra chiaramente non solo la concezione
del tourist angst, presentata nel paragrado precedente ma anche, nello specifico, la
posizione positiva e negativa di alcuni backpackers nei confronti delle guide turistiche.
Jefferys si trova a Roma nella città del Vaticano intento a visitarne il museo. La coda
tuttavia è talmente lunga che l’autore a malapena riesce ad intravedere l’entrata
principale, al punto che solo chiedendo all’uomo che lo precede comprende di essere
nella fila giusta. Nella lunga attesa qualcuno inizia a mormorare:
“The guidebook says the line moves quickly ….[dice l’uomo sorridendo con
nonchalance]” (2006: 79).
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“Guidebooks?”… [replica un altro uomo con berretto da baseball in testa].. “Don’t
believe a word that’s in them”…..“They poison your trip, if you know what I
mean; take all the fun out of traveling…(Ibid.)”.
A questo punto altre persone intervengono nella discussione:
“ That’s rubbish”…[afferma una ragazza tirando fuori dallo zaino la sua
guida]….“I never would’ve survived this trip if not for this book. You don’t have
to live by it, but it sure makes things a lot easier”…..
“Absolutely”…[risponde una seconda ragazza]….“I was in Cambodia last year,
and you can’t travel there without a guidebook, especially if you’re a woman”….
“I like reading about history”…“And I like the reviews of hostels and restaurants”.
“But they’re just someone’s opinion”… [interviene un uomo dai capelli
brizzolati]….“Why should you go to a place based on one’s person’s
impression?”…
“ But it does give you an idea of what to expect!….[irrompe nel discorso il primo
uomo]…”
Il dibattito sulle guide turistiche si protrae e nel frattempo Jefferys e le altre persone in
fila si avvicinano all’entrata:
“I think what he is trying to say is that you should experience a country on your
own and not through one of these books….[spiega un uomo di alta statura]….”
“ [E l’uomo dai capelli brizzolati conferma] ..Well, that’s true….There’s nothing
worse than backpackers who walk around countries with their heads buried in a
guidebook”…..
All’improvviso, una donna dall’aspetto più vissuto rispetto ai partecipanti alla
discussione si gira e con un gran sorriso si rivolge alle persone in questione:
Say what you want about those books you have…..But one thing’s for sure, they’ve
made traveling a whole lot easier. I can’t stay in a hostel anymore because they’re
always booked out. It’s a shame. Hostels were always great places to meet people
(Ivi, pp.83).
A questo punto Jefferys, sentitosi chiamato in causa da quest’ultima dichiarazione
riflette sui cambiamenti che stanno avvenendo nel movimento del backpacking:
Although I was still young enough to mix with the Gap Year crowd, I also was old
enough and well-traveled enough to appreciate what she meant. The guidebooks
had succeeded paradoxically at opening up travel to a range of people who, 10
years ago, laughed at those who went off backpacking. Where in the past you could
20
easily journey from place to place without organizing your trip, now you had to
make reservations and credit-card booking and get reference numbers. It was
hardly the world experience you had set off to have (Ivi, pp.84).
In questo ultimo passaggio le riflessioni di Jefferys riflettono le preoccupazioni, la
delusione e la rabbia, contenute in ciò che è stato definito come il tourist angst che ogni
backpacker porta con se. A causa anche delle guide di viaggio, tutto ciò che un tempo
era esclusivo e riservato ad avventurieri oggigiorno sta lentamente diventando
accessibile al classico “villeggiante”. Di conseguenza, anche quella concezione di
avventura vissuta tramite l’esperienza in luoghi di ritrovo come gli ostelli va lentamente
perdendosi, e l’esperienza si trasforma in una mera gita turistica, .
Nel passo successivo Jefferys e le persone coinvolte nella discussione entrano nel
museo dividendosi. Il finale contiene nella sua semplicità tutta l’essenza dell’essere
backpacker ed il rifiuto all’omologazione della guida turistica:
The Vatican Museum is an extraordinary place. The main draw is Michelangelo’s
Sistine Chapel, and the tourists crowd in, straining their necks to look up at the
ceiling. There’s Adam reaching out his hand to God, and the image is so powerful,
you can only stare at it in wonder (Ivi, pp.85).
A questo punto l’uomo con il berretto da baseball si avvicina a Jefferys e gli sussurra:
“Now….how could you explain that in a guidebook?....This has to be experienced! (Ibid)”.
Questa esclamazione aiuta a comprendere in che maniera il backpacker pone una grande
dose di enfasi sull’esperienza. Come si potrà notare in un secondo momento il concetto
stesso di esperienza rappresenta uno dei motivi principali che spingono il backpacker a
mettersi in viaggio.
2.2.3 Outsider
Il tourist angst, caratteristica comune ai backpackers, è direttamente legata ad una
seconda regola molto importante nel mondo del backpacking: l’essere outsider. Se il
drifter esprimeva il suo essere forestiero avventurandosi in viaggi off the beaten track
(vedi 1.3), è altrettanto vero come suggeriscono Richards & Wilson (2004), che la
ricerca di nuovi orizzonti ha ironicamente aperto la strada ad altri backpackers che
ripercorrono gli stessi passi alla ricerca di avventura. Il risultato al giorno d’oggi è
l’impossibilità da parte di un backpacker di inoltrarsi in luoghi sconosciuti senza
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imbattersi in altri suoi simili o addirittura in turisti. Pertanto secondo Redfoot (1984) il
backpacker contemporaneo nel suo gap year cerca di distinguersi dai suoi simili
immergendosi il più possibile nella cultura ricevente in due modi ben definiti. Da un
lato, curiosamente, il processo di diversificazione avviene ad esempio mediante una
differente modalità di scatto della fotografia: se oggi un comunissimo backpacker si
scattasse un selfie riprendendo alle proprie spalle un monumento, un’attrazione
particolare o un “simbolo” della cultura ricevente, il backpacker outsider si
dissocerebbe, utilizzando una macchina fotografica da 35 millimetri, possibilmente di
marca tedesca o giapponese, scatterebbe foto con angolazioni particolari, applicando
filtri dalle differenti tonalità di sfumatura e luminosità. Inoltre, questi non inquadrerebbe
sé stesso in un luogo particolare, bensì il soggetto di rappresentazione diverrebbe il
nativo della cultura ricevente, ripreso nelle svolgimento delle sue mansioni e azioni
abitudinarie. Si incomincia a riflettere su ciò che è stato a lungo definito come the
other’s gaze, tema che verrà accuratamente approfondito nel capitolo successivo. Ad
ogni modo, questi comportamenti hanno sempre il loro fine ultimo, ovvero la ricerca
della diversità. Dall’altro lato, il sovraffollamento degli ostelli porta il backpacker
outsider a scegliere forme di alloggio ancora più alternative. Alcuni ad esempio in città
arrivano all’estremo scegliendo di passare la notte in stazioni ferroviarie o in parchi
pubblici, pur di vivere in prima persona la realtà circostante. Altri invece cercano di
immergersi nella cultura ricevente cercando ospitalità tra gli abitanti locali, con la
consapevolezza che i tratti distintivi di un autoctono si possono individuare all’interno
del proprio spazio vitale: la casa. Questo lancio nella cultura ospitante da parte del
backpacker viene illustrato nel successivo racconto, dove verrà posta particolare
attenzione al valore assunto dalle mura domestiche, come tramite per captare ogni
elemento insolito da parte dell’autrice.
2.2.4 Worth every euro
Il racconto di Lainey Seyler intitolato Worth every euro, selezionato dall’apposito testo
di riferimento Italy from a backpack, risulta molto utile al fine di comprendere come il
backpacker in viaggio durante il suo gap year si immerge nella cultura ricevente. La
scrittrice si trova a Firenze insieme alla sua compagna di viaggio Myra:
It was 10:30 at night in Florence, and Myra and I still needed a place to stay. We
were standing outside a centuries-old building, gazing in bewilderment at the
occupants’ directory-family apartments…We pressed the button and crossed our
22
fingers, hoping that whomever we disturbed would not be upset because we woke
them or their children…(2006:125).
Questo primo passo mostra in che maniera l’autrice esprime il suo essere outsider,
ovvero cercando di pernottare direttamente negli alloggi degli abitanti italiani, qualcosa
di non proprio consueto e piuttosto inusuale.
..and the Italian version of the mother from ‘My Big Fat Greek Wedding’ greeted
us, plump and friendly….She welcomed us into her house, which looked more like
a vaulted Benedictine monastery than a house….As her 16-year-old daughter
ventured into the room she informed us that she was full for the night but knew of
another place we could stay..(Ivi, pp. 126).
Tuttavia, come può accadere in queste circostanze l’alloggio risulta essere al completo,
ciò nondimeno la donna italiana invita le due backpackers a seguirla in un’altra
abitazione. Questa improvvisa situazione di incertezza riguardo al luogo in cui
trascorreranno la notte spaventa non poco Lainey: la scrittrice inizia a riflettere sulle
possibili conseguenze di tale azione e iniziano a fluttuargli per la testa tutte le tipiche
raccomandazioni presenti nelle guide turistiche, dall’evitare estranei che conducono ai
“loro ostelli”, al “non accettare e pagare un alloggio prima di averlo visto di persona”:
…While we waited in their dim entry way, visions of being taken to a Mafia-
owned brothel crept into my overactive imagination. A door opened two flights
below and someone small ascended the stairs. The woman wore four-inch cork-
soled sandals, and she could not have been more than 5 feet tall. She looked like a
lifelong smoker who’d consistently chosen cigarettes over spaghetti...(Ivi, pp. 127).
A questo punto la preoccupazione di Lainey è un continuo crescendo:
After gossiping for a few minutes with her friend, she ordered us to follow her out
the door and down the stairs….the further we went, the more I wondered if we
would ever be able to find our way out of that maze….(Ibid.).
….She stopped at a door…‘This is it’, she said. ‘How much?’ I finally managed to
cut in.. ‘Not much. It’s a good price’, she said. Myra noticed my anxiety and
soothed ‘It’ll be fine,’ exaggerating the last word as if she truly believed it……I
reassured myself, It’s better than a park bench….(Ibid.).
Questo passaggio mostra la volontà imperterrita da parte delle due backpackers a volersi
immedesimare nella cultura ospitante. Lainey con tenacia decide di superare le sue
paure decidendo di passare la notte nella casa, d’altronde la seconda opzione sarebbe la
più estrema, cioè una “park bench”.
23
Dopo essersi accordati sul prezzo e aver deciso di rimanere altre due notti, Lainey inizia
ad ispezionare dettagliatamente la stanza cercando di cogliere ogni dettaglio
significativo e peculiare:
..The sparseness of the furniture accentuated how big and empty the room was….a
newspaper was lying open on the table….The wardrobe smelled like urine, and
through the open windows, which looked out onto a tin roof, we could hear a man
snoring upstairs….We woke up early next day, looking forward to the showers we
had gone without at the last hostel. Wearing my plastic flip-flops, I stepped around
the basin found in every private Italian bathroom and into the shower. I was too
afraid to ever ask the purpose of this mystery bedpan contraption, and even more
afraid to touch it….(Ivi, pp. 128).
L’ispezione accurata di Lainey non è da considerarsi, in questo caso, come un mero
tentativo di placare l’ansia e le sue preoccupazioni. Ogni elemento rilevato corrisponde
al motore di quella ricerca ostinata e continua delle differenze tra la cultura di arrivo
(quella di Lainey) e la cultura ricevente (quella della signora italiana). L’obiettivo finale
è la comprensione della personalità e dei tratti salienti dell’autoctono, in questo caso
dell’italiano, attraverso quello sguardo a lungo definito come the other’s gaze e che sarà
materia di analisi nel prossimo capitolo.
Successivamente la casa, per quanto spartana possa apparire, rivela un ambiente
familiare confortante, anche se in quest’ultima vi vivono persone sconosciute
As I shampooed my hair, I heard a knock on the door. ‘Myra!’ I shouted, ‘Someone
is at the door’….It was Madam….‘You want a coffee?’ she asked…. ‘Yes!’ I piped
from my place behind the shower curtain….‘Okay. Five minutes. I have a coffee’
she said….(Ivi, pp. 128).
…Before we left to do the usual sightseeing, Madam warns us about the dangers of
the city…She made certain that we didn’t leave without an umbrella, and she
greeted us when we came home that night and the next….Madam was our one real
connection to that city of red tiled roofs and screeching mopeds. And she took care
of us like a nosy, worried, loving mother….(Ivi, pp. 129).
Il finale di questo racconto mostra una Lainey che ha definitivamente abbattuto le sue
barriere culturali, è di fatto completamente immersa nella cultura altrui e sembra sentirsi
definitivamente al sicuro, sembra sentirsi a casa. Perfino Madam viene proiettata sotto
un’altra luce, cioè quella di una “madre amorevole”:
24
2.3Rituals And Icons
2.3.1 Adventure
Tra i rituali caratteristici dei backpackers, è ovviamente opportuno menzionare il valore
che l’avventura assume nella concezione del backpacking. La ricerca di un’avventura
non è solo un simbolo, bensì è un caposaldo fondamentale, è una delle motivazioni
principali che spinge qualsiasi backpacker a mettersi in marcia. Tuttavia la concezione
di avventura ha gradualmente assunto diverse accezioni rispetto a quella dell’originale
adventurer. Nei racconti di Hemingway l’eroe ricerca sé stesso in terre pressoché
sconosciute all’uomo occidentale, quali ad esempio una giungla o una savana, legando
quindi in modo indissolubile il rischio dell’avventura e il luogo visitato. Al giorno
d’oggi, grazie anche ad internet ed ai nuovi sistemi di comunicazione, non esiste più
luogo sconosciuto o che non sia oggetto di esplorazione, perciò l’avventura nel
backpacking diventa strettamente connessa ad un altro concetto ben preciso, identificato
da Richards & Wilson (2004) con il termine “authenticity”. Il backpacker viaggiando
con le proprie convinzioni di tourist angst e dell’essere outsider segue i passi dei suoi
autori preferiti ma non più al fine di ricercare le avventure narrate dal suo eroe, bensì è
alla ricerca di qualcosa di unico, di indescrivibile, qualcosa di estremamente personale.
Per di più, il rischio è legato a qualcosa di autentico, qualcosa da raccontare alla fine del
gap year. Vi è una caratteristica che è rimasta invariata tra la vecchia e la nuova
concezione di adventure, ovvero le esperienze di avventura vanno sempre a concepire
un’eccitazione psicologica, sia che questa possa essere interpretata come positiva o
negativa. Con il successivo brano intitolato Hostage of the Hostile Hostel si cercherà di
mostrare, in maniera pratica ed oggettiva, un classico esempio di avventura intrapresa
oggigiorno da un comune backpacker. In esso vi sono rappresentati tutti gli elementi
con cui l’esperienza si trasforma secondo il concetto di “authenticity”.
2.3.2 Hostage of the Hostile Hostel
Bill ha già corso quasi due miglia per raggiungere l’ostello fuori dalla città di Siena, il
suo backpack gli rimbalza sulle spalle provocandogli un dolore fastidiosissimo. A
quanto pare il manager dell’ostello gli ha comunicato che era rimasto solo un posto letto
e quella è l’unica soluzione che il giovane può permettersi in tutta la zona. Tuttavia, Bill
non sa in che avventura si sta per imbattere:
When I arrived….I was dismayed to see a mob of backpackers crowded around the
front desk….I heard one of the clerks answer the phone: ‘No! No reservations! One
25
space only. You come now. Immediately!’ He slammed down the phone…I looked
at the wall behind him; at least two dozen cubby holes were empty…(2006: 166).
[Bill incredulo ottiene il suo posto letto, il receptionist gli punta l’indice contro e inizia
ad elencargli a voce alta in un Inglese maccheronico una valanga di norme da dover
rispettare]. Questo passo risulterà di notevole importanza nel capitolo successivo con
riferimento agli stereotipi culturali:
..No drinking! No food! No noise at night! Lights out at midnight! Curfew 11.30—
absolutely no entry after then, doors locked! Doors 10.00 in morning to 3.00 in
afternoon. Everyone must go. Absolutely no entry!...(Ivi, pp. 167)
“Questa lista di disposizioni sembra molto più adeguata a paesi come la Svizzera e la
Germania” pensa il giovane scrittore, che considera invece l’Italia la casa del relax
mediterraneo; perciò non ritiene un problema chiedere uno strappo alla regola dovendo
prendere un autobus in prima mattinata, ma le regole sono regole:
Surely they wouldn’t mind if I needed the rules altered just a bit…Signore, per
favore, I have to catch a bus at seven in the morning, so I need to leave a little
earlier, maybe six-thirty. Hope it’s not a problem….. ‘Impossible,’ he said….I
guessed he thought it would be impossible for me, if I left at 6.30, to walk the two
miles back to town in time to make the Rome bus departure. It was nice of him to
be concerned… ‘Maybe six-fifteen?’ I asked him….. ‘IMPOSSSSIBLE’ he waved
his raised hands vigorously, as if he were trying to keep an airplane from landing
on the counter between…(Ivi, pp. 167).
Bill spera ci sia stato semplicemente un malinteso linguistico, pensa allo stesso tempo
che sia impossibile e assolutamente vietato chiudere a chiave gli ospiti di un ostello,
eppure non va proprio così:
At 6 a.m. I crept down the stairs to the lobby…But I couldn’t even get to the front
door. A set of interior glass doors divided the stairwell from the entrance. Not only
were these doors locked, but a couch had been moved across them as a barricade. I
returned to my room, where 10 backpackers lay half-awake on rickety iron bunk
beds…. ‘What, doors locked, really?’ asked one German teen… ‘It’s like prison,
ya?’ he cried out….‘Ya’ I said…‘and now I need to escape’….(Ibid).
A partire da questo momento inizia inconsciamente l’avventura tanto attesa dal
giovane, Bill deve assolutamente rischiare per poter uscire dall’ostello, il cuore gli batte
forte ed indubbiamente si percepisce una sottile eccitazione a riguardo, quasi come se
stesse aspettando da tempo quel momento:
26
I opened our second-story window and looked down to the asphalt below…I
started to strip the sheets off my bed and knot them into a rope of sorts. The
German started to do so, waking his friends with his laugher…We formed three
sets of sheets into a 20-foot strand…I held the knotted end of another sheet and
stepped out the window onto a small ledge…My backpacking escape team held the
other end, anchoring against one of the bed frames….I hopped onto the street.. (Ivi,
pp. 168).
L’esperienza di Bill va trasformandosi, non è più solo una adventure, è qualcosa di più
personale, vissuto sulla propria pelle, qualcosa da dover raccontare alla fine del suo gap
year, qualcosa che corrisponde al concetto di authenticity:
It was already 6:40…started my jog into town, worried about missing the bus….a
few people working in the fields looked at me with alarm. I imagined their
thoughts: The only people who ran in Italy were thieves and soccer players, and I
wasn’t wearing a jersey.. (Ivi, pp. 169).
…I arrived at the bus terminal, drenched in a sweat, at 7:05. There wasn’t a single
person in the waiting area. The bus must have left! I gnashed my teeth and cursed
the hostel loudly…The ticket clerk laughed… ‘No, no, no. seven o’clock bus, she
never come at seven.’ he wagged his finger. ‘Seven o’clock bus always come after
nine!’….(Ibid.)
Questa conclusione rivela qualcosa di assolutamente autentico e lascia il lettore in uno
stato di libera interpretazione. Benché un lettore italiano non individui necessariamente
qualcosa di eccezionale, dal punto di vista del lettore straniero, dallo sguardo dell’altro,
questo finale rileverà qualcosa di “scioccante” nel capitolo successivo.
2.3.3 Alcohol
Sebbene i suoi effetti negativi sui giovani o ancora più in generale sull’intera società
contemporanea siano argomento di un estenuante e acceso dibattito, l’alcool rappresenta
un rituale caratteristico tra backpackers e nel corso del tempo è diventato un’icona
fortemente ancorata al fenomeno del backpacking. Se Erik Cohen nel 1973 associa buon
parte dei drifters alla cultura della droga, nel suo sondaggio sui Lifestyle travellers del
2011 Scott Cohen dichiara che un viaggiatore su tre fa uso di alcool. Assumendo che
tutte le icone hanno in egual misura una loro origine ben precisa, risulta plausibile in
questa circostanza additare una certa dose di onere agli eroi in questione, ai travel
writers ed ai writers who travel. Come Richards & Wilson (2004) giustamente
evidenziano, Hemingway e Hunter S. Thompson enfatizzano non poco il ruolo
dell’alcool, quanto sia facilmente reperibile in qualsiasi zona del mondo, quanto sia
molto più economico all’estero. Chatwin tramite il suo omonimo carattere Bruce nella
27
sua opera The Songlines (1998) beve un’abbondante quantità di brandy durante i sui
consueti esercizi di scrittura. Tuttavia è bene sottolineare come nel caso degli autori in
questione l’abuso di alcolici ha un fine ben preciso: quello dell’improvvisazione.
L’alcool si trasforma in un’essenziale risorsa, motore di quella creatività che darà alla
luce i loro scritti, ne consegue che il suo uso ha un fine puramente artistico. Se si trasla
questo concetto all’interno del backpacking, l’alcool assume una particolare funzione
volta ad un fine ben preciso, ovvero liberare quello status mentale che è stato a lungo
definito come Impulsiveness. Spesso le decisioni “di pancia” portano a conseguenze
negative, eppure quando queste si dimostrano positive, non si parla più di
Impulsiveness, bensì si menzionano concetti quali coraggio, audacia e spontaneità6
, tutti
elementi idonei e atti a raggiungere la famigerata avventura del backpacker. La storia
riportata nel paragrafo successivo di Dave Prine intitolata 50.000 lire for the Room, può
dare un’idea di come i backpackers si lascino andare all’alcool più per liberare le
barriere della comunicazione, della spontaneità e dell’Impulsiveness, che per il mero
gusto della bevanda in sé.
2.3.4 50.000 lire for the Room.
Secondo il racconto di Dave Prine, l’autore si trova a Firenze insieme a Madaline,
un’altra backpacker che ha conosciuto a Parigi dove i due hanno deciso di continuare il
loro viaggio insieme:
On our final night in Florence…The gods of inexpensive intoxication watched over
us, and we quickly encountered our patron saint, an adorable old man with a wispy
white beard and eyes that revealed a warm and welcoming heart…More
importantly, he sold cheap wine…(Pearson, 2006: 140).
A partire da questo momento si comprende che l’abuso di alcool, in questo caso di vino,
ha come obiettivo lo scioglimento dei freni inibitori, di liberare la suddetta barriera della
comunicazione al fine di intraprendere una conversazione in una lingua straniera, il
francese:
…We went to the Cathedral of Florence…found a spot on the steps and consumed
the bottle within 20 minutes, leaving ourselves little else to do but talk to random
French tourists. Madaline and I had taken French classes together, so we decided to
put our college educations to good use….(Ibid.)
6
Daruna, J. H.; Barnes, P. A. (1993) A neurodevelopmental view of impulsivity In McCown, W & all
The Impulsive Client: Theory, Research, and Treatment. Washington, DC: American Psychological
Association, pp. 23–37
28
..At first, things flowed smoothly (‘You’re from Paris? Mon dieu, we were just
there!)…but our skills soon faltered…Madaline and I had stopped making any
sense…wished the Parisians and beat a hasty retreat to our hostel, laughing at our
attempts to speak French…(Ibid.)
Dopo questo vano tentativo di comunicazione, come spesso succede ad un backpacker
in viaggio, gli effetti dell’alcool offuscano la mente di Dave liberando quello status
mentale definito precedentemente come impulsiveness che lo porterà a fare una scelta i
cui effetti risulteranno essere alquanto negativi:
Back in our room, Madaline claimed her side of the bed and quickly fell asleep….I
was wired from all that wine in my system…We’d be staying in Florence only one
more day, and I had to get out and see more of the city….so I woke the resident
manager and fabricated a story about how I urgently needed to use a pay phone. He
groggily but forgivingly unlocked the door, and I flew the coop. The hostel
wouldn’t re-open until 8 a.m... (Ivi, pp.141)
Ancora sotto gli effetti dell’alcool, l’impulsività porta il nostro scrittore all’avventura
ma non sempre questa ha esito positivo. Infatti, Dave decide di rimanere fuori tutta la
notte, purtroppo la città appare deserta e tutti i locali sembrano chiusi, finché ad un certo
punto incontra una ragazza. I guai, però, sono dietro l’angolo):
A gorgeous female Italian…I had no choice but to impress her with some smooth
talking, and in her native tongue, no less: ‘Uh..you parla English? I asked in my
best Italian. ‘Yes a little’ She said…She speaks English! Thank God!… (Ivi,
pp.143).
…‘I charge 100,000 lire’ she barked impatiently as she began her sales pitch. My
mind raced.. ‘Was I talking with an Italian prostitute?’ I though…. ‘And the room
will cost 50.000’ she said…(Ivi, pp.144).
..Before I could respond to her offer, a police car with two officers pulled up
behind us…the prostitute raced off…To save face I played the Ignorant American:
‘No speaky Italiano. Dove il stazione del train-o?’...The cops smirked to each other
and waved me away dismissively as they drove off, disappearing down one of the
winding streets, leaving me feeling cheap and dirty, but free from
incarceration…(Ivi, pp.145).
Probabilmente senza gli effetti del alcool l’autore si sarebbe subito reso conto di non
essere di fronte ad una semplice ragazza bensì ad una prostituta. Tuttavia Dave è
rimasto entusiasmato da questa esperienza al punto che ha deciso di scrivere un
racconto. Benché da un lato risultano innegabili gli effetti del alcool sull’impulsività
specialmente quando le sue azioni risultano positive esse si trasformano in coraggio,
audacia e spontaneità; dall’altro lato a seguito del racconto presentato bisognerebbe
riflettere sul concetto stesso di avventura in tempi moderni quando questi atteggiamenti
29
risultano essere negativi. Presumibilmente, sembra opportuno puntualizzare che gli
studi critici sul backpacking dovrebbero incominciare a riconsiderare la concezione di
authenticity sotto altri punti di vista, poiché l’abuso di alcool riflette un’estenuante e
imperterrita ricerca di un’autenticità che a volte sfocia nell’ossessione.
2.3.5 Cheapness
Altra caratteristica importante e comune ad ogni backpacker è il concetto di risparmio,
l’economicità. Se si facesse riferimento alla vita comune di tutti i giorni, ed in
particolare se si considerassero i livelli di consumo che il western man è riuscito a
raggiungere in tempi moderni, sembra lecito puntualizzare che oggigiorno un
risparmiatore qualsiasi adotta la pratica del risparmio secondo schemi fissi e pressoché
ripetitivi: si limitano le spese da una parte per investirle successivamente altrove. Il fine
ultimo in sostanza sembrerebbe sempre l’acquisizione di un ipotetico bene, sia esso
materiale (ad esempio un’automobile) o astratto (il pagamento di una futura ipotetica
tassa universitaria al proprio figlio). Ciò che affascina nel mondo del backpacking è che
sebbene da un lato la mancanza di denaro è un leitmotiv costante e comune ad ogni
backpacker, il fine ultimo del risparmio è un argomento da tenere in considerazione
come spunto di riflessione in altri ambiti scientifici. Se per le vecchie generazioni il
risparmio aveva ancora come obiettivo l’acquisizione di un bene materiale, Richards &
Wilson (2004) puntualizzano ad esempio come Hemingway investisse i soldi racimolati
durante il viaggio in champagne, Kerouac in whisky e Thompson in sigarette e altre
sostanze allucinogene, mentre le nuove generazioni di backpackers invece risparmiano
per ottenere apparentemente la più preziosa e moderna delle comodità: il tempo. Il
backpacker moderno risparmia su cibo, alloggio e trasporto per prolungare il più
possibile il proprio viaggio e questo concetto si potrebbe riassumere con la seguente
affermazione: The longer you save…the longer you stay.
Quindi il fine principale del backpacker in questo caso è mantenere viva la possibilità di
viaggiare e posticipare il rientro. Ciononostante questa filosofia di risparmio ha i suoi
vantaggi dal punto di vista del consumismo, ma allo stesso tempo se estremizzata
potrebbe scatenare fattori negativi di non poco conto. Poiché ogni backpacker vorrebbe
protrarre il suo viaggio il più a lungo possibile, il salto dal bungee jumping si fa sempre
più lungo, ovvero le scelte di alloggio diventano sempre più pericolose, il cibo
consumato sempre più nocivo, le modalità di trasporto sempre più azzardate. Il racconto
30
riportato di seguito intitolato Masters of the Southern Italy Night riflette in pieno le
ultime considerazioni in merito ai fattori negativi scaturiti da un uso estremo del
risparmio all’interno del backpacking.
2.3.6 Masters of the Southern Italy Night
Con il racconto intitolato Masters of the Southern Italy Night si riportano alcune
riflessioni in merito al concetto di cheapness, in particolare riguardo ad alcune scelte
azzardate e pericolose che i backpacker intraprendono come, in questo caso, del
trasporto scelto. Brandy è una backpacker in viaggio per l’Europa; dopo essere stata alla
famosa festa Oktoberfest a Monaco di Baviera in Germania ora si trova a Roma, pronta
ad imbarcarsi su un altro treno: un intercity notte con direzione Siracusa. Tuttavia la
consapevolezza del pericolo è ben chiara nella mente dell’autrice:
There are risks and rewards to budget globetrotting. Even a cursory review of the
safety tips online and in European guidebooks reveals that southern Italy is not the
best place for a lone female to travel, let alone thread her way through the Italian
capital’s main train station in the middle of the night…. (Pearson, 2006:70).
Eppure il fattore risparmio gioca un ruolo essenziale nell’avventura della backpacker
come si può notare nel passaggio successivo:
..I had pretty much dumped the safety advice because…my budget at this point was
on a financial version of the Atkins diet. So, when I purchased my ticket to Sicily, I
was far more concerned about economics than safety…(Ibid.)
Brandy si ritrova nella cuccetta notte con due uomini, un ragazzo circa la sua età ed un
uomo molto più grande di lei, sin dal principio avverte che qualcosa non sta andando
nel verso giusto:
…When a uniformed Trenitalia attendant leaned in the doorway to punch our
tickets, he nodded toward me and exchanged a few words with the men, and they
all laughed heartily….This aroused my curiosity…‘What were these man talking
about, and what did the gesture mean’?..(Ivi, pp.72).
L’incomprensione linguistica gioca un ruolo di notevole importanza ed ad un certo
punto, un evento particolare trasforma la curiosità di Brandy in ansia:
The older Italian slid the compartment door closed and drew the curtains tightly.
He rose and pulled down his faded black duffel bag from the overhead luggage
31
rack. ‘That’s strange’ I thought…I expected him to pull out a travel pillow..but
what emerged from his worn bag were heavy-duty ropes, rubber bungee straps, and
long lengths of welded steel chain..(Ibid.)
L’ansia si trasforma in paura e poi in panico, Brandy ora si sente intrappolata, non
riesce a capire cosa stia succedendo. Il seguente passo mostra quell’incredulità della
scrittrice definita con un termine che sarà oggetto di analisi nel capito successivo: il
“cultural shock” , uno stato mentale dell’individuo che ha luogo quando gli eventi che
lo circondano risultano incomprensibili:
…My curious composure turned into alarm, then panic…I was trapped in the corner by the
window. They both began gesturing at me while the younger guy attempted inbroken English to
convey their intent:‘Night.You.Train.Man.Bad.OK?OK?’…‘No! This is not OK!What’s going
on?!’ I thought…(Ivi, pp.73).
Per fortuna, le vere intenzioni dei due compagni di viaggio nel maneggiare catene,
corde e cavi non sono quelle che sembrano:
On the brink of tears, I somehow managed to summon my mental clarity…Had I
checked with any seasoned backpacker before boarding the train, I would have
learned that robbery and assault are common problems on overnight, intercity
trains in southern Italy…My adrenaline level dropped..as I watched the elder
Italian work with stealth at securing the door…(Ibid.)
Tutto è bene quel che finisce bene:
After what seemed like eons, the ferry docked at Syracuse, and the hold finally
opened to release the train…those men had given me a new understanding of
Italian culture- and a reminder that there’s a reason for those safety warnings to
globetrotting backpackers..(Ivi, pp.77).
Quest’ultimo passaggio risulta importante al fine di comprendere che benché il
risparmio possa avere i suoi lati positivi, spingersi al limite non sempre è la scelta più
giusta. Viaggiare apre le nostre menti, ci permette di apprezzare nuove culture e nuovi
orizzonti, tuttavia, a volte le persone che incontriamo non possono essere sempre
amichevoli. Per fortuna la maggior parte dei racconti nella backpacking literature hanno
sempre un lieto fine dopo che l’eroe si immerge in un’avventura pericolosa e spericolata
32
33
3. THE OTHER’S GAZE
A matter of perspective
3.1 Introduction
Secondo Passer & Smith (2011) la percezione è quel fenomeno mentale che porta un
individuo all’interpretazione o alla comprensione dell’ambiente circostante. Se si
applica questo concetto al backpacking si può comprendere quanto la mente di un
backpacker, o meglio il suo sguardo, può essere influenzato dalla realtà che lo circonda.
Facendo uso delle nozioni e dei racconti del testo di riferimento presentati
precedentemente, il seguente capitolo seguirà lo sguardo del backpacker nel suo
processo di percezione. Iniziando con la distinzione tra quello che è il tourist ed il
backpacker gaze la dissertazione si immerge nell’osservazione del patrimonio culturale,
degli stereotipi italiani per comprendere in un secondo momento come l’intrusione del
“reversed gaze”, ovvero dello sguardo del nativo, influirà non solo sullo sguardo del
backpacker ma anche sulla percezione dell’identità di quest’ultimo.
3.2 Tourist & Backpacker gaze
Il termine tourist gaze viene coniato per la prima volta da Urry nel 1992, nel quale
l’autore paragona lo sguardo del turista a quello di un medico. In un certo senso, come
lo sguardo del medico (dal punto di vista clinico) grazie alla sua esperienza nel campo
riesce a riconoscere le sottigliezze che sfuggono alla persona comune, lo sguardo del
turista a suo modo percepisce gli elementi socio-culturali di un luogo grazie alla sua
esperienza diretta. Più semplicemente, come sostiene Ketwadee (2013:8), si potrebbe
affermare che il tourist gaze è quell’insieme di elementi situati all’interno della mente
dei turisti: “It is about what they see, are aware of, expect and are conscious of ”. Sia
Urry (2002) che Katan (2012) concordano nel confermare l’esistenza di differenti
tipologie di turisti e con ciò riconoscono anche la presenza di diversi tourist gaze che
percepiscono in maniera distinta una cultura ospitante e la sua realtà circostante. Alla
base della diversificazione del tourist gaze secondo Urry (2002) interverrebbe un ampio
ventaglio di fattori quali ad esempio il genere e la classe socio-economica del turista, le
sue ideologie, nonché il periodo storico in cui è situata la cultura soggetta alla
percezione di quest’ultimo. Secondo Katan (2012) invece è proprio la cultura a giocare
34
un ruolo fondamentale nella percezione del turista, al punto che l’autore distingue tre
tipi diversi di cultura osservati in maniera differente dal tourist gaze. Il primo prototipo
di cultura viene riconosciuta come apparente: questa è facilmente riconoscibile e
rappresenta tutto quell’insieme di icone, immagini e di must sees ampiamente
commercializzati dal turismo di massa. In un certo senso questa è la cultura ospitante
che il turista si aspetta di trovare e che Katan (2012:92) definisce con il termine
“Cultural Heritage”, concetto che verrà approfondito nel paragrafo successivo. La
seconda tipologia di cultura è molto vicina alla precedente poiché è ancora riconoscibile
dallo sguardo del turista ma rappresenta già un secondo strato poiché è incentrata sui
comportamenti e le abitudini quotidiane dei suoi individui. Il terzo ed ultimo tipo di
cultura invece è completamente nascosta al tourist gaze: essa rappresenta un livello più
profondo poiché racchiude quell’insieme di credenze e di valori che attraverso le varie
generazioni hanno formato le radici stesse di una cultura nel corso del tempo.
A questo punto, tenendo in considerazione tali riflessioni in merito alle tipologie di
culture e collegandole alle differenze tra tourist e backpacker esposte nei capitoli
precedenti, risulta abbastanza naturale inserire il turista tra il primo ed il secondo ‘strato
culturale’ poiché la sua capacità di osservazione, ovvero il suo tourist gaze, può arrivare
a percepire solo gli elementi presenti al livello superficiale, quelli appartenenti al
cultural heritage. Il backpacker invece, tramite il backpacker gaze a rigor di logica
dovrebbe posizionarsi tra la seconda e la terza tipologia di cultura poiché nel suo essere
outsider, ossia nell’ intento di stabilire una comunicazione con gli abitanti locali (vedi
2.2.3) è alla ricerca di tutti quegli elementi che sono generalmente nascosti al turista
comune. Tuttavia le osservazioni che verranno di seguito esposte, attraverso anche i
racconti del testo di riferimento Italy from a backpack, mostreranno come
inevitabilmente il tourist gaze influisce enormemente sullo sguardo del backpacker.
3.3 Cultural Heritage
Con riferimento alle considerazioni esposte da Katan (2012) si definisce Cultural
Heritage il patrimonio di una cultura secondo tre tipologie di ricchezze: tangibili, non
tangibili e naturali. Tra gli elementi che fanno parte del patrimonio tangibile rientrano
ad esempio i monumenti, gli edifici, le opere d’arte ed i manoscritti, mentre per quello
che concerne il patrimonio non tangibile si fa in genere riferimento alle tradizioni o al
folclore tipico di una cultura. Infine, il patrimonio naturale è rappresentato da quegli
elementi paesaggistici quali montagne, mari e fiumi. Nel precedente paragrafo è stato
35
fatto notare come la percezione di questo patrimonio culturale è tipica del tourist gaze e
del turista classico poiché questi è in grado di osservare solo quegli elementi più
comuni, ovvero quelli appartenenti al primo strato della cultura, mentre il backpacker
affonda lo sguardo alla scoperta delle particolarità più nascoste di questa. Eppure per
quanto si sforzi di proiettare il suo gaze il più a fondo possibile cercando di evitare il
turista ed il suo sguardo (Jansson, 2006), il backpacker è inevitabilmente influenzato
dalle icone che fanno parte del cultural heritage e definite come i prodotti di
propaganda pubblicitaria destinati al turista comune. Non vi è infatti occasione per un
individuo appartenente alla Western society di non entrare in contatto sin dalla nascita
con una rivista o un mass media. E’ emblematico l’esempio in cui l’immagine di Parigi
viene associata ad una coppia di innamorati o alla torre Eiffel. Non vi è situazione in cui
Atene non venga collegata al Partenone, la Spagna alla corrida e Londra al Big Ben, alle
cabine telefoniche e agli autobus a due piani. Di conseguenza benché il backpacker
cerchi a tutti i costi di differenziarsi sempre e comunque dal tourist, il suo backpacker
gaze nel processo di esplorazione tenderà sempre e comunque a voler percepire, almeno
inizialmente, le stesse icone osservate dal turista comune.
A riprova di quanto enunciato, si ritiene necessario considerare alcuni racconti inseriti
nel testo di riferimento Italy from a backpack analizzati nel capitolo precedente. Ad
esempio, si nota come in Guidebook as Gospel (vedi 2.2.2) benché i backpackers siano
coinvolti in un acceso dibattito contro le guide turistiche e la loro commercializzazione
di immagini e luoghi turistici, questi stiano di fatto attendendo in una lunga fila il
proprio turno per poter visitare il museo del Vaticano, che più che un’icona rappresenta
una vera e propria istituzione nel patrimonio culturale italiano. Jefferys, il protagonista,
descrive con testuali parole la volta della cappella Sistina di Michelangelo: “There’s
Adam reaching out his hand to God, and the image is so powerful, you can only stare at
it in wonder”7
. Nel racconto 50.000 lire for the Room (vedi 2.3.4) benché Dave sia
completamente ubriaco riflette sul fatto che lui e Madaline sarebbero rimasti a Firenze
solo un altro giorno e perciò decide di uscire dall’ostello perché come egli stesso
dichiara: “ I had to get out and see more of the city”8
anche se ciò comporterà il dover
vagabondare tutta la notte in giro per la città. Generalmente non vi è racconto all’interno
del testo Italy from a backpack in cui i backpackers non facciano riferimento ad un
monumento, ad un’opera o ad un paesaggio che rientri nel patrimonio culturale italiano.
7
Pearson M., & Westerman M., (2006) Italy from a backpack, Pearson Venture Group pp. 85
8
Ivi, pp.141
36
Ad esempio Shannalee nel suo racconto intitolato Becoming History descrive Roma
come un vero e proprio sogno e dalle sue parole si comprende come la fontana di Trevi
eserciti un fascino impressionate sulla backpacker: “Trevi Fountain took my breath
away...Most awesome was its size…I was forced to step back to behold its entirety”
(Pearson, 2006:50). La scrittrice si ferma ad osservare la statua di Nettuno e la sua
descrizione merita di essere riportata qui di seguito:
The central statue, of the legendary Roman sea-god Neptune, seemed supernatural
above the horses half-immersed in frothing water beneath him. Omniscient and
powerful, the mythological god rose highest in the fountain, riding his shell-like
chariot with his gaze fixed on the square around him, as if he controlled its
movements. Surrounded by tall orange and yellow buildings, his majesty’s
appearance was fantastic in the bustling square, and he invited us to believe there
was magic in the fountain’s splashing turquoise pool (Ibid.)
Con questo passo si coglie anche l’occasione per osservare e comprendere come lo
sguardo dell’altro percepisca dettagli che, a volte, passano inosservati agli occhi dei
nativi di una cultura poiché questi sono inevitabilmente immersi nel proprio Cultural
heritage sin dalla nascita. Nel brano intitolato Art Appreciation, ad esempio, Jessica
(una backpacker statunitense) si trova nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena. La
scrittrice rimane estasiata di fronte al dipinto della Madonna Rucellai, opera del pittore
italiano Duccio e risalente al 1311 (un lasso di tempo di quasi settecento anni). Jessica
descrive ogni minuzioso particolare del quadro, ed inizia ad invidiare il personale del
museo che, seduto sulla sedia nella propria veste di osservatore, ha la possibilità di
essere a contatto con tanta maestosità ogni giorno. A rovinare questo momento sublime
ci pensa un turista italiano che, secondo il racconto della backpacker, non sembra
condividere cotanta passione per la Madonna:
..He walks quickly and directly to the guard. ‘Duccio’? he asks. With the nod of
the guard, the man steps back, stares at the Madonna for mere seconds, then spins
on his heels to exit (Pearson, 2006:174).
Evidentemente, come spesso può accadere, il turista italiano essendo a contatto
quotidianamente con un patrimonio culturale così sconfinato non percepisce l’arte con
lo stesso occhio clinico della backpacker. Tuttavia questa non si tira indietro nel
mostrare il suo sdegno: “The guard sees my look of disgust and winks. Even though he
sees her every day, he understands the power of the Virgin, her gaze and her grandeur”
(Ibid.).
In conclusione, attraverso lo sguardo dell’altro, del backpacker gaze, è possibile
constatare come, sebbene il fenomeno del backpacking abbia come finalità l’evasione
37
dalla quotidianità e tenda a sfociare nel puro escapismo, il patrimonio artistico italiano
rimane un caposaldo fondamentale della sua cultura, un insieme di icone che funge da
calamita, perfino per i backpacker gazes di quelle nuove generazioni sempre più alla
ricerca di avventure autentiche ed estreme. Il paragrafo successivo seguirà il percorso di
percezione del backpacker nel suo tentativo di inoltrarsi gradualmente nel secondo
strato della cultura ospitante, tenendo anche in considerazione sia la sua caratteristica di
outsider (vedi 2.2.3), sia il ruolo giocato dagli stereotipi culturali.
3.4 Stereotypes
Recenti studi (Jansson, 2006; Ketwadee 2013) evidenziano come il backpacker si
immerga nella cultura ricevente allo scopo di evitare il turista e dissociarsi da quello che
è il tourist gaze. Eppure le osservazioni riportate precedentemente hanno cercato di
dimostrare come il backpacker inizialmente tenda ad osservare la realtà circostante di
un luogo con lo stesso sguardo di un normalissimo turista: il backpacker gaze, a causa
di un processo turistico - mediatico, tende inconsciamente a percepire solo quegli
elementi che si aspetta già di trovare nella cultura di arrivo. Tuttavia, considerando le
nozioni in merito all’essere outsider, sembra quasi ovvio affermare che l’aspirazione del
backpacker è quella di osservare in primis i comportamenti e le abitudini quotidiane
degli autoctoni, ciò che Katan (2012) identifica come seconda tipologia di cultura (vedi
3.3). Successivamente, il backpacker si spingerebbe fino a scorgere quello strato più
profondo della cultura ospitante, ciò che il turista comune non è in grado di percepire.
Inevitabilmente, durante questo percorso il backpacker deve scontrarsi con quelle
credenze che si trascina sin dalla cultura di partenza, cioè con gli stereotipi culturali.
L’analisi di questi ultimi risulta importante per comprendere in una seconda fase come
l’incrocio tra lo sguardo del backpacker e quello del nativo, il reversed gaze, può in
certe circostanze generare ciò che è stato identificato con il nome “Cultural Shock”.
Facendo riferimento ai brani selezionati nel capitolo precedente dal libro Italy from a
backpack, l’analisi si presenta anche come una valida occasione per osservare più da
vicino, grazie allo sguardo dei backpackers, quali tra i seguenti stereotipi sugli italiani
vengono confermati e quali invece smentiti.
Secondo la rivista Italian District (giornale statunitense con sede in Florida negli Stati
Uniti) a seguito di un lungo sondaggio svoltosi negli USA, agli italiani verrebbero
riconosciuti quattro stereotipi principali: la mafia, la gesticolazione, la difficoltà nel
38
parlare la lingua inglese e il cibo. Facendo un passo indietro verso il capitolo
precedente, Lainey nel proprio racconto Worth every euro (vedi 2.2.4) accenna subito
allo stereotipo della mafia quando si rende conto di essere in una casa di sconosciuti e
non sa con certezza dove passerà la notte:
…While we waited in their dim entry way, visions of being taken to a Mafia-
owned broche crept into my overactive imagination..[..] the further we went, the
more I wondered if we would ever be able to find our way out of that maze...(vedi
2.2.4).
Giunti al termine della storia, lo stereotipo degli italiani mafiosi non viene confermato e
anzi, le parole finali di Lainey rivelano tutta l’affettuosità di Madam (l’oste italiana) nei
confronti delle due backpackers: “…She took care of us like a nosy, worried, loving
mother..”(vedi 2.2.4). Inoltre, tale conclusione sembra sostituire lo stereotipo della
mafia con un altro ben più piacevole, ovvero la calorosità degli Italiani. E’ anche vero
però che non sembra essere dello stesso parere Bill nel proprio racconto Hostage of the
Hostile Hostel (vedi 2.3.2), dove il backpacker viene letteralmente rinchiuso nell’ostello
e solo grazie all’aiuto di alcune lenzuola ed altri backpackers riesce ad “evadere”. Il
racconto rimanda anche a due stereotipi molto importanti: il classico gesticolare degli
italiani e il fatto che questi non siano in grado di parlare correttamente la lingua inglese.
Effettivamente Bill dimostra di essere d’accordo nel confermare il primo dei due
stereotipi quando il personale dell’ostello gli nega, in maniera plateale, la sua libertà ad
uscire dall’alloggio in prima mattinata:
…Signore, per favore, I have to catch a bus at seven in the morning so I need to
leave a little earlier[…]…. ‘IMPOSSSSIBLE’ he waved his raised hands
vigorously, as if he were trying to keep an airplane from landing on the counter
between (vedi 2.3.1).
Infine, per quanto concerne lo stereotipo linguistico, lo scrittore ne conferma l’esistenza
riportando la parlata maccheronica del personale quando questi gli elenca una cascata di
norme da rispettare: “Curfew 11.30—absolutely no entry after then, doors locked!
Doors 10.00 in morning to 3.00 in afternoon. Everyone must go. Absolutely no entry!..”
(vedi 2.3.1).
Tra l’altro tramite quest’ultimo passaggio Bill si rende anche conto che l’Italia non
rappresenta il “relax del Mediterraneo” come credeva in un primo momento. Ciò
nondimeno, gli stereotipi sulla lingua inglese e sulla gesticolazione da parte degli
Italiani vengono richiamati anche da Brandy, la backpacker del racconto Masters of the
Southern Italy Night (vedi 2.3.6) in viaggio verso Siracusa sul treno intercity notte.
39
Come è già stato notato nel capitolo precedente, a seguito di alcuni episodi un po’
allarmanti, uniti all’impossibilità di instaurare una comunicazione con i viaggiatori della
sua cuccetta, Brandy si sente in pericolo e il panico sembra prendere il sopravvento:
My curious composure turned into alarm, then panic…I was trapped in the corner by the
window. They both began gesturing at me while the younger guy attempted in broken English
to convey their intent:‘Night.You.Train.Man.Bad.OK?OK?’…‘No! This is not OK!What’s
going on?!’ I thought… (vedi 2.3.6).
Al di là degli esempi qui riportati, che dimostrano come i backpackers accettano e
smentiscono le loro credenze, sembra giusto e doveroso puntualizzare che lo stereotipo
sulle problematiche linguistiche dell’inglese è un vero e proprio leitmotiv, ripetuto e
fatto notare più volte da ogni backpacker. Infine, per quanto riguarda il cibo, nonostante
gli italiani siano abituati ad essere associati a pizza e spaghetti, molti backpackers fanno
invece riferimento al gelato come icona fondamentale della bandiera tricolore. Ad
esempio, in un racconto presente nel testo di riferimento, la backpacker Courtney in
viaggio lungo la penisola intitola la propria storia Gelato Girls consigliando ad ogni
altro turista che incontra sul proprio cammino di assaggiarlo. Infine nel brano The day I
shut Down the Vatican la protagonista Mary, dopo essere stata derubata all’interno del
vaticano ed essere in seguito riuscita a recuperare la refurtiva decide di festeggiare con i
suoi compagni di viaggio: “holding runny ice-cream cones in sticky hands”9
.
Ad ogni modo, indipendentemente dall’accettazione o dal rifiuto delle credenze che il
backpacker si trascina dal suo paese di origine, l’analisi degli stereotipi risulta
importante al fine di comprendere come il backpacker gaze percepisce le differenze tra
la cultura di partenza (la propria) e quella di arrivo (la cultura ospitante). Proprio
tramite le differenze tra “self” e “other” il backpacker inconsciamente costruirebbe
mattone dopo mattone la sua identità (Currie, 2004). Di conseguenza, se si considera
che queste diversità emergono principalmente attraverso l’interazione fra individui, in
questo caso tra il backpacker (self) e il nativo (other), si evince che oltre al backpacking
gaze anche l’autoctono svolge un ruolo importante attraverso il suo sguardo, il reversed
gaze al fine di individuare quella che è l’identità del backpacker. Queste ultime
considerazioni saranno oggetto di esame del prossimo paragrafo dove verranno
approfonditi il concetto di reversed gaze e il modo in cui questo influisce sul
backpacker gaze.
9
Pearson M., & Westerman M., (2006) Italy from a backpack, Pearson Venture Group pp.32
40
3.5 The reversed gaze
Il concetto di reversed gaze è ancora oggetto di dibattito negli studi accademici ( Brunt
& Courtney, 1999; Gillespie, 2006; Gelbaman & Collins, 2013). Dal canto loro, Brunt
& Courtney (1999) ritengono opportuno individuare questo sguardo attraverso un verso
e proprio sondaggio di ricerca sulle percezioni e sulle credenze della popolazione nei
confronti del turista e dei suoi comportamenti. Di fatto nella loro ricerca vengono presi
in esame gli impatti sociali e culturali del turismo tramite un sondaggio sugli abitanti a
contatto con un villaggio turistico sulla costiera occidentale dell’Inghilterra. Riportando
le opinioni degli abitanti locali, i due autori propongono un metodo di studio al fine di
comprendere lo sguardo dell’altro (ovvero del nativo, in questo caso). Eppure Gelbaman
& Collins (2013) segnalano come gli studi critici dovrebbero spingersi più in là delle
mere interviste, poiché in fondo come il tourist o il backpacker si trascina dalla cultura
di partenza quel bagaglio culturale composto da immagini, icone e stereotipi, allo stesso
modo lo sguardo del nativo è fortemente influenzato da tutti quegli elementi e da tutte le
credenze trapiantate nella propria cultura e riflesse sul turista. Tuttavia non si possono
nemmeno condividere le proposte dei due studiosi nel prendere sotto esame il personale
che lavora direttamente nell’ambito turistico ed in particolare le guide. In primo luogo
in quanto le guide turistiche non hanno solo la funzione di mediatore linguistico ma
anche culturale; di conseguenza il loro sguardo funge da “spartiacque” tra due mondi,
incrociando elementi culturali da ambo le parti che influenzano notevolmente le
sensazioni percepite dalle guide stesse. In secondo luogo perché anche lo spazio in cui
avviene lo scambio di informazioni tra turista e guida (e quindi l’incrocio tra il tourist
ed il reversed gaze) è sempre permeato da una realtà circostante piena di tutti quegli
elementi creati appositamente per essere consumati dal turista. La conseguenza che ne
deriva è l’ennesimo offuscamento degli elementi più profondi di una cultura che non
vengono quindi né trasmessi dal reversed gaze né percepiti dallo sguardo del turista o
del backpacker. Ad ogni modo, a prescindere da quale metodo e sguardo possano
rappresentare al meglio il concetto di reversed gaze, le uniche certezze che si hanno ad
oggi sono le argomentazioni esposte da Gillespie (2006:362). La studiosa identifica una
terza tipologia di sguardo definendola come: “The self’s perspective on Other’s
perspective on self”, ovvero la percezione che il backpacker condensa nella propria
mente dopo essere stato osservato o dopo essere entrato in contatto con il nativo della
cultura di arrivo. Gillespie identifica per la prima volta questo sguardo nel suo studio
intrapreso sulla tribù dei Ladakh in India. Apparentemente un membro della tribù
41
afferrò la macchina fotografica di un giornalista e scattò una foto ad un fotografo
francese che continuava imperterrito a riprendere con la sua fotocamera una tipica danza
della tribù. Il fotografo francese percepì che ciò che stava facendo stava suscitando un
certo fastidio sulla tribù essendo la danza un elemento intrinseco e fondamentale per gli
abitanti di Ladakh. Perciò il fotografo interruppe la sua mansione, quasi imbarazzato. Si
potrebbe affermare che questa ultima tipologia rappresenta il risultato di quel gioco di
incroci di sguardi che in un secondo luogo va a modellare l’identità del backpacker. Il
paragrafo successivo cercherà di mostrare come l’incrocio tra il backpacker ed il
reversed gaze genera questo terzo tipo di sguardo e come in casi estremi questo può
sfociare nel “Cultural shock”.
3.6 The cultural shock
Nel paragrafo 3.4 è stato presentato il meccanismo delle diversità tra due culture tramite
l’accettazione o la negazione degli stereotipi culturali sugli italiani da parte dei
backpackers. Successivamente queste considerazioni sono state collegate al
meccanismo di riconoscimento delle differenze tra “self” e “other” e come attraverso
queste il backpacker inconsciamente costruisca mattone dopo mattone la propria
identità. Tuttavia si è notato come le abitudini e i comportamenti quotidiani degli
autoctoni rappresentino ancora quel secondo strato culturale indicato da Katan (2012) e
quindi ancora facilmente riconoscibile allo sguardo del backpacker. In effetti, proprio
perché gli stereotipi rientrano nel bagaglio culturale di partenza, il backpacker in un
certo senso sa ancora cosa aspettarsi o non aspettarsi, mentre gli elementi del terzo
strato culturale sono ‘nascosti’ proprio perché sono sconosciuti allo straniero. Benché la
conoscenza di questi ultimi richiederebbe un lungo periodo di immersione nella cultura
ospitante, lo sguardo del backpacker può intravederli di sfuggita grazie al “cultural
shock”. Secondo Katan (2012) il termine fu coniato per la prima volta da Cora du Bois
nel 1951 per definire una sensazione di ansia che conduce alla perdita di tutti i punti di
riferimento nel contesto di un’altra cultura.
Per comprendere a fondo questo concetto e in che modo il reversed gaze può influire
sulla dinamica del processo, si possono prendere in considerazione alcuni brani
analizzati nel capitolo precedente. Ad esempio, nel racconto Hostage of the Hostile
Hostel (vedi 2.3.2) Bill riesce a scappare dall’ostello nel quale è rinchiuso e corre nel
tentativo di prendere l’autobus per Roma. Tuttavia il backpacker arriva alla fermata
42
dell’autobus con cinque minuti di ritardo ed osservando la tranquillità del venditore di
biglietti, unita all’immagine del piazzale vuoto (backpacker gaze) crede che l’autobus
sia già partito, perciò maledice a voce alta l’ostello:“I gnashed my teeth and cursed the
hostel loudly..” (vedi 2.3.1). Il venditore osserva la scena del backpacker che impreca
(reversed gaze) ed inizia a ridere dicendogli: “No, no, no seven o’clock bus, she never
come at seven..[..] seven o’clock bus always come after nine”. In maniera lieve si può
notare il cultural shock subito da Bill dal semplice fatto che il racconto si chiude con
questa ultima frase. Non è difficile infatti intuire che le risate e l’ultima affermazione
abbiano scosso lo scrittore, ed il cultural shock è rappresentato dall’inconsapevolezza da
parte del backpacker di un elemento insito nella cultura italiana: il ritardo. Un altro
esempio che rappresenta in maniera più decisa il cultural shock e la percezione degli
elementi intriseci di una cultura ci viene dato da Brandy nel suo racconto Masters of the
Southern Italy Night (vedi 2.3.6). Benché la backpacker sia a conoscenza (tramite una
guida per turisti) del pericolo nel viaggiare di notte sui treni in Italia decide comunque
di imbarcarsi su un intercity notte con destinazione Siracusa. Il racconto ci mostra come
Brandy scruti le due persone presenti nella sua cuccetta (backpacker gaze) e ad un certo
punto il controllore del treno gli faccia un cenno con la testa (reversed gaze) iniziando a
ridere (in maniera incomprensibile alla scrittrice) con gli altri due viaggiatori. Il cultural
shock interviene quando in punto di dormire Brandy si aspetta che il viaggiatore
estragga dal suo zaino un cuscino, invece ciò che i suoi occhi scorgono sono catene,
corde e cavi. La nuova percezione della backpacker assume toni drammatici, è nello
‘shock’ più totale: “My curious composure turned into alarm, then panic…”(vedi 2.3.6).
Successivamente Brandy comprende che quell’armamentario non aveva lo scopo di
farle del male e attraverso le sue parole veniamo a conoscenza di un dettaglio
importante appartenente alla cultura ospitante : “[..]..that robbery and assault are
common problems on overnight, intercity trains in southern Italy [..] those men had
given me a new understanding of Italian culture…”(vedi 2.3.6).
Mediante gli esempi sopra riportati si riesce a comprendere come, benché la conoscenza
di quegli elementi culturali più profondi (credenze e valori che attraverso le varie
generazioni hanno formato le radici stesse di una cultura) richiederebbe un lungo
periodo di immersione nella cultura ospitante, lo sguardo del backpacker a volte può
percepirli di sfuggita grazie al cultural shock. In esso sia il reversed gaze, che la terza
tipologia di sguardo definita da Gillespie (2006:362) come “The self’s perspective on
Other’s perspective on self” giocano un ruolo fondamentale poiché senza la loro
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  • 1. 1 Dipartimento di Antichistica, Lingue , Educazione, Filosofia (A.L.E.F) Corso di Laurea in Lingue e Civiltà Straniere Moderne DISCOVERING ITALY BY BACKPACKING Relatore: Chiar.mo Prof. Gillian Mansfield Correlatore: Chiar.mo Prof. Micòl Beseghi Laureando: LUCA AMODIO Anno accademico 2014/2015
  • 2. 2
  • 3. 3 INDICE INDICE.........................................................................................................3 INTRODUCTION.......................................................................................5 1. BACKPACKING & BACKPACKERS ................................................7 1.1 The Original Adventurer (1947 – 1957) ................................................................... 7 1.2 Ernest Hemingway (1899 – 1961): The Founding Father......................................... 7 1.3 Drifters & Hippies (1957-1970): Off the beaten track ............................................. 8 1.4 Jack Kerouac (1922-1969) & Hunter S. Thompson (1937-2005) : Hitting the road with the Beat Generation ....................................................................................................... 10 1.5 From the Counterculture to the Mass-drifter tourism (1975 – 1990)................... 11 1.6 Bruce Chatwin (1940 -1989): The Sophisticated traveller........................................ 11 1.7 Backpackers & Lifestyle Travellers (1990 – 2015): Gap year or a way of life? .. 12 1.8 Bill Bryson: Travel celebrity...................................................................................... 13 1.9 Italy from a backpack: Youth wanderlust................................................................ 15 2. DISCOVERING BACKPACKING.....................................................17 2.1 Introduction............................................................................................................... 17 2.2 Norms and Assumptions........................................................................................... 17 2.2.1 Tourist angst...................................................................................................... 17 2.2.2 Guidebook as Gospel.......................................................................................... 18 2.2.3 Outsider.............................................................................................................. 20 2.2.4 Worth every euro ................................................................................................ 21 2.3 Rituals And Icons ...................................................................................................... 24 2.3.1 Adventure........................................................................................................... 24 2.3.2 Hostage of the Hostile Hostel ............................................................................ 24 2.3.3 Alcohol................................................................................................................ 26 2.3.4 50.000 lire for the Room..................................................................................... 27 2.3.5 Cheapness........................................................................................................... 29 2.3.6 Masters of the Southern Italy Night .................................................................. 30 3. THE OTHER’S GAZE.........................................................................33 3.1 Introduction............................................................................................................... 33 3.2 Tourist & Backpacker gaze...................................................................................... 33 3.3 Cultural Heritage ...................................................................................................... 34 3.4 Stereotypes................................................................................................................. 37 3.5 The reversed gaze...................................................................................................... 40
  • 4. 4 3.6 The cultural shock..................................................................................................... 41 3.7 Disruption or Construction of self-identity?........................................................... 43 CONCLUSIONS........................................................................................45 BIBLIOGRAPHY .....................................................................................49 RINGRAZIAMENTI................................................................................52
  • 5. 5 INTRODUCTION La presente dissertazione si presenta come un’analisi del fenomeno conosciuto come backpacking e del suo protagonista principale, il backpacker. Benché una frangia degli studi accademici (Clifford 1997; Richards & Wilson 2004; O’Reilly 2006) ritiene che questo movimento rappresenta una mera sottocategoria del turismo di massa, mediante un vero e proprio viaggio tra la storia, le caratteristiche e il modo in cui il personaggio principale costruisce la sua personalità, la seguente tesi si propone di descrivere in maniera esaustiva il backpacker al fine di differenziare il backpacking da qualsiasi sottoclasse del turismo. Per sostenere gli argomenti presentati sono stati presi in considerazione alcuni racconti inseriti nel testo di riferimento Italy from a backpack, non solo perché scritti in prima persona da oltre trenta backpackers in viaggio per l’Italia, ma anche perché l’analisi si presenta come una valida occasione per comprendere, tramite “lo sguardo dell’altro”, l’impressione che i viaggiatori hanno sugli italiani e sull’Italia, sulla loro cultura, sui loro stereotipi e sulle loro tradizioni. Il primo capitolo si focalizza sulla storia e l’evoluzione venutasi a formare nel movimento del backpacking. Si fa riferimento al suo antenato primordiale, “l’adventurer” per poi considerare le sue fasi evolutive: del “drifter”, del “sophisticated traveller”, ed infine del “backpacker”. Per poter comprendere al meglio la natura e la personalità che sviluppa il backpacker nel corso del tempo, si è ritenuto opportuno fare riferimento non solo ai periodi storici in questione, bensì ai movimenti culturali a cui egli si è identificato, nonché alla grande influenza che hanno esercitato gli scrittori più importanti del genere. Il secondo capitolo identifica le caratteristiche peculiari del backpacker presentando in un primo momento le sue norme quali tourist angst e l’essere outsider. Queste risulteranno di notevole importanza per identificare i tratti distintivi che distinguono il backpacker da un normalissimo turista. Successivamente, la tesi evidenzia i rituali e le icone che il backpacker assume, ovvero adventure, alcohol e cheapness. Per cercare di immedesimarsi il più possibile e per cogliere al meglio la personalità del personaggio, si è deciso di collegare ogni caratteristica ad un racconto scelto e selezionato dal testo di riferimento Italy from a back pack. Le peculiarità riportate in questo capitolo risulteranno essenziali per comprendere in un successivo momento in che maniera il backpacker percepisce la realtà circostante tramite the other’s gaze.
  • 6. 6 Il terzo ed ultimo capitolo descrive proprio questo ultimo concetto, ovvero lo sguardo dell’altro. Per intensificare la differenza tra turista e backpacker vengono analizzate le differenti modalità di percezione di ambo i partecipanti nei confronti della cultura ricevente. Anche in questo capitolo, i riferimenti all’Italia ovvero patrimonio culturale, agli stereotipi e al ruolo svolto dall’italiano tramite lo sguardo del nativo (del reversed gaze), saranno rilevanti al fine di evidenziare il modo in cui il backpacker “modella” costantemente la sua identità.
  • 7. 7 1. BACKPACKING & BACKPACKERS A journey through the history of the movement and its characters 1.1 The Original Adventurer (1947 – 1957) Il fenomeno del backpacking nasce nella sua versione moderna nell’Europa Occidentale solo alcuni anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Come suggerisce E. Cohen (1972, 1973), studenti e giovani perlopiù appartenenti alla classe sociale media iniziarono a muovere i primi passi, con zaino in spalla, verso l’esplorazione del continente ed in particolare delle mete più ambite, quali Londra, Amsterdam e Copenhagen. Questi giovani viaggiatori si immergevano completamente nella cultura ricevente, attraverso il contatto e l’ospitalità dei membri che ne facevano parte. Il modello è quindi quello dell’ Adventurer, soggetto guidato da un’insaziabile sete di conoscenza dell’ignoto, nonché da un’estenuante ricerca dell’avventura. Tale figura a prima vista potrebbe ricordare i movimenti giovanili antecedenti del working tourism, dove studenti pieni di ideali tentavano di combinare lavoro ed esplorazione in un modello di vita, formando ciò che Pape (1964) definirà successivamente con il termine “touristry”: una maniera di viaggiare che prevedeva l’impiego in lavori occasionali nell’ambito turistico, universitario e del volontariato, allo scopo di finanziare il viaggio successivo. Tuttavia, a differenza dell’orientamento collettivo dei movimenti giovanili, gli adventurers sono individualisti, sprezzanti delle ideologie, avversi al turismo di massa. Il miglior esempio dell’antipatriottismo, essi viaggiano frequentemente all’estero principalmente per fuggire dalla propria terra d’origine. In un certo senso, sia i membri dei movimenti giovanili che gli adventurers ritraggono un quadro della vita che rappresenta una fuga dalla realtà; eppure, se tale fuga nei giovani del working tourism è impregnata delle tonalità di un’evasione di tipo romantica, poiché volta ad obiettivi sociali - costruttivi, quella della prima generazione di adventurers è dipinta dei colori vivi dell’edonismo e sfuma nelle tinte forti del puro anarchismo. 1.2 Ernest Hemingway (1899 – 1961): The Founding Father Il migliore rappresentante della prima generazione di adventurers è Ernest Hemingway: giornalista statunitense, scrittore di oltre cinquanta tra romanzi e racconti brevi, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954 con il romanzo The Old man and the sea e considerato da molti il padre fondatore del movimento oggi denominato
  • 8. 8 backpacking. In particolare, Richards & Wilson (2004) sottolineano come i luoghi narrati e visitati dallo scrittore siano diventati un’icona, un modello di adventurous life cosi affascinante da essere imitato e ricreato dalle generazioni successive di lettori, attraverso il viaggio alla ricerca delle esperienze vissute in prima persona dall’autore. Hemingway visse una vita irrequieta, spostandosi continuamente da una città all’altra: da Chicago a Parigi allo scoppio della prima guerra mondiale, a Toronto, visitò Milano, fu inviato quale reporter speciale a Costantinopoli, a New York, a Cuba, ad Hong Kong; sulla scia di queste esperienze l’autore dipinge nei suoi racconti ritratti di soldati, cacciatori, nonché di bullfighters grazie alle sue visite in Spagna, a Siviglia, a Madrid, ed è alla festa di San Firmino a Pamplona nel 1924. Non sorprende quindi che le guide della Lonely Planet fanno spesso riferimento agli “Hemingway’s haunts”: a Cuba (“Hemingway’s hangout”), alla Spagna (“Enough bullfighting to make Papa Hemingway blush”) ed alla Florida (“The legendary land of Hemingway”)1 . Tuttavia Hemingway non è solo il prototipo del viaggiatore ideale per le successive generazioni di backpackers, bensì i suoi racconti influenzeranno enormemente gli scrittori suoi contemporanei come Key West, nonché autori futuri come Michael Palin che cercheranno di imitarne lo stile di scrittura, la brama irrefrenabile delle esperienze eroiche nella natura, la ricerca della genuinità spesso ritrovata nelle cose semplici della vita. Hemingway infine rappresenta un caposaldo importante nell’ambito della Travel literature, poiché come indicano Hall & Kinnaird (1994), egli appartiene a quella generazione di “travellers who write”, cioè di scrittori che viaggiavano con il fine unico di scrivere, a differenza delle generazioni moderne dei “travel writers” laddove l’atto del viaggiare ha un fine a sé stesso e solo successivamente diventa soggetto di scrittura. 1.3 Drifters & Hippies (1957-1970): Off the beaten track Con il passare degli anni il numero di adventurers cresce notevolmente, grazie anche allo sviluppo di mezzi di trasporto e la comparsa di alloggi provvisori sempre più economici, i cosiddetti ostelli. Iniziano pertanto ad allargarsi anche gli orizzonti e le destinazioni, che non comprendono più solo l’Europa ma anche l’America centrale, L’Asia meridionale e del sud-est, nonché l’Africa orientale. Non si incontrano più soltanto viaggiatori Europei, ma si riscontra una crescita sostanziale di adventurers americani, canadesi ed australiani (anche se rimane ancora perlopiù un Western 1 Richards, G. & Wilson, J. (2004) Travel writers and writers who travel: Nomadic icons for the backpacker subculture? Journal of Tourism and Cultural Change 2(1), pp. 46-68
  • 9. 9 phenomenon), e per la prima volta si identifica l’antenato del backpacker, coniato ufficialmente da E. Cohen (1972) con il nome di “drifter”: “…the type of international tourist who ventures furthest away from the beaten track…he shuns any kind of connection with the tourist establishment….He tries to live the way the people he visits live…The drifter has no fixed itinerary or timetable and no well-defined goals of travel” (1972:166). Già dai primi studi negli anni sessanta quindi, si denota una certa complessità nel tracciare l’identità del drifter. È possibile però individuare alcune delle sue sfumature, relative a quella che Kavolis (1970:445) definisce la mentalità del “post-modern man”: l’individuo cerca sé stesso nelle zone periferiche, verso gli orizzonti che svaniscono, è caratterizzato da una personalità decentralizzata, disorganizzata ed asimmetrica (da ciò deriverebbe quindi la sua scelta di non prefissarsi mete e destinazioni). Parallela alla corrente del drifting incontriamo quella Hippie, il famoso movimento giovanile statunitense, venutosi a formare agli inizi degli anni sessanta e che si diffuse, successivamente, in tutto il mondo. I due movimenti plasmano menti dalle caratteristiche simili, a tal punto che spesso si finisce per concepire uno stesso individuo, quello che E. Cohen (1973:100) definisce come “ Itinerant Hippie” : “The travelling drop-out, on his way to some drug-sanctuary in Europe or Asia or drifting aimlessly from one ‘hippie’community to another”. Tuttavia, è opportuno fare attenzione a non identificare tutti i drifters come hippies, dato che come indica Kenniston (1968) tantissimi drifters non fanno utilizzo di droghe o ne praticano solo un consumo saltuario. Ciò che vale la pena ricordare invece, sono gli ideali economici, politici e culturali che i due movimenti condividono, a differenza del rifiuto ideologico degli adventurers della generazione precedente. Questi ideali affluiscono nella rinomata corrente della “Beat generation”2 , successivamente denominata negli anni sessanta “Counterculture”, una controcultura che, dal punto di vista dei viaggiatori, si ribella ai modelli di vita prestabiliti e alle convenzioni sociali mediante lo scioglimento delle cravatte, l’abbandono del senso del dovere, la negazione dei comfort e delle tecnologie della società moderna al fine di viaggiare verso mete lontane, primitive, esotiche. Infine, il viaggio diventa anche sinonimo di protesta, di propaganda anti-guerra e, in particolare da parte dei giovani americani, alla guerra del Vietnam. 2 Anderson, Terry H. (1995). The Movement and the Sixties. Oxford: Oxford University Press
  • 10. 10 1.4 Jack Kerouac (1922-1969) & Hunter S. Thompson (1937-2005) : Hitting the road with the Beat Generation In uno studio sulla seconda generazione di backpackers dal 1950 in avanti, Marteau (1998) inserisce Kerouac come scrittore-icona quale esempio più concreto del travelstyle nel panorama primordiale del backpacking. Kerouac inoltre influì profondamente nello sviluppo del beat movement, ed in un certo senso il suo romanzo On the road (1957) viene considerato un po’ la bibbia della Beat Generation. Anche se l’autore ha spesso rifiutato l’etichetta di autore beat, in esso ritroviamo tutti i temi di un’intera generazione: dal rifiuto delle norme imposte al disagio dell’individuo nella vita quotidiana ma soprattutto, secondo Richards & Wilson (2004) nelle sue parole si riscontra il sentimento di alienazione dell’uomo nella società contemporanea: …I had traveled eight thousand miles around the American continent and I was back on Times Square…seeing with my innocent road-eyes the absolute madness and fantastic hoorair of New York with its millions and millions hustling forever for a buck amongst themselves, the mad dream – grabbing, taking, giving, sighing, dying, just so they could be buried in those awful cemetery cities beyond Long Island City… 3 Le avventure di Kerouac furono sicuramente di ispirazione ai viaggiatori della sua generazione e ai romanzi degli scrittori, sia suoi contemporanei che futuri, tra i quali è degno di menzione Hunter S. Thompson. Quest’ultimo acquisì notevole notorietà negli anni sessanta per aver inventato un nuovo stile giornalistico, il “gonzo”, caratterizzato dall’immersione totale del reporter nell’azione al punto da diventarne il protagonista principale. Esempio illustre di applicazione di tale tecnica narrativa in bilico tra realtà e finzione è il suo celebre romanzo Fear and Lathing in Las Vegas: A Savage Journey to the Heart of the American Dream (1971). Tuttavia, fatta eccezione per la vita sregolata a base di droghe, sesso ed alcol del protagonista e dell’autore stesso, il romanzo suggerisce qualcosa di molto più sottile e fugace, le cui avventure fanno dell’autore un antieroe per i giovani della Counterculture poiché in fondo la rappresentazione di quella Las Vegas è la stessa dell’americano medio all’inizio degli anni settanta, che dal radicalismo scivola lentamente nel conformismo. Il fallimento del sogno americano quindi, corrisponde anche al fallimento dei valori e degli ideali della Counterculture. 3 Kerouac, J. (2000 [1957]) On the road. London: Penguin Classics. IN Richards, G. & Wilson, J. (2004) Travel writers and writers who travel: Nomadic icons for the backpacker subculture? Journal of Tourism and Cultural Change 2(1), pp. 46-68
  • 11. 11 1.5 From the Counterculture to the Mass-drifter tourism (1975 – 1990) Dagli inizi degli anni settanta iniziano a verificarsi sostanziali cambiamenti nel movimento del backpacking allora noto come drifting (vedi 1.3), da un lato a causa della penetrazione degli interessi economici che ne modificano gli itinerari, gli spostamenti e l’icona stessa del desiderio di avventura; dall’altro secondo E. Cohen (1973) si assiste ad una vera e propria crisi dei valori della Counterculture. Per quello che concerne gli interessi economici, è impossibile non citare il ruolo giocato dalla nascita delle guide turistiche di quegli anni come Project London o Europe Under 25 contenenti informazioni essenziali su ostelli, cibo, visite e percorsi: un chiaro esempio della offerta del Colosso del Turismo alla domanda dei drifters. Le mete iniziano quindi ad essere prefissate, i drifters lentamente ed inconsciamente diventano consumatori e simbolo di quello che successivamente verrà definito come “Mass-drifter tourism” 4 . Iniziano a formarsi, nei paesi del Medio Oriente, le prime compagnie di trasporto che offrono sconti su autobus, treni, nonché vere e proprie tariffe speciali per i giovani viaggiatori. Allo stesso tempo, l’elemento di “vera avventura” è drasticamente spogliato di contenuti. Non ci si imbatte più nelle giungle del Sud America o nel Sud- Est Asiatico o nella profonda Africa come l’originario l’adventurer, il nuovo prototipo di drifter non è più motivato se non a seguire le classiche rotte verso l’India. Si assiste, inoltre, ad una significativa perdita di contatto con i membri della cultura ricevente, alla nascita delle “drifter communities” 5 dove l’interazione sociale avviene esclusivamente tra gli stessi viaggiatori. È la cosiddetta crisi dei valori, della Counterculture in particolare, ed il drifter, ispirato ancora ai valori dei movimenti Hippie e della controcorrente (i cui membri negarono, rifiutarono e cercarono di rivoluzionare la propria società e cultura), paradossalmente iniziano a divenire i simboli di tutto ciò che vi è di negativo e di marcio nella Western culture. 1.6 Bruce Chatwin (1940 -1989): The Sophisticated traveller Si è deciso di collegare Bruce Chatwin al sopracitato periodo in merito ad alcune considerazioni. In primo luogo, con il suddetto autore assistiamo ad un primo spostamento del baricentro dell’asse dai writers who travel verso i travel writers (anche se Chatwin ha sempre rifiutato quest’ultima etichetta). In secondo luogo è lecito considerare Chatwin un'eccezione al nuovo movimento di mass-drifter tourism che si 4 Cohen, E. (1973) Nomads from Affluence: Notes on the Phenomenon of Drifter-Tourism. International Journal of Comparative Sociology 14 (1-2), pp. 89-103 5 Ibidem
  • 12. 12 stava formando in quegli anni, attraverso i suoi capolavori In Patagonia (1977) e The Songlines (1987). Con i racconti sui luoghi visitati, con le sue immersioni tra le persone e le tribù incontrate, con il suo desiderio di esplorare l’irrequietezza umana, secondo Murray (1993: 39) “Chatwin ha invigorito il genere del travel writing”. Caratteristica principale del suo stile di scrittura è il costante oscillamento tra finzione e realtà ed a volte le sue descrizioni distorte delle culture e delle tribù visitate non sono state sempre apprezzate da chi vi si è riconosciuto: “I quit my job in the ‘art world’ and went back to the dry places: alone, travelling light. The names of the tribes I travelled among are unimportant: Rguibat, Quashgai, Taimanni, Turkomen, Bororo, Tuareg – people whose journeys, unlike my own, had neither beginning nor end” (Chatwin, 1987:18). D’altro canto Chatwin si è però guadagnato il suo posto tra quelli che Clifford (1997) concepisce come “sophisticated travellers”, ovvero tra quegli esploratori culturali il cui viaggio ha l’obiettivo preciso di recuperare una conoscenza culturale, scientifica, e spirituale. Ciò che sorprende dalla descrizione di Clifford (1997) è che non si fa più riferimento ad un drifter né ad un adventurer come eccezione al turismo di massa, bensì ad un viaggiatore specializzato che, all’interno di una élite, cerca attivamente l’interazione con le popolazioni locali e la loro comunità. Tale descrizione permette di comprendere come la figura del drifter stia lentamente scomparendo, per lasciare il posto ad una sua controfigura post-moderna, distorta, lontana dal suo prototipo iniziale: un sophisticated traveller. 1.7 Backpackers & Lifestyle Travellers (1990 – 2015): Gap year or a way of life? La letteratura critica degli ultimi vent’anni presenta varie sfumature e differenti punti di vista in merito al fenomeno del backpacking. Già nel 1976 Vogt, in contrasto con le dichiarazioni di E. Cohen (1972), suggerì che la spinta a viaggiare del giovane errante non fosse ignota, bensì rispondesse ad un preciso percorso di crescita personale; Perciò alla denominazione peggiorativa di drifter, propone quella di wanderer. Riley (1988) afferma che sia Vogt (1976) che Cohen (1972) si focalizzarono solo su giovani viaggiatori, senza tenere in considerazione quelli che definì long-term budget travellers. Eppure nessuno di questi due termini trovò un riscontro pratico negli studi accademici e sarà necessario aspettare sino al 1995, quando Loker-Murphy & Pearce introdussero per la prima volta l’appellativo di backpacker: un giovane turista con budget limitato in un periodo di vacanza relativamente lungo, una figura più inquadrata rispetto al drifter e
  • 13. 13 che prende presumibilmente le distanze dal turismo di massa tramite la propria organizzazione indipendente e flessibile delle destinazioni, che predilige alloggi relativamente economici e pone maggiore enfasi nel voler conoscere altri backpackers ed abitanti locali. Si potrebbe presumere che quest’ultima corrisponda alla versione contemporanea del sophisticated traveller, eppure i backpackers percepiscono i loro viaggi come una fuoriuscita dai propri sentieri di vita, come un rito di passaggio autoimposto, e alcuni testimoniano di aver attraversato vere e proprie crisi di vita e di valori prima di imbarcarsi nel viaggio, proprio come i precedenti drifter. Tuttavia come suggerisce S. Cohen (2010) molti di questi viaggi avvengono in un frangente ben preciso, ovvero tra la fine del liceo e l’università, oppure tra l’università e l’inizio di una carriera, o nel passaggio da una professione all’altra, e la maggior parte dei backpackers sa che farà ritorno alla propria società di origine. Pertanto, si potrebbe affermare di trovarsi di fronte a ciò che O’Reilly (2006) definisce un gap year tourist. Tale affermazione porterebbe quindi, in maniera plausibile, ad accomunare il backpacking e il turismo di massa, o perlomeno a ricondurlo ad una sua sottocategoria. Ciononostante, Noy & Cohen (2005) suggeriscono che, per taluni soggetti, il backpacking può smettere di essere una mera fase della vita, per diventare “a way of life in itself”. Solo negli ultimi anni infatti, grazie al sondaggio condotto da S. Cohen (2011) ed eseguito su venticinque soggetti che hanno intrapreso questa scelta di vita, si riesce a delineare una figura all’interno del backpacking che può rappresentare il drifter contemporaneo: il Lifestyle Traveller. In primo luogo, la durata del viaggio intrapreso dai partecipanti al sondaggio oscilla dai tre ai diciassette anni, non proprio quindi un semplice periodo di transizione ma si ha piuttosto la sensazione che il viaggio sia diventato di per sé la normalità. In secondo luogo, sebbene alcuni lifestyle travellers identifichino in una crisi di vita o nell’alienazione sociale i fattori decisivi che li spingono a mettersi in marcia, molti tracciano l’inizio del loro coinvolgimento al backpacking sin dalle mere esperienze di viaggio adolescenziali. Infine, il lifestyle traveller non pensa di rientrare nella propria società di origine, piuttosto è alla ricerca continua, per quanto ardua, di un nuovo posto da chiamare casa. 1.8 Bill Bryson: Travel celebrity Bill Bryson è uno scrittore Anglo-americano famoso per i suoi libri di avventura umoristici. Nato negli Stati Uniti, vive la maggior parte della sua vita da adulto in
  • 14. 14 Inghilterra e benché tornò negli USA nel 1995 fece ritorno in Gran Bretagna con sua moglie ed i suoi figli nel 2003. Bryson attirò la sua attenzione con The Lost Continent (1990), primo di una lunga serie di capolavori appartenenti alla letteratura da viaggio umoristica che ne fanno uno dei più grandi scrittori dell’ultimo secolo. Ma Bryson non è solo un semplice scrittore appartenente alla Travel literature, egli rappresenta infatti secondo Richards & Wilson (2004), il definitivo spostamento dell’ago della bilancia dai Writers who travel ai Travel Writers, laddove il viaggio ha una fine a se stesso, e successivamente diviene soggetto di scrittura. A dimostrazione di quanto riportato, sembra impossibile non fare riferimento al suo lavoro Neither Here Nor There: Travels in Europe (1991) dove l’autore ripercorre uno stesso viaggio fatto in Europa ben vent’anni prima. Il romanzo è pieno di flashbacks che fanno riferimento al giovane backpacker americano quando si avventurò per quattro mesi nel vecchio continente. Si potrebbe presumere che Bryson appartenga a quella generazione di backpackers che O’Reilly (2006) identifica come gap year tourists, laddove l’esperienza del viaggio ha un fine introspettivo nella conoscenza di se stessi, per poi fare ritorno alla propria società d’origine. Eppure per quanto ciò sia vero, non si può non sottolineare come l’autore, proprio a seguito di quel viaggio, si trasferì e visse in Inghilterra per circa vent’anni, e che quindi trovò un nuovo posto da chiamare casa. Con ciò non si vuole mettere in discussione la letteratura critica fino ad oggi pubblicata, ma si vuole sottolineare l’importanza del viaggio nei confronti dei giovani backpackers. Con Bryson si anticipano alcuni temi che verranno presentati a posteriori, come quello degli stereotipi, l’autore spesso e volentieri gioca con lo stereotipo nazionale, in modo particolare quando questo crea effetti di humour: “England was full of words I'd never heard before - streaky bacon, short back and sides, Belisha beacon, serviettes, high tea, ice-cream cornet” (1995:22). Ciò che suscita interesse sull’autore sono i piccoli dettagli della vita quotidiana altrui, è qui che si fonda il suo umorismo ed il suo gioco sulle stranezze delle altre culture. Tuttavia, Bryson si giustifica facendo notare che gli europei convivono con i loro stereotipi da ormai 300 anni e quindi è colpa loro se scelgono di comportarsi come da stereotipo.
  • 15. 15 1.9 Italy from a backpack: Youth wanderlust Italy from a backpack è una collezione di racconti brevi sui viaggi intrapresi e narrati da più di trenta backpackers che non hanno nulla in comune tra loro, eccetto che tutte le loro storie hanno luogo in Italia. Uno dei due autori del libro è Mark Pearson, il quale, dopo essersi laureato in economia, fondò la sua piccola casa editrice freelance, la Pearson Venture Group, pubblicando la prima edizione del libro nel 2006. Il secondo, Martin Westerman, è anche autore di How to flirt, Easy Green, The Business Environmental Handbook e di centinaia di studi accademici per conto della University of Washington Bussiness School di Seattle. I due, dopo essersi laureati nelle rispettive università hanno viaggiato da backpackers per tutta l’Europa ed al loro ritorno negli Stati uniti, hanno deciso di raccogliere e pubblicare alcune delle storie più avventurose e stravaganti avvenute in Italia. La scelta che ricade su questa raccolta non solo come libro rappresentativo dell’ultima generazione di backpackers ma anche come testo di riferimento di questa tesi ha varie motivazioni. In base alle considerazioni esposte precedentemente, si è potuto osservare come indipendentemente dalla scelta di vita del viaggiatore, l’evoluzione dal backpacker al lifestyle traveller (colui che decide di viaggiare come scelta di vita) avviene a seguito di un evento ben preciso: il viaggio durante il gap year. La presente tesi quindi, si propone di delineare la personalità del backpacker analizzando l’individuo nel periodo del suo gap year, attraverso lo studio delle sue caratteristiche più comuni quali: icone, rituali, simboli, figure eroiche, norme e credenze. Inoltre, attraverso lo sguardo dell’altro, l’analisi si presenta anche come una valida occasione per comprendere l’impressione che i viaggiatori hanno sugli italiani e sull’Italia, sulla loro cultura, sui loro stereotipi e sulle loro tradizioni. Italy from a backpack, con i suoi trenta Travel Writers in giro per l’Italia nel loro gap year, si presenta come il testo ideale per intraprendere questo studio.
  • 16. 16
  • 17. 17 2. DISCOVERING BACKPACKING through its norms, assumptions, rituals and icons 2.1 Introduction In base ad alcune considerazioni esposte nel capitolo precedente, si è potuto osservare come molti lifestyle travellers decidono di viaggiare “as a way of life” a seguito di un evento particolare, ovvero il viaggio da backpacker durante il loro gap year. Perciò, volendo dimostrare che il backpacking non appartiene ad una sottocategoria del turismo di massa ma anzi in alcuni casi può portare ad un viaggio per la vita, il seguente capitolo si propone di individuare i tratti salienti del backpacker al fine di comprendere come questi pensa ed agisce. Tra le caratteristiche peculiari più frequenti del backpacking sono state riconosciute il tourist angst e l’essere outsider, entrambe inserite di seguito nella categoria “Norms and assumptions”, mentre per quello che concerne le icone del movimento quali adventure, alcohol e cheapness, queste sono state inquadrate nel gruppo “Rituals & Icons”. Al fine di “delucidare” gli argomenti esposti, ogni caratteristica e/o icona è seguita e collegata ad un racconto selezionato dal testo di riferimento “Italy from a backpack”di Mark Pearson e Martin Westerman. I brani in questione dove si incontrano backpackers nei loro gap year, saranno inoltre oggetto di analisi nel terzo ed ultimo capitolo per quello che riguarda “the other’s gaze” e la creazione della “self-identity”. 2.2Norms and Assumptions 2.2.1 Tourist angst Caratteristica comune a tutti i backpackers è il cosiddetto Tourist angst, termine utilizzato per indicare quella ossessione continua e imperterrita posseduta sin dal vecchio drifter caratterizzata dal volersi dissociare a tutti i costi dal tipico turista in vacanza, colui che appartiene alla categoria del turismo di massa. Questa angoscia fu descritta per la prima volta da Alan Brien e citato da da Fussel (1980:49) come: “a gnawing suspicion that after all…you are still a tourist like every tourist”. L’autore sottolinea come il termine “mass” viene denigrato anche dai travel writers con sostantivi quali: “flocks”, “sheep”, “droves” ed “insects”. Palin (1992) ad esempio
  • 18. 18 utilizza il termine “invasion” mentre Mitford (1959) quello di “Barbarian”. Benché siano già state descritte dettagliatamente in precedenza le differenze tra il backpacker e quello che può essere considerato un tourist (si veda capitolo 1), è anche stato sottolineato come il fenomeno del backpacking sia aumentato vertiginosamente nel corso dell’ ultimo decennio. Richards & Wilson (2004) segnalano come questo incremento ha portato a considerare il tourist angst all’interno del movimento del backpacking. Quindi si potrebbe quasi parlare di backpacking angst: molti backpackers non si identificano più come tali e cercano di differenziarsene lamentando i rapidi cambiamenti che stanno avvenendo all’interno del loro movimento (proprio come i drifters presero le distanze dallo sviluppo inesorabile del turismo). Secondo Dann (1999) i cambiamenti principali si identificano nelle tre variabili tipiche del viaggiatore: luoghi visitati, alloggio e trasporto. Pertanto sembra impossibile non menzionare il ruolo decisivo ricoperto dalle guide turistiche. Anche le guide più diversificate come la Lonely Planet o Rough Guides, sebbene indirizzate ad avventurieri e turisti indipendenti, esercitano un potere pubblicitario incredibile trascinando all’interno del backpacking una grande fetta di nuovi arrivati. Il risultato è un sovraffollamento degli ostelli, i sentieri da nascosti diventano battuti e nessun luogo o itinerario sulla terra si possono più considerare avventurosi o eccitanti oramai. 2.2.2 Guidebook as Gospel Campbell Jefferys intitola il suo racconto Guidebook as Gospel: Sin dal titolo è possibile individuare dagli elementi linguistici e metatestuali un certo grado di ironia che in qualche modo annuncia il dibattito presentato di seguito. Il racconto è inserito all’interno del libro Italy from a backpack mostra chiaramente non solo la concezione del tourist angst, presentata nel paragrado precedente ma anche, nello specifico, la posizione positiva e negativa di alcuni backpackers nei confronti delle guide turistiche. Jefferys si trova a Roma nella città del Vaticano intento a visitarne il museo. La coda tuttavia è talmente lunga che l’autore a malapena riesce ad intravedere l’entrata principale, al punto che solo chiedendo all’uomo che lo precede comprende di essere nella fila giusta. Nella lunga attesa qualcuno inizia a mormorare: “The guidebook says the line moves quickly ….[dice l’uomo sorridendo con nonchalance]” (2006: 79).
  • 19. 19 “Guidebooks?”… [replica un altro uomo con berretto da baseball in testa].. “Don’t believe a word that’s in them”…..“They poison your trip, if you know what I mean; take all the fun out of traveling…(Ibid.)”. A questo punto altre persone intervengono nella discussione: “ That’s rubbish”…[afferma una ragazza tirando fuori dallo zaino la sua guida]….“I never would’ve survived this trip if not for this book. You don’t have to live by it, but it sure makes things a lot easier”….. “Absolutely”…[risponde una seconda ragazza]….“I was in Cambodia last year, and you can’t travel there without a guidebook, especially if you’re a woman”…. “I like reading about history”…“And I like the reviews of hostels and restaurants”. “But they’re just someone’s opinion”… [interviene un uomo dai capelli brizzolati]….“Why should you go to a place based on one’s person’s impression?”… “ But it does give you an idea of what to expect!….[irrompe nel discorso il primo uomo]…” Il dibattito sulle guide turistiche si protrae e nel frattempo Jefferys e le altre persone in fila si avvicinano all’entrata: “I think what he is trying to say is that you should experience a country on your own and not through one of these books….[spiega un uomo di alta statura]….” “ [E l’uomo dai capelli brizzolati conferma] ..Well, that’s true….There’s nothing worse than backpackers who walk around countries with their heads buried in a guidebook”….. All’improvviso, una donna dall’aspetto più vissuto rispetto ai partecipanti alla discussione si gira e con un gran sorriso si rivolge alle persone in questione: Say what you want about those books you have…..But one thing’s for sure, they’ve made traveling a whole lot easier. I can’t stay in a hostel anymore because they’re always booked out. It’s a shame. Hostels were always great places to meet people (Ivi, pp.83). A questo punto Jefferys, sentitosi chiamato in causa da quest’ultima dichiarazione riflette sui cambiamenti che stanno avvenendo nel movimento del backpacking: Although I was still young enough to mix with the Gap Year crowd, I also was old enough and well-traveled enough to appreciate what she meant. The guidebooks had succeeded paradoxically at opening up travel to a range of people who, 10 years ago, laughed at those who went off backpacking. Where in the past you could
  • 20. 20 easily journey from place to place without organizing your trip, now you had to make reservations and credit-card booking and get reference numbers. It was hardly the world experience you had set off to have (Ivi, pp.84). In questo ultimo passaggio le riflessioni di Jefferys riflettono le preoccupazioni, la delusione e la rabbia, contenute in ciò che è stato definito come il tourist angst che ogni backpacker porta con se. A causa anche delle guide di viaggio, tutto ciò che un tempo era esclusivo e riservato ad avventurieri oggigiorno sta lentamente diventando accessibile al classico “villeggiante”. Di conseguenza, anche quella concezione di avventura vissuta tramite l’esperienza in luoghi di ritrovo come gli ostelli va lentamente perdendosi, e l’esperienza si trasforma in una mera gita turistica, . Nel passo successivo Jefferys e le persone coinvolte nella discussione entrano nel museo dividendosi. Il finale contiene nella sua semplicità tutta l’essenza dell’essere backpacker ed il rifiuto all’omologazione della guida turistica: The Vatican Museum is an extraordinary place. The main draw is Michelangelo’s Sistine Chapel, and the tourists crowd in, straining their necks to look up at the ceiling. There’s Adam reaching out his hand to God, and the image is so powerful, you can only stare at it in wonder (Ivi, pp.85). A questo punto l’uomo con il berretto da baseball si avvicina a Jefferys e gli sussurra: “Now….how could you explain that in a guidebook?....This has to be experienced! (Ibid)”. Questa esclamazione aiuta a comprendere in che maniera il backpacker pone una grande dose di enfasi sull’esperienza. Come si potrà notare in un secondo momento il concetto stesso di esperienza rappresenta uno dei motivi principali che spingono il backpacker a mettersi in viaggio. 2.2.3 Outsider Il tourist angst, caratteristica comune ai backpackers, è direttamente legata ad una seconda regola molto importante nel mondo del backpacking: l’essere outsider. Se il drifter esprimeva il suo essere forestiero avventurandosi in viaggi off the beaten track (vedi 1.3), è altrettanto vero come suggeriscono Richards & Wilson (2004), che la ricerca di nuovi orizzonti ha ironicamente aperto la strada ad altri backpackers che ripercorrono gli stessi passi alla ricerca di avventura. Il risultato al giorno d’oggi è l’impossibilità da parte di un backpacker di inoltrarsi in luoghi sconosciuti senza
  • 21. 21 imbattersi in altri suoi simili o addirittura in turisti. Pertanto secondo Redfoot (1984) il backpacker contemporaneo nel suo gap year cerca di distinguersi dai suoi simili immergendosi il più possibile nella cultura ricevente in due modi ben definiti. Da un lato, curiosamente, il processo di diversificazione avviene ad esempio mediante una differente modalità di scatto della fotografia: se oggi un comunissimo backpacker si scattasse un selfie riprendendo alle proprie spalle un monumento, un’attrazione particolare o un “simbolo” della cultura ricevente, il backpacker outsider si dissocerebbe, utilizzando una macchina fotografica da 35 millimetri, possibilmente di marca tedesca o giapponese, scatterebbe foto con angolazioni particolari, applicando filtri dalle differenti tonalità di sfumatura e luminosità. Inoltre, questi non inquadrerebbe sé stesso in un luogo particolare, bensì il soggetto di rappresentazione diverrebbe il nativo della cultura ricevente, ripreso nelle svolgimento delle sue mansioni e azioni abitudinarie. Si incomincia a riflettere su ciò che è stato a lungo definito come the other’s gaze, tema che verrà accuratamente approfondito nel capitolo successivo. Ad ogni modo, questi comportamenti hanno sempre il loro fine ultimo, ovvero la ricerca della diversità. Dall’altro lato, il sovraffollamento degli ostelli porta il backpacker outsider a scegliere forme di alloggio ancora più alternative. Alcuni ad esempio in città arrivano all’estremo scegliendo di passare la notte in stazioni ferroviarie o in parchi pubblici, pur di vivere in prima persona la realtà circostante. Altri invece cercano di immergersi nella cultura ricevente cercando ospitalità tra gli abitanti locali, con la consapevolezza che i tratti distintivi di un autoctono si possono individuare all’interno del proprio spazio vitale: la casa. Questo lancio nella cultura ospitante da parte del backpacker viene illustrato nel successivo racconto, dove verrà posta particolare attenzione al valore assunto dalle mura domestiche, come tramite per captare ogni elemento insolito da parte dell’autrice. 2.2.4 Worth every euro Il racconto di Lainey Seyler intitolato Worth every euro, selezionato dall’apposito testo di riferimento Italy from a backpack, risulta molto utile al fine di comprendere come il backpacker in viaggio durante il suo gap year si immerge nella cultura ricevente. La scrittrice si trova a Firenze insieme alla sua compagna di viaggio Myra: It was 10:30 at night in Florence, and Myra and I still needed a place to stay. We were standing outside a centuries-old building, gazing in bewilderment at the occupants’ directory-family apartments…We pressed the button and crossed our
  • 22. 22 fingers, hoping that whomever we disturbed would not be upset because we woke them or their children…(2006:125). Questo primo passo mostra in che maniera l’autrice esprime il suo essere outsider, ovvero cercando di pernottare direttamente negli alloggi degli abitanti italiani, qualcosa di non proprio consueto e piuttosto inusuale. ..and the Italian version of the mother from ‘My Big Fat Greek Wedding’ greeted us, plump and friendly….She welcomed us into her house, which looked more like a vaulted Benedictine monastery than a house….As her 16-year-old daughter ventured into the room she informed us that she was full for the night but knew of another place we could stay..(Ivi, pp. 126). Tuttavia, come può accadere in queste circostanze l’alloggio risulta essere al completo, ciò nondimeno la donna italiana invita le due backpackers a seguirla in un’altra abitazione. Questa improvvisa situazione di incertezza riguardo al luogo in cui trascorreranno la notte spaventa non poco Lainey: la scrittrice inizia a riflettere sulle possibili conseguenze di tale azione e iniziano a fluttuargli per la testa tutte le tipiche raccomandazioni presenti nelle guide turistiche, dall’evitare estranei che conducono ai “loro ostelli”, al “non accettare e pagare un alloggio prima di averlo visto di persona”: …While we waited in their dim entry way, visions of being taken to a Mafia- owned brothel crept into my overactive imagination. A door opened two flights below and someone small ascended the stairs. The woman wore four-inch cork- soled sandals, and she could not have been more than 5 feet tall. She looked like a lifelong smoker who’d consistently chosen cigarettes over spaghetti...(Ivi, pp. 127). A questo punto la preoccupazione di Lainey è un continuo crescendo: After gossiping for a few minutes with her friend, she ordered us to follow her out the door and down the stairs….the further we went, the more I wondered if we would ever be able to find our way out of that maze….(Ibid.). ….She stopped at a door…‘This is it’, she said. ‘How much?’ I finally managed to cut in.. ‘Not much. It’s a good price’, she said. Myra noticed my anxiety and soothed ‘It’ll be fine,’ exaggerating the last word as if she truly believed it……I reassured myself, It’s better than a park bench….(Ibid.). Questo passaggio mostra la volontà imperterrita da parte delle due backpackers a volersi immedesimare nella cultura ospitante. Lainey con tenacia decide di superare le sue paure decidendo di passare la notte nella casa, d’altronde la seconda opzione sarebbe la più estrema, cioè una “park bench”.
  • 23. 23 Dopo essersi accordati sul prezzo e aver deciso di rimanere altre due notti, Lainey inizia ad ispezionare dettagliatamente la stanza cercando di cogliere ogni dettaglio significativo e peculiare: ..The sparseness of the furniture accentuated how big and empty the room was….a newspaper was lying open on the table….The wardrobe smelled like urine, and through the open windows, which looked out onto a tin roof, we could hear a man snoring upstairs….We woke up early next day, looking forward to the showers we had gone without at the last hostel. Wearing my plastic flip-flops, I stepped around the basin found in every private Italian bathroom and into the shower. I was too afraid to ever ask the purpose of this mystery bedpan contraption, and even more afraid to touch it….(Ivi, pp. 128). L’ispezione accurata di Lainey non è da considerarsi, in questo caso, come un mero tentativo di placare l’ansia e le sue preoccupazioni. Ogni elemento rilevato corrisponde al motore di quella ricerca ostinata e continua delle differenze tra la cultura di arrivo (quella di Lainey) e la cultura ricevente (quella della signora italiana). L’obiettivo finale è la comprensione della personalità e dei tratti salienti dell’autoctono, in questo caso dell’italiano, attraverso quello sguardo a lungo definito come the other’s gaze e che sarà materia di analisi nel prossimo capitolo. Successivamente la casa, per quanto spartana possa apparire, rivela un ambiente familiare confortante, anche se in quest’ultima vi vivono persone sconosciute As I shampooed my hair, I heard a knock on the door. ‘Myra!’ I shouted, ‘Someone is at the door’….It was Madam….‘You want a coffee?’ she asked…. ‘Yes!’ I piped from my place behind the shower curtain….‘Okay. Five minutes. I have a coffee’ she said….(Ivi, pp. 128). …Before we left to do the usual sightseeing, Madam warns us about the dangers of the city…She made certain that we didn’t leave without an umbrella, and she greeted us when we came home that night and the next….Madam was our one real connection to that city of red tiled roofs and screeching mopeds. And she took care of us like a nosy, worried, loving mother….(Ivi, pp. 129). Il finale di questo racconto mostra una Lainey che ha definitivamente abbattuto le sue barriere culturali, è di fatto completamente immersa nella cultura altrui e sembra sentirsi definitivamente al sicuro, sembra sentirsi a casa. Perfino Madam viene proiettata sotto un’altra luce, cioè quella di una “madre amorevole”:
  • 24. 24 2.3Rituals And Icons 2.3.1 Adventure Tra i rituali caratteristici dei backpackers, è ovviamente opportuno menzionare il valore che l’avventura assume nella concezione del backpacking. La ricerca di un’avventura non è solo un simbolo, bensì è un caposaldo fondamentale, è una delle motivazioni principali che spinge qualsiasi backpacker a mettersi in marcia. Tuttavia la concezione di avventura ha gradualmente assunto diverse accezioni rispetto a quella dell’originale adventurer. Nei racconti di Hemingway l’eroe ricerca sé stesso in terre pressoché sconosciute all’uomo occidentale, quali ad esempio una giungla o una savana, legando quindi in modo indissolubile il rischio dell’avventura e il luogo visitato. Al giorno d’oggi, grazie anche ad internet ed ai nuovi sistemi di comunicazione, non esiste più luogo sconosciuto o che non sia oggetto di esplorazione, perciò l’avventura nel backpacking diventa strettamente connessa ad un altro concetto ben preciso, identificato da Richards & Wilson (2004) con il termine “authenticity”. Il backpacker viaggiando con le proprie convinzioni di tourist angst e dell’essere outsider segue i passi dei suoi autori preferiti ma non più al fine di ricercare le avventure narrate dal suo eroe, bensì è alla ricerca di qualcosa di unico, di indescrivibile, qualcosa di estremamente personale. Per di più, il rischio è legato a qualcosa di autentico, qualcosa da raccontare alla fine del gap year. Vi è una caratteristica che è rimasta invariata tra la vecchia e la nuova concezione di adventure, ovvero le esperienze di avventura vanno sempre a concepire un’eccitazione psicologica, sia che questa possa essere interpretata come positiva o negativa. Con il successivo brano intitolato Hostage of the Hostile Hostel si cercherà di mostrare, in maniera pratica ed oggettiva, un classico esempio di avventura intrapresa oggigiorno da un comune backpacker. In esso vi sono rappresentati tutti gli elementi con cui l’esperienza si trasforma secondo il concetto di “authenticity”. 2.3.2 Hostage of the Hostile Hostel Bill ha già corso quasi due miglia per raggiungere l’ostello fuori dalla città di Siena, il suo backpack gli rimbalza sulle spalle provocandogli un dolore fastidiosissimo. A quanto pare il manager dell’ostello gli ha comunicato che era rimasto solo un posto letto e quella è l’unica soluzione che il giovane può permettersi in tutta la zona. Tuttavia, Bill non sa in che avventura si sta per imbattere: When I arrived….I was dismayed to see a mob of backpackers crowded around the front desk….I heard one of the clerks answer the phone: ‘No! No reservations! One
  • 25. 25 space only. You come now. Immediately!’ He slammed down the phone…I looked at the wall behind him; at least two dozen cubby holes were empty…(2006: 166). [Bill incredulo ottiene il suo posto letto, il receptionist gli punta l’indice contro e inizia ad elencargli a voce alta in un Inglese maccheronico una valanga di norme da dover rispettare]. Questo passo risulterà di notevole importanza nel capitolo successivo con riferimento agli stereotipi culturali: ..No drinking! No food! No noise at night! Lights out at midnight! Curfew 11.30— absolutely no entry after then, doors locked! Doors 10.00 in morning to 3.00 in afternoon. Everyone must go. Absolutely no entry!...(Ivi, pp. 167) “Questa lista di disposizioni sembra molto più adeguata a paesi come la Svizzera e la Germania” pensa il giovane scrittore, che considera invece l’Italia la casa del relax mediterraneo; perciò non ritiene un problema chiedere uno strappo alla regola dovendo prendere un autobus in prima mattinata, ma le regole sono regole: Surely they wouldn’t mind if I needed the rules altered just a bit…Signore, per favore, I have to catch a bus at seven in the morning, so I need to leave a little earlier, maybe six-thirty. Hope it’s not a problem….. ‘Impossible,’ he said….I guessed he thought it would be impossible for me, if I left at 6.30, to walk the two miles back to town in time to make the Rome bus departure. It was nice of him to be concerned… ‘Maybe six-fifteen?’ I asked him….. ‘IMPOSSSSIBLE’ he waved his raised hands vigorously, as if he were trying to keep an airplane from landing on the counter between…(Ivi, pp. 167). Bill spera ci sia stato semplicemente un malinteso linguistico, pensa allo stesso tempo che sia impossibile e assolutamente vietato chiudere a chiave gli ospiti di un ostello, eppure non va proprio così: At 6 a.m. I crept down the stairs to the lobby…But I couldn’t even get to the front door. A set of interior glass doors divided the stairwell from the entrance. Not only were these doors locked, but a couch had been moved across them as a barricade. I returned to my room, where 10 backpackers lay half-awake on rickety iron bunk beds…. ‘What, doors locked, really?’ asked one German teen… ‘It’s like prison, ya?’ he cried out….‘Ya’ I said…‘and now I need to escape’….(Ibid). A partire da questo momento inizia inconsciamente l’avventura tanto attesa dal giovane, Bill deve assolutamente rischiare per poter uscire dall’ostello, il cuore gli batte forte ed indubbiamente si percepisce una sottile eccitazione a riguardo, quasi come se stesse aspettando da tempo quel momento:
  • 26. 26 I opened our second-story window and looked down to the asphalt below…I started to strip the sheets off my bed and knot them into a rope of sorts. The German started to do so, waking his friends with his laugher…We formed three sets of sheets into a 20-foot strand…I held the knotted end of another sheet and stepped out the window onto a small ledge…My backpacking escape team held the other end, anchoring against one of the bed frames….I hopped onto the street.. (Ivi, pp. 168). L’esperienza di Bill va trasformandosi, non è più solo una adventure, è qualcosa di più personale, vissuto sulla propria pelle, qualcosa da dover raccontare alla fine del suo gap year, qualcosa che corrisponde al concetto di authenticity: It was already 6:40…started my jog into town, worried about missing the bus….a few people working in the fields looked at me with alarm. I imagined their thoughts: The only people who ran in Italy were thieves and soccer players, and I wasn’t wearing a jersey.. (Ivi, pp. 169). …I arrived at the bus terminal, drenched in a sweat, at 7:05. There wasn’t a single person in the waiting area. The bus must have left! I gnashed my teeth and cursed the hostel loudly…The ticket clerk laughed… ‘No, no, no. seven o’clock bus, she never come at seven.’ he wagged his finger. ‘Seven o’clock bus always come after nine!’….(Ibid.) Questa conclusione rivela qualcosa di assolutamente autentico e lascia il lettore in uno stato di libera interpretazione. Benché un lettore italiano non individui necessariamente qualcosa di eccezionale, dal punto di vista del lettore straniero, dallo sguardo dell’altro, questo finale rileverà qualcosa di “scioccante” nel capitolo successivo. 2.3.3 Alcohol Sebbene i suoi effetti negativi sui giovani o ancora più in generale sull’intera società contemporanea siano argomento di un estenuante e acceso dibattito, l’alcool rappresenta un rituale caratteristico tra backpackers e nel corso del tempo è diventato un’icona fortemente ancorata al fenomeno del backpacking. Se Erik Cohen nel 1973 associa buon parte dei drifters alla cultura della droga, nel suo sondaggio sui Lifestyle travellers del 2011 Scott Cohen dichiara che un viaggiatore su tre fa uso di alcool. Assumendo che tutte le icone hanno in egual misura una loro origine ben precisa, risulta plausibile in questa circostanza additare una certa dose di onere agli eroi in questione, ai travel writers ed ai writers who travel. Come Richards & Wilson (2004) giustamente evidenziano, Hemingway e Hunter S. Thompson enfatizzano non poco il ruolo dell’alcool, quanto sia facilmente reperibile in qualsiasi zona del mondo, quanto sia molto più economico all’estero. Chatwin tramite il suo omonimo carattere Bruce nella
  • 27. 27 sua opera The Songlines (1998) beve un’abbondante quantità di brandy durante i sui consueti esercizi di scrittura. Tuttavia è bene sottolineare come nel caso degli autori in questione l’abuso di alcolici ha un fine ben preciso: quello dell’improvvisazione. L’alcool si trasforma in un’essenziale risorsa, motore di quella creatività che darà alla luce i loro scritti, ne consegue che il suo uso ha un fine puramente artistico. Se si trasla questo concetto all’interno del backpacking, l’alcool assume una particolare funzione volta ad un fine ben preciso, ovvero liberare quello status mentale che è stato a lungo definito come Impulsiveness. Spesso le decisioni “di pancia” portano a conseguenze negative, eppure quando queste si dimostrano positive, non si parla più di Impulsiveness, bensì si menzionano concetti quali coraggio, audacia e spontaneità6 , tutti elementi idonei e atti a raggiungere la famigerata avventura del backpacker. La storia riportata nel paragrafo successivo di Dave Prine intitolata 50.000 lire for the Room, può dare un’idea di come i backpackers si lascino andare all’alcool più per liberare le barriere della comunicazione, della spontaneità e dell’Impulsiveness, che per il mero gusto della bevanda in sé. 2.3.4 50.000 lire for the Room. Secondo il racconto di Dave Prine, l’autore si trova a Firenze insieme a Madaline, un’altra backpacker che ha conosciuto a Parigi dove i due hanno deciso di continuare il loro viaggio insieme: On our final night in Florence…The gods of inexpensive intoxication watched over us, and we quickly encountered our patron saint, an adorable old man with a wispy white beard and eyes that revealed a warm and welcoming heart…More importantly, he sold cheap wine…(Pearson, 2006: 140). A partire da questo momento si comprende che l’abuso di alcool, in questo caso di vino, ha come obiettivo lo scioglimento dei freni inibitori, di liberare la suddetta barriera della comunicazione al fine di intraprendere una conversazione in una lingua straniera, il francese: …We went to the Cathedral of Florence…found a spot on the steps and consumed the bottle within 20 minutes, leaving ourselves little else to do but talk to random French tourists. Madaline and I had taken French classes together, so we decided to put our college educations to good use….(Ibid.) 6 Daruna, J. H.; Barnes, P. A. (1993) A neurodevelopmental view of impulsivity In McCown, W & all The Impulsive Client: Theory, Research, and Treatment. Washington, DC: American Psychological Association, pp. 23–37
  • 28. 28 ..At first, things flowed smoothly (‘You’re from Paris? Mon dieu, we were just there!)…but our skills soon faltered…Madaline and I had stopped making any sense…wished the Parisians and beat a hasty retreat to our hostel, laughing at our attempts to speak French…(Ibid.) Dopo questo vano tentativo di comunicazione, come spesso succede ad un backpacker in viaggio, gli effetti dell’alcool offuscano la mente di Dave liberando quello status mentale definito precedentemente come impulsiveness che lo porterà a fare una scelta i cui effetti risulteranno essere alquanto negativi: Back in our room, Madaline claimed her side of the bed and quickly fell asleep….I was wired from all that wine in my system…We’d be staying in Florence only one more day, and I had to get out and see more of the city….so I woke the resident manager and fabricated a story about how I urgently needed to use a pay phone. He groggily but forgivingly unlocked the door, and I flew the coop. The hostel wouldn’t re-open until 8 a.m... (Ivi, pp.141) Ancora sotto gli effetti dell’alcool, l’impulsività porta il nostro scrittore all’avventura ma non sempre questa ha esito positivo. Infatti, Dave decide di rimanere fuori tutta la notte, purtroppo la città appare deserta e tutti i locali sembrano chiusi, finché ad un certo punto incontra una ragazza. I guai, però, sono dietro l’angolo): A gorgeous female Italian…I had no choice but to impress her with some smooth talking, and in her native tongue, no less: ‘Uh..you parla English? I asked in my best Italian. ‘Yes a little’ She said…She speaks English! Thank God!… (Ivi, pp.143). …‘I charge 100,000 lire’ she barked impatiently as she began her sales pitch. My mind raced.. ‘Was I talking with an Italian prostitute?’ I though…. ‘And the room will cost 50.000’ she said…(Ivi, pp.144). ..Before I could respond to her offer, a police car with two officers pulled up behind us…the prostitute raced off…To save face I played the Ignorant American: ‘No speaky Italiano. Dove il stazione del train-o?’...The cops smirked to each other and waved me away dismissively as they drove off, disappearing down one of the winding streets, leaving me feeling cheap and dirty, but free from incarceration…(Ivi, pp.145). Probabilmente senza gli effetti del alcool l’autore si sarebbe subito reso conto di non essere di fronte ad una semplice ragazza bensì ad una prostituta. Tuttavia Dave è rimasto entusiasmato da questa esperienza al punto che ha deciso di scrivere un racconto. Benché da un lato risultano innegabili gli effetti del alcool sull’impulsività specialmente quando le sue azioni risultano positive esse si trasformano in coraggio, audacia e spontaneità; dall’altro lato a seguito del racconto presentato bisognerebbe riflettere sul concetto stesso di avventura in tempi moderni quando questi atteggiamenti
  • 29. 29 risultano essere negativi. Presumibilmente, sembra opportuno puntualizzare che gli studi critici sul backpacking dovrebbero incominciare a riconsiderare la concezione di authenticity sotto altri punti di vista, poiché l’abuso di alcool riflette un’estenuante e imperterrita ricerca di un’autenticità che a volte sfocia nell’ossessione. 2.3.5 Cheapness Altra caratteristica importante e comune ad ogni backpacker è il concetto di risparmio, l’economicità. Se si facesse riferimento alla vita comune di tutti i giorni, ed in particolare se si considerassero i livelli di consumo che il western man è riuscito a raggiungere in tempi moderni, sembra lecito puntualizzare che oggigiorno un risparmiatore qualsiasi adotta la pratica del risparmio secondo schemi fissi e pressoché ripetitivi: si limitano le spese da una parte per investirle successivamente altrove. Il fine ultimo in sostanza sembrerebbe sempre l’acquisizione di un ipotetico bene, sia esso materiale (ad esempio un’automobile) o astratto (il pagamento di una futura ipotetica tassa universitaria al proprio figlio). Ciò che affascina nel mondo del backpacking è che sebbene da un lato la mancanza di denaro è un leitmotiv costante e comune ad ogni backpacker, il fine ultimo del risparmio è un argomento da tenere in considerazione come spunto di riflessione in altri ambiti scientifici. Se per le vecchie generazioni il risparmio aveva ancora come obiettivo l’acquisizione di un bene materiale, Richards & Wilson (2004) puntualizzano ad esempio come Hemingway investisse i soldi racimolati durante il viaggio in champagne, Kerouac in whisky e Thompson in sigarette e altre sostanze allucinogene, mentre le nuove generazioni di backpackers invece risparmiano per ottenere apparentemente la più preziosa e moderna delle comodità: il tempo. Il backpacker moderno risparmia su cibo, alloggio e trasporto per prolungare il più possibile il proprio viaggio e questo concetto si potrebbe riassumere con la seguente affermazione: The longer you save…the longer you stay. Quindi il fine principale del backpacker in questo caso è mantenere viva la possibilità di viaggiare e posticipare il rientro. Ciononostante questa filosofia di risparmio ha i suoi vantaggi dal punto di vista del consumismo, ma allo stesso tempo se estremizzata potrebbe scatenare fattori negativi di non poco conto. Poiché ogni backpacker vorrebbe protrarre il suo viaggio il più a lungo possibile, il salto dal bungee jumping si fa sempre più lungo, ovvero le scelte di alloggio diventano sempre più pericolose, il cibo consumato sempre più nocivo, le modalità di trasporto sempre più azzardate. Il racconto
  • 30. 30 riportato di seguito intitolato Masters of the Southern Italy Night riflette in pieno le ultime considerazioni in merito ai fattori negativi scaturiti da un uso estremo del risparmio all’interno del backpacking. 2.3.6 Masters of the Southern Italy Night Con il racconto intitolato Masters of the Southern Italy Night si riportano alcune riflessioni in merito al concetto di cheapness, in particolare riguardo ad alcune scelte azzardate e pericolose che i backpacker intraprendono come, in questo caso, del trasporto scelto. Brandy è una backpacker in viaggio per l’Europa; dopo essere stata alla famosa festa Oktoberfest a Monaco di Baviera in Germania ora si trova a Roma, pronta ad imbarcarsi su un altro treno: un intercity notte con direzione Siracusa. Tuttavia la consapevolezza del pericolo è ben chiara nella mente dell’autrice: There are risks and rewards to budget globetrotting. Even a cursory review of the safety tips online and in European guidebooks reveals that southern Italy is not the best place for a lone female to travel, let alone thread her way through the Italian capital’s main train station in the middle of the night…. (Pearson, 2006:70). Eppure il fattore risparmio gioca un ruolo essenziale nell’avventura della backpacker come si può notare nel passaggio successivo: ..I had pretty much dumped the safety advice because…my budget at this point was on a financial version of the Atkins diet. So, when I purchased my ticket to Sicily, I was far more concerned about economics than safety…(Ibid.) Brandy si ritrova nella cuccetta notte con due uomini, un ragazzo circa la sua età ed un uomo molto più grande di lei, sin dal principio avverte che qualcosa non sta andando nel verso giusto: …When a uniformed Trenitalia attendant leaned in the doorway to punch our tickets, he nodded toward me and exchanged a few words with the men, and they all laughed heartily….This aroused my curiosity…‘What were these man talking about, and what did the gesture mean’?..(Ivi, pp.72). L’incomprensione linguistica gioca un ruolo di notevole importanza ed ad un certo punto, un evento particolare trasforma la curiosità di Brandy in ansia: The older Italian slid the compartment door closed and drew the curtains tightly. He rose and pulled down his faded black duffel bag from the overhead luggage
  • 31. 31 rack. ‘That’s strange’ I thought…I expected him to pull out a travel pillow..but what emerged from his worn bag were heavy-duty ropes, rubber bungee straps, and long lengths of welded steel chain..(Ibid.) L’ansia si trasforma in paura e poi in panico, Brandy ora si sente intrappolata, non riesce a capire cosa stia succedendo. Il seguente passo mostra quell’incredulità della scrittrice definita con un termine che sarà oggetto di analisi nel capito successivo: il “cultural shock” , uno stato mentale dell’individuo che ha luogo quando gli eventi che lo circondano risultano incomprensibili: …My curious composure turned into alarm, then panic…I was trapped in the corner by the window. They both began gesturing at me while the younger guy attempted inbroken English to convey their intent:‘Night.You.Train.Man.Bad.OK?OK?’…‘No! This is not OK!What’s going on?!’ I thought…(Ivi, pp.73). Per fortuna, le vere intenzioni dei due compagni di viaggio nel maneggiare catene, corde e cavi non sono quelle che sembrano: On the brink of tears, I somehow managed to summon my mental clarity…Had I checked with any seasoned backpacker before boarding the train, I would have learned that robbery and assault are common problems on overnight, intercity trains in southern Italy…My adrenaline level dropped..as I watched the elder Italian work with stealth at securing the door…(Ibid.) Tutto è bene quel che finisce bene: After what seemed like eons, the ferry docked at Syracuse, and the hold finally opened to release the train…those men had given me a new understanding of Italian culture- and a reminder that there’s a reason for those safety warnings to globetrotting backpackers..(Ivi, pp.77). Quest’ultimo passaggio risulta importante al fine di comprendere che benché il risparmio possa avere i suoi lati positivi, spingersi al limite non sempre è la scelta più giusta. Viaggiare apre le nostre menti, ci permette di apprezzare nuove culture e nuovi orizzonti, tuttavia, a volte le persone che incontriamo non possono essere sempre amichevoli. Per fortuna la maggior parte dei racconti nella backpacking literature hanno sempre un lieto fine dopo che l’eroe si immerge in un’avventura pericolosa e spericolata
  • 32. 32
  • 33. 33 3. THE OTHER’S GAZE A matter of perspective 3.1 Introduction Secondo Passer & Smith (2011) la percezione è quel fenomeno mentale che porta un individuo all’interpretazione o alla comprensione dell’ambiente circostante. Se si applica questo concetto al backpacking si può comprendere quanto la mente di un backpacker, o meglio il suo sguardo, può essere influenzato dalla realtà che lo circonda. Facendo uso delle nozioni e dei racconti del testo di riferimento presentati precedentemente, il seguente capitolo seguirà lo sguardo del backpacker nel suo processo di percezione. Iniziando con la distinzione tra quello che è il tourist ed il backpacker gaze la dissertazione si immerge nell’osservazione del patrimonio culturale, degli stereotipi italiani per comprendere in un secondo momento come l’intrusione del “reversed gaze”, ovvero dello sguardo del nativo, influirà non solo sullo sguardo del backpacker ma anche sulla percezione dell’identità di quest’ultimo. 3.2 Tourist & Backpacker gaze Il termine tourist gaze viene coniato per la prima volta da Urry nel 1992, nel quale l’autore paragona lo sguardo del turista a quello di un medico. In un certo senso, come lo sguardo del medico (dal punto di vista clinico) grazie alla sua esperienza nel campo riesce a riconoscere le sottigliezze che sfuggono alla persona comune, lo sguardo del turista a suo modo percepisce gli elementi socio-culturali di un luogo grazie alla sua esperienza diretta. Più semplicemente, come sostiene Ketwadee (2013:8), si potrebbe affermare che il tourist gaze è quell’insieme di elementi situati all’interno della mente dei turisti: “It is about what they see, are aware of, expect and are conscious of ”. Sia Urry (2002) che Katan (2012) concordano nel confermare l’esistenza di differenti tipologie di turisti e con ciò riconoscono anche la presenza di diversi tourist gaze che percepiscono in maniera distinta una cultura ospitante e la sua realtà circostante. Alla base della diversificazione del tourist gaze secondo Urry (2002) interverrebbe un ampio ventaglio di fattori quali ad esempio il genere e la classe socio-economica del turista, le sue ideologie, nonché il periodo storico in cui è situata la cultura soggetta alla percezione di quest’ultimo. Secondo Katan (2012) invece è proprio la cultura a giocare
  • 34. 34 un ruolo fondamentale nella percezione del turista, al punto che l’autore distingue tre tipi diversi di cultura osservati in maniera differente dal tourist gaze. Il primo prototipo di cultura viene riconosciuta come apparente: questa è facilmente riconoscibile e rappresenta tutto quell’insieme di icone, immagini e di must sees ampiamente commercializzati dal turismo di massa. In un certo senso questa è la cultura ospitante che il turista si aspetta di trovare e che Katan (2012:92) definisce con il termine “Cultural Heritage”, concetto che verrà approfondito nel paragrafo successivo. La seconda tipologia di cultura è molto vicina alla precedente poiché è ancora riconoscibile dallo sguardo del turista ma rappresenta già un secondo strato poiché è incentrata sui comportamenti e le abitudini quotidiane dei suoi individui. Il terzo ed ultimo tipo di cultura invece è completamente nascosta al tourist gaze: essa rappresenta un livello più profondo poiché racchiude quell’insieme di credenze e di valori che attraverso le varie generazioni hanno formato le radici stesse di una cultura nel corso del tempo. A questo punto, tenendo in considerazione tali riflessioni in merito alle tipologie di culture e collegandole alle differenze tra tourist e backpacker esposte nei capitoli precedenti, risulta abbastanza naturale inserire il turista tra il primo ed il secondo ‘strato culturale’ poiché la sua capacità di osservazione, ovvero il suo tourist gaze, può arrivare a percepire solo gli elementi presenti al livello superficiale, quelli appartenenti al cultural heritage. Il backpacker invece, tramite il backpacker gaze a rigor di logica dovrebbe posizionarsi tra la seconda e la terza tipologia di cultura poiché nel suo essere outsider, ossia nell’ intento di stabilire una comunicazione con gli abitanti locali (vedi 2.2.3) è alla ricerca di tutti quegli elementi che sono generalmente nascosti al turista comune. Tuttavia le osservazioni che verranno di seguito esposte, attraverso anche i racconti del testo di riferimento Italy from a backpack, mostreranno come inevitabilmente il tourist gaze influisce enormemente sullo sguardo del backpacker. 3.3 Cultural Heritage Con riferimento alle considerazioni esposte da Katan (2012) si definisce Cultural Heritage il patrimonio di una cultura secondo tre tipologie di ricchezze: tangibili, non tangibili e naturali. Tra gli elementi che fanno parte del patrimonio tangibile rientrano ad esempio i monumenti, gli edifici, le opere d’arte ed i manoscritti, mentre per quello che concerne il patrimonio non tangibile si fa in genere riferimento alle tradizioni o al folclore tipico di una cultura. Infine, il patrimonio naturale è rappresentato da quegli elementi paesaggistici quali montagne, mari e fiumi. Nel precedente paragrafo è stato
  • 35. 35 fatto notare come la percezione di questo patrimonio culturale è tipica del tourist gaze e del turista classico poiché questi è in grado di osservare solo quegli elementi più comuni, ovvero quelli appartenenti al primo strato della cultura, mentre il backpacker affonda lo sguardo alla scoperta delle particolarità più nascoste di questa. Eppure per quanto si sforzi di proiettare il suo gaze il più a fondo possibile cercando di evitare il turista ed il suo sguardo (Jansson, 2006), il backpacker è inevitabilmente influenzato dalle icone che fanno parte del cultural heritage e definite come i prodotti di propaganda pubblicitaria destinati al turista comune. Non vi è infatti occasione per un individuo appartenente alla Western society di non entrare in contatto sin dalla nascita con una rivista o un mass media. E’ emblematico l’esempio in cui l’immagine di Parigi viene associata ad una coppia di innamorati o alla torre Eiffel. Non vi è situazione in cui Atene non venga collegata al Partenone, la Spagna alla corrida e Londra al Big Ben, alle cabine telefoniche e agli autobus a due piani. Di conseguenza benché il backpacker cerchi a tutti i costi di differenziarsi sempre e comunque dal tourist, il suo backpacker gaze nel processo di esplorazione tenderà sempre e comunque a voler percepire, almeno inizialmente, le stesse icone osservate dal turista comune. A riprova di quanto enunciato, si ritiene necessario considerare alcuni racconti inseriti nel testo di riferimento Italy from a backpack analizzati nel capitolo precedente. Ad esempio, si nota come in Guidebook as Gospel (vedi 2.2.2) benché i backpackers siano coinvolti in un acceso dibattito contro le guide turistiche e la loro commercializzazione di immagini e luoghi turistici, questi stiano di fatto attendendo in una lunga fila il proprio turno per poter visitare il museo del Vaticano, che più che un’icona rappresenta una vera e propria istituzione nel patrimonio culturale italiano. Jefferys, il protagonista, descrive con testuali parole la volta della cappella Sistina di Michelangelo: “There’s Adam reaching out his hand to God, and the image is so powerful, you can only stare at it in wonder”7 . Nel racconto 50.000 lire for the Room (vedi 2.3.4) benché Dave sia completamente ubriaco riflette sul fatto che lui e Madaline sarebbero rimasti a Firenze solo un altro giorno e perciò decide di uscire dall’ostello perché come egli stesso dichiara: “ I had to get out and see more of the city”8 anche se ciò comporterà il dover vagabondare tutta la notte in giro per la città. Generalmente non vi è racconto all’interno del testo Italy from a backpack in cui i backpackers non facciano riferimento ad un monumento, ad un’opera o ad un paesaggio che rientri nel patrimonio culturale italiano. 7 Pearson M., & Westerman M., (2006) Italy from a backpack, Pearson Venture Group pp. 85 8 Ivi, pp.141
  • 36. 36 Ad esempio Shannalee nel suo racconto intitolato Becoming History descrive Roma come un vero e proprio sogno e dalle sue parole si comprende come la fontana di Trevi eserciti un fascino impressionate sulla backpacker: “Trevi Fountain took my breath away...Most awesome was its size…I was forced to step back to behold its entirety” (Pearson, 2006:50). La scrittrice si ferma ad osservare la statua di Nettuno e la sua descrizione merita di essere riportata qui di seguito: The central statue, of the legendary Roman sea-god Neptune, seemed supernatural above the horses half-immersed in frothing water beneath him. Omniscient and powerful, the mythological god rose highest in the fountain, riding his shell-like chariot with his gaze fixed on the square around him, as if he controlled its movements. Surrounded by tall orange and yellow buildings, his majesty’s appearance was fantastic in the bustling square, and he invited us to believe there was magic in the fountain’s splashing turquoise pool (Ibid.) Con questo passo si coglie anche l’occasione per osservare e comprendere come lo sguardo dell’altro percepisca dettagli che, a volte, passano inosservati agli occhi dei nativi di una cultura poiché questi sono inevitabilmente immersi nel proprio Cultural heritage sin dalla nascita. Nel brano intitolato Art Appreciation, ad esempio, Jessica (una backpacker statunitense) si trova nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena. La scrittrice rimane estasiata di fronte al dipinto della Madonna Rucellai, opera del pittore italiano Duccio e risalente al 1311 (un lasso di tempo di quasi settecento anni). Jessica descrive ogni minuzioso particolare del quadro, ed inizia ad invidiare il personale del museo che, seduto sulla sedia nella propria veste di osservatore, ha la possibilità di essere a contatto con tanta maestosità ogni giorno. A rovinare questo momento sublime ci pensa un turista italiano che, secondo il racconto della backpacker, non sembra condividere cotanta passione per la Madonna: ..He walks quickly and directly to the guard. ‘Duccio’? he asks. With the nod of the guard, the man steps back, stares at the Madonna for mere seconds, then spins on his heels to exit (Pearson, 2006:174). Evidentemente, come spesso può accadere, il turista italiano essendo a contatto quotidianamente con un patrimonio culturale così sconfinato non percepisce l’arte con lo stesso occhio clinico della backpacker. Tuttavia questa non si tira indietro nel mostrare il suo sdegno: “The guard sees my look of disgust and winks. Even though he sees her every day, he understands the power of the Virgin, her gaze and her grandeur” (Ibid.). In conclusione, attraverso lo sguardo dell’altro, del backpacker gaze, è possibile constatare come, sebbene il fenomeno del backpacking abbia come finalità l’evasione
  • 37. 37 dalla quotidianità e tenda a sfociare nel puro escapismo, il patrimonio artistico italiano rimane un caposaldo fondamentale della sua cultura, un insieme di icone che funge da calamita, perfino per i backpacker gazes di quelle nuove generazioni sempre più alla ricerca di avventure autentiche ed estreme. Il paragrafo successivo seguirà il percorso di percezione del backpacker nel suo tentativo di inoltrarsi gradualmente nel secondo strato della cultura ospitante, tenendo anche in considerazione sia la sua caratteristica di outsider (vedi 2.2.3), sia il ruolo giocato dagli stereotipi culturali. 3.4 Stereotypes Recenti studi (Jansson, 2006; Ketwadee 2013) evidenziano come il backpacker si immerga nella cultura ricevente allo scopo di evitare il turista e dissociarsi da quello che è il tourist gaze. Eppure le osservazioni riportate precedentemente hanno cercato di dimostrare come il backpacker inizialmente tenda ad osservare la realtà circostante di un luogo con lo stesso sguardo di un normalissimo turista: il backpacker gaze, a causa di un processo turistico - mediatico, tende inconsciamente a percepire solo quegli elementi che si aspetta già di trovare nella cultura di arrivo. Tuttavia, considerando le nozioni in merito all’essere outsider, sembra quasi ovvio affermare che l’aspirazione del backpacker è quella di osservare in primis i comportamenti e le abitudini quotidiane degli autoctoni, ciò che Katan (2012) identifica come seconda tipologia di cultura (vedi 3.3). Successivamente, il backpacker si spingerebbe fino a scorgere quello strato più profondo della cultura ospitante, ciò che il turista comune non è in grado di percepire. Inevitabilmente, durante questo percorso il backpacker deve scontrarsi con quelle credenze che si trascina sin dalla cultura di partenza, cioè con gli stereotipi culturali. L’analisi di questi ultimi risulta importante per comprendere in una seconda fase come l’incrocio tra lo sguardo del backpacker e quello del nativo, il reversed gaze, può in certe circostanze generare ciò che è stato identificato con il nome “Cultural Shock”. Facendo riferimento ai brani selezionati nel capitolo precedente dal libro Italy from a backpack, l’analisi si presenta anche come una valida occasione per osservare più da vicino, grazie allo sguardo dei backpackers, quali tra i seguenti stereotipi sugli italiani vengono confermati e quali invece smentiti. Secondo la rivista Italian District (giornale statunitense con sede in Florida negli Stati Uniti) a seguito di un lungo sondaggio svoltosi negli USA, agli italiani verrebbero riconosciuti quattro stereotipi principali: la mafia, la gesticolazione, la difficoltà nel
  • 38. 38 parlare la lingua inglese e il cibo. Facendo un passo indietro verso il capitolo precedente, Lainey nel proprio racconto Worth every euro (vedi 2.2.4) accenna subito allo stereotipo della mafia quando si rende conto di essere in una casa di sconosciuti e non sa con certezza dove passerà la notte: …While we waited in their dim entry way, visions of being taken to a Mafia- owned broche crept into my overactive imagination..[..] the further we went, the more I wondered if we would ever be able to find our way out of that maze...(vedi 2.2.4). Giunti al termine della storia, lo stereotipo degli italiani mafiosi non viene confermato e anzi, le parole finali di Lainey rivelano tutta l’affettuosità di Madam (l’oste italiana) nei confronti delle due backpackers: “…She took care of us like a nosy, worried, loving mother..”(vedi 2.2.4). Inoltre, tale conclusione sembra sostituire lo stereotipo della mafia con un altro ben più piacevole, ovvero la calorosità degli Italiani. E’ anche vero però che non sembra essere dello stesso parere Bill nel proprio racconto Hostage of the Hostile Hostel (vedi 2.3.2), dove il backpacker viene letteralmente rinchiuso nell’ostello e solo grazie all’aiuto di alcune lenzuola ed altri backpackers riesce ad “evadere”. Il racconto rimanda anche a due stereotipi molto importanti: il classico gesticolare degli italiani e il fatto che questi non siano in grado di parlare correttamente la lingua inglese. Effettivamente Bill dimostra di essere d’accordo nel confermare il primo dei due stereotipi quando il personale dell’ostello gli nega, in maniera plateale, la sua libertà ad uscire dall’alloggio in prima mattinata: …Signore, per favore, I have to catch a bus at seven in the morning so I need to leave a little earlier[…]…. ‘IMPOSSSSIBLE’ he waved his raised hands vigorously, as if he were trying to keep an airplane from landing on the counter between (vedi 2.3.1). Infine, per quanto concerne lo stereotipo linguistico, lo scrittore ne conferma l’esistenza riportando la parlata maccheronica del personale quando questi gli elenca una cascata di norme da rispettare: “Curfew 11.30—absolutely no entry after then, doors locked! Doors 10.00 in morning to 3.00 in afternoon. Everyone must go. Absolutely no entry!..” (vedi 2.3.1). Tra l’altro tramite quest’ultimo passaggio Bill si rende anche conto che l’Italia non rappresenta il “relax del Mediterraneo” come credeva in un primo momento. Ciò nondimeno, gli stereotipi sulla lingua inglese e sulla gesticolazione da parte degli Italiani vengono richiamati anche da Brandy, la backpacker del racconto Masters of the Southern Italy Night (vedi 2.3.6) in viaggio verso Siracusa sul treno intercity notte.
  • 39. 39 Come è già stato notato nel capitolo precedente, a seguito di alcuni episodi un po’ allarmanti, uniti all’impossibilità di instaurare una comunicazione con i viaggiatori della sua cuccetta, Brandy si sente in pericolo e il panico sembra prendere il sopravvento: My curious composure turned into alarm, then panic…I was trapped in the corner by the window. They both began gesturing at me while the younger guy attempted in broken English to convey their intent:‘Night.You.Train.Man.Bad.OK?OK?’…‘No! This is not OK!What’s going on?!’ I thought… (vedi 2.3.6). Al di là degli esempi qui riportati, che dimostrano come i backpackers accettano e smentiscono le loro credenze, sembra giusto e doveroso puntualizzare che lo stereotipo sulle problematiche linguistiche dell’inglese è un vero e proprio leitmotiv, ripetuto e fatto notare più volte da ogni backpacker. Infine, per quanto riguarda il cibo, nonostante gli italiani siano abituati ad essere associati a pizza e spaghetti, molti backpackers fanno invece riferimento al gelato come icona fondamentale della bandiera tricolore. Ad esempio, in un racconto presente nel testo di riferimento, la backpacker Courtney in viaggio lungo la penisola intitola la propria storia Gelato Girls consigliando ad ogni altro turista che incontra sul proprio cammino di assaggiarlo. Infine nel brano The day I shut Down the Vatican la protagonista Mary, dopo essere stata derubata all’interno del vaticano ed essere in seguito riuscita a recuperare la refurtiva decide di festeggiare con i suoi compagni di viaggio: “holding runny ice-cream cones in sticky hands”9 . Ad ogni modo, indipendentemente dall’accettazione o dal rifiuto delle credenze che il backpacker si trascina dal suo paese di origine, l’analisi degli stereotipi risulta importante al fine di comprendere come il backpacker gaze percepisce le differenze tra la cultura di partenza (la propria) e quella di arrivo (la cultura ospitante). Proprio tramite le differenze tra “self” e “other” il backpacker inconsciamente costruirebbe mattone dopo mattone la sua identità (Currie, 2004). Di conseguenza, se si considera che queste diversità emergono principalmente attraverso l’interazione fra individui, in questo caso tra il backpacker (self) e il nativo (other), si evince che oltre al backpacking gaze anche l’autoctono svolge un ruolo importante attraverso il suo sguardo, il reversed gaze al fine di individuare quella che è l’identità del backpacker. Queste ultime considerazioni saranno oggetto di esame del prossimo paragrafo dove verranno approfonditi il concetto di reversed gaze e il modo in cui questo influisce sul backpacker gaze. 9 Pearson M., & Westerman M., (2006) Italy from a backpack, Pearson Venture Group pp.32
  • 40. 40 3.5 The reversed gaze Il concetto di reversed gaze è ancora oggetto di dibattito negli studi accademici ( Brunt & Courtney, 1999; Gillespie, 2006; Gelbaman & Collins, 2013). Dal canto loro, Brunt & Courtney (1999) ritengono opportuno individuare questo sguardo attraverso un verso e proprio sondaggio di ricerca sulle percezioni e sulle credenze della popolazione nei confronti del turista e dei suoi comportamenti. Di fatto nella loro ricerca vengono presi in esame gli impatti sociali e culturali del turismo tramite un sondaggio sugli abitanti a contatto con un villaggio turistico sulla costiera occidentale dell’Inghilterra. Riportando le opinioni degli abitanti locali, i due autori propongono un metodo di studio al fine di comprendere lo sguardo dell’altro (ovvero del nativo, in questo caso). Eppure Gelbaman & Collins (2013) segnalano come gli studi critici dovrebbero spingersi più in là delle mere interviste, poiché in fondo come il tourist o il backpacker si trascina dalla cultura di partenza quel bagaglio culturale composto da immagini, icone e stereotipi, allo stesso modo lo sguardo del nativo è fortemente influenzato da tutti quegli elementi e da tutte le credenze trapiantate nella propria cultura e riflesse sul turista. Tuttavia non si possono nemmeno condividere le proposte dei due studiosi nel prendere sotto esame il personale che lavora direttamente nell’ambito turistico ed in particolare le guide. In primo luogo in quanto le guide turistiche non hanno solo la funzione di mediatore linguistico ma anche culturale; di conseguenza il loro sguardo funge da “spartiacque” tra due mondi, incrociando elementi culturali da ambo le parti che influenzano notevolmente le sensazioni percepite dalle guide stesse. In secondo luogo perché anche lo spazio in cui avviene lo scambio di informazioni tra turista e guida (e quindi l’incrocio tra il tourist ed il reversed gaze) è sempre permeato da una realtà circostante piena di tutti quegli elementi creati appositamente per essere consumati dal turista. La conseguenza che ne deriva è l’ennesimo offuscamento degli elementi più profondi di una cultura che non vengono quindi né trasmessi dal reversed gaze né percepiti dallo sguardo del turista o del backpacker. Ad ogni modo, a prescindere da quale metodo e sguardo possano rappresentare al meglio il concetto di reversed gaze, le uniche certezze che si hanno ad oggi sono le argomentazioni esposte da Gillespie (2006:362). La studiosa identifica una terza tipologia di sguardo definendola come: “The self’s perspective on Other’s perspective on self”, ovvero la percezione che il backpacker condensa nella propria mente dopo essere stato osservato o dopo essere entrato in contatto con il nativo della cultura di arrivo. Gillespie identifica per la prima volta questo sguardo nel suo studio intrapreso sulla tribù dei Ladakh in India. Apparentemente un membro della tribù
  • 41. 41 afferrò la macchina fotografica di un giornalista e scattò una foto ad un fotografo francese che continuava imperterrito a riprendere con la sua fotocamera una tipica danza della tribù. Il fotografo francese percepì che ciò che stava facendo stava suscitando un certo fastidio sulla tribù essendo la danza un elemento intrinseco e fondamentale per gli abitanti di Ladakh. Perciò il fotografo interruppe la sua mansione, quasi imbarazzato. Si potrebbe affermare che questa ultima tipologia rappresenta il risultato di quel gioco di incroci di sguardi che in un secondo luogo va a modellare l’identità del backpacker. Il paragrafo successivo cercherà di mostrare come l’incrocio tra il backpacker ed il reversed gaze genera questo terzo tipo di sguardo e come in casi estremi questo può sfociare nel “Cultural shock”. 3.6 The cultural shock Nel paragrafo 3.4 è stato presentato il meccanismo delle diversità tra due culture tramite l’accettazione o la negazione degli stereotipi culturali sugli italiani da parte dei backpackers. Successivamente queste considerazioni sono state collegate al meccanismo di riconoscimento delle differenze tra “self” e “other” e come attraverso queste il backpacker inconsciamente costruisca mattone dopo mattone la propria identità. Tuttavia si è notato come le abitudini e i comportamenti quotidiani degli autoctoni rappresentino ancora quel secondo strato culturale indicato da Katan (2012) e quindi ancora facilmente riconoscibile allo sguardo del backpacker. In effetti, proprio perché gli stereotipi rientrano nel bagaglio culturale di partenza, il backpacker in un certo senso sa ancora cosa aspettarsi o non aspettarsi, mentre gli elementi del terzo strato culturale sono ‘nascosti’ proprio perché sono sconosciuti allo straniero. Benché la conoscenza di questi ultimi richiederebbe un lungo periodo di immersione nella cultura ospitante, lo sguardo del backpacker può intravederli di sfuggita grazie al “cultural shock”. Secondo Katan (2012) il termine fu coniato per la prima volta da Cora du Bois nel 1951 per definire una sensazione di ansia che conduce alla perdita di tutti i punti di riferimento nel contesto di un’altra cultura. Per comprendere a fondo questo concetto e in che modo il reversed gaze può influire sulla dinamica del processo, si possono prendere in considerazione alcuni brani analizzati nel capitolo precedente. Ad esempio, nel racconto Hostage of the Hostile Hostel (vedi 2.3.2) Bill riesce a scappare dall’ostello nel quale è rinchiuso e corre nel tentativo di prendere l’autobus per Roma. Tuttavia il backpacker arriva alla fermata
  • 42. 42 dell’autobus con cinque minuti di ritardo ed osservando la tranquillità del venditore di biglietti, unita all’immagine del piazzale vuoto (backpacker gaze) crede che l’autobus sia già partito, perciò maledice a voce alta l’ostello:“I gnashed my teeth and cursed the hostel loudly..” (vedi 2.3.1). Il venditore osserva la scena del backpacker che impreca (reversed gaze) ed inizia a ridere dicendogli: “No, no, no seven o’clock bus, she never come at seven..[..] seven o’clock bus always come after nine”. In maniera lieve si può notare il cultural shock subito da Bill dal semplice fatto che il racconto si chiude con questa ultima frase. Non è difficile infatti intuire che le risate e l’ultima affermazione abbiano scosso lo scrittore, ed il cultural shock è rappresentato dall’inconsapevolezza da parte del backpacker di un elemento insito nella cultura italiana: il ritardo. Un altro esempio che rappresenta in maniera più decisa il cultural shock e la percezione degli elementi intriseci di una cultura ci viene dato da Brandy nel suo racconto Masters of the Southern Italy Night (vedi 2.3.6). Benché la backpacker sia a conoscenza (tramite una guida per turisti) del pericolo nel viaggiare di notte sui treni in Italia decide comunque di imbarcarsi su un intercity notte con destinazione Siracusa. Il racconto ci mostra come Brandy scruti le due persone presenti nella sua cuccetta (backpacker gaze) e ad un certo punto il controllore del treno gli faccia un cenno con la testa (reversed gaze) iniziando a ridere (in maniera incomprensibile alla scrittrice) con gli altri due viaggiatori. Il cultural shock interviene quando in punto di dormire Brandy si aspetta che il viaggiatore estragga dal suo zaino un cuscino, invece ciò che i suoi occhi scorgono sono catene, corde e cavi. La nuova percezione della backpacker assume toni drammatici, è nello ‘shock’ più totale: “My curious composure turned into alarm, then panic…”(vedi 2.3.6). Successivamente Brandy comprende che quell’armamentario non aveva lo scopo di farle del male e attraverso le sue parole veniamo a conoscenza di un dettaglio importante appartenente alla cultura ospitante : “[..]..that robbery and assault are common problems on overnight, intercity trains in southern Italy [..] those men had given me a new understanding of Italian culture…”(vedi 2.3.6). Mediante gli esempi sopra riportati si riesce a comprendere come, benché la conoscenza di quegli elementi culturali più profondi (credenze e valori che attraverso le varie generazioni hanno formato le radici stesse di una cultura) richiederebbe un lungo periodo di immersione nella cultura ospitante, lo sguardo del backpacker a volte può percepirli di sfuggita grazie al cultural shock. In esso sia il reversed gaze, che la terza tipologia di sguardo definita da Gillespie (2006:362) come “The self’s perspective on Other’s perspective on self” giocano un ruolo fondamentale poiché senza la loro