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Difesa della patria: difesa militare, difesa civile
sent. n. 228 del 2004: “Le normative censurate, in quanto rivolte a disciplinare gli aspetti
organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale, trovano fondamento, anzitutto,
nell'art. 52 della Costituzione (…). A venire in rilievo è, in particolare, la previsione
contenuta nel primo comma dell'art. 52 della Costituzione, che configura la difesa della
Patria come sacro dovere del cittadino, il quale ha una estensione più ampia dell'obbligo
di prestare servizio militare. Come già affermato da questa Corte, infatti, il servizio
militare ha una sua autonomia concettuale e istituzionale rispetto al dovere ex art. 52,
primo comma, della Costituzione, che può essere adempiuto anche attraverso adeguate
attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). In questo contesto
deve leggersi pure la scelta legislativa che, a seguito della sospensione della
obbligatorietà del servizio militare (art. 7 del d.lgs. 8 maggio 2001, n. 215, recante
“Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in
professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 331”),
configura il servizio civile come l'oggetto di una scelta volontaria, che costituisce
adempimento del dovere di solidarietà (art. 2 della Costituzione), nonché di quello di
concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, secondo comma, della
Costituzione). La volontarietà riguarda, infatti, solo la scelta iniziale, in quanto il rapporto
è poi definito da una dettagliata disciplina dei diritti e dei doveri, contenuta in larga parte
nel d.lgs. n. 77 del 2002, che permette di configurare il servizio civile come autonomo
istituto giuridico in cui prevale la dimensione pubblica, oggettiva e organizzativa. D'altra
parte il dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà
espresso nell'art. 2 della Costituzione, le cui virtualità trascendono l'area degli “obblighi
normativamente imposti”, chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di una
autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialità che
caratterizza la persona stessa. In questo contesto, il servizio civile tende a proporsi come
forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria. Il d.lgs.
n. 77 del 2002 significativamente considera il “servizio civile nazionale quale modalità
operativa concorrente ed alternativa alla difesa dello Stato, con mezzi ed attività non
militari” (art. 1, comma 1). In senso contrario non può rilevarsi che la alternatività tra i
servizi sarebbe venuta meno perché entrambi sono ora frutto di una scelta autonoma, ben
potendo essere adempiuto il dovere costituzionale di difesa della Patria anche attraverso
comportamenti di tipo volontario. È proprio nel dovere di difesa della Patria, di cui il
servizio militare e il servizio civile costituiscono forme di adempimento volontario, che i
due servizi trovano la loro matrice unitaria, come dimostrano anche le numerose analogie
con la posizione dei militari in ferma volontaria. La suddetta ricostruzione si riflette sulla
individuazione del titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento statale che, con
specifico riferimento al d.lgs. n. 77 del 2002, può essere rinvenuto nell’art. 117, secondo
comma, lettera d), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato
non solo la materia “forze armate” ma anche la “difesa”. Quest’ultima previsione deve
essere letta alla luce delle evoluzioni normative e giurisprudenziali che già avevano
consentito di ritenere che la “difesa della Patria” non si risolvesse soltanto in attività
finalizzate a contrastare o prevenire una aggressione esterna, potendo comprendere anche
attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). Accanto alla difesa
“militare”, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben dunque collocarsi un’altra
forma di difesa, per così dire, “civile”, che si traduce nella prestazione dei già evocati
comportamenti di impegno sociale non armato. La riserva allo Stato della competenza a
disciplinare il servizio civile nazionale, forma di adempimento del dovere di difesa della
Patria, non comporta però che ogni aspetto dell’attività dei cittadini che svolgono detto
servizio ricada nella competenza statale. Vi rientrano certamente gli aspetti organizzativi
e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di attività che
investono i più diversi ambiti materiali, come l’assistenza sociale, la tutela dell’ambiente,
la protezione civile: attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette
alla disciplina dettata dall’ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla
legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificità
direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per
l’accesso ad esso”.
Difesa della patria: difesa militare, difesa civile (2)
Sent. n. 431 del 2005: “4. Nel merito, occorre premettere che – scrutinando questioni di
legittimità costituzionale promosse dalla Provincia autonoma di Trento ed aventi ad
oggetto disposizioni della legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile
nazionale) e del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile
nazionale a norma dell'art. 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64), qui invocate dal ricorrente
come norme interposte, integrative dei parametri costituzionali che si assumono violati –
questa Corte, con la sentenza n. 228 del 2004, ha affermato che la difesa della Patria
come sacro dovere del cittadino ha una estensione più ampia dell'obbligo di prestare
servizio militare, e che il titolo costituzionale di legittimazione dell'intervento statale
nella disciplina del servizio civile nazionale – inteso «quale modalità operativa
concorrente ed alternativa alla difesa dello Stato, con mezzi ed attività non militari» (così
si esprime l'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 77 del 2002) – può essere rinvenuto
nell'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione, che riserva alla legislazione
esclusiva dello Stato non solo la materia “Forze armate”, ma anche la “difesa”. «Accanto
alla difesa “militare”, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben […] collocarsi
– ha precisato la Corte – un'altra forma di difesa, per così dire, “civile”, che si traduce
nella prestazione» di «comportamenti di impegno sociale non armato». La spettanza allo
Stato della competenza a disciplinare il servizio civile nazionale non comporta che tutti
gli aspetti dell'attività svolta dai giovani in servizio civile ricadano nell'area della potestà
legislativa statale. Secondo la Corte, rientra in tale competenza la disciplina dei profili
organizzativi e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di
attività che toccano i più diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale, la tutela
dell'ambiente, la protezione civile: «attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica,
restano soggette alla disciplina dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se
del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole
specificità direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole
previste per l'accesso ad esso». Inoltre, nell'esercizio delle funzioni amministrative
spettanti agli organi centrali deve essere garantita la partecipazione degli altri livelli di
governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso
adeguati meccanismi di cooperazione. A questo, del resto, provvede lo stesso decreto
legislativo n. 77 del 2002, che attribuisce alla cura delle Regioni e delle Province
autonome, secondo le rispettive competenze, l'attuazione degli interventi di servizio
civile. Infine, la riconduzione degli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile
nazionale alla competenza legislativa statale non preclude alle Regioni e alle Province
autonome «la possibilità di istituire e disciplinare, nell'autonomo esercizio delle proprie
competenze legislative, un proprio servizio civile regionale o provinciale, distinto da
quello nazionale», nell'ottica del perseguimento dell'ampia finalità di realizzazione del
principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione".
Organizzazione unitaria del servizio civile nazionale
Sent. n. 431 del 2005: “L'art. 10, comma 2, della legge n. 64 del 2001 affida allo Stato,
non già l'istruzione e la formazione professionale, ma, in una logica di incentivazione dei
cittadini a prestare il servizio civile e di riconoscimento delle competenze acquisite, la
determinazione degli standard dei crediti formativi spettanti ai soggetti che, ai fini del
compimento di periodi obbligatori di pratica professionale o di specializzazione, aspirano
al conseguimento delle abilitazioni richieste per l'esercizio delle professioni (cfr. sentenza
n. 228 del 2004). In questa prospettiva, l'incentivazione del servizio civile nazionale
attraverso la previsione di crediti formativi per la formazione universitaria e professionale
rientra nell'organizzazione unitaria del servizio civile nazionale, come tale eccedente la
competenza provinciale e di esclusiva spettanza dello Stato. Va pertanto dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, lettera a), della legge della Provincia
autonoma di Bolzano n. 7 del 2004, nella parte in cui demanda ad un regolamento di
esecuzione la disciplina, tra i benefici previsti a favore dei volontari del servizio civile
nazionale, anche dei crediti formativi per la formazione universitaria e professionale”.
Organizzazione unitaria del servizio civile nazionale (2)
Sent. n. 431 del 2005: “L'art. 5 del decreto legislativo n. 77 del 2002 prevede che presso
l'Ufficio nazionale è tenuto l'albo nazionale cui possono iscriversi gli enti e le
organizzazioni in possesso dei requisiti previsti dall'art. 3 della legge n. 64 del 2001 ai
fini della presentazione di progetti per il servizio civile nazionale e che le Regioni e le
Province autonome provvedono all'istituzione di albi su scala regionale o provinciale, nei
quali possono iscriversi gli enti e le organizzazioni in possesso dei medesimi requisiti
svolgenti attività esclusivamente in ambito regionale e provinciale. La norma della legge
provinciale, là dove, con riferimento agli enti che intendono presentare progetti per il
servizio civile nazionale operanti in ambito provinciale, prevede il potere della Provincia
di stabilire, con proprio regolamento, requisiti ai fini dell'iscrizione all'albo, ulteriori
rispetto a quelli fissati dalla legge statale, detta una misura direttamente incidente
sull'organizzazione del servizio civile nazionale e sull'accesso ad esso, e perciò viola la
competenza esclusiva statale in materia, in mancanza di alcun titolo legittimante da parte
dello statuto speciale”.
Il mancato rispetto dell’intesa Stato-Regioni da parte dell’Ufficio nazionale per il servizio
civile
Sent. n. 58 del 2007: “La Regione lamenta la lesione del principio di leale collaborazione
in considerazione del diretto contrasto della parte impugnata della circolare con l'intesa,
sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni in data 26 gennaio 2006, avente ad oggetto
l'attuazione del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del servizio civile
nazionale a norma dell'art. 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64). Nella premessa dell'intesa,
costituente parte integrante della stessa, si afferma che «le Regioni, nell'odierna seduta di
questa conferenza, hanno espresso il loro avviso favorevole al conseguimento dell'intesa
con la richiesta di stralciare il seguente secondo comma dell'articolo 5 del protocollo: “I
soggetti coinvolti nell'attuazione del SNC (Ufficio, Regioni, Province Autonome), non
potendo rivestire contemporaneamente il ruolo di controllori e controllati, non potranno
gestire progetti di SNC”, richiesta che è stata accolta dal Governo». Successivamente,
l'Ufficio nazionale per il servizio civile, ignorando l'accordo raggiunto tra le Regioni e il
Governo, ha inserito nel testo della circolare infine adottato il punto del paragrafo 2
innanzi citato che si pone in contrasto con l'intesa raggiunta. Tale comportamento
concretizza senza dubbio una violazione del principio di leale collaborazione. Questo,
infatti, opera in tutti i casi in cui sussista una connessione tra funzioni attribuite a diversi
livelli di governo costituzionalmente rilevanti e non sia possibile una netta separazione
nell'esercizio delle competenze. Il legislatore, nel disciplinare il servizio civile nazionale,
ha allocato le funzioni amministrative tanto a livello centrale, presso l'Ufficio nazionale
per il servizio civile, quanto a livello regionale (artt. 2, 4, 5 e 6 del decreto legislativo n.
77 del 2002). Le Regioni, dunque, sono direttamente coinvolte nella gestione del servizio
civile nazionale, di qui «l'esigenza di addivenire a forme di esercizio delle funzioni stesse
attraverso le quali siano efficacemente rappresentati tutti gli interessi e le posizioni
costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 308 del 2003). (…)Nel caso in esame, pertanto,
nel dare attuazione al decreto legislativo n. 77 del 2002, era necessario, al fine di
garantire la partecipazione di tutti i livelli di governo coinvolti nella gestione del servizio
civile, adottare «strumenti di leale collaborazione o, comunque, (..) adeguati meccanismi
di cooperazione» (sentenza n 431 del 2005). In effetti tali strumenti si erano concretizzati
nell'intesa stipulata in sede di conferenza Stato-Regioni del 26 gennaio 2006. Intesa che,
così come indicato nel ricorso dalla Regione Valle d'Aosta, prevedeva lo stralcio della
parte contenente il divieto, per le Regioni e le Province autonome, di essere accreditate,
essere sede di attuazione di progetto, essere soggetto di accordi di partenariato, nonché
della parte che impediva alle stesse l'iscrizione agli albi regionali e provinciali o all'albo
nazionale. La reintroduzione di tale divieto, senza l'attivazione di ulteriori meccanismi di
cooperazione necessari per superare l'intesa già raggiunta, determina una lesione del
principio di leale collaborazione. Questa Corte ha più volte precisato che «le intese in
sede di Conferenza Stato-Regioni rappresentano la via maestra per conciliare esigenze
unitarie e governo autonomo del territorio. Ne deriva che il principio di leale
collaborazione che si realizza mediante tali accordi, anche in una accezione minimale,
impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener
fede ad un impegno assunto» (sentenza n. 31 del 2006). Alla luce di tale giurisprudenza,
deve concludersi che la parte impugnata della circolare, essendo in palese contrasto con il
contenuto dell'intesa raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni, è lesiva del principio
costituzionale di leale collaborazione e, per ciò solo, anche delle attribuzioni,
costituzionalmente tutelate, rientranti nell'ambito delle competenze della Regione Valle
d'Aosta”.
Le misure di sicurezza aeroportuale sono di competenza esclusiva statale
Sent. n. 51 del 2008: “9. – La questione di legittimità costituzionale dell'art. 11-duodecies
sollevata dalla Regione Piemonte perchè i decreti che dovranno essere emanati per
stabilire le nuove misure in tema di sicurezza aeroportuale illegittimamente prescindono
da ogni intesa o collaborazione da parte delle regioni, non è fondata. La norma impugnata
rimette a decreti del Ministero dei trasporti, previa istruttoria effettuata dall'Enac, la
definizione delle attività necessarie a garantire la sicurezza aeroportuale relativa al
controllo bagagli e passeggeri, la ripartizione di tali attività fra gestori aeroportuali e
vettori e la determinazione degli importi dovuti all'erario dai concessionari dei servizi di
controllo esistenti in ambito aeroportuale e di quelli posti a carico dell'utenza. Questa
norma attiene alla materia della sicurezza dei passeggeri e degli operatori in ambito
aeroportuale, che ricade nella «sicurezza dello Stato e ordine pubblico» e nella
«protezione dei confini nazionali» e rientra, quindi, nella competenza esclusiva dello
Stato in base all'art. 117, secondo comma, lettere d), h) e q), Cost. Spetta, quindi, allo
Stato, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione ricorrente, di adottare una
disciplina applicativa”.

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La difesa della patria 2

  • 1. Difesa della patria: difesa militare, difesa civile sent. n. 228 del 2004: “Le normative censurate, in quanto rivolte a disciplinare gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale, trovano fondamento, anzitutto, nell'art. 52 della Costituzione (…). A venire in rilievo è, in particolare, la previsione contenuta nel primo comma dell'art. 52 della Costituzione, che configura la difesa della Patria come sacro dovere del cittadino, il quale ha una estensione più ampia dell'obbligo di prestare servizio militare. Come già affermato da questa Corte, infatti, il servizio militare ha una sua autonomia concettuale e istituzionale rispetto al dovere ex art. 52, primo comma, della Costituzione, che può essere adempiuto anche attraverso adeguate attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). In questo contesto deve leggersi pure la scelta legislativa che, a seguito della sospensione della obbligatorietà del servizio militare (art. 7 del d.lgs. 8 maggio 2001, n. 215, recante “Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 331”), configura il servizio civile come l'oggetto di una scelta volontaria, che costituisce adempimento del dovere di solidarietà (art. 2 della Costituzione), nonché di quello di concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione). La volontarietà riguarda, infatti, solo la scelta iniziale, in quanto il rapporto è poi definito da una dettagliata disciplina dei diritti e dei doveri, contenuta in larga parte nel d.lgs. n. 77 del 2002, che permette di configurare il servizio civile come autonomo istituto giuridico in cui prevale la dimensione pubblica, oggettiva e organizzativa. D'altra parte il dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà espresso nell'art. 2 della Costituzione, le cui virtualità trascendono l'area degli “obblighi normativamente imposti”, chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di una autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. In questo contesto, il servizio civile tende a proporsi come forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria. Il d.lgs. n. 77 del 2002 significativamente considera il “servizio civile nazionale quale modalità operativa concorrente ed alternativa alla difesa dello Stato, con mezzi ed attività non militari” (art. 1, comma 1). In senso contrario non può rilevarsi che la alternatività tra i
  • 2. servizi sarebbe venuta meno perché entrambi sono ora frutto di una scelta autonoma, ben potendo essere adempiuto il dovere costituzionale di difesa della Patria anche attraverso comportamenti di tipo volontario. È proprio nel dovere di difesa della Patria, di cui il servizio militare e il servizio civile costituiscono forme di adempimento volontario, che i due servizi trovano la loro matrice unitaria, come dimostrano anche le numerose analogie con la posizione dei militari in ferma volontaria. La suddetta ricostruzione si riflette sulla individuazione del titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento statale che, con specifico riferimento al d.lgs. n. 77 del 2002, può essere rinvenuto nell’art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato non solo la materia “forze armate” ma anche la “difesa”. Quest’ultima previsione deve essere letta alla luce delle evoluzioni normative e giurisprudenziali che già avevano consentito di ritenere che la “difesa della Patria” non si risolvesse soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire una aggressione esterna, potendo comprendere anche attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). Accanto alla difesa “militare”, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben dunque collocarsi un’altra forma di difesa, per così dire, “civile”, che si traduce nella prestazione dei già evocati comportamenti di impegno sociale non armato. La riserva allo Stato della competenza a disciplinare il servizio civile nazionale, forma di adempimento del dovere di difesa della Patria, non comporta però che ogni aspetto dell’attività dei cittadini che svolgono detto servizio ricada nella competenza statale. Vi rientrano certamente gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di attività che investono i più diversi ambiti materiali, come l’assistenza sociale, la tutela dell’ambiente, la protezione civile: attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla disciplina dettata dall’ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificità direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per l’accesso ad esso”. Difesa della patria: difesa militare, difesa civile (2)
  • 3. Sent. n. 431 del 2005: “4. Nel merito, occorre premettere che – scrutinando questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Provincia autonoma di Trento ed aventi ad oggetto disposizioni della legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale) e del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell'art. 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64), qui invocate dal ricorrente come norme interposte, integrative dei parametri costituzionali che si assumono violati – questa Corte, con la sentenza n. 228 del 2004, ha affermato che la difesa della Patria come sacro dovere del cittadino ha una estensione più ampia dell'obbligo di prestare servizio militare, e che il titolo costituzionale di legittimazione dell'intervento statale nella disciplina del servizio civile nazionale – inteso «quale modalità operativa concorrente ed alternativa alla difesa dello Stato, con mezzi ed attività non militari» (così si esprime l'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 77 del 2002) – può essere rinvenuto nell'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato non solo la materia “Forze armate”, ma anche la “difesa”. «Accanto alla difesa “militare”, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben […] collocarsi – ha precisato la Corte – un'altra forma di difesa, per così dire, “civile”, che si traduce nella prestazione» di «comportamenti di impegno sociale non armato». La spettanza allo Stato della competenza a disciplinare il servizio civile nazionale non comporta che tutti gli aspetti dell'attività svolta dai giovani in servizio civile ricadano nell'area della potestà legislativa statale. Secondo la Corte, rientra in tale competenza la disciplina dei profili organizzativi e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di attività che toccano i più diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale, la tutela dell'ambiente, la protezione civile: «attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla disciplina dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificità direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per l'accesso ad esso». Inoltre, nell'esercizio delle funzioni amministrative spettanti agli organi centrali deve essere garantita la partecipazione degli altri livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione. A questo, del resto, provvede lo stesso decreto legislativo n. 77 del 2002, che attribuisce alla cura delle Regioni e delle Province
  • 4. autonome, secondo le rispettive competenze, l'attuazione degli interventi di servizio civile. Infine, la riconduzione degli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale alla competenza legislativa statale non preclude alle Regioni e alle Province autonome «la possibilità di istituire e disciplinare, nell'autonomo esercizio delle proprie competenze legislative, un proprio servizio civile regionale o provinciale, distinto da quello nazionale», nell'ottica del perseguimento dell'ampia finalità di realizzazione del principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione". Organizzazione unitaria del servizio civile nazionale Sent. n. 431 del 2005: “L'art. 10, comma 2, della legge n. 64 del 2001 affida allo Stato, non già l'istruzione e la formazione professionale, ma, in una logica di incentivazione dei cittadini a prestare il servizio civile e di riconoscimento delle competenze acquisite, la determinazione degli standard dei crediti formativi spettanti ai soggetti che, ai fini del compimento di periodi obbligatori di pratica professionale o di specializzazione, aspirano al conseguimento delle abilitazioni richieste per l'esercizio delle professioni (cfr. sentenza n. 228 del 2004). In questa prospettiva, l'incentivazione del servizio civile nazionale attraverso la previsione di crediti formativi per la formazione universitaria e professionale rientra nell'organizzazione unitaria del servizio civile nazionale, come tale eccedente la competenza provinciale e di esclusiva spettanza dello Stato. Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 7 del 2004, nella parte in cui demanda ad un regolamento di esecuzione la disciplina, tra i benefici previsti a favore dei volontari del servizio civile nazionale, anche dei crediti formativi per la formazione universitaria e professionale”. Organizzazione unitaria del servizio civile nazionale (2) Sent. n. 431 del 2005: “L'art. 5 del decreto legislativo n. 77 del 2002 prevede che presso l'Ufficio nazionale è tenuto l'albo nazionale cui possono iscriversi gli enti e le organizzazioni in possesso dei requisiti previsti dall'art. 3 della legge n. 64 del 2001 ai fini della presentazione di progetti per il servizio civile nazionale e che le Regioni e le
  • 5. Province autonome provvedono all'istituzione di albi su scala regionale o provinciale, nei quali possono iscriversi gli enti e le organizzazioni in possesso dei medesimi requisiti svolgenti attività esclusivamente in ambito regionale e provinciale. La norma della legge provinciale, là dove, con riferimento agli enti che intendono presentare progetti per il servizio civile nazionale operanti in ambito provinciale, prevede il potere della Provincia di stabilire, con proprio regolamento, requisiti ai fini dell'iscrizione all'albo, ulteriori rispetto a quelli fissati dalla legge statale, detta una misura direttamente incidente sull'organizzazione del servizio civile nazionale e sull'accesso ad esso, e perciò viola la competenza esclusiva statale in materia, in mancanza di alcun titolo legittimante da parte dello statuto speciale”. Il mancato rispetto dell’intesa Stato-Regioni da parte dell’Ufficio nazionale per il servizio civile Sent. n. 58 del 2007: “La Regione lamenta la lesione del principio di leale collaborazione in considerazione del diretto contrasto della parte impugnata della circolare con l'intesa, sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni in data 26 gennaio 2006, avente ad oggetto l'attuazione del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del servizio civile nazionale a norma dell'art. 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64). Nella premessa dell'intesa, costituente parte integrante della stessa, si afferma che «le Regioni, nell'odierna seduta di questa conferenza, hanno espresso il loro avviso favorevole al conseguimento dell'intesa con la richiesta di stralciare il seguente secondo comma dell'articolo 5 del protocollo: “I soggetti coinvolti nell'attuazione del SNC (Ufficio, Regioni, Province Autonome), non potendo rivestire contemporaneamente il ruolo di controllori e controllati, non potranno gestire progetti di SNC”, richiesta che è stata accolta dal Governo». Successivamente, l'Ufficio nazionale per il servizio civile, ignorando l'accordo raggiunto tra le Regioni e il Governo, ha inserito nel testo della circolare infine adottato il punto del paragrafo 2 innanzi citato che si pone in contrasto con l'intesa raggiunta. Tale comportamento concretizza senza dubbio una violazione del principio di leale collaborazione. Questo, infatti, opera in tutti i casi in cui sussista una connessione tra funzioni attribuite a diversi livelli di governo costituzionalmente rilevanti e non sia possibile una netta separazione nell'esercizio delle competenze. Il legislatore, nel disciplinare il servizio civile nazionale,
  • 6. ha allocato le funzioni amministrative tanto a livello centrale, presso l'Ufficio nazionale per il servizio civile, quanto a livello regionale (artt. 2, 4, 5 e 6 del decreto legislativo n. 77 del 2002). Le Regioni, dunque, sono direttamente coinvolte nella gestione del servizio civile nazionale, di qui «l'esigenza di addivenire a forme di esercizio delle funzioni stesse attraverso le quali siano efficacemente rappresentati tutti gli interessi e le posizioni costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 308 del 2003). (…)Nel caso in esame, pertanto, nel dare attuazione al decreto legislativo n. 77 del 2002, era necessario, al fine di garantire la partecipazione di tutti i livelli di governo coinvolti nella gestione del servizio civile, adottare «strumenti di leale collaborazione o, comunque, (..) adeguati meccanismi di cooperazione» (sentenza n 431 del 2005). In effetti tali strumenti si erano concretizzati nell'intesa stipulata in sede di conferenza Stato-Regioni del 26 gennaio 2006. Intesa che, così come indicato nel ricorso dalla Regione Valle d'Aosta, prevedeva lo stralcio della parte contenente il divieto, per le Regioni e le Province autonome, di essere accreditate, essere sede di attuazione di progetto, essere soggetto di accordi di partenariato, nonché della parte che impediva alle stesse l'iscrizione agli albi regionali e provinciali o all'albo nazionale. La reintroduzione di tale divieto, senza l'attivazione di ulteriori meccanismi di cooperazione necessari per superare l'intesa già raggiunta, determina una lesione del principio di leale collaborazione. Questa Corte ha più volte precisato che «le intese in sede di Conferenza Stato-Regioni rappresentano la via maestra per conciliare esigenze unitarie e governo autonomo del territorio. Ne deriva che il principio di leale collaborazione che si realizza mediante tali accordi, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (sentenza n. 31 del 2006). Alla luce di tale giurisprudenza, deve concludersi che la parte impugnata della circolare, essendo in palese contrasto con il contenuto dell'intesa raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni, è lesiva del principio costituzionale di leale collaborazione e, per ciò solo, anche delle attribuzioni, costituzionalmente tutelate, rientranti nell'ambito delle competenze della Regione Valle d'Aosta”. Le misure di sicurezza aeroportuale sono di competenza esclusiva statale
  • 7. Sent. n. 51 del 2008: “9. – La questione di legittimità costituzionale dell'art. 11-duodecies sollevata dalla Regione Piemonte perchè i decreti che dovranno essere emanati per stabilire le nuove misure in tema di sicurezza aeroportuale illegittimamente prescindono da ogni intesa o collaborazione da parte delle regioni, non è fondata. La norma impugnata rimette a decreti del Ministero dei trasporti, previa istruttoria effettuata dall'Enac, la definizione delle attività necessarie a garantire la sicurezza aeroportuale relativa al controllo bagagli e passeggeri, la ripartizione di tali attività fra gestori aeroportuali e vettori e la determinazione degli importi dovuti all'erario dai concessionari dei servizi di controllo esistenti in ambito aeroportuale e di quelli posti a carico dell'utenza. Questa norma attiene alla materia della sicurezza dei passeggeri e degli operatori in ambito aeroportuale, che ricade nella «sicurezza dello Stato e ordine pubblico» e nella «protezione dei confini nazionali» e rientra, quindi, nella competenza esclusiva dello Stato in base all'art. 117, secondo comma, lettere d), h) e q), Cost. Spetta, quindi, allo Stato, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione ricorrente, di adottare una disciplina applicativa”.