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TESINA DI STORIA MODERNA I - LM
Appunti su Urbino
Per una storia del carnevale (1460 – 1631)
Docente: Ciappelli Giovanni
Studente: Aluigi Matteo
Anno accademico 2011/2012
1
Indice
Introduzione ..................................................................................... 2
Montefeltro ..................................................................................... 3
Federico da Montefeltro (1444 – 1482) .......................................................... 3
Guidubaldo da Montefeltro (1482 – 1508) ...................................................... 5
Una piccola parentesi: il Cortegiano .............................................................. 10
Della Rovere ................................................................................... 11
Francesco Maria I Della Rovere (1508 – 1538) .............................................. 11
Guidubaldo II Della Rovere (1538 – 1574) ..................................................... 14
Francesco Maria II Della Rovere (1574 – 1631) & conclusioni ....................... 15
Bibliografia...................................................................................... 18
2
Introduzione
Pietro Bembo, scrivendo il 20 marzo 1504 da Venezia ad Emilia Pia, «rimpiange di non essere stato [per
quell’anno] alle feste di carnevale della corte di Urbino il cui splendore era conosciuto in tutta Italia»:1
«il vostro Centuaro ci ha fatto, per sue lettere, partecipe delle feste che eravate per aver questo
carnassale per grazia del nostro M. Vincenzo Calmeta;2
che ci hanno ripieni d’invidia».3
Da questa lettera si può desumere che, al principio del XVI secolo, in Urbino – o, perlomeno, alla corte dei
Duchi d’Urbino –, il carnevale fosse celebrato con delle “feste” tali da rendere “ripieni d’invidia” quanti non
potessero prendervi parte. Allo scopo di far luce su questo tema, e di verificare se lo «splendore […]
conosciuto in tutta Italia» fosse solo quello della corte di Urbino o anche quello delle sue “feste di
carnevale”, viene votato il presente lavoro. Quest’ultimo ha dunque per oggetto le feste di carnevale alla
corte d’Urbino. Il periodo preso in esame, spaziando dalla seconda metà del Quattrocento fino verso la fine
del Cinquecento, ricopre quasi l’intero Rinascimento – apparentemente, in maniera alquanto ambiziosa –;
quest’ampiezza d’analisi storica merita fin da subito due precisazioni, le quali consentono di chiarire la
natura stessa del lavoro.
Innanzitutto, «la ricognizione [della festa] e dello spettacolo quattrocentesco [e, per certi versi,
cinquecentesco] incontra, […] in Urbino, difficoltà di ordine pratico e di indirizzo metodologico. La scomparsa
di quasi ogni traccia di vestigia materiali, la dispersione delle fonti documentarie e la scarsa funzionalità che
esse presentano, si oppongono all’indagine e riducono le possibilità che essa venga condotta con l’ampiezza
di particolari che è consentita per altri aspetti della cultura del XV [e del XVI] secolo».4
Pertanto, in questo
elaborato, si è preferito mantenere il più largo possibile l’arco degli anni presi in considerazione per le feste
di carnevale, estendendolo sino a comprendere l’intero periodo rinascimentale;5
e lo si è fatto proprio per
1
F. BATTISTELLI, Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino: dalle origini ad oggi, Marsilio, Venezia 1986, V.
Cultura e letteratura nei centri maggiori e minori tra Rinascimento e Barocco, p. 339.
2
Vincenzo Calmeta è uno «scrittore di commedie […]; poeta e prosatore mediocre, ma tenuto in gran conto dai
contemporanei, […] fu accolto alla corte d’Urbino con grandi onori, [quantomeno per il carnevale del 1504,] e il
Castiglione lo fa intervenire nei dialoghi del Cortegiano, che figurano svolgersi nel 1507» (G. L. SCARAVAGLIO,
Rappresentazioni drammatiche alla corte dei Montefeltro (1488-1513), in «Rivista italiana del Dramma», IV (1940), II,
n. 6, p. 318).
3
P. BEMBO, Lettere, 4 voll., a cura di E. Travi, Commissione per i testi di lingua, Bologna 1987-1993, vol. I, Lettera
(183) del 20 marzo 1504, pp. 170-1.
4
E. G. ZORZI, Festa e spettacolo a corte, in «Federico di Montefeltro: lo Stato, le arti, la cultura», 3 voll., a cura di G.
C. Baiardi, G. Chittolini e P. Floriani, Bulzoni, Roma 1986, vol. I, p. 301.
5
In altri termini, si è tentato di mantenere la ricerca aperta all’intero periodo storico in cui è effettivamente
esistito il Ducato d’Urbino, pur consci che lavorare “a largo raggio cronologico” potrebbe essere in alcuni casi
fuorviante, se non pure inutile (cfr. G. CIAPPELLI, Carnevale e quaresima: comportamenti sociali e cultura a Firenze nel
Rinascimento, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1997, p. 12). A titolo di chiarificazione (e come prima
giustificazione delle date che costituiscono gli estremi cronologici del presente lavoro) ripercorriamo per sommi capi la
nascita e la capitolazione del Ducato. Una contea di Urbino è presente già a partire dal 1213 quando, «inalzato
Federico [II Hohenstaufen] alla dignità imperiale, de’ servigi a lui e al padre prestati volle premiare Buonconte e
Taddeo [da Montefeltro]; e perciò concesse loro in feudo Urbino col suo contado» (F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi
d’Urbino, 2 voll., Grazzini, Giannini & C., Firenze 1859, vol. I, Libro primo, p. 20). Poi, nel 1443 «Oddantonio [da
Montefeltro] fu creato duca da Eugenio IV» (ibid., vol. I, Libro quarto, p. 277) e «nel 1444, in seguito all’uccisione di
Oddantonio, […] Federico diviene duca di Montefeltro» (P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino nel Rinascimento, in
«Biblioteca teatrale», 15/16 (1976), p. 249). Proprio «Federico da Montefeltro (1422-1482) aveva unito [– per primo,
all’interno del Ducato neo-nascente –] alle gesta militari il patronato artistico e specificamente musicale per
conseguire il rango e l’eccellenza di cui andò famoso» (F. PIPERNO, Cultura e usi della musica alla corte di Guidubaldo II
Della Rovere, in «I Della Rovere nell’Italia delle corti», 4 voll., QuattroVenti, Urbino 2002, vol. III, p. 25). Tutte queste
tradizioni (militari, artistiche, musicali) si perpetuarono poi attraverso il figlio Guidubaldo e, per alcuni aspetti,
attraverso la famiglia dei Della Rovere, duchi d’Urbino a seguito dei Montefeltro, finché il Ducato non fu devoluto nel
1631 «per patto espresso […] alla santa sede», allo Stato Pontificio (cfr. F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II,
Libro quindicesimo, pp. 446-505).
3
rifuggire tali difficoltà, per il timore di non essere in grado o di non riuscire ad articolare un lavoro storico su
Urbino, se focalizzato esclusivamente sul “particolare” (in assenza di “ampiezza di particolari”), e non certo
per ambizione. Ciò comporta che gli eventi legati al carnevale, che si sono potuti riscontrare, non vengano
elencati in modo definitorio o approfonditi in maniera sistematica; per inciso, si tratta, in questa sede, di
fornire niente di più che appunti. Appunti generali per una storia del carnevale alla corte di Urbino. Appunti
che spaziano dal momento in cui si può parlare, per l’appunto, di una corte di Urbino (almeno dal 1444 con
Federico da Montefeltro) al momento in cui ciò non è più possibile (cioè dal 1631, dopo l’estinzione del
Ducato d’Urbino alla morte di Francesco Maria II Della Rovere).
In secondo luogo, l’altra precisazione consiste nel fatto che seguire il tema attraverso un periodo
piuttosto lungo, quale quello fissato, potrebbe «consentire di cogliere evoluzioni e scansioni non percepibili
[nel caso in cui venga perso] il senso della diacronia e [venga visto] tutto come immobile».6
Così, il presente
lavoro, abbracciando un lasso di tempo tanto ampio, potrà lanciare nel suo piccolo – seppure brevemente ed
esclusivamente in via d’ipotesi – alcuni spunti in merito ad “evoluzioni e scansioni” relative alle feste di
carnevale alla corte urbinate. Per esempio, anche con l’aiuto del Cortegiano di Baldassare Castiglione, si
possono tentare di scorgere e generalizzare, per il caso di Urbino, alcune delle caratteristiche che assumono
e, poi, mantengono o perdono tali feste di corte. Si tratta di un’operazione legittima se è vero che il
carnevale medievale (il quale «sembra nascere […], come fenomeno urbano con autonome caratteristiche
celebrative, fra l’VIII secolo e il 1140»)7
subì delle profonde trasformazioni a partire dalla prima età moderna,
già da quando iniziò a diffondersi «la spinta delle nuove idee umanistiche [che] avrebbe inevitabilmente
trasformato la tradizione delle feste dell’Europa medievale».8
Eppure queste generalizzazioni sono formulate
pur sempre solo su di appunti; perciò la loro validità non deve essere considerata più stabile e consistente di
quanto lo sia la loro base.
Non essendo concepibile al di fuori di questi opportuni chiarimenti, il lavoro che segue si articola
passando in rassegna alcune feste di carnevale, suddividendole a seconda della famiglia (Montefeltro o Della
Rovere) e del Duca che governava, nel periodo in cui queste ebbero luogo.
Montefeltro
FEDERICO DA MONTEFELTRO (1444 – 1482)
«Rispetto al fervore degli altri centri italiani, Urbino, arroccata sul crinale binato del suo colle, è, nel 1444,
all’atto del passaggio del potere al giovane fratello di Oddantonio, una città vuota. E in questo sta il senso del
miracolo operato da Federico: di aver trasformato il borgo solitario e periferico […] nella serena capitale di
uno Stato».9
Infatti «alla corte di Federico di Montefeltro, e nei centri principali del suo dominio, molte e
frequenti [saranno] le occasioni a tripudi popolari, ad auliche feste suntuose. Fidanzamenti e sponsali di
principi e di principesse, nascite illustri, visite e passaggi di Signori e di alti personaggi gli avevano dato largo
campo così di esercitare quella graziosa e munifica ospitalità ond’egli andava meritatamente famoso fra gli
altri principi della penisola, come di accattivarsi sempre più la simpatia e l’affetto dei sudditi con lo
spettacolo attraente di pompe e di magnificenze».10
Ora, «di tali feste [suntuose], nella scarsità del materiale
6
G. CIAPPELLI, Carnevale e quaresima cit., p. 13.
7
Ibid., pp. 44-5.
8
R. STRONG, Arte e potere: le feste del Rinascimento 1450-1650, Il Saggiatore, Milano 1987, p. 71.
9
E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 305.
10
A. SAVIOTTI, Una rappresentazione allegorica in Urbino nel 1474, in «Atti e memorie della R. Accademia Petrarca
di Scienze, Lettere ed Arti in Arezzo», n.s., I (1920), p. 194. In questo saggio, Saviotti descrive in particolare una «festa
scenica mitologica fatta alla corte d’Urbino in onore del principe Federigo d’Aragona» (ibid., p. 197), il quale staziona
qui, dopo essere partito da Napoli il 26 ottobre del 1474, diretto verso la Borgogna «al cui potente signore, Carlo il
Temerario, il Re di Napoli [Ferdinando d’Aragona] chiedeva pel figlio secondogenito [Federigo] la mano della
principessa Maria, unica erede del ducato» (ibid., p. 188). Tale “festa scenica mitologica”, Amore al tribunale della
pudicizia, viene considerata come «la più antica delle feste teatrali urbinati di cui ci resti il ricordo» (ibid., p. 187).
4
cronistico urbinate, non ci restano ricordi molto precisi e minute notizie».11
Eppure, dato che «il carnevale
doveva essere per le corti il momento più fervido, dal punto di vista culturale oltre che mondano»,12
proviamo in ogni caso a riportare le uniche due menzioni relative alle feste carnevalesche che siamo riusciti a
rintracciare.
«Fasto e magnificenza avevano adornato […] le feste nuziali di Battista, allorché […] andò in sposa a
Federico. Si sa che nel novembre del 1459 «foro facti gran triumfi» a Pesaro, la sua città, indi nel febbraio ad
Urbino, quando il marito la raggiunse e i festeggiamenti si unirono agli svaghi del carnevale».13
La menzione
del carnevale è qui lapidaria; nessuna descrizione aggiuntiva dei “festeggiamenti”. Cerchiamo di trarre
almeno una considerazione, relativamente al nostro tema, da questa notizia. Nel 1459 «aveva il duca di
Milano [Francesco Sforza] desiderato di dargli per moglie [a Federico] Battista sua Nipote primogenita
d’Alessandro [fratello di Francesco e signore di Pesaro]. […] Perciò il mese di Novembre […], Federigo
trasferitosi a Pesaro, con infinita soddisfazione di quella Città, e di tutti i suoi sudditi sposolla; e poco dopo la
condusse ad Urbino: con la quale però non consumò il matrimonio fino a’ diece del mese di febrajo l’anno
seguente […]».14
Ora, il «diece del mese di Febrajo» del 1460 cade in pieno carnevale;15
ciò, però, non ci
consente di fare alcun tipo di collegamento tra l’enfasi posta sul carnevale come periodo d’attività sessuale
particolarmente intensa e lo spostamento dell’atto di consumare il matrimonio da parte di Federico.
Piuttosto, alcune fonti additano, come motivo di questo rinvio, «la tenera età di Battista», «la quale non
aveva allora che tredici anni».16
Altre, invece, fanno riferimento ad alcuni compiti che Federico avrebbe
dovuto adempiere nel 1459, quali il siglare una pace al cospetto di papa Pio II con il signore di Rimini,
Sigismondo Pandolfo Malatesta, a seguito di alcuni conflitti per «terre e castella».17
In questo caso, allora,
Sembra implicito nel saggio che questa “festa scenica” possa essere considerata una sorta di “modello” per le feste
teatrali che vennero realizzate in seguito. A livello formale, ciò potrebbe riguardare anche il carnevale; ma la
questione rimane aperta almeno a livello contenutistico, essendo un encomio all’«amore onesto [che] “fiorisce infra
virtù sempre leggiadre”», di contro alla «lussuria [che] è “varco a tutti i vizii” (ibid., p. 204, corsivo nostro). Il carnevale,
invece, sembra avere tra i suoi temi principali “il sesso” ed essere «un periodo [licenzioso,] di attività sessuale
particolarmente intensa» (P. BURKE, Cultura popolare nell’Europa moderna, Mondadori, Milano 1980, pp. 181-2).
Almeno nella cultura popolare, l’esaltazione dell’“amore onesto” nel periodo di carnevale non sembra un tema
particolarmente in voga. Che questa particolare forma di “amore”, che s’insinua qui in una rappresentazione scenica
di carattere profano, sia il frutto di un’idea umanistica che si faceva spazio pian piano nelle corti, se non, per riflesso,
tra il popolo? In tale sede, ci arrestiamo al porci la domanda; qualsiasi tentativo di risponderla scadrebbe solo in
arbitrarie supposizioni.
11
Ibidem.
12
P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 263.
13
E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 313.
14
B. BALDI, Vita e fatti di Federigo di Montefeltro, 3 voll., Salvioni, Roma 1824, vol. II, Libro quarto, pp. 67-8.
15
A. CAPPELLI, Cronologia: cronografia e calendario perpetuo, Hoepli, Milano 1998, p. 80. Il carnevale del 1460 si
chiude con il “mercoledì delle ceneri” il 26 febbraio.
16
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. I, Libro quinto, p. 387.
17
B. BALDI, Vita e fatti di Federigo cit., vol. II, Libro quarto, pp. 66 e 68-9. Nel 1459 sono già trascorsi ben cinque
anni dalla pace di Lodi del 1454, che si ritiene assicurò stabilità all’intera penisola italiana; eppure, alla luce di tale
vicenda, sembrerebbe ancora un tempo in cui «dovunque […] le discordie […] travagliavano i sudditi pontificii» (F.
UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. I, Libro quinto, p. 389). Tant’è che il pontefice Pio II, «giunto dunque in
Mantova, diede principio al Concilio, nel quale deplorò le miserie della cristianità: pianse la perdita dell’Imperio Greco,
e d’altri Regni, e Provincie soggiogate dall’armi Ottomane; detestò le discordie del Cristianesimo, cagioni
evidentissime della ruina nostra, e dell’esaltazione di quel Barbaro; e finalmente esortò tutti alla concordia, all’unione,
ed alla pace. Furono [poi] accolti i suoi detti con applauso generale […] ma non seguiti con prontezza […], perciò che
lasciato da parte il ragionare de’ Turchi si diedero gli Ambasciadori, ed i Principi a trattare que’ negozi, che a questo, o
a quell’altro di loro privatamente importavano» (B. BALDI, Vita e fatti di Federigo cit., vol. II, Libro quarto, p. 64). Qui si
stabilirono anche gli accordi di pace tra il signore di Rimini ed il signore di Urbino e, in seguito, «piacque poi al
Pontefice, facendone grande instanza il Duca di Milano, che in segno di perfetta riconciliazione Federigo e Gismondo
s’abboccassero insieme. […] Dopo questo il Pontefice si partì da Mantova per rimediare ad alcune discordie, e
5
l’unica illazione possibile è che il carnevale sia festeggiato in qualche modo in Urbino e che, forse, il Duca e la
nuova Duchessa rendono partecipe il popolo ai propri festeggiamenti e, al contempo, si uniscono ad esso per
quelli legati al carnevale.18
D’altronde non si tratterebbe di un’idea alquanto azzardata, considerando quanto
siano connesse in maniera del tutto diretta la vita del popolo e quella dei Duchi a quest’altezza storica, come
s’evince dalla nascita del primogenito maschio di Federico e Battista, Guidubaldo:
«In nomine domini, in l’anno 1472 a dì 24 genaro […] naque al mio illustrissimo signore de la
mia illustrissima madonna Batista Sforza uno figliolo maschio […]. Naque in cetà de Ugubio.
Foro facte grande feste et fo facta demustratione per la comunità et pur tucti cetadini de
grande alegreze. Duraro le feste di cetadini più dì, che omne dì festeggiava uno quartiere in
palazo del comune et in piaza. Da poi el signore conte [cioè, Federico, nonostante l’appellativo
di conte] fece festegiare omne dì in piaza per fine el martedì de carnovale, che fo a dì XIJ de
febraio. El signore conte fecie anche fare più procesione et grande elemosine [….]».19
GUIDUBALDO DA MONTEFELTRO (1482 – 1508)
Morto Federico nel 1482, «l’antica e magnanima stirpe di Montefeltro si ritrovò in gravissimo pericolo;
perché i tempi grossi si avvicinavano per Italia, ed egli lasciava lo stato nelle mani di un fanciullo appena
decenne».20
Tuttavia la giovane età di questo “fanciullo”, Guidubaldo, non gli impedì nel 1485 «di fare atto
di ossequio col nuovo pontefice [Innocenzo VIII], chiedendo la solita investitura del suo Stato, della quale
aveva bisogno per la morte del padre, e che facilmente ottenne».21
Nonostante l’importanza della carica
ricevuta, «giunto il principio dell’anno 1487», ritroviamo Guidubaldo «con la gioventù […] intento agli spassi
del Carnevale».22
Eppure non si trattava affatto di un signore incapace di regnare e facile a comportamenti
sedizioni cittadinesche, le quali perturbavano la Toscana, l’Umbria e la Marca. […] Giunto in Siena, ove si fermò quasi
un anno, sopì, ed acquetò le sedizioni, che tre anni addietro l’avevano malamente trattata. Nella qual Città, mentre si
tratteneva, parve a Federigo di tornar di nuovo a visitarlo. Onde partito da Urbino a’ quattordici di Febrajo, quattro
giorni, dopo aver consumato il Matrimonio con la moglie, giuntovi, fu benignamente veduto […], ed ottenuta la
benedizione, tornò a fare il residuo del Carnevale con la novella Sposa in Urbino. Ma non fu molto lunga la sua quiete
richiamandolo a nuove fatiche gli strepiti, che già si facevano maggiori nel Regno di Napoli» (B. BALDI, Vita e fatti di
Federigo cit., vol. II, Libro quarto, pp. 68-9).
18
È possibile infatti che il carnevale fosse «una festa di tutti: a Ferrara [ad esempio], sul finire del Quattrocento, il
Duca si univa al divertimento generale, girando mascherato per le strade ed entrando nelle case dei privati per
danzare con le dame; a Firenze, Lorenzo de’ Medici e Niccolò Machiavelli prendevano parte al carnevale» (P. BURKE,
Cultura popolare cit., Mondadori, Milano 1980, p. 28).
19
SER GUERRIERO DA GUBBIO, Cronoca di Ser Guerriero da Gubbio dall’anno MCCCL all’anno MCCCCLXXII, a cura di G.
Mazzatinti, Lapi, Città di Castello (PG) 1902, p. 89.
20
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro ottavo, p. 41. I “tempi grossi”, probabilmente, è detto in
riferimento al cinquantennio 1494–1554, nel corso del quale si combatterono le Guerre d’Italia, le quali furono la
«rivelazione di quanto più potente e attuale fosse il modello delle ‘nuove’ monarchie rispetto alle altre formazioni
statuali» (F. BENIGNO, L’età moderna: dalla scoperta dell’America alla Restaurazione, Laterza (Manuali di base [31]),
Roma-Bari 2011, p. 16).
21
Ibid., vol. II, Libro ottavo, p. 47.
22
B. BALDI, Della vita e de’ fatti di Guidubaldo I da Montefeltro: duca d’Urbino, 2 voll., Silvestri, Milano 1821, vol. I,
Libro secondo, p. 78. Tra l’altro viene sottolineato che, in questo periodo, «nacquero alcune controversie tra il
comune d’Urbino e quello di Fano. Pretendevano i fanesi che gli urbinati, possessori de’ beni stabili nel distretto loro,
fossero per antica ed immemorabile usanza tenuti a pagar alcune tasse, e perciò si dolevano, che da certi anni
addietro avessero cessato di pagarle, e al presente cessassero, querelandosi eziandio del Duca, quasi che non
osservasse loro alcuni capitoli antichi, cioè che al loro Comune fossero pagate le pene da quei sudditi ducali che
venivano condannati dei danni dati e maleficj commessi nel distretto di Fano» (ibidem, corsivo nostro). Ora, non
possiamo formulare troppe ipotesi azzardate, in assenza di analisi diretta dei documenti – nonostante ad alcune fonti
si potrebbe risalire, in quanto viene riferito che, in occasione di tale vicenda, il Papa, «con Agostino Staccoli, suo
ambasciatore in Roma, si versò in lamenti e minacce contro [Guidubaldo I], e mandò in corte d’Urbino brevi
fulminanti, scrivendogli una lettera, dei 26 luglio 1488, che si rappaciasse con quel popolo (F. UGOLINI, Storia dei conti e
6
puerili: «nulla aveva pretermesso Federico affinché il piccolo Guidobaldo avesse un’educazione quale a
principe si conveniva; e già si vedevano manifesti segni, che al buon seme rispondevano buoni frutti; e che il
discepolo avrebbe accresciuta la fama già grande del precettore [padovano] Ludovico Odasio».23
Non a caso
Urbino fu resa grande in epoca rinascimentale anche grazie alla cultura ed al mecenatismo (patronage) di
Guidubaldo; è grazie a lui che «appaiono in Urbino, mescolate, le più varie culture di quest’epoca di
transizione: i modelli del mondo cortese medievale e le tradizioni classiche, bibliche, astrologiche,
mitologiche, ricercate dal mondo rinascimentale».24
In tale frangente storico, considerando i “modelli del
mondo cortese” e le “tradizioni” auliche ai quali sembrano interessarsi i duchi, non era tanto la festa
popolare con la sua riottosità ad imporsi ma era, piuttosto, un’«atmosfera [allo stesso tempo] umanistica e
festaiola [quella dominante alla] corte d’Urbino».25
Sulla scorta di tali constatazioni è possibile sostenere,
allora, che «a Urbino, nell’età successiva a Federico, dominata, intorno alla figura del figlio Guidubaldo, dalla
presenza di Emilia Pia [moglie del fratello di Guidubaldo, Antonio da Montefeltro] e [della Duchessa, moglie
di Guidubaldo,] Elisabetta Gonzaga (cui si aggiungevano le frequenti visite della cognata Isabella d’Este), lo
spettacolo cercava una dimensione più intima, uno spazio, che in parallelo alle feste e alle cerimonie ufficiali,
offrisse a una cerchia più ristretta una misura, se non familiare, almeno privata. Possedevano questo
carattere le feste organizzate per i carnevali».26
Così, già «descrivendo i festeggiamenti che furono fatti in Urbino nel febbraio del 1488 per celebrare le
nozze di Elisabetta Gonzaga con Guidubaldo da Montefeltro, Benedetto Capilupo, che aveva accompagnato
da Mantova la sposa alla sua nuova famiglia, con l’incarico di tenere minutamente e giorno per giorno
informati i suoi signori del vario succedersi delle feste e degli avvenimenti, scriveva fra l’altro [che le feste
toccarono il loro apice] “el mercori (13 febbraio) [quando] si fece una bellissima rappresentazione”.27
La
“bellissima rappresentazione”, in mancanza di riscontri specifici, può essere considerata come parte di una
festa privata, ristretta ai signori del Palazzo Ducale. Se così fosse, in pieno periodo di carnevale, si
registrerebbe una festa che raggiunge il suo acme nella forma di un divertimento privato e non popolare.
Senza lasciarci traviare da tale constatazione, riportiamo alcune annotazioni del fedele segretario di
Elisabetta, Benedetto Capilupo, e di uno degli storici dei Montefeltro, Bernardino Baldi:
«El sabato che fu a dì nove (febbraio)»28
c’è l’entrata di Elisabetta in Urbino dove «furono […]
eretti archi, statue, fatte preparazioni di fuochi con vari artificj, preparate con larga spesa
commedie, spettacoli pubblici».29
Poi «per quello zorno essendo tutti stanchi non si fece
duchi cit., vol. II, Libro ottavo, p. 59). Eppure rimane la tentazione di vedere una qualche correlazione tra il carnevale
come “festa di aggressione, distruzione e dissacrazione” (P. BURKE, Cultura popolare cit., p. 182) e quei «danni dati e
maleficj commessi nel distretto di Fano», perché accaduti proprio in quel periodo.
23
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro ottavo, pp. 41-2.
24
P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 255. In un articolo, nel quale Cecil Clough cerca di rintracciare il rapporto
tra le corti italiane e l’Inghilterra, al fine di pesare «the influence of the Italian Renaissance on England», sostiene che
«duke Guidobaldo had little to spare for artistic patronage but his Court was claimed in Castiglione's Courtier as that
preeminent in Italy for its culture, and, in consequence, accepted as such in Elizabethan England» (C. H. Clough, The
relations between the English and Urbino courts (1474-1508), in «Studies in the Renaissance, vol. 14 (1967) p. 203).
25
G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 310.
26
E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 326-7. Si presti attenzione, però, al fatto che definire questa “misura, se non
familiare, almeno privata” che iniziarono ad assumere le feste di corte, comprese le feste di carnevale, è
un’operazione complessa. Infatti «è anche notabile ciò che scrive lo stesso Bembo: che, cioè, in quella corte tutto
facevasi in pubblico; e il duca era tanto amato e riverito dal suo popolo, che questi non istimava lui nato dalla famiglia
di Montefeltro, ma nato nella famiglia propria; e in ciò si mostrava figlio degnissimo di Federico» (F. UGOLINI, Storia dei
conti e duchi cit., vol. II, Libro nono, p. 150). Il punto è particolarmente delicato; la questione privato/pubblico, festa di
corte “disciplinata”/festa di popolo “licenziosa” non può essere di certo risolta in tale sede, ove ci si limita ad
evidenziare il carattere di alcuni carnevali, semmai solo abbozzando conclusioni in via ipotetica o semplici pareri.
27
A. SAVIOTTI, Una rappresentazione allegorica cit., p. 206. La Pasqua dell’anno bisestile 1488 cade il 6 aprile, “le
ceneri” sono mercoledì 20 febbraio e, quindi, giovedì 14 febbraio, nel quale si protrae la festa che segue la
“rappresentazione” di “mercori (13 febbraio)”, è proprio giovedì grasso (cfr. A. CAPPELLI, Cronologia cit., p. 66).
28
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino: Isabella d’Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle
vicende politiche, Roux & C., Torino 1893, p. 18.
29
B. BALDI, Della vita e de’ fatti di Guidubaldo cit., vol. I, Libro terzo, p. 101.
7
altro».30
Il pranzo nuziale previsto per la domenica «fu differito a lunedì et se ballò solamente
nel salotto et le donne urbinate tocarno la mane alla ill.ma M.a Duchessa».
31
Lunedì vi fu la
cerimonia e, ritornati a Palazzo, ci fu il pranzo che «furono tri pasti inserti in uno solo […]. El
marte non si fece altro che balare et lo Ill.mo S. Duca fece tri suoi gentilhomini cavalleri, et la
notte circa le III hore trette la cirandola che haveano posta nanti la porta de la corte, la quale
per pocho spacio che durò fu bella et bene ordinata. El mercori si fece una bellissima
rappresentazione de più significati […]».32
Con «rime elegantissime» si dibatte circa «quale
fusse miglior vita o la matrimoniale o la verginale», per poi notare «che se ognuno servasse
verginità mancharia la generatione humana et saria contra la institutione divina: crescite et
multiplicamini, ecc... et per consequiens mancharia la verginità, et allegando molti pericoli de la
fragilità nostra concluse più secura et laudabile essere la vita matrimoniale. […] Fornita la
rapresentatione fu portata la colactione de zuccharo lavorato con gran magisterio in diverse
cose. […] Poi per ultima cosa fu portata una nave de ligno grande con trezia dentro ne la quale
erano tri homini che mostravino navigare e con le sesole [cioè, con le palette] butavino per la
sala el confetto […]. Zobia se ballò et uno che bramava d’essere cavalere de la gatta ebe la
gratia, perché se conzignò una gatta ligata a traverso a un asse suso uno tribunaletto fatto a
posta: et con la testa rasa l’amazò non sanza suo danno, perché fu molto ben da li denti et
zanche suoe martirizato […]. Dopo questo un altro homo andò sopra una corda tirata da uno
capo a l’altro de la sala alto quanto puotè andare, et attacato ad essa hor con le mani, hora con
li piedi fece de mirabili atti, che a tutti noi a guardarlo in servitio suo facea paura».33
Balli sontuosi, lauti pasti, rappresentazioni, giochi (come «il cruento esercizio di ammazzare una gatta con
il capo raso, diffuso nelle corti italiane del tempo»34
o come le esibizioni acrobatiche); tutta una serie di
elementi che vengono alla luce in occasione di un matrimonio, è vero, ma di un matrimonio celebrato in
perfetta sincronia con il periodo di carnevale. Pertanto, si tratta di elementi che potrebbero caratterizzare il
carnevale stesso; un carnevale, però, che non sarebbe tanto “popolare”, in quanto le feste si consumano
nella “sala” (e non nella piazza), nel “Palazzo” (e non in città) o, al massimo, “nanti la porta della corte” (e
non per le vie). La questione rimane tuttavia controversa perché, di fatto, i festeggiamenti del popolo, in
parte, coinvolgono e s’intrecciano con la vita di corte. Per esempio, si volga per un attimo lo sguardo alla
corte di Mantova:
«Le nozze di Francesco Gonzaga con Isabella d’Este furono celebrate a Ferrara il 12 febbraio
1490 […]. La sposa […] fu [poi] accompagnata a Mantova e […] grandiose furono le accoglienze e
le feste [del popolo, dunque?]: rappresentazioni, concerti, pranzi e danze, che durarono fino
all’ultima notte di Carnevale. [...] Tra i più cospicui [forestieri, accorsi a Mantova per
l’occasione,] figuravano il Duca e la Duchessa d’Urbino».35
Il tema rimane complesso. Per facilitare la nostra analisi, accantoniamo le commistioni tra popolo e corte
focalizzando la nostra attenzione esclusivamente sulle feste di quest’ultima durante il periodo di carnevale.
Va detto che, in merito alla festa (o spettacolo) di corte, c’è chi ha sostenuto la necessità di compiere una
distinzione, per «non continuare a confondere sotto [questa] comune etichetta […] due ‘generi’ in realtà
notevolmente diversi: lo spettacolo ufficiale [tendenzialmente pubblico], rivolto alle cerimonie di
rappresentanza politica, e la festa di intrattenimento [tendenzialmente privata], anch’essa di matrice cortese
ma avente lo scopo di divertimento e di passatempo».36
Stando a tale definizione, nello “spettacolo ufficiale”
30
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 19.
31
Ibid., p. 20.
32
Ibid., pp. 20-1.
33
Ibid., pp. 22-4.
34
E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 325.
35
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 51.
36
E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 308.
8
rientrerebbero «il banchetto di accoglienza (che includeva la rappresentazione di azioni mimiche, recitate,
danzate), la giostra e talvolta la messinscena di un soggetto devoto». Diversamente invece, elementi
caratteristici dello “spettacolo di intrattenimento”, della “festa privata”, sarebbero «la declamazione di brevi
componimenti, di farse in versi, di egloghe e di pastorali, spettacoli dei quali in certa misura si conoscono i
testi. Facevano parte degli stessi intrattenimenti [per esempio] le veglie di cui Il Cortegiano del Castiglione
costituisce la relazione più ampia». In questo senso (e solo in questo senso), possiamo allora definire – come
vedremo – il carnevale alla corte di Urbino durante il periodo di Guidubaldo (o, meglio, durante l’ultimo
periodo del ducato di Guidubaldo) come “festa privata”. Eviteremmo così le difficoltà dell’intreccio
popolo/corte e, allo stesso tempo, quello tra spettacoli di corte dai risvolti pubblici (come le feste
matrimoniali durante il carnevale) e spettacoli di corte dal carattere più privato (come le rappresentazioni di
commedie durante il carnevale). Ma questo al prezzo di definire il carnevale “festa privata”, appunto; al
prezzo di chiudere il carnevale di corte in un microcosmo, in un Palazzo, quando sappiamo che questo si
sviluppò in passato come «maggiore festa popolare dell’anno», nelle «strade principali e [nelle] piazze [che]
si trasformano in palcoscenico» per l’evento.37
Relativamente ad una questione tanto grande, non è dato
pronunciarci, almeno per ora; lasciamo spazio e voce, piuttosto, al modo in cui vennero vissuti alcuni
carnevali alla corte di Guidubaldo.
È un luogo comune che Guidubaldo fosse impotente;38
di conseguenza, «asseriscono gli storici che a
distrarre la giovane e sfortunata sposa, [il Duca] ordinasse caccie, feste e spettacoli».39
Tra queste attività, al
principio del XVI secolo, figura pure il carnevale, il quale, quantomeno, doveva essere un momento di
richiamo per personalità eminenti.40
Viene ad esempio creata (perché non si sa se fondata o meno) «la
37
P. BURKE, Cultura popolare cit., p. 178.
38
Cfr. A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 34.
39
Ibid., p. 36. In queste occasioni, in teoria, «lo secondavano i popoli» (ibidem). Tuttavia il sostegno nelle fonti è
alquanto generale:
«Con grandissimo diletto della Duchessa [non smettevano] i popoli, a gara l’uno dell’altro, di
somministrar [ai duchi] que’ trattenimenti che potevano, e particolarmente que’ giuochi, ne’ quali, e per
natura e per uso, si sentivano di valere. Perciocché molte città vediamo noi compiacersi per invecchiata
consuetudine d’alcuni esercizi e giuochi particolari […]. I luoghi del Lazio non possono ancor dimenticarsi
delle antiche lotte. Firenze ama il giuoco del Calcio faticoso e pericoloso, e tuttavia con gran concorso
esercitato da’ nobili. Pisa con vera imagine di non vera battaglia, divisa dall’Arno in due parti contrarie di
fazione, combatte con grande ardore, e quasi che nel giuoco non dà giuoco, il suo Ponte. Quelli
d’Agobbio hanno per trastullo il provocarsi con le pugna, e coll’offender sé medesimi, far piacere, e
porger diletto a chi li mira […]. Gli Urbinati anch’essi hanno un giuoco quasi che proprio loro, non
indegno certamente d’esser annoverato fra’ nobili e militari, e chiamasi l’Aita, ed esercitasi nelle stagioni
più calde [probabilmente non per carnevale, dunque], in un luogo in Corte, fatto costruire
artificiosamente e con grandissima spesa da Federigo, a guisa di anfiteatro o di arena, e dicesi
Mercatale, dall’uso a cui ordinariamente serve. Quivi dunque la gioventù, divisa in due parti, e vestita
con vesti che s’accostano al nudo, sfidandosi scambievolmente gli avversari al corso, ed aiutandosi (e ciò
dà il nome al giuoco) i compagni fra loro, ne risulta una dilettevolissima guerra, la vittoria di cui si rimane
a quella parte che degli avversari, correndo, fece numero de’ prigioni maggiore, e si guadagnano premj,
che da’ Principi a’ vincitori sogliono liberalmente proporsi. Con questi dunque ed altri giuochi, sì come è
detto si sforzavano i popoli di tenere allegra la novella Duchessa» (B. Baldi, Della vita e de’ fatti di
Guidubaldo cit., vol. I, Libro terzo, pp. 105-6).
Gli stessi Luzio e Reiner riferiscono che potrebbe «darsi che codesti scrittori abbiano voluto vedere troppo
addentro nelle intenzioni del Duca», perché diversamente si spiegano tanto questi “giuochi” quanto le “cacce, feste e
spettacoli” di cui si occupò Guidubaldo (A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 37).
40
A differenza del periodo di Quaresima. Si pensi ad Elisabetta Gonzaga che, venuta a conoscenza che la cognata
Isabella d’Este voleva compiere «un pellegrinaggio a Loreto» nel 1494 e stazionare in Urbino, le raccomandò di non
passare, mandandole incontro un messo, «il quale le disse che in un paese montagnoso come Urbino non avrebbe
9
notizia che nel 1501 il carnevale di Urbino doveva essere particolarmente sontuoso per la presenza di Cesare
Borgia, occasione in cui avrebbe conosciuto [una] dama [della corte di Elisabetta, in seguito rapita]. In ogni
caso la Bellonci non dice quali furono i divertimenti offerti al Valentino».41
Ancora: il 18 gennaio 1502 passa
da Urbino la sorella di Cesare Borgia, la quale qui «rimase [fino] al 19 a riposarsi e godersi le feste che i duchi
di Urbino le avevano preparato»; ma delle feste non sappiamo granché.42
Tutt’altro carattere ebbe invece «il carnevale del 1504 [che] fu particolarmente gaio»:43
«tra molte feste,
si ritrassero anche in una curiosa rappresentazione storica i fatti capitali che si erano maturati in due anni».44
Infatti, dal giugno 1502 fino all’agosto 1503, il Ducato d’Urbino era stato preso a tradimento da Cesare
Borgia, il quale, con la protezione del padre Alessandro VI (1492-1503), aveva tentato di costruire in
Romagna e nelle Marche un dominio personale.45
Così nel carnevale del 1504 «si sperimentavano ‘generi’
rappresentativi già più vicini al teatro moderno, come [la] rievocazione storica […] dei fatti del duca
Valentino (un ‘genere’ che, avendo a soggetto eventi di attualità, era diffuso nei trattamenti scenici delle
corti) [e] una “commedia” di Vincenzo Calmeta».46
Ed ancora, per quanto riguarda la sperimentazione di
“‘generi’ rappresentativi”: nel 1506, «volendo trattenere con qualche dilettevole invenzione quella
fioritissima corte, [Castiglione] compose e recitò […] la celebre egloga intitolata “il Tirsi”», nella quale «sotto
il pastoral velo fu fatta menzione della S. Duchessa», e «fu fatta recitare ad un carnevale con la più bella
moresca che sin allora fosse mai stata fatta».47
Sulla scorta di queste constatazioni, sappiamo che, a partire da questo momento, «usava Guidubaldo di
adunare la sera nella fredda stagione, la quale in Urbino è più lunga che altrove [e, con tutta probabilità,
comprendeva persino l’intero periodo di carnevale], tutte quelle gentildonne e que’ cavalieri che stavano
presso di lui; e in queste conversazioni si facevano giuochi, non futili come i nostri, ma che esercitavano e
aguzzavano lo spirito».48
Anche se il ducato di Guidubaldo non avrebbe durato ancora a lungo – giacché
«tormentato dalla gotta, si spegneva di soli 35 anni nella primavera del 1508» –,49
probabilmente fu in tale
contesto che iniziò davvero a spiccare e a consolidarsi pian piano il carattere del carnevale come “festa
privata”: «per il carnevale [ora] venivano scritti appositamente versi, madrigali, se non commedie. Umanisti
e letterati dovevano essere sempre presenti alla corte di Urbino, come appare dal Libro del Cortigiano, ed
anche dalle lettere che si trovano a Mantova con notizie di scambio, tra le corti, di tali celebrità.50
A questo
punto vale la pena soffermarci, per quanto brevemente sull’opera di Castiglione.
potuto essere convenientemente onorata in quaresima, per mancanza di pesce» (A. LUZIO – R. REINER, Mantova e
Urbino cit., pp. 72-3).
41
P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., pp. 263-4.
42
Ibidem.
43
G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 317.
44
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 152-3.
45
Cfr. B. BALDI, Della vita e de’ fatti di Guidubaldo cit., vol. I, Libro sesto, pp. 207-265 e F. UGOLINI, Storia dei conti e
duchi cit., vol. II, Libro nono, pp. 87-163.
46
E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 327.
47
G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 318.
48
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro nono, p. 161.
49
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 182.
50
P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 263. A titolo di emblematico si consideri il carnevale del 1507 alla corte di
Urbino, nel quale ritroviamo il Bembo a recitare delle rime (ibid., p. 266), «sotto la maschera di ambasciatore di
Venere che gli celava il volto» (E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 329), per poi rammaricarsi della loro qualità e del
contesto in cui saranno fruite, nel caso non fosse “carnevalesco”, perché le ha «tessute con frezzoloso subbio questi dì
piacevoli, che per antica usanza si donano alla licenza e alle feste» (P. BEMBO, Lettere, op. cit., vol. I, Lettera (254) del
22 febbraio 1507, pp. 248-9).
10
UNA PICCOLA PARENTESI: IL CORTEGIANO
Baldassare Castiglione, nobile della provincia di Mantova, nel 1504 si trasferì, su sua richiesta, alla corte
dei duchi d’Urbino, ove fu impegnato come diplomatico da Guidubaldo e dal suo successore, Francesco
Maria I Della Rovere. Il suo opus maius, il Cortegiano, è «un’opera teatrale piuttosto che un trattato […].
L’ambientazione del dialogo è il Palazzo Ducale di Urbino […]. Il tempo è l’anno 1507 […].51
I quattro libri [che
lo compongono] corrispondono ai quattro atti di una commedia, quattro serate in successione nel corso
delle quali la corte che circonda la duchessa Elisabetta Gonzaga (il duca, sofferente [per la gotta], si è ritirato
presto per la notte), si dedica al passatempo di discutere le qualità del perfetto cortigiano».52
Sicuramente,
Castiglione, in virtù anche delle lunghe e continue revisioni dell’opera, «dimostra la crescente
determinazione a trasformare nel libro una esperienza storica concreta (la corte di Urbino) in una
dimensione modellizzante, in grado di trasmettere informazioni valide ovunque, nel tempo».53
Eppure, va
riconosciuto che, innanzitutto, al dotto autore «premeva […] che la materia del racconto, benché
straordinaria, fosse radicata in una esperienza storica e di vita».54
Pertanto, ciò che egli espone nell’opera,
almeno in parte, lo potremmo considerare come una fonte storicamente attendibile. Relativamente al
nostro tema, seppure in maniera generale e non strettamente o direttamente legata al carnevale, riportiamo
solamente alcune citazioni.
Alla corte di Urbino, «consuetudine di tutti i gentilomini della casa era ridursi sùbito dopo cena
alla signora Duchessa; dove tra l’altre piacevoli feste e musiche e danze che continuamente si
usavano, talor si proponeano belle questioni».55
Questo «usato stile delle feste e piaceri
ordinari»56
continuava anche al tempo in cui papa Giulio II, Giuliano Della Rovere, stazionò in
Urbino il 3 marzo 1507, di ritorno dalla sottomissione di Bologna, realizzata in ossequio alla sua
politica di rafforzamento politico e militare dello Stato della Chiesa.57
Nel corso del dialogo tra i
presenti alla corte viene espresso disprezzo verso i «molti gentilomini giovani […], che le feste
ballano tutto ‘l dì nel sole coi villani e con essi giocano a lanciar la barra, lottare, correre e
saltare».58
Infatti il cortigiano, deve sempre mantenere una certa nobiltà, pur senza ostentarla
ma lasciandola emergere con “sprezzatura”, così come quando danza «par gli si convenga
servare una certa dignità, temperanza però con leggiadra ed aerosa dolcezza di movimenti».59
51
Castiglione «carefully fixes the date of the discussions at Urbino by expressly relating them in his text to two
actual historical events: his diplomatic journey to England in the fall and winter of 1506-1507 in
order to receive the Order of the Garter for Duke Guidobaldo, and Pope Julius II's visit to Urbino after his successful
subjugation of Bologna to papal authority in March 1507» (W.A. REBHORN, Courtly performances: masking and festivity
in Castiglione's book in the Courtier, Wayne State University Press, Detroit 1978, p. 53). Più precisamente, dunque, il
tempo è marzo 1507 (pur non essendo questo periodo di carnevale, già concluso con “le ceneri” il 17 febbraio – cfr. A.
CAPPELLI, Cronologia cit., p. 62).
52
P. BURKE, Le fortune del Cortegiano: Baldassarre Castiglione e i percorsi del Rinascimento europeo, Donzelli
editore, Roma 1998, p. 27.
53
U. MOTTA, Castiglione e il mito di Urbino: studi sulla elaborazione del “Cortegiano”, Vita e pensiero, Milano 2003,
p. 15, corsivo nostro.
54
Ibid., p. VIII. «Il libro era inteso soprattutto come un esercizio di autobiografia, un’evocazione proustiana di un
tempo perduto quando l’autore era nel “fiore” della giovinezza, una resurrezione di amici spariti e una affettuosa ri-
creazione della corte di Urbino com’era stata nel 1506, prima che la sua serenità venisse distrutta dalla guerra» (P.
BURKE, Le fortune del Cortegiano cit., p. 34).
55
B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, a cura di G. Preti, Einaudi, Torino 1965, Libro primo, V, p. 15.
56
Ibid., Libro primo, VI, p. 17.
57
Cfr. A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 174.
58
B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, op. cit., Libro secondo, X, p. 104.
59
Ibid., Libro secondo, XI, p. 106.
11
La festa alla corte di Guidubaldo sembrerebbe evento ordinario; tuttavia al cortigiano, che ne prende
parte, occorre «in tutte le sue azioni molta cortesia e molta discrezione»,60
«discreta modestia» ed il «dar
bona opinione di sé».61
Nel caso delle feste di carnevale a corte, questi nuovi ideali umanistici, questi valori
storici che Castiglione pare trovi riflessi in Urbino, finiscono inevitabilmente per mutarne profondamente le
caratteristiche originarie. La festa e, assieme ad essa, di conseguenza, lo stesso carnevale, sembrano
delinearsi sempre più come pacate “feste private”, all’insegna della cortesia e del buon senso: «per riuscire a
sintetizzare in una frase ciò che l'autore [Castiglione] è riuscito a fare [col Cortegiano] si potrebbe dire che ha
contribuito ad adattare l'umanesimo al mondo della corte, e la corte al mondo dell'umanesimo».62
«Nel
Cinquecento […] dopo aver avuto negli ultimi secoli del Medioevo manifestazioni “miste”, sia popolari che
aristocratiche, sia private che di piazza, il carnevale diventa un fenomeno sempre più “elitario”, come in
generale quello della festa nel pieno e tardo Rinascimento. [Ritroviamo un tipo di] festa sempre più chiusa e
rivolta a un pubblico sempre più elitario e “scelto”, sempre più concepita per essere rappresentata
all’interno della corte […], o per costituire un’occasione per essa di mostrarsi all’esterno».63
Della Rovere
FRANCESCO MARIA I DELLA ROVERE (1508 – 1538)
Guidubaldo morì nel 1508 senza lasciare eredi ed il Ducato passò nelle mani del figlio adottivo, Francesco
Maria I Della Rovere, nipote di Giulio II, figlio della sorella maggiore di Guidubaldo e del signore di Senigallia,
Giovanni Della Rovere.64
«Il nuovo Duca […] era avvenente della persona, ma di carattere violento […], dato
alle arti della guerra, più che a quelle pacifiche che allettarono Guidubaldo».65
Ciò non costituì un buon
motivo affinché le feste di carnevale in Urbino s’interrompessero; anche se spesso Francesco Maria I era
impegnato come condottiero al soldo del papa, le «rappresentazioni si fecero malgrado [le] guerre scoppiate
e divampate in Italia».66
60
Ibid., Libro terzo, II, p. 215.
61
Ibid., Libro terzo, IX, p. 224.
62
P. BURKE, Le fortune del Cortegiano cit., pp. 34-5.
63
G. CIAPPELLI, Carnevale e quaresima cit., p. 283. Aggiungiamo a margine alcune considerazioni di vario genere, a
supporto di quanto qui espresso in pura via ipotetica. Riguardo al carattere sempre più “elitario” delle feste,
nonostante tanto la celebrazione popolare quanto la festa di corte testimonino «the transformation of society into
community, in popular celebrations the emphasis falls on freeing men and women from normal social restraints,
which are parodied and travestied. In the kind of festivity depicted in Il Cortegiano, normal social restraints are simply
set aside rather than mocked, and the emphasis falls on transforming social intercourse to reflect the greatest
humanity and sociability consistent with fairly elevated standards of decorum» (W.A. REBHORN, Courtly performances
cit., p. 17). Invece, a proposito della festa come “occasione per mostrarsi all’esterno”: «se dovessi definire le feste di
corte rinascimentali in relazione al principe, direi che il loro obiettivo principale era costituito dal potere concepito
come forma d’arte. La festa permetteva al sovrano e alla sua corte di identificarsi momentaneamente con i modelli
eroici proposti: per un istante principi e cortigiani incarnavano realmente quelle ‘idee’ di cui erano soltanto un riflesso
terreno. L’universo della festa di corte è un mondo ideale in cui la natura, accuratamente ordinata e controllata, viene
spogliata di tutti i potenziali pericoli. In quelle manifestazioni trova la sua affermazione estrema la fede rinascimentale
nelle capacità dell’uomo di determinare il proprio destino e di imbrigliare le risorse naturali dell’universo» (R. STRONG,
Arte e potere: le feste cit., p. 70).
64
Cfr. F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro decimo, pp. 163-218.
65
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 189-190.
66
L. CELLI, Un carnevale alla corte di Urbino e la prima rappresentazione della “Calandria” del card. Bibbiena, in
«Nuova rivista Misena», anno VII (1894), fasc. 12, p. 3.
12
Così «ad Urbino si allestiscono spettacoli e divertimenti vari, nel 1511, essendo ospite Federico Gonzaga
[figlio di Francesco, Marchese di Mantova], i duchi e i loro ospiti ballano, assistono ad una commedia e a
un’egloga pastorale la domenica di Carnevale. Il lunedì dopo il ballo viene presentata un’altra egloga definita
pastorale e che ha per argomento la cronaca locale. Il giorno successivo balli e mascherate. Nessuna notizia
circa gli argomenti e i modi della rappresentazione».67
I balli, la «commedia non molto laudabile, né
d’invenzione né ben recitata», l’egloga della domenica, di nuovo, non sono feste popolari ma si svolsero «da
un parente dil sposo della Garassina», privatamente.68
Parimenti, «lune si ballò in corte e si fece un’egloga
[...] in scorno e biasimo d’uno povero servitor del duca Guido».69
Quasi per contrasto a queste poche notizie,
che, però, sembrano confermare il carattere che le feste di carnevale avevano iniziato ad acquisire almeno ai
tempi di Guidubaldo, «del carnevale del 1513, anno in cui fu rappresentata La Calandria, se non tutto, molto
si sa».70
Questa festa cadde in un momento storico particolarmente “felice” per il Ducato d’Urbino: il 5
agosto 1512 morì a Gradara Ascanio Sforza, signore di Pesaro, e, «essendo senza figli, quella signoria
ricadeva alla Chiesa […]. Ma Francesco era in credito della Camera apostolica di assai [grande] somma per
provvisioni decorse, e per molte spese sostenute nell’ultima ricuperazione della Romagna, e nell’acquisto di
Parma, Piacenza e Reggio: sicché il tesoro pontificio, esausto dalle passate guerre, essendo impotente a
pagare sì grosso debito, gli fu ceduta, assenziente il collegio de’ cardinali, la città di Pesaro col suo territorio.
[In seguito, il figlio di Francesco Maria I], Guidubaldo II, amò Pesaro sovra tutte le città del suo stato, e molto
l’adornò», sino al punto da trasformarla nella nuova capitale del Ducato, sede di nuove sontuose feste.71
Facendo un passo indietro, indugiando ancora un po’ nel 1513:
«Francesco-Maria, ultimate le cose di Pesaro, era tornato ad Urbino, dove essendo in tempo di
carnasciale con balli, canti e feste a’ suoi popoli ed a lui dava solazevolmente piacere. E mentre
con tai diporti li pasceva, tre novelle comedie, l’una di Nicola Grassi […], l’altra di Guidubaldo
Rugiero da Reggio allora di anni quattordici, recitata da putti non maggiori di sua etate, la terza
di Bernardo Bibbiena, detta la Calandra […]».72
Per quanto concerne la Calandria, sono già stati realizzati lavori pressoché definitivi e non è il caso di
spendere ulteriormente parole a riguardo.73
Invece «delle prime due commedie e dei loro autori accennati
[…] ben poco si può ancora aggiungere».74
Eppure desta curiosità, quantomeno, il quattordicenne
Guidubaldo Ruggiero da Reggio che recita a Palazzo, dove si trova in qualità di figlio di un «ospite [...] alla
corte di Urbino come giureconsulto e consigliere di Francesco Maria».75
Ma la presenza di questo fanciullo a
corte non ha riscosso ancora molto successo nella letteratura critica, che facilmente lo accantona
definendolo semplicemente come «uno dei tanti bambini prodigio, prodotti dalla cultura umanistica».76
L’attenzione, di quanti hanno studiato il carnevale del 1513 in Urbino, si è invece soffermata per lo più
67
P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 274.
68
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 203.
69
G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 319.
70
P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 274.
71
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro decimo, pp. 191-2.
72
L. CELLI, Un carnevale alla corte cit., p. 6.
73
Cfr. F. RUFFINI, Commedia e festa nel Rinascimento: la “Calandria” alla corte di Urbino, Il mulino, Bologna 1986.
74
G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 325.
75
Ibid., p. 326. I giovani «sono un gruppo liminale nel senso che si collocano su una soglia, la soglia fra ciò che non
sono più e ciò che non sono ancora nel caso di riti di passaggio relativi ad un loro effettivo cambiamento di status, ma
anche la terra di nessuno del non essere, della marginalità, che li rende particolarmente adatti a fungere da tramite,
da soggetto che può rappresentare ritualmente la comunità, assumendo anche comportamenti che trasgrediscono
l’ordine morale delle cose. È per entrambi questi motivi che essi hanno un ruolo particolarmente importante nelle
celebrazioni carnevalesche» (G. CIAPPELLI, Carnevale e quaresima cit., p. 251).
76
G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 326.
13
sull’importanza nella storia del teatro di queste “rappresentazioni”; non possiamo tacere in proposito
un’interessante annotazione:
«il 1513 non va considerato solo come anno di partenza, nel teatro italiano, ma come anno di
arrivo in cui coagulano in un tipo di teatro tutti i tipi di “rappresentazione”. Sotto il termine
“rappresentazione” si possono raccogliere varie manifestazioni, la festa, lo spettacolo, la
commedia che hanno apparentemente aspetto diverso, ma strutture teatrali simili e comunque
riconducibili ad un unico progetto culturale. Lo spazio scenico varia dal territorio extraurbano
[…] alla chiesa […] alla sala del palazzo […] e ancora può essere la piazza […] ma sempre lo
spazio naturale viene mutato “secondo criteri […] di ordine e simmetria”, il cui scopo “era
quello di presentare… la città ideale».77
Intanto «nella notte dal 20 al 21 febbraio 1513 Giulio II [morì]. L’11 marzo 1513 fu proclamato pontefice il
cardinale Giovanni de’ Medici, che prese il nome di Leone X. […] Papa de’ Medici non rifuggì dallo scacciare il
Duca di Urbino per gratificare il proprio nipote [e così] il 18 agosto 1516 Lorenzo [di Piero de’ Medici, nipote
del Magnifico,] era creato dal Papa Duca d’Urbino».78
Soltanto nel 1521 Francesco Maria I riuscì a
riconquistare lo Stato con le armi79
e «la primavera del 1523 vi richiama il figlio [Guidubaldo II, avuto dalla
sposa Leonora Gonzaga] che va a risiedere, col resto della corte, a Pesaro, da questo momento capitale
effettiva e definitiva del ducato (Urbino resta per un certo tempo luogo deputato a cerimonie ufficiali […] e
le cavalcate […] ma, con Guidubaldo duca, si riduce a mero luogo di residenza estiva)».80
Già a partire dal
1525 «si danno occasioni per la realizzazione di feste e spettacoli atti a segnalare il ritorno alla normalità»;81
così Isabella d’Este, di passaggio a Pesaro diretta a Loreto, informava il 18 febbraio, tramite il suo segretario,
il marito, Federico Gonzaga:
«non tacerò a V. Ex. una Egloga che si è recitata questa sera, ne la quale sono intervenuti dei
pastori namorati […]. La Egloga fo molto ben recitata, et vi intervennero appresso altri
interlocutori cum musica; finita cum una moresca de gioveni ben disposti, tutti vestiti ad una
medesima livrea che molto piacqui a Madamma [probabilmente, Eleonora Gonzaga,] et a
qualunque vi fo presente».82
Nel carnevale del 1527, invece, «il giovane Guidubaldo II si traveste con maschere fantastiche, da
pescatore, da capitano antico e da esotico moro, oppure – per consentirsi l’anonimato – da monaca»83
e si
concede a «balli e tornei [nei quali vi è] il coinvolgimento di numerosi gentiluomini e gentildonne della
città».84
Alla corte di Francesco Maria I, altri carnevali si susseguiranno in maniera similare, caratterizzati da
egloghe, moresche, commedie, musiche, giostre e balli; ma i “grandi nomi” tendono a non essere presenti
dopo il 1513, perché «il mestiere militare [del Duca] ed il nomadismo che esso comporta non [favorirono] la
pratica di committenza artistica» in un periodo di guerre.85
Eppure s’inizia già ad intravedere che il ruolo di
77
P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 274. Che questo “tipo di teatro” che ricerca “ordine” e “simmetria”, che
vuole modellare la scena al fine di ricreare una “città ideale” sia influenzato dalle rappresentazioni della “festa
privata” di corte, ormai lontana da qualsivoglia rappresentazione meno disciplinata del popolo?
78
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 219 e 224.
79
Cfr. F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro undicesimo, pp. 207-223.
80
F. PIPERNO, L’immagine del Duca: musica e spettacolo alla corte di Guidubaldo II duca d’Urbino, Olschki, Firenze
2001, p. 22.
81
Ibidem.
82
A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 270-1.
83
B. NICCOLI, Costume e cerimoniale alla corte di Urbino da Federico da Montefeltro ai Della Rovere, in «Atti del
Convegno ”Lo Stato e ‘l valore”. I Montefeltro e i Della Rovere: assensi e conflitti nell’Italia tra ‘400 e ‘600», Giardini
editori e stampatori, Pisa 2005, p. 163.
84
F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 22.
85
Ibid., p. 23.
14
“direttore” delle feste, in generale, e di quelle di carnevale, in particolare, sembra venisse sempre più
ricoperto da Guidubaldo II.
GUIDUBALDO II DELLA ROVERE (1538 – 1574)
Francesco Maria I, intendendo avviare il figlio al mestiere militare e «nel ruolo di soldato della
Serenissima che dovrà ereditare», lo invia nel 1529 al doge.86
Guidubaldo viene invitato a far parte della
Compagnia della Calza dei Floridi e ne è membro già il 6 giugno, «in occasione della cerimonia religiosa e
festosa di avvio delle attività della neonata compagnia […], una accolita di giovani aristocratici dediti a feste,
spettacoli e balli sia pubblici, sia privati».87
L’entrata in una Compagnia della Calza potrebbe mettere fin da
subito sotto gli occhi la propensione di Guidubaldo per un’atmosfera festiva. Tant’è che egli si occupò di
persona già nel 1531 e 1533 della «progettazione e realizzazione di alcuni spettacoli carnevaleschi a
Pesaro».88
In queste occasioni, in particolare, il futuro duca «tiene le fila delle prove di una commedia con
musica».89
Proprio la musica, insieme all’arte e alla cultura, furono i veri e propri interessi di Guidubaldo, dal
quale la «carriera militare, soprattutto la gravosa condotta con la Repubblica di Venezia […], [fu sempre
avvertita come] un peso mal sopportato».90
Pertanto, alla corte del duca Guidubaldo II, si realizzano
numerose feste, molti spettacoli e lavori teatrali o musicali di grandi artisti commissionati, in quanto il duca
si dedicherà sempre «con [più] impegno e largo spiegamento di mezzi […] all’unica attività in cui gli sia
consentito primeggiare: organizzare spettacoli carnevaleschi in grande stile».91
«Iniziative teatrali, musicali e spettacoli di carnevale [rendono] le feste pesaresi [sufficientemente]
prestigiose [al punto che sono] invitati a goderne personalità quali Pietro Bembo nel 1544 e Pietro Aretino
nel 1545 e 1546».92
Inoltre, «nel novembre 1552 Guidubaldo abbandonò la condotta veneziana per entrare
al servizio del papato come capitano generale degli eserciti della Chiesa (1 febbraio 1553) ed intraprendere
86
Ibid., p. 27.
87
Ibidem.
88
Ibid., p. 29.
89
Ibidem. «Even before Guidobaldo came to rule Camerino in 1534, he was particularly interested in music. He was
to remain dedicated throughout his life; he purchased musical instruments, encouraged and patronised singers,
composers of music and song-writing. At the heart of Piperno's presentation, and under-scored by its title, is the
presumption that all the music and spectacle stemmed directly from ducal patronage, reflecting Guidobaldo's
aspiration to project his personal image or ‘magnificence’» (C. H. CLOUGH, L’immagine del Duca: musica e spettacolo
alla corte di Guidubaldo II duca d’Urbino (recensione), in «English Historical Review», CXXII. 499 (Dec. 2007), p. 1402.
90
F. PIPERNO, Cultura e usi della musica cit., p. 25.
91
F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., pp. 30-1 e 196-8. Sul tema degli interessi militari, avulsi alla personalità di
Guidubaldo, e della preferenza per quelli artistici, Piperno fa due annotazioni importanti. Innanzitutto, va notato che,
«spostati a metà del secolo [XVI] fuori d’Italia i campi di battaglia e i motivi di contesa, il destino militare del ducato di
Urbino [fin da sempre legato con il suo duca al mestiere della guerra] era comunque avviato a un rapido declino» (F.
PIPERNO, Cultura e usi della musica cit., p. 25 e cfr. F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro dodicesimo, pp.
269-270). In secondo luogo, va ricordato che «le iniziative nel campo dell’arte, dell’urbanistica, dello spettacolo e della
musica, della letteratura e delle arti minore intraprese o assecondate da Guidubaldo II, lo furono non tanto in
relazione a una passione per la cultura e ad un’ammirazione del genio idealisticamente consone all’otium dorato del
signore rinascimentale, quanto piuttosto in conseguenza di un preciso calcolo politico: utilizzare patronato e
committenza come forma di autolegittimazione, come mezzo per costruire un’immagine di sé e della propria corte in
grado di competere con le grandi signorie del tempo, come strumento alternativo di affermazione politica» (F. PIPERNO,
Cultura e usi della musica cit., p. 25 e cfr. S. KOLSKY, Courts and courtiers in Renaissance Northern Italy, Ashgate,
Aldershot 2003, Part I, IV. Graceful performances: the social and political context of music and dance in the
Cortegiano, pp. 1-19).
92
F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 49. Pietro Bembo ad esempio scriverà da Gubbio il 16 febbraio 1544 di
essere stato invitato «ad Urbino per questo carnassale a vedere alcune belle commedie e altre feste che sua
eccellenza fa in quel luogo» (ibidem).
15
una carriera […] assai più comoda perché poté risiedere stabilmente a Pesaro invece di trascorrere lunghi
mesi» fuori dalla città teatro delle amate feste.93
Relativamente a queste ultime, dal Diario dell’Atanagi,
buffone di corte in questo periodo, veniamo a conoscenza della presenza nel 1553 presso la corte di «una
chioppa di pifari» e di una «compagnia de sonatori de violini con alcuni cornetti» in gennaio, e, poi,
dell’esibizione di alcuni «che cantavano all’improvviso» in febbraio.94
Ma è noto il carattere molto più
sontuoso che avevano le feste di carnevale a corte, animate soprattutto da commedie di artisti illustri e da
alcune moresche o esecuzioni musicali negli intermezzi.95
Tuttavia «a partire dal 1571 la […] salute [di
Guidubaldo II] inizia a peggiorare»96
e, allo stesso tempo, «musica e spettacolo di promozione cortese […]
languono».97
Già «il carnevale 1572 [, per il quale Guidubaldo commissiona una commedia di Bernardino
Pino,] è occasione solo di feste private».98
Quello del 1573, invece, viene trascorso freddissimamente, tanto
che Francesco Maria II [figlio di Guidubaldo II e Vittoria Farnese] scrive il 1 gennaio 1573: «in cambio di
carnevale quest’anno credo che faremo la quaresima».99
In quell’anno, proprio durante il periodo di
carnevale, gli urbinati si rivoltarono contro Guidubaldo II, intolleranti all’aumento delle imposte – «mentre le
fonti della pubblica prosperità non si accrescevano» – e malcontenti per «essere il tesoro pubblico esausto e
asciutto per le prodigalità del principe».100
Risolte le tensioni, ma non comunque il divario sempre più vistoso
tra il mondo “elitario” dei duchi e quello dei popoli, il carnevale del 1574 fu di nuovo di gran tono, con «la
rappresentazione dell’Aminta del Tasso»;101
ma fu anche l’ultimo che poté godersi Guidubaldo II che morì il
28 settembre 1574.102
FRANCESCO MARIA II DELLA ROVERE (1574 – 1631) & CONCLUSIONI
Francesco Maria II fu «un principe umano e sapientissimo e vero modello di buon regnante».103
Salito sul
soglio ducale, si adoperò a «licenziare quei ministri, che avendo più degli altri secondato le avare voglie del
93
Ibid., p. 59. Il duca rimarrà capitano generale della Chiesa «solo fino a tutto il 1555 quando venne sostituito da
Giovanni Carafa, più di lui deciso a sostenere militarmente la politica antispagnola di Papa Paolo IV» (ibid., p. 65). Il
licenziamento da tali incarichi costituì forse il più «drastico ridimensionamento della storica vocazione militare dei
duchi di Urbino [i quali, d’ora in avanti acquisiranno] maggior spazio ai propri reali interessi fin lì soffocati dagli
impegni gravosi e fuori sede» (ibidem). Nel caso di Guidubaldo II, questa scelta «apre il periodo, durato fino al 1571,
più vivace per la vita artistica e culturale della corte roveresca» (ibidem).
94
Ibid., p. 63.
95
Cfr. Ibid., III. “Fare di quelle cose che ho sempre desiderato”, pp. 65-91.
96
Ibid., p. 93.
97
Ibid., p. 103.
98
Ibidem.
99
Ibid., p. 104.
100
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro dodicesimo, pp. 289-319. Burke ha sostenuto che fosse
«molto frequente che in occasione delle feste popolari più importanti avessero luogo tumulti o rivolte» (P. BURKE,
Cultura popolare cit., p. 198). Potrebbe essere, dunque, che il carnevale del 1573 in Urbino abbia svolto una “funzione
di protesta sociale” diretta contro l’ingordigia della corte, ormai stabile a Pesaro. Eppure è necessario essere cauti nel
caso in cui si esprimesse un simile giudizio: del carnevale del popolo, e non delle corti, in Urbino, sappiamo ben poco.
In più, tra questo “poco”, è noto che il popolo stesso nel carnevale del 1573 avesse in serbo non tanto spettacoli
violenti o tumultuosi quanto piuttosto una «commedia preparata per allietare la prevista venuta in Urbino di
Guidubaldo II per trattare delle cause della sollevazione» (F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 198).
101
F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 103.
102
Ibid., p. 110.
103
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro quattordicesimo, p. 372. Anche a Francesco Maria II, come
già a Guidubaldo dopo del 1555, fu concesso per lo più di “fare di quelle cose che ho sempre desiderato”, ossia di
occuparsi di più del ducato e di coltivare i propri interessi, piuttosto che continuare “il mestiere della guerra”. Infatti,
alle «condizioni generali d’Italia […] il nuovo duca prese poca parte: perché […] in quel tempo le più belle parti della
penisola gemevano sotto il giogo di Spagna, e dove essa non giungeva con la forza, imperava con l’autorità; [così] la
16
padre, erano anche più in odio de’ sudditi».104
E sembra che lo stesso destino toccò a «tutti i musici de
l’illustrissimo duca [Guidubaldo II]».105
Pertanto potrebbe dirsi che quelle feste di corte, che sembravano
evento ordinario ai tempi di Guidubaldo I e Guidubaldo II, a partire da questo momento iniziano ad essere
relegate sempre più ad occasioni straordinarie. Non è un caso che la sposa di Francesco, Lucrezia d’Este,
«assuefatta alle feste e agli spettacoli della corte estense, mentre durò Guidubaldo II, che molto
allegramente viveva, poco desiderava il ritorno alla diletta Ferrara»106
ed in seguito, invece, sentì sempre più
il bisogno di tornarvi perché la «corte di Ferrara […] ben altri svaghi offriva a confronto di quella del marito,
resa spenta e tediosa dalla sua parsimonia e dalla sua natura contraria al lusso e alle feste gioiose tanto care
alla corte dei tempi di suo padre».107
Tuttavia non è corretto sostenere che tali “feste gioiose” fossero del
tutto assenti alla corte di Francesco Maria II:
«Uno degli esercizi più favoriti di Francesco e della sua corte e de’ nobili di que’ tempi, era la
caccia […]. Un altro divertimento era il teatro, che i duchi avevano costruito nelle due corti di
Urbino e di Pesaro, i quali pare si aprissero nel carnevale soltanto;108
e per lo più, vi si
rappresentavano fatti mitologici; vi si eseguivano balletti e moresche, che erano una sorte di
ballo antico che usavano i mori;109
e vi si recitavano commedie, composte ordinariamente dai
letterati di corte. Né i giuochi mancavano, specialmente nel carnevale, e nei mesi di maggio e
giugno alla villa dell’Imperiale; i quali servivano tutti anche ad esercizio del corpo : come il
correre la quintana, il pallio, il torneare, il ballo. Nelle quali cose il duca non andava lento a
concedere la licenza; ma voleva il decoro pubblico si conservasse, e che niun disordine ne
venisse: perciocché, quanto ci mostriamo benigni in queste ricreazioni pubbliche, altrettanto
intendiamo di essere severi contro chi abuserà della nostra graziosa concessione, affinché in
questo mondo ciascuno abbia non solo di avere il piacere, ma di goderlo con sicurezza e
tranquillità».110
Francesco Maria II, quindi, non soppresse le “feste gioiose”, tanto meno quelle di carnevale. Tuttavia
volle imprimervi un carattere “disciplinato”, “ordinato” e di “decoro”.111
Non possiamo dire se di fatto “la
casa Della Rovere [rimase niente più che] un satellite, come gli altri piccoli principi, attratto dal gran pianeta
spagnuolo» (ibid., p. 371).
104
ibid., pp. 380-1.
105
F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 110.
106
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro quattordicesimo, p. 392.
107
G. G. SCORZA, I Della Rovere 1508-1631, Melchiorri, Pesaro 1981, p. 30.
108
Annota qui Ugolini: «incominciava il carnevale agli 8 gennajo».
109
Aprire una parentesi su questo tipo di danze, potrebbe essere emblematico per delineare con più precisione i
caratteri di fondo della festa (di carnevale) a corte. «Dance can […] be considered an extension into the world of the
Renaissance court of the concept of disciplina» (S. KOLSKY, Courts and Courtiers cit., p. 13). «[…] la danza nel Cortegiano
[e a corte] ricopre una gamma di significati che hanno a che fare tanto con il controllo del corpo quanto con quello
sociale. C’è un disprezzo, uguale a quello che c’era in Ugo da San Vittore, per movimenti sfrenati ed incontrollati.
Questo tema è enfatizzato nella trattazione di Castiglione della ‘moresca’, che è l’equivalente di quei gesti disordinati
(“gesticulationes”) di cui parlava Ugo. Importante è che la danza sia ristretta il più possibile ai confini del palazzo e a
certi tipi di danza […]»(ibid., p. 15, trad. it. nostra). La ‘moresca’ di corte, dunque, non è da confondersi con la
‘moresca’ popolare (che lo stesso possa dirsi per il carnevale in pieno Rinascimento?!). Infatti la ‘moresca’ popolare
«è una danza selvaggia che esprime ‘altro’ nel comportamento di corte. Come suggerisce il termine, sembra che,
originariamente, sia stata una danza dei Mori, [proprio] in contrapposizione alle danze ‘cristiane’ delle corti» (ibidem).
110
F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro quindicesimo, pp. 474-6. Rimandiamo a queste pagine per
una lunga serie di estremi cronologici di feste che vanno dal 1586 al 7 febbraio 1619.
111
Al fine di mostrare questa volontà di disciplinare le feste, si rivela particolarmente eloquente quello che Ugolini
definisce l’“editto sulle maschere” emesso il 9 febbraio 1576, nel periodo di carnevale. Riportiamone un estratto:
«Essendo solito à certo tempo dell’Anno concedersi à Popoli qualche sorte di ricreazione publica, e
particolarmente l’immascherarsi; perciò, per honesto piacere di quelli, ci contentiamo di dare licenza
per le Maschere, come in virtù del presente publico Bando diamo, e concediamo à tutte le Persone
d’immascherarsi, dal giorno di detta pubblicatione, finche starà attaccato un Mascherone al Palazzo de’
17
spinta delle nuove idee umanistiche” trasformò effettivamente “la tradizione delle feste dell’Europa
medievale”.112
Quantomeno, però, queste “idee umanistiche” – o almeno quelle improntate ai temi
dell’ordine, dell’armonia ed anche degli argomenti classici e profani nelle rappresentazioni che si facevano
per un pubblico sempre più “elitario” – avevano trasformato il carnevale di Urbino. Il carnevale ben
“disciplinato” alla corte di Francesco Maria II non costituiva altro che un riflesso di tali ideali. Un riflesso che
racchiude il carattere di una festa sì gioiosa ma, soprattutto, decorosa; sì aperta al pubblico, ma solo ad una
parte elitaria di esso. Un riflesso di principi umanistici che ritroviamo in buona parte sotteso anche alle altre
corti (fatta eccezione per il ducato di Federico da Montefeltro, per il quale non abbiamo rintracciato
sufficienti menzioni relative al carnevale). Un riflesso che colse Castiglione alla corte di Guidubaldo, tentando
d’inscatolarlo nel Cortegiano; un riflesso che si perpetua almeno nei primi anni alla corte di Francesco Maria
I e che viene lasciato emergere in tutta la sua magnificenza alla corte di Guidubaldo II. Ma tra tanti riflessi,
ciò che si fa fatica a vedere, nelle fonti storiche, è il carnevale del popolo.113
Un popolo tanto vicino eppure
tanto distante dall’universo del Palazzo; un popolo escluso dallo splendore di un carnevale di corte che, visti
gli ospiti illustri che richiamava, probabilmente era davvero “conosciuto in tutta Italia”,114
anche se,
considerate le caratteristiche, non si sa più neppure se sia corretto definire carnevale.
Priori, ò Podestà, in luogo publico, con dichiaratione, che, mentre si vedesse leuato il detto Mascherone,
per qualche honesta, e debita cagione, s’intenda anco riuocata la licenza, e detta facoltà. […] Laonde per
il presente Bando, vogliamo, ordiniamo, e comandiamo, che nessuna Persona (di che stato, grado,
conditione, ò preeminenza sia, ò possa essere) presuma, ne ardisca farsi maschera in Città […], se non
durante il tempo della presente licenza […] che non sia alcuno, che porti habito, che i Religiosi, ò
Religiose sogliono usare, ne accomodi foggia alcuna, che habbia da rappresentare cosa alcuna disonesta
[…]. Si prohibisce […] che alcuno immascherato […] abbia da portare Armi da offesa, ò da difesa […]. E
passata mez’hora di notte determiniamo, che non si abbia da porsi Maschera al viso fuori Casa, […]. Ci
consentiamo però, che questi tali, entrati che saranno nelle case, e anco sopra le feste, possino mettere
e tenere la Maschera al volto […]» (Decreta, constitutiones, edicta et bannimenta legationis Vrbini, De
gotti, Pesaro 1696, Pars secvnda. Criminalia complectens, LXIII. Prouisioni sopra le maschere, pp. 144-7).
112
Si veda supra, p. 3 (nota 8).
113
«La corte [roveresca] promosse questi eventi spettacolari all’interno dei propri palazzi (il palazzo di Pesaro […],
la villa Imperiale, il palazzo di Urbino e […] la ‘corte rossa’ di Fossombrone) e li indirizzò al proprio personale
godimento ed a quello di selezionati convitati (cortigiani ed ospiti illustri); la ‘pubblicità’ di questi spettacoli, nel senso
di un […] coinvolgimento della collettività, vuoi della comunità civica pesarese o urbinate, vuoi dei sudditi del ducato o
dei signori degli stati vicini, non si verificò se non occasionalmente e perlopiù limitatamente agli eventi che avevano di
necessità luogo all’aperto (tornei, sbarre, quintane, entrate trionfali)» (F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 194).
114
Si veda supra, p. 2 (nota 1).
Bibliografia
MONOGRAFIE
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2 voll.
 BALDI, B., Vita e fatti di Federigo di Montefeltro, Salvioni, Roma 1824, 3 voll.
 BATTISTELLI, F., Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino: dalle origini ad oggi, Marsilio,
Venezia 1986.
 BEMBO, P., Lettere, a cura di E. Travi, Commissione per i testi di lingua, Bologna 1987-1993, 4 voll.
 BURKE, P., Cultura popolare nell’Europa moderna, Mondadori, Milano 1980.
 BURKE, P. Le fortune del Cortegiano: Baldassarre Castiglione e i percorsi del Rinascimento europeo,
Donzelli editore, Roma 1998.
 CASTIGLIONE, B., Il libro del Cortegiano, a cura di G. Preti, Einaudi, Torino 1965.
 CIAPPELLI, G., Carnevale e quaresima: comportamenti sociali e cultura a Firenze nel Rinascimento,
Edizioni di storia e letteratura, Roma 1997.
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19
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Milano 2003.
 PIPERNO, F., L’immagine del Duca: musica e spettacolo alla corte di Guidubaldo II duca d’Urbino,
Olschki, Firenze 2001.
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 SCORZA, G. G., I Della Rovere 1508-1631, Melchiorri, Pesaro 1981.
 STRONG, R., Arte e potere: le feste del Rinascimento 1450-1650, Il Saggiatore, Milano 1987.
 UGOLINI, F., Storia dei conti e duchi d’Urbino, Grazzini, Giannini & C., Firenze 1859, 2 voll.
ARTICOLI
 BIGNAMI, P., Il «teatro» ad Urbino nel Rinascimento, in «Biblioteca teatrale», 15/16 (1976), pp. 249-
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 CELLI, L., Un carnevale alla corte di Urbino e la prima rappresentazione della “Calandria” del card.
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1
 CLOUGH, C. H., L’immagine del Duca: musica e spettacolo alla corte di Guidubaldo II, duca d’Urbino
(recensione), in «English Historical Review», CXXII. 499 (Dec. 2007), pp. 1400-1402.
 CLOUGH, C. H., The relations between the English and Urbino courts (1474-1508), in «Studies in the
Renaissance, vol. 14 (1967), pp. 202-218.
 NICCOLI, B., Costume e cerimoniale alla corte di Urbino da Federico da Montefeltro ai Della Rovere, in
«Atti del Convegno ”Lo Stato e ‘l valore”. I Montefeltro e i Della Rovere: assensi e conflitti nell’Italia
tra ‘400 e ‘600», Giardini editori e stampatori, Pisa 2005, p. 149-169.
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 SAVIOTTI, A., Una rappresentazione allegorica in Urbino nel 1474, in «Atti e memorie della R.
Accademia Petrarca di Scienze, Lettere ed Arti in Arezzo», n.s., I (1920), pp. 180-236.
 SCARAVAGLIO, G. L., Rappresentazioni drammatiche alla corte dei Montefeltro (1488-1513), in
«Rivista italiana del Dramma», IV (1940), II, n. 6, pp. 309-329.
 ZORZI, E. G., Festa e spettacolo a corte, in «Federico di Montefeltro: lo Stato, le arti, la cultura», 3
voll., a cura di G. C. Baiardi, G. Chittolini e P. Floriani, Bulzoni, Roma 1986, pp. 301-329.
ALTRO
 Decreta, constitutiones, edicta et bannimenta legationis Vrbini, De gotti, Pesaro 1696.
 BENIGNO, F., L’età moderna: dalla scoperta dell’America alla Restaurazione, Laterza (Manuali di base
[31]), Roma-Bari 2011.
 CAPPELLI, A., Cronologia: cronografia e calendario perpetuo, Hoepli, Milano 1998.

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Appunti su Urbino. Per una storia del carnevale 1444-1631

  • 1. TESINA DI STORIA MODERNA I - LM Appunti su Urbino Per una storia del carnevale (1460 – 1631) Docente: Ciappelli Giovanni Studente: Aluigi Matteo Anno accademico 2011/2012
  • 2. 1 Indice Introduzione ..................................................................................... 2 Montefeltro ..................................................................................... 3 Federico da Montefeltro (1444 – 1482) .......................................................... 3 Guidubaldo da Montefeltro (1482 – 1508) ...................................................... 5 Una piccola parentesi: il Cortegiano .............................................................. 10 Della Rovere ................................................................................... 11 Francesco Maria I Della Rovere (1508 – 1538) .............................................. 11 Guidubaldo II Della Rovere (1538 – 1574) ..................................................... 14 Francesco Maria II Della Rovere (1574 – 1631) & conclusioni ....................... 15 Bibliografia...................................................................................... 18
  • 3. 2 Introduzione Pietro Bembo, scrivendo il 20 marzo 1504 da Venezia ad Emilia Pia, «rimpiange di non essere stato [per quell’anno] alle feste di carnevale della corte di Urbino il cui splendore era conosciuto in tutta Italia»:1 «il vostro Centuaro ci ha fatto, per sue lettere, partecipe delle feste che eravate per aver questo carnassale per grazia del nostro M. Vincenzo Calmeta;2 che ci hanno ripieni d’invidia».3 Da questa lettera si può desumere che, al principio del XVI secolo, in Urbino – o, perlomeno, alla corte dei Duchi d’Urbino –, il carnevale fosse celebrato con delle “feste” tali da rendere “ripieni d’invidia” quanti non potessero prendervi parte. Allo scopo di far luce su questo tema, e di verificare se lo «splendore […] conosciuto in tutta Italia» fosse solo quello della corte di Urbino o anche quello delle sue “feste di carnevale”, viene votato il presente lavoro. Quest’ultimo ha dunque per oggetto le feste di carnevale alla corte d’Urbino. Il periodo preso in esame, spaziando dalla seconda metà del Quattrocento fino verso la fine del Cinquecento, ricopre quasi l’intero Rinascimento – apparentemente, in maniera alquanto ambiziosa –; quest’ampiezza d’analisi storica merita fin da subito due precisazioni, le quali consentono di chiarire la natura stessa del lavoro. Innanzitutto, «la ricognizione [della festa] e dello spettacolo quattrocentesco [e, per certi versi, cinquecentesco] incontra, […] in Urbino, difficoltà di ordine pratico e di indirizzo metodologico. La scomparsa di quasi ogni traccia di vestigia materiali, la dispersione delle fonti documentarie e la scarsa funzionalità che esse presentano, si oppongono all’indagine e riducono le possibilità che essa venga condotta con l’ampiezza di particolari che è consentita per altri aspetti della cultura del XV [e del XVI] secolo».4 Pertanto, in questo elaborato, si è preferito mantenere il più largo possibile l’arco degli anni presi in considerazione per le feste di carnevale, estendendolo sino a comprendere l’intero periodo rinascimentale;5 e lo si è fatto proprio per 1 F. BATTISTELLI, Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino: dalle origini ad oggi, Marsilio, Venezia 1986, V. Cultura e letteratura nei centri maggiori e minori tra Rinascimento e Barocco, p. 339. 2 Vincenzo Calmeta è uno «scrittore di commedie […]; poeta e prosatore mediocre, ma tenuto in gran conto dai contemporanei, […] fu accolto alla corte d’Urbino con grandi onori, [quantomeno per il carnevale del 1504,] e il Castiglione lo fa intervenire nei dialoghi del Cortegiano, che figurano svolgersi nel 1507» (G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte dei Montefeltro (1488-1513), in «Rivista italiana del Dramma», IV (1940), II, n. 6, p. 318). 3 P. BEMBO, Lettere, 4 voll., a cura di E. Travi, Commissione per i testi di lingua, Bologna 1987-1993, vol. I, Lettera (183) del 20 marzo 1504, pp. 170-1. 4 E. G. ZORZI, Festa e spettacolo a corte, in «Federico di Montefeltro: lo Stato, le arti, la cultura», 3 voll., a cura di G. C. Baiardi, G. Chittolini e P. Floriani, Bulzoni, Roma 1986, vol. I, p. 301. 5 In altri termini, si è tentato di mantenere la ricerca aperta all’intero periodo storico in cui è effettivamente esistito il Ducato d’Urbino, pur consci che lavorare “a largo raggio cronologico” potrebbe essere in alcuni casi fuorviante, se non pure inutile (cfr. G. CIAPPELLI, Carnevale e quaresima: comportamenti sociali e cultura a Firenze nel Rinascimento, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1997, p. 12). A titolo di chiarificazione (e come prima giustificazione delle date che costituiscono gli estremi cronologici del presente lavoro) ripercorriamo per sommi capi la nascita e la capitolazione del Ducato. Una contea di Urbino è presente già a partire dal 1213 quando, «inalzato Federico [II Hohenstaufen] alla dignità imperiale, de’ servigi a lui e al padre prestati volle premiare Buonconte e Taddeo [da Montefeltro]; e perciò concesse loro in feudo Urbino col suo contado» (F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi d’Urbino, 2 voll., Grazzini, Giannini & C., Firenze 1859, vol. I, Libro primo, p. 20). Poi, nel 1443 «Oddantonio [da Montefeltro] fu creato duca da Eugenio IV» (ibid., vol. I, Libro quarto, p. 277) e «nel 1444, in seguito all’uccisione di Oddantonio, […] Federico diviene duca di Montefeltro» (P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino nel Rinascimento, in «Biblioteca teatrale», 15/16 (1976), p. 249). Proprio «Federico da Montefeltro (1422-1482) aveva unito [– per primo, all’interno del Ducato neo-nascente –] alle gesta militari il patronato artistico e specificamente musicale per conseguire il rango e l’eccellenza di cui andò famoso» (F. PIPERNO, Cultura e usi della musica alla corte di Guidubaldo II Della Rovere, in «I Della Rovere nell’Italia delle corti», 4 voll., QuattroVenti, Urbino 2002, vol. III, p. 25). Tutte queste tradizioni (militari, artistiche, musicali) si perpetuarono poi attraverso il figlio Guidubaldo e, per alcuni aspetti, attraverso la famiglia dei Della Rovere, duchi d’Urbino a seguito dei Montefeltro, finché il Ducato non fu devoluto nel 1631 «per patto espresso […] alla santa sede», allo Stato Pontificio (cfr. F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro quindicesimo, pp. 446-505).
  • 4. 3 rifuggire tali difficoltà, per il timore di non essere in grado o di non riuscire ad articolare un lavoro storico su Urbino, se focalizzato esclusivamente sul “particolare” (in assenza di “ampiezza di particolari”), e non certo per ambizione. Ciò comporta che gli eventi legati al carnevale, che si sono potuti riscontrare, non vengano elencati in modo definitorio o approfonditi in maniera sistematica; per inciso, si tratta, in questa sede, di fornire niente di più che appunti. Appunti generali per una storia del carnevale alla corte di Urbino. Appunti che spaziano dal momento in cui si può parlare, per l’appunto, di una corte di Urbino (almeno dal 1444 con Federico da Montefeltro) al momento in cui ciò non è più possibile (cioè dal 1631, dopo l’estinzione del Ducato d’Urbino alla morte di Francesco Maria II Della Rovere). In secondo luogo, l’altra precisazione consiste nel fatto che seguire il tema attraverso un periodo piuttosto lungo, quale quello fissato, potrebbe «consentire di cogliere evoluzioni e scansioni non percepibili [nel caso in cui venga perso] il senso della diacronia e [venga visto] tutto come immobile».6 Così, il presente lavoro, abbracciando un lasso di tempo tanto ampio, potrà lanciare nel suo piccolo – seppure brevemente ed esclusivamente in via d’ipotesi – alcuni spunti in merito ad “evoluzioni e scansioni” relative alle feste di carnevale alla corte urbinate. Per esempio, anche con l’aiuto del Cortegiano di Baldassare Castiglione, si possono tentare di scorgere e generalizzare, per il caso di Urbino, alcune delle caratteristiche che assumono e, poi, mantengono o perdono tali feste di corte. Si tratta di un’operazione legittima se è vero che il carnevale medievale (il quale «sembra nascere […], come fenomeno urbano con autonome caratteristiche celebrative, fra l’VIII secolo e il 1140»)7 subì delle profonde trasformazioni a partire dalla prima età moderna, già da quando iniziò a diffondersi «la spinta delle nuove idee umanistiche [che] avrebbe inevitabilmente trasformato la tradizione delle feste dell’Europa medievale».8 Eppure queste generalizzazioni sono formulate pur sempre solo su di appunti; perciò la loro validità non deve essere considerata più stabile e consistente di quanto lo sia la loro base. Non essendo concepibile al di fuori di questi opportuni chiarimenti, il lavoro che segue si articola passando in rassegna alcune feste di carnevale, suddividendole a seconda della famiglia (Montefeltro o Della Rovere) e del Duca che governava, nel periodo in cui queste ebbero luogo. Montefeltro FEDERICO DA MONTEFELTRO (1444 – 1482) «Rispetto al fervore degli altri centri italiani, Urbino, arroccata sul crinale binato del suo colle, è, nel 1444, all’atto del passaggio del potere al giovane fratello di Oddantonio, una città vuota. E in questo sta il senso del miracolo operato da Federico: di aver trasformato il borgo solitario e periferico […] nella serena capitale di uno Stato».9 Infatti «alla corte di Federico di Montefeltro, e nei centri principali del suo dominio, molte e frequenti [saranno] le occasioni a tripudi popolari, ad auliche feste suntuose. Fidanzamenti e sponsali di principi e di principesse, nascite illustri, visite e passaggi di Signori e di alti personaggi gli avevano dato largo campo così di esercitare quella graziosa e munifica ospitalità ond’egli andava meritatamente famoso fra gli altri principi della penisola, come di accattivarsi sempre più la simpatia e l’affetto dei sudditi con lo spettacolo attraente di pompe e di magnificenze».10 Ora, «di tali feste [suntuose], nella scarsità del materiale 6 G. CIAPPELLI, Carnevale e quaresima cit., p. 13. 7 Ibid., pp. 44-5. 8 R. STRONG, Arte e potere: le feste del Rinascimento 1450-1650, Il Saggiatore, Milano 1987, p. 71. 9 E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 305. 10 A. SAVIOTTI, Una rappresentazione allegorica in Urbino nel 1474, in «Atti e memorie della R. Accademia Petrarca di Scienze, Lettere ed Arti in Arezzo», n.s., I (1920), p. 194. In questo saggio, Saviotti descrive in particolare una «festa scenica mitologica fatta alla corte d’Urbino in onore del principe Federigo d’Aragona» (ibid., p. 197), il quale staziona qui, dopo essere partito da Napoli il 26 ottobre del 1474, diretto verso la Borgogna «al cui potente signore, Carlo il Temerario, il Re di Napoli [Ferdinando d’Aragona] chiedeva pel figlio secondogenito [Federigo] la mano della principessa Maria, unica erede del ducato» (ibid., p. 188). Tale “festa scenica mitologica”, Amore al tribunale della pudicizia, viene considerata come «la più antica delle feste teatrali urbinati di cui ci resti il ricordo» (ibid., p. 187).
  • 5. 4 cronistico urbinate, non ci restano ricordi molto precisi e minute notizie».11 Eppure, dato che «il carnevale doveva essere per le corti il momento più fervido, dal punto di vista culturale oltre che mondano»,12 proviamo in ogni caso a riportare le uniche due menzioni relative alle feste carnevalesche che siamo riusciti a rintracciare. «Fasto e magnificenza avevano adornato […] le feste nuziali di Battista, allorché […] andò in sposa a Federico. Si sa che nel novembre del 1459 «foro facti gran triumfi» a Pesaro, la sua città, indi nel febbraio ad Urbino, quando il marito la raggiunse e i festeggiamenti si unirono agli svaghi del carnevale».13 La menzione del carnevale è qui lapidaria; nessuna descrizione aggiuntiva dei “festeggiamenti”. Cerchiamo di trarre almeno una considerazione, relativamente al nostro tema, da questa notizia. Nel 1459 «aveva il duca di Milano [Francesco Sforza] desiderato di dargli per moglie [a Federico] Battista sua Nipote primogenita d’Alessandro [fratello di Francesco e signore di Pesaro]. […] Perciò il mese di Novembre […], Federigo trasferitosi a Pesaro, con infinita soddisfazione di quella Città, e di tutti i suoi sudditi sposolla; e poco dopo la condusse ad Urbino: con la quale però non consumò il matrimonio fino a’ diece del mese di febrajo l’anno seguente […]».14 Ora, il «diece del mese di Febrajo» del 1460 cade in pieno carnevale;15 ciò, però, non ci consente di fare alcun tipo di collegamento tra l’enfasi posta sul carnevale come periodo d’attività sessuale particolarmente intensa e lo spostamento dell’atto di consumare il matrimonio da parte di Federico. Piuttosto, alcune fonti additano, come motivo di questo rinvio, «la tenera età di Battista», «la quale non aveva allora che tredici anni».16 Altre, invece, fanno riferimento ad alcuni compiti che Federico avrebbe dovuto adempiere nel 1459, quali il siglare una pace al cospetto di papa Pio II con il signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta, a seguito di alcuni conflitti per «terre e castella».17 In questo caso, allora, Sembra implicito nel saggio che questa “festa scenica” possa essere considerata una sorta di “modello” per le feste teatrali che vennero realizzate in seguito. A livello formale, ciò potrebbe riguardare anche il carnevale; ma la questione rimane aperta almeno a livello contenutistico, essendo un encomio all’«amore onesto [che] “fiorisce infra virtù sempre leggiadre”», di contro alla «lussuria [che] è “varco a tutti i vizii” (ibid., p. 204, corsivo nostro). Il carnevale, invece, sembra avere tra i suoi temi principali “il sesso” ed essere «un periodo [licenzioso,] di attività sessuale particolarmente intensa» (P. BURKE, Cultura popolare nell’Europa moderna, Mondadori, Milano 1980, pp. 181-2). Almeno nella cultura popolare, l’esaltazione dell’“amore onesto” nel periodo di carnevale non sembra un tema particolarmente in voga. Che questa particolare forma di “amore”, che s’insinua qui in una rappresentazione scenica di carattere profano, sia il frutto di un’idea umanistica che si faceva spazio pian piano nelle corti, se non, per riflesso, tra il popolo? In tale sede, ci arrestiamo al porci la domanda; qualsiasi tentativo di risponderla scadrebbe solo in arbitrarie supposizioni. 11 Ibidem. 12 P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 263. 13 E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 313. 14 B. BALDI, Vita e fatti di Federigo di Montefeltro, 3 voll., Salvioni, Roma 1824, vol. II, Libro quarto, pp. 67-8. 15 A. CAPPELLI, Cronologia: cronografia e calendario perpetuo, Hoepli, Milano 1998, p. 80. Il carnevale del 1460 si chiude con il “mercoledì delle ceneri” il 26 febbraio. 16 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. I, Libro quinto, p. 387. 17 B. BALDI, Vita e fatti di Federigo cit., vol. II, Libro quarto, pp. 66 e 68-9. Nel 1459 sono già trascorsi ben cinque anni dalla pace di Lodi del 1454, che si ritiene assicurò stabilità all’intera penisola italiana; eppure, alla luce di tale vicenda, sembrerebbe ancora un tempo in cui «dovunque […] le discordie […] travagliavano i sudditi pontificii» (F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. I, Libro quinto, p. 389). Tant’è che il pontefice Pio II, «giunto dunque in Mantova, diede principio al Concilio, nel quale deplorò le miserie della cristianità: pianse la perdita dell’Imperio Greco, e d’altri Regni, e Provincie soggiogate dall’armi Ottomane; detestò le discordie del Cristianesimo, cagioni evidentissime della ruina nostra, e dell’esaltazione di quel Barbaro; e finalmente esortò tutti alla concordia, all’unione, ed alla pace. Furono [poi] accolti i suoi detti con applauso generale […] ma non seguiti con prontezza […], perciò che lasciato da parte il ragionare de’ Turchi si diedero gli Ambasciadori, ed i Principi a trattare que’ negozi, che a questo, o a quell’altro di loro privatamente importavano» (B. BALDI, Vita e fatti di Federigo cit., vol. II, Libro quarto, p. 64). Qui si stabilirono anche gli accordi di pace tra il signore di Rimini ed il signore di Urbino e, in seguito, «piacque poi al Pontefice, facendone grande instanza il Duca di Milano, che in segno di perfetta riconciliazione Federigo e Gismondo s’abboccassero insieme. […] Dopo questo il Pontefice si partì da Mantova per rimediare ad alcune discordie, e
  • 6. 5 l’unica illazione possibile è che il carnevale sia festeggiato in qualche modo in Urbino e che, forse, il Duca e la nuova Duchessa rendono partecipe il popolo ai propri festeggiamenti e, al contempo, si uniscono ad esso per quelli legati al carnevale.18 D’altronde non si tratterebbe di un’idea alquanto azzardata, considerando quanto siano connesse in maniera del tutto diretta la vita del popolo e quella dei Duchi a quest’altezza storica, come s’evince dalla nascita del primogenito maschio di Federico e Battista, Guidubaldo: «In nomine domini, in l’anno 1472 a dì 24 genaro […] naque al mio illustrissimo signore de la mia illustrissima madonna Batista Sforza uno figliolo maschio […]. Naque in cetà de Ugubio. Foro facte grande feste et fo facta demustratione per la comunità et pur tucti cetadini de grande alegreze. Duraro le feste di cetadini più dì, che omne dì festeggiava uno quartiere in palazo del comune et in piaza. Da poi el signore conte [cioè, Federico, nonostante l’appellativo di conte] fece festegiare omne dì in piaza per fine el martedì de carnovale, che fo a dì XIJ de febraio. El signore conte fecie anche fare più procesione et grande elemosine [….]».19 GUIDUBALDO DA MONTEFELTRO (1482 – 1508) Morto Federico nel 1482, «l’antica e magnanima stirpe di Montefeltro si ritrovò in gravissimo pericolo; perché i tempi grossi si avvicinavano per Italia, ed egli lasciava lo stato nelle mani di un fanciullo appena decenne».20 Tuttavia la giovane età di questo “fanciullo”, Guidubaldo, non gli impedì nel 1485 «di fare atto di ossequio col nuovo pontefice [Innocenzo VIII], chiedendo la solita investitura del suo Stato, della quale aveva bisogno per la morte del padre, e che facilmente ottenne».21 Nonostante l’importanza della carica ricevuta, «giunto il principio dell’anno 1487», ritroviamo Guidubaldo «con la gioventù […] intento agli spassi del Carnevale».22 Eppure non si trattava affatto di un signore incapace di regnare e facile a comportamenti sedizioni cittadinesche, le quali perturbavano la Toscana, l’Umbria e la Marca. […] Giunto in Siena, ove si fermò quasi un anno, sopì, ed acquetò le sedizioni, che tre anni addietro l’avevano malamente trattata. Nella qual Città, mentre si tratteneva, parve a Federigo di tornar di nuovo a visitarlo. Onde partito da Urbino a’ quattordici di Febrajo, quattro giorni, dopo aver consumato il Matrimonio con la moglie, giuntovi, fu benignamente veduto […], ed ottenuta la benedizione, tornò a fare il residuo del Carnevale con la novella Sposa in Urbino. Ma non fu molto lunga la sua quiete richiamandolo a nuove fatiche gli strepiti, che già si facevano maggiori nel Regno di Napoli» (B. BALDI, Vita e fatti di Federigo cit., vol. II, Libro quarto, pp. 68-9). 18 È possibile infatti che il carnevale fosse «una festa di tutti: a Ferrara [ad esempio], sul finire del Quattrocento, il Duca si univa al divertimento generale, girando mascherato per le strade ed entrando nelle case dei privati per danzare con le dame; a Firenze, Lorenzo de’ Medici e Niccolò Machiavelli prendevano parte al carnevale» (P. BURKE, Cultura popolare cit., Mondadori, Milano 1980, p. 28). 19 SER GUERRIERO DA GUBBIO, Cronoca di Ser Guerriero da Gubbio dall’anno MCCCL all’anno MCCCCLXXII, a cura di G. Mazzatinti, Lapi, Città di Castello (PG) 1902, p. 89. 20 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro ottavo, p. 41. I “tempi grossi”, probabilmente, è detto in riferimento al cinquantennio 1494–1554, nel corso del quale si combatterono le Guerre d’Italia, le quali furono la «rivelazione di quanto più potente e attuale fosse il modello delle ‘nuove’ monarchie rispetto alle altre formazioni statuali» (F. BENIGNO, L’età moderna: dalla scoperta dell’America alla Restaurazione, Laterza (Manuali di base [31]), Roma-Bari 2011, p. 16). 21 Ibid., vol. II, Libro ottavo, p. 47. 22 B. BALDI, Della vita e de’ fatti di Guidubaldo I da Montefeltro: duca d’Urbino, 2 voll., Silvestri, Milano 1821, vol. I, Libro secondo, p. 78. Tra l’altro viene sottolineato che, in questo periodo, «nacquero alcune controversie tra il comune d’Urbino e quello di Fano. Pretendevano i fanesi che gli urbinati, possessori de’ beni stabili nel distretto loro, fossero per antica ed immemorabile usanza tenuti a pagar alcune tasse, e perciò si dolevano, che da certi anni addietro avessero cessato di pagarle, e al presente cessassero, querelandosi eziandio del Duca, quasi che non osservasse loro alcuni capitoli antichi, cioè che al loro Comune fossero pagate le pene da quei sudditi ducali che venivano condannati dei danni dati e maleficj commessi nel distretto di Fano» (ibidem, corsivo nostro). Ora, non possiamo formulare troppe ipotesi azzardate, in assenza di analisi diretta dei documenti – nonostante ad alcune fonti si potrebbe risalire, in quanto viene riferito che, in occasione di tale vicenda, il Papa, «con Agostino Staccoli, suo ambasciatore in Roma, si versò in lamenti e minacce contro [Guidubaldo I], e mandò in corte d’Urbino brevi fulminanti, scrivendogli una lettera, dei 26 luglio 1488, che si rappaciasse con quel popolo (F. UGOLINI, Storia dei conti e
  • 7. 6 puerili: «nulla aveva pretermesso Federico affinché il piccolo Guidobaldo avesse un’educazione quale a principe si conveniva; e già si vedevano manifesti segni, che al buon seme rispondevano buoni frutti; e che il discepolo avrebbe accresciuta la fama già grande del precettore [padovano] Ludovico Odasio».23 Non a caso Urbino fu resa grande in epoca rinascimentale anche grazie alla cultura ed al mecenatismo (patronage) di Guidubaldo; è grazie a lui che «appaiono in Urbino, mescolate, le più varie culture di quest’epoca di transizione: i modelli del mondo cortese medievale e le tradizioni classiche, bibliche, astrologiche, mitologiche, ricercate dal mondo rinascimentale».24 In tale frangente storico, considerando i “modelli del mondo cortese” e le “tradizioni” auliche ai quali sembrano interessarsi i duchi, non era tanto la festa popolare con la sua riottosità ad imporsi ma era, piuttosto, un’«atmosfera [allo stesso tempo] umanistica e festaiola [quella dominante alla] corte d’Urbino».25 Sulla scorta di tali constatazioni è possibile sostenere, allora, che «a Urbino, nell’età successiva a Federico, dominata, intorno alla figura del figlio Guidubaldo, dalla presenza di Emilia Pia [moglie del fratello di Guidubaldo, Antonio da Montefeltro] e [della Duchessa, moglie di Guidubaldo,] Elisabetta Gonzaga (cui si aggiungevano le frequenti visite della cognata Isabella d’Este), lo spettacolo cercava una dimensione più intima, uno spazio, che in parallelo alle feste e alle cerimonie ufficiali, offrisse a una cerchia più ristretta una misura, se non familiare, almeno privata. Possedevano questo carattere le feste organizzate per i carnevali».26 Così, già «descrivendo i festeggiamenti che furono fatti in Urbino nel febbraio del 1488 per celebrare le nozze di Elisabetta Gonzaga con Guidubaldo da Montefeltro, Benedetto Capilupo, che aveva accompagnato da Mantova la sposa alla sua nuova famiglia, con l’incarico di tenere minutamente e giorno per giorno informati i suoi signori del vario succedersi delle feste e degli avvenimenti, scriveva fra l’altro [che le feste toccarono il loro apice] “el mercori (13 febbraio) [quando] si fece una bellissima rappresentazione”.27 La “bellissima rappresentazione”, in mancanza di riscontri specifici, può essere considerata come parte di una festa privata, ristretta ai signori del Palazzo Ducale. Se così fosse, in pieno periodo di carnevale, si registrerebbe una festa che raggiunge il suo acme nella forma di un divertimento privato e non popolare. Senza lasciarci traviare da tale constatazione, riportiamo alcune annotazioni del fedele segretario di Elisabetta, Benedetto Capilupo, e di uno degli storici dei Montefeltro, Bernardino Baldi: «El sabato che fu a dì nove (febbraio)»28 c’è l’entrata di Elisabetta in Urbino dove «furono […] eretti archi, statue, fatte preparazioni di fuochi con vari artificj, preparate con larga spesa commedie, spettacoli pubblici».29 Poi «per quello zorno essendo tutti stanchi non si fece duchi cit., vol. II, Libro ottavo, p. 59). Eppure rimane la tentazione di vedere una qualche correlazione tra il carnevale come “festa di aggressione, distruzione e dissacrazione” (P. BURKE, Cultura popolare cit., p. 182) e quei «danni dati e maleficj commessi nel distretto di Fano», perché accaduti proprio in quel periodo. 23 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro ottavo, pp. 41-2. 24 P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 255. In un articolo, nel quale Cecil Clough cerca di rintracciare il rapporto tra le corti italiane e l’Inghilterra, al fine di pesare «the influence of the Italian Renaissance on England», sostiene che «duke Guidobaldo had little to spare for artistic patronage but his Court was claimed in Castiglione's Courtier as that preeminent in Italy for its culture, and, in consequence, accepted as such in Elizabethan England» (C. H. Clough, The relations between the English and Urbino courts (1474-1508), in «Studies in the Renaissance, vol. 14 (1967) p. 203). 25 G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 310. 26 E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 326-7. Si presti attenzione, però, al fatto che definire questa “misura, se non familiare, almeno privata” che iniziarono ad assumere le feste di corte, comprese le feste di carnevale, è un’operazione complessa. Infatti «è anche notabile ciò che scrive lo stesso Bembo: che, cioè, in quella corte tutto facevasi in pubblico; e il duca era tanto amato e riverito dal suo popolo, che questi non istimava lui nato dalla famiglia di Montefeltro, ma nato nella famiglia propria; e in ciò si mostrava figlio degnissimo di Federico» (F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro nono, p. 150). Il punto è particolarmente delicato; la questione privato/pubblico, festa di corte “disciplinata”/festa di popolo “licenziosa” non può essere di certo risolta in tale sede, ove ci si limita ad evidenziare il carattere di alcuni carnevali, semmai solo abbozzando conclusioni in via ipotetica o semplici pareri. 27 A. SAVIOTTI, Una rappresentazione allegorica cit., p. 206. La Pasqua dell’anno bisestile 1488 cade il 6 aprile, “le ceneri” sono mercoledì 20 febbraio e, quindi, giovedì 14 febbraio, nel quale si protrae la festa che segue la “rappresentazione” di “mercori (13 febbraio)”, è proprio giovedì grasso (cfr. A. CAPPELLI, Cronologia cit., p. 66). 28 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino: Isabella d’Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche, Roux & C., Torino 1893, p. 18. 29 B. BALDI, Della vita e de’ fatti di Guidubaldo cit., vol. I, Libro terzo, p. 101.
  • 8. 7 altro».30 Il pranzo nuziale previsto per la domenica «fu differito a lunedì et se ballò solamente nel salotto et le donne urbinate tocarno la mane alla ill.ma M.a Duchessa». 31 Lunedì vi fu la cerimonia e, ritornati a Palazzo, ci fu il pranzo che «furono tri pasti inserti in uno solo […]. El marte non si fece altro che balare et lo Ill.mo S. Duca fece tri suoi gentilhomini cavalleri, et la notte circa le III hore trette la cirandola che haveano posta nanti la porta de la corte, la quale per pocho spacio che durò fu bella et bene ordinata. El mercori si fece una bellissima rappresentazione de più significati […]».32 Con «rime elegantissime» si dibatte circa «quale fusse miglior vita o la matrimoniale o la verginale», per poi notare «che se ognuno servasse verginità mancharia la generatione humana et saria contra la institutione divina: crescite et multiplicamini, ecc... et per consequiens mancharia la verginità, et allegando molti pericoli de la fragilità nostra concluse più secura et laudabile essere la vita matrimoniale. […] Fornita la rapresentatione fu portata la colactione de zuccharo lavorato con gran magisterio in diverse cose. […] Poi per ultima cosa fu portata una nave de ligno grande con trezia dentro ne la quale erano tri homini che mostravino navigare e con le sesole [cioè, con le palette] butavino per la sala el confetto […]. Zobia se ballò et uno che bramava d’essere cavalere de la gatta ebe la gratia, perché se conzignò una gatta ligata a traverso a un asse suso uno tribunaletto fatto a posta: et con la testa rasa l’amazò non sanza suo danno, perché fu molto ben da li denti et zanche suoe martirizato […]. Dopo questo un altro homo andò sopra una corda tirata da uno capo a l’altro de la sala alto quanto puotè andare, et attacato ad essa hor con le mani, hora con li piedi fece de mirabili atti, che a tutti noi a guardarlo in servitio suo facea paura».33 Balli sontuosi, lauti pasti, rappresentazioni, giochi (come «il cruento esercizio di ammazzare una gatta con il capo raso, diffuso nelle corti italiane del tempo»34 o come le esibizioni acrobatiche); tutta una serie di elementi che vengono alla luce in occasione di un matrimonio, è vero, ma di un matrimonio celebrato in perfetta sincronia con il periodo di carnevale. Pertanto, si tratta di elementi che potrebbero caratterizzare il carnevale stesso; un carnevale, però, che non sarebbe tanto “popolare”, in quanto le feste si consumano nella “sala” (e non nella piazza), nel “Palazzo” (e non in città) o, al massimo, “nanti la porta della corte” (e non per le vie). La questione rimane tuttavia controversa perché, di fatto, i festeggiamenti del popolo, in parte, coinvolgono e s’intrecciano con la vita di corte. Per esempio, si volga per un attimo lo sguardo alla corte di Mantova: «Le nozze di Francesco Gonzaga con Isabella d’Este furono celebrate a Ferrara il 12 febbraio 1490 […]. La sposa […] fu [poi] accompagnata a Mantova e […] grandiose furono le accoglienze e le feste [del popolo, dunque?]: rappresentazioni, concerti, pranzi e danze, che durarono fino all’ultima notte di Carnevale. [...] Tra i più cospicui [forestieri, accorsi a Mantova per l’occasione,] figuravano il Duca e la Duchessa d’Urbino».35 Il tema rimane complesso. Per facilitare la nostra analisi, accantoniamo le commistioni tra popolo e corte focalizzando la nostra attenzione esclusivamente sulle feste di quest’ultima durante il periodo di carnevale. Va detto che, in merito alla festa (o spettacolo) di corte, c’è chi ha sostenuto la necessità di compiere una distinzione, per «non continuare a confondere sotto [questa] comune etichetta […] due ‘generi’ in realtà notevolmente diversi: lo spettacolo ufficiale [tendenzialmente pubblico], rivolto alle cerimonie di rappresentanza politica, e la festa di intrattenimento [tendenzialmente privata], anch’essa di matrice cortese ma avente lo scopo di divertimento e di passatempo».36 Stando a tale definizione, nello “spettacolo ufficiale” 30 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 19. 31 Ibid., p. 20. 32 Ibid., pp. 20-1. 33 Ibid., pp. 22-4. 34 E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 325. 35 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 51. 36 E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 308.
  • 9. 8 rientrerebbero «il banchetto di accoglienza (che includeva la rappresentazione di azioni mimiche, recitate, danzate), la giostra e talvolta la messinscena di un soggetto devoto». Diversamente invece, elementi caratteristici dello “spettacolo di intrattenimento”, della “festa privata”, sarebbero «la declamazione di brevi componimenti, di farse in versi, di egloghe e di pastorali, spettacoli dei quali in certa misura si conoscono i testi. Facevano parte degli stessi intrattenimenti [per esempio] le veglie di cui Il Cortegiano del Castiglione costituisce la relazione più ampia». In questo senso (e solo in questo senso), possiamo allora definire – come vedremo – il carnevale alla corte di Urbino durante il periodo di Guidubaldo (o, meglio, durante l’ultimo periodo del ducato di Guidubaldo) come “festa privata”. Eviteremmo così le difficoltà dell’intreccio popolo/corte e, allo stesso tempo, quello tra spettacoli di corte dai risvolti pubblici (come le feste matrimoniali durante il carnevale) e spettacoli di corte dal carattere più privato (come le rappresentazioni di commedie durante il carnevale). Ma questo al prezzo di definire il carnevale “festa privata”, appunto; al prezzo di chiudere il carnevale di corte in un microcosmo, in un Palazzo, quando sappiamo che questo si sviluppò in passato come «maggiore festa popolare dell’anno», nelle «strade principali e [nelle] piazze [che] si trasformano in palcoscenico» per l’evento.37 Relativamente ad una questione tanto grande, non è dato pronunciarci, almeno per ora; lasciamo spazio e voce, piuttosto, al modo in cui vennero vissuti alcuni carnevali alla corte di Guidubaldo. È un luogo comune che Guidubaldo fosse impotente;38 di conseguenza, «asseriscono gli storici che a distrarre la giovane e sfortunata sposa, [il Duca] ordinasse caccie, feste e spettacoli».39 Tra queste attività, al principio del XVI secolo, figura pure il carnevale, il quale, quantomeno, doveva essere un momento di richiamo per personalità eminenti.40 Viene ad esempio creata (perché non si sa se fondata o meno) «la 37 P. BURKE, Cultura popolare cit., p. 178. 38 Cfr. A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 34. 39 Ibid., p. 36. In queste occasioni, in teoria, «lo secondavano i popoli» (ibidem). Tuttavia il sostegno nelle fonti è alquanto generale: «Con grandissimo diletto della Duchessa [non smettevano] i popoli, a gara l’uno dell’altro, di somministrar [ai duchi] que’ trattenimenti che potevano, e particolarmente que’ giuochi, ne’ quali, e per natura e per uso, si sentivano di valere. Perciocché molte città vediamo noi compiacersi per invecchiata consuetudine d’alcuni esercizi e giuochi particolari […]. I luoghi del Lazio non possono ancor dimenticarsi delle antiche lotte. Firenze ama il giuoco del Calcio faticoso e pericoloso, e tuttavia con gran concorso esercitato da’ nobili. Pisa con vera imagine di non vera battaglia, divisa dall’Arno in due parti contrarie di fazione, combatte con grande ardore, e quasi che nel giuoco non dà giuoco, il suo Ponte. Quelli d’Agobbio hanno per trastullo il provocarsi con le pugna, e coll’offender sé medesimi, far piacere, e porger diletto a chi li mira […]. Gli Urbinati anch’essi hanno un giuoco quasi che proprio loro, non indegno certamente d’esser annoverato fra’ nobili e militari, e chiamasi l’Aita, ed esercitasi nelle stagioni più calde [probabilmente non per carnevale, dunque], in un luogo in Corte, fatto costruire artificiosamente e con grandissima spesa da Federigo, a guisa di anfiteatro o di arena, e dicesi Mercatale, dall’uso a cui ordinariamente serve. Quivi dunque la gioventù, divisa in due parti, e vestita con vesti che s’accostano al nudo, sfidandosi scambievolmente gli avversari al corso, ed aiutandosi (e ciò dà il nome al giuoco) i compagni fra loro, ne risulta una dilettevolissima guerra, la vittoria di cui si rimane a quella parte che degli avversari, correndo, fece numero de’ prigioni maggiore, e si guadagnano premj, che da’ Principi a’ vincitori sogliono liberalmente proporsi. Con questi dunque ed altri giuochi, sì come è detto si sforzavano i popoli di tenere allegra la novella Duchessa» (B. Baldi, Della vita e de’ fatti di Guidubaldo cit., vol. I, Libro terzo, pp. 105-6). Gli stessi Luzio e Reiner riferiscono che potrebbe «darsi che codesti scrittori abbiano voluto vedere troppo addentro nelle intenzioni del Duca», perché diversamente si spiegano tanto questi “giuochi” quanto le “cacce, feste e spettacoli” di cui si occupò Guidubaldo (A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 37). 40 A differenza del periodo di Quaresima. Si pensi ad Elisabetta Gonzaga che, venuta a conoscenza che la cognata Isabella d’Este voleva compiere «un pellegrinaggio a Loreto» nel 1494 e stazionare in Urbino, le raccomandò di non passare, mandandole incontro un messo, «il quale le disse che in un paese montagnoso come Urbino non avrebbe
  • 10. 9 notizia che nel 1501 il carnevale di Urbino doveva essere particolarmente sontuoso per la presenza di Cesare Borgia, occasione in cui avrebbe conosciuto [una] dama [della corte di Elisabetta, in seguito rapita]. In ogni caso la Bellonci non dice quali furono i divertimenti offerti al Valentino».41 Ancora: il 18 gennaio 1502 passa da Urbino la sorella di Cesare Borgia, la quale qui «rimase [fino] al 19 a riposarsi e godersi le feste che i duchi di Urbino le avevano preparato»; ma delle feste non sappiamo granché.42 Tutt’altro carattere ebbe invece «il carnevale del 1504 [che] fu particolarmente gaio»:43 «tra molte feste, si ritrassero anche in una curiosa rappresentazione storica i fatti capitali che si erano maturati in due anni».44 Infatti, dal giugno 1502 fino all’agosto 1503, il Ducato d’Urbino era stato preso a tradimento da Cesare Borgia, il quale, con la protezione del padre Alessandro VI (1492-1503), aveva tentato di costruire in Romagna e nelle Marche un dominio personale.45 Così nel carnevale del 1504 «si sperimentavano ‘generi’ rappresentativi già più vicini al teatro moderno, come [la] rievocazione storica […] dei fatti del duca Valentino (un ‘genere’ che, avendo a soggetto eventi di attualità, era diffuso nei trattamenti scenici delle corti) [e] una “commedia” di Vincenzo Calmeta».46 Ed ancora, per quanto riguarda la sperimentazione di “‘generi’ rappresentativi”: nel 1506, «volendo trattenere con qualche dilettevole invenzione quella fioritissima corte, [Castiglione] compose e recitò […] la celebre egloga intitolata “il Tirsi”», nella quale «sotto il pastoral velo fu fatta menzione della S. Duchessa», e «fu fatta recitare ad un carnevale con la più bella moresca che sin allora fosse mai stata fatta».47 Sulla scorta di queste constatazioni, sappiamo che, a partire da questo momento, «usava Guidubaldo di adunare la sera nella fredda stagione, la quale in Urbino è più lunga che altrove [e, con tutta probabilità, comprendeva persino l’intero periodo di carnevale], tutte quelle gentildonne e que’ cavalieri che stavano presso di lui; e in queste conversazioni si facevano giuochi, non futili come i nostri, ma che esercitavano e aguzzavano lo spirito».48 Anche se il ducato di Guidubaldo non avrebbe durato ancora a lungo – giacché «tormentato dalla gotta, si spegneva di soli 35 anni nella primavera del 1508» –,49 probabilmente fu in tale contesto che iniziò davvero a spiccare e a consolidarsi pian piano il carattere del carnevale come “festa privata”: «per il carnevale [ora] venivano scritti appositamente versi, madrigali, se non commedie. Umanisti e letterati dovevano essere sempre presenti alla corte di Urbino, come appare dal Libro del Cortigiano, ed anche dalle lettere che si trovano a Mantova con notizie di scambio, tra le corti, di tali celebrità.50 A questo punto vale la pena soffermarci, per quanto brevemente sull’opera di Castiglione. potuto essere convenientemente onorata in quaresima, per mancanza di pesce» (A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 72-3). 41 P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., pp. 263-4. 42 Ibidem. 43 G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 317. 44 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 152-3. 45 Cfr. B. BALDI, Della vita e de’ fatti di Guidubaldo cit., vol. I, Libro sesto, pp. 207-265 e F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro nono, pp. 87-163. 46 E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 327. 47 G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 318. 48 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro nono, p. 161. 49 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 182. 50 P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 263. A titolo di emblematico si consideri il carnevale del 1507 alla corte di Urbino, nel quale ritroviamo il Bembo a recitare delle rime (ibid., p. 266), «sotto la maschera di ambasciatore di Venere che gli celava il volto» (E. G. ZORZI, Festa e spettacolo cit., p. 329), per poi rammaricarsi della loro qualità e del contesto in cui saranno fruite, nel caso non fosse “carnevalesco”, perché le ha «tessute con frezzoloso subbio questi dì piacevoli, che per antica usanza si donano alla licenza e alle feste» (P. BEMBO, Lettere, op. cit., vol. I, Lettera (254) del 22 febbraio 1507, pp. 248-9).
  • 11. 10 UNA PICCOLA PARENTESI: IL CORTEGIANO Baldassare Castiglione, nobile della provincia di Mantova, nel 1504 si trasferì, su sua richiesta, alla corte dei duchi d’Urbino, ove fu impegnato come diplomatico da Guidubaldo e dal suo successore, Francesco Maria I Della Rovere. Il suo opus maius, il Cortegiano, è «un’opera teatrale piuttosto che un trattato […]. L’ambientazione del dialogo è il Palazzo Ducale di Urbino […]. Il tempo è l’anno 1507 […].51 I quattro libri [che lo compongono] corrispondono ai quattro atti di una commedia, quattro serate in successione nel corso delle quali la corte che circonda la duchessa Elisabetta Gonzaga (il duca, sofferente [per la gotta], si è ritirato presto per la notte), si dedica al passatempo di discutere le qualità del perfetto cortigiano».52 Sicuramente, Castiglione, in virtù anche delle lunghe e continue revisioni dell’opera, «dimostra la crescente determinazione a trasformare nel libro una esperienza storica concreta (la corte di Urbino) in una dimensione modellizzante, in grado di trasmettere informazioni valide ovunque, nel tempo».53 Eppure, va riconosciuto che, innanzitutto, al dotto autore «premeva […] che la materia del racconto, benché straordinaria, fosse radicata in una esperienza storica e di vita».54 Pertanto, ciò che egli espone nell’opera, almeno in parte, lo potremmo considerare come una fonte storicamente attendibile. Relativamente al nostro tema, seppure in maniera generale e non strettamente o direttamente legata al carnevale, riportiamo solamente alcune citazioni. Alla corte di Urbino, «consuetudine di tutti i gentilomini della casa era ridursi sùbito dopo cena alla signora Duchessa; dove tra l’altre piacevoli feste e musiche e danze che continuamente si usavano, talor si proponeano belle questioni».55 Questo «usato stile delle feste e piaceri ordinari»56 continuava anche al tempo in cui papa Giulio II, Giuliano Della Rovere, stazionò in Urbino il 3 marzo 1507, di ritorno dalla sottomissione di Bologna, realizzata in ossequio alla sua politica di rafforzamento politico e militare dello Stato della Chiesa.57 Nel corso del dialogo tra i presenti alla corte viene espresso disprezzo verso i «molti gentilomini giovani […], che le feste ballano tutto ‘l dì nel sole coi villani e con essi giocano a lanciar la barra, lottare, correre e saltare».58 Infatti il cortigiano, deve sempre mantenere una certa nobiltà, pur senza ostentarla ma lasciandola emergere con “sprezzatura”, così come quando danza «par gli si convenga servare una certa dignità, temperanza però con leggiadra ed aerosa dolcezza di movimenti».59 51 Castiglione «carefully fixes the date of the discussions at Urbino by expressly relating them in his text to two actual historical events: his diplomatic journey to England in the fall and winter of 1506-1507 in order to receive the Order of the Garter for Duke Guidobaldo, and Pope Julius II's visit to Urbino after his successful subjugation of Bologna to papal authority in March 1507» (W.A. REBHORN, Courtly performances: masking and festivity in Castiglione's book in the Courtier, Wayne State University Press, Detroit 1978, p. 53). Più precisamente, dunque, il tempo è marzo 1507 (pur non essendo questo periodo di carnevale, già concluso con “le ceneri” il 17 febbraio – cfr. A. CAPPELLI, Cronologia cit., p. 62). 52 P. BURKE, Le fortune del Cortegiano: Baldassarre Castiglione e i percorsi del Rinascimento europeo, Donzelli editore, Roma 1998, p. 27. 53 U. MOTTA, Castiglione e il mito di Urbino: studi sulla elaborazione del “Cortegiano”, Vita e pensiero, Milano 2003, p. 15, corsivo nostro. 54 Ibid., p. VIII. «Il libro era inteso soprattutto come un esercizio di autobiografia, un’evocazione proustiana di un tempo perduto quando l’autore era nel “fiore” della giovinezza, una resurrezione di amici spariti e una affettuosa ri- creazione della corte di Urbino com’era stata nel 1506, prima che la sua serenità venisse distrutta dalla guerra» (P. BURKE, Le fortune del Cortegiano cit., p. 34). 55 B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, a cura di G. Preti, Einaudi, Torino 1965, Libro primo, V, p. 15. 56 Ibid., Libro primo, VI, p. 17. 57 Cfr. A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 174. 58 B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, op. cit., Libro secondo, X, p. 104. 59 Ibid., Libro secondo, XI, p. 106.
  • 12. 11 La festa alla corte di Guidubaldo sembrerebbe evento ordinario; tuttavia al cortigiano, che ne prende parte, occorre «in tutte le sue azioni molta cortesia e molta discrezione»,60 «discreta modestia» ed il «dar bona opinione di sé».61 Nel caso delle feste di carnevale a corte, questi nuovi ideali umanistici, questi valori storici che Castiglione pare trovi riflessi in Urbino, finiscono inevitabilmente per mutarne profondamente le caratteristiche originarie. La festa e, assieme ad essa, di conseguenza, lo stesso carnevale, sembrano delinearsi sempre più come pacate “feste private”, all’insegna della cortesia e del buon senso: «per riuscire a sintetizzare in una frase ciò che l'autore [Castiglione] è riuscito a fare [col Cortegiano] si potrebbe dire che ha contribuito ad adattare l'umanesimo al mondo della corte, e la corte al mondo dell'umanesimo».62 «Nel Cinquecento […] dopo aver avuto negli ultimi secoli del Medioevo manifestazioni “miste”, sia popolari che aristocratiche, sia private che di piazza, il carnevale diventa un fenomeno sempre più “elitario”, come in generale quello della festa nel pieno e tardo Rinascimento. [Ritroviamo un tipo di] festa sempre più chiusa e rivolta a un pubblico sempre più elitario e “scelto”, sempre più concepita per essere rappresentata all’interno della corte […], o per costituire un’occasione per essa di mostrarsi all’esterno».63 Della Rovere FRANCESCO MARIA I DELLA ROVERE (1508 – 1538) Guidubaldo morì nel 1508 senza lasciare eredi ed il Ducato passò nelle mani del figlio adottivo, Francesco Maria I Della Rovere, nipote di Giulio II, figlio della sorella maggiore di Guidubaldo e del signore di Senigallia, Giovanni Della Rovere.64 «Il nuovo Duca […] era avvenente della persona, ma di carattere violento […], dato alle arti della guerra, più che a quelle pacifiche che allettarono Guidubaldo».65 Ciò non costituì un buon motivo affinché le feste di carnevale in Urbino s’interrompessero; anche se spesso Francesco Maria I era impegnato come condottiero al soldo del papa, le «rappresentazioni si fecero malgrado [le] guerre scoppiate e divampate in Italia».66 60 Ibid., Libro terzo, II, p. 215. 61 Ibid., Libro terzo, IX, p. 224. 62 P. BURKE, Le fortune del Cortegiano cit., pp. 34-5. 63 G. CIAPPELLI, Carnevale e quaresima cit., p. 283. Aggiungiamo a margine alcune considerazioni di vario genere, a supporto di quanto qui espresso in pura via ipotetica. Riguardo al carattere sempre più “elitario” delle feste, nonostante tanto la celebrazione popolare quanto la festa di corte testimonino «the transformation of society into community, in popular celebrations the emphasis falls on freeing men and women from normal social restraints, which are parodied and travestied. In the kind of festivity depicted in Il Cortegiano, normal social restraints are simply set aside rather than mocked, and the emphasis falls on transforming social intercourse to reflect the greatest humanity and sociability consistent with fairly elevated standards of decorum» (W.A. REBHORN, Courtly performances cit., p. 17). Invece, a proposito della festa come “occasione per mostrarsi all’esterno”: «se dovessi definire le feste di corte rinascimentali in relazione al principe, direi che il loro obiettivo principale era costituito dal potere concepito come forma d’arte. La festa permetteva al sovrano e alla sua corte di identificarsi momentaneamente con i modelli eroici proposti: per un istante principi e cortigiani incarnavano realmente quelle ‘idee’ di cui erano soltanto un riflesso terreno. L’universo della festa di corte è un mondo ideale in cui la natura, accuratamente ordinata e controllata, viene spogliata di tutti i potenziali pericoli. In quelle manifestazioni trova la sua affermazione estrema la fede rinascimentale nelle capacità dell’uomo di determinare il proprio destino e di imbrigliare le risorse naturali dell’universo» (R. STRONG, Arte e potere: le feste cit., p. 70). 64 Cfr. F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro decimo, pp. 163-218. 65 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 189-190. 66 L. CELLI, Un carnevale alla corte di Urbino e la prima rappresentazione della “Calandria” del card. Bibbiena, in «Nuova rivista Misena», anno VII (1894), fasc. 12, p. 3.
  • 13. 12 Così «ad Urbino si allestiscono spettacoli e divertimenti vari, nel 1511, essendo ospite Federico Gonzaga [figlio di Francesco, Marchese di Mantova], i duchi e i loro ospiti ballano, assistono ad una commedia e a un’egloga pastorale la domenica di Carnevale. Il lunedì dopo il ballo viene presentata un’altra egloga definita pastorale e che ha per argomento la cronaca locale. Il giorno successivo balli e mascherate. Nessuna notizia circa gli argomenti e i modi della rappresentazione».67 I balli, la «commedia non molto laudabile, né d’invenzione né ben recitata», l’egloga della domenica, di nuovo, non sono feste popolari ma si svolsero «da un parente dil sposo della Garassina», privatamente.68 Parimenti, «lune si ballò in corte e si fece un’egloga [...] in scorno e biasimo d’uno povero servitor del duca Guido».69 Quasi per contrasto a queste poche notizie, che, però, sembrano confermare il carattere che le feste di carnevale avevano iniziato ad acquisire almeno ai tempi di Guidubaldo, «del carnevale del 1513, anno in cui fu rappresentata La Calandria, se non tutto, molto si sa».70 Questa festa cadde in un momento storico particolarmente “felice” per il Ducato d’Urbino: il 5 agosto 1512 morì a Gradara Ascanio Sforza, signore di Pesaro, e, «essendo senza figli, quella signoria ricadeva alla Chiesa […]. Ma Francesco era in credito della Camera apostolica di assai [grande] somma per provvisioni decorse, e per molte spese sostenute nell’ultima ricuperazione della Romagna, e nell’acquisto di Parma, Piacenza e Reggio: sicché il tesoro pontificio, esausto dalle passate guerre, essendo impotente a pagare sì grosso debito, gli fu ceduta, assenziente il collegio de’ cardinali, la città di Pesaro col suo territorio. [In seguito, il figlio di Francesco Maria I], Guidubaldo II, amò Pesaro sovra tutte le città del suo stato, e molto l’adornò», sino al punto da trasformarla nella nuova capitale del Ducato, sede di nuove sontuose feste.71 Facendo un passo indietro, indugiando ancora un po’ nel 1513: «Francesco-Maria, ultimate le cose di Pesaro, era tornato ad Urbino, dove essendo in tempo di carnasciale con balli, canti e feste a’ suoi popoli ed a lui dava solazevolmente piacere. E mentre con tai diporti li pasceva, tre novelle comedie, l’una di Nicola Grassi […], l’altra di Guidubaldo Rugiero da Reggio allora di anni quattordici, recitata da putti non maggiori di sua etate, la terza di Bernardo Bibbiena, detta la Calandra […]».72 Per quanto concerne la Calandria, sono già stati realizzati lavori pressoché definitivi e non è il caso di spendere ulteriormente parole a riguardo.73 Invece «delle prime due commedie e dei loro autori accennati […] ben poco si può ancora aggiungere».74 Eppure desta curiosità, quantomeno, il quattordicenne Guidubaldo Ruggiero da Reggio che recita a Palazzo, dove si trova in qualità di figlio di un «ospite [...] alla corte di Urbino come giureconsulto e consigliere di Francesco Maria».75 Ma la presenza di questo fanciullo a corte non ha riscosso ancora molto successo nella letteratura critica, che facilmente lo accantona definendolo semplicemente come «uno dei tanti bambini prodigio, prodotti dalla cultura umanistica».76 L’attenzione, di quanti hanno studiato il carnevale del 1513 in Urbino, si è invece soffermata per lo più 67 P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 274. 68 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., p. 203. 69 G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 319. 70 P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 274. 71 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro decimo, pp. 191-2. 72 L. CELLI, Un carnevale alla corte cit., p. 6. 73 Cfr. F. RUFFINI, Commedia e festa nel Rinascimento: la “Calandria” alla corte di Urbino, Il mulino, Bologna 1986. 74 G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 325. 75 Ibid., p. 326. I giovani «sono un gruppo liminale nel senso che si collocano su una soglia, la soglia fra ciò che non sono più e ciò che non sono ancora nel caso di riti di passaggio relativi ad un loro effettivo cambiamento di status, ma anche la terra di nessuno del non essere, della marginalità, che li rende particolarmente adatti a fungere da tramite, da soggetto che può rappresentare ritualmente la comunità, assumendo anche comportamenti che trasgrediscono l’ordine morale delle cose. È per entrambi questi motivi che essi hanno un ruolo particolarmente importante nelle celebrazioni carnevalesche» (G. CIAPPELLI, Carnevale e quaresima cit., p. 251). 76 G. L. SCARAVAGLIO, Rappresentazioni drammatiche alla corte cit., p. 326.
  • 14. 13 sull’importanza nella storia del teatro di queste “rappresentazioni”; non possiamo tacere in proposito un’interessante annotazione: «il 1513 non va considerato solo come anno di partenza, nel teatro italiano, ma come anno di arrivo in cui coagulano in un tipo di teatro tutti i tipi di “rappresentazione”. Sotto il termine “rappresentazione” si possono raccogliere varie manifestazioni, la festa, lo spettacolo, la commedia che hanno apparentemente aspetto diverso, ma strutture teatrali simili e comunque riconducibili ad un unico progetto culturale. Lo spazio scenico varia dal territorio extraurbano […] alla chiesa […] alla sala del palazzo […] e ancora può essere la piazza […] ma sempre lo spazio naturale viene mutato “secondo criteri […] di ordine e simmetria”, il cui scopo “era quello di presentare… la città ideale».77 Intanto «nella notte dal 20 al 21 febbraio 1513 Giulio II [morì]. L’11 marzo 1513 fu proclamato pontefice il cardinale Giovanni de’ Medici, che prese il nome di Leone X. […] Papa de’ Medici non rifuggì dallo scacciare il Duca di Urbino per gratificare il proprio nipote [e così] il 18 agosto 1516 Lorenzo [di Piero de’ Medici, nipote del Magnifico,] era creato dal Papa Duca d’Urbino».78 Soltanto nel 1521 Francesco Maria I riuscì a riconquistare lo Stato con le armi79 e «la primavera del 1523 vi richiama il figlio [Guidubaldo II, avuto dalla sposa Leonora Gonzaga] che va a risiedere, col resto della corte, a Pesaro, da questo momento capitale effettiva e definitiva del ducato (Urbino resta per un certo tempo luogo deputato a cerimonie ufficiali […] e le cavalcate […] ma, con Guidubaldo duca, si riduce a mero luogo di residenza estiva)».80 Già a partire dal 1525 «si danno occasioni per la realizzazione di feste e spettacoli atti a segnalare il ritorno alla normalità»;81 così Isabella d’Este, di passaggio a Pesaro diretta a Loreto, informava il 18 febbraio, tramite il suo segretario, il marito, Federico Gonzaga: «non tacerò a V. Ex. una Egloga che si è recitata questa sera, ne la quale sono intervenuti dei pastori namorati […]. La Egloga fo molto ben recitata, et vi intervennero appresso altri interlocutori cum musica; finita cum una moresca de gioveni ben disposti, tutti vestiti ad una medesima livrea che molto piacqui a Madamma [probabilmente, Eleonora Gonzaga,] et a qualunque vi fo presente».82 Nel carnevale del 1527, invece, «il giovane Guidubaldo II si traveste con maschere fantastiche, da pescatore, da capitano antico e da esotico moro, oppure – per consentirsi l’anonimato – da monaca»83 e si concede a «balli e tornei [nei quali vi è] il coinvolgimento di numerosi gentiluomini e gentildonne della città».84 Alla corte di Francesco Maria I, altri carnevali si susseguiranno in maniera similare, caratterizzati da egloghe, moresche, commedie, musiche, giostre e balli; ma i “grandi nomi” tendono a non essere presenti dopo il 1513, perché «il mestiere militare [del Duca] ed il nomadismo che esso comporta non [favorirono] la pratica di committenza artistica» in un periodo di guerre.85 Eppure s’inizia già ad intravedere che il ruolo di 77 P. BIGNAMI, Il «teatro» ad Urbino cit., p. 274. Che questo “tipo di teatro” che ricerca “ordine” e “simmetria”, che vuole modellare la scena al fine di ricreare una “città ideale” sia influenzato dalle rappresentazioni della “festa privata” di corte, ormai lontana da qualsivoglia rappresentazione meno disciplinata del popolo? 78 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 219 e 224. 79 Cfr. F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro undicesimo, pp. 207-223. 80 F. PIPERNO, L’immagine del Duca: musica e spettacolo alla corte di Guidubaldo II duca d’Urbino, Olschki, Firenze 2001, p. 22. 81 Ibidem. 82 A. LUZIO – R. REINER, Mantova e Urbino cit., pp. 270-1. 83 B. NICCOLI, Costume e cerimoniale alla corte di Urbino da Federico da Montefeltro ai Della Rovere, in «Atti del Convegno ”Lo Stato e ‘l valore”. I Montefeltro e i Della Rovere: assensi e conflitti nell’Italia tra ‘400 e ‘600», Giardini editori e stampatori, Pisa 2005, p. 163. 84 F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 22. 85 Ibid., p. 23.
  • 15. 14 “direttore” delle feste, in generale, e di quelle di carnevale, in particolare, sembra venisse sempre più ricoperto da Guidubaldo II. GUIDUBALDO II DELLA ROVERE (1538 – 1574) Francesco Maria I, intendendo avviare il figlio al mestiere militare e «nel ruolo di soldato della Serenissima che dovrà ereditare», lo invia nel 1529 al doge.86 Guidubaldo viene invitato a far parte della Compagnia della Calza dei Floridi e ne è membro già il 6 giugno, «in occasione della cerimonia religiosa e festosa di avvio delle attività della neonata compagnia […], una accolita di giovani aristocratici dediti a feste, spettacoli e balli sia pubblici, sia privati».87 L’entrata in una Compagnia della Calza potrebbe mettere fin da subito sotto gli occhi la propensione di Guidubaldo per un’atmosfera festiva. Tant’è che egli si occupò di persona già nel 1531 e 1533 della «progettazione e realizzazione di alcuni spettacoli carnevaleschi a Pesaro».88 In queste occasioni, in particolare, il futuro duca «tiene le fila delle prove di una commedia con musica».89 Proprio la musica, insieme all’arte e alla cultura, furono i veri e propri interessi di Guidubaldo, dal quale la «carriera militare, soprattutto la gravosa condotta con la Repubblica di Venezia […], [fu sempre avvertita come] un peso mal sopportato».90 Pertanto, alla corte del duca Guidubaldo II, si realizzano numerose feste, molti spettacoli e lavori teatrali o musicali di grandi artisti commissionati, in quanto il duca si dedicherà sempre «con [più] impegno e largo spiegamento di mezzi […] all’unica attività in cui gli sia consentito primeggiare: organizzare spettacoli carnevaleschi in grande stile».91 «Iniziative teatrali, musicali e spettacoli di carnevale [rendono] le feste pesaresi [sufficientemente] prestigiose [al punto che sono] invitati a goderne personalità quali Pietro Bembo nel 1544 e Pietro Aretino nel 1545 e 1546».92 Inoltre, «nel novembre 1552 Guidubaldo abbandonò la condotta veneziana per entrare al servizio del papato come capitano generale degli eserciti della Chiesa (1 febbraio 1553) ed intraprendere 86 Ibid., p. 27. 87 Ibidem. 88 Ibid., p. 29. 89 Ibidem. «Even before Guidobaldo came to rule Camerino in 1534, he was particularly interested in music. He was to remain dedicated throughout his life; he purchased musical instruments, encouraged and patronised singers, composers of music and song-writing. At the heart of Piperno's presentation, and under-scored by its title, is the presumption that all the music and spectacle stemmed directly from ducal patronage, reflecting Guidobaldo's aspiration to project his personal image or ‘magnificence’» (C. H. CLOUGH, L’immagine del Duca: musica e spettacolo alla corte di Guidubaldo II duca d’Urbino (recensione), in «English Historical Review», CXXII. 499 (Dec. 2007), p. 1402. 90 F. PIPERNO, Cultura e usi della musica cit., p. 25. 91 F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., pp. 30-1 e 196-8. Sul tema degli interessi militari, avulsi alla personalità di Guidubaldo, e della preferenza per quelli artistici, Piperno fa due annotazioni importanti. Innanzitutto, va notato che, «spostati a metà del secolo [XVI] fuori d’Italia i campi di battaglia e i motivi di contesa, il destino militare del ducato di Urbino [fin da sempre legato con il suo duca al mestiere della guerra] era comunque avviato a un rapido declino» (F. PIPERNO, Cultura e usi della musica cit., p. 25 e cfr. F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro dodicesimo, pp. 269-270). In secondo luogo, va ricordato che «le iniziative nel campo dell’arte, dell’urbanistica, dello spettacolo e della musica, della letteratura e delle arti minore intraprese o assecondate da Guidubaldo II, lo furono non tanto in relazione a una passione per la cultura e ad un’ammirazione del genio idealisticamente consone all’otium dorato del signore rinascimentale, quanto piuttosto in conseguenza di un preciso calcolo politico: utilizzare patronato e committenza come forma di autolegittimazione, come mezzo per costruire un’immagine di sé e della propria corte in grado di competere con le grandi signorie del tempo, come strumento alternativo di affermazione politica» (F. PIPERNO, Cultura e usi della musica cit., p. 25 e cfr. S. KOLSKY, Courts and courtiers in Renaissance Northern Italy, Ashgate, Aldershot 2003, Part I, IV. Graceful performances: the social and political context of music and dance in the Cortegiano, pp. 1-19). 92 F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 49. Pietro Bembo ad esempio scriverà da Gubbio il 16 febbraio 1544 di essere stato invitato «ad Urbino per questo carnassale a vedere alcune belle commedie e altre feste che sua eccellenza fa in quel luogo» (ibidem).
  • 16. 15 una carriera […] assai più comoda perché poté risiedere stabilmente a Pesaro invece di trascorrere lunghi mesi» fuori dalla città teatro delle amate feste.93 Relativamente a queste ultime, dal Diario dell’Atanagi, buffone di corte in questo periodo, veniamo a conoscenza della presenza nel 1553 presso la corte di «una chioppa di pifari» e di una «compagnia de sonatori de violini con alcuni cornetti» in gennaio, e, poi, dell’esibizione di alcuni «che cantavano all’improvviso» in febbraio.94 Ma è noto il carattere molto più sontuoso che avevano le feste di carnevale a corte, animate soprattutto da commedie di artisti illustri e da alcune moresche o esecuzioni musicali negli intermezzi.95 Tuttavia «a partire dal 1571 la […] salute [di Guidubaldo II] inizia a peggiorare»96 e, allo stesso tempo, «musica e spettacolo di promozione cortese […] languono».97 Già «il carnevale 1572 [, per il quale Guidubaldo commissiona una commedia di Bernardino Pino,] è occasione solo di feste private».98 Quello del 1573, invece, viene trascorso freddissimamente, tanto che Francesco Maria II [figlio di Guidubaldo II e Vittoria Farnese] scrive il 1 gennaio 1573: «in cambio di carnevale quest’anno credo che faremo la quaresima».99 In quell’anno, proprio durante il periodo di carnevale, gli urbinati si rivoltarono contro Guidubaldo II, intolleranti all’aumento delle imposte – «mentre le fonti della pubblica prosperità non si accrescevano» – e malcontenti per «essere il tesoro pubblico esausto e asciutto per le prodigalità del principe».100 Risolte le tensioni, ma non comunque il divario sempre più vistoso tra il mondo “elitario” dei duchi e quello dei popoli, il carnevale del 1574 fu di nuovo di gran tono, con «la rappresentazione dell’Aminta del Tasso»;101 ma fu anche l’ultimo che poté godersi Guidubaldo II che morì il 28 settembre 1574.102 FRANCESCO MARIA II DELLA ROVERE (1574 – 1631) & CONCLUSIONI Francesco Maria II fu «un principe umano e sapientissimo e vero modello di buon regnante».103 Salito sul soglio ducale, si adoperò a «licenziare quei ministri, che avendo più degli altri secondato le avare voglie del 93 Ibid., p. 59. Il duca rimarrà capitano generale della Chiesa «solo fino a tutto il 1555 quando venne sostituito da Giovanni Carafa, più di lui deciso a sostenere militarmente la politica antispagnola di Papa Paolo IV» (ibid., p. 65). Il licenziamento da tali incarichi costituì forse il più «drastico ridimensionamento della storica vocazione militare dei duchi di Urbino [i quali, d’ora in avanti acquisiranno] maggior spazio ai propri reali interessi fin lì soffocati dagli impegni gravosi e fuori sede» (ibidem). Nel caso di Guidubaldo II, questa scelta «apre il periodo, durato fino al 1571, più vivace per la vita artistica e culturale della corte roveresca» (ibidem). 94 Ibid., p. 63. 95 Cfr. Ibid., III. “Fare di quelle cose che ho sempre desiderato”, pp. 65-91. 96 Ibid., p. 93. 97 Ibid., p. 103. 98 Ibidem. 99 Ibid., p. 104. 100 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro dodicesimo, pp. 289-319. Burke ha sostenuto che fosse «molto frequente che in occasione delle feste popolari più importanti avessero luogo tumulti o rivolte» (P. BURKE, Cultura popolare cit., p. 198). Potrebbe essere, dunque, che il carnevale del 1573 in Urbino abbia svolto una “funzione di protesta sociale” diretta contro l’ingordigia della corte, ormai stabile a Pesaro. Eppure è necessario essere cauti nel caso in cui si esprimesse un simile giudizio: del carnevale del popolo, e non delle corti, in Urbino, sappiamo ben poco. In più, tra questo “poco”, è noto che il popolo stesso nel carnevale del 1573 avesse in serbo non tanto spettacoli violenti o tumultuosi quanto piuttosto una «commedia preparata per allietare la prevista venuta in Urbino di Guidubaldo II per trattare delle cause della sollevazione» (F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 198). 101 F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 103. 102 Ibid., p. 110. 103 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro quattordicesimo, p. 372. Anche a Francesco Maria II, come già a Guidubaldo dopo del 1555, fu concesso per lo più di “fare di quelle cose che ho sempre desiderato”, ossia di occuparsi di più del ducato e di coltivare i propri interessi, piuttosto che continuare “il mestiere della guerra”. Infatti, alle «condizioni generali d’Italia […] il nuovo duca prese poca parte: perché […] in quel tempo le più belle parti della penisola gemevano sotto il giogo di Spagna, e dove essa non giungeva con la forza, imperava con l’autorità; [così] la
  • 17. 16 padre, erano anche più in odio de’ sudditi».104 E sembra che lo stesso destino toccò a «tutti i musici de l’illustrissimo duca [Guidubaldo II]».105 Pertanto potrebbe dirsi che quelle feste di corte, che sembravano evento ordinario ai tempi di Guidubaldo I e Guidubaldo II, a partire da questo momento iniziano ad essere relegate sempre più ad occasioni straordinarie. Non è un caso che la sposa di Francesco, Lucrezia d’Este, «assuefatta alle feste e agli spettacoli della corte estense, mentre durò Guidubaldo II, che molto allegramente viveva, poco desiderava il ritorno alla diletta Ferrara»106 ed in seguito, invece, sentì sempre più il bisogno di tornarvi perché la «corte di Ferrara […] ben altri svaghi offriva a confronto di quella del marito, resa spenta e tediosa dalla sua parsimonia e dalla sua natura contraria al lusso e alle feste gioiose tanto care alla corte dei tempi di suo padre».107 Tuttavia non è corretto sostenere che tali “feste gioiose” fossero del tutto assenti alla corte di Francesco Maria II: «Uno degli esercizi più favoriti di Francesco e della sua corte e de’ nobili di que’ tempi, era la caccia […]. Un altro divertimento era il teatro, che i duchi avevano costruito nelle due corti di Urbino e di Pesaro, i quali pare si aprissero nel carnevale soltanto;108 e per lo più, vi si rappresentavano fatti mitologici; vi si eseguivano balletti e moresche, che erano una sorte di ballo antico che usavano i mori;109 e vi si recitavano commedie, composte ordinariamente dai letterati di corte. Né i giuochi mancavano, specialmente nel carnevale, e nei mesi di maggio e giugno alla villa dell’Imperiale; i quali servivano tutti anche ad esercizio del corpo : come il correre la quintana, il pallio, il torneare, il ballo. Nelle quali cose il duca non andava lento a concedere la licenza; ma voleva il decoro pubblico si conservasse, e che niun disordine ne venisse: perciocché, quanto ci mostriamo benigni in queste ricreazioni pubbliche, altrettanto intendiamo di essere severi contro chi abuserà della nostra graziosa concessione, affinché in questo mondo ciascuno abbia non solo di avere il piacere, ma di goderlo con sicurezza e tranquillità».110 Francesco Maria II, quindi, non soppresse le “feste gioiose”, tanto meno quelle di carnevale. Tuttavia volle imprimervi un carattere “disciplinato”, “ordinato” e di “decoro”.111 Non possiamo dire se di fatto “la casa Della Rovere [rimase niente più che] un satellite, come gli altri piccoli principi, attratto dal gran pianeta spagnuolo» (ibid., p. 371). 104 ibid., pp. 380-1. 105 F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 110. 106 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro quattordicesimo, p. 392. 107 G. G. SCORZA, I Della Rovere 1508-1631, Melchiorri, Pesaro 1981, p. 30. 108 Annota qui Ugolini: «incominciava il carnevale agli 8 gennajo». 109 Aprire una parentesi su questo tipo di danze, potrebbe essere emblematico per delineare con più precisione i caratteri di fondo della festa (di carnevale) a corte. «Dance can […] be considered an extension into the world of the Renaissance court of the concept of disciplina» (S. KOLSKY, Courts and Courtiers cit., p. 13). «[…] la danza nel Cortegiano [e a corte] ricopre una gamma di significati che hanno a che fare tanto con il controllo del corpo quanto con quello sociale. C’è un disprezzo, uguale a quello che c’era in Ugo da San Vittore, per movimenti sfrenati ed incontrollati. Questo tema è enfatizzato nella trattazione di Castiglione della ‘moresca’, che è l’equivalente di quei gesti disordinati (“gesticulationes”) di cui parlava Ugo. Importante è che la danza sia ristretta il più possibile ai confini del palazzo e a certi tipi di danza […]»(ibid., p. 15, trad. it. nostra). La ‘moresca’ di corte, dunque, non è da confondersi con la ‘moresca’ popolare (che lo stesso possa dirsi per il carnevale in pieno Rinascimento?!). Infatti la ‘moresca’ popolare «è una danza selvaggia che esprime ‘altro’ nel comportamento di corte. Come suggerisce il termine, sembra che, originariamente, sia stata una danza dei Mori, [proprio] in contrapposizione alle danze ‘cristiane’ delle corti» (ibidem). 110 F. UGOLINI, Storia dei conti e duchi cit., vol. II, Libro quindicesimo, pp. 474-6. Rimandiamo a queste pagine per una lunga serie di estremi cronologici di feste che vanno dal 1586 al 7 febbraio 1619. 111 Al fine di mostrare questa volontà di disciplinare le feste, si rivela particolarmente eloquente quello che Ugolini definisce l’“editto sulle maschere” emesso il 9 febbraio 1576, nel periodo di carnevale. Riportiamone un estratto: «Essendo solito à certo tempo dell’Anno concedersi à Popoli qualche sorte di ricreazione publica, e particolarmente l’immascherarsi; perciò, per honesto piacere di quelli, ci contentiamo di dare licenza per le Maschere, come in virtù del presente publico Bando diamo, e concediamo à tutte le Persone d’immascherarsi, dal giorno di detta pubblicatione, finche starà attaccato un Mascherone al Palazzo de’
  • 18. 17 spinta delle nuove idee umanistiche” trasformò effettivamente “la tradizione delle feste dell’Europa medievale”.112 Quantomeno, però, queste “idee umanistiche” – o almeno quelle improntate ai temi dell’ordine, dell’armonia ed anche degli argomenti classici e profani nelle rappresentazioni che si facevano per un pubblico sempre più “elitario” – avevano trasformato il carnevale di Urbino. Il carnevale ben “disciplinato” alla corte di Francesco Maria II non costituiva altro che un riflesso di tali ideali. Un riflesso che racchiude il carattere di una festa sì gioiosa ma, soprattutto, decorosa; sì aperta al pubblico, ma solo ad una parte elitaria di esso. Un riflesso di principi umanistici che ritroviamo in buona parte sotteso anche alle altre corti (fatta eccezione per il ducato di Federico da Montefeltro, per il quale non abbiamo rintracciato sufficienti menzioni relative al carnevale). Un riflesso che colse Castiglione alla corte di Guidubaldo, tentando d’inscatolarlo nel Cortegiano; un riflesso che si perpetua almeno nei primi anni alla corte di Francesco Maria I e che viene lasciato emergere in tutta la sua magnificenza alla corte di Guidubaldo II. Ma tra tanti riflessi, ciò che si fa fatica a vedere, nelle fonti storiche, è il carnevale del popolo.113 Un popolo tanto vicino eppure tanto distante dall’universo del Palazzo; un popolo escluso dallo splendore di un carnevale di corte che, visti gli ospiti illustri che richiamava, probabilmente era davvero “conosciuto in tutta Italia”,114 anche se, considerate le caratteristiche, non si sa più neppure se sia corretto definire carnevale. Priori, ò Podestà, in luogo publico, con dichiaratione, che, mentre si vedesse leuato il detto Mascherone, per qualche honesta, e debita cagione, s’intenda anco riuocata la licenza, e detta facoltà. […] Laonde per il presente Bando, vogliamo, ordiniamo, e comandiamo, che nessuna Persona (di che stato, grado, conditione, ò preeminenza sia, ò possa essere) presuma, ne ardisca farsi maschera in Città […], se non durante il tempo della presente licenza […] che non sia alcuno, che porti habito, che i Religiosi, ò Religiose sogliono usare, ne accomodi foggia alcuna, che habbia da rappresentare cosa alcuna disonesta […]. Si prohibisce […] che alcuno immascherato […] abbia da portare Armi da offesa, ò da difesa […]. E passata mez’hora di notte determiniamo, che non si abbia da porsi Maschera al viso fuori Casa, […]. Ci consentiamo però, che questi tali, entrati che saranno nelle case, e anco sopra le feste, possino mettere e tenere la Maschera al volto […]» (Decreta, constitutiones, edicta et bannimenta legationis Vrbini, De gotti, Pesaro 1696, Pars secvnda. Criminalia complectens, LXIII. Prouisioni sopra le maschere, pp. 144-7). 112 Si veda supra, p. 3 (nota 8). 113 «La corte [roveresca] promosse questi eventi spettacolari all’interno dei propri palazzi (il palazzo di Pesaro […], la villa Imperiale, il palazzo di Urbino e […] la ‘corte rossa’ di Fossombrone) e li indirizzò al proprio personale godimento ed a quello di selezionati convitati (cortigiani ed ospiti illustri); la ‘pubblicità’ di questi spettacoli, nel senso di un […] coinvolgimento della collettività, vuoi della comunità civica pesarese o urbinate, vuoi dei sudditi del ducato o dei signori degli stati vicini, non si verificò se non occasionalmente e perlopiù limitatamente agli eventi che avevano di necessità luogo all’aperto (tornei, sbarre, quintane, entrate trionfali)» (F. PIPERNO, L’immagine del Duca cit., p. 194). 114 Si veda supra, p. 2 (nota 1).
  • 19. Bibliografia MONOGRAFIE  BALDI, B., Della vita e de’ fatti di Guidubaldo I da Montefeltro: duca d’Urbino, Silvestri, Milano 1821, 2 voll.  BALDI, B., Vita e fatti di Federigo di Montefeltro, Salvioni, Roma 1824, 3 voll.  BATTISTELLI, F., Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino: dalle origini ad oggi, Marsilio, Venezia 1986.  BEMBO, P., Lettere, a cura di E. Travi, Commissione per i testi di lingua, Bologna 1987-1993, 4 voll.  BURKE, P., Cultura popolare nell’Europa moderna, Mondadori, Milano 1980.  BURKE, P. Le fortune del Cortegiano: Baldassarre Castiglione e i percorsi del Rinascimento europeo, Donzelli editore, Roma 1998.  CASTIGLIONE, B., Il libro del Cortegiano, a cura di G. Preti, Einaudi, Torino 1965.  CIAPPELLI, G., Carnevale e quaresima: comportamenti sociali e cultura a Firenze nel Rinascimento, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1997.  GUERRIERO DA GUBBIO, SER, Cronoca di Ser Guerriero da Gubbio dall’anno MCCCL all’anno MCCCCLXXII, a cura di G. Mazzatinti, Lapi, Città di Castello (PG) 1902.  KOLSKY, S., Courts and courtiers in Renaissance Northern Italy, Ashgate, Aldershot 2003, Part I, IV. Graceful performances: the social and political context of music and dance in the Cortegiano, pp. 1- 19  LUZIO, A., – REINER, R., Mantova e Urbino: Isabella d’Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche, Roux & C., Torino 1893.  MOTTA, U., Castiglione e il mito di Urbino: studi sulla elaborazione del “Cortegiano”, Vita e pensiero, Milano 2003.  PIPERNO, F., L’immagine del Duca: musica e spettacolo alla corte di Guidubaldo II duca d’Urbino, Olschki, Firenze 2001.  REBHORN, W. A., Courtly performances: masking and festivity in Castiglione's book in the Courtier, Wayne State University Press, Detroit 1978.  SCORZA, G. G., I Della Rovere 1508-1631, Melchiorri, Pesaro 1981.  STRONG, R., Arte e potere: le feste del Rinascimento 1450-1650, Il Saggiatore, Milano 1987.  UGOLINI, F., Storia dei conti e duchi d’Urbino, Grazzini, Giannini & C., Firenze 1859, 2 voll. ARTICOLI  BIGNAMI, P., Il «teatro» ad Urbino nel Rinascimento, in «Biblioteca teatrale», 15/16 (1976), pp. 249- 275.  CELLI, L., Un carnevale alla corte di Urbino e la prima rappresentazione della “Calandria” del card. Bibbiena, in «Nuova rivista Misena», anno VII (1894), fasc. 12, pp. 3-11.
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