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la Repubblica
DOMENICA 5 GENNAIO 2014

@

IL GOVERNO ALLA PROVA
POLITICA INTERNA

I4

PER SAPERNE DI PIÙ
www.repubblica.it
www.twitter.com/matteorenzi

LA SEGRETERIA
Alcuni membri della
segreteria. Tra loro, da
sinistra a destra si
riconoscono Luca
Lotti, Matteo Renzi,
Lorenzo Guerini,
Francesco Bonifazi,
Alessia Morani,
Federica Mogherini,
Maria Elena Boschi e
Stefano Bonaccini.
Nella foto sotto,
Davide Faraone

FRANCESCO MERLO
(segue dalla prima pagina)

D

I SICURO c’è un sapore di
complicità commerciale in
quel marchio Eataly esibito
sul pranzo a sacco («packed lunch» lo
chiama Renzi) durante la pausa (anzi il «break») della riunione della segreteria. E c’è la solita protervia del
parvenu della roba Calogero Sedara
nel prendere finalmente possesso
dei palazzi maltrattando gli antichi
proprietari. Qualcuno deve pur dire a
Renzi che ci vuole scienza e umanità
nello scegliersi il grimaldello con cui
sfasciare un vecchio mondo. Così come l’orrendo partito di plastica di
Berlusconi umiliò la grande tradizione del moderatismo italiano, ora il
partito-salsamenteria e la rottamazione, non più dei dinosauri ma dei
dissidenti e dei non plaudenti come
Fassina, sta umiliando la storia della
sinistra italiana. Per essere più chiari:
si capisce che Renzi combatta la vecchia nomenklatura, ma Fassina è
nuovo quanto lui. E forse nell’imprinting e nel marchio d’origine, il
Berlinguer di quello dovrebbe contare almeno quanto il Fonzie di questo.
E non si era mai vista, neppure ad
Arcore, la pubblicità del cibo dell’uomo-marketing, l’amico Oscar Farinetti che sarà pure di sinistra ma è innanzitutto un imprenditore del cibo
che deve vendere anche panini. Sono
più buoni? Facciamo un concorso? Ci
sono mozzarelle che lasciano tra i
denti anche un po’ di etica e sfilacci di
diritti civili? «È un Rinascimento in
salsa tonnata» è stata la folgorante
definizione dello scrittore Tomaso
Montanari, che non è Roberto Gervaso, e non è neppure il povero Fassina,
che ieri si è dimesso.
Siamo in Italia e anche la spocchia
ha la sua tradizione e i suoi precedenti. Ebbene nel «Fassina chi?» si riverbera il supponente «Michele chi?»
che, pronunziato contro Santoro,
negò la stessa evidenza della tv, quella di essere popolare, e ritorna anche
il «Craxi chi?» che costò ad Occhetto
la sconfitta definitiva.
Rischia davvero, il segretario, di
sciupare il cambiamento, sia con gli

Comprensibile che il
segretario voglia farci
dimenticare il sigaro di
Bersani e l’Apparato
Ma rischia il kitsch
sbotti di boria, sia con lo stile. È infatti comprensibile che voglia (e debba)
farci dimenticare il sigaro di Bersani,
dell’uomo solo al comando che si aggrappava a un boccale di birra, e quella odiosa scenografia da apparato,
tempi contingentati, verbali, documenti, emendamenti, dipartimenti,
un potere fatto di asprezze nascoste e
distanze incolmabili. E dobbiamo
pure riconoscergli che è necessario
anche fuggire dal loden di Monti, dalla posa saccente della sobrietà dei
tecnici bagnata dalle lacrime della
Fornero. E ancora c’è l’incubo delle
cene politiche ad Arcore con la regia
del cuoco Michele sino al degrado del
bunga bunga e al quadretto dei fidanzatini di Peynet con il cane Dudù
tra le braccia.
E però la scenografia giovanilistica
di Renzi sta volgendo subito al kitsch,
con quei grandi cartoni di cibo griffato e quel dettaglio di piccola onestà
ostentata: «abbiamo pagato con i nostri soldi», «sono costati solo 17 euro».
E anche il tavolo ingombro di cavetti,
iPhone e computer Mac, più che a
una sessione politica faceva pensare
al tavolo nerd di Wikileaks, un “tu vo’
fa’ l’americano” senza più il risarcimento finale dei maccheroni. E c’è
pure il nome Renzi sul muro, con la R
stilizzata, che aveva già scatenato i
sarcasmi dei militanti (“webnauti”
nel gergo “easy” del nuovo Pd). Sembrano scopiazzature delle scene di
Altman sull’America, dove il presidente-parodia è sempre sponsoriz-

SUL TAVOLO
Sul tavolo della
segreteria del
Partito democratico
sono visibili
alcuni computer,
tra i quali
un “AirMac”. Ma
anche alcuni
smartphone e un
iPad

Il racconto

Spocchia contro i compagni e marketing
così Renzi può sciupare il cambiamento
Dalla bici al panino glamour, i simboli del “politico alla mano”
zato, spinto da interessi privati. Viene in mente lo stemma della casa reale sulla senape Colman’s, sul sale marino Maldon, sullo zucchero Tate &
Lyle, sul te Twinings, sugli impermeabili Barbour. La formula è: By
Appointment to Her Majesty the
Queen. Ha ragione Fassina: Renzi si
autocelebra e si fa del male rendendo
“cool” il panino di Farinetti, anzi «la
filosofia Farinetti» corregge lui. Non
capisce che così scimmietta il Berlusconi che sponsorizzava il risparmio
Mediolanum del suo amico Doris.
Tutto può diventare pubblicità, tranne — ci pareva — la segreteria del Partito democratico. E si sa che si comincia con la mozzarella e si finisce con
la paccottiglia, le penne biro, le calze,
il dentifricio e il piumino Moncler

che, ha detto Renzi, «non è più da paninari» così come il giubbotto a chiodo non è più la divisa del bullo ma l’abito del progressista.
Matteo Renzi va salvato dalla deriva outlet, ma anche dall’abuso di anglicismi da blackberry, i cui ultimi vagiti sono il “job act” e la “civil partnership”. Già ci aveva fatto sorridere la
convocazione delle riunioni alle 7.30
a. m., con tutta quella retorica sul
mattino che ha l’oro in bocca. Erano
questi gli orari andreottiani, tipici dei
padroni delle preferenze, Gaspari,
Gava e tutta la Dc austera che così fregava i gaudenti nottambuli socialisti,
Martelli e De Michelis, i quali andavano a letto quando cominciava la
riunione: «coricati presto e levati di
buon mattino / se vuoi gabbare il tuo

vicino». Del resto anche la retorica
sulla fattività del politico instancabile ha una sua storia in Italia, che ricade su Renzi: dalla luce accesa tutta la
notte nell’ufficio di Palazzo Venezia,
all’Andreotti che riceveva alle cinque
del mattino davanti alla porta della
chiesa, al Berlusconi che faceva leggenda delle notti passate in bianco a
lavorare per poi addormentarsi durante il giorno, e ci sono pure le macchiette come il liberale Costa, che
non era mai “fuori stanza”, sino al
fantuttone Brunetta. Anche la bicicletta, infine, che è un mezzo meraviglioso, sta diventando un vezzo di
nuovismo, la parodia dell’essere alla
mano. Il nuovista pedala, straparla
l’inglese (che in realtà non conosce
abbastanza) e insulta tutti, ma so-

La retorica del politico
instancabile ha una sua
storia in Italia: da
Mussolini a Andreotti e
infine a Berlusconi

Il caso

I democratici stringono la cinghia
niente soldi ai circoli e tagli alla struttura

TESORIERE
Francesco
Bonifazi, Pd,
nuovo tesoriere

FIRENZE — Signori, non c’è un euro. Il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi illustra per la prima volta alla segreteria la situazione finanziaria del partito. E il risultato è che nei prossimi giorni spedirà una lettera a tutti i segretari di circolo sul
territorio per avvertire che nessun trasferimento di risorse
centro-periferia sarà possibile stavolta in occasione delle
elezioni amministrative attese per il 25 maggio. Un messaggio che suona in pratica come un «Arrangiatevi».
Lo stesso segretario Matteo Renzi, annunciando la prossima pubblicazione on line del bilancio finanziario del partito (probabilmente prima della direzione del 16 gennaio),
parla del resto di «situazione arzigogolata». Tanto che il responsabile organizzazione Luca Lotti prepara «una rivoluzione» a costo zero sulla struttura del partito fin qui utilizzata. La presenterà già nella prossima seduta della segreteria:
a quanto pare saranno tagliati di netto dipartimenti e forum.
(m.v.)

IN BICI
In alto, Matteo Renzi arriva in bici
alla segreteria. Al centro, “viveri”
ordinati da Eataly. In basso, i
media a Palazzo Ruspoli

prattutto i galantuomini come Fassina.
Se si escludono qualche timido
tweet di solidarietà (Chiara Geloni), e
l’intervento di Cuperlo, che è stato
suo avversario ed esige «il rispetto
delle persone», solo Matteo Orfini ha
parlato chiaro, semplice e diretto:
«Renzi, sei il segretario del Pd, basta
fare il guascone». Il silenzio degli altri,
tutti renziani entusiasti dall’obbedienza pronta, cieca e assoluta, in un
solo pomeriggio ha invecchiato il
cambiamento. Il conformismo infatti è l’abito più antico del potere, l’ermellino che consacra la regalità provvisoria del vincitore di passaggio.
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È infatti comprensibile che voglia (e debba) farci dimenticare il sigaro di Bersani, dell’uomo solo al comando che si aggrappava a un boccale di birra, e quella odiosa scenografia da apparato, tempi contingentati, verbali, documenti, emendamenti, dipartimenti, un potere fatto di asprezze nascoste e distanze incolmabili. E dobbiamo pure riconoscergli che è necessario anche fuggire dal loden di Monti, dalla posa saccente della sobrietà dei tecnici bagnata dalle lacrime della Fornero. E ancora c’è l’incubo delle cene politiche ad Arcore con la regia del cuoco Michele sino al degrado del bunga bunga e al quadretto dei fidanzatini di Peynet con il cane Dudù tra le braccia. E però la scenografia giovanilistica di Renzi sta volgendo subito al kitsch, con quei grandi cartoni di cibo griffato e quel dettaglio di piccola onestà ostentata: «abbiamo pagato con i nostri soldi», «sono costati solo 17 euro». 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