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Shendhal ,  Vie de Henry Brulard , Garnier, Paris, 1953 « ... Amavo tanto più la matematica quanto più disprezzavo i miei insegnanti, i signori Dupuy e Chabert. Malgrado la grandiloquenza e cortesia, la soave e solenne aria che il signor Dupuy assumeva quando parlava a qualcuno, avevo abbastanza acume da intuire che egli era infinitamente più ignorante del signor Chabert. Il signor Chabert, che nella gerarchia sociale della borghesia di Grenoble stava così sotto il signor Dupuy, qualche volta nelle mattine di domenica o giovedl prendeva un volume di Eulero o ... e risolutamente affrontava le difficoltà. «Egli aveva ciò nonostante sempre l'aria d'un farmacista che sa la buona ricetta, ma niente mostrava come queste ricette nascano le une dalle altre, nessuna logica, nessuna filosofia in quella testa; per non so quale meccanismo d'educazione di vanità, forse per religione il buon M. Chabert dimenticava persino il nome di queste cose.
«Il mio entusiasmo per la matematica può aver avuto come sua base principale la mia ripugnanza per l'ipocrisia [...]. Dal mio punto di vista, l'ipocrisia era impossibile in matematica e, nella mia semplicità giovanile, pensavo che doveva essere così in tutte le scienze a cui, come mi era stato detto, era applicata. Che stupore per me scoprire che nessuno poteva spiegarmi come accadeva che: meno moltiplicato meno fa più ( –    – = + )! (Questa è una delle tesi fondamentali per la scienza nota come  algebra ). «Non solo nessuno mi spiegava questa difficoltà (ed è sicuramente spiegabile perché conduce a verità), ma, ciò che era peggio, essi la spiegavano su ragioni che erano evidentemente lontane dall'esser chiare a loro stessi. Il signor Chabert, quando lo incalzavo, diventava confuso, ripetendo la sua lezione, proprio quella lezione contro la quale avevo sollevato le mie obiezioni, ed infine sembrava dirmi “ Ma è l'usanza; ognuno accetta questa spiegazione. Eulero e Lagrange, che presumibilmente erano bravi quanto voi, l'hanno accettata! ”»
La Storia?
La regola dei segni in Pacioli Nella  Summa  (1494, c. 111 v°), Luca Pacioli dà una preziosa testimonianza delle discussioni sul prodotto di due numeri negativi, e  cioè del fatto che quel prodotto è un numero positivo: «La qual cosa benché absurda videatur non dimanco qui la intendo provar esser vera». La “dimostrazione” della regola dei segni si fa mediante riduzione all'assurdo dell'ipotesi contraria, cioè che il prodotto possa essere negativo. Infatti, chiede Pacioli rivolgendosi ad un ipotetico interlocutore, « quero a te quello che tu voli che facia m via m, poi che non fa più per te converrà che tu dica facia men o veramente tanto, cioè né p né m ». Lo schema argomentativo parte dalla moltiplicazione (10 – 2)  (10 – 2) = 64. Procedendo “per modo di crocetta”, quel prodotto è intanto: 100 – 2  2  10) = 60 e  resta da calcolare  il prodotto (–2)  (–2). Se, come vorrebbe l'ipotetico interlocutore, quel prodotto si valuta – 4 o solo –2 (“cioè tanto”, nel senso che non aggiunge né toglie più del suo valore), allora il risultato del primo membro sarebbe o  56  o  58 , mentre se si valuta  +4 , si avrà il valore esatto  64 . « Adonca – conclude Pacioli – el tuo ditto è falso e impossibile. E per conseguente el nostro remane vero, cioè che m via m fa più ».
Di Diofanto, della regola dei segni e altro Diofanto è un matematico greco autore di una famosa  Aritmetica , di cui esiste una versione in francese a cura di Paul Ver Eecke da cui apprendiamo la regola dei segni (Libro I, p. 7): « Ciò che è mancante [negativo] moltiplicato per ciò che è mancante dà ciò che esiste [positivo]; mentre ciò che è mancante moltiplicato per ciò che esiste dà ciò che è mancante, e il tratto distintivo di ciò che è mancante è un    incompleto  rovesciato   ». Ma questo è un contributo minore, a fronte di una raccolta di problemi da cui origina anche l'ultimo “ Teorema di Fermat ”. Si tratta del famoso problema n. 8 del  Libro II . [Nel manoscritto di Madrid dell' Aritmetica  (risalente al XIII sec.), in margine al problema si legge questa annotazione: “ Che la tua anima, Diofanto, vada all'inferno, per la difficoltà dei tuoi teoremi, e soprattutto di questo ”]: Dividere un quadrato dato in due quadrati { x 2  + y 2  = a 2 }
Dividere un quadrato dato in due quadrati Sia 16 il quadrato dato e lo si voglia dividere in due quadrati. Si ponga il primo  x 2  {un quadrato d' aritme } e l'altro  16 –  x 2 , che dovrà essere un quadrato. Si prenda il quadrato di un qualsiasi multiplo di  x  diminuito di tante unità quante ne contiene la radice di 16 {cioè 4}; sia 2 x  – 4, il cui quadrato è: 4 x 2  +16 – 16 x . Si ponga allora: 16 –  x 2  = 4 x 2  + 16 – 16 x , cioè {“aggiungendo ai due membri le quantità negative e togliendo i termini simili”}:  5 x 2  = 16 x e dunque x  = 16/5 . Sarà dunque uno dei quadrati 256/25, l'altro 144/25, la somma dei quali è 400/25 (cioè 16) e ciascuno è un quadrato. Dal procedimento diofanteo si risale facilmente alle formule generali di risoluzione in interi positivi dell'equazione pitagorica:  x 2  +  y 2  =  z 2 . Basta porre:  y  = m x  – z; allora:  y 2  = m 2 x 2  + z 2  – 2m xz , e dovrà essere y 2  = m 2 x 2  + z 2  – 2m xz  =  z 2  –  x 2 Cioè (m 2  + 1) x 2  = 2m xz ossia (m 2  + 1) x  = 2m z da cui:  x = 2mz / (m 2 +1)  e  y = (m 2 -1)z / (m 2 +1) . È banale osservare che la soluzione di Diofanto la si ottiene per  m = 2  e  z = 4 .
Se nella soluzione precedente x  = 2mz / (m 2 +1)  e  y  = (m 2 -1) z  / (m 2 +1) si pone m = a/b (a > b e a, b primi tra loro) si ottiene: x  = 2ab z  / (a 2  + b 2 ),  y  = (a 2  – b 2 ) z  / (a 2  + b 2 ) Basterà, in queste, assumere  z  = a 2  + b 2 , per avere soluzioni intere positive: x  = 2ab, y  = a 2  – b 2 , z  = a 2  + b 2 . Si vede subito che queste formule danno tutte le soluzioni intere positive e primitive dell'equazione  x 2  +  y 2  =  z 2  e ciascuna una sola volta (salvo lo scambio di  x  con  y ), quando si assumano  a ,  b  di parità diversa (oltre che coprimi e a > b).
Il Signor de Fermat ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
Il   dilemma del prigioniero è un gioco a informazione completa proposto negli anni ‘50 da Albert Tucker come problema di Teoria dei giochi. Oltre a essere stato approfonditamente studiato in questo contesto, il “ dilemma ” è anche piuttosto noto al pubblico non tecnico come esempio di paradosso. Il dilemma, anche se usa l'esempio dei due prigionieri per spiegare il fenomeno, in realtà descrive la corsa agli armamenti negli anni '50 da parte di USA e URSS (i due prigionieri) durante la cosiddetta  Guerra Fredda . Il dilemma può essere descritto come segue. Due criminali vengono accusati con prove indi- ziarie di aver compiuto una rapina. Gli investi- gatori li arrestano entrambi con l’accusa di favoreg- giamento e li chiudono in due celle diverse impe- dendo loro di comunicare. A ognuno di loro vengono date due scelte:  confessare l'accaduto , oppure  non confessare . Viene inoltre spiegato loro che:
a) se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena; l'altro viene però condannato a 7 anni di carcere. b) se entrambi confessano, vengono entrambi condannati a 6 anni. c) se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno. Questo gioco può essere descritto con la seguente matrice: Non è difficile scoprire che il punto di equilibrio è, controintuitivamente, ( confessa ,  confessa ). Il motivo è che per ognuno dei due lo scopo è minimizzare la propria condanna; e ogni prigioniero Confessando rischia o  0  oppure  6 anni Non confessando rischia o  1  oppure  7 anni (1,1) (7,0) nconf. (0,7) (6,6) conf. nconf. conf. ...
Il   dilemma del prigioniero Il paradosso che consegue da questa conclusione sta nel fatto che anche l'altro prigioniero, trovandosi nella stessa situazione, farà lo stesso ragionamento; con un risultato complessivo che non è ottimale per nessuno dei due (6 anni di carcere a testa). Se pensiamo agli Stati Uniti e all'URSS come ai due prigionieri e alla confessione come l'armamento con l'atomica (ovviamente per contro la non confessione come il non armamento), il dilemma descrive come per le due nazioni fosse inevitabile al tempo della Guerra Fredda la corsa agli armamenti, benché questo risultato finale fosse non ottimale per nessuna delle due superpotenze (e per l'intero mondo).

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  • 1. Shendhal , Vie de Henry Brulard , Garnier, Paris, 1953 « ... Amavo tanto più la matematica quanto più disprezzavo i miei insegnanti, i signori Dupuy e Chabert. Malgrado la grandiloquenza e cortesia, la soave e solenne aria che il signor Dupuy assumeva quando parlava a qualcuno, avevo abbastanza acume da intuire che egli era infinitamente più ignorante del signor Chabert. Il signor Chabert, che nella gerarchia sociale della borghesia di Grenoble stava così sotto il signor Dupuy, qualche volta nelle mattine di domenica o giovedl prendeva un volume di Eulero o ... e risolutamente affrontava le difficoltà. «Egli aveva ciò nonostante sempre l'aria d'un farmacista che sa la buona ricetta, ma niente mostrava come queste ricette nascano le une dalle altre, nessuna logica, nessuna filosofia in quella testa; per non so quale meccanismo d'educazione di vanità, forse per religione il buon M. Chabert dimenticava persino il nome di queste cose.
  • 2. «Il mio entusiasmo per la matematica può aver avuto come sua base principale la mia ripugnanza per l'ipocrisia [...]. Dal mio punto di vista, l'ipocrisia era impossibile in matematica e, nella mia semplicità giovanile, pensavo che doveva essere così in tutte le scienze a cui, come mi era stato detto, era applicata. Che stupore per me scoprire che nessuno poteva spiegarmi come accadeva che: meno moltiplicato meno fa più ( –  – = + )! (Questa è una delle tesi fondamentali per la scienza nota come algebra ). «Non solo nessuno mi spiegava questa difficoltà (ed è sicuramente spiegabile perché conduce a verità), ma, ciò che era peggio, essi la spiegavano su ragioni che erano evidentemente lontane dall'esser chiare a loro stessi. Il signor Chabert, quando lo incalzavo, diventava confuso, ripetendo la sua lezione, proprio quella lezione contro la quale avevo sollevato le mie obiezioni, ed infine sembrava dirmi “ Ma è l'usanza; ognuno accetta questa spiegazione. Eulero e Lagrange, che presumibilmente erano bravi quanto voi, l'hanno accettata! ”»
  • 4. La regola dei segni in Pacioli Nella Summa (1494, c. 111 v°), Luca Pacioli dà una preziosa testimonianza delle discussioni sul prodotto di due numeri negativi, e cioè del fatto che quel prodotto è un numero positivo: «La qual cosa benché absurda videatur non dimanco qui la intendo provar esser vera». La “dimostrazione” della regola dei segni si fa mediante riduzione all'assurdo dell'ipotesi contraria, cioè che il prodotto possa essere negativo. Infatti, chiede Pacioli rivolgendosi ad un ipotetico interlocutore, « quero a te quello che tu voli che facia m via m, poi che non fa più per te converrà che tu dica facia men o veramente tanto, cioè né p né m ». Lo schema argomentativo parte dalla moltiplicazione (10 – 2)  (10 – 2) = 64. Procedendo “per modo di crocetta”, quel prodotto è intanto: 100 – 2  2  10) = 60 e resta da calcolare il prodotto (–2)  (–2). Se, come vorrebbe l'ipotetico interlocutore, quel prodotto si valuta – 4 o solo –2 (“cioè tanto”, nel senso che non aggiunge né toglie più del suo valore), allora il risultato del primo membro sarebbe o 56 o 58 , mentre se si valuta +4 , si avrà il valore esatto 64 . « Adonca – conclude Pacioli – el tuo ditto è falso e impossibile. E per conseguente el nostro remane vero, cioè che m via m fa più ».
  • 5. Di Diofanto, della regola dei segni e altro Diofanto è un matematico greco autore di una famosa Aritmetica , di cui esiste una versione in francese a cura di Paul Ver Eecke da cui apprendiamo la regola dei segni (Libro I, p. 7): « Ciò che è mancante [negativo] moltiplicato per ciò che è mancante dà ciò che esiste [positivo]; mentre ciò che è mancante moltiplicato per ciò che esiste dà ciò che è mancante, e il tratto distintivo di ciò che è mancante è un  incompleto rovesciato  ». Ma questo è un contributo minore, a fronte di una raccolta di problemi da cui origina anche l'ultimo “ Teorema di Fermat ”. Si tratta del famoso problema n. 8 del Libro II . [Nel manoscritto di Madrid dell' Aritmetica (risalente al XIII sec.), in margine al problema si legge questa annotazione: “ Che la tua anima, Diofanto, vada all'inferno, per la difficoltà dei tuoi teoremi, e soprattutto di questo ”]: Dividere un quadrato dato in due quadrati { x 2 + y 2 = a 2 }
  • 6. Dividere un quadrato dato in due quadrati Sia 16 il quadrato dato e lo si voglia dividere in due quadrati. Si ponga il primo x 2 {un quadrato d' aritme } e l'altro 16 – x 2 , che dovrà essere un quadrato. Si prenda il quadrato di un qualsiasi multiplo di x diminuito di tante unità quante ne contiene la radice di 16 {cioè 4}; sia 2 x – 4, il cui quadrato è: 4 x 2 +16 – 16 x . Si ponga allora: 16 – x 2 = 4 x 2 + 16 – 16 x , cioè {“aggiungendo ai due membri le quantità negative e togliendo i termini simili”}: 5 x 2 = 16 x e dunque x = 16/5 . Sarà dunque uno dei quadrati 256/25, l'altro 144/25, la somma dei quali è 400/25 (cioè 16) e ciascuno è un quadrato. Dal procedimento diofanteo si risale facilmente alle formule generali di risoluzione in interi positivi dell'equazione pitagorica: x 2 + y 2 = z 2 . Basta porre: y = m x – z; allora: y 2 = m 2 x 2 + z 2 – 2m xz , e dovrà essere y 2 = m 2 x 2 + z 2 – 2m xz = z 2 – x 2 Cioè (m 2 + 1) x 2 = 2m xz ossia (m 2 + 1) x = 2m z da cui: x = 2mz / (m 2 +1) e y = (m 2 -1)z / (m 2 +1) . È banale osservare che la soluzione di Diofanto la si ottiene per m = 2 e z = 4 .
  • 7. Se nella soluzione precedente x = 2mz / (m 2 +1) e y = (m 2 -1) z / (m 2 +1) si pone m = a/b (a > b e a, b primi tra loro) si ottiene: x = 2ab z / (a 2 + b 2 ), y = (a 2 – b 2 ) z / (a 2 + b 2 ) Basterà, in queste, assumere z = a 2 + b 2 , per avere soluzioni intere positive: x = 2ab, y = a 2 – b 2 , z = a 2 + b 2 . Si vede subito che queste formule danno tutte le soluzioni intere positive e primitive dell'equazione x 2 + y 2 = z 2 e ciascuna una sola volta (salvo lo scambio di x con y ), quando si assumano a , b di parità diversa (oltre che coprimi e a > b).
  • 8.
  • 9. Il dilemma del prigioniero è un gioco a informazione completa proposto negli anni ‘50 da Albert Tucker come problema di Teoria dei giochi. Oltre a essere stato approfonditamente studiato in questo contesto, il “ dilemma ” è anche piuttosto noto al pubblico non tecnico come esempio di paradosso. Il dilemma, anche se usa l'esempio dei due prigionieri per spiegare il fenomeno, in realtà descrive la corsa agli armamenti negli anni '50 da parte di USA e URSS (i due prigionieri) durante la cosiddetta Guerra Fredda . Il dilemma può essere descritto come segue. Due criminali vengono accusati con prove indi- ziarie di aver compiuto una rapina. Gli investi- gatori li arrestano entrambi con l’accusa di favoreg- giamento e li chiudono in due celle diverse impe- dendo loro di comunicare. A ognuno di loro vengono date due scelte: confessare l'accaduto , oppure non confessare . Viene inoltre spiegato loro che:
  • 10. a) se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena; l'altro viene però condannato a 7 anni di carcere. b) se entrambi confessano, vengono entrambi condannati a 6 anni. c) se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno. Questo gioco può essere descritto con la seguente matrice: Non è difficile scoprire che il punto di equilibrio è, controintuitivamente, ( confessa , confessa ). Il motivo è che per ognuno dei due lo scopo è minimizzare la propria condanna; e ogni prigioniero Confessando rischia o 0 oppure 6 anni Non confessando rischia o 1 oppure 7 anni (1,1) (7,0) nconf. (0,7) (6,6) conf. nconf. conf. ...
  • 11. Il dilemma del prigioniero Il paradosso che consegue da questa conclusione sta nel fatto che anche l'altro prigioniero, trovandosi nella stessa situazione, farà lo stesso ragionamento; con un risultato complessivo che non è ottimale per nessuno dei due (6 anni di carcere a testa). Se pensiamo agli Stati Uniti e all'URSS come ai due prigionieri e alla confessione come l'armamento con l'atomica (ovviamente per contro la non confessione come il non armamento), il dilemma descrive come per le due nazioni fosse inevitabile al tempo della Guerra Fredda la corsa agli armamenti, benché questo risultato finale fosse non ottimale per nessuna delle due superpotenze (e per l'intero mondo).