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Incontro informativo sui referendum del 12
giugno
I referendum in generale
• I referendum abrogativi sono disciplinati dall’art. 75 Cost.:
• sono finalizzati a abrogare totalmente o parzialmente una legge o altro atto
avente valore di legge
• possono votare al referendum tutti i cittadini elettori della Camera dei
Deputati (i cittadini italiani maggiorenni)
• La proposta di abrogazione soggetta a referendum è approvata se ha
partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta
la maggioranza dei voti validamente espressi (cioè se vince il SÌ)
NE DERIVA CHE
• L’esercizio del voto a un referendum è un diritto, ma non anche un
dovere (a differenza del voto alle elezioni politiche). Infatti:
• Chi desidera che la norma oggetto del quesito referendario venga abrogata,
voterà SÌ;
• Chi desidera che la norma oggetto del quesito referendario rimanga in vigore,
ha due possibilità da esercitare:
• 1) votare NO e sperare che i NO superino i SÌ;
• 2) non andare a votare e sperare che il quorum del 50% più uno degli aventi diritto
al voto non venga raggiunto.
1° quesito – scheda rossa
• Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre
2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di
incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di
Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per
delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della
legge 6 novembre 2012, n. 190)?
• Si tratta della cd. Legge Severino: che cosa prevede?
La cd. Legge Severino, in sintesi
• Si tratta del D. Lgs. 235/2012, introdotto in attuazione della convenzione di Merida del 2003 (ratificata dall’Italia nel 2009) e
della Convenzione di Strasburgo del 1999, ratificata dall’Italia nel 2012
• Il cd. Decreto Severino in sintesi prevede:
• Incandidabilità alle elezioni politiche per coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione.
• Accertamento dell'incandidabilità in occasione delle elezioni politiche da parte delle giunte elettorali competenti e cancellazione
dalla lista dei candidati.
• Incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare, comunicazione del giudice competente alla Camera di
appartenenza e mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile se l'incandidabilità è sopravvenuta dopo la sua
elezione e prima della proclamazione degli eletti.
• Incandidabilità di candidati con cancellazione dalla lista dei candidati e decadenza dei membri italiani del Parlamento europeo che
hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione.
• Divieto di assunzione e svolgimento di incarichi di governo.
• Incandidabilità alle cariche elettive regionali e sospensione e decadenza di diritto per incandidabilità alle cariche regionali (sul punto
la disciplina del decreto riproduce la preesistente, che risale al TUEL e, prima ancora, alla legge n. 55 del 1990).
• Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni regionali.
• Incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali (sul punto la disciplina del decreto riproduce la preesistente, che
risale al TUEL e, prima ancora, alla legge n. 55 del 1990).
• Sospensione e decadenza di diritto degli amministratori locali in condizione di incandidabilità (sul punto la disciplina del decreto
riproduce la preesistente, che risale al TUEL e, prima ancora, alla legge n. 55 del 1990).
• Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali.
• Durata dell'incandidabilità di 6 anni anche in assenza della pena accessoria, e nel caso di abuso di potere aumentata di 1/3.
• La sentenza di riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, è l'unica causa di estinzione anticipata
dell'incandidabilità e ne comporta la cessazione per il periodo di tempo residuo. La revoca della sentenza di riabilitazione comporta
il ripristino dell'incandidabilità per il periodo di tempo residuo.
• Incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare (ex art 3 dgl 235/2012). Qualora una causa di
incandidabilità di cui all'articolo 1 sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza
delibera ai sensi dell'articolo 66 della Costituzione. Questo articolo prevede che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei
suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.
Le ragioni del SÌ e le ragioni
del NO al primo quesito
SÌ
• Nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è
stata applicata contro sindaci e amministratori locali, il
pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle
dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato
assolto perché risultato innocente. La legge Severino ha
esposto amministratori della cosa pubblica a indebite
intrusioni nella vita politica;
• Con il sì viene abrogato il decreto e si cancella così
l’automatismo: si restituisce ai giudici la facoltà di
decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna,
occorra applicare o meno anche l’interdizione dai
pubblici uffici.
NO
• Oggi più di ieri partiti politici e liste civiche, sia a livello
nazionale che a livello locale, non sono in grado di fare
filtro;
• L’automatismo della incompatibilità, sospensione o
decadenza non è applicabile a tutti i reati, ma solo a
quelli previsti dalla norma;
• L’incompatibilità, sospensione o decadenza non è sine die
(sarebbe illegittima), ma ha una durata determinata,
commisurata alla durata della pena.
2° quesito – scheda arancione
• Voletevoichesia abrogatoilDecretodelPresidentedellaRepubblica22settembre1988,n.447
(Approvazionedelcodicediprocedurapenale),risultantedallemodificazionieintegrazioni
successivamenteapportate,limitatamenteallaseguenteparte:articolo274,comma 1,lettera c),
limitatamentealleparole:“odellastessaspeciediquellopercuisiprocede.Seilpericoloriguarda la
commissionedidelittidellastessaspeciediquellopercuisiprocede,lemisuredicustodiacautelare
sonodispostesoltantosetrattasididelittiperiqualièprevistala pena dellareclusionenoninferiore
nelmassimoa quattroanniovvero,incasodicustodiacautelare incarcere, didelittiperiqualiè
previstala pena dellareclusionenoninferiorenelmassimoa cinqueanninonché’perildelittodi
finanziamentoillecitodeipartitidicuiall’articolo7dellalegge2maggio1974,n.195e successive
modificazioni.”?
La libertà personale nella
Costituzione
• La libertà personale è inviolabile (art. 13, comma 1, Cost.)
• Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione
personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto
motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (art. 13,
comma 2, Cost.)
• In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge,
l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che
devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se
questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e
restano privi di ogni effetto (art. 13, comma 3 Cost.)
• La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva (art. 13, comma 5
Cost.)
• L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva (art. 27,
comma 2 Cost.)
Le misure cautelari personali:
che cosa sono
• Le misure cautelari sono dei provvedimenti emessi nel periodo
intercorrente tra l'inizio del procedimento penale e l'emanazione
della sentenza irrevocabile passata in giudicato.
• La ratio delle misure cautelari è quella di garantire l'effettività della
giurisdizione e la decisione finale, messe a rischio dalle tempistiche
procedurali.
• Le misure cautelari personali incidono sulla libertà personale
dell'indagato o sulla libertà di svolgere la propria attività lavorativa o
professionale. Le prime hanno natura coercitiva, le seconde
interdittiva.
Le misure cautelari personali:
quali sono
• Sono misure cautelari personali coercitive:
• divieto di espatrio (art. 281 c.p.p);
• obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p);
• allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p);
• divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p);
• divieto e obbligo di dimora (art 283 c.p.p);
• arresti domiciliari (art. 284 c.p.p);
• custodia cautelare in carcere (art 285 c.p.p);
• custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri (art. 285 bis c.p.p);
• custodia cautelare in luogo di cura (art. 286 c.p.p).
• Sono misure cautelari personali interdittive:
• sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale (art. 288 c.p.p);
• sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p);
• divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali (art. 290 c.p.p).
Criteri di scelta della misure
cautelari personali
• Nel disporre le misure cautelari personali il Giudice deve tenere conto
della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado
delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto (art. 275,
comma 1 c.p.p.)
• La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando
ogni altra misura risulti inadeguata (principio generale), salvo per
alcuni tipi di reato (omicidio, reati legati alla pornografia e alla
prostituzione minorile e reati di violenza sessuale) per i quali la
custodia cautelare in carcere deve essere disposta se ricorrono gravi
indizi, salvo che si provi non sussistano esigenze cautelari
Le misure cautelari
personali: quando possono
essere applicate?
• Devono sussistere gravi indizi di colpevolezza (art. 273, comma 1 c.p.p.)
• Deve sussistere almeno uno dei tre requisiti di cui all’art. 274 c.p.p.:
• a) cd. pericolo di inquinamento di prove;
• b) cd. pericolo di fuga (o quando la fuga è già in atto, se l’imputato viene preso) e il
Giudice ritiene che la pena irrogata possa essere superiore a due anni;
• c) quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della
persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti concreti o
atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi
commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti
contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa
specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della
stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte
soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore
nel massimo a quattro anni.
Le ragioni del SÌ e le ragioni
del NO al secondo quesito
SÌ
• Circa mille persone all’anno vengono incarcerate e poi
risulteranno innocenti. Dal 1992 al 31 dicembre 2020 si sono
registrati 29.452 casi. L’Italia è il quinto paese dell’Unione
Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare: il
31%, un detenuto ogni tre. La carcerazione preventiva distrugge
la vita delle persone colpite: non arreca solo un grave danno di
immagine, sottoponendole a una esperienza scioccante, ma ha
gravi conseguenze sulla sfera professionale. Il carcere ha un
impatto drammatico sulle famiglie e rappresenta anche un onere
economico per il Paese: i 750 casi di ingiusta detenzione nel 2020
sono costati quasi 37 milioni di euro di indennizzi.
• La custodia cautelare, cioè il carcere preventivo rispetto alla
condanna definitiva e spesso rispetto a una qualsiasi condanna
anche non definitiva, è una pratica di cui si abusa. Da strumento
di emergenza è stato trasformato in una vera e propria forma
anticipatoria della pena. Ciò rappresenta una palese violazione
del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza
e ha costretto migliaia di donne e uomini accusati di reati minori,
addirittura poi assolti, a conoscere l’umiliazione del carcere
prima di un processo.
NO
• Il testo del quesito come formulato impedirebbe di
applicare non soltanto la custodia cautelare in carcere,
ma qualsiasi misura cautelare personale in caso di
pericolo di reiterazione del reato o di reati analoghi.
• In ogni caso già in base alla normativa vigente il Giudice,
salvo per alcuni particolari tipi di reato, è tenuto ad
applicare sempre la misura meno restrittiva che sia in
grado di soddisfare le esigenze cautelari.
3° quesito – scheda gialla
• Volete voi che siano abrogati: l’ “Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate,
limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura”; la Legge 4
gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate,
limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o
alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché’ disposizioni in
tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel
testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché’ per il passaggio dalla
funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di
funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate,
limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del
medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a
quelle requirenti,”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della
stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato
presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver
svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e
subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di
idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni
giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del
presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di
legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione,
nonché’ sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale
presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno
dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura
penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia
svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un
ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in
qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di
sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso
circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La
destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore
della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata
unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di
legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10,
che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi
urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma
1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a
funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’articolo 13, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160.”?
Il ruolo del Magistrato nel
processo penale
• La Magistratura è un unico organismo composto da soggetti esercitanti
diverse funzioni:
• Funzioni giudicanti: sono quelle che attengono alla giurisdizione e sono esercitate da
Magistrati che sono giudici, terzi e imparziali rispetto alle Parti. Si tratta di persone e
organi diversi a seconda dello stato e del grado di un processo penale e possono essere
giudici monocratici o collegiali (GIP, GUP, Tribunale monocratico, Tribunale collegiale,
Tribunale per i minorenni, Corte d’Assise, Corte d’Appello, Corte d’Assise d’Appello,
Corte di Cassazione, Magistrato di Sorveglianza, Tribunale di Sorveglianza);
• Funzioni requirenti: esercizio dell’azione penale, esercizio delle indagini preliminari,
richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione, richiesta di applicazione di misure
cautelari. Sono svolte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale (ordinario o dei
minorenni), dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello, dalla Procura Generale
presso la Corte di Cassazione, dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo
(quest’ultima esercita funzioni requirenti di coordinamento nazionale). In genere il
magistrato che esercita le funzioni requirenti nel processo penale è conosciuto come
Pubblico Ministero
Il modello inquisitorio e il modello accusatorio
• Caratteristiche del processo inquisitorio
• ll processo penale viene iniziato d’ufficio dal Giudice, che esercita sia il
ruolo di accusatore (ricercando elementi a sfavore dell’imputato), sia
quello di difensore dell’imputato (ricercando elementi a favore
dell’imputato), sia quello di terzo giudicante (emettendo la sentenza e i
provvedimenti interlocutori ad essa finalizzati);
• la ricerca delle prove spetta allo stesso Giudice, che al riguardo gode di
pieni poteri di ricerca e acquisizione;
• il Giudice-inquisitore ricerca la verità senza contraddittorio con le altre
Parti, in totale segreto;
• non esiste alcun limite all’ammissibilità delle prove, contando solo il
risultato da raggiungere e non il metodo con cui lo si persegue (si pensi
alla testimonianza o confessione di un soggetto sotto tortura);
• non esiste la presunzione di innocenza. In presenza di alcuni indizi (o
anche di una mera denuncia anonima) l’imputato è chiamato a
discolparsi: è l’imputato a dover dimostrare la sua innocenza e non il
giudice a dimostrare la sua colpevolezza;
• proprio perché l’imputato è presunto colpevole, in mancanza di prove di
innocenza egli è sottoposto a carcerazione preventiva, quale
anticipazione della pena di condanna.
• Caratteristiche del processo accusatorio
• l’iniziativa del processo penale spetta soltanto al Pubblico Ministero;
• i poteri di ricerca, ammissione e valutazione della prova devono essere ripartiti tra
Giudice, accusa e difesa, sulla base di una dettagliata regolamentazione;
• ciascuna Parte deve poter sostenere le proprie ragioni, contribuendo alla formazione della
prova e al convincimento del Giudice, sulla base del principio del contraddittorio. Ciò
significa che non può essere dal Giudice utilizzata una prova raccolta unilateralmente e su
cui le Parti non hanno avuto la possibilità di interloquire;
• viene prediletta l’oralità ed escluse, in linea di massima, le dichiarazioni scritte: l’oralità
consente infatti a coloro che ascoltano di porre subito domande e ottenere risposte,
valutando la credibilità e attendibilità di colui che rende dichiarazioni;
• il metodo attraverso il quale viene ricercata una prova diventa fondamentale, potendo
certi metodi influire sull’attendibilità della prova;
• la persona accusata viene considerata presunta innocente fino alla sentenza irrevocabile di
condanna: non è dunque l’accusato che deve dimostrare di essere innocente, ma è
l’accusatore a doverne dimostrarne la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio;
• atteso che l’imputato è presunto innocente, egli non può essere trattato da colpevole. Ciò
comporta che la carcerazione preventiva possa essere applicata solo entro certi limiti
normativamente prestabiliti, e non come anticipazione di pena ma come misura cautelare
volta a fronteggiare particolari esigenze processuali o di sicurezza pubblica.
Il modello italiano è un modello
misto
• Il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (art. 112 Cost.);
• Il Pubblico Ministero raccoglie, durante la fase generalmente segreta delle indagini preliminari,
gli elementi idonei a promuovere la richiesta di rinvio a giudizio, ma ha anche l’obbligo di
svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini (art.
358 c.p.p.);
• Il Pubblico Ministero non rappresenta soltanto la Parte dell’Accusa. Egli esercita, piuttosto, un
«ministero pubblico», cioè tutela tutti i consociati, perché ogni reato non lede soltanto le
vittime e le persone offese, ma è un vulnus arrecato a tutti i consociati;
• Diverso è nel modello accusatorio puro presente in altri Stati, in particolare di cultura
anglosassone e statunitense, dove il Pubblico Ministero (che non si chiama neanche così ma,
semplicemente, «l’Accusa») è soltanto Parte e il suo compito è quello di fare in modo che
venga accolta la richiesta di rinvio a giudizio dell’indagato e poi la richiesta di condanna
dell’imputato.
Che cosa chiede il quesito?
• In sintesi, il quesito, pur in oltre 1.500 parole e con numerosi richiami di
leggi, chiede di separare la funzione requirente da quella giudicante,
rendendo il nostro sistema pienamente accusatorio e il Pubblico Ministero
una Parte processuale (l’Accusa) con pari prerogative alla Difesa e avente
l’obiettivo di ottenere la condanna dell’imputato e non tanto di esercitare
la tutela di un interesse collettivo, come avviene ora;
• Non si potrebbe, in ogni caso, introdurre una separazione delle carriere, in
quanto ciò richiederebbe di modificare la Costituzione (in particolare il
Titolo IV): le modalità di accesso alla Magistratura devono rimanere uniche;
• La Costituzione impone comunque che la Magistratura sia un ordine
autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104, comma 1).
Interferenze del quesito referendario con la
Riforma Bonafede-Cartabia in discussione in
Parlamento
Il ddl S2595 Bonafede-Cartabia (art. 12) oggi in discussione prevede che:
• Il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante possa avvenire
una sola volta in carriera entro nove anni dalla prima assegnazione delle
funzioni (anche una seconda volta, ma soltanto per passare a funzioni
giudicanti non penali o se si provenga da funzioni giudicanti non penali);
• In caso di vittoria dei SÌ si prevede che o la Riforma in discussione sarà
adeguata ai risultati referendari o che, qualora la Riforma dovesse
diventare legge già prima del 12 giugno, sarà modificata dal Referendum
nei termini di cui al quesito (cioè sarà abolito anche l’unico passaggio
consentito entro nove anni dalla prima assegnazione).
Le ragioni del SÌ e le ragioni
del NO al terzo quesito
SÌ
• La contiguità tra il Pubblico Ministero e il Giudice contraddice
l’idea che l’attività della Parte che accusa (PM) debba restare
distinta da quella di chi giudica. Essa crea uno spirito corporativo
tra le due figure e compromette un sano e fisiologico
antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio
del sistema democratico;
• Solo un’autentica separazione delle funzioni fra Accusa (parte) e
Giudice (organo terzo imparziale) può realizzare un più compiuto
modello accusatorio, in cui Accusa e Difesa hanno pari diritti e
ogni prova deve essere formata rispettando il principio del
contraddittorio con la Difesa dell’imputato.
NO
• Il Pubblico Ministero nel modello di processo penale italiano (la
cui applicazione è stata raccomandata anche in sede di Unione
Europea) non può essere ridotto meramente all’Accusa, ma è un
Organo posto a tutela di un «interesse collettivo», tanto che ha
anche l’obbligo di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a
favore dell’indagato;
• Il nostro, anche con la separazione delle funzioni, rimarrebbe
comunque un modello processuale misto, in cui si prevede una
prima fase segreta di indagini preliminari e una seconda fase
pubblica (dibattimento) in cui soltanto possono essere raccolte le
prove in conformità al principio del contraddittorio;
• La separazione delle funzioni non può diventare il primo passo
verso la separazione delle carriere, in cui il Pubblico Ministero
diverrebbe non più un magistrato indipendente, ma sarebbe
ricondotto alle dipendenze di un Ministero del Governo e sarebbe
condizionato dalla politica nell’esercitare l’azione penale che l’art.
102 Cost. ha previsto come obbligatoria;
• Dal 2006 al 2021 su un numero medio annuo di Magistrati di
8620 soltanto 2 magistrati su mille ogni anno hanno richiesto di
passare dalla funzione requirente a quella giudicante e soltanto 3
su mille dalla funzione giudicante a quella requirente.
4° quesito – scheda grigia
Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del
Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma
dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle
modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8,
comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze
di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole:
“esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere
a),d) ede)”?
Contenuto e significato del quesito
• Il quesito ha ad oggetto i Consigli giudiziari, che sono «organi ausiliari» del
Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Tali organi hanno una
composizione mista che rispecchia quella del CSM (Magistrati, Professori
Universitari – minimo uno – in materie giuridiche e Avvocati – minimo due,
a seconda del numero dei Magistrati – minimo sei) Hanno numerosi
compiti, fra i quali quello di esprimere pareri sulla valutazione della
professionalità dei Magistrati;
• Nella normativa vigente soltanto i Magistrati del Consiglio Giudiziario
possono partecipare alle discussioni e deliberazioni relative alla valutazione
della professionalità dei singoli Magistrati (una ogni quattro anni);
• Si chiede che anche Avvocati e Professori Universitari possano partecipare
a tali discussioni e deliberazioni.
Interferenze del quesito referendario con la Riforma
Bonafede-Cartabia in discussione in Parlamento
Il ddl S2595 Bonafede-Cartabia (art. 3) oggi in discussione prevede che:
• Il disegno di legge delega intende consentire ad Avvocati e Professori Universitari presenti nel
Consiglio Giudiziario la partecipazione alla discussione.
• Per la sola componente degli Avvocati, la delega prevede la possibilità di esprimere un voto
unitario in sede di deliberazione sulla valutazione di professionalità dei Magistrati. Il presupposto
per l’espressione del voto da parte dell’Avvocatura è l’effettuazione di segnalazioni specifiche –
positive o negative – sul Magistrato in verifica da parte del Consiglio dell’Ordine. In tal caso, se gli
Avvocati presenti nel Consiglio giudiziario intendono discostarsi dal contenuto della segnalazione
(ad esempio esprimendo una valutazione negativa a fronte di segnalazioni positive da parte del
Consiglio dell’Ordine), dovranno preventivamente richiedere una nuova deliberazione al Consiglio
dell’Ordine. La disposizione non chiarisce se la successiva deliberazione del Consiglio dell’Ordine
sia vincolante per l’espressione del voto da parte degli Avvocati.
• In caso di vittoria dei SÌ si prevede che o la Riforma in discussione sarà adeguata ai risultati
referendari o che, qualora la Riforma dovesse diventare legge già prima del 12 giugno, sarà
modificata dal Referendum nei termini di cui al quesito (cioè sarà permesso agli Avvocati anche
senza segnalazione del Consiglio dell’Ordine e ai Professori Universitari di discutere e deliberare
sulla valutazione della professionalità dei singoli Magistrati).
Le ragioni del SÌ e le ragioni
del NO al quarto quesito
SÌ
• Con la normativa vigente solo i
Magistrati hanno il compito di
giudicare gli altri Magistrati. Questa
sovrapposizione tra “controllore” e
“controllato” rende poco attendibili
le valutazioni e favorisce la logica
corporativa. Col referendum si
vuole estendere anche
all’Avvocatura e ai Professori
Universitari nei Consigli giudiziari la
possibilità di avere voce in capitolo
nella valutazione.
NO
• L’Avvocato componente il Consiglio
giudiziario di un qualsiasi distretto
e impegnato in un dibattimento
processuale nel medesimo
distretto territoriale potrebbe
generare, anche
inconsapevolmente, una
soggezione del Giudice che sta
giudicando in quel processo e che
sa che il suo operato sarà valutato
da quell’Avvocato.
5° quesito – scheda verde
Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle
modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente
parte: articolo 25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati
presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori
non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2
dell’articolo 23, népossono candidarsi a loro volta”?
Contenuto e significato del quesito
Viene abrogato l’obbligo, per un Magistrato che voglia essere eletto nel Consiglio Superiore
della Magistratura (ilCSM, cioè l’organo di governo dei Magistrati presieduto dal Presidente
della Repubblica – art. 104, comma 2, Cost.) ditrovare da 25 a 50 firme per presentare la
candidatura. L’attuale obbligo impone a coloro che si vogliano candidare di ottenere il
beneplacito delle correnti o, il più delle volte, di essere ad esse iscritti. Con il sì, sitornerebbe
allalegge originale del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati in servizio potessero proporsi
come membri del CSM presentando semplicemente la propria candidatura.
Interferenze del quesito referendario con la Riforma
Bonafede-Cartabia in discussione in Parlamento
• Il ddl S2595 Bonafede-Cartabia (art. 33) oggi in discussione prevede
già la stessa facoltà per i magistrati che volessero candidarsi
individualmente (le candidature possono essere individuali o
collegate a quelle di altri Magistrati, ma ciascun candidato non può
appartenere a più di un gruppo)
• Qualora la Riforma dovesse diventare legge già prima del 12 giugno,
molto probabilmente questo referendum non si terrà.
Le ragioni del SÌ e le ragioni
del NO al quinto quesito
SÌ
• Avremmo votazioni del CSM che mettono al centro il
Magistrato e le sue qualità personali e professionali,
non gli interessi delle correnti o il loro orientamento
politico.
• Le correnti dei Magistrati si muovono in un’ottica di
promozione del gruppo e non sono certo utili per
garantire giustizia ai cittadini. Spesso agiscono con una
logica spartitoria e consociativa, cosicché le decisioni
sono prese all’unanimità per “pacchetti” concordati tra i
capicorrente.
NO
• L’abrogazione normativa proposta non
riesce a perseguire l’obiettivo
dichiarato, perché, se è vero che
permette al Magistrato che si vuole
candidare individualmente di poterlo
fare senza ottenere il previo placet
dalle correnti della Magistratura, non
evita, tuttavia, che i Magistrati
saranno eletti in funzione degli
accordi intercorsi fra i capicorrente.
Grazie!
Francesco Pasquali
Per quesiti e chiarimenti scrivere a:
francesco.pasquali26@libero.it

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  • 1. Incontro informativo sui referendum del 12 giugno
  • 2. I referendum in generale • I referendum abrogativi sono disciplinati dall’art. 75 Cost.: • sono finalizzati a abrogare totalmente o parzialmente una legge o altro atto avente valore di legge • possono votare al referendum tutti i cittadini elettori della Camera dei Deputati (i cittadini italiani maggiorenni) • La proposta di abrogazione soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi (cioè se vince il SÌ)
  • 3. NE DERIVA CHE • L’esercizio del voto a un referendum è un diritto, ma non anche un dovere (a differenza del voto alle elezioni politiche). Infatti: • Chi desidera che la norma oggetto del quesito referendario venga abrogata, voterà SÌ; • Chi desidera che la norma oggetto del quesito referendario rimanga in vigore, ha due possibilità da esercitare: • 1) votare NO e sperare che i NO superino i SÌ; • 2) non andare a votare e sperare che il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto non venga raggiunto.
  • 4. 1° quesito – scheda rossa • Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)? • Si tratta della cd. Legge Severino: che cosa prevede?
  • 5. La cd. Legge Severino, in sintesi • Si tratta del D. Lgs. 235/2012, introdotto in attuazione della convenzione di Merida del 2003 (ratificata dall’Italia nel 2009) e della Convenzione di Strasburgo del 1999, ratificata dall’Italia nel 2012 • Il cd. Decreto Severino in sintesi prevede: • Incandidabilità alle elezioni politiche per coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione. • Accertamento dell'incandidabilità in occasione delle elezioni politiche da parte delle giunte elettorali competenti e cancellazione dalla lista dei candidati. • Incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare, comunicazione del giudice competente alla Camera di appartenenza e mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile se l'incandidabilità è sopravvenuta dopo la sua elezione e prima della proclamazione degli eletti. • Incandidabilità di candidati con cancellazione dalla lista dei candidati e decadenza dei membri italiani del Parlamento europeo che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione. • Divieto di assunzione e svolgimento di incarichi di governo. • Incandidabilità alle cariche elettive regionali e sospensione e decadenza di diritto per incandidabilità alle cariche regionali (sul punto la disciplina del decreto riproduce la preesistente, che risale al TUEL e, prima ancora, alla legge n. 55 del 1990). • Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni regionali. • Incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali (sul punto la disciplina del decreto riproduce la preesistente, che risale al TUEL e, prima ancora, alla legge n. 55 del 1990). • Sospensione e decadenza di diritto degli amministratori locali in condizione di incandidabilità (sul punto la disciplina del decreto riproduce la preesistente, che risale al TUEL e, prima ancora, alla legge n. 55 del 1990). • Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali. • Durata dell'incandidabilità di 6 anni anche in assenza della pena accessoria, e nel caso di abuso di potere aumentata di 1/3. • La sentenza di riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, è l'unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilità e ne comporta la cessazione per il periodo di tempo residuo. La revoca della sentenza di riabilitazione comporta il ripristino dell'incandidabilità per il periodo di tempo residuo. • Incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare (ex art 3 dgl 235/2012). Qualora una causa di incandidabilità di cui all'articolo 1 sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell'articolo 66 della Costituzione. Questo articolo prevede che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.
  • 6. Le ragioni del SÌ e le ragioni del NO al primo quesito SÌ • Nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali, il pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente. La legge Severino ha esposto amministratori della cosa pubblica a indebite intrusioni nella vita politica; • Con il sì viene abrogato il decreto e si cancella così l’automatismo: si restituisce ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna, occorra applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici. NO • Oggi più di ieri partiti politici e liste civiche, sia a livello nazionale che a livello locale, non sono in grado di fare filtro; • L’automatismo della incompatibilità, sospensione o decadenza non è applicabile a tutti i reati, ma solo a quelli previsti dalla norma; • L’incompatibilità, sospensione o decadenza non è sine die (sarebbe illegittima), ma ha una durata determinata, commisurata alla durata della pena.
  • 7. 2° quesito – scheda arancione • Voletevoichesia abrogatoilDecretodelPresidentedellaRepubblica22settembre1988,n.447 (Approvazionedelcodicediprocedurapenale),risultantedallemodificazionieintegrazioni successivamenteapportate,limitatamenteallaseguenteparte:articolo274,comma 1,lettera c), limitatamentealleparole:“odellastessaspeciediquellopercuisiprocede.Seilpericoloriguarda la commissionedidelittidellastessaspeciediquellopercuisiprocede,lemisuredicustodiacautelare sonodispostesoltantosetrattasididelittiperiqualièprevistala pena dellareclusionenoninferiore nelmassimoa quattroanniovvero,incasodicustodiacautelare incarcere, didelittiperiqualiè previstala pena dellareclusionenoninferiorenelmassimoa cinqueanninonché’perildelittodi finanziamentoillecitodeipartitidicuiall’articolo7dellalegge2maggio1974,n.195e successive modificazioni.”?
  • 8. La libertà personale nella Costituzione • La libertà personale è inviolabile (art. 13, comma 1, Cost.) • Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (art. 13, comma 2, Cost.) • In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto (art. 13, comma 3 Cost.) • La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva (art. 13, comma 5 Cost.) • L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva (art. 27, comma 2 Cost.)
  • 9. Le misure cautelari personali: che cosa sono • Le misure cautelari sono dei provvedimenti emessi nel periodo intercorrente tra l'inizio del procedimento penale e l'emanazione della sentenza irrevocabile passata in giudicato. • La ratio delle misure cautelari è quella di garantire l'effettività della giurisdizione e la decisione finale, messe a rischio dalle tempistiche procedurali. • Le misure cautelari personali incidono sulla libertà personale dell'indagato o sulla libertà di svolgere la propria attività lavorativa o professionale. Le prime hanno natura coercitiva, le seconde interdittiva.
  • 10. Le misure cautelari personali: quali sono • Sono misure cautelari personali coercitive: • divieto di espatrio (art. 281 c.p.p); • obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p); • allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p); • divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p); • divieto e obbligo di dimora (art 283 c.p.p); • arresti domiciliari (art. 284 c.p.p); • custodia cautelare in carcere (art 285 c.p.p); • custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri (art. 285 bis c.p.p); • custodia cautelare in luogo di cura (art. 286 c.p.p). • Sono misure cautelari personali interdittive: • sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale (art. 288 c.p.p); • sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.p.p); • divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali (art. 290 c.p.p).
  • 11. Criteri di scelta della misure cautelari personali • Nel disporre le misure cautelari personali il Giudice deve tenere conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto (art. 275, comma 1 c.p.p.) • La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata (principio generale), salvo per alcuni tipi di reato (omicidio, reati legati alla pornografia e alla prostituzione minorile e reati di violenza sessuale) per i quali la custodia cautelare in carcere deve essere disposta se ricorrono gravi indizi, salvo che si provi non sussistano esigenze cautelari
  • 12. Le misure cautelari personali: quando possono essere applicate? • Devono sussistere gravi indizi di colpevolezza (art. 273, comma 1 c.p.p.) • Deve sussistere almeno uno dei tre requisiti di cui all’art. 274 c.p.p.: • a) cd. pericolo di inquinamento di prove; • b) cd. pericolo di fuga (o quando la fuga è già in atto, se l’imputato viene preso) e il Giudice ritiene che la pena irrogata possa essere superiore a due anni; • c) quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti concreti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.
  • 13. Le ragioni del SÌ e le ragioni del NO al secondo quesito SÌ • Circa mille persone all’anno vengono incarcerate e poi risulteranno innocenti. Dal 1992 al 31 dicembre 2020 si sono registrati 29.452 casi. L’Italia è il quinto paese dell’Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare: il 31%, un detenuto ogni tre. La carcerazione preventiva distrugge la vita delle persone colpite: non arreca solo un grave danno di immagine, sottoponendole a una esperienza scioccante, ma ha gravi conseguenze sulla sfera professionale. Il carcere ha un impatto drammatico sulle famiglie e rappresenta anche un onere economico per il Paese: i 750 casi di ingiusta detenzione nel 2020 sono costati quasi 37 milioni di euro di indennizzi. • La custodia cautelare, cioè il carcere preventivo rispetto alla condanna definitiva e spesso rispetto a una qualsiasi condanna anche non definitiva, è una pratica di cui si abusa. Da strumento di emergenza è stato trasformato in una vera e propria forma anticipatoria della pena. Ciò rappresenta una palese violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza e ha costretto migliaia di donne e uomini accusati di reati minori, addirittura poi assolti, a conoscere l’umiliazione del carcere prima di un processo. NO • Il testo del quesito come formulato impedirebbe di applicare non soltanto la custodia cautelare in carcere, ma qualsiasi misura cautelare personale in caso di pericolo di reiterazione del reato o di reati analoghi. • In ogni caso già in base alla normativa vigente il Giudice, salvo per alcuni particolari tipi di reato, è tenuto ad applicare sempre la misura meno restrittiva che sia in grado di soddisfare le esigenze cautelari.
  • 14. 3° quesito – scheda gialla • Volete voi che siano abrogati: l’ “Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura”; la Legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché’ disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché’ per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché’ sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’articolo 13, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160.”?
  • 15. Il ruolo del Magistrato nel processo penale • La Magistratura è un unico organismo composto da soggetti esercitanti diverse funzioni: • Funzioni giudicanti: sono quelle che attengono alla giurisdizione e sono esercitate da Magistrati che sono giudici, terzi e imparziali rispetto alle Parti. Si tratta di persone e organi diversi a seconda dello stato e del grado di un processo penale e possono essere giudici monocratici o collegiali (GIP, GUP, Tribunale monocratico, Tribunale collegiale, Tribunale per i minorenni, Corte d’Assise, Corte d’Appello, Corte d’Assise d’Appello, Corte di Cassazione, Magistrato di Sorveglianza, Tribunale di Sorveglianza); • Funzioni requirenti: esercizio dell’azione penale, esercizio delle indagini preliminari, richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione, richiesta di applicazione di misure cautelari. Sono svolte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale (ordinario o dei minorenni), dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello, dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione, dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (quest’ultima esercita funzioni requirenti di coordinamento nazionale). In genere il magistrato che esercita le funzioni requirenti nel processo penale è conosciuto come Pubblico Ministero
  • 16. Il modello inquisitorio e il modello accusatorio • Caratteristiche del processo inquisitorio • ll processo penale viene iniziato d’ufficio dal Giudice, che esercita sia il ruolo di accusatore (ricercando elementi a sfavore dell’imputato), sia quello di difensore dell’imputato (ricercando elementi a favore dell’imputato), sia quello di terzo giudicante (emettendo la sentenza e i provvedimenti interlocutori ad essa finalizzati); • la ricerca delle prove spetta allo stesso Giudice, che al riguardo gode di pieni poteri di ricerca e acquisizione; • il Giudice-inquisitore ricerca la verità senza contraddittorio con le altre Parti, in totale segreto; • non esiste alcun limite all’ammissibilità delle prove, contando solo il risultato da raggiungere e non il metodo con cui lo si persegue (si pensi alla testimonianza o confessione di un soggetto sotto tortura); • non esiste la presunzione di innocenza. In presenza di alcuni indizi (o anche di una mera denuncia anonima) l’imputato è chiamato a discolparsi: è l’imputato a dover dimostrare la sua innocenza e non il giudice a dimostrare la sua colpevolezza; • proprio perché l’imputato è presunto colpevole, in mancanza di prove di innocenza egli è sottoposto a carcerazione preventiva, quale anticipazione della pena di condanna. • Caratteristiche del processo accusatorio • l’iniziativa del processo penale spetta soltanto al Pubblico Ministero; • i poteri di ricerca, ammissione e valutazione della prova devono essere ripartiti tra Giudice, accusa e difesa, sulla base di una dettagliata regolamentazione; • ciascuna Parte deve poter sostenere le proprie ragioni, contribuendo alla formazione della prova e al convincimento del Giudice, sulla base del principio del contraddittorio. Ciò significa che non può essere dal Giudice utilizzata una prova raccolta unilateralmente e su cui le Parti non hanno avuto la possibilità di interloquire; • viene prediletta l’oralità ed escluse, in linea di massima, le dichiarazioni scritte: l’oralità consente infatti a coloro che ascoltano di porre subito domande e ottenere risposte, valutando la credibilità e attendibilità di colui che rende dichiarazioni; • il metodo attraverso il quale viene ricercata una prova diventa fondamentale, potendo certi metodi influire sull’attendibilità della prova; • la persona accusata viene considerata presunta innocente fino alla sentenza irrevocabile di condanna: non è dunque l’accusato che deve dimostrare di essere innocente, ma è l’accusatore a doverne dimostrarne la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio; • atteso che l’imputato è presunto innocente, egli non può essere trattato da colpevole. Ciò comporta che la carcerazione preventiva possa essere applicata solo entro certi limiti normativamente prestabiliti, e non come anticipazione di pena ma come misura cautelare volta a fronteggiare particolari esigenze processuali o di sicurezza pubblica.
  • 17. Il modello italiano è un modello misto • Il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (art. 112 Cost.); • Il Pubblico Ministero raccoglie, durante la fase generalmente segreta delle indagini preliminari, gli elementi idonei a promuovere la richiesta di rinvio a giudizio, ma ha anche l’obbligo di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini (art. 358 c.p.p.); • Il Pubblico Ministero non rappresenta soltanto la Parte dell’Accusa. Egli esercita, piuttosto, un «ministero pubblico», cioè tutela tutti i consociati, perché ogni reato non lede soltanto le vittime e le persone offese, ma è un vulnus arrecato a tutti i consociati; • Diverso è nel modello accusatorio puro presente in altri Stati, in particolare di cultura anglosassone e statunitense, dove il Pubblico Ministero (che non si chiama neanche così ma, semplicemente, «l’Accusa») è soltanto Parte e il suo compito è quello di fare in modo che venga accolta la richiesta di rinvio a giudizio dell’indagato e poi la richiesta di condanna dell’imputato.
  • 18. Che cosa chiede il quesito? • In sintesi, il quesito, pur in oltre 1.500 parole e con numerosi richiami di leggi, chiede di separare la funzione requirente da quella giudicante, rendendo il nostro sistema pienamente accusatorio e il Pubblico Ministero una Parte processuale (l’Accusa) con pari prerogative alla Difesa e avente l’obiettivo di ottenere la condanna dell’imputato e non tanto di esercitare la tutela di un interesse collettivo, come avviene ora; • Non si potrebbe, in ogni caso, introdurre una separazione delle carriere, in quanto ciò richiederebbe di modificare la Costituzione (in particolare il Titolo IV): le modalità di accesso alla Magistratura devono rimanere uniche; • La Costituzione impone comunque che la Magistratura sia un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104, comma 1).
  • 19. Interferenze del quesito referendario con la Riforma Bonafede-Cartabia in discussione in Parlamento Il ddl S2595 Bonafede-Cartabia (art. 12) oggi in discussione prevede che: • Il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante possa avvenire una sola volta in carriera entro nove anni dalla prima assegnazione delle funzioni (anche una seconda volta, ma soltanto per passare a funzioni giudicanti non penali o se si provenga da funzioni giudicanti non penali); • In caso di vittoria dei SÌ si prevede che o la Riforma in discussione sarà adeguata ai risultati referendari o che, qualora la Riforma dovesse diventare legge già prima del 12 giugno, sarà modificata dal Referendum nei termini di cui al quesito (cioè sarà abolito anche l’unico passaggio consentito entro nove anni dalla prima assegnazione).
  • 20. Le ragioni del SÌ e le ragioni del NO al terzo quesito SÌ • La contiguità tra il Pubblico Ministero e il Giudice contraddice l’idea che l’attività della Parte che accusa (PM) debba restare distinta da quella di chi giudica. Essa crea uno spirito corporativo tra le due figure e compromette un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio del sistema democratico; • Solo un’autentica separazione delle funzioni fra Accusa (parte) e Giudice (organo terzo imparziale) può realizzare un più compiuto modello accusatorio, in cui Accusa e Difesa hanno pari diritti e ogni prova deve essere formata rispettando il principio del contraddittorio con la Difesa dell’imputato. NO • Il Pubblico Ministero nel modello di processo penale italiano (la cui applicazione è stata raccomandata anche in sede di Unione Europea) non può essere ridotto meramente all’Accusa, ma è un Organo posto a tutela di un «interesse collettivo», tanto che ha anche l’obbligo di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore dell’indagato; • Il nostro, anche con la separazione delle funzioni, rimarrebbe comunque un modello processuale misto, in cui si prevede una prima fase segreta di indagini preliminari e una seconda fase pubblica (dibattimento) in cui soltanto possono essere raccolte le prove in conformità al principio del contraddittorio; • La separazione delle funzioni non può diventare il primo passo verso la separazione delle carriere, in cui il Pubblico Ministero diverrebbe non più un magistrato indipendente, ma sarebbe ricondotto alle dipendenze di un Ministero del Governo e sarebbe condizionato dalla politica nell’esercitare l’azione penale che l’art. 102 Cost. ha previsto come obbligatoria; • Dal 2006 al 2021 su un numero medio annuo di Magistrati di 8620 soltanto 2 magistrati su mille ogni anno hanno richiesto di passare dalla funzione requirente a quella giudicante e soltanto 3 su mille dalla funzione giudicante a quella requirente.
  • 21. 4° quesito – scheda grigia Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a),d) ede)”?
  • 22. Contenuto e significato del quesito • Il quesito ha ad oggetto i Consigli giudiziari, che sono «organi ausiliari» del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Tali organi hanno una composizione mista che rispecchia quella del CSM (Magistrati, Professori Universitari – minimo uno – in materie giuridiche e Avvocati – minimo due, a seconda del numero dei Magistrati – minimo sei) Hanno numerosi compiti, fra i quali quello di esprimere pareri sulla valutazione della professionalità dei Magistrati; • Nella normativa vigente soltanto i Magistrati del Consiglio Giudiziario possono partecipare alle discussioni e deliberazioni relative alla valutazione della professionalità dei singoli Magistrati (una ogni quattro anni); • Si chiede che anche Avvocati e Professori Universitari possano partecipare a tali discussioni e deliberazioni.
  • 23. Interferenze del quesito referendario con la Riforma Bonafede-Cartabia in discussione in Parlamento Il ddl S2595 Bonafede-Cartabia (art. 3) oggi in discussione prevede che: • Il disegno di legge delega intende consentire ad Avvocati e Professori Universitari presenti nel Consiglio Giudiziario la partecipazione alla discussione. • Per la sola componente degli Avvocati, la delega prevede la possibilità di esprimere un voto unitario in sede di deliberazione sulla valutazione di professionalità dei Magistrati. Il presupposto per l’espressione del voto da parte dell’Avvocatura è l’effettuazione di segnalazioni specifiche – positive o negative – sul Magistrato in verifica da parte del Consiglio dell’Ordine. In tal caso, se gli Avvocati presenti nel Consiglio giudiziario intendono discostarsi dal contenuto della segnalazione (ad esempio esprimendo una valutazione negativa a fronte di segnalazioni positive da parte del Consiglio dell’Ordine), dovranno preventivamente richiedere una nuova deliberazione al Consiglio dell’Ordine. La disposizione non chiarisce se la successiva deliberazione del Consiglio dell’Ordine sia vincolante per l’espressione del voto da parte degli Avvocati. • In caso di vittoria dei SÌ si prevede che o la Riforma in discussione sarà adeguata ai risultati referendari o che, qualora la Riforma dovesse diventare legge già prima del 12 giugno, sarà modificata dal Referendum nei termini di cui al quesito (cioè sarà permesso agli Avvocati anche senza segnalazione del Consiglio dell’Ordine e ai Professori Universitari di discutere e deliberare sulla valutazione della professionalità dei singoli Magistrati).
  • 24. Le ragioni del SÌ e le ragioni del NO al quarto quesito SÌ • Con la normativa vigente solo i Magistrati hanno il compito di giudicare gli altri Magistrati. Questa sovrapposizione tra “controllore” e “controllato” rende poco attendibili le valutazioni e favorisce la logica corporativa. Col referendum si vuole estendere anche all’Avvocatura e ai Professori Universitari nei Consigli giudiziari la possibilità di avere voce in capitolo nella valutazione. NO • L’Avvocato componente il Consiglio giudiziario di un qualsiasi distretto e impegnato in un dibattimento processuale nel medesimo distretto territoriale potrebbe generare, anche inconsapevolmente, una soggezione del Giudice che sta giudicando in quel processo e che sa che il suo operato sarà valutato da quell’Avvocato.
  • 25. 5° quesito – scheda verde Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, népossono candidarsi a loro volta”?
  • 26. Contenuto e significato del quesito Viene abrogato l’obbligo, per un Magistrato che voglia essere eletto nel Consiglio Superiore della Magistratura (ilCSM, cioè l’organo di governo dei Magistrati presieduto dal Presidente della Repubblica – art. 104, comma 2, Cost.) ditrovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura. L’attuale obbligo impone a coloro che si vogliano candidare di ottenere il beneplacito delle correnti o, il più delle volte, di essere ad esse iscritti. Con il sì, sitornerebbe allalegge originale del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati in servizio potessero proporsi come membri del CSM presentando semplicemente la propria candidatura.
  • 27. Interferenze del quesito referendario con la Riforma Bonafede-Cartabia in discussione in Parlamento • Il ddl S2595 Bonafede-Cartabia (art. 33) oggi in discussione prevede già la stessa facoltà per i magistrati che volessero candidarsi individualmente (le candidature possono essere individuali o collegate a quelle di altri Magistrati, ma ciascun candidato non può appartenere a più di un gruppo) • Qualora la Riforma dovesse diventare legge già prima del 12 giugno, molto probabilmente questo referendum non si terrà.
  • 28. Le ragioni del SÌ e le ragioni del NO al quinto quesito SÌ • Avremmo votazioni del CSM che mettono al centro il Magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico. • Le correnti dei Magistrati si muovono in un’ottica di promozione del gruppo e non sono certo utili per garantire giustizia ai cittadini. Spesso agiscono con una logica spartitoria e consociativa, cosicché le decisioni sono prese all’unanimità per “pacchetti” concordati tra i capicorrente. NO • L’abrogazione normativa proposta non riesce a perseguire l’obiettivo dichiarato, perché, se è vero che permette al Magistrato che si vuole candidare individualmente di poterlo fare senza ottenere il previo placet dalle correnti della Magistratura, non evita, tuttavia, che i Magistrati saranno eletti in funzione degli accordi intercorsi fra i capicorrente.
  • 29. Grazie! Francesco Pasquali Per quesiti e chiarimenti scrivere a: francesco.pasquali26@libero.it