3. Il Romanticismo è un movimento culturale sorto in Germania alla fine del Settecento e sviluppatosi in Europa
nell'Ottocento. Con il Romanticismo si fa coincidere l'inizio dell'arte contemporanea. Il movimento ha le sue
caratteristiche più manifeste nell'antitesi all'Illuminismo e al razionalismo che ne rispecchiava la filosofia. Il
Romanticismo afferma infatti una nuova concezione della vita e dell'arte che può così sintetizzarsi:
-affermazione delle ragioni della creatività dello spirito e della fantasia in opposizione a quelle della fredda
ragione;
-rivalutazione delle tradizioni più vicine alla civiltà moderna in antitesi al culto dei miti dell'antico, ovvero
opposizione degli umori del Medioevo alla composta e grandiosa armonia dell'antichità classica;
-ritrovamento dei valori religiosi contro l'ateismo o il fideismo dell'illuminismo;
-proposta dei valori nazionali attorno ai quali possono stringersi le comunità in opposizione all'indifferenza
del cosmopolitismo;
-tendenza a diffondere il popolare, anche in campo letterario;
- ritrovamento della vera realtà dell'uomo nella natura, il luogo in cui egli può compiere la più autentica
esperienza spirituale, far coincidere gli spazi illimitati dell'interiorità con quelli esterni altrettanto illimitati
del cosmo.
4.
5. Théodore Gericault (1791-1824) svolse le sue prime esperienze pittoriche
nell’ambiente neoclassico francese che in quegli anni era influenzato
dalle figure di David e Ingres. Dopo un periodo di soggiorno a Roma,
dove ebbe modo di studiare le opere di Michelangelo e di Caravaggio,
fece ritorno a Parigi, nel 1817, dove conobbe Delacroix. In quegli anni
realizzò il suo quadro più famoso: «La zattera della Medusa», che fu
esposto nel Salone d’Autunno del 1819 ricevendo aspre critiche.
Negli anni successivi, il suo interesse per un naturalismo nudo e crudo lo
portò a prediligere temi dal gusto macabro, quali le teste dei decapitati o
i ritratti di pazzi e alienati mentali rinchiusi nei manicomi. Di carattere
molto introverso, Gericault rappresenta già il prototipo del successivo
artista romantico: amorale e asociale, disperato e maledetto, che
alimenta il proprio genio di eccessi e trasgressioni. Il gusto per l’orrido e
il rifiuto della bellezza dà immediatamente il senso della sua poetica:
un’arte che non vuole essere facile e consolatoria ma che deve scuotere i
sentimenti più profondi dell’animo umano, proponendogli immagini
raccapriccianti. La sua vita si concluse nel 1824, a soli 33 anni. La sua
eredità, in campo figurativo, fu presa soprattutto dall’amico Eugene
Delacroix.
6. Géricault ebbe una vera e propria passione per i cavalli, sin
dall'adolescenza, quando poteva esercitarsi a lungo in
prodezze di equitazione. L'acquisto del primo cavallo nel
1808 coincise con la volontà di diventare un pittore di
cavalli. Riuscì a entrare nello studio di Carle Vernet,
pittore di genere, in quel periodo intento a dipingere scene
di battaglie napoleoniche. Dopo un breve apprendistato
con Guérin, allievo di David, Géricault s'iscrisse all'Ecole
des Beaux-Arts nel 1812 e si dedicò allo studio dei grandi
maestri del passato. Ma i suoi interessi erano sempre più
rivolti alle immagini di cavalli, fanti, ussari e trombettieri
a cavallo, come in questo caso, eseguite con una particolare
attenzione al movimento e all'anatomia delle bestie e
secondo forti contrasti cromatici e di luce, per esempio nel
rosso acceso delle uniformi.
Tre trombettieri a cavallo
1813-1814 Olio su tela; 60,4 x 49,6
Washington, National Gallery
7. Presentato al Salon del 1814 questo quadro non ricevette il
successo attribuito nel 1812 all'Ufficiale dei cavalleggeri della
Guardia imperiale alla carica, con cui Géricault aveva esordito;
al contrario il Corazziere fu molto criticato per le proporzioni,
eccessivamente lunga quella del soldato, e soprattutto per la
pennellata concitata, che rendeva l'opera troppo "non finita",
quasi un bozzetto. Il soggetto della ritirata dopo la disfatta
era con ogni probabilità riferito alla sconfitta subita
dall'esercito napoleonico da parte dell'Inghilterra e degli altri
paesi europei. Nel clima di Restaurazione era tornato in voga
il linguaggio curato in tutte le sue parti di David e il pubblico
non era pronto a recepire una stesura così poco rifinita come
quella di Géricault.
Corazziere ferito che lascia il fuoco 1814
olio su tela ; 358 x 294
Parigi, Louvre
8. Dopo aver tentato e fallito il concorso del
Prix de Rome, la prestigiosa prova che
permetteva al vincitore di recarsi a Roma,
per svolgere il perfezionamento artistico
come "pensionnaire" all'Accademia di
Francia a Villa Medici, Géricault decise di
partire per conto proprio alla volta
dell'Italia. Doveva vivere anche lui
l'esperienza del "grand tour", con cui gli
artisti e i gentiluomini completavano la loro
educazione estetica; a Roma subì
un'impressione profonda al cospetto degli
affreschi michelangioleschi della Sistina e
delle opere di Raffaello, del Guercino, di
Caravaggio. Tuttavia oltre al fascino
dell'antico e dei maestri del passato,
Famiglia italiana 1816-1817 Géricault fu attratto dalla vita
olio su cartone su tela; 21,9 x 29,3 contemporanea, che tradusse nelle sue scene
Stoccarda, Staatsgalerie di contadini e gente umile, come questa, che
nell'impostazione e negli atteggiamenti
riprendono le composizioni classiche.
9. Una delle cose che più colpì Géricault a Roma
fu la corsa dei cavalli barberi, organizzata a
conclusione delle festività del carnevale; lungo
la via del Corso, da Palazzo Venezia a piazza
del Popolo, venivano lanciati i cavalli senza
cavaliere, che alla fine venivano afferrati e
rinchiusi dai palafrenieri. Al tema della gara,
Géricault, amante della razza equina, dedicò
diverse composizioni; questa coglie il momento
della partenza, quando i cavalli eccitati sono
tenuti a freno da possenti stallieri, che nelle
loro proporzioni rievocano le immagini
michelangiolesche. L'ambientazione concorre a
definire uno spazio "antico", quello dei giochi
Corsa dei cavalli barberi 1817 dell'antica Roma, ai quali partecipava tutta la
olio su cartone su tela; 45 x 60 popolazione.
Parigi, Louvre
10. Il dipinto fa parte di un gruppo di tre opere, eseguite
dopo il rientro dall'Italia alla fine del 1817. Si tratta
di paesaggi colti in tre momenti diversi della giornata,
Paesaggio italiano all'alba, Paesaggio con tomba
romana (Mezzogiorno), questo Paesaggio con
acquedotto (La sera), che rispondono maggiormente
all'impostazione iconografica dei maestri del Seicento,
quali i francesi Poussin, Claude Lorrain e Gaspar
Dughet e gli italiani Carracci, piuttosto che a una
osservazione diretta e realistica dei luoghi. La diversa
incidenza della luce, dovuta alle ore del giorno, in
questo caso rende ancora più lirica questa
interpretazione ideale del paesaggio, nel quale si
percepisce il vagheggiamento nostalgico per un mondo
antico e perduto.
Paesaggio con acquedotto 1818
olio su tela; 252,5 x 222
New York, Metropolitan Museum
11. Nella sua breve carriera Géricault ha sperimentato temi e generi
molto diversi fra loro. Uno dei soggetti al quale si è dedicato
con attenzione, raggiungendo esiti pregnanti, è quello
dell'espressione fisiognomica delle patologie e delle alterazioni
psichiche della personalità. I suoi ritratti di alienati risentono
delle scoperte di quegli anni a opera di psichiatri quali Pinel,
Esquirol e Georget, impegnati nello studio della monomania che
Géricault traduce con impareggiabile puntualità. La vecchia qui
affetta dall'ossessione dell'invidia è colta con impietoso
realismo; lo sguardo corrucciato di chi osserva qualcosa che
produce quel sentimento che altera tutti i tratti del volto, al
punto da venir soprannominata la "iena".
Monomane dell’invidia 1819-1822?
olio su tela; 72 x 58
Lione, Musée des Beaux-Arts
12. Al tema del mare in tempesta, Géricault ha
dedicato alcuni degli ultimi dipinti. Questa
Marina, in cui il colore delle acque nero e livido
contrasta con quello della roccia chiara, rivela il
gusto romantico per la rappresentazione di una
natura violenta e incombente, che sovrasta le
forze dell'uomo, piccolo in primo piano.
Traspare il senso metaforico della morte nel buio
dei flutti che ingoiano la vita, così come in altre
composizioni in cui vi sono naufraghi o
annegati. Tale metafora è rafforzata dal
carattere irreale e onirico dell'immagine, per cui
il paesaggio non è reso in forma descrittiva, ma
secondo macchie di luce e macchie scure, come
un'evocazione del sogno.
Marina 1823
olio su tela ; 46 x 55,5
Collezione privata
13. Theodore Gericault, La
zattera della Medusa,
1818
Olio su tela
Il quadro di Gericault, prende spunto da un fatto di cronaca del 1816: l’affondamento della nave francese Medusa. Gli
occupanti della nave si rifugiarono su una zattera abbandonata alle onde del mare per diverse settimane. Solo una quindicina
di uomini furono tratti in salvo da una nave di passaggio, dopo che su quella zattera era avvenuto di tutto, anche fenomeni di
cannibalismo. L’episodio colpì molto l’immaginazione di Gericault che, immediatamente, si mise al lavoro per la realizzazione
di questa che rimane la sua opera più famosa.
14. Theodore Gericault, La
zattera della Medusa,
1818
Olio su tela
Formalmente il quadro è costruito secondo il classico sviluppo piramidale. Nel quadro di Gericault le piramidi sono in realtà
due ed esprimono due direzioni che si incrociano tra loro opponendosi. La prima piramide parte dall’uomo morto in basso a
sinistra ed ha il vertice nell’uomo che, di spalle, sta agitando un panno. La seconda piramide parte dalle onde del mare per
giungere all’albero che sorregge la vela. Questa è la direzione del mare che spinge in direzione opposta rispetto alla direzione
delle speranze umane. È proprio la tensione visibile tra queste due forze opposte a dare un primo tratto drammatico alla scena.
15. Theodore Gericault, La
zattera della Medusa,
1818
Olio su tela
In quest’opera Gericault usa più riferimenti alla storia dell’arte. L’atmosfera e i contrasti luministici e il braccio
abbandonato nell’acqua, dell’uomo morto in basso a sinistra, rimandano inevitabilmente a Caravaggio. Le figure hanno una
tensione muscolare, e una torsione, che rimandano immediatamente a Michelangelo. Le figure in basso a sinistra, del
ragazzo morto e del padre che lo sorregge pensoso, sembrano due statue greche. Da notare il particolare del ragazzo che,
benché nudo, ha le calze arrotolate ai piedi.Quelle calze, così comuni e banali, danno il senso tragico della umanità violata,
ossia della morte vera che spegne le persone vere in carne ed ossa.
16. Eugène Delacroix (1798-1863) è il pittore che più di ogni altro ha
interpretato il romanticismo in Francia. L’importanza di Delacroix
nella pittura francese dell’Ottocento è notevole soprattutto per gli
sviluppi successivi. Egli, molto suggestionato dagli effetti cromatici dei
quadri dell’inglese Constable, inizia a sperimentare quella divisione dei
colori che sarà il motivo fondamentale di tutta la successiva esperienza
impressionista e neo-impressionista. Benché usi una tavolozza di
molteplici colori, sia puri sia smorti, la sua tecnica si basa
sull’esaltazione cromatica data dall’accostamento di tinte e toni diversi
secondo il principio del contrasto luministico.
17. Con questo quadro Delacroix si impose al
pubblico parigino presente al Salon del 1822,
rivelando il carattere movimentato e intenso
della sua pittura. Determinante era stata
l'influenza della tela, di poco precedente,
dell'amico Géricault, La zattera della
Medusa, per i decisi tagli di luce e la
composizione articolata in un crescendo della
tensione. A ciò Delacroix ha aggiunto
l'attenzione per l'arte di Michelangelo, come
si può notare nel vigoroso modellato dei corpi
dei dannati e gli effetti turbinosi del colore di
un Rubens. La critica rimase tuttavia
scettica; Delécluze definì l'opera "una crosta",
mentre gli artisti intuirono la portata di uno
Dante e Virgilio all'Inferno 1822 stile innovatore, come Antoine Gros che
olio su tela; 189 x 246 addirittura parlò di "Rubens castigato". Il
Parigi, Louvre quadro fu acquistato per il Museo del
Lussemburgo e l'artista definitivamente
consacrato.
18. L'opera fa parte di alcuni studi preparatori per la
composizione con il Massacro di Scio e viene esposta
insieme a questa al Salon del 1824. Dopo il successo al
Salon di due anni prima, Delacroix voleva creare un
dipinto di grande effetto espressivo. La guerra fra i turchi
e i greci del 1820 e i terribili fatti che ne conseguirono
nell'isola di Chio, diedero all'artista lo spunto tematico.
Questa orfanella, che poi è diventata un'opera autonoma,
costituisce l'origine della figura del giovane che invoca
aiuto a sinistra del Massacro. Delacroix si era
documentato a lungo sui caratteri e gli abiti degli abitanti
di Chio, ricavando il particolare colore dell'incarnato.
L'espressione naturale tradisce la volontà dell'artista di
coinvolgere lo spettatore da un punto di vista emotivo.
Orfanella in un cimitero 1823
olio su tela; 65,5 x 54,3
Parigi, Louvre
19. Come era avvenuto per la Zattera della Medusa di
Géricault, l'impatto causato da un evento realmente
accaduto fornisce lo sfondo per la creazione di un'opera
in cui il contenuto fortemente drammatico colpisce
profondamente il pubblico. I resoconti dell'epoca su
questo cruento massacro compiuto dai turchi, per cui
nell'isola di Chio sopravvissero solo novecento greci,
furono studiati con attenzione dall'artista. Ancora una
volta è l'amico Géricault a ispirare il clima concitato e il
senso di dolore delle figure, che dai morti ed esanimi in
primo piano sale fino ai gesti disperati dei corpi del
registro superiore, fino al cavallo imbizzarrito del turco
mattatore.
Il massacro di Scio 1823-1824
olio su tela; 417 x 354
Parigi, Louvre
20. Al Salon del 1827 Delacroix presenta ben
tredici opere, di tutti i generi, dimostrando
la sua perizia nei ritratti, nei paesaggi,
nella natura morta, nei soggetti religiosi,
letterari e naturalmente storici. Si tratta
di una vera e propria sfida che raggiunge
l'effetto più alto con questa tela dedicata
a un fatto di storia antica, La morte del re
Sardanapalo. Come narrato dalle fonti si
trattò di un avvenimento di sconvolgente
crudeltà: il re che decise che tutta la sua
corte doveva morire con lui, per cui ordinò
agli schiavi di uccidere le donne, i paggi e
addirittura i cavalli, mentre tutte le
ricchezze e il palazzo sarebbero bruciati
con lui. Dal fondo scuro delle tenebre,
La morte di Sardanapalo 1827 emergono i corpi luminosi delle vittime in
olio su tela; 395 x 495 un vortice drammatico di violenza e
Parigi, Louvre disperazione. Quello che dall'artista fu
definito "il massacro numero due" lasciò
fredda la critica che ravvisò scandalosi
elementi orgiastici negli atteggiamenti.
21. Per quanto riguardava la realtà francese,
Delacroix non era un artista impegnato sul
fronte politico, sostenendo che le personalità
colte non parlavano di politica. Tuttavia gli
avvenimenti del 1830 lo costrinsero ad
assumere una posizione. La sospensione delle
libertà costituzionali operata da Carlo X nel
luglio di quell'anno determinò l'insurrezione
popolare. Delacroix non imbracciò le armi
come Daumier e altri artisti, ma girò per
Parigi, raccogliendo appunti sulla rivolta.
Giocata sui tre colori della bandiera francese,
bianco, rosso e blu, la composizione fonde
elementi realistici, quali i cadaveri in primo
piano e i combattenti, tra cui se stesso con il
La Libertà che guida il popolo cilindro, con un'immagine classica, quella
1830 allegorica della Libertà, cercando di porsi
olio su tela ; 260 x 325 come il manifesto degli ideali di rivolta.
Parigi, Louvre Ancora una volta il pubblico del Salon (1831)
rimase sconcertato per la violenza dei
contrasti e la crudezza poco dignitosa dei
morti.
22. Con tante immagini e sensazioni
impresse nella memoria, Delacroix
rientra a Parigi dal suo viaggio
nell'Africa del Nord, nel luglio del
1832. Si mette subito al lavoro
cercando di ricreare nello studio
quelle atmosfere indimenticabili
dell'Oriente. Uno dei risultati più
sorprendenti è questo dipinto con
le Donne di Algeri che domina al
Salon del 1834. Critici come
Théophile Gautier ed Etienne
Délecluze rimangono affascinati
dalle tinte raffinate dei tessuti
multicolori e dagli accordi dei toni.
Charles Baudelaire, anni dopo, ha
definito il quadro un "piccolo
poema d'interni" per il senso di
quiete intima che emana, oltre a
Donne d'Algeri nei loro appartamenti
una percezione olfattiva del luogo
1834
malfamato.
olio su tela ; 180 x 229
Parigi, Louvre
23. Egli cerca di esprimere e indicare con fine sensibilità nei paesaggi quell’atmosfera e
provocazione religiosa e allo stesso tempo una solenne malinconia. La storia e, più ancora,
molti quadri di chiese si sono completamente dissolti, come spesso avviene, nel simbolismo e
nell’allegoria, e il paesaggio appare più adatto a evocare un sogno pensoso, un senso di
benessere o di gioia per la realtà imitata, alla quale si unisce da sola un’aggraziata nostalgia
e fantasticheria. Friedrich invece cerca piuttosto di creare un determinato sentimento, una
vera e propria concezione, e pensieri e concetti fissati entro questa, che si dissolvano
diventando una cosa sola con quella malinconia e solennità. Perciò cerca di introdurre nella
luce e nell’ombra la natura viva e quella morta, la neve e l’acqua, e parimenti nelle figure
l’allegoria e il simbolo, in un certo senso di innalzare nella fantasia mediante la chiarezza il
paesaggio, che ci è sempre apparso come un soggetto molto vago, sogno e arbitrio, al di là
della storia e della leggenda.
24. In questo quadro di Friedrich, forse tra i suoi il più
famoso e anche quello più sfruttato, si avverte
immediatamente la poetica del pittore. Il sublime, ossia il
senso della natura possente e smisurata, viene qui
presentato con una evidenza da teorema matematico. Su
una roccia di origine vulcanica un uomo, raffigurato di
spalle, ammira il panorama che gli si apre davanti. La
nebbia che gli è innanzi è quasi come un mare da cui
emergono come isole le cime delle montagne. Non vi è
vegetazione che crea angoli accoglienti. Le rocce sono nere
e inospitali. Emergono dai fumi di una nebbia che sembra
quasi il vapore che sprigiona la terra dal suo interno.
Il paesaggio ha qualcosa di così arcaico che sembra di
ammirare la Terra subito dopo la Creazione. L’uomo che
ammira questo spettacolo ci dà il confronto tra la
piccolezza della dimensione umana e la vastità dell’opera
della natura. È raffigurato di spalle così che lo spettatore
del quadro deve condividere il suo punto di vista e
compenetrarsi nel suo stato d’animo. Lo stato d’animo,
cioè, di chi avverte dentro di sé il sentimento del sublime:
meraviglia e quasi sgomento di fronte all’immensità
Viandante sul mare di nebbia 1818 dell’universo.
olio su tela; 74,8 x 94,8
Amburgo, Kunsthalle
25. Esposto, insieme al Monaco in riva al mare,
all’Accademia di Berlino nel 1810, il quadro fu
acquistato dal re di Prussia. Se nel primo
dipinto l’artista mette in scena se stesso di
fronte alla vastità illimitata di un universo
senza tempo, in questo quadro egli rappresenta
il suo funerale: verso quel portale diroccato,
brandello di una cattedrale gotica ormai
scomparsa, si dirige il corteo funebre. Gli alberi
essiccati, che hanno perso le foglie così come la
chiesa le sue murature, fanno da fondale
all’azione drammatica. Scrive Friedrich:
Abbazia nel querceto 1809-1810 «Perché mai, mi hanno chiesto più volte, come
olio su tela; 110,4 x 171 soggetto dei tuoi dipinti scegli la morte, la
Berlino, Schloss Charlottemburg caducità e il sepolcro? Per vivere eternamente,
spesso ci si deve arrendere alla morte». La
composizione è strutturata per fasce orizzontali
senza profondità, cosa che non mancò di
suscitare critiche da parte dei contemporanei
(primo tra tutti Goethe); a una linea ellittica è
affidato il compito di dividere il cielo
luminescente dallo spesso e scuro muro di
nebbia.
26. In molti dipinti di Friedrich appare la
cattedrale, simbolo di spiritualità, visione
fantastica che emerge tra i banchi di nebbia o tra
l’oscurità. In quest’opera, la chiesa è allo stesso
tempo il fantasma di un’antica memoria e il
miracolo invocato dal viandante solitario
appoggiato alla roccia. Nell’associazione tra
bosco e cattedrale si condensa il senso dell’antica
tradizione tedesca, che coniuga il mito pagano
della natura selvaggia con le forme
dell’architettura gotica e l’antica adorazione
degli alberi con l’altare cristiano, manifestando
la necessità di conciliare forma naturale e
progetto umano. Il ruolo della figura maschile
Paesaggio d’inverno con chiesa
sarebbe del tutto marginale se non fosse per
1811
quelle grucce gettate sulla neve, allusioni a una
olio su tela; 33 x 45
affezione dell’anima per la quale si invoca,
Dortmund, Museum für Kunst und Kulturgeschichte
davanti al crocifisso, il rimedio. Non sono esclusi
riferimenti alle più reali ferite inferte alla
Germania (sepolta sotto un significativo manto
nevoso) dall’occupazione napoleonica.
27. Il 21 gennaio del 1818 Friedrich sposa Caroline Bomber. Il
dipinto documenta il viaggio intrapreso con la giovane
moglie per Greifswald e, più precisamente, la tappa all’isola
di Rügen, luogo dei pellegrinaggi giovanili del pittore.
Ribadendo la scelta poco comune della ripresa delle figure di
spalle, Friedrich propone la contrapposizione netta di primo
piano (pieno, chiuso) e sfondo (vuoto, illimitato). Quel vuoto,
nel quale la distesa marina si confonde con l’orizzonte,
attrae magneticamente lo sguardo e chiama a sé. Su
quell’incerto palcoscenico di rocce a strapiombo sul mare i tre
personaggi, Caroline Bomber, lo stesso Friedrich e, in piedi, il
fratello Christian, stanno a un bivio, attratti al contempo
dall’abisso scosceso e dalla spazialità del mare solcato da
due velieri lontani.
Le bianche scogliere di Rügen 1818
olio su tela; 90 x 70
Winterthur, Fondazione Reinhart
28. Il Congresso di Vienna del 1815 decretò il
trionfo della restaurazione feudale, l’inizio
di un periodo di repressione e censura per
quanti, come Friedrich, chiedevano maggiore
democrazia e regimi costituzionali.
Mostrando il dipinto al pittore nazareno
Cornelius, in visita al suo atelier, Friedrich
spiega che i due uomini, vestiti dell’abito
patriottico pseudorinascimentale, allora
indossato dagli studenti liberali, stanno
praticando “intrighi demagogici”. Nella
notte della Germania la luce della luna,
distante ma perentoria, è dunque segno di
speranza in un cambiamento. Due alberi
imponenti, un abete e una quercia,
Due uomini davanti alla luna 1819 incorniciano la veduta e sembrano
olio su tela; 35 x 44 ingabbiare le figure, mentre un masso
Dresda, Gemäldegalerie roccioso in primo piano evoca le tombe unne
e, indirettamente, il cuore antico della
Germania.
29. Secondo la testimonianza del poeta
Shukowskji, Friedrich avrebbe voluto
appendere il dipinto in sequenza con
Le bianche scogliere di Rügen e con Sul
veliero, tutti risultati del gioioso
viaggio del 1818 nella terra natale. Le
ancore piantate sugli scogli in primo
piano non distanti dalle due donne,
unite in un abbraccio affettuoso,
parlano dell’approdo in un porto sicuro
per quei velieri dell’anima che, scrutati
dagli uomini in piedi, solcano le onde
del mare al tramonto. Ancora una
volta il pittore trascende il dato
naturalistico e simbolico per dare voce
alle tensioni del soggetto nel mondo, al
dilemma esistenziale dell’uomo
Luna nascente sul mare 1821 moderno, sospeso tra la fede nell’aldilà
olio su tela; 135 x 170 e la consapevolezza dei propri limiti
San Pietroburgo, Ermitage terreni.
30. Il dipinto, esposto a Praga nel 1824 e a Berlino nel
1826, non piacque al pubblico contemporaneo che ne
criticò l’assolutezza del sentimento tragico.
Friedrich, che pur prende spunto da un episodio di
cronaca, il fallimento della spedizione polare di
Parry nel 1819-1820, fa opera di trasfigurazione,
investendo il quadro di contenuti esistenziali. Che
quel relitto imprigionato rappresenti l’ultima tappa
della “navigatio vitae” o il ricordo della tragica
morte del fratello (sprofondato in un fiume gelato
all’età di dodici anni), o che, in una prospettiva di
lettura sociopolitica, vada interpretato come il
vascello della libertà sepolto nel grande gelo della
Germania della Restaurazione, in ogni caso la tela è
Il mare di ghiaccio 1824 la parabola di un annientamento e di un arresto, è
olio su tela; 96,7 x 126,9 la fotografia di una sconfitta cosmica, che non
Amburgo, Kunsthalle promette ricompense. Friedrich, a differenza di
molti artisti romantici (Turner, Géricault), evita la
rappresentazione del culmine drammatico
dell’evento per insistere piuttosto sulla terribile
evidenza tragica di un fatto già accaduto.
31. Il dipinto è uno degli ultimi realizzati prima del
colpo apoplettico che colpì Friedrich nel giugno del
1835. Si presenta, già nel titolo, come un’allegoria,
nel solco della tradizione figurativa occidentale.
L’ultima luce del giorno colpisce l’acqua vicino alla
riva dove sostano cinque figure: due bambini
impegnati ad agitare una bandierina svedese
(ricordo della terra di origine, la Pomerania, un
tempo luogo di libertà), un uomo adulto, una
giovane donna, un uomo più anziano di spalle, che
avanza vestito di un mantello e del berretto
patriottico rinascimentale. Le linee della
composizione conducono verso il centro della baia,
abitata da cinque velieri, associati simbolicamente
Le età dell’uomo alle figure. All’immagine del vecchio, probabilmente
1834-1835 un autoritratto “all’antica” del pittore, corrisponde
olio su tela; 72,5 x 94 la nave centrale, che viene avanti ammainando le
Lipsia, Museum der bildenden Kunste vele: Friedrich, in quello struggente tramonto,
prende congedo dai propri affetti (figli e nipoti) e
dalla propria stessa vita (dalla propria infanzia e
giovinezza), condensando in un’unica visione una
situazione esistenziale complessa e articolata.
32. La produzione artistica di John Constable (1776-1837) è quasi tutta incentrata sul tema del paesaggio. La
natura, nella cultura romantica, svolge sempre un ruolo fondamentale. Ma alla natura gli artisti romantici
si accostano con animo diverso: per scoprirvi la potenza imperiosa che spaventa ed atterisce, e ciò lo si trova
soprattutto nel romanticismo tedesco, o per ritrovarvi angoli piacevoli ed accoglienti, ed è ciò che
caratterizza il romanticismo inglese. I paesaggi di Constable sono sempre gradevoli. Ritraggono una natura
in cui c’è un felice equilibrio tra gli elementi naturali (alberi, fiumi, colline) e gli elementi artificiali (case,
stradine, ponticelli). I paesaggi di Constable esprimono il sentimento di armonia tra l’uomo e la natura. Per
la loro casuale ed irregolare disposizione i paesaggi di Constable rientrano pienamente in quella categoria
estetica del pittoresco. Ciò che manca, in questi quadri, sono le false rovine che davano al pittoresco
precedente un carattere eccessivamente artificioso e letterario.
La pittura di paesaggio ha conosciuto una grande fortuna nei paesi nordici, ed in Olanda in particolare, per
tutto il Seicento e il Settecento. Anche John Constable mosse i suoi primi passi da queste esperienze
vedutistiche olandesi, ma la sua capacità di paesaggista fu di superare le qualità descrittive dei quadri
precedenti per caricare i suoi paesaggi di intensità lirica. La pittura di Constable produsse notevoli
influenze su molti pittori, sia inglesi sia francesi.
33. Ciò che caratterizza formalmente la
pittura di Constable è la capacità di
indagare gli elementi visivi che formano
un paesaggio. Del tutto assente un
disegno compositivo, anche se si avverte la
grande progettualità degli elementi che
compongono i suoi quadri, lo stile pittorico
è tutto affidato al colore. Il suo tocco è
filamentoso e sporco. Le forme non hanno
un contorno definito ma si riconoscono
solo dai passaggi di tono e di colore. La
superficie del quadro viene così a
presentarsi, ad una visione molto
ravvicinata, come un impasto formato da
mille tonalità differenti. Questa tecnica fa
John Constable, Il carro di fieno, 1821 sì che, ad una certa distanza, le immagini
percepite sul quadro sembrano vibrare di
una autonoma luce, rendendole più vive e
dinamiche delle usuali rappresentazioni
pittoriche.
34. In questo quadro il soggetto, il carro di
fieno, è solo un pretesto per consentire la
rappresentazione di un paesaggio
tipicamente inglese. Il carro sta guadando
un piccolo ruscelletto che, nello spazio del
quadro, forma una duplice curva ad esse. In
una delle due anse del ruscello, a sinistra,
c’è una casa che sembra quasi confondersi
con il paesaggio circostante. La casa viene
protetta da una cortina di alberi che creano
una nicchia accogliente in cui si inserisce
l’edificio. Sulla destra si apre una pianura
che viene chiusa da una fila di alberi che si
vede in lontananza. La parte superiore del
John Constable, Il carro di fieno, 1821 quadro è occupata da un cielo percorso da
nuvole. Tutto il quadro tende ad un
naturalismo molto accentuato. La forma
non sono le cose, ma la percezione delle
cose. Il sentimento che ispira è quella
sottile vena di piacere che apre gli occhi per
far loro godere l’atmosfera ampia che
circola nella scena inquadrata.
35. Flatford Mill è una delle prime grandi
realizzazioni di Constable realizzate in gran
parte en plain air. Benché sia stato preceduto
da numerosi studi e schizzi, il quadro cerca
una visione quasi casuale del luogo
raffigurato. Nella scena, ambientata nei suoi
luoghi d’infanzia, vediamo sullo sfondo a
sinistra il mulino ad acqua proprietà del padre
con un attracco per le barche che venivano
trainate da cavalli su e giù lungo il fiume.
L’immagine è una ricerca di quella
spontaneità della natura, al quale l’uomo
John Constable, Flatford Mill, 1817 adatta le sue necessità e non viceversa. Il
gusto per il pittoresco è qui una dimensione
non solo estetica, ma di grande partecipazione
emotiva, come ci attesta la scelta di
raffigurare i proprio luoghi d’infanzia. E qui
si coglie la maggior differenza tra il pittoresco
rococò e preromantico, che era una scelta
fondamentalmente estetica, ed il pittoresco
romantico che è dimensione propriamente
poetica.
36. L’interesse per lo studio analitico del
paesaggio in Constable è attestato da
centinaia di tele che egli ha dedicato alle
nuvole. Chi conoce l’Inghilterra sa che le
nuvole costituiscono, qui più che altrove,
un elemento determinante del paesaggio.
L’interesse di Constable non si sofferma
solo sulla diversa forma che i banchi di
nuvole possono assumere, ma ne indaga
soprattutto la qualità luminosa e cromatica
in riferimento alle diverse ore del giorno.
Questi esperimenti, che per certi versi
anticipano l’Impressionismo francese, ci
dimostrano l’intuizione di Constable che la
luce è la grande protagonista del paesaggio.
John Constable, Studio di nuvole, 1822
37. È questo uno degli ultimi paesaggi
realizzati da Constable. La piana di
Hampstead è uno dei paesaggi preferiti
da Constable che spesso ritrae questi
luoghi nei suoi dipinti. Qui vi inserisce
un immaginario mulino a vento, ma
soprattutto vi rappresenta due
arcobaleni. L’interpretazione del luogo ci
dimostra come nella sua attività matura
l’indagine scientifica della natura cede
sempre più il passo ad una ricerca di
John Constable, Arcobaleno su Hampstead Heath, 1836 effetti visivi più lirici. Così come una
semplificazione delle superfici ad effetti
quasi astratti ci testimoniano una
padronanza che riesce ad evocare e
suggestionare anche senza più
rappresentare.
38. Le categorie estetiche a cui è improntata la pittura di Turner sono il
pittoresco e il sublime. Quel sublime dinamico, come lo definiva Kant,
che riguardava le manifestazioni della natura caratterizzate da
grande esplosione di energia. Il soggetto di alcuni suoi quadri più
tipici sono proprio le tempeste. Quella furia degli elementi che
imprime grande velocità all’atmosfera.
Nei suoi quadri gioca un elemento fondamentale la luce. Egli cerca di
dare un’autonomia alla luce rappresentandola non come riflesso sugli
oggetti ma come autonoma entità atmosferica. Per far ciò, usa il
colore in totale libertà con pennellate curve ed avvolgenti. Le
immagini che ne derivano hanno un aspetto quasi astratto che non
poco sconvolse il pubblico del tempo. Secondo alcuni critici egli non
dipingeva ma impastava sulla tela ingredienti da cucina, quali uova,
cioccolata, panna, ricavandone un miscuglio da pasticciere. Queste
critiche dimostrano quanto fosse poco compresa la sua pittura. Essa,
tuttavia, divenne un riferimento importante per la successiva pittura
impressionista.
39. Sebbene nel 1799 Turner avesse ricevuto un importante
riconoscimento professionale da parte della più importante
istituzione artistica inglese, la Royal Academy, divenendone il più
giovane membro associato, in questo Autoritratto non sembra
intenzionato a dare un’immagine “sociale” di sé, come artista
accademico, bensì come giovane ambizioso ed eroico. Egli era
consapevole delle proprie umili origini e di ciò pare fosse molto a
disagio nel confrontarsi con l’ambiente della nobiltà londinese
entro cui, per ragioni professionali, era costretto a muoversi.
Inoltre la sua famiglia era “macchiata” da quella che, all’epoca,
era considerata un’onta, ossia la malattia mentale della madre,
che veniva nascosta tra le mura domestiche per timore che la
carriera del giovane potesse esserne compromessa. Per tutte queste
ragioni il suo carattere era timido e riservato e sembra che neanche
i più intimi amici conoscessero le sue vicende familiari. Turner non
eseguì molti autoritratti, cosciente dei suoi lineamenti poco fini e
non coerenti con le aspettative romantiche nutrite dal pubblico de
suoi dipinti. Pare che due celebri suoi ammiratori, Eugène
Delacroix e Thomas Cole, fossero rimasti piuttosto delusi dal suo
aspetto, che contrastava con la raffinatezza della sua pittura.
Autoritratto 1799 circa
olio su tela; 74,3 x 58,4
Londra, Tate Britain
40. Si tratta di una delle opere più suggestive del pittore inglese
dove protagonista della composizione non è solo il treno
(che già circolava in Gran Bretagna dalla fine degli anni
Venti e che per la prima volta viene rappresentato in
pittura) ma la luce filtrata dall’effetto di pioggia e di
vapore sul nuovo ponte di Isambard Kingdom Brunel a
Maifdenhead (lungo la linea ferroviaria tra Londra e
Reading) e resa con impalpabile delicatezza e straordinario
lirismo. La scelta della prospettiva in profondità accentua
l’impetuosità del movimento del treno in corsa, simbolo
della modernità che, ormai, supera la natura, sintetizzata
dalla lepre che, correndo, attraversa i binari. Lo spazio del
Pioggia, vapore e velocità. La grande ferrovia occidentale quadro sembra estendersi oltre i limiti prospettici e
1844 materiali verso un infinito di vortici d’aria e dinamismo di
olio su tela; 91 x 121,8 luce. L’opera, come altre di questa fase del pittore, è stata
Londra, National Gallery considerata anticipatrice dei modi dell’impressionismo e
addirittura dell’espressionismo astratto, in una linea critica
che ha voluto leggere Turner come un artista
“contemporaneo”. La sua ricerca lo ha portato, certamente,
ad alcune intuizioni sullo spazio, sul movimento della luce,
sull’atmosfera e sulla decostruzione dell’immagine che
hanno sconvolto i canoni di giudizio anche della sua stessa
epoca.
41. L’opera, che fu terminata da Turner al suo rientro
dall’Italia nel 1829, può essere interpretata come
una fase di transizione tra la precedente fase più
classica e descrittiva e lo stile più libero delle sue
ultime opere. John Ruskin, che aveva già dimostrato
di apprezzare i suoi lavori, sostenne che questo "era il
quadro centrale della carriera di Turner", alludendo
forse anche alla simbologia del soggetto, che potrebbe
essere un’allegoria della sua esistenza: Turner, come
Ulisse, eroe mitico che aveva resistito alle tentazioni
delle sirene per raggiungere il proprio traguardo,
Ulisse schernisce Polifemo trionfando su ogni avversità. Dunque il tema
1829 mitologico costrinse l’artista, in quest’opera, a
olio su tela; 132,5 x 203 un’atmosfera ancora drammaturgica, combinata e
Londra, National Gallery perfettamente armonizzata, però, con la sua
eccezionale sensibilità visiva e atmosferica, ottenuta
attraverso le macchie di colore rossastro e le
sfumature violacee dell’orizzonte, delicate e
abbaglianti al tempo stesso. Turner, infatti,
rispondendo a coloro che lo criticavano contestando
la poca chiarezza dei suoi dipinti, ribatteva:
"L’atmosfera è il mio stile".
42. Dopo le prime commissioni da parte
dell’aristocrazia terriera, relative alle esecuzioni
di vedute delle loro proprietà, o da parte di
architetti che richiedevano di ritrarre edifici
gotici, il giovane Turner si concentrò sempre più
sul paesaggio puro, cercando di cogliere le
particolarità atmosferiche di determinati momenti
della giornata o stagioni. In questo Chiaro di
luna, studio a Millbank l’intenzione dell’artista è
quella di comunicare una suggestione visiva e
romantica, quella del riflesso della luna piena sul
Tamigi e della sensazione di immobilità delle
barche notturne sull’acqua, mentre lo “skyline” di
Londra si intravede impalpabile sullo sfondo. La
tecnica risulta già rigorosa e precisa, l’impianto
centrale è ancora abbastanza tradizionale, ma con
una ricca varietà di sfumature luministiche e
cromatiche.
Chiaro di luna, studio a Millbank
1797
olio su tavola; 31,4 x 40,3
Londra, Tate Britain
43. Il quadro, al pari di "Regolo", prende
solo a pretesto l'episodio storico di
Annibale per una immagine che in
realtà è una libera ricerca di effetti
luminosi e dinamici attivati da una
tempesta di neve. Lo schema
compositivo ricorre in molte altre oper
di Turner: una specie di vortice che
ruota intorno ad un punto posto in
posizione leggermente decentrata. In
questo caso Turner cerca la
William Turner, Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, 1812 rappresentazione di quel sublime
"dinamico" teorizzato da Kant: la
sensazione di intensa ed emozionante
paura attivata dalla potenza della
natura. Potenza che ritroviamo nello
spettacolare scatenarsi degli elementi
in occasione di tempeste, uragani,
eruzioni di vulcani, terremoti,
maremoti, e così via.
44. Il quadro, conservato alla Tate Gallery di
Londra, è uno degli esempi più noti della ricerca
di Turner legata alla percezione della forza della
natura. Lo scatenarsi di una tempesta di neve
avviene in mare, travolgendo una nave che nel
quadro appena si intravede nel gran turbinio
d'acqua che Turner rappresenta. Il mare è
anch'esso un soggetto molto amato dall'artista
inglese, che in numerosi quadri rappresenta scene
marine e navi. Qui il mare diviene il luogo di
quel "sublime dinamico" che abbiamo visto spesso
comparire nei quadri di Turner, che in questa
tela, più che in altre, abbandona ogni
preoccupazione di rappresentazione figurativa
William Turner,
per darsi ad una pittura di gesto che sfiora quasi
Tempesta di neve, 1842
l'astratto. Inutile dire che il quadro, troppo in
Tate Gallery
anticipo sui gusti del tempo, non ricevette
critiche entusiastiche. Per esso, come per altre
tele di Turner, i critici inglesi parlarono di
"pasticceria", in quanto un quadro così fatto
sembrava loro più un tavolo sporco di latte,
farina, uova, cioccolato, ecc. che non la tela di
un pittore.
45. William Turner è stato un artista
molto presente in Italia, e nei suoi
numerosi viaggi ha toccato molti
luoghi caratteristici della penisola,
quali Roma, Tivoli, Napoli ed altri, di
cui ci ha lasciato testimonianza in
numerosi quadri e disegni. Uno dei
luoghi a lui più congeniali fu
comunque Venezia, in un periodo in
cui tutta la cultura inglese romantica,
anche grazie a John Ruskin, amò
molto la città lagunare. Questo quadro
raffigurante il Canal Grande è solo
una delle numerosissime tele che
Turner realizzò a Venezia. Le sue
caratteristiche stilistiche sono ben
William Turner, Il Canal Grande, 1835 evidenti soprattutto nel dissolversi
della forma nella luce, che dà
all'immagine un aspetto evanescente e
un po' sfocato.
46. Dido Building Carthage, Or the Rise of the Carthaginian
Empire, by J.M.W. Turner (1815). National Gallery, London
47. Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) è il principale esponente della Confraternita dei
Preraffaelliti, costituita in Inghilterra nel 1848. Nonostante il nome italiano, Rossetti è
un pittore inglese che sviluppa la sua attività nella seconda metà dell’Ottocento. La
Confraternita dei Preraffaelliti è la corrente artistica che più di qualsiasi altro movimento
romantico si rifà al medioevo. Tanto che già dal nome dichiarano le loro intenzioni
poetiche e stilistiche: rifarsi all’epoca tardo-medioevale, in particolare alla spiritualità e
allo stile tardo gotico e primo rinascimentale del Trecento e del Quattrocento. Ciò che
rifiutano è quel rinascimento maturo che trovava in Raffaello l’esponente più tipico.
Il fenomeno dell’arte preraffaellita, anche per il periodo in cui si manifesta, è un ultima
manifestazione del romanticismo inglese ed insieme anche il contributo anglosassone alle
poetiche simboliste europee che partecipano del decadendismo di fine secolo.
Il medioevo dei preraffaelliti è infatti molto letterario, tradendo una rievocazione che sà
più di sogno e di mito che non di riscoperta vera del periodo medievale. I quadri
preraffaelliti di Rossetti sono pervasi da una dimensione del silenzio che risuona di note
sensuali e decadenti. La figura femminile è sempre presente, svolgendo un ruolo simile a
quello di Beatrice per Dante: lo svelamento, attraverso la bellezza, della dimensione
trascendentale.
48. Il quadro si basa sul colore bianco che omogeneizza tutta l’immagine. In
questo bianco si stagliano poche note di colore, il rosso della stola in primo
piano, i capelli dorati e le aureole gialle, l’azzurro della tenda dietro al letto.
Gli elementi iconografi della Annunciazione presenti sono il giglio, che
compare sia in mano all’arcangelo che sulla stola rossa, e la colomba simbolo
dello Spirito Santo. La Madonna ha un atteggiamento triste e pensono. Ciò
che il pittore rappresenta non è tanto il mistero di un concepimento
miracoloso ma il sentimento universale che provano tutte le donne quando
sanno che dovranno diventare madri. La sensualità molto terrena
dell’immagine viene accentuata dalla figura dell’arcangelo che qui appare di
una virilità molto evidente, a differenza di quanto avveniva nei quadri tardo
gotici dove l’arcangelo prendeva un aspetto di indefinita sessualità.
L’arcangelo Gabriele sembra che non poggi i piedi a terra e le lievi fiamme
gialle che si notano ai piedi e riflesse sul pavimento lo qualifica come
messaggero ultraterreno. Ma è da notare che la sua rappresentazione avviene
da un diverso punto di vista, più basso, rispetto al resto dell’immagine che è
vista da un punto di vista più alto. Questa incongruenza prospettica è
sicuramente voluta, visto che è molto comune in tanta pittura del
Quattrocento, e dalla quale Dante Gabriel Rossetti prendeva spunto.
Dante G. Rossetti,
Ecce ancilla domini, 1850
49. In numerose sue opere Rossetti trae ispirazione da Dante
Alighieri. Di soggetto dantesco è anche questo «Beata
Beatrix» in cui si confondono suggestioni che gli derivano dal
poeta fiorentino con sue esperienze personali. L’immagine di
Beatrice, la donna amata da Dante e prematuramente
scomparsa, si confonde qui con la figura di Elizabeth Siddal,
la moglie anch’ella morta giovane. La donna, infatti, riceve
nelle mani da un uccello rosso, simbolo di morte, un papavero
bianco. Elizabeth Siddal morì infatti per una overdose di
laudano, una droga che si estrae anche dal papavero. In
secondo piano compaiono due figure: sono di nuovo Beatrice,
la cui testa è circondata da un’aureola, che riceve Dante nel
paradiso. Sullo sfondo si apre uno squarcio luminoso che fa
intravedere il Ponte Vecchio a Firenze. L’atmosfera di
silenzio estatico, insieme ai pensieri funerei impliciti
nell’immagine, ci permettono di collocare questa immagine nel
gusto decadentista del tempo, di cui i Preraffaelliti
rappresentano in qualche modo una notevole anticipazione.
Dante G. Rossetti, Beata Beatrix, 1864-70
50. Il ritratto femminile è uno dei temi che ossessivamente Rossetti ripete nell’ultimo
periodo della sua attività. Qui, in uno dei suoi dipinti più celebri e riusciti, ad essere
ritratta è Jane, moglie di William Morris, che in anni precedenti aveva già posato
per Rossetti quale Ginevra per alcuni affreschi realizzati ad Oxford. In questa tela
la ritrae quale Proserpina, o Persefone, la fanciulla, figlia di Zeus e Demetra, rapita
da Ade, signore dell’oltretomba, per farla sua sposa. Rossetti ritrae Proserpina con
un melograno in mano, simbolo di matrimonio ma anche di prigionia. In primo piano
un incensiere ci riporta alla natura spirituale di Proserpina che simboleggiava
nell’antichità l’immortalità dell’anima. Di sotto vi è un’iscrizione in italiano che
dice: «Dante Gabriele Rossetti ritrasse nel capodanno del 1874». In alto, all’interno
di un cartiglio, Rossetti scrive anche una breve poesia, sempre in italiano, per
enfatizzare la condizione di infelicità in cui era costretta Proserpina.
Dante G. Rossetti, Proserpina, 1874
51. Il quadro di Rossetti è un ulteriore esempio della poetica
preraffaellita. L’immagine di idilliaco convegno di fanciulle,
intente a suonare e ballare, in un paesaggio pulito e bucolico
rivisitazione di campagne toscane, ha valenze simbolico-
decadentiste molto evidenti. Se si considera che nello stesso
periodo gli artisti francesi facevano nascere l’Impressionismo
possiamo ben comprendere la distanza che separa negli stessi
anni i pittori dediti al realismo e quelli invece protesi
all’eplorazione di altri territori, che confinano più con il
sogno che non con la realtà
Dante G. Rossetti, Il padiglione nel prato, 1872
52. Francesco Hayez (1791-1882) ebbe una formazione giovanile neoclassica. Originario
di Venezia, nel 1809 si trasferì a Roma dove entrò in contatto con Antonio Canova
di cui divenne amico ed allievo. Trasferitosi a Milano nel 1820, in questa città
raccolse l’eredità del maggiore pittore neoclassico italiano: Andrea Appiani. Il suo
stile pittorico si formò di un linguaggio decisamente neoclassico che non perse mai
neppure nella sua fase romantica. Il suo romanticismo è infatti una scelta solo
tematica. Nel 1820 realizzò il suo primo quadro di ispirazione medievale «Pietro
Rossi prigioniero degli Scaligeri» che venne considerato il manifesto del
romanticismo italiano. Due anni dopo realizzò il quadro de «I Vespri siciliani». La
sua produzione, oltre ai temi storici, fu proficua anche nel genere dei ritratti. Dal
1850 diresse l’Accademia di Brera, divenendo un personaggio di spicco dell’ambiente
culturale milanese.
53. Rinaldo e Armida 1812-1813
olio su tela; 198 x 295
Venezia, Gallerie dell’Accademia
(in deposito alla Civica galleria d’arte
moderna di Ca’ Pesaro)
Eseguito dall’artista appena ventenne questo quadro è ispirato alla Gerusalemme Liberata del Tasso, Le vicende
dell’esecuzione sono raccontate nelle Memorie, dove si parla del rapporto di Hayez con i due modelli e, in particolare, con la
bellissima giovane di diciannove anni utilizzata per la figura di Armida, che aveva suscitato rispetto e devozione nell’artista,
in genere facile preda di turbamenti amorosi. Lo stile purista e la scelta iconografica tassesca sembrerebbero derivare dalla
pittura dei Nazareni tedeschi, dei quali a Roma si cominciava a notare la presenza, come racconta nelle Memorie lo stesso
Hayez; mentre il luminoso e sensuale nudo di Armida evoca la Paolina Borghese come Venere vincitrice (1805-1808) di
Canova. La scena, immersa in una calda atmosfera tizianesca, si apre sul fondo in un misterioso paesaggio che ricorda un
romantico giardino all’inglese, ed è questo l’elemento più affascinante e straordinario, insieme al virtuosistico rimando delle
immagini riflesse, dallo scudo allo specchio d’acqua, che sembra un’eco della Susanna e i vecchioni del Tintoretto a Vienna.
54. L’iconografia biblica è appena riconoscibile attraverso la piccola
figura sfumata del re David, nascosto dalle fronde sull’estremo
margine superiore, e gli abiti egizi dell’ancella che accentuano,
in realtà, il carattere esotico della scena. Il tema della bella
Betsabea al bagno, comprensibilmente gradito ai committenti,
ebbe molta fortuna in Hayez (che lo affrontò quattro volte) e
presso altri artisti del tempo poiché univa generi differenti: il
nudo, il quadro storico–religioso e quello di gusto erotico e
disimpegnato della bagnante. Tutta la composizione ruota
intorno al nudo levigato di Betsabea, plasmato dalla luce che
piove dall’alto lasciando in ombra solo il paesaggio e certe parti
delle figure. Alla partitura grafica, particolarmente precisa e
raffinata, corrisponde una stesura cromatica dai toni
generalmente smorzati e freddi, a eccezione dei costumi delle
ancelle accesi di un rosso vivo. La bellezza ideale di Betsabea,
che riecheggia il classicismo seicentesco del Reni e del
Domenichino, sembra anticipare il purismo che Hayez
prediligerà nelle opere degli anni successivi. Non è un caso che il
Betsabea al bagno dipinto, firmato e datato, abbia avuto una traduzione grafica
1834 da parte di Bartolomeo Soster, teorico del purismo.
olio su tela; 180 x 140
Collezione privata
55. Opera sicuramente tra le più note di Hayez, «Il bacio»
è un po' la quintessenza del sentimentalismo
romantico, per di più vestito di abiti medievali a
richiamare molti di quei grandi amori tramandati da
novellieri e drammaturghi, da Paolo e Francesca a
Giulietta e Romeo, e così via. Così rievocazioni di
sapore storico-letterario si uniscono ad atmosfere di
facile effetto, creando un'immagine che, se da un lato
banalizza alcune delle pulsioni che hanno creato il
romanticismo, dall'altro riesce a sintetizzare in modo
efficace le suggestioni condivise da gran parte del
romanticismo italiano.
Il bacio
1859-1867
olio su tela; 55 x 40
Collezione privata
56. Il dipinto segna un momento di svolta nella pittura di Hayez.,
Messo da parte il vero e proprio genere storico, Hayez aveva già,
negli anni Quaranta, elaborato un suo personalissimo repertorio
romantico trasferendo una valenza politica e civile a una serie
iconografica definita genericamente Malinconia e strettamente
collegata con le pensierose eroine bibliche (Rebecca e Tamar) e con
le seducenti Bagnanti o Odalische, emblema già di un malessere
esistenziale. Dieci anni dopo, circa, in seguito alla delusione
risorgimentale del 1848, la “malinconia” della coscienza
contemporanea si trasforma in Meditazione. Nella prima
versione, esposta a Brera il motivo patriottico del dolore
dell’Italia sconfitta veniva celato da un travestimento religioso.
In questa seconda Meditazione il messaggio politico si interpreta
più chiaramente attraverso gli oggetti tenuti in mano dalla
sensuale figura femminile: la finta Bibbia con la scritta “Storia
d’Italia” e una luttuosa croce del martirio risorgimentale sulla
quale compare la scritta in rosso: “18.19.20.21.22 marzo /1848”,
la data delle Cinque giornate di Milano. La figura,
particolarmente intensa ed espressiva, è raffreddata nella sua
La Meditazione carica emozionale dal cromatismo perlaceo e lunare, che crea un
1851 suggestivo gioco di chiaroscuri.
olio su tela; 92,3 x 71,5
Verona, Civica galleria d’arte moderna
57. Antonio Fontanesi (1818-1882) tra i pittori italiani è quello che più riesce ad
interpretare un romanticismo di livello europeo, anche se la sua attività si svolge nella
seconda metà del secolo. La sua pittura è tutta prodotta nell’ambito tematico del
paesaggio che egli riesce ad interpretare con una sensibilità lirica di livelli eccezionali.
La nota di fondo è sempre una malinconia lieve e struggente. La natura è una
presenza senza tempo la cui illimitatezza non è spaziale ma temporale. La natura è
eterna, questa sembra la suggestione maggiore dei quadri di Fontanesi. Ossia, la
vicenda umana trascorre e passa ma la natura rimane sempre lì, con le sue alture, i suoi
prati, i suoi alberi.
Nei suoi quadri, tendenti spesso al monocromo, c’è sempre molta attenzione alla
particolare ora del giorno. Prediligge l’ora vespertina o mattutina, in cui la luce
acquista una magia molto poetica. La tecnica è molto libera e riesce ad evocare una
rappresentazione naturalistica con impasti coloristici quasi astratti e casuali.
58. La tecnica pittorica di Fontanesi è basata sempre sulla
velocità di esecuzione. Questo disegno è stato realizzato
a carboncino su cartone e produce pertanto un’immagine
monocroma di pochi tratti e macchie. Il paesaggio è còlto
in un’ora vespertina, quasi notturna. La natura ha un
aspetto freddo e spoglio. Al centro della radura si
notano alcune mucche al pascolo e al centro, seduto a
terra, il pastore che le sorveglia. È un’immagine che
trasmette un senso di silenzio e solitudine. Una
Antonio Fontanesi, Pascolo nella radura, 1873 sensazione di raccoglimento interiore che dà al paesaggio
una intonazione lirica molto profonda, ma di segno
opposto a quella trasmessa dai quadri di Giacinto
Gigante.
Nelle vedute dell’artista napoletano la natura si
presenta sempre con caratteri piacevoli ed accoglienti. I
luoghi della natura sono spazi di vita per gli uomini che
in quei luoghi inseriscono con naturalezza le loro case e i
loro manufatti, ritrovando così un’armonia serena tra se
e la natura che li circorda. I paesaggi di Fontanesi
hanno invece un aspetto più inospitale e duro. La
natura in questo caso si presenta più altera ed
inaccessibile, senza che l’uomo possa trovarvi
un’accoglienza generosa e serena.
59. La presenza solitaria in un
paesaggio rurale di una
pastorella raccolta nei suoi
pensieri è uno dei temi
preferiti da Fontanesi. La
solitudine diventa la
sensazione più propria per
vivere un rapporto con la
natura carico di silenzi ed
attese.
Antonio Fontanesi, Solitudine, 1876
60. È questo uno dei quadri più
celebri di Fontanesi. In esso,
oltre ai consueti temi del
rapporto emotivamente triste
con la natura, troviamo
un'espressione poetica del dato
luminoso, peraltro non
infrequente nei quadri del
pittore torinese. La luce è la
reale protagonista
dell'immagine, insieme al
profilo scheletrico dell'albero,
tra i cui rami vediamo una
nuvola, dietro la quale si
nasconde il sole.
Antonio Fontanesi, Aprile, 1873
61. È questo uno dei pochi
quadri di Fontanesi che
non rappresenta un
paesaggio ma un interno.
Questa stalla, visitata di
notte, evoca un mondo
rurale di altri tempi con
tutta la sua suggestione
fatta di odori, di ombre,
di lenti movimenti.
Antonio Fontanesi, La stalla, 1872-73
62. Tranquillo Cremona (1837-1878) rappresenta il pittore più tipico della Scapigliatura milanese.
La Scapigliatura è un fenomeno tipicamente milanese che si sviluppò nei due decenni tra il
1860 e il 1880. Vide coinvolti letterati, pittori, scultori, tutti accomunati da atteggiamenti e
comportamenti antiborghesi e anarcoidi. La tensione critica nei confronti della società del
tempo si espresse con l’accentuazione della passionalità. Le passioni venivano viste come
l’energia nascosta sotto la facciata perbenista della società milanese ottocentesca. Questa forte
accentuazione dei sentimenti collocano la Scapigliatura nella ultime propaggini dello spirito
romantico dell’Ottocento. Contemporaneamente la Scapigliatura, con la sua grande carica di
sensualità, sembra anticipare l’estetica decadentista che si comincerà a manifestare dopo
qualche anno.
La pittura di Tranquillo Cremona deriva stilisticamente da quella di Giovanni Carnovali, detto
il Piccio, da cui prende soprattutto la pennellata filamentosa e sporca, tesa più ad evocare che
non a rappresentare, e la capacità di concentrare le atmosfere psicologiche. Nei quadri di
Cremona sono del tutto assenti i temi principali del romanticismo italiano: il paesaggio e la
storia. Egli si concentra solo sulla figura umana che diviene la protagonista unica dei suoi
dipinti.
63. In questo quadro l’abbraccio vede protagoniste due donne. Il
loro atteggiamento, tuttavia, non lascia spazio a dubbi: ad
avvinghiarle è una passione forte e morbosa fatta di richeste,
da parte della donna in basso che cerca di stringere l’altra, e
di dinieghi, da parte della donna in alto che ha un
atteggiamento di ritrosìa. Il soggetto è decisamente
anticonformista con un chiaro intento scandalistico.
La tecnica pittorica è molto libera e giocata solo sul filamento
coloristico che vibra di sottile ma intensa luce al punto da
rendere vaga e sognante l’apparizione. L’immagine, come
nella maggior parte dei quadri di Cremona, si concentra solo
sulle figure in primo piano mentre lo sfondo diventa
assolutamente informe ed indistinguibile. Un impasto di
colore che conserva le stesse tonalità delle figure
rappresentate così che queste sembrano quasi apparire, o
scomparire, nello spazio retrostante. L’immagine, proprio per
questa sua apparente derivazione onirica, fatta di sensualità
raffinata ma molto morbosa, anticipa alcuni dei temi poetici
che saranno tipici dell’estetica decadente, soprattutto
letteraria e poetica, di fine Ottocento e inizi Novecento.
Tranquillo Cremona,
L'edera, 1878
64. «La melodia» appartiene al periodo più
fecondo di Tranquillo Cremona, ed è
uno dei quadri che più esemplificano la
carica romantica e decadente insita nel
movimento della Scapigliatura. Tutto
si svolge come in un sogno: l’immagine
è soffusa e molti elementi vengono
appena accennati. Per comprendere la
differenza tra movimenti ancora di
ispirazione romantica e movimenti
realisti, si confronti questo quadro con
«Il canto dello stornello» realizzato da
Silvestro Lega solo qualche anno
prima. Il confronto tra le due immagini
è più eloquente di qualsiasi descrizione,
e rende più che palese quali notevoli
differenze stilistiche possono
intercorrere tra due quadri di medesimo
soggetto ma decisamente agli antipodi
Tranquillo Cremona, La melodia, 1874 per scelte formali.
65. Il quadro «In ascolto» è di
fatto il gemello de «La
melodia», al punto che possono
costituire quasi un dittico. La
complementarietà della due
immagini non è solo nella
rappresentazione di un
momento unico (l’esecuzione di
un brano musicale e il suo
ascolto), ma rappresenta la
stessa atmosfera evanescente e
trasognata, comunicando
un’emozione che è praticamente
unica.
Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874
67. Con il romanticismo, nato al volgere del Settecento, gli scultori si
liberarono dei modelli del passato per darsi alla creazione di opere
caratterizzate dal predominio della componente emotiva, in netta
rottura con la linearità neoclassica. In Francia, tra i più significativi
scultori romantici si ricordano François Rude e Antoine-Louis Barye.
Rude è noto soprattutto per le sculture monumentali dell'Arc de
Triomphe di Parigi, e in particolare per La Marsigliese (1833-1836), una
grande figura alata simboleggiante la libertà che si slancia in avanti
incitando alla battaglia il gruppo di uomini che la segue. Barye scolpì
soprattutto animali: i suoi bronzi sono naturalistici e meticolosi ritratti
di animate scene di lotta tra belve. In Italia, lo scultore di maggiore
talento fu Lorenzo Bartolini, ancora legato a formule neoclassiche cui
associò un nuovo sentimento purista e religioso, come nella statua
intitolata La fiducia in Dio (1836, Museo Poldi Pezzoli, Milano).
68.
69.
70. Lorenzo Bartolini, nato a Savignano di Prato nel 1777, studiò all'Accademia di Firenze e si trasferì poi a Parigi, ove
scolpì uno dei bassorilievi della colonna Vendome e un busto di Napoleone; Dallo stesso Napoleone fu inviato a Carrara a
dirigere l'Accademia di scultura dove, nonostante l'ostilitò dell'ambiente scolastico, e forte della stima della principessa,
eseguì vari busti e statue di "Napoleonidi" tra cui una statua colossale dell'imperatore destinata a Livorno ma poi inviata
a Bastia. Dopo la morte dell'imperatore si stabilì a Firenze, avversato per il suo passato di bonapartista e per i suoi
caratteri di innovatore: egli infatti, contro il gusto accademico neoclassico, sostenne l'imitazione della natura,
richimandosi ai grandi scultori del primo Rinascimento; finì così a ridursi all'isolamento in un ambiente ligio al più sterile
feticismo canoviano. Trovò però vari estimatori in una cerchia di facoltosi stranieri che lo sovvennero nelle sue disagiate
condizioni finanziarie con varie commissioni.
Ma di tale nuova apertura mentale e
programmatica egli doveva dare la più compiuta
e felice prova assai tardi, verso il 1818, con
l'Ammostatore, un fanciullo in atto di pigiare
l'uva, la cui nitida impostazione compositiva
esemplata su Donatello e sul Verrocchio, appare
rivissuta con una attenta osservazione del vero e
una delicata finezza di modellato.
71. Richiami al quattrocento fiorentino anche nel gruppo della Carità
educatrice, scolpito nel 1824 per una cappella della villa di Poggio
Imperiale, ma acquistato poi dall'Accademia di Belle Arti e quindi
collocato nella Galleria Palatina
72. Nel 1835 il Bartolini scolpiva la sua opera più
famosa: la statua della Fiducia in Dio, ispirata nella
posa ad una Maddalena penitente del Canova. Questa
scultura venne richiesta a Bartolini da Rosina
Trivulzio Poldi Pezzoli, madre di Gian Giacomo,
proseguendo un rapporto di committenza tra i due già
iniziato qualche anno prima, nel 1828, allorché lo
scultore aveva realizzato il busto-ritratto della
Marchesa. Rimasta vedova nel 1833 del marito
Giuseppe Poldi Pezzoli, Rosina chiese a Bartolini una
statua domestica e consolatoria, a espressione del
confidente abbandono nella fede da lei coltivato dopo
il lutto. Bartolini dette forma a questi nobili
sentimenti attraverso una giovane figura nuda,
seduta in stabile posizione con le mani giunte e
quietamente appoggiate, esprimente nel volto un
sentimento di intima e intensa devozione. Il marmo
ispirò al poeta Giuseppe Giusti un famoso sonetto.
73. Nello stesso periodo, dal 1830, il Bartolini si accinse
a quella che doveva essere la sua maggiore impresa di
statuario, il monumento ala conte Nicola Demidoff,
Ciambellano dello Zar di Russia, composto di cinque
gruppi e figure, che venne compiuto dal discepolo
Romanelli e collocato nel 1871 nella omonima
piazzetta di Firenze: la statua più bella, e
interamente del Bartolini, è quella della Beneficenza
nella quale, com maggior complessità compositiva,
ritorna il naturalismo affettuoso della Carità
educatrice di circa vent'anni prima.
74. L'ultimo capolavoro dello scultore è il monumento sepolcrale alla
principessa polacca Sofia Zamoyski in Santa Croce cui egli attese,
valendosi di aiuti, dal 1837 al '44.
75.
76. Nell’Ottocento, un altro movimento culturale
produsse i suoi riflessi in campo architettonico:
il romanticismo. Esso nacque già alla fine del
Settecento in Inghilterra, e trovò poi terreno
fertile nell’Europa nord occidentale, in
particolare Francia, Germania e Scandinavia.Si
rendeva palese ancora una volta, come già
avvenuto in epoca gotica, la differenza tra
Europa del nord ed Europa mediterranea. La
prima ritrovava, nelle sue radici medievali, una
identità più certa; la seconda restava ancorata
a principi di classicità più tradizionali.
77. Un’altra realizzazione, che rese evidente il gusto romantico,
fu quello dei giardini all’inglese. Il giardino di origine
rinascimentale, detto anche all’italiana, si basava su un
insieme di vialetti ed aiuole dalla geometria regolare e dal
disegno molto curato. In essi, trovavano posto con effetti
scenografici, statue, fontane, gazebi e così via. Il giardino
romantico, invece, si basava sulla spettacolarità della natura
spontanea, non sottomessa al disegno geometrico datogli
dall’uomo. I vialetti che percorrevano questi giardini erano
sempre molto tortuosi, seguendo le asperità altimetriche del
terreno. E in questi giardini, ad accrescere il loro aspetto
romantico, vi erano false rovine, così da ricreare quella
suggestione che lo spettacolo di edifici cadenti ed in rovina
trasmetteva agli spiriti romantici del tempo.