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Il Romanticismo è un movimento culturale sorto in Germania alla fine del Settecento e sviluppatosi in Europa
nell'Ottocento. Con il Romanticismo si fa coincidere l'inizio dell'arte contemporanea. Il movimento ha le sue
caratteristiche più manifeste nell'antitesi all'Illuminismo e al razionalismo che ne rispecchiava la filosofia. Il
Romanticismo afferma infatti una nuova concezione della vita e dell'arte che può così sintetizzarsi:

-affermazione delle ragioni della creatività dello spirito e della fantasia in opposizione a quelle della fredda
ragione; 

-rivalutazione delle tradizioni più vicine alla civiltà moderna in antitesi al culto dei miti dell'antico, ovvero
opposizione degli umori del Medioevo alla composta e grandiosa armonia dell'antichità classica; 

-ritrovamento dei valori religiosi contro l'ateismo o il fideismo dell'illuminismo;

-proposta dei valori nazionali attorno ai quali possono stringersi le comunità in opposizione all'indifferenza
del cosmopolitismo;

-tendenza a diffondere il popolare, anche in campo letterario;

- ritrovamento della vera realtà dell'uomo nella natura, il luogo in cui egli può compiere la più autentica
esperienza spirituale, far coincidere gli spazi illimitati dell'interiorità con quelli esterni altrettanto illimitati
del cosmo.
Théodore Gericault (1791-1824) svolse le sue prime esperienze pittoriche
nell’ambiente neoclassico francese che in quegli anni era influenzato
dalle figure di David e Ingres. Dopo un periodo di soggiorno a Roma,
dove ebbe modo di studiare le opere di Michelangelo e di Caravaggio,
fece ritorno a Parigi, nel 1817, dove conobbe Delacroix. In quegli anni
realizzò il suo quadro più famoso: «La zattera della Medusa», che fu
esposto nel Salone d’Autunno del 1819 ricevendo aspre critiche.
Negli anni successivi, il suo interesse per un naturalismo nudo e crudo lo
portò a prediligere temi dal gusto macabro, quali le teste dei decapitati o
i ritratti di pazzi e alienati mentali rinchiusi nei manicomi. Di carattere
molto introverso, Gericault rappresenta già il prototipo del successivo
artista romantico: amorale e asociale, disperato e maledetto, che
alimenta il proprio genio di eccessi e trasgressioni. Il gusto per l’orrido e
il rifiuto della bellezza dà immediatamente il senso della sua poetica:
un’arte che non vuole essere facile e consolatoria ma che deve scuotere i
sentimenti più profondi dell’animo umano, proponendogli immagini
raccapriccianti. La sua vita si concluse nel 1824, a soli 33 anni. La sua
eredità, in campo figurativo, fu presa soprattutto dall’amico Eugene
Delacroix.
Géricault ebbe una vera e propria passione per i cavalli, sin
                                      dall'adolescenza, quando poteva esercitarsi a lungo in
                                      prodezze di equitazione. L'acquisto del primo cavallo nel
                                      1808 coincise con la volontà di diventare un pittore di
                                      cavalli. Riuscì a entrare nello studio di Carle Vernet,
                                      pittore di genere, in quel periodo intento a dipingere scene
                                      di battaglie napoleoniche. Dopo un breve apprendistato
                                      con Guérin, allievo di David, Géricault s'iscrisse all'Ecole
                                      des Beaux-Arts nel 1812 e si dedicò allo studio dei grandi
                                      maestri del passato. Ma i suoi interessi erano sempre più
                                      rivolti alle immagini di cavalli, fanti, ussari e trombettieri
                                      a cavallo, come in questo caso, eseguite con una particolare
                                      attenzione al movimento e all'anatomia delle bestie e
                                      secondo forti contrasti cromatici e di luce, per esempio nel
                                      rosso acceso delle uniformi.




Tre trombettieri a cavallo
1813-1814 Olio su tela; 60,4 x 49,6
Washington, National Gallery
Presentato al Salon del 1814 questo quadro non ricevette il
                                             successo attribuito nel 1812 all'Ufficiale dei cavalleggeri della
                                             Guardia imperiale alla carica, con cui Géricault aveva esordito;
                                             al contrario il Corazziere fu molto criticato per le proporzioni,
                                             eccessivamente lunga quella del soldato, e soprattutto per la
                                             pennellata concitata, che rendeva l'opera troppo "non finita",
                                             quasi un bozzetto. Il soggetto della ritirata dopo la disfatta
                                             era con ogni probabilità riferito alla sconfitta subita
                                             dall'esercito napoleonico da parte dell'Inghilterra e degli altri
                                             paesi europei. Nel clima di Restaurazione era tornato in voga
                                             il linguaggio curato in tutte le sue parti di David e il pubblico
                                             non era pronto a recepire una stesura così poco rifinita come
                                             quella di Géricault.




Corazziere ferito che lascia il fuoco 1814
olio su tela ; 358 x 294
Parigi, Louvre
Dopo aver tentato e fallito il concorso del
                                       Prix de Rome, la prestigiosa prova che
                                       permetteva al vincitore di recarsi a Roma,
                                       per svolgere il perfezionamento artistico
                                       come "pensionnaire" all'Accademia di
                                       Francia a Villa Medici, Géricault decise di
                                       partire per conto proprio alla volta
                                       dell'Italia. Doveva vivere anche lui
                                       l'esperienza del "grand tour", con cui gli
                                       artisti e i gentiluomini completavano la loro
                                       educazione estetica; a Roma subì
                                       un'impressione profonda al cospetto degli
                                       affreschi michelangioleschi della Sistina e
                                       delle opere di Raffaello, del Guercino, di
                                       Caravaggio. Tuttavia oltre al fascino
                                       dell'antico e dei maestri del passato,
Famiglia italiana 1816-1817            Géricault fu attratto dalla vita
olio su cartone su tela; 21,9 x 29,3   contemporanea, che tradusse nelle sue scene
Stoccarda, Staatsgalerie               di contadini e gente umile, come questa, che
                                       nell'impostazione e negli atteggiamenti
                                       riprendono le composizioni classiche.
Una delle cose che più colpì Géricault a Roma
                                   fu la corsa dei cavalli barberi, organizzata a
                                   conclusione delle festività del carnevale; lungo
                                   la via del Corso, da Palazzo Venezia a piazza
                                   del Popolo, venivano lanciati i cavalli senza
                                   cavaliere, che alla fine venivano afferrati e
                                   rinchiusi dai palafrenieri. Al tema della gara,
                                   Géricault, amante della razza equina, dedicò
                                   diverse composizioni; questa coglie il momento
                                   della partenza, quando i cavalli eccitati sono
                                   tenuti a freno da possenti stallieri, che nelle
                                   loro proporzioni rievocano le immagini
                                   michelangiolesche. L'ambientazione concorre a
                                   definire uno spazio "antico", quello dei giochi
Corsa dei cavalli barberi 1817     dell'antica Roma, ai quali partecipava tutta la
olio su cartone su tela; 45 x 60   popolazione.
Parigi, Louvre
Il dipinto fa parte di un gruppo di tre opere, eseguite
                                dopo il rientro dall'Italia alla fine del 1817. Si tratta
                                di paesaggi colti in tre momenti diversi della giornata,
                                Paesaggio italiano all'alba, Paesaggio con tomba
                                romana (Mezzogiorno), questo Paesaggio con
                                acquedotto (La sera), che rispondono maggiormente
                                all'impostazione iconografica dei maestri del Seicento,
                                quali i francesi Poussin, Claude Lorrain e Gaspar
                                Dughet e gli italiani Carracci, piuttosto che a una
                                osservazione diretta e realistica dei luoghi. La diversa
                                incidenza della luce, dovuta alle ore del giorno, in
                                questo caso rende ancora più lirica questa
                                interpretazione ideale del paesaggio, nel quale si
                                percepisce il vagheggiamento nostalgico per un mondo
                                antico e perduto.




Paesaggio con acquedotto 1818
olio su tela; 252,5 x 222
New York, Metropolitan Museum
Nella sua breve carriera Géricault ha sperimentato temi e generi
                                   molto diversi fra loro. Uno dei soggetti al quale si è dedicato
                                   con attenzione, raggiungendo esiti pregnanti, è quello
                                   dell'espressione fisiognomica delle patologie e delle alterazioni
                                   psichiche della personalità. I suoi ritratti di alienati risentono
                                   delle scoperte di quegli anni a opera di psichiatri quali Pinel,
                                   Esquirol e Georget, impegnati nello studio della monomania che
                                   Géricault traduce con impareggiabile puntualità. La vecchia qui
                                   affetta dall'ossessione dell'invidia è colta con impietoso
                                   realismo; lo sguardo corrucciato di chi osserva qualcosa che
                                   produce quel sentimento che altera tutti i tratti del volto, al
                                   punto da venir soprannominata la "iena".




Monomane dell’invidia 1819-1822?
olio su tela; 72 x 58
Lione, Musée des Beaux-Arts
Al tema del mare in tempesta, Géricault ha
                           dedicato alcuni degli ultimi dipinti. Questa
                           Marina, in cui il colore delle acque nero e livido
                           contrasta con quello della roccia chiara, rivela il
                           gusto romantico per la rappresentazione di una
                           natura violenta e incombente, che sovrasta le
                           forze dell'uomo, piccolo in primo piano.
                           Traspare il senso metaforico della morte nel buio
                           dei flutti che ingoiano la vita, così come in altre
                           composizioni in cui vi sono naufraghi o
                           annegati. Tale metafora è rafforzata dal
                           carattere irreale e onirico dell'immagine, per cui
                           il paesaggio non è reso in forma descrittiva, ma
                           secondo macchie di luce e macchie scure, come
                           un'evocazione del sogno.

Marina 1823
olio su tela ; 46 x 55,5
Collezione privata
Theodore Gericault, La
                                                                                                     zattera della Medusa,
                                                                                                     1818
                                                                                                     Olio su tela

Il quadro di Gericault, prende spunto da un fatto di cronaca del 1816: l’affondamento della nave francese Medusa. Gli
occupanti della nave si rifugiarono su una zattera abbandonata alle onde del mare per diverse settimane. Solo una quindicina
di uomini furono tratti in salvo da una nave di passaggio, dopo che su quella zattera era avvenuto di tutto, anche fenomeni di
cannibalismo. L’episodio colpì molto l’immaginazione di Gericault che, immediatamente, si mise al lavoro per la realizzazione
di questa che rimane la sua opera più famosa.
Theodore Gericault, La
                                                                                                      zattera della Medusa,
                                                                                                      1818
                                                                                                      Olio su tela
Formalmente il quadro è costruito secondo il classico sviluppo piramidale. Nel quadro di Gericault le piramidi sono in realtà
due ed esprimono due direzioni che si incrociano tra loro opponendosi. La prima piramide parte dall’uomo morto in basso a
sinistra ed ha il vertice nell’uomo che, di spalle, sta agitando un panno. La seconda piramide parte dalle onde del mare per
giungere all’albero che sorregge la vela. Questa è la direzione del mare che spinge in direzione opposta rispetto alla direzione
delle speranze umane. È proprio la tensione visibile tra queste due forze opposte a dare un primo tratto drammatico alla scena.
Theodore Gericault, La
                                                                                                    zattera della Medusa,
                                                                                                    1818
                                                                                                    Olio su tela
In quest’opera Gericault usa più riferimenti alla storia dell’arte. L’atmosfera e i contrasti luministici e il braccio
abbandonato nell’acqua, dell’uomo morto in basso a sinistra, rimandano inevitabilmente a Caravaggio. Le figure hanno una
tensione muscolare, e una torsione, che rimandano immediatamente a Michelangelo. Le figure in basso a sinistra, del
ragazzo morto e del padre che lo sorregge pensoso, sembrano due statue greche. Da notare il particolare del ragazzo che,
benché nudo, ha le calze arrotolate ai piedi.Quelle calze, così comuni e banali, danno il senso tragico della umanità violata,
ossia della morte vera che spegne le persone vere in carne ed ossa.
Eugène Delacroix (1798-1863) è il pittore che più di ogni altro ha
interpretato il romanticismo in Francia. L’importanza di Delacroix
nella pittura francese dell’Ottocento è notevole soprattutto per gli
sviluppi successivi. Egli, molto suggestionato dagli effetti cromatici dei
quadri dell’inglese Constable, inizia a sperimentare quella divisione dei
colori che sarà il motivo fondamentale di tutta la successiva esperienza
impressionista e neo-impressionista. Benché usi una tavolozza di
molteplici colori, sia puri sia smorti, la sua tecnica si basa
sull’esaltazione cromatica data dall’accostamento di tinte e toni diversi
secondo il principio del contrasto luministico.
Con questo quadro Delacroix si impose al
                                    pubblico parigino presente al Salon del 1822,
                                    rivelando il carattere movimentato e intenso
                                    della sua pittura. Determinante era stata
                                    l'influenza della tela, di poco precedente,
                                    dell'amico Géricault, La zattera della
                                    Medusa, per i decisi tagli di luce e la
                                    composizione articolata in un crescendo della
                                    tensione. A ciò Delacroix ha aggiunto
                                    l'attenzione per l'arte di Michelangelo, come
                                    si può notare nel vigoroso modellato dei corpi
                                    dei dannati e gli effetti turbinosi del colore di
                                    un Rubens. La critica rimase tuttavia
                                    scettica; Delécluze definì l'opera "una crosta",
                                    mentre gli artisti intuirono la portata di uno
Dante e Virgilio all'Inferno 1822   stile innovatore, come Antoine Gros che
olio su tela; 189 x 246             addirittura parlò di "Rubens castigato". Il
Parigi, Louvre                      quadro fu acquistato per il Museo del
                                    Lussemburgo e l'artista definitivamente
                                    consacrato.
L'opera fa parte di alcuni studi preparatori per la
                                composizione con il Massacro di Scio e viene esposta
                                insieme a questa al Salon del 1824. Dopo il successo al
                                Salon di due anni prima, Delacroix voleva creare un
                                dipinto di grande effetto espressivo. La guerra fra i turchi
                                e i greci del 1820 e i terribili fatti che ne conseguirono
                                nell'isola di Chio, diedero all'artista lo spunto tematico.
                                Questa orfanella, che poi è diventata un'opera autonoma,
                                costituisce l'origine della figura del giovane che invoca
                                aiuto a sinistra del Massacro. Delacroix si era
                                documentato a lungo sui caratteri e gli abiti degli abitanti
                                di Chio, ricavando il particolare colore dell'incarnato.
                                L'espressione naturale tradisce la volontà dell'artista di
                                coinvolgere lo spettatore da un punto di vista emotivo.




Orfanella in un cimitero 1823
olio su tela; 65,5 x 54,3
Parigi, Louvre
Come era avvenuto per la Zattera della Medusa di
                                Géricault, l'impatto causato da un evento realmente
                                accaduto fornisce lo sfondo per la creazione di un'opera
                                in cui il contenuto fortemente drammatico colpisce
                                profondamente il pubblico. I resoconti dell'epoca su
                                questo cruento massacro compiuto dai turchi, per cui
                                nell'isola di Chio sopravvissero solo novecento greci,
                                furono studiati con attenzione dall'artista. Ancora una
                                volta è l'amico Géricault a ispirare il clima concitato e il
                                senso di dolore delle figure, che dai morti ed esanimi in
                                primo piano sale fino ai gesti disperati dei corpi del
                                registro superiore, fino al cavallo imbizzarrito del turco
                                mattatore.




Il massacro di Scio 1823-1824
olio su tela; 417 x 354
Parigi, Louvre
Al Salon del 1827 Delacroix presenta ben
                               tredici opere, di tutti i generi, dimostrando
                               la sua perizia nei ritratti, nei paesaggi,
                               nella natura morta, nei soggetti religiosi,
                               letterari e naturalmente storici. Si tratta
                               di una vera e propria sfida che raggiunge
                               l'effetto più alto con questa tela dedicata
                               a un fatto di storia antica, La morte del re
                               Sardanapalo. Come narrato dalle fonti si
                               trattò di un avvenimento di sconvolgente
                               crudeltà: il re che decise che tutta la sua
                               corte doveva morire con lui, per cui ordinò
                               agli schiavi di uccidere le donne, i paggi e
                               addirittura i cavalli, mentre tutte le
                               ricchezze e il palazzo sarebbero bruciati
                               con lui. Dal fondo scuro delle tenebre,
La morte di Sardanapalo 1827   emergono i corpi luminosi delle vittime in
olio su tela; 395 x 495        un vortice drammatico di violenza e
Parigi, Louvre                 disperazione. Quello che dall'artista fu
                               definito "il massacro numero due" lasciò
                               fredda la critica che ravvisò scandalosi
                               elementi orgiastici negli atteggiamenti.
Per quanto riguardava la realtà francese,
                                 Delacroix non era un artista impegnato sul
                                 fronte politico, sostenendo che le personalità
                                 colte non parlavano di politica. Tuttavia gli
                                 avvenimenti del 1830 lo costrinsero ad
                                 assumere una posizione. La sospensione delle
                                 libertà costituzionali operata da Carlo X nel
                                 luglio di quell'anno determinò l'insurrezione
                                 popolare. Delacroix non imbracciò le armi
                                 come Daumier e altri artisti, ma girò per
                                 Parigi, raccogliendo appunti sulla rivolta.
                                 Giocata sui tre colori della bandiera francese,
                                 bianco, rosso e blu, la composizione fonde
                                 elementi realistici, quali i cadaveri in primo
                                 piano e i combattenti, tra cui se stesso con il
La Libertà che guida il popolo   cilindro, con un'immagine classica, quella
1830                             allegorica della Libertà, cercando di porsi
olio su tela ; 260 x 325         come il manifesto degli ideali di rivolta.
Parigi, Louvre                   Ancora una volta il pubblico del Salon (1831)
                                 rimase sconcertato per la violenza dei
                                 contrasti e la crudezza poco dignitosa dei
                                 morti.
Con tante immagini e sensazioni
                                       impresse nella memoria, Delacroix
                                       rientra a Parigi dal suo viaggio
                                       nell'Africa del Nord, nel luglio del
                                       1832. Si mette subito al lavoro
                                       cercando di ricreare nello studio
                                       quelle atmosfere indimenticabili
                                       dell'Oriente. Uno dei risultati più
                                       sorprendenti è questo dipinto con
                                       le Donne di Algeri che domina al
                                       Salon del 1834. Critici come
                                       Théophile Gautier ed Etienne
                                       Délecluze rimangono affascinati
                                       dalle tinte raffinate dei tessuti
                                       multicolori e dagli accordi dei toni.
                                       Charles Baudelaire, anni dopo, ha
                                       definito il quadro un "piccolo
                                       poema d'interni" per il senso di
                                       quiete intima che emana, oltre a
Donne d'Algeri nei loro appartamenti
                                       una percezione olfattiva del luogo
1834
                                       malfamato.
olio su tela ; 180 x 229
Parigi, Louvre
Egli cerca di esprimere e indicare con fine sensibilità nei paesaggi quell’atmosfera e
provocazione religiosa e allo stesso tempo una solenne malinconia. La storia e, più ancora,
molti quadri di chiese si sono completamente dissolti, come spesso avviene, nel simbolismo e
nell’allegoria, e il paesaggio appare più adatto a evocare un sogno pensoso, un senso di
benessere o di gioia per la realtà imitata, alla quale si unisce da sola un’aggraziata nostalgia
e fantasticheria. Friedrich invece cerca piuttosto di creare un determinato sentimento, una
vera e propria concezione, e pensieri e concetti fissati entro questa, che si dissolvano
diventando una cosa sola con quella malinconia e solennità. Perciò cerca di introdurre nella
luce e nell’ombra la natura viva e quella morta, la neve e l’acqua, e parimenti nelle figure
l’allegoria e il simbolo, in un certo senso di innalzare nella fantasia mediante la chiarezza il
paesaggio, che ci è sempre apparso come un soggetto molto vago, sogno e arbitrio, al di là
della storia e della leggenda.
In questo quadro di Friedrich, forse tra i suoi il più
                                    famoso e anche quello più sfruttato, si avverte
                                    immediatamente la poetica del pittore. Il sublime, ossia il
                                    senso della natura possente e smisurata, viene qui
                                    presentato con una evidenza da teorema matematico. Su
                                    una roccia di origine vulcanica un uomo, raffigurato di
                                    spalle, ammira il panorama che gli si apre davanti. La
                                    nebbia che gli è innanzi è quasi come un mare da cui
                                    emergono come isole le cime delle montagne. Non vi è
                                    vegetazione che crea angoli accoglienti. Le rocce sono nere
                                    e inospitali. Emergono dai fumi di una nebbia che sembra
                                    quasi il vapore che sprigiona la terra dal suo interno.
                                    Il paesaggio ha qualcosa di così arcaico che sembra di
                                    ammirare la Terra subito dopo la Creazione. L’uomo che
                                    ammira questo spettacolo ci dà il confronto tra la
                                    piccolezza della dimensione umana e la vastità dell’opera
                                    della natura. È raffigurato di spalle così che lo spettatore
                                    del quadro deve condividere il suo punto di vista e
                                    compenetrarsi nel suo stato d’animo. Lo stato d’animo,
                                    cioè, di chi avverte dentro di sé il sentimento del sublime:
                                    meraviglia e quasi sgomento di fronte all’immensità
Viandante sul mare di nebbia 1818   dell’universo.
olio su tela; 74,8 x 94,8
Amburgo, Kunsthalle
Esposto, insieme al Monaco in riva al mare,
                                  all’Accademia di Berlino nel 1810, il quadro fu
                                  acquistato dal re di Prussia. Se nel primo
                                  dipinto l’artista mette in scena se stesso di
                                  fronte alla vastità illimitata di un universo
                                  senza tempo, in questo quadro egli rappresenta
                                  il suo funerale: verso quel portale diroccato,
                                  brandello di una cattedrale gotica ormai
                                  scomparsa, si dirige il corteo funebre. Gli alberi
                                  essiccati, che hanno perso le foglie così come la
                                  chiesa le sue murature, fanno da fondale
                                  all’azione drammatica. Scrive Friedrich:
Abbazia nel querceto 1809-1810    «Perché mai, mi hanno chiesto più volte, come
olio su tela; 110,4 x 171         soggetto dei tuoi dipinti scegli la morte, la
Berlino, Schloss Charlottemburg   caducità e il sepolcro? Per vivere eternamente,
                                  spesso ci si deve arrendere alla morte». La
                                  composizione è strutturata per fasce orizzontali
                                  senza profondità, cosa che non mancò di
                                  suscitare critiche da parte dei contemporanei
                                  (primo tra tutti Goethe); a una linea ellittica è
                                  affidato il compito di dividere il cielo
                                  luminescente dallo spesso e scuro muro di
                                  nebbia.
In molti dipinti di Friedrich appare la
                                                  cattedrale, simbolo di spiritualità, visione
                                                  fantastica che emerge tra i banchi di nebbia o tra
                                                  l’oscurità. In quest’opera, la chiesa è allo stesso
                                                  tempo il fantasma di un’antica memoria e il
                                                  miracolo invocato dal viandante solitario
                                                  appoggiato alla roccia. Nell’associazione tra
                                                  bosco e cattedrale si condensa il senso dell’antica
                                                  tradizione tedesca, che coniuga il mito pagano
                                                  della natura selvaggia con le forme
                                                  dell’architettura gotica e l’antica adorazione
                                                  degli alberi con l’altare cristiano, manifestando
                                                  la necessità di conciliare forma naturale e
                                                  progetto umano. Il ruolo della figura maschile
Paesaggio d’inverno con chiesa
                                                  sarebbe del tutto marginale se non fosse per
1811
                                                  quelle grucce gettate sulla neve, allusioni a una
olio su tela; 33 x 45
                                                  affezione dell’anima per la quale si invoca,
Dortmund, Museum für Kunst und Kulturgeschichte
                                                  davanti al crocifisso, il rimedio. Non sono esclusi
                                                  riferimenti alle più reali ferite inferte alla
                                                  Germania (sepolta sotto un significativo manto
                                                  nevoso) dall’occupazione napoleonica.
Il 21 gennaio del 1818 Friedrich sposa Caroline Bomber. Il
                                     dipinto documenta il viaggio intrapreso con la giovane
                                     moglie per Greifswald e, più precisamente, la tappa all’isola
                                     di Rügen, luogo dei pellegrinaggi giovanili del pittore.
                                     Ribadendo la scelta poco comune della ripresa delle figure di
                                     spalle, Friedrich propone la contrapposizione netta di primo
                                     piano (pieno, chiuso) e sfondo (vuoto, illimitato). Quel vuoto,
                                     nel quale la distesa marina si confonde con l’orizzonte,
                                     attrae magneticamente lo sguardo e chiama a sé. Su
                                     quell’incerto palcoscenico di rocce a strapiombo sul mare i tre
                                     personaggi, Caroline Bomber, lo stesso Friedrich e, in piedi, il
                                     fratello Christian, stanno a un bivio, attratti al contempo
                                     dall’abisso scosceso e dalla spazialità del mare solcato da
                                     due velieri lontani.




Le bianche scogliere di Rügen 1818
olio su tela; 90 x 70
Winterthur, Fondazione Reinhart
Il Congresso di Vienna del 1815 decretò il
                                    trionfo della restaurazione feudale, l’inizio
                                    di un periodo di repressione e censura per
                                    quanti, come Friedrich, chiedevano maggiore
                                    democrazia e regimi costituzionali.
                                    Mostrando il dipinto al pittore nazareno
                                    Cornelius, in visita al suo atelier, Friedrich
                                    spiega che i due uomini, vestiti dell’abito
                                    patriottico pseudorinascimentale, allora
                                    indossato dagli studenti liberali, stanno
                                    praticando “intrighi demagogici”. Nella
                                    notte della Germania la luce della luna,
                                    distante ma perentoria, è dunque segno di
                                    speranza in un cambiamento. Due alberi
                                    imponenti, un abete e una quercia,
Due uomini davanti alla luna 1819   incorniciano la veduta e sembrano
olio su tela; 35 x 44               ingabbiare le figure, mentre un masso
Dresda, Gemäldegalerie              roccioso in primo piano evoca le tombe unne
                                    e, indirettamente, il cuore antico della
                                    Germania.
Secondo la testimonianza del poeta
                              Shukowskji, Friedrich avrebbe voluto
                              appendere il dipinto in sequenza con
                              Le bianche scogliere di Rügen e con Sul
                              veliero, tutti risultati del gioioso
                              viaggio del 1818 nella terra natale. Le
                              ancore piantate sugli scogli in primo
                              piano non distanti dalle due donne,
                              unite in un abbraccio affettuoso,
                              parlano dell’approdo in un porto sicuro
                              per quei velieri dell’anima che, scrutati
                              dagli uomini in piedi, solcano le onde
                              del mare al tramonto. Ancora una
                              volta il pittore trascende il dato
                              naturalistico e simbolico per dare voce
                              alle tensioni del soggetto nel mondo, al
                              dilemma esistenziale dell’uomo
Luna nascente sul mare 1821   moderno, sospeso tra la fede nell’aldilà
olio su tela; 135 x 170       e la consapevolezza dei propri limiti
San Pietroburgo, Ermitage     terreni.
Il dipinto, esposto a Praga nel 1824 e a Berlino nel
                             1826, non piacque al pubblico contemporaneo che ne
                             criticò l’assolutezza del sentimento tragico.
                             Friedrich, che pur prende spunto da un episodio di
                             cronaca, il fallimento della spedizione polare di
                             Parry nel 1819-1820, fa opera di trasfigurazione,
                             investendo il quadro di contenuti esistenziali. Che
                             quel relitto imprigionato rappresenti l’ultima tappa
                             della “navigatio vitae” o il ricordo della tragica
                             morte del fratello (sprofondato in un fiume gelato
                             all’età di dodici anni), o che, in una prospettiva di
                             lettura sociopolitica, vada interpretato come il
                             vascello della libertà sepolto nel grande gelo della
                             Germania della Restaurazione, in ogni caso la tela è
Il mare di ghiaccio 1824     la parabola di un annientamento e di un arresto, è
olio su tela; 96,7 x 126,9   la fotografia di una sconfitta cosmica, che non
Amburgo, Kunsthalle          promette ricompense. Friedrich, a differenza di
                             molti artisti romantici (Turner, Géricault), evita la
                             rappresentazione del culmine drammatico
                             dell’evento per insistere piuttosto sulla terribile
                             evidenza tragica di un fatto già accaduto.
Il dipinto è uno degli ultimi realizzati prima del
                                      colpo apoplettico che colpì Friedrich nel giugno del
                                      1835. Si presenta, già nel titolo, come un’allegoria,
                                      nel solco della tradizione figurativa occidentale.
                                      L’ultima luce del giorno colpisce l’acqua vicino alla
                                      riva dove sostano cinque figure: due bambini
                                      impegnati ad agitare una bandierina svedese
                                      (ricordo della terra di origine, la Pomerania, un
                                      tempo luogo di libertà), un uomo adulto, una
                                      giovane donna, un uomo più anziano di spalle, che
                                      avanza vestito di un mantello e del berretto
                                      patriottico rinascimentale. Le linee della
                                      composizione conducono verso il centro della baia,
                                      abitata da cinque velieri, associati simbolicamente
Le età dell’uomo                      alle figure. All’immagine del vecchio, probabilmente
1834-1835                             un autoritratto “all’antica” del pittore, corrisponde
olio su tela; 72,5 x 94               la nave centrale, che viene avanti ammainando le
Lipsia, Museum der bildenden Kunste   vele: Friedrich, in quello struggente tramonto,
                                      prende congedo dai propri affetti (figli e nipoti) e
                                      dalla propria stessa vita (dalla propria infanzia e
                                      giovinezza), condensando in un’unica visione una
                                      situazione esistenziale complessa e articolata.
La produzione artistica di John Constable (1776-1837) è quasi tutta incentrata sul tema del paesaggio. La
natura, nella cultura romantica, svolge sempre un ruolo fondamentale. Ma alla natura gli artisti romantici
si accostano con animo diverso: per scoprirvi la potenza imperiosa che spaventa ed atterisce, e ciò lo si trova
soprattutto nel romanticismo tedesco, o per ritrovarvi angoli piacevoli ed accoglienti, ed è ciò che
caratterizza il romanticismo inglese. I paesaggi di Constable sono sempre gradevoli. Ritraggono una natura
in cui c’è un felice equilibrio tra gli elementi naturali (alberi, fiumi, colline) e gli elementi artificiali (case,
stradine, ponticelli). I paesaggi di Constable esprimono il sentimento di armonia tra l’uomo e la natura. Per
la loro casuale ed irregolare disposizione i paesaggi di Constable rientrano pienamente in quella categoria
estetica del pittoresco. Ciò che manca, in questi quadri, sono le false rovine che davano al pittoresco
precedente un carattere eccessivamente artificioso e letterario.
La pittura di paesaggio ha conosciuto una grande fortuna nei paesi nordici, ed in Olanda in particolare, per
tutto il Seicento e il Settecento. Anche John Constable mosse i suoi primi passi da queste esperienze
vedutistiche olandesi, ma la sua capacità di paesaggista fu di superare le qualità descrittive dei quadri
precedenti per caricare i suoi paesaggi di intensità lirica. La pittura di Constable produsse notevoli
influenze su molti pittori, sia inglesi sia francesi.
Ciò che caratterizza formalmente la
                                          pittura di Constable è la capacità di
                                          indagare gli elementi visivi che formano
                                          un paesaggio. Del tutto assente un
                                          disegno compositivo, anche se si avverte la
                                          grande progettualità degli elementi che
                                          compongono i suoi quadri, lo stile pittorico
                                          è tutto affidato al colore. Il suo tocco è
                                          filamentoso e sporco. Le forme non hanno
                                          un contorno definito ma si riconoscono
                                          solo dai passaggi di tono e di colore. La
                                          superficie del quadro viene così a
                                          presentarsi, ad una visione molto
                                          ravvicinata, come un impasto formato da
                                          mille tonalità differenti. Questa tecnica fa
John Constable, Il carro di fieno, 1821   sì che, ad una certa distanza, le immagini
                                          percepite sul quadro sembrano vibrare di
                                          una autonoma luce, rendendole più vive e
                                          dinamiche delle usuali rappresentazioni
                                          pittoriche.
In questo quadro il soggetto, il carro di
                                          fieno, è solo un pretesto per consentire la
                                          rappresentazione di un paesaggio
                                          tipicamente inglese. Il carro sta guadando
                                          un piccolo ruscelletto che, nello spazio del
                                          quadro, forma una duplice curva ad esse. In
                                          una delle due anse del ruscello, a sinistra,
                                          c’è una casa che sembra quasi confondersi
                                          con il paesaggio circostante. La casa viene
                                          protetta da una cortina di alberi che creano
                                          una nicchia accogliente in cui si inserisce
                                          l’edificio. Sulla destra si apre una pianura
                                          che viene chiusa da una fila di alberi che si
                                          vede in lontananza. La parte superiore del
John Constable, Il carro di fieno, 1821   quadro è occupata da un cielo percorso da
                                          nuvole. Tutto il quadro tende ad un
                                          naturalismo molto accentuato. La forma
                                          non sono le cose, ma la percezione delle
                                          cose. Il sentimento che ispira è quella
                                          sottile vena di piacere che apre gli occhi per
                                          far loro godere l’atmosfera ampia che
                                          circola nella scena inquadrata.
Flatford Mill è una delle prime grandi
                                      realizzazioni di Constable realizzate in gran
                                      parte en plain air. Benché sia stato preceduto
                                      da numerosi studi e schizzi, il quadro cerca
                                      una visione quasi casuale del luogo
                                      raffigurato. Nella scena, ambientata nei suoi
                                      luoghi d’infanzia, vediamo sullo sfondo a
                                      sinistra il mulino ad acqua proprietà del padre
                                      con un attracco per le barche che venivano
                                      trainate da cavalli su e giù lungo il fiume.
                                      L’immagine è una ricerca di quella
                                      spontaneità della natura, al quale l’uomo
John Constable, Flatford Mill, 1817   adatta le sue necessità e non viceversa. Il
                                      gusto per il pittoresco è qui una dimensione
                                      non solo estetica, ma di grande partecipazione
                                      emotiva, come ci attesta la scelta di
                                      raffigurare i proprio luoghi d’infanzia. E qui
                                      si coglie la maggior differenza tra il pittoresco
                                      rococò e preromantico, che era una scelta
                                      fondamentalmente estetica, ed il pittoresco
                                      romantico che è dimensione propriamente
                                      poetica.
L’interesse per lo studio analitico del
                                             paesaggio in Constable è attestato da
                                             centinaia di tele che egli ha dedicato alle
                                             nuvole. Chi conoce l’Inghilterra sa che le
                                             nuvole costituiscono, qui più che altrove,
                                             un elemento determinante del paesaggio.
                                             L’interesse di Constable non si sofferma
                                             solo sulla diversa forma che i banchi di
                                             nuvole possono assumere, ma ne indaga
                                             soprattutto la qualità luminosa e cromatica
                                             in riferimento alle diverse ore del giorno.
                                             Questi esperimenti, che per certi versi
 
                                             anticipano l’Impressionismo francese, ci
                                             dimostrano l’intuizione di Constable che la
                                             luce è la grande protagonista del paesaggio.


    John Constable, Studio di nuvole, 1822
È questo uno degli ultimi paesaggi
                                                       realizzati da Constable. La piana di
                                                       Hampstead è uno dei paesaggi preferiti
                                                       da Constable che spesso ritrae questi
                                                       luoghi nei suoi dipinti. Qui vi inserisce
                                                       un immaginario mulino a vento, ma
                                                       soprattutto vi rappresenta due
                                                       arcobaleni. L’interpretazione del luogo ci
                                                       dimostra come nella sua attività matura
                                                       l’indagine scientifica della natura cede
                                                       sempre più il passo ad una ricerca di
John Constable, Arcobaleno su  Hampstead Heath, 1836   effetti visivi più lirici. Così come una
                                                       semplificazione delle superfici ad effetti
                                                       quasi astratti ci testimoniano una
                                                       padronanza che riesce ad evocare e
                                                       suggestionare anche senza più
                                                       rappresentare.
Le categorie estetiche a cui è improntata la pittura di Turner sono il
pittoresco e il sublime. Quel sublime dinamico, come lo definiva Kant,
che riguardava le manifestazioni della natura caratterizzate da
grande esplosione di energia. Il soggetto di alcuni suoi quadri più
tipici sono proprio le tempeste. Quella furia degli elementi che
imprime grande velocità all’atmosfera.
Nei suoi quadri gioca un elemento fondamentale la luce. Egli cerca di
dare un’autonomia alla luce rappresentandola non come riflesso sugli
oggetti ma come autonoma entità atmosferica. Per far ciò, usa il
colore in totale libertà con pennellate curve ed avvolgenti. Le
immagini che ne derivano hanno un aspetto quasi astratto che non
poco sconvolse il pubblico del tempo. Secondo alcuni critici egli non
dipingeva ma impastava sulla tela ingredienti da cucina, quali uova,
cioccolata, panna, ricavandone un miscuglio da pasticciere. Queste
critiche dimostrano quanto fosse poco compresa la sua pittura. Essa,
tuttavia, divenne un riferimento importante per la successiva pittura
impressionista.
Sebbene nel 1799 Turner avesse ricevuto un importante
                            riconoscimento professionale da parte della più importante
                            istituzione artistica inglese, la Royal Academy, divenendone il più
                            giovane membro associato, in questo Autoritratto non sembra
                            intenzionato a dare un’immagine “sociale” di sé, come artista
                            accademico, bensì come giovane ambizioso ed eroico. Egli era
                            consapevole delle proprie umili origini e di ciò pare fosse molto a
                            disagio nel confrontarsi con l’ambiente della nobiltà londinese
                            entro cui, per ragioni professionali, era costretto a muoversi.
                            Inoltre la sua famiglia era “macchiata” da quella che, all’epoca,
                            era considerata un’onta, ossia la malattia mentale della madre,
                            che veniva nascosta tra le mura domestiche per timore che la
                            carriera del giovane potesse esserne compromessa. Per tutte queste
                            ragioni il suo carattere era timido e riservato e sembra che neanche
                            i più intimi amici conoscessero le sue vicende familiari. Turner non
                            eseguì molti autoritratti, cosciente dei suoi lineamenti poco fini e
                            non coerenti con le aspettative romantiche nutrite dal pubblico de
                            suoi dipinti. Pare che due celebri suoi ammiratori, Eugène
                            Delacroix e Thomas Cole, fossero rimasti piuttosto delusi dal suo
                            aspetto, che contrastava con la raffinatezza della sua pittura.
Autoritratto 1799 circa
olio su tela; 74,3 x 58,4
Londra, Tate Britain
Si tratta di una delle opere più suggestive del pittore inglese
                                                             dove protagonista della composizione non è solo il treno
                                                             (che già circolava in Gran Bretagna dalla fine degli anni
                                                             Venti e che per la prima volta viene rappresentato in
                                                             pittura) ma la luce filtrata dall’effetto di pioggia e di
                                                             vapore sul nuovo ponte di Isambard Kingdom Brunel a
                                                             Maifdenhead (lungo la linea ferroviaria tra Londra e
                                                             Reading) e resa con impalpabile delicatezza e straordinario
                                                             lirismo. La scelta della prospettiva in profondità accentua
                                                             l’impetuosità del movimento del treno in corsa, simbolo
                                                             della modernità che, ormai, supera la natura, sintetizzata
                                                             dalla lepre che, correndo, attraversa i binari. Lo spazio del
Pioggia, vapore e velocità. La grande ferrovia occidentale   quadro sembra estendersi oltre i limiti prospettici e
1844                                                         materiali verso un infinito di vortici d’aria e dinamismo di
olio su tela; 91 x 121,8                                     luce. L’opera, come altre di questa fase del pittore, è stata
Londra, National Gallery                                     considerata anticipatrice dei modi dell’impressionismo e
                                                             addirittura dell’espressionismo astratto, in una linea critica
                                                             che ha voluto leggere Turner come un artista
                                                             “contemporaneo”. La sua ricerca lo ha portato, certamente,
                                                             ad alcune intuizioni sullo spazio, sul movimento della luce,
                                                             sull’atmosfera e sulla decostruzione dell’immagine che
                                                             hanno sconvolto i canoni di giudizio anche della sua stessa
                                                             epoca.
L’opera, che fu terminata da Turner al suo rientro
                             dall’Italia nel 1829, può essere interpretata come
                             una fase di transizione tra la precedente fase più
                             classica e descrittiva e lo stile più libero delle sue
                             ultime opere. John Ruskin, che aveva già dimostrato
                             di apprezzare i suoi lavori, sostenne che questo "era il
                             quadro centrale della carriera di Turner", alludendo
                             forse anche alla simbologia del soggetto, che potrebbe
                             essere un’allegoria della sua esistenza: Turner, come
                             Ulisse, eroe mitico che aveva resistito alle tentazioni
                             delle sirene per raggiungere il proprio traguardo,
Ulisse schernisce Polifemo   trionfando su ogni avversità. Dunque il tema
1829                         mitologico costrinse l’artista, in quest’opera, a
olio su tela; 132,5 x 203    un’atmosfera ancora drammaturgica, combinata e
Londra, National Gallery     perfettamente armonizzata, però, con la sua
                             eccezionale sensibilità visiva e atmosferica, ottenuta
                             attraverso le macchie di colore rossastro e le
                             sfumature violacee dell’orizzonte, delicate e
                             abbaglianti al tempo stesso. Turner, infatti,
                             rispondendo a coloro che lo criticavano contestando
                             la poca chiarezza dei suoi dipinti, ribatteva:
                             "L’atmosfera è il mio stile".
Dopo le prime commissioni da parte
                                    dell’aristocrazia terriera, relative alle esecuzioni
                                    di vedute delle loro proprietà, o da parte di
                                    architetti che richiedevano di ritrarre edifici
                                    gotici, il giovane Turner si concentrò sempre più
                                    sul paesaggio puro, cercando di cogliere le
                                    particolarità atmosferiche di determinati momenti
                                    della giornata o stagioni. In questo Chiaro di
                                    luna, studio a Millbank l’intenzione dell’artista è
                                    quella di comunicare una suggestione visiva e
                                    romantica, quella del riflesso della luna piena sul
                                    Tamigi e della sensazione di immobilità delle
                                    barche notturne sull’acqua, mentre lo “skyline” di
                                    Londra si intravede impalpabile sullo sfondo. La
                                    tecnica risulta già rigorosa e precisa, l’impianto
                                    centrale è ancora abbastanza tradizionale, ma con
                                    una ricca varietà di sfumature luministiche e
                                    cromatiche.

Chiaro di luna, studio a Millbank
1797
olio su tavola; 31,4 x 40,3
Londra, Tate Britain
Il quadro, al pari di "Regolo", prende
                                                                        solo a pretesto l'episodio storico di
                                                                        Annibale per una immagine che in
                                                                        realtà è una libera ricerca di effetti
                                                                        luminosi e dinamici attivati da una
                                                                        tempesta di neve. Lo schema
                                                                        compositivo ricorre in molte altre oper
                                                                        di Turner: una specie di vortice che
                                                                        ruota intorno ad un punto posto in
                                                                        posizione leggermente decentrata. In
                                                                        questo caso Turner cerca la
William Turner, Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, 1812   rappresentazione di quel sublime
                                                                        "dinamico" teorizzato da Kant: la
                                                                        sensazione di intensa ed emozionante
                                                                        paura attivata dalla potenza della
                                                                        natura. Potenza che ritroviamo nello
                                                                        spettacolare scatenarsi degli elementi
                                                                        in occasione di tempeste, uragani,
                                                                        eruzioni di vulcani, terremoti,
                                                                        maremoti, e così via.
Il quadro, conservato alla Tate Gallery di
                         Londra, è uno degli esempi più noti della ricerca
                         di Turner legata alla percezione della forza della
                         natura. Lo scatenarsi di una tempesta di neve
                         avviene in mare, travolgendo una nave che nel
                         quadro appena si intravede nel gran turbinio
                         d'acqua che Turner rappresenta. Il mare è
                         anch'esso un soggetto molto amato dall'artista
                         inglese, che in numerosi quadri rappresenta scene
                         marine e navi. Qui il mare diviene il luogo di
                         quel "sublime dinamico" che abbiamo visto spesso
                         comparire nei quadri di Turner, che in questa
                         tela, più che in altre, abbandona ogni
                         preoccupazione di rappresentazione figurativa
William Turner,
                         per darsi ad una pittura di gesto che sfiora quasi
Tempesta di neve, 1842
                         l'astratto. Inutile dire che il quadro, troppo in
Tate Gallery
                         anticipo sui gusti del tempo, non ricevette
                         critiche entusiastiche. Per esso, come per altre
                         tele di Turner, i critici inglesi parlarono di
                         "pasticceria", in quanto un quadro così fatto
                         sembrava loro più un tavolo sporco di latte,
                         farina, uova, cioccolato, ecc. che non la tela di
                         un pittore.
William Turner è stato un artista
                                        molto presente in Italia, e nei suoi
                                        numerosi viaggi ha toccato molti
                                        luoghi caratteristici della penisola,
                                        quali Roma, Tivoli, Napoli ed altri, di
                                        cui ci ha lasciato testimonianza in
                                        numerosi quadri e disegni. Uno dei
                                        luoghi a lui più congeniali fu
                                        comunque Venezia, in un periodo in
                                        cui tutta la cultura inglese romantica,
                                        anche grazie a John Ruskin, amò
                                        molto la città lagunare. Questo quadro
                                        raffigurante il Canal Grande è solo
                                        una delle numerosissime tele che
                                        Turner realizzò a Venezia. Le sue
                                        caratteristiche stilistiche sono ben
William Turner, Il Canal Grande, 1835   evidenti soprattutto nel dissolversi
                                        della forma nella luce, che dà
                                        all'immagine un aspetto evanescente e
                                        un po' sfocato.
Dido Building Carthage, Or the Rise of the Carthaginian
Empire, by J.M.W. Turner (1815). National Gallery, London
Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) è il principale esponente della Confraternita dei
Preraffaelliti, costituita in Inghilterra nel 1848. Nonostante il nome italiano, Rossetti è
un pittore inglese che sviluppa la sua attività nella seconda metà dell’Ottocento. La
Confraternita dei Preraffaelliti è la corrente artistica che più di qualsiasi altro movimento
romantico si rifà al medioevo. Tanto che già dal nome dichiarano le loro intenzioni
poetiche e stilistiche: rifarsi all’epoca tardo-medioevale, in particolare alla spiritualità e
allo stile tardo gotico e primo rinascimentale del Trecento e del Quattrocento. Ciò che
rifiutano è quel rinascimento maturo che trovava in Raffaello l’esponente più tipico.
Il fenomeno dell’arte preraffaellita, anche per il periodo in cui si manifesta, è un ultima
manifestazione del romanticismo inglese ed insieme anche il contributo anglosassone alle
poetiche simboliste europee che partecipano del decadendismo di fine secolo.
Il medioevo dei preraffaelliti è infatti molto letterario, tradendo una rievocazione che sà
più di sogno e di mito che non di riscoperta vera del periodo medievale. I quadri
preraffaelliti di Rossetti sono pervasi da una dimensione del silenzio che risuona di note
sensuali e decadenti. La figura femminile è sempre presente, svolgendo un ruolo simile a
quello di Beatrice per Dante: lo svelamento, attraverso la bellezza, della dimensione
trascendentale.
Il quadro si basa sul colore bianco che omogeneizza tutta l’immagine. In
                            questo bianco si stagliano poche note di colore, il rosso della stola in primo
                            piano, i capelli dorati e le aureole gialle, l’azzurro della tenda dietro al letto.
                            Gli elementi iconografi della Annunciazione presenti sono il giglio, che
                            compare sia in mano all’arcangelo che sulla stola rossa, e la colomba simbolo
                            dello Spirito Santo. La Madonna ha un atteggiamento triste e pensono. Ciò
                            che il pittore rappresenta non è tanto il mistero di un concepimento
                            miracoloso ma il sentimento universale che provano tutte le donne quando
                            sanno che dovranno diventare madri. La sensualità molto terrena
                            dell’immagine viene accentuata dalla figura dell’arcangelo che qui appare di
                            una virilità molto evidente, a differenza di quanto avveniva nei quadri tardo
                            gotici dove l’arcangelo prendeva un aspetto di indefinita sessualità.
                            L’arcangelo Gabriele sembra che non poggi i piedi a terra e le lievi fiamme
                            gialle che si notano ai piedi e riflesse sul pavimento lo qualifica come
                            messaggero ultraterreno. Ma è da notare che la sua rappresentazione avviene
                            da un diverso punto di vista, più basso, rispetto al resto dell’immagine che è
                            vista da un punto di vista più alto. Questa incongruenza prospettica è
                            sicuramente voluta, visto che è molto comune in tanta pittura del
                            Quattrocento, e dalla quale Dante Gabriel Rossetti prendeva spunto.
Dante G. Rossetti,
Ecce ancilla domini, 1850
In numerose sue opere Rossetti trae ispirazione da Dante
                                            Alighieri. Di soggetto dantesco è anche questo «Beata
                                            Beatrix» in cui si confondono suggestioni che gli derivano dal
                                            poeta fiorentino con sue esperienze personali. L’immagine di
                                            Beatrice, la donna amata da Dante e prematuramente
                                            scomparsa, si confonde qui con la figura di Elizabeth Siddal,
                                            la moglie anch’ella morta giovane. La donna, infatti, riceve
                                            nelle mani da un uccello rosso, simbolo di morte, un papavero
                                            bianco. Elizabeth Siddal morì infatti per una overdose di
                                            laudano, una droga che si estrae anche dal papavero. In
                                            secondo piano compaiono due figure: sono di nuovo Beatrice,
                                            la cui testa è circondata da un’aureola, che riceve Dante nel
                                            paradiso. Sullo sfondo si apre uno squarcio luminoso che fa
                                            intravedere il Ponte Vecchio a Firenze. L’atmosfera di
                                            silenzio estatico, insieme ai pensieri funerei impliciti
                                            nell’immagine, ci permettono di collocare questa immagine nel
                                            gusto decadentista del tempo, di cui i Preraffaelliti
                                            rappresentano in qualche modo una notevole anticipazione.



Dante G. Rossetti, Beata Beatrix, 1864-70
Il ritratto femminile è uno dei temi che ossessivamente Rossetti ripete nell’ultimo
                                      periodo della sua attività. Qui, in uno dei suoi dipinti più celebri e riusciti, ad essere
                                      ritratta è Jane, moglie di William Morris, che in anni precedenti aveva già posato
                                      per Rossetti quale Ginevra per alcuni affreschi realizzati ad Oxford. In questa tela
                                      la ritrae quale Proserpina, o Persefone, la fanciulla, figlia di Zeus e Demetra, rapita
                                      da Ade, signore dell’oltretomba, per farla sua sposa. Rossetti ritrae Proserpina con
                                      un melograno in mano, simbolo di matrimonio ma anche di prigionia. In primo piano
                                      un incensiere ci riporta alla natura spirituale di Proserpina che simboleggiava
                                      nell’antichità l’immortalità dell’anima. Di sotto vi è un’iscrizione in italiano che
                                      dice: «Dante Gabriele Rossetti ritrasse nel capodanno del 1874». In alto, all’interno
                                      di un cartiglio, Rossetti scrive anche una breve poesia, sempre in italiano, per
                                      enfatizzare la condizione di infelicità in cui era costretta Proserpina.




Dante G. Rossetti, Proserpina, 1874
Il quadro di Rossetti è un ulteriore esempio della poetica
                                                   preraffaellita. L’immagine di idilliaco convegno di fanciulle,
                                                   intente a suonare e ballare, in un paesaggio pulito e bucolico
                                                   rivisitazione di campagne toscane, ha valenze simbolico-
                                                   decadentiste molto evidenti. Se si considera che nello stesso
                                                   periodo gli artisti francesi facevano nascere l’Impressionismo
                                                   possiamo ben comprendere la distanza che separa negli stessi
                                                   anni i pittori dediti al realismo e quelli invece protesi
                                                   all’eplorazione di altri territori, che confinano più con il
                                                   sogno che non con la realtà




Dante G. Rossetti, Il padiglione nel prato, 1872
Francesco Hayez (1791-1882) ebbe una formazione giovanile neoclassica. Originario
di Venezia, nel 1809 si trasferì a Roma dove entrò in contatto con Antonio Canova
di cui divenne amico ed allievo. Trasferitosi a Milano nel 1820, in questa città
raccolse l’eredità del maggiore pittore neoclassico italiano: Andrea Appiani. Il suo
stile pittorico si formò di un linguaggio decisamente neoclassico che non perse mai
neppure nella sua fase romantica. Il suo romanticismo è infatti una scelta solo
tematica. Nel 1820 realizzò il suo primo quadro di ispirazione medievale «Pietro
Rossi prigioniero degli Scaligeri» che venne considerato il manifesto del
romanticismo italiano. Due anni dopo realizzò il quadro de «I Vespri siciliani». La
sua produzione, oltre ai temi storici, fu proficua anche nel genere dei ritratti. Dal
1850 diresse l’Accademia di Brera, divenendo un personaggio di spicco dell’ambiente
culturale milanese.
Rinaldo e Armida 1812-1813
                                                                                    olio su tela; 198 x 295
                                                                                    Venezia, Gallerie dell’Accademia
                                                                                    (in deposito alla Civica galleria d’arte
                                                                                    moderna di Ca’ Pesaro)

Eseguito dall’artista appena ventenne questo quadro è ispirato alla Gerusalemme Liberata del Tasso, Le vicende
dell’esecuzione sono raccontate nelle Memorie, dove si parla del rapporto di Hayez con i due modelli e, in particolare, con la
bellissima giovane di diciannove anni utilizzata per la figura di Armida, che aveva suscitato rispetto e devozione nell’artista,
in genere facile preda di turbamenti amorosi. Lo stile purista e la scelta iconografica tassesca sembrerebbero derivare dalla
pittura dei Nazareni tedeschi, dei quali a Roma si cominciava a notare la presenza, come racconta nelle Memorie lo stesso
Hayez; mentre il luminoso e sensuale nudo di Armida evoca la Paolina Borghese come Venere vincitrice (1805-1808) di
Canova. La scena, immersa in una calda atmosfera tizianesca, si apre sul fondo in un misterioso paesaggio che ricorda un
romantico giardino all’inglese, ed è questo l’elemento più affascinante e straordinario, insieme al virtuosistico rimando delle
immagini riflesse, dallo scudo allo specchio d’acqua, che sembra un’eco della Susanna e i vecchioni del Tintoretto a Vienna.
L’iconografia biblica è appena riconoscibile attraverso la piccola
                          figura sfumata del re David, nascosto dalle fronde sull’estremo
                          margine superiore, e gli abiti egizi dell’ancella che accentuano,
                          in realtà, il carattere esotico della scena. Il tema della bella
                          Betsabea al bagno, comprensibilmente gradito ai committenti,
                          ebbe molta fortuna in Hayez (che lo affrontò quattro volte) e
                          presso altri artisti del tempo poiché univa generi differenti: il
                          nudo, il quadro storico–religioso e quello di gusto erotico e
                          disimpegnato della bagnante. Tutta la composizione ruota
                          intorno al nudo levigato di Betsabea, plasmato dalla luce che
                          piove dall’alto lasciando in ombra solo il paesaggio e certe parti
                          delle figure. Alla partitura grafica, particolarmente precisa e
                          raffinata, corrisponde una stesura cromatica dai toni
                          generalmente smorzati e freddi, a eccezione dei costumi delle
                          ancelle accesi di un rosso vivo. La bellezza ideale di Betsabea,
                          che riecheggia il classicismo seicentesco del Reni e del
                          Domenichino, sembra anticipare il purismo che Hayez
                          prediligerà nelle opere degli anni successivi. Non è un caso che il
Betsabea al bagno         dipinto, firmato e datato, abbia avuto una traduzione grafica
1834                      da parte di Bartolomeo Soster, teorico del purismo.
olio su tela; 180 x 140
Collezione privata
Opera sicuramente tra le più note di Hayez, «Il bacio»
è un po' la quintessenza del sentimentalismo
romantico, per di più vestito di abiti medievali a
richiamare molti di quei grandi amori tramandati da
novellieri e drammaturghi, da Paolo e Francesca a
Giulietta e Romeo, e così via. Così rievocazioni di
sapore storico-letterario si uniscono ad atmosfere di
facile effetto, creando un'immagine che, se da un lato
banalizza alcune delle pulsioni che hanno creato il
romanticismo, dall'altro riesce a sintetizzare in modo
efficace le suggestioni condivise da gran parte del
romanticismo italiano.




Il bacio
1859-1867
olio su tela; 55 x 40
Collezione privata
Il dipinto segna un momento di svolta nella pittura di Hayez.,
                                         Messo da parte il vero e proprio genere storico, Hayez aveva già,
                                         negli anni Quaranta, elaborato un suo personalissimo repertorio
                                         romantico trasferendo una valenza politica e civile a una serie
                                         iconografica definita genericamente Malinconia e strettamente
                                         collegata con le pensierose eroine bibliche (Rebecca e Tamar) e con
                                         le seducenti Bagnanti o Odalische, emblema già di un malessere
                                         esistenziale. Dieci anni dopo, circa, in seguito alla delusione
                                         risorgimentale del 1848, la “malinconia” della coscienza
                                         contemporanea si trasforma in Meditazione. Nella prima
                                         versione, esposta a Brera il motivo patriottico del dolore
                                         dell’Italia sconfitta veniva celato da un travestimento religioso.
                                         In questa seconda Meditazione il messaggio politico si interpreta
                                         più chiaramente attraverso gli oggetti tenuti in mano dalla
                                         sensuale figura femminile: la finta Bibbia con la scritta “Storia
                                         d’Italia” e una luttuosa croce del martirio risorgimentale sulla
                                         quale compare la scritta in rosso: “18.19.20.21.22 marzo /1848”,
                                         la data delle Cinque giornate di Milano. La figura,
                                         particolarmente intensa ed espressiva, è raffreddata nella sua
La Meditazione                           carica emozionale dal cromatismo perlaceo e lunare, che crea un
1851                                     suggestivo gioco di chiaroscuri.
olio su tela; 92,3 x 71,5
Verona, Civica galleria d’arte moderna
Antonio Fontanesi (1818-1882) tra i pittori italiani è quello che più riesce ad
interpretare un romanticismo di livello europeo, anche se la sua attività si svolge nella
seconda metà del secolo. La sua pittura è tutta prodotta nell’ambito tematico del
paesaggio che egli riesce ad interpretare con una sensibilità lirica di livelli eccezionali.
La nota di fondo è sempre una malinconia lieve e struggente. La natura è una
presenza senza tempo la cui illimitatezza non è spaziale ma temporale. La natura è
eterna, questa sembra la suggestione maggiore dei quadri di Fontanesi. Ossia, la
vicenda umana trascorre e passa ma la natura rimane sempre lì, con le sue alture, i suoi
prati, i suoi alberi.
Nei suoi quadri, tendenti spesso al monocromo, c’è sempre molta attenzione alla
particolare ora del giorno. Prediligge l’ora vespertina o mattutina, in cui la luce
acquista una magia molto poetica. La tecnica è molto libera e riesce ad evocare una
rappresentazione naturalistica con impasti coloristici quasi astratti e casuali.
La tecnica pittorica di Fontanesi è basata sempre sulla
                                                velocità di esecuzione. Questo disegno è stato realizzato
                                                a carboncino su cartone e produce pertanto un’immagine
                                                monocroma di pochi tratti e macchie. Il paesaggio è còlto
                                                in un’ora vespertina, quasi notturna. La natura ha un
                                                aspetto freddo e spoglio. Al centro della radura si
                                                notano alcune mucche al pascolo e al centro, seduto a
                                                terra, il pastore che le sorveglia. È un’immagine che
                                                trasmette un senso di silenzio e solitudine. Una
Antonio Fontanesi, Pascolo nella radura, 1873   sensazione di raccoglimento interiore che dà al paesaggio
                                                una intonazione lirica molto profonda, ma di segno
                                                opposto a quella trasmessa dai quadri di Giacinto
                                                Gigante.
                                                Nelle vedute dell’artista napoletano la natura si
                                                presenta sempre con caratteri piacevoli ed accoglienti. I
                                                luoghi della natura sono spazi di vita per gli uomini che
                                                in quei luoghi inseriscono con naturalezza le loro case e i
                                                loro manufatti, ritrovando così un’armonia serena tra se
                                                e la natura che li circorda. I paesaggi di Fontanesi
                                                hanno invece un aspetto più inospitale e duro. La
                                                natura in questo caso si presenta più altera ed
                                                inaccessibile, senza che l’uomo possa trovarvi
                                                un’accoglienza generosa e serena.
La presenza solitaria in un
                                      paesaggio rurale di una
                                      pastorella raccolta nei suoi
                                      pensieri è uno dei temi
                                      preferiti da Fontanesi. La
                                      solitudine diventa la
                                      sensazione più propria per
                                      vivere un rapporto con la
                                      natura carico di silenzi ed
                                      attese.




Antonio Fontanesi, Solitudine, 1876
È questo uno dei quadri più
                                  celebri di Fontanesi. In esso,
                                  oltre ai consueti temi del
                                  rapporto emotivamente triste
                                  con la natura, troviamo
                                  un'espressione poetica del dato
                                  luminoso, peraltro non
                                  infrequente nei quadri del
                                  pittore torinese. La luce è la
                                  reale protagonista
                                  dell'immagine, insieme al
                                  profilo scheletrico dell'albero,
                                  tra i cui rami vediamo una
                                  nuvola, dietro la quale si
                                  nasconde il sole.
Antonio Fontanesi, Aprile, 1873
È questo uno dei pochi
                                        quadri di Fontanesi che
                                        non rappresenta un
                                        paesaggio ma un interno.
                                        Questa stalla, visitata di
                                        notte, evoca un mondo
                                        rurale di altri tempi con
                                        tutta la sua suggestione
                                        fatta di odori, di ombre,
                                        di lenti movimenti.




Antonio Fontanesi, La stalla, 1872-73
Tranquillo Cremona (1837-1878) rappresenta il pittore più tipico della Scapigliatura milanese.
La Scapigliatura è un fenomeno tipicamente milanese che si sviluppò nei due decenni tra il
1860 e il 1880. Vide coinvolti letterati, pittori, scultori, tutti accomunati da atteggiamenti e
comportamenti antiborghesi e anarcoidi. La tensione critica nei confronti della società del
tempo si espresse con l’accentuazione della passionalità. Le passioni venivano viste come
l’energia nascosta sotto la facciata perbenista della società milanese ottocentesca. Questa forte
accentuazione dei sentimenti collocano la Scapigliatura nella ultime propaggini dello spirito
romantico dell’Ottocento. Contemporaneamente la Scapigliatura, con la sua grande carica di
sensualità, sembra anticipare l’estetica decadentista che si comincerà a manifestare dopo
qualche anno.
La pittura di Tranquillo Cremona deriva stilisticamente da quella di Giovanni Carnovali, detto
il Piccio, da cui prende soprattutto la pennellata filamentosa e sporca, tesa più ad evocare che
non a rappresentare, e la capacità di concentrare le atmosfere psicologiche. Nei quadri di
Cremona sono del tutto assenti i temi principali del romanticismo italiano: il paesaggio e la
storia. Egli si concentra solo sulla figura umana che diviene la protagonista unica dei suoi
dipinti.
In questo quadro l’abbraccio vede protagoniste due donne. Il
                      loro atteggiamento, tuttavia, non lascia spazio a dubbi: ad
                      avvinghiarle è una passione forte e morbosa fatta di richeste,
                      da parte della donna in basso che cerca di stringere l’altra, e
                      di dinieghi, da parte della donna in alto che ha un
                      atteggiamento di ritrosìa. Il soggetto è decisamente
                      anticonformista con un chiaro intento scandalistico.
                      La tecnica pittorica è molto libera e giocata solo sul filamento
                      coloristico che vibra di sottile ma intensa luce al punto da
                      rendere vaga e sognante l’apparizione. L’immagine, come
                      nella maggior parte dei quadri di Cremona, si concentra solo
                      sulle figure in primo piano mentre lo sfondo diventa
                      assolutamente informe ed indistinguibile. Un impasto di
                      colore che conserva le stesse tonalità delle figure
                      rappresentate così che queste sembrano quasi apparire, o
                      scomparire, nello spazio retrostante. L’immagine, proprio per
                      questa sua apparente derivazione onirica, fatta di sensualità
                      raffinata ma molto morbosa, anticipa alcuni dei temi poetici
                      che saranno tipici dell’estetica decadente, soprattutto
                      letteraria e poetica, di fine Ottocento e inizi Novecento.
Tranquillo Cremona,
L'edera, 1878
«La melodia» appartiene al periodo più
                                       fecondo di Tranquillo Cremona, ed è
                                       uno dei quadri che più esemplificano la
                                       carica romantica e decadente insita nel
                                       movimento della Scapigliatura. Tutto
                                       si svolge come in un sogno: l’immagine
                                       è soffusa e molti elementi vengono
                                       appena accennati. Per comprendere la
                                       differenza tra movimenti ancora di
                                       ispirazione romantica e movimenti
                                       realisti, si confronti questo quadro con
                                       «Il canto dello stornello» realizzato da
                                       Silvestro Lega solo qualche anno
                                       prima. Il confronto tra le due immagini
                                       è più eloquente di qualsiasi descrizione,
                                       e rende più che palese quali notevoli
                                       differenze stilistiche possono
                                       intercorrere tra due quadri di medesimo
                                       soggetto ma decisamente agli antipodi
Tranquillo Cremona, La melodia, 1874   per scelte formali.
Il quadro «In ascolto» è di
                                       fatto il gemello de «La
                                       melodia», al punto che possono
                                       costituire quasi un dittico. La
                                       complementarietà della due
                                       immagini non è solo nella
                                       rappresentazione di un
                                       momento unico (l’esecuzione di
                                       un brano musicale e il suo
                                       ascolto), ma rappresenta la
                                       stessa atmosfera evanescente e
                                       trasognata, comunicando
                                       un’emozione che è praticamente
                                       unica.




Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874
Riconoscimenti

Di Gibbin Katia Sara
Informazioni da internet
Con il romanticismo, nato al volgere del Settecento, gli scultori si
liberarono dei modelli del passato per darsi alla creazione di opere
caratterizzate dal predominio della componente emotiva, in netta
rottura con la linearità neoclassica. In Francia, tra i più significativi
scultori romantici si ricordano François Rude e Antoine-Louis Barye.
Rude è noto soprattutto per le sculture monumentali dell'Arc de
Triomphe di Parigi, e in particolare per La Marsigliese (1833-1836), una
grande figura alata simboleggiante la libertà che si slancia in avanti
incitando alla battaglia il gruppo di uomini che la segue. Barye scolpì
soprattutto animali: i suoi bronzi sono naturalistici e meticolosi ritratti
di animate scene di lotta tra belve. In Italia, lo scultore di maggiore
talento fu Lorenzo Bartolini, ancora legato a formule neoclassiche cui
associò un nuovo sentimento purista e religioso, come nella statua
intitolata La fiducia in Dio (1836, Museo Poldi Pezzoli, Milano).
Lorenzo Bartolini, nato a Savignano di Prato nel 1777, studiò all'Accademia di Firenze e si trasferì poi a Parigi, ove
scolpì uno dei bassorilievi della colonna Vendome e un busto di Napoleone; Dallo stesso Napoleone fu inviato a Carrara a
dirigere l'Accademia di scultura dove, nonostante l'ostilitò dell'ambiente scolastico, e forte della stima della principessa,
eseguì vari busti e statue di "Napoleonidi" tra cui una statua colossale dell'imperatore destinata a Livorno ma poi inviata
a Bastia. Dopo la morte dell'imperatore si stabilì a Firenze, avversato per il suo passato di bonapartista e per i suoi
caratteri di innovatore: egli infatti, contro il gusto accademico neoclassico, sostenne l'imitazione della natura,
richimandosi ai grandi scultori del primo Rinascimento; finì così a ridursi all'isolamento in un ambiente ligio al più sterile
feticismo canoviano. Trovò però vari estimatori in una cerchia di facoltosi stranieri che lo sovvennero nelle sue disagiate
condizioni finanziarie con varie commissioni.

                       Ma di tale nuova apertura mentale e
                       programmatica egli doveva dare la più compiuta
                       e felice prova assai tardi, verso il 1818, con
                       l'Ammostatore, un fanciullo in atto di pigiare
                       l'uva, la cui nitida impostazione compositiva
                       esemplata su Donatello e sul Verrocchio, appare
                       rivissuta con una attenta osservazione del vero e
                       una delicata finezza di modellato.
Richiami al quattrocento fiorentino anche nel gruppo della Carità
educatrice, scolpito nel 1824 per una cappella della villa di Poggio
Imperiale, ma acquistato poi dall'Accademia di Belle Arti e quindi
collocato nella Galleria Palatina
Nel 1835 il Bartolini scolpiva la sua opera più
famosa: la statua della Fiducia in Dio, ispirata nella
posa ad una Maddalena penitente del Canova. Questa
scultura venne richiesta a Bartolini da Rosina
Trivulzio Poldi Pezzoli, madre di Gian Giacomo,
proseguendo un rapporto di committenza tra i due già
iniziato qualche anno prima, nel 1828, allorché lo
scultore aveva realizzato il busto-ritratto della
Marchesa. Rimasta vedova nel 1833 del marito
Giuseppe Poldi Pezzoli, Rosina chiese a Bartolini una
statua domestica e consolatoria, a espressione del
confidente abbandono nella fede da lei coltivato dopo
il lutto. Bartolini dette forma a questi nobili
sentimenti attraverso una giovane figura nuda,
seduta in stabile posizione con le mani giunte e
quietamente appoggiate, esprimente nel volto un
sentimento di intima e intensa devozione.  Il marmo
ispirò al poeta Giuseppe Giusti un famoso sonetto.
Nello stesso periodo, dal 1830, il Bartolini si accinse
a quella che doveva essere la sua maggiore impresa di
statuario, il monumento ala conte Nicola Demidoff,
Ciambellano dello Zar di Russia, composto di cinque
gruppi e figure, che venne compiuto dal discepolo
Romanelli e collocato nel 1871 nella omonima
piazzetta di Firenze: la statua più bella, e
interamente del Bartolini, è quella della Beneficenza
nella quale, com maggior complessità compositiva,
ritorna il naturalismo affettuoso della Carità
educatrice di circa vent'anni prima.
L'ultimo capolavoro dello scultore è il monumento sepolcrale alla
principessa polacca Sofia Zamoyski in Santa Croce cui egli attese,
valendosi di aiuti, dal 1837 al '44.
Nell’Ottocento, un altro movimento culturale
produsse i suoi riflessi in campo architettonico:
il romanticismo. Esso nacque già alla fine del
Settecento in Inghilterra, e trovò poi terreno
fertile nell’Europa nord occidentale, in
particolare Francia, Germania e Scandinavia.Si
rendeva palese ancora una volta, come già
avvenuto in epoca gotica, la differenza tra
Europa del nord ed Europa mediterranea. La
prima ritrovava, nelle sue radici medievali, una
identità più certa; la seconda restava ancorata
a principi di classicità più tradizionali.
Un’altra realizzazione, che rese evidente il gusto romantico,
fu quello dei giardini all’inglese. Il giardino di origine
rinascimentale, detto anche all’italiana, si basava su un
insieme di vialetti ed aiuole dalla geometria regolare e dal
disegno molto curato. In essi, trovavano posto con effetti
scenografici, statue, fontane, gazebi e così via. Il giardino
romantico, invece, si basava sulla spettacolarità della natura
spontanea, non sottomessa al disegno geometrico datogli
dall’uomo. I vialetti che percorrevano questi giardini erano
sempre molto tortuosi, seguendo le asperità altimetriche del
terreno. E in questi giardini, ad accrescere il loro aspetto
romantico, vi erano false rovine, così da ricreare quella
suggestione che lo spettacolo di edifici cadenti ed in rovina
trasmetteva agli spiriti romantici del tempo.

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Romanticismo

  • 1.
  • 2.
  • 3. Il Romanticismo è un movimento culturale sorto in Germania alla fine del Settecento e sviluppatosi in Europa nell'Ottocento. Con il Romanticismo si fa coincidere l'inizio dell'arte contemporanea. Il movimento ha le sue caratteristiche più manifeste nell'antitesi all'Illuminismo e al razionalismo che ne rispecchiava la filosofia. Il Romanticismo afferma infatti una nuova concezione della vita e dell'arte che può così sintetizzarsi: -affermazione delle ragioni della creatività dello spirito e della fantasia in opposizione a quelle della fredda ragione;  -rivalutazione delle tradizioni più vicine alla civiltà moderna in antitesi al culto dei miti dell'antico, ovvero opposizione degli umori del Medioevo alla composta e grandiosa armonia dell'antichità classica;  -ritrovamento dei valori religiosi contro l'ateismo o il fideismo dell'illuminismo; -proposta dei valori nazionali attorno ai quali possono stringersi le comunità in opposizione all'indifferenza del cosmopolitismo; -tendenza a diffondere il popolare, anche in campo letterario; - ritrovamento della vera realtà dell'uomo nella natura, il luogo in cui egli può compiere la più autentica esperienza spirituale, far coincidere gli spazi illimitati dell'interiorità con quelli esterni altrettanto illimitati del cosmo.
  • 4.
  • 5. Théodore Gericault (1791-1824) svolse le sue prime esperienze pittoriche nell’ambiente neoclassico francese che in quegli anni era influenzato dalle figure di David e Ingres. Dopo un periodo di soggiorno a Roma, dove ebbe modo di studiare le opere di Michelangelo e di Caravaggio, fece ritorno a Parigi, nel 1817, dove conobbe Delacroix. In quegli anni realizzò il suo quadro più famoso: «La zattera della Medusa», che fu esposto nel Salone d’Autunno del 1819 ricevendo aspre critiche. Negli anni successivi, il suo interesse per un naturalismo nudo e crudo lo portò a prediligere temi dal gusto macabro, quali le teste dei decapitati o i ritratti di pazzi e alienati mentali rinchiusi nei manicomi. Di carattere molto introverso, Gericault rappresenta già il prototipo del successivo artista romantico: amorale e asociale, disperato e maledetto, che alimenta il proprio genio di eccessi e trasgressioni. Il gusto per l’orrido e il rifiuto della bellezza dà immediatamente il senso della sua poetica: un’arte che non vuole essere facile e consolatoria ma che deve scuotere i sentimenti più profondi dell’animo umano, proponendogli immagini raccapriccianti. La sua vita si concluse nel 1824, a soli 33 anni. La sua eredità, in campo figurativo, fu presa soprattutto dall’amico Eugene Delacroix.
  • 6. Géricault ebbe una vera e propria passione per i cavalli, sin dall'adolescenza, quando poteva esercitarsi a lungo in prodezze di equitazione. L'acquisto del primo cavallo nel 1808 coincise con la volontà di diventare un pittore di cavalli. Riuscì a entrare nello studio di Carle Vernet, pittore di genere, in quel periodo intento a dipingere scene di battaglie napoleoniche. Dopo un breve apprendistato con Guérin, allievo di David, Géricault s'iscrisse all'Ecole des Beaux-Arts nel 1812 e si dedicò allo studio dei grandi maestri del passato. Ma i suoi interessi erano sempre più rivolti alle immagini di cavalli, fanti, ussari e trombettieri a cavallo, come in questo caso, eseguite con una particolare attenzione al movimento e all'anatomia delle bestie e secondo forti contrasti cromatici e di luce, per esempio nel rosso acceso delle uniformi. Tre trombettieri a cavallo 1813-1814 Olio su tela; 60,4 x 49,6 Washington, National Gallery
  • 7. Presentato al Salon del 1814 questo quadro non ricevette il successo attribuito nel 1812 all'Ufficiale dei cavalleggeri della Guardia imperiale alla carica, con cui Géricault aveva esordito; al contrario il Corazziere fu molto criticato per le proporzioni, eccessivamente lunga quella del soldato, e soprattutto per la pennellata concitata, che rendeva l'opera troppo "non finita", quasi un bozzetto. Il soggetto della ritirata dopo la disfatta era con ogni probabilità riferito alla sconfitta subita dall'esercito napoleonico da parte dell'Inghilterra e degli altri paesi europei. Nel clima di Restaurazione era tornato in voga il linguaggio curato in tutte le sue parti di David e il pubblico non era pronto a recepire una stesura così poco rifinita come quella di Géricault. Corazziere ferito che lascia il fuoco 1814 olio su tela ; 358 x 294 Parigi, Louvre
  • 8. Dopo aver tentato e fallito il concorso del Prix de Rome, la prestigiosa prova che permetteva al vincitore di recarsi a Roma, per svolgere il perfezionamento artistico come "pensionnaire" all'Accademia di Francia a Villa Medici, Géricault decise di partire per conto proprio alla volta dell'Italia. Doveva vivere anche lui l'esperienza del "grand tour", con cui gli artisti e i gentiluomini completavano la loro educazione estetica; a Roma subì un'impressione profonda al cospetto degli affreschi michelangioleschi della Sistina e delle opere di Raffaello, del Guercino, di Caravaggio. Tuttavia oltre al fascino dell'antico e dei maestri del passato, Famiglia italiana 1816-1817 Géricault fu attratto dalla vita olio su cartone su tela; 21,9 x 29,3 contemporanea, che tradusse nelle sue scene Stoccarda, Staatsgalerie di contadini e gente umile, come questa, che nell'impostazione e negli atteggiamenti riprendono le composizioni classiche.
  • 9. Una delle cose che più colpì Géricault a Roma fu la corsa dei cavalli barberi, organizzata a conclusione delle festività del carnevale; lungo la via del Corso, da Palazzo Venezia a piazza del Popolo, venivano lanciati i cavalli senza cavaliere, che alla fine venivano afferrati e rinchiusi dai palafrenieri. Al tema della gara, Géricault, amante della razza equina, dedicò diverse composizioni; questa coglie il momento della partenza, quando i cavalli eccitati sono tenuti a freno da possenti stallieri, che nelle loro proporzioni rievocano le immagini michelangiolesche. L'ambientazione concorre a definire uno spazio "antico", quello dei giochi Corsa dei cavalli barberi 1817 dell'antica Roma, ai quali partecipava tutta la olio su cartone su tela; 45 x 60 popolazione. Parigi, Louvre
  • 10. Il dipinto fa parte di un gruppo di tre opere, eseguite dopo il rientro dall'Italia alla fine del 1817. Si tratta di paesaggi colti in tre momenti diversi della giornata, Paesaggio italiano all'alba, Paesaggio con tomba romana (Mezzogiorno), questo Paesaggio con acquedotto (La sera), che rispondono maggiormente all'impostazione iconografica dei maestri del Seicento, quali i francesi Poussin, Claude Lorrain e Gaspar Dughet e gli italiani Carracci, piuttosto che a una osservazione diretta e realistica dei luoghi. La diversa incidenza della luce, dovuta alle ore del giorno, in questo caso rende ancora più lirica questa interpretazione ideale del paesaggio, nel quale si percepisce il vagheggiamento nostalgico per un mondo antico e perduto. Paesaggio con acquedotto 1818 olio su tela; 252,5 x 222 New York, Metropolitan Museum
  • 11. Nella sua breve carriera Géricault ha sperimentato temi e generi molto diversi fra loro. Uno dei soggetti al quale si è dedicato con attenzione, raggiungendo esiti pregnanti, è quello dell'espressione fisiognomica delle patologie e delle alterazioni psichiche della personalità. I suoi ritratti di alienati risentono delle scoperte di quegli anni a opera di psichiatri quali Pinel, Esquirol e Georget, impegnati nello studio della monomania che Géricault traduce con impareggiabile puntualità. La vecchia qui affetta dall'ossessione dell'invidia è colta con impietoso realismo; lo sguardo corrucciato di chi osserva qualcosa che produce quel sentimento che altera tutti i tratti del volto, al punto da venir soprannominata la "iena". Monomane dell’invidia 1819-1822? olio su tela; 72 x 58 Lione, Musée des Beaux-Arts
  • 12. Al tema del mare in tempesta, Géricault ha dedicato alcuni degli ultimi dipinti. Questa Marina, in cui il colore delle acque nero e livido contrasta con quello della roccia chiara, rivela il gusto romantico per la rappresentazione di una natura violenta e incombente, che sovrasta le forze dell'uomo, piccolo in primo piano. Traspare il senso metaforico della morte nel buio dei flutti che ingoiano la vita, così come in altre composizioni in cui vi sono naufraghi o annegati. Tale metafora è rafforzata dal carattere irreale e onirico dell'immagine, per cui il paesaggio non è reso in forma descrittiva, ma secondo macchie di luce e macchie scure, come un'evocazione del sogno. Marina 1823 olio su tela ; 46 x 55,5 Collezione privata
  • 13. Theodore Gericault, La zattera della Medusa, 1818 Olio su tela Il quadro di Gericault, prende spunto da un fatto di cronaca del 1816: l’affondamento della nave francese Medusa. Gli occupanti della nave si rifugiarono su una zattera abbandonata alle onde del mare per diverse settimane. Solo una quindicina di uomini furono tratti in salvo da una nave di passaggio, dopo che su quella zattera era avvenuto di tutto, anche fenomeni di cannibalismo. L’episodio colpì molto l’immaginazione di Gericault che, immediatamente, si mise al lavoro per la realizzazione di questa che rimane la sua opera più famosa.
  • 14. Theodore Gericault, La zattera della Medusa, 1818 Olio su tela Formalmente il quadro è costruito secondo il classico sviluppo piramidale. Nel quadro di Gericault le piramidi sono in realtà due ed esprimono due direzioni che si incrociano tra loro opponendosi. La prima piramide parte dall’uomo morto in basso a sinistra ed ha il vertice nell’uomo che, di spalle, sta agitando un panno. La seconda piramide parte dalle onde del mare per giungere all’albero che sorregge la vela. Questa è la direzione del mare che spinge in direzione opposta rispetto alla direzione delle speranze umane. È proprio la tensione visibile tra queste due forze opposte a dare un primo tratto drammatico alla scena.
  • 15. Theodore Gericault, La zattera della Medusa, 1818 Olio su tela In quest’opera Gericault usa più riferimenti alla storia dell’arte. L’atmosfera e i contrasti luministici e il braccio abbandonato nell’acqua, dell’uomo morto in basso a sinistra, rimandano inevitabilmente a Caravaggio. Le figure hanno una tensione muscolare, e una torsione, che rimandano immediatamente a Michelangelo. Le figure in basso a sinistra, del ragazzo morto e del padre che lo sorregge pensoso, sembrano due statue greche. Da notare il particolare del ragazzo che, benché nudo, ha le calze arrotolate ai piedi.Quelle calze, così comuni e banali, danno il senso tragico della umanità violata, ossia della morte vera che spegne le persone vere in carne ed ossa.
  • 16. Eugène Delacroix (1798-1863) è il pittore che più di ogni altro ha interpretato il romanticismo in Francia. L’importanza di Delacroix nella pittura francese dell’Ottocento è notevole soprattutto per gli sviluppi successivi. Egli, molto suggestionato dagli effetti cromatici dei quadri dell’inglese Constable, inizia a sperimentare quella divisione dei colori che sarà il motivo fondamentale di tutta la successiva esperienza impressionista e neo-impressionista. Benché usi una tavolozza di molteplici colori, sia puri sia smorti, la sua tecnica si basa sull’esaltazione cromatica data dall’accostamento di tinte e toni diversi secondo il principio del contrasto luministico.
  • 17. Con questo quadro Delacroix si impose al pubblico parigino presente al Salon del 1822, rivelando il carattere movimentato e intenso della sua pittura. Determinante era stata l'influenza della tela, di poco precedente, dell'amico Géricault, La zattera della Medusa, per i decisi tagli di luce e la composizione articolata in un crescendo della tensione. A ciò Delacroix ha aggiunto l'attenzione per l'arte di Michelangelo, come si può notare nel vigoroso modellato dei corpi dei dannati e gli effetti turbinosi del colore di un Rubens. La critica rimase tuttavia scettica; Delécluze definì l'opera "una crosta", mentre gli artisti intuirono la portata di uno Dante e Virgilio all'Inferno 1822 stile innovatore, come Antoine Gros che olio su tela; 189 x 246 addirittura parlò di "Rubens castigato". Il Parigi, Louvre quadro fu acquistato per il Museo del Lussemburgo e l'artista definitivamente consacrato.
  • 18. L'opera fa parte di alcuni studi preparatori per la composizione con il Massacro di Scio e viene esposta insieme a questa al Salon del 1824. Dopo il successo al Salon di due anni prima, Delacroix voleva creare un dipinto di grande effetto espressivo. La guerra fra i turchi e i greci del 1820 e i terribili fatti che ne conseguirono nell'isola di Chio, diedero all'artista lo spunto tematico. Questa orfanella, che poi è diventata un'opera autonoma, costituisce l'origine della figura del giovane che invoca aiuto a sinistra del Massacro. Delacroix si era documentato a lungo sui caratteri e gli abiti degli abitanti di Chio, ricavando il particolare colore dell'incarnato. L'espressione naturale tradisce la volontà dell'artista di coinvolgere lo spettatore da un punto di vista emotivo. Orfanella in un cimitero 1823 olio su tela; 65,5 x 54,3 Parigi, Louvre
  • 19. Come era avvenuto per la Zattera della Medusa di Géricault, l'impatto causato da un evento realmente accaduto fornisce lo sfondo per la creazione di un'opera in cui il contenuto fortemente drammatico colpisce profondamente il pubblico. I resoconti dell'epoca su questo cruento massacro compiuto dai turchi, per cui nell'isola di Chio sopravvissero solo novecento greci, furono studiati con attenzione dall'artista. Ancora una volta è l'amico Géricault a ispirare il clima concitato e il senso di dolore delle figure, che dai morti ed esanimi in primo piano sale fino ai gesti disperati dei corpi del registro superiore, fino al cavallo imbizzarrito del turco mattatore. Il massacro di Scio 1823-1824 olio su tela; 417 x 354 Parigi, Louvre
  • 20. Al Salon del 1827 Delacroix presenta ben tredici opere, di tutti i generi, dimostrando la sua perizia nei ritratti, nei paesaggi, nella natura morta, nei soggetti religiosi, letterari e naturalmente storici. Si tratta di una vera e propria sfida che raggiunge l'effetto più alto con questa tela dedicata a un fatto di storia antica, La morte del re Sardanapalo. Come narrato dalle fonti si trattò di un avvenimento di sconvolgente crudeltà: il re che decise che tutta la sua corte doveva morire con lui, per cui ordinò agli schiavi di uccidere le donne, i paggi e addirittura i cavalli, mentre tutte le ricchezze e il palazzo sarebbero bruciati con lui. Dal fondo scuro delle tenebre, La morte di Sardanapalo 1827 emergono i corpi luminosi delle vittime in olio su tela; 395 x 495 un vortice drammatico di violenza e Parigi, Louvre disperazione. Quello che dall'artista fu definito "il massacro numero due" lasciò fredda la critica che ravvisò scandalosi elementi orgiastici negli atteggiamenti.
  • 21. Per quanto riguardava la realtà francese, Delacroix non era un artista impegnato sul fronte politico, sostenendo che le personalità colte non parlavano di politica. Tuttavia gli avvenimenti del 1830 lo costrinsero ad assumere una posizione. La sospensione delle libertà costituzionali operata da Carlo X nel luglio di quell'anno determinò l'insurrezione popolare. Delacroix non imbracciò le armi come Daumier e altri artisti, ma girò per Parigi, raccogliendo appunti sulla rivolta. Giocata sui tre colori della bandiera francese, bianco, rosso e blu, la composizione fonde elementi realistici, quali i cadaveri in primo piano e i combattenti, tra cui se stesso con il La Libertà che guida il popolo cilindro, con un'immagine classica, quella 1830 allegorica della Libertà, cercando di porsi olio su tela ; 260 x 325 come il manifesto degli ideali di rivolta. Parigi, Louvre Ancora una volta il pubblico del Salon (1831) rimase sconcertato per la violenza dei contrasti e la crudezza poco dignitosa dei morti.
  • 22. Con tante immagini e sensazioni impresse nella memoria, Delacroix rientra a Parigi dal suo viaggio nell'Africa del Nord, nel luglio del 1832. Si mette subito al lavoro cercando di ricreare nello studio quelle atmosfere indimenticabili dell'Oriente. Uno dei risultati più sorprendenti è questo dipinto con le Donne di Algeri che domina al Salon del 1834. Critici come Théophile Gautier ed Etienne Délecluze rimangono affascinati dalle tinte raffinate dei tessuti multicolori e dagli accordi dei toni. Charles Baudelaire, anni dopo, ha definito il quadro un "piccolo poema d'interni" per il senso di quiete intima che emana, oltre a Donne d'Algeri nei loro appartamenti una percezione olfattiva del luogo 1834 malfamato. olio su tela ; 180 x 229 Parigi, Louvre
  • 23. Egli cerca di esprimere e indicare con fine sensibilità nei paesaggi quell’atmosfera e provocazione religiosa e allo stesso tempo una solenne malinconia. La storia e, più ancora, molti quadri di chiese si sono completamente dissolti, come spesso avviene, nel simbolismo e nell’allegoria, e il paesaggio appare più adatto a evocare un sogno pensoso, un senso di benessere o di gioia per la realtà imitata, alla quale si unisce da sola un’aggraziata nostalgia e fantasticheria. Friedrich invece cerca piuttosto di creare un determinato sentimento, una vera e propria concezione, e pensieri e concetti fissati entro questa, che si dissolvano diventando una cosa sola con quella malinconia e solennità. Perciò cerca di introdurre nella luce e nell’ombra la natura viva e quella morta, la neve e l’acqua, e parimenti nelle figure l’allegoria e il simbolo, in un certo senso di innalzare nella fantasia mediante la chiarezza il paesaggio, che ci è sempre apparso come un soggetto molto vago, sogno e arbitrio, al di là della storia e della leggenda.
  • 24. In questo quadro di Friedrich, forse tra i suoi il più famoso e anche quello più sfruttato, si avverte immediatamente la poetica del pittore. Il sublime, ossia il senso della natura possente e smisurata, viene qui presentato con una evidenza da teorema matematico. Su una roccia di origine vulcanica un uomo, raffigurato di spalle, ammira il panorama che gli si apre davanti. La nebbia che gli è innanzi è quasi come un mare da cui emergono come isole le cime delle montagne. Non vi è vegetazione che crea angoli accoglienti. Le rocce sono nere e inospitali. Emergono dai fumi di una nebbia che sembra quasi il vapore che sprigiona la terra dal suo interno. Il paesaggio ha qualcosa di così arcaico che sembra di ammirare la Terra subito dopo la Creazione. L’uomo che ammira questo spettacolo ci dà il confronto tra la piccolezza della dimensione umana e la vastità dell’opera della natura. È raffigurato di spalle così che lo spettatore del quadro deve condividere il suo punto di vista e compenetrarsi nel suo stato d’animo. Lo stato d’animo, cioè, di chi avverte dentro di sé il sentimento del sublime: meraviglia e quasi sgomento di fronte all’immensità Viandante sul mare di nebbia 1818 dell’universo. olio su tela; 74,8 x 94,8 Amburgo, Kunsthalle
  • 25. Esposto, insieme al Monaco in riva al mare, all’Accademia di Berlino nel 1810, il quadro fu acquistato dal re di Prussia. Se nel primo dipinto l’artista mette in scena se stesso di fronte alla vastità illimitata di un universo senza tempo, in questo quadro egli rappresenta il suo funerale: verso quel portale diroccato, brandello di una cattedrale gotica ormai scomparsa, si dirige il corteo funebre. Gli alberi essiccati, che hanno perso le foglie così come la chiesa le sue murature, fanno da fondale all’azione drammatica. Scrive Friedrich: Abbazia nel querceto 1809-1810 «Perché mai, mi hanno chiesto più volte, come olio su tela; 110,4 x 171 soggetto dei tuoi dipinti scegli la morte, la Berlino, Schloss Charlottemburg caducità e il sepolcro? Per vivere eternamente, spesso ci si deve arrendere alla morte». La composizione è strutturata per fasce orizzontali senza profondità, cosa che non mancò di suscitare critiche da parte dei contemporanei (primo tra tutti Goethe); a una linea ellittica è affidato il compito di dividere il cielo luminescente dallo spesso e scuro muro di nebbia.
  • 26. In molti dipinti di Friedrich appare la cattedrale, simbolo di spiritualità, visione fantastica che emerge tra i banchi di nebbia o tra l’oscurità. In quest’opera, la chiesa è allo stesso tempo il fantasma di un’antica memoria e il miracolo invocato dal viandante solitario appoggiato alla roccia. Nell’associazione tra bosco e cattedrale si condensa il senso dell’antica tradizione tedesca, che coniuga il mito pagano della natura selvaggia con le forme dell’architettura gotica e l’antica adorazione degli alberi con l’altare cristiano, manifestando la necessità di conciliare forma naturale e progetto umano. Il ruolo della figura maschile Paesaggio d’inverno con chiesa sarebbe del tutto marginale se non fosse per 1811 quelle grucce gettate sulla neve, allusioni a una olio su tela; 33 x 45 affezione dell’anima per la quale si invoca, Dortmund, Museum für Kunst und Kulturgeschichte davanti al crocifisso, il rimedio. Non sono esclusi riferimenti alle più reali ferite inferte alla Germania (sepolta sotto un significativo manto nevoso) dall’occupazione napoleonica.
  • 27. Il 21 gennaio del 1818 Friedrich sposa Caroline Bomber. Il dipinto documenta il viaggio intrapreso con la giovane moglie per Greifswald e, più precisamente, la tappa all’isola di Rügen, luogo dei pellegrinaggi giovanili del pittore. Ribadendo la scelta poco comune della ripresa delle figure di spalle, Friedrich propone la contrapposizione netta di primo piano (pieno, chiuso) e sfondo (vuoto, illimitato). Quel vuoto, nel quale la distesa marina si confonde con l’orizzonte, attrae magneticamente lo sguardo e chiama a sé. Su quell’incerto palcoscenico di rocce a strapiombo sul mare i tre personaggi, Caroline Bomber, lo stesso Friedrich e, in piedi, il fratello Christian, stanno a un bivio, attratti al contempo dall’abisso scosceso e dalla spazialità del mare solcato da due velieri lontani. Le bianche scogliere di Rügen 1818 olio su tela; 90 x 70 Winterthur, Fondazione Reinhart
  • 28. Il Congresso di Vienna del 1815 decretò il trionfo della restaurazione feudale, l’inizio di un periodo di repressione e censura per quanti, come Friedrich, chiedevano maggiore democrazia e regimi costituzionali. Mostrando il dipinto al pittore nazareno Cornelius, in visita al suo atelier, Friedrich spiega che i due uomini, vestiti dell’abito patriottico pseudorinascimentale, allora indossato dagli studenti liberali, stanno praticando “intrighi demagogici”. Nella notte della Germania la luce della luna, distante ma perentoria, è dunque segno di speranza in un cambiamento. Due alberi imponenti, un abete e una quercia, Due uomini davanti alla luna 1819 incorniciano la veduta e sembrano olio su tela; 35 x 44 ingabbiare le figure, mentre un masso Dresda, Gemäldegalerie roccioso in primo piano evoca le tombe unne e, indirettamente, il cuore antico della Germania.
  • 29. Secondo la testimonianza del poeta Shukowskji, Friedrich avrebbe voluto appendere il dipinto in sequenza con Le bianche scogliere di Rügen e con Sul veliero, tutti risultati del gioioso viaggio del 1818 nella terra natale. Le ancore piantate sugli scogli in primo piano non distanti dalle due donne, unite in un abbraccio affettuoso, parlano dell’approdo in un porto sicuro per quei velieri dell’anima che, scrutati dagli uomini in piedi, solcano le onde del mare al tramonto. Ancora una volta il pittore trascende il dato naturalistico e simbolico per dare voce alle tensioni del soggetto nel mondo, al dilemma esistenziale dell’uomo Luna nascente sul mare 1821 moderno, sospeso tra la fede nell’aldilà olio su tela; 135 x 170 e la consapevolezza dei propri limiti San Pietroburgo, Ermitage terreni.
  • 30. Il dipinto, esposto a Praga nel 1824 e a Berlino nel 1826, non piacque al pubblico contemporaneo che ne criticò l’assolutezza del sentimento tragico. Friedrich, che pur prende spunto da un episodio di cronaca, il fallimento della spedizione polare di Parry nel 1819-1820, fa opera di trasfigurazione, investendo il quadro di contenuti esistenziali. Che quel relitto imprigionato rappresenti l’ultima tappa della “navigatio vitae” o il ricordo della tragica morte del fratello (sprofondato in un fiume gelato all’età di dodici anni), o che, in una prospettiva di lettura sociopolitica, vada interpretato come il vascello della libertà sepolto nel grande gelo della Germania della Restaurazione, in ogni caso la tela è Il mare di ghiaccio 1824 la parabola di un annientamento e di un arresto, è olio su tela; 96,7 x 126,9 la fotografia di una sconfitta cosmica, che non Amburgo, Kunsthalle promette ricompense. Friedrich, a differenza di molti artisti romantici (Turner, Géricault), evita la rappresentazione del culmine drammatico dell’evento per insistere piuttosto sulla terribile evidenza tragica di un fatto già accaduto.
  • 31. Il dipinto è uno degli ultimi realizzati prima del colpo apoplettico che colpì Friedrich nel giugno del 1835. Si presenta, già nel titolo, come un’allegoria, nel solco della tradizione figurativa occidentale. L’ultima luce del giorno colpisce l’acqua vicino alla riva dove sostano cinque figure: due bambini impegnati ad agitare una bandierina svedese (ricordo della terra di origine, la Pomerania, un tempo luogo di libertà), un uomo adulto, una giovane donna, un uomo più anziano di spalle, che avanza vestito di un mantello e del berretto patriottico rinascimentale. Le linee della composizione conducono verso il centro della baia, abitata da cinque velieri, associati simbolicamente Le età dell’uomo alle figure. All’immagine del vecchio, probabilmente 1834-1835 un autoritratto “all’antica” del pittore, corrisponde olio su tela; 72,5 x 94 la nave centrale, che viene avanti ammainando le Lipsia, Museum der bildenden Kunste vele: Friedrich, in quello struggente tramonto, prende congedo dai propri affetti (figli e nipoti) e dalla propria stessa vita (dalla propria infanzia e giovinezza), condensando in un’unica visione una situazione esistenziale complessa e articolata.
  • 32. La produzione artistica di John Constable (1776-1837) è quasi tutta incentrata sul tema del paesaggio. La natura, nella cultura romantica, svolge sempre un ruolo fondamentale. Ma alla natura gli artisti romantici si accostano con animo diverso: per scoprirvi la potenza imperiosa che spaventa ed atterisce, e ciò lo si trova soprattutto nel romanticismo tedesco, o per ritrovarvi angoli piacevoli ed accoglienti, ed è ciò che caratterizza il romanticismo inglese. I paesaggi di Constable sono sempre gradevoli. Ritraggono una natura in cui c’è un felice equilibrio tra gli elementi naturali (alberi, fiumi, colline) e gli elementi artificiali (case, stradine, ponticelli). I paesaggi di Constable esprimono il sentimento di armonia tra l’uomo e la natura. Per la loro casuale ed irregolare disposizione i paesaggi di Constable rientrano pienamente in quella categoria estetica del pittoresco. Ciò che manca, in questi quadri, sono le false rovine che davano al pittoresco precedente un carattere eccessivamente artificioso e letterario. La pittura di paesaggio ha conosciuto una grande fortuna nei paesi nordici, ed in Olanda in particolare, per tutto il Seicento e il Settecento. Anche John Constable mosse i suoi primi passi da queste esperienze vedutistiche olandesi, ma la sua capacità di paesaggista fu di superare le qualità descrittive dei quadri precedenti per caricare i suoi paesaggi di intensità lirica. La pittura di Constable produsse notevoli influenze su molti pittori, sia inglesi sia francesi.
  • 33. Ciò che caratterizza formalmente la pittura di Constable è la capacità di indagare gli elementi visivi che formano un paesaggio. Del tutto assente un disegno compositivo, anche se si avverte la grande progettualità degli elementi che compongono i suoi quadri, lo stile pittorico è tutto affidato al colore. Il suo tocco è filamentoso e sporco. Le forme non hanno un contorno definito ma si riconoscono solo dai passaggi di tono e di colore. La superficie del quadro viene così a presentarsi, ad una visione molto ravvicinata, come un impasto formato da mille tonalità differenti. Questa tecnica fa John Constable, Il carro di fieno, 1821 sì che, ad una certa distanza, le immagini percepite sul quadro sembrano vibrare di una autonoma luce, rendendole più vive e dinamiche delle usuali rappresentazioni pittoriche.
  • 34. In questo quadro il soggetto, il carro di fieno, è solo un pretesto per consentire la rappresentazione di un paesaggio tipicamente inglese. Il carro sta guadando un piccolo ruscelletto che, nello spazio del quadro, forma una duplice curva ad esse. In una delle due anse del ruscello, a sinistra, c’è una casa che sembra quasi confondersi con il paesaggio circostante. La casa viene protetta da una cortina di alberi che creano una nicchia accogliente in cui si inserisce l’edificio. Sulla destra si apre una pianura che viene chiusa da una fila di alberi che si vede in lontananza. La parte superiore del John Constable, Il carro di fieno, 1821 quadro è occupata da un cielo percorso da nuvole. Tutto il quadro tende ad un naturalismo molto accentuato. La forma non sono le cose, ma la percezione delle cose. Il sentimento che ispira è quella sottile vena di piacere che apre gli occhi per far loro godere l’atmosfera ampia che circola nella scena inquadrata.
  • 35. Flatford Mill è una delle prime grandi realizzazioni di Constable realizzate in gran parte en plain air. Benché sia stato preceduto da numerosi studi e schizzi, il quadro cerca una visione quasi casuale del luogo raffigurato. Nella scena, ambientata nei suoi luoghi d’infanzia, vediamo sullo sfondo a sinistra il mulino ad acqua proprietà del padre con un attracco per le barche che venivano trainate da cavalli su e giù lungo il fiume. L’immagine è una ricerca di quella spontaneità della natura, al quale l’uomo John Constable, Flatford Mill, 1817 adatta le sue necessità e non viceversa. Il gusto per il pittoresco è qui una dimensione non solo estetica, ma di grande partecipazione emotiva, come ci attesta la scelta di raffigurare i proprio luoghi d’infanzia. E qui si coglie la maggior differenza tra il pittoresco rococò e preromantico, che era una scelta fondamentalmente estetica, ed il pittoresco romantico che è dimensione propriamente poetica.
  • 36. L’interesse per lo studio analitico del paesaggio in Constable è attestato da centinaia di tele che egli ha dedicato alle nuvole. Chi conoce l’Inghilterra sa che le nuvole costituiscono, qui più che altrove, un elemento determinante del paesaggio. L’interesse di Constable non si sofferma solo sulla diversa forma che i banchi di nuvole possono assumere, ma ne indaga soprattutto la qualità luminosa e cromatica in riferimento alle diverse ore del giorno. Questi esperimenti, che per certi versi   anticipano l’Impressionismo francese, ci dimostrano l’intuizione di Constable che la luce è la grande protagonista del paesaggio. John Constable, Studio di nuvole, 1822
  • 37. È questo uno degli ultimi paesaggi realizzati da Constable. La piana di Hampstead è uno dei paesaggi preferiti da Constable che spesso ritrae questi luoghi nei suoi dipinti. Qui vi inserisce un immaginario mulino a vento, ma soprattutto vi rappresenta due arcobaleni. L’interpretazione del luogo ci dimostra come nella sua attività matura l’indagine scientifica della natura cede sempre più il passo ad una ricerca di John Constable, Arcobaleno su  Hampstead Heath, 1836 effetti visivi più lirici. Così come una semplificazione delle superfici ad effetti quasi astratti ci testimoniano una padronanza che riesce ad evocare e suggestionare anche senza più rappresentare.
  • 38. Le categorie estetiche a cui è improntata la pittura di Turner sono il pittoresco e il sublime. Quel sublime dinamico, come lo definiva Kant, che riguardava le manifestazioni della natura caratterizzate da grande esplosione di energia. Il soggetto di alcuni suoi quadri più tipici sono proprio le tempeste. Quella furia degli elementi che imprime grande velocità all’atmosfera. Nei suoi quadri gioca un elemento fondamentale la luce. Egli cerca di dare un’autonomia alla luce rappresentandola non come riflesso sugli oggetti ma come autonoma entità atmosferica. Per far ciò, usa il colore in totale libertà con pennellate curve ed avvolgenti. Le immagini che ne derivano hanno un aspetto quasi astratto che non poco sconvolse il pubblico del tempo. Secondo alcuni critici egli non dipingeva ma impastava sulla tela ingredienti da cucina, quali uova, cioccolata, panna, ricavandone un miscuglio da pasticciere. Queste critiche dimostrano quanto fosse poco compresa la sua pittura. Essa, tuttavia, divenne un riferimento importante per la successiva pittura impressionista.
  • 39. Sebbene nel 1799 Turner avesse ricevuto un importante riconoscimento professionale da parte della più importante istituzione artistica inglese, la Royal Academy, divenendone il più giovane membro associato, in questo Autoritratto non sembra intenzionato a dare un’immagine “sociale” di sé, come artista accademico, bensì come giovane ambizioso ed eroico. Egli era consapevole delle proprie umili origini e di ciò pare fosse molto a disagio nel confrontarsi con l’ambiente della nobiltà londinese entro cui, per ragioni professionali, era costretto a muoversi. Inoltre la sua famiglia era “macchiata” da quella che, all’epoca, era considerata un’onta, ossia la malattia mentale della madre, che veniva nascosta tra le mura domestiche per timore che la carriera del giovane potesse esserne compromessa. Per tutte queste ragioni il suo carattere era timido e riservato e sembra che neanche i più intimi amici conoscessero le sue vicende familiari. Turner non eseguì molti autoritratti, cosciente dei suoi lineamenti poco fini e non coerenti con le aspettative romantiche nutrite dal pubblico de suoi dipinti. Pare che due celebri suoi ammiratori, Eugène Delacroix e Thomas Cole, fossero rimasti piuttosto delusi dal suo aspetto, che contrastava con la raffinatezza della sua pittura. Autoritratto 1799 circa olio su tela; 74,3 x 58,4 Londra, Tate Britain
  • 40. Si tratta di una delle opere più suggestive del pittore inglese dove protagonista della composizione non è solo il treno (che già circolava in Gran Bretagna dalla fine degli anni Venti e che per la prima volta viene rappresentato in pittura) ma la luce filtrata dall’effetto di pioggia e di vapore sul nuovo ponte di Isambard Kingdom Brunel a Maifdenhead (lungo la linea ferroviaria tra Londra e Reading) e resa con impalpabile delicatezza e straordinario lirismo. La scelta della prospettiva in profondità accentua l’impetuosità del movimento del treno in corsa, simbolo della modernità che, ormai, supera la natura, sintetizzata dalla lepre che, correndo, attraversa i binari. Lo spazio del Pioggia, vapore e velocità. La grande ferrovia occidentale quadro sembra estendersi oltre i limiti prospettici e 1844 materiali verso un infinito di vortici d’aria e dinamismo di olio su tela; 91 x 121,8 luce. L’opera, come altre di questa fase del pittore, è stata Londra, National Gallery considerata anticipatrice dei modi dell’impressionismo e addirittura dell’espressionismo astratto, in una linea critica che ha voluto leggere Turner come un artista “contemporaneo”. La sua ricerca lo ha portato, certamente, ad alcune intuizioni sullo spazio, sul movimento della luce, sull’atmosfera e sulla decostruzione dell’immagine che hanno sconvolto i canoni di giudizio anche della sua stessa epoca.
  • 41. L’opera, che fu terminata da Turner al suo rientro dall’Italia nel 1829, può essere interpretata come una fase di transizione tra la precedente fase più classica e descrittiva e lo stile più libero delle sue ultime opere. John Ruskin, che aveva già dimostrato di apprezzare i suoi lavori, sostenne che questo "era il quadro centrale della carriera di Turner", alludendo forse anche alla simbologia del soggetto, che potrebbe essere un’allegoria della sua esistenza: Turner, come Ulisse, eroe mitico che aveva resistito alle tentazioni delle sirene per raggiungere il proprio traguardo, Ulisse schernisce Polifemo trionfando su ogni avversità. Dunque il tema 1829 mitologico costrinse l’artista, in quest’opera, a olio su tela; 132,5 x 203 un’atmosfera ancora drammaturgica, combinata e Londra, National Gallery perfettamente armonizzata, però, con la sua eccezionale sensibilità visiva e atmosferica, ottenuta attraverso le macchie di colore rossastro e le sfumature violacee dell’orizzonte, delicate e abbaglianti al tempo stesso. Turner, infatti, rispondendo a coloro che lo criticavano contestando la poca chiarezza dei suoi dipinti, ribatteva: "L’atmosfera è il mio stile".
  • 42. Dopo le prime commissioni da parte dell’aristocrazia terriera, relative alle esecuzioni di vedute delle loro proprietà, o da parte di architetti che richiedevano di ritrarre edifici gotici, il giovane Turner si concentrò sempre più sul paesaggio puro, cercando di cogliere le particolarità atmosferiche di determinati momenti della giornata o stagioni. In questo Chiaro di luna, studio a Millbank l’intenzione dell’artista è quella di comunicare una suggestione visiva e romantica, quella del riflesso della luna piena sul Tamigi e della sensazione di immobilità delle barche notturne sull’acqua, mentre lo “skyline” di Londra si intravede impalpabile sullo sfondo. La tecnica risulta già rigorosa e precisa, l’impianto centrale è ancora abbastanza tradizionale, ma con una ricca varietà di sfumature luministiche e cromatiche. Chiaro di luna, studio a Millbank 1797 olio su tavola; 31,4 x 40,3 Londra, Tate Britain
  • 43. Il quadro, al pari di "Regolo", prende solo a pretesto l'episodio storico di Annibale per una immagine che in realtà è una libera ricerca di effetti luminosi e dinamici attivati da una tempesta di neve. Lo schema compositivo ricorre in molte altre oper di Turner: una specie di vortice che ruota intorno ad un punto posto in posizione leggermente decentrata. In questo caso Turner cerca la William Turner, Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi, 1812 rappresentazione di quel sublime "dinamico" teorizzato da Kant: la sensazione di intensa ed emozionante paura attivata dalla potenza della natura. Potenza che ritroviamo nello spettacolare scatenarsi degli elementi in occasione di tempeste, uragani, eruzioni di vulcani, terremoti, maremoti, e così via.
  • 44. Il quadro, conservato alla Tate Gallery di Londra, è uno degli esempi più noti della ricerca di Turner legata alla percezione della forza della natura. Lo scatenarsi di una tempesta di neve avviene in mare, travolgendo una nave che nel quadro appena si intravede nel gran turbinio d'acqua che Turner rappresenta. Il mare è anch'esso un soggetto molto amato dall'artista inglese, che in numerosi quadri rappresenta scene marine e navi. Qui il mare diviene il luogo di quel "sublime dinamico" che abbiamo visto spesso comparire nei quadri di Turner, che in questa tela, più che in altre, abbandona ogni preoccupazione di rappresentazione figurativa William Turner, per darsi ad una pittura di gesto che sfiora quasi Tempesta di neve, 1842 l'astratto. Inutile dire che il quadro, troppo in Tate Gallery anticipo sui gusti del tempo, non ricevette critiche entusiastiche. Per esso, come per altre tele di Turner, i critici inglesi parlarono di "pasticceria", in quanto un quadro così fatto sembrava loro più un tavolo sporco di latte, farina, uova, cioccolato, ecc. che non la tela di un pittore.
  • 45. William Turner è stato un artista molto presente in Italia, e nei suoi numerosi viaggi ha toccato molti luoghi caratteristici della penisola, quali Roma, Tivoli, Napoli ed altri, di cui ci ha lasciato testimonianza in numerosi quadri e disegni. Uno dei luoghi a lui più congeniali fu comunque Venezia, in un periodo in cui tutta la cultura inglese romantica, anche grazie a John Ruskin, amò molto la città lagunare. Questo quadro raffigurante il Canal Grande è solo una delle numerosissime tele che Turner realizzò a Venezia. Le sue caratteristiche stilistiche sono ben William Turner, Il Canal Grande, 1835 evidenti soprattutto nel dissolversi della forma nella luce, che dà all'immagine un aspetto evanescente e un po' sfocato.
  • 46. Dido Building Carthage, Or the Rise of the Carthaginian Empire, by J.M.W. Turner (1815). National Gallery, London
  • 47. Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) è il principale esponente della Confraternita dei Preraffaelliti, costituita in Inghilterra nel 1848. Nonostante il nome italiano, Rossetti è un pittore inglese che sviluppa la sua attività nella seconda metà dell’Ottocento. La Confraternita dei Preraffaelliti è la corrente artistica che più di qualsiasi altro movimento romantico si rifà al medioevo. Tanto che già dal nome dichiarano le loro intenzioni poetiche e stilistiche: rifarsi all’epoca tardo-medioevale, in particolare alla spiritualità e allo stile tardo gotico e primo rinascimentale del Trecento e del Quattrocento. Ciò che rifiutano è quel rinascimento maturo che trovava in Raffaello l’esponente più tipico. Il fenomeno dell’arte preraffaellita, anche per il periodo in cui si manifesta, è un ultima manifestazione del romanticismo inglese ed insieme anche il contributo anglosassone alle poetiche simboliste europee che partecipano del decadendismo di fine secolo. Il medioevo dei preraffaelliti è infatti molto letterario, tradendo una rievocazione che sà più di sogno e di mito che non di riscoperta vera del periodo medievale. I quadri preraffaelliti di Rossetti sono pervasi da una dimensione del silenzio che risuona di note sensuali e decadenti. La figura femminile è sempre presente, svolgendo un ruolo simile a quello di Beatrice per Dante: lo svelamento, attraverso la bellezza, della dimensione trascendentale.
  • 48. Il quadro si basa sul colore bianco che omogeneizza tutta l’immagine. In questo bianco si stagliano poche note di colore, il rosso della stola in primo piano, i capelli dorati e le aureole gialle, l’azzurro della tenda dietro al letto. Gli elementi iconografi della Annunciazione presenti sono il giglio, che compare sia in mano all’arcangelo che sulla stola rossa, e la colomba simbolo dello Spirito Santo. La Madonna ha un atteggiamento triste e pensono. Ciò che il pittore rappresenta non è tanto il mistero di un concepimento miracoloso ma il sentimento universale che provano tutte le donne quando sanno che dovranno diventare madri. La sensualità molto terrena dell’immagine viene accentuata dalla figura dell’arcangelo che qui appare di una virilità molto evidente, a differenza di quanto avveniva nei quadri tardo gotici dove l’arcangelo prendeva un aspetto di indefinita sessualità. L’arcangelo Gabriele sembra che non poggi i piedi a terra e le lievi fiamme gialle che si notano ai piedi e riflesse sul pavimento lo qualifica come messaggero ultraterreno. Ma è da notare che la sua rappresentazione avviene da un diverso punto di vista, più basso, rispetto al resto dell’immagine che è vista da un punto di vista più alto. Questa incongruenza prospettica è sicuramente voluta, visto che è molto comune in tanta pittura del Quattrocento, e dalla quale Dante Gabriel Rossetti prendeva spunto. Dante G. Rossetti, Ecce ancilla domini, 1850
  • 49. In numerose sue opere Rossetti trae ispirazione da Dante Alighieri. Di soggetto dantesco è anche questo «Beata Beatrix» in cui si confondono suggestioni che gli derivano dal poeta fiorentino con sue esperienze personali. L’immagine di Beatrice, la donna amata da Dante e prematuramente scomparsa, si confonde qui con la figura di Elizabeth Siddal, la moglie anch’ella morta giovane. La donna, infatti, riceve nelle mani da un uccello rosso, simbolo di morte, un papavero bianco. Elizabeth Siddal morì infatti per una overdose di laudano, una droga che si estrae anche dal papavero. In secondo piano compaiono due figure: sono di nuovo Beatrice, la cui testa è circondata da un’aureola, che riceve Dante nel paradiso. Sullo sfondo si apre uno squarcio luminoso che fa intravedere il Ponte Vecchio a Firenze. L’atmosfera di silenzio estatico, insieme ai pensieri funerei impliciti nell’immagine, ci permettono di collocare questa immagine nel gusto decadentista del tempo, di cui i Preraffaelliti rappresentano in qualche modo una notevole anticipazione. Dante G. Rossetti, Beata Beatrix, 1864-70
  • 50. Il ritratto femminile è uno dei temi che ossessivamente Rossetti ripete nell’ultimo periodo della sua attività. Qui, in uno dei suoi dipinti più celebri e riusciti, ad essere ritratta è Jane, moglie di William Morris, che in anni precedenti aveva già posato per Rossetti quale Ginevra per alcuni affreschi realizzati ad Oxford. In questa tela la ritrae quale Proserpina, o Persefone, la fanciulla, figlia di Zeus e Demetra, rapita da Ade, signore dell’oltretomba, per farla sua sposa. Rossetti ritrae Proserpina con un melograno in mano, simbolo di matrimonio ma anche di prigionia. In primo piano un incensiere ci riporta alla natura spirituale di Proserpina che simboleggiava nell’antichità l’immortalità dell’anima. Di sotto vi è un’iscrizione in italiano che dice: «Dante Gabriele Rossetti ritrasse nel capodanno del 1874». In alto, all’interno di un cartiglio, Rossetti scrive anche una breve poesia, sempre in italiano, per enfatizzare la condizione di infelicità in cui era costretta Proserpina. Dante G. Rossetti, Proserpina, 1874
  • 51. Il quadro di Rossetti è un ulteriore esempio della poetica preraffaellita. L’immagine di idilliaco convegno di fanciulle, intente a suonare e ballare, in un paesaggio pulito e bucolico rivisitazione di campagne toscane, ha valenze simbolico- decadentiste molto evidenti. Se si considera che nello stesso periodo gli artisti francesi facevano nascere l’Impressionismo possiamo ben comprendere la distanza che separa negli stessi anni i pittori dediti al realismo e quelli invece protesi all’eplorazione di altri territori, che confinano più con il sogno che non con la realtà Dante G. Rossetti, Il padiglione nel prato, 1872
  • 52. Francesco Hayez (1791-1882) ebbe una formazione giovanile neoclassica. Originario di Venezia, nel 1809 si trasferì a Roma dove entrò in contatto con Antonio Canova di cui divenne amico ed allievo. Trasferitosi a Milano nel 1820, in questa città raccolse l’eredità del maggiore pittore neoclassico italiano: Andrea Appiani. Il suo stile pittorico si formò di un linguaggio decisamente neoclassico che non perse mai neppure nella sua fase romantica. Il suo romanticismo è infatti una scelta solo tematica. Nel 1820 realizzò il suo primo quadro di ispirazione medievale «Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri» che venne considerato il manifesto del romanticismo italiano. Due anni dopo realizzò il quadro de «I Vespri siciliani». La sua produzione, oltre ai temi storici, fu proficua anche nel genere dei ritratti. Dal 1850 diresse l’Accademia di Brera, divenendo un personaggio di spicco dell’ambiente culturale milanese.
  • 53. Rinaldo e Armida 1812-1813 olio su tela; 198 x 295 Venezia, Gallerie dell’Accademia (in deposito alla Civica galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro) Eseguito dall’artista appena ventenne questo quadro è ispirato alla Gerusalemme Liberata del Tasso, Le vicende dell’esecuzione sono raccontate nelle Memorie, dove si parla del rapporto di Hayez con i due modelli e, in particolare, con la bellissima giovane di diciannove anni utilizzata per la figura di Armida, che aveva suscitato rispetto e devozione nell’artista, in genere facile preda di turbamenti amorosi. Lo stile purista e la scelta iconografica tassesca sembrerebbero derivare dalla pittura dei Nazareni tedeschi, dei quali a Roma si cominciava a notare la presenza, come racconta nelle Memorie lo stesso Hayez; mentre il luminoso e sensuale nudo di Armida evoca la Paolina Borghese come Venere vincitrice (1805-1808) di Canova. La scena, immersa in una calda atmosfera tizianesca, si apre sul fondo in un misterioso paesaggio che ricorda un romantico giardino all’inglese, ed è questo l’elemento più affascinante e straordinario, insieme al virtuosistico rimando delle immagini riflesse, dallo scudo allo specchio d’acqua, che sembra un’eco della Susanna e i vecchioni del Tintoretto a Vienna.
  • 54. L’iconografia biblica è appena riconoscibile attraverso la piccola figura sfumata del re David, nascosto dalle fronde sull’estremo margine superiore, e gli abiti egizi dell’ancella che accentuano, in realtà, il carattere esotico della scena. Il tema della bella Betsabea al bagno, comprensibilmente gradito ai committenti, ebbe molta fortuna in Hayez (che lo affrontò quattro volte) e presso altri artisti del tempo poiché univa generi differenti: il nudo, il quadro storico–religioso e quello di gusto erotico e disimpegnato della bagnante. Tutta la composizione ruota intorno al nudo levigato di Betsabea, plasmato dalla luce che piove dall’alto lasciando in ombra solo il paesaggio e certe parti delle figure. Alla partitura grafica, particolarmente precisa e raffinata, corrisponde una stesura cromatica dai toni generalmente smorzati e freddi, a eccezione dei costumi delle ancelle accesi di un rosso vivo. La bellezza ideale di Betsabea, che riecheggia il classicismo seicentesco del Reni e del Domenichino, sembra anticipare il purismo che Hayez prediligerà nelle opere degli anni successivi. Non è un caso che il Betsabea al bagno dipinto, firmato e datato, abbia avuto una traduzione grafica 1834 da parte di Bartolomeo Soster, teorico del purismo. olio su tela; 180 x 140 Collezione privata
  • 55. Opera sicuramente tra le più note di Hayez, «Il bacio» è un po' la quintessenza del sentimentalismo romantico, per di più vestito di abiti medievali a richiamare molti di quei grandi amori tramandati da novellieri e drammaturghi, da Paolo e Francesca a Giulietta e Romeo, e così via. Così rievocazioni di sapore storico-letterario si uniscono ad atmosfere di facile effetto, creando un'immagine che, se da un lato banalizza alcune delle pulsioni che hanno creato il romanticismo, dall'altro riesce a sintetizzare in modo efficace le suggestioni condivise da gran parte del romanticismo italiano. Il bacio 1859-1867 olio su tela; 55 x 40 Collezione privata
  • 56. Il dipinto segna un momento di svolta nella pittura di Hayez., Messo da parte il vero e proprio genere storico, Hayez aveva già, negli anni Quaranta, elaborato un suo personalissimo repertorio romantico trasferendo una valenza politica e civile a una serie iconografica definita genericamente Malinconia e strettamente collegata con le pensierose eroine bibliche (Rebecca e Tamar) e con le seducenti Bagnanti o Odalische, emblema già di un malessere esistenziale. Dieci anni dopo, circa, in seguito alla delusione risorgimentale del 1848, la “malinconia” della coscienza contemporanea si trasforma in Meditazione. Nella prima versione, esposta a Brera il motivo patriottico del dolore dell’Italia sconfitta veniva celato da un travestimento religioso. In questa seconda Meditazione il messaggio politico si interpreta più chiaramente attraverso gli oggetti tenuti in mano dalla sensuale figura femminile: la finta Bibbia con la scritta “Storia d’Italia” e una luttuosa croce del martirio risorgimentale sulla quale compare la scritta in rosso: “18.19.20.21.22 marzo /1848”, la data delle Cinque giornate di Milano. La figura, particolarmente intensa ed espressiva, è raffreddata nella sua La Meditazione carica emozionale dal cromatismo perlaceo e lunare, che crea un 1851 suggestivo gioco di chiaroscuri. olio su tela; 92,3 x 71,5 Verona, Civica galleria d’arte moderna
  • 57. Antonio Fontanesi (1818-1882) tra i pittori italiani è quello che più riesce ad interpretare un romanticismo di livello europeo, anche se la sua attività si svolge nella seconda metà del secolo. La sua pittura è tutta prodotta nell’ambito tematico del paesaggio che egli riesce ad interpretare con una sensibilità lirica di livelli eccezionali. La nota di fondo è sempre una malinconia lieve e struggente. La natura è una presenza senza tempo la cui illimitatezza non è spaziale ma temporale. La natura è eterna, questa sembra la suggestione maggiore dei quadri di Fontanesi. Ossia, la vicenda umana trascorre e passa ma la natura rimane sempre lì, con le sue alture, i suoi prati, i suoi alberi. Nei suoi quadri, tendenti spesso al monocromo, c’è sempre molta attenzione alla particolare ora del giorno. Prediligge l’ora vespertina o mattutina, in cui la luce acquista una magia molto poetica. La tecnica è molto libera e riesce ad evocare una rappresentazione naturalistica con impasti coloristici quasi astratti e casuali.
  • 58. La tecnica pittorica di Fontanesi è basata sempre sulla velocità di esecuzione. Questo disegno è stato realizzato a carboncino su cartone e produce pertanto un’immagine monocroma di pochi tratti e macchie. Il paesaggio è còlto in un’ora vespertina, quasi notturna. La natura ha un aspetto freddo e spoglio. Al centro della radura si notano alcune mucche al pascolo e al centro, seduto a terra, il pastore che le sorveglia. È un’immagine che trasmette un senso di silenzio e solitudine. Una Antonio Fontanesi, Pascolo nella radura, 1873 sensazione di raccoglimento interiore che dà al paesaggio una intonazione lirica molto profonda, ma di segno opposto a quella trasmessa dai quadri di Giacinto Gigante. Nelle vedute dell’artista napoletano la natura si presenta sempre con caratteri piacevoli ed accoglienti. I luoghi della natura sono spazi di vita per gli uomini che in quei luoghi inseriscono con naturalezza le loro case e i loro manufatti, ritrovando così un’armonia serena tra se e la natura che li circorda. I paesaggi di Fontanesi hanno invece un aspetto più inospitale e duro. La natura in questo caso si presenta più altera ed inaccessibile, senza che l’uomo possa trovarvi un’accoglienza generosa e serena.
  • 59. La presenza solitaria in un paesaggio rurale di una pastorella raccolta nei suoi pensieri è uno dei temi preferiti da Fontanesi. La solitudine diventa la sensazione più propria per vivere un rapporto con la natura carico di silenzi ed attese. Antonio Fontanesi, Solitudine, 1876
  • 60. È questo uno dei quadri più celebri di Fontanesi. In esso, oltre ai consueti temi del rapporto emotivamente triste con la natura, troviamo un'espressione poetica del dato luminoso, peraltro non infrequente nei quadri del pittore torinese. La luce è la reale protagonista dell'immagine, insieme al profilo scheletrico dell'albero, tra i cui rami vediamo una nuvola, dietro la quale si nasconde il sole. Antonio Fontanesi, Aprile, 1873
  • 61. È questo uno dei pochi quadri di Fontanesi che non rappresenta un paesaggio ma un interno. Questa stalla, visitata di notte, evoca un mondo rurale di altri tempi con tutta la sua suggestione fatta di odori, di ombre, di lenti movimenti. Antonio Fontanesi, La stalla, 1872-73
  • 62. Tranquillo Cremona (1837-1878) rappresenta il pittore più tipico della Scapigliatura milanese. La Scapigliatura è un fenomeno tipicamente milanese che si sviluppò nei due decenni tra il 1860 e il 1880. Vide coinvolti letterati, pittori, scultori, tutti accomunati da atteggiamenti e comportamenti antiborghesi e anarcoidi. La tensione critica nei confronti della società del tempo si espresse con l’accentuazione della passionalità. Le passioni venivano viste come l’energia nascosta sotto la facciata perbenista della società milanese ottocentesca. Questa forte accentuazione dei sentimenti collocano la Scapigliatura nella ultime propaggini dello spirito romantico dell’Ottocento. Contemporaneamente la Scapigliatura, con la sua grande carica di sensualità, sembra anticipare l’estetica decadentista che si comincerà a manifestare dopo qualche anno. La pittura di Tranquillo Cremona deriva stilisticamente da quella di Giovanni Carnovali, detto il Piccio, da cui prende soprattutto la pennellata filamentosa e sporca, tesa più ad evocare che non a rappresentare, e la capacità di concentrare le atmosfere psicologiche. Nei quadri di Cremona sono del tutto assenti i temi principali del romanticismo italiano: il paesaggio e la storia. Egli si concentra solo sulla figura umana che diviene la protagonista unica dei suoi dipinti.
  • 63. In questo quadro l’abbraccio vede protagoniste due donne. Il loro atteggiamento, tuttavia, non lascia spazio a dubbi: ad avvinghiarle è una passione forte e morbosa fatta di richeste, da parte della donna in basso che cerca di stringere l’altra, e di dinieghi, da parte della donna in alto che ha un atteggiamento di ritrosìa. Il soggetto è decisamente anticonformista con un chiaro intento scandalistico. La tecnica pittorica è molto libera e giocata solo sul filamento coloristico che vibra di sottile ma intensa luce al punto da rendere vaga e sognante l’apparizione. L’immagine, come nella maggior parte dei quadri di Cremona, si concentra solo sulle figure in primo piano mentre lo sfondo diventa assolutamente informe ed indistinguibile. Un impasto di colore che conserva le stesse tonalità delle figure rappresentate così che queste sembrano quasi apparire, o scomparire, nello spazio retrostante. L’immagine, proprio per questa sua apparente derivazione onirica, fatta di sensualità raffinata ma molto morbosa, anticipa alcuni dei temi poetici che saranno tipici dell’estetica decadente, soprattutto letteraria e poetica, di fine Ottocento e inizi Novecento. Tranquillo Cremona, L'edera, 1878
  • 64. «La melodia» appartiene al periodo più fecondo di Tranquillo Cremona, ed è uno dei quadri che più esemplificano la carica romantica e decadente insita nel movimento della Scapigliatura. Tutto si svolge come in un sogno: l’immagine è soffusa e molti elementi vengono appena accennati. Per comprendere la differenza tra movimenti ancora di ispirazione romantica e movimenti realisti, si confronti questo quadro con «Il canto dello stornello» realizzato da Silvestro Lega solo qualche anno prima. Il confronto tra le due immagini è più eloquente di qualsiasi descrizione, e rende più che palese quali notevoli differenze stilistiche possono intercorrere tra due quadri di medesimo soggetto ma decisamente agli antipodi Tranquillo Cremona, La melodia, 1874 per scelte formali.
  • 65. Il quadro «In ascolto» è di fatto il gemello de «La melodia», al punto che possono costituire quasi un dittico. La complementarietà della due immagini non è solo nella rappresentazione di un momento unico (l’esecuzione di un brano musicale e il suo ascolto), ma rappresenta la stessa atmosfera evanescente e trasognata, comunicando un’emozione che è praticamente unica. Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874
  • 66. Riconoscimenti Di Gibbin Katia Sara Informazioni da internet
  • 67. Con il romanticismo, nato al volgere del Settecento, gli scultori si liberarono dei modelli del passato per darsi alla creazione di opere caratterizzate dal predominio della componente emotiva, in netta rottura con la linearità neoclassica. In Francia, tra i più significativi scultori romantici si ricordano François Rude e Antoine-Louis Barye. Rude è noto soprattutto per le sculture monumentali dell'Arc de Triomphe di Parigi, e in particolare per La Marsigliese (1833-1836), una grande figura alata simboleggiante la libertà che si slancia in avanti incitando alla battaglia il gruppo di uomini che la segue. Barye scolpì soprattutto animali: i suoi bronzi sono naturalistici e meticolosi ritratti di animate scene di lotta tra belve. In Italia, lo scultore di maggiore talento fu Lorenzo Bartolini, ancora legato a formule neoclassiche cui associò un nuovo sentimento purista e religioso, come nella statua intitolata La fiducia in Dio (1836, Museo Poldi Pezzoli, Milano).
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  • 70. Lorenzo Bartolini, nato a Savignano di Prato nel 1777, studiò all'Accademia di Firenze e si trasferì poi a Parigi, ove scolpì uno dei bassorilievi della colonna Vendome e un busto di Napoleone; Dallo stesso Napoleone fu inviato a Carrara a dirigere l'Accademia di scultura dove, nonostante l'ostilitò dell'ambiente scolastico, e forte della stima della principessa, eseguì vari busti e statue di "Napoleonidi" tra cui una statua colossale dell'imperatore destinata a Livorno ma poi inviata a Bastia. Dopo la morte dell'imperatore si stabilì a Firenze, avversato per il suo passato di bonapartista e per i suoi caratteri di innovatore: egli infatti, contro il gusto accademico neoclassico, sostenne l'imitazione della natura, richimandosi ai grandi scultori del primo Rinascimento; finì così a ridursi all'isolamento in un ambiente ligio al più sterile feticismo canoviano. Trovò però vari estimatori in una cerchia di facoltosi stranieri che lo sovvennero nelle sue disagiate condizioni finanziarie con varie commissioni. Ma di tale nuova apertura mentale e programmatica egli doveva dare la più compiuta e felice prova assai tardi, verso il 1818, con l'Ammostatore, un fanciullo in atto di pigiare l'uva, la cui nitida impostazione compositiva esemplata su Donatello e sul Verrocchio, appare rivissuta con una attenta osservazione del vero e una delicata finezza di modellato.
  • 71. Richiami al quattrocento fiorentino anche nel gruppo della Carità educatrice, scolpito nel 1824 per una cappella della villa di Poggio Imperiale, ma acquistato poi dall'Accademia di Belle Arti e quindi collocato nella Galleria Palatina
  • 72. Nel 1835 il Bartolini scolpiva la sua opera più famosa: la statua della Fiducia in Dio, ispirata nella posa ad una Maddalena penitente del Canova. Questa scultura venne richiesta a Bartolini da Rosina Trivulzio Poldi Pezzoli, madre di Gian Giacomo, proseguendo un rapporto di committenza tra i due già iniziato qualche anno prima, nel 1828, allorché lo scultore aveva realizzato il busto-ritratto della Marchesa. Rimasta vedova nel 1833 del marito Giuseppe Poldi Pezzoli, Rosina chiese a Bartolini una statua domestica e consolatoria, a espressione del confidente abbandono nella fede da lei coltivato dopo il lutto. Bartolini dette forma a questi nobili sentimenti attraverso una giovane figura nuda, seduta in stabile posizione con le mani giunte e quietamente appoggiate, esprimente nel volto un sentimento di intima e intensa devozione.  Il marmo ispirò al poeta Giuseppe Giusti un famoso sonetto.
  • 73. Nello stesso periodo, dal 1830, il Bartolini si accinse a quella che doveva essere la sua maggiore impresa di statuario, il monumento ala conte Nicola Demidoff, Ciambellano dello Zar di Russia, composto di cinque gruppi e figure, che venne compiuto dal discepolo Romanelli e collocato nel 1871 nella omonima piazzetta di Firenze: la statua più bella, e interamente del Bartolini, è quella della Beneficenza nella quale, com maggior complessità compositiva, ritorna il naturalismo affettuoso della Carità educatrice di circa vent'anni prima.
  • 74. L'ultimo capolavoro dello scultore è il monumento sepolcrale alla principessa polacca Sofia Zamoyski in Santa Croce cui egli attese, valendosi di aiuti, dal 1837 al '44.
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  • 76. Nell’Ottocento, un altro movimento culturale produsse i suoi riflessi in campo architettonico: il romanticismo. Esso nacque già alla fine del Settecento in Inghilterra, e trovò poi terreno fertile nell’Europa nord occidentale, in particolare Francia, Germania e Scandinavia.Si rendeva palese ancora una volta, come già avvenuto in epoca gotica, la differenza tra Europa del nord ed Europa mediterranea. La prima ritrovava, nelle sue radici medievali, una identità più certa; la seconda restava ancorata a principi di classicità più tradizionali.
  • 77. Un’altra realizzazione, che rese evidente il gusto romantico, fu quello dei giardini all’inglese. Il giardino di origine rinascimentale, detto anche all’italiana, si basava su un insieme di vialetti ed aiuole dalla geometria regolare e dal disegno molto curato. In essi, trovavano posto con effetti scenografici, statue, fontane, gazebi e così via. Il giardino romantico, invece, si basava sulla spettacolarità della natura spontanea, non sottomessa al disegno geometrico datogli dall’uomo. I vialetti che percorrevano questi giardini erano sempre molto tortuosi, seguendo le asperità altimetriche del terreno. E in questi giardini, ad accrescere il loro aspetto romantico, vi erano false rovine, così da ricreare quella suggestione che lo spettacolo di edifici cadenti ed in rovina trasmetteva agli spiriti romantici del tempo.