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ANTONIO VIOTTO
………..SPIGOLATUREA TEMA …………….
Seconda parte di …”Una vita in auto”……………..
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COPYRIGHT 13 MARZO 2016
INDICE
SPIGOLATURE A TEMA
I. La “Finanza creativa” pag. 4
II. Controller nell’automotive pag. 13
III. Il richiamo delle radici pag. 23
IV. Alfa Brera : il colpo di sonno pag. 26
V. In ricordo di Gianni Lancia pag. 30
VI. Un incontro inaspettato pag. 36
3
Autore :
Antonio Viotto
Via dei Cordari n. 7 –
17019 Varazze (SV)
Vietata la riproduzione
Torino e la Fiat 500 1° serie , alla presentazione nel 1957
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I. La finanza creativa
E’ giunto ora il momento di riconsiderare gli accadimenti via via
succedutisi nel tempo da una differente angolazione, non più solo
dalla mia. Ad esempio da quella dell’azienda che di volta in volta
viene presa in considerazione.
E’ ora il tempo delle spigolature a tema….. ma potrà forse cambiare
il giudizio del tempo che fu ?
Mi ritorna in mente la Società Finanziaria, allora controllata dal
principale gruppo assicurativo di Torino, a metà degli anni ’70 : alle
molte missioni effettuate con l’incarico di individuare possibili
investimenti in aziende interessanti da acquisire e quindi sviluppare.
Tutti incarichisvolti nella veste di funzionario a libro paga: figurarsi,
all’epoca sedici erano le mensilità previste dal contratto bancario,
qual’era il mio. Una pacchia , nel vero senso della parola !!
Senz’altro fu la mia esperienza più interessante e piacevole, non solo
per i contenuti professionali e il ruolo ricoperto, ma anche per la
qualità dei rapporti intrattenuti con i vari personaggi via via
incontrati, come purecon i collaboratori all’interno della società.
Come spesso si dice, anche l’occhio vuole la sua parte. E qui
l’occhio era appagato alla grande : attorno era tutto affascinante e
raffinato, da veri buongustai. Non solo gli uffici di Torino, in Via
Marenco dietro al Valentino, nella sede della stessa capogruppo, ma
anche quelli di Milano, ove in seguito la società si spostò. Erano al
termine di Corso Matteotti, nei dintorni di Piazza Meda: ricordi il
famoso mappamondo rotante, il moto perpetuo di Gio’ Pomodoro al
centro della piazza ?? Sì, proprio in quei luoghi. Anche la
denominazione sociale mutò , come pure la compagine azionaria.
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I progetti iniziali puntavano su investimenti in capitale di rischio
nelle PMI - le piccole e medie aziende di cui l’Italia è tanto
orgogliosa – in settori tecnologici avanzati, forieri di sviluppo
elevato in un prossimo futuro. In tali operazioni, la società avrebbe
coinvolto anche privati investitori all’uopo selezionati e informati a
dovere.
Il mio compito consisteva nella predisposizione di piani industriali di
sviluppo sufficientemente credibili; poi in base ad essi , pervenire a
una valutazione appropriata del business sotto esame.
Naturalmente, tutto dipendeva dai risultati delle verifiche sulla
situazione riscontrata in azienda, in termini patrimoniali e reddituali.
Da esse dipendeva la decisione se andare avanti oppure no.
L’elaborazione dei piani industriali triennali faceva innanzi tutto
perno sull’identificazione delle variabili macro e micro economiche
in gioco, interne e esterne, nonché sulla loro evoluzione futura. Il
confronto deidatiottenuti con quelli delmercato diriferimento, della
concorrenza , della tecnologia di settore avrebbe scaturito il
posizionamento strategico dell’azienda, l’individuazione delle sue
possibilità di sviluppo, insomma il quadro globale.
I criteri di valutazione si basavano sulla media tra il valore reddituale, ottenuto
in base al profitto normalizzato rivalutato con multipli di settore e il valore del
patrimonio netto aggiornato. Quest’ultimo é il risultato delle attività al netto
delle passività, tenendo presente i valori rivisti, in modo da riflettere potenziali
plusvalenze al netto della fiscalità.(Ndr. Da Luigi Guatri, La valutazione di
impresa).
Ricordo alcuni degli investimenti fatti dalla società, spesso in veste
di socio minoritario. Ad esempio, nell’azienda leader del comparto
interruttori e quadri elettrici, intervento avvenuto al momento della
conversione dai sistemi meccanici in sistemi elettronici.
6
Negli antifurti e sistemi di sicurezza, questa volta con una quota del
50% , pari al socio fondatore , con la benedizione della capogruppo
romana; nel settore della moda, di abiti e soprabiti in pelle e in
pelliccia, contraddistinti da design altamente innovativo. Nel settore
del tempo libero, in un’azienda produttrice di sci ed altri accessori
sportivi dell’alta Val Sarentino; come pure in quel noto gruppo
immobiliare specializzato in “residenze” per le vacanze di prestigio,
dell’alta Val Veny, in provincia di Aosta.
E anche in altre aziende, a volte investendo solo “un chip” , come si
bisbigliava tra gli addetti ai lavori, per comunicare al mondo
finanziario la presenza della società in quel settore.
Dopo la variazione della ragione sociale e lo spostamento della sede
a Milano, la società cambiò la strategia di investimento e di
approccio al mercato. Iniziarono la gestione e la
commercializzazione dei Fondi di investimento di diritto estero,
tramite contratti atipici, perché allora non erano ancora regolamentati
dal codice civile italiano.
Furono quelli gli anni in cui la società presentò al mercato il
contratto di associazione in partecipazione : la società intendeva in
tal modo “far partecipare privati investitori in qualità di associato a
grandi operazioni finanziarie, stipulate con società industriali o
commerciali, di solito non quotate, per finanziare i nuovi
investimenti già programmati o da completare: era questo l’affare
dell’associazione”.
Al riguardo vennero istituiti particolari titoli cartacei , i c.d.
certificati di associazione, emessi dall’associante, intestati
all’associato, ciascuno per l’importo che l’associato aveva
sottoscritto e versato ; ogni titolo rappresentava una quota
dell’importo globale dell’affare.
7
Fu un successo : molte le operazioni stipulate con diverse società
industriali e commerciali, come pure molti i contratti di associazione
e le quote vendute. Gli investitori erano attratti dal buon rendimento
pubblicizzato e pure garantito dal valore immobiliare sottostante.
L’associato veniva remunerato al termine dell’esercizio, la cui cedola
era pari alla quota di profitto netto generato dall’associazione e di
sua spettanza. Ricordi qualche operazione ? Sì, certamente.
Ad esempio, l’immenso Centro commerciale del comparto
alimentare costruito e rapidamente aperto al pubblico in
un’importante snodo autostradale in provincia di Bergamo , oppure
quella società operante in servizi di trasporto, distribuzione e
deposito appartenente a un noto Gruppo della distribuzione
organizzata. Pure un’importante residenza immobiliare dell’alto
Milanese, comprendente residenze civili e commerciali, magazzini e
centri servizi, ancor’oggi funzionanti e molto conosciuti . Ma anche
altri, di cui però non rammento il nome.
Ah, mi torna in mente ora il bel grattacielo di Piazzale Loreto,
proprio all’angolo con Viale Monza, con la facciata di fronte e in
bella vista , guardando la piazza con le spalle rivolte al Corso Buenos
Ayres.
Bellissimo e molto scenografico !!.
Chissà quanti di queicertificati riportano tutt’oggi la firma di Gino, il
mio amico e collega, e la mia. Al solo ripensarci, mi duole di nuovo
il polso destro! Se ognuna, avesse fruttato un solo “chip”, oggi
avremmo una vera fortuna !!
Mi ricordo benissimo il giorno in cui effettuai la consegna dei
certificati alla BNL di Torino, nella centralissima sede di Via Alfieri,
il cuore pulsante della città della “Mole”.
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Come pure il momento in cui varcai il portone principale della banca
preceduto dal cupo rumore del furgone diesel che guidavo – avrei
dovuto infatti consegnare quei certificati di persona, per ovvi motivi
- stando attento a nonstrisciare quelle storiche volte. Il tutto sotto gli
sguardi vigili , ma sorpresi, delle guardie di sorveglianza.
Che scena indimenticabile rivedere i commessi andare e venire più
volte dal furgone, con in mano il prezioso carico , su e giù fino al
caveau che attendeva i certificati !! Un figurone per me e per Gino,
allora giovani “yuppy” della finanza, in cerca di affermazione e di
fortuna!!
La nostra casa in quel periodo, peraltro abbastanza breve, si trovava
nella bassa lodigiana, al “Vecchio Mulino”, dietro al Castello di
S.Angelo Lodigiano , al termine della strada alberata sugli argini del
Lambro, che limaccioso entra qui prepotente in paese. E’ il punto in
cui il dislivello del letto del fiume crea alti zampilli, vari mulinelli e
spruzzi d’acqua accompagnati da cupi brontolii tutt’attorno. La
strada é contornata da alte betulle bianche, che nelle giornate di
nebbia fitta contribuiscono a rendere più irreale e soffusa l’atmosfera
circostante, mentre ci si avvicina alcondominio.
Come pure in inverno inoltrato, quando la galaverna fa irruzione e si
impadronisce delle foglie e dei rami delle povere betulle: all’appello
mancanosolo Dante e Virgilio , nel girone infernale !!
L’appartamento con soffitto mansardato era al secondo piano, con
ingresso direttamente su un ampio salone, tutto piastrellato in cotto e
suddiviso in due zone : a sinistra l’ area lettura con la fatidica
lampada a stelo , divano e due poltrone ; a destra la zona pranzo, con
tanto di tavolone in legno e madia a vetri colorati, in stile “Fra’
Cristoforo”, di manzoniana memoria.
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Dal salone si accedeva alla camera da letto , anch’essa mansardata e
matrimoniale, come pure alla cucina, ben attrezzata e autonoma,
arredata anch’essa in stile “Fraticello“. Completava il tutto, il
terrazzo in mattoni rossi, l’estrema propaggine che interrompeva la
ripida discesa dei coppi in cotto lombardo del grande tetto
condominiale.
La vista spaziava dall’imponente castello Attendolo Bolognini ,
proprio di fronte, ancor’oggi museo di attrezzi agricoli del tempo
passato, più sotto il viale delle ginestre tutt’attorno alcastello e più a
destra si spingeva fino al massiccio del Monterosa, che possente e
minaccioso si ergeva sulla onnipresente pianura , ammirato nelle rare
giornate più terse e più limpide
L’ombrellone a fiori del periodo estivo piazzato in mezzo al terrazzo
illudeva di trovarsi al mare : mancavano le zoccole, gli occhialoni da
sole e la bibita con tanto di cannuccia , oltre all’immancabile sedia a
sdraio . Quando si dice l’immaginazione!! Molti gli episodi che
vorrei ancora raccontare prima di concludere il racconto.
Come il viaggio della vigilia di Natale dello stesso anno, quando la
società mi inviò con urgenza in un tour di 24 Ore, con tappa iniziale
nel Principato del Lussemburgo, la mattina dopo puntata a Parigi, e
in serata ritorno urgente in Lussemburgo.
Una vera avventura, proprio un “giro del mondo in 80 giorni”, in
miniatura. Così feci : alcuni inconvenienti da addebitare al periodo ,
mi costrinsero a utilizzare il TEE, anziché l’aereo nel tragitto
Milano-Luxembourg, con pernottamento in vagone letto, dormendo
poco, come previsto. Quindi, all’arrivo taxi fino alla BIL per le firme
sui documenti interessati e partenza immediata per Parigi. Questa
volta il viaggio andò tutto secondo programma : altra corsa in taxi
alla banca S.G., altre firme, quindi rapido ritorno in Lussemburgo.
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La sorpresa questa volta fu il tipo di aereo: quasi un monoplano
d’anteguerra, a ruota fissa, che notai solo dopo come volasse sempre
a mezz’altezza, e come il rumore assordante dei due motori a elica
entrasse con violenza fin dentro la cabina. Viaggio terrificante :
finalmente l’arrivo !!
Altra corsa in banca, ove consegnai il tutto. Un sospiro! Ma le
sorprese non erano finite : il volo di ritorno a Milano si fece con un
piccolo turbo elica a dieci posti, con stivaggio delle valigie nella
coda, a carico di ogni viaggiatore. Il comandante promise che nel
prossimo volo l’aereo sarebbe stato più grosso: ma sicuramente non
avrei voluto verificare, in ognicaso.
Tutto filò liscio fino alle Alpi, quando senza preavviso vennero
accese le luci di atterraggio , fatto insolito, forse per controllare il
superamento di quelle vette innevate. In quel preciso momento mi
accorsi che il secondo pilota stava convulsamente sfogliando il
manuale di volo. Infatti ero seduto subito dietro la cabina di
pilotaggio : ce l’avremmo fatta ?
Ma cosa stesse in effetti controllando non riuscii mai a scoprirlo.
Avvicinandosi Linate, purtroppo apparve sul monitor il messaggio
che annunciava nebbia all’arrivo: a bordo il silenzio regnava
assoluto. Nessuno respirava. Chiusi gli occhi raccomandando
l’anima a chi fosse in ascolto Lassù : non so come, ma dopo qualche
tempo l’aereo così minuscolo riuscì per caso ad atterrare. Ringraziai
il mio protettore e pure il comandante che comunque ci aveva
riportati a casa.
Che viaggio, …altro che bambola !! Ecco cosa avrebbe dovuto
cantare Fred Buscaglione, il re della mala canterina di un decennio
prima !!
Vorrei raccontare anche l’altro episodio , pure in una serata di fitta
nebbia, quello stesso Autunno .
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Il tragitto in auto era da Milano a casa, lungo la SSP Landriano-
Villanterio, verso Sant’Angelo. Dopo alcune curve, guidando pian
piano , a volte anche con la testa fuori per vedere meglio gli incroci,
notai un fascio di luci fisse puntate in alto, provenire dai fossi a lato
della strada. Che poteva essere ? Mi spostai a destra il più possibile
e mi fermai : vidi allora la fiancata di un’automobile spuntare dal
fosso e qualcuno dentroche chiedeva aiuto. Mi sporsi il più possibile
verso di lui e cercai con tutta la mia forza di aprire la portiera: dopo
vari tentativi, alla fine ci riuscii. L’uomo si abbarbicò al mio braccio
proteso in basso e poi sulle mie spalle, finché dopo altri sforzi riuscì
a risalire fin sul ciglio della strada.
Parlava a malapena, non so se per troppo vino…oppure per lo
spavento. Dopo un po’, si riprese dallo choc avuto e dopo avermi
rassicurato , ripresiil viaggio verso casa. Michiedo : sarà poiriuscito
a recuperare la vettura ? Sarà ritornato acasa sano e salvo ??
Ora sorge spontanea e inevitabile la domanda : qual era la vettura
utilizzata in quel periodo? Pensaci… Sì, mi ricordo : era la
celeberrima Fiat 131 Supermirafiori, costruita in circa 1 milione e
mezzo di esemplari : uno dei tanti successi Fiat di quei tempi, di cui
tutta l’Italia si vantava .
Debuttò al salone di Ginevra del 1978 e si distingueva, oltre che per
le ricorrenti modifiche alla carrozzeria, anche per le migliori
rifiniture interne , ma soprattutto per l’adozione del famigerato
motore bialbero della fortunata famiglia creata dall’Ing. Lampredi, il
progettista proveniente dal mondo delle corse, alcuni anni prima.
Con questa vettura Fiat aveva aperto le ostilità con l’Alfa Romeo ,
concui poteva a buon diritto misurarsi in termini di prestazioni.
Ecco le sue caratteristiche : 4 cilindri in linea, 4 valvole a V in testa,
doppio albero a camme in testa con cinghia, cilindrata cmc. 1585,
con 96 cavalli a 6000 g/’ cambio a 5 marce, con comando a cloche;
trazione posteriore.
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Le sospensioni anteriori a ruote indipendenti con bracci e barra
trasversale, mentre le posteriori erano a ponte rigido, puntoni e barra
trasversali; molloni e ammortizzatori davanti e dietro; Freni a disco
anteriori, e servofreno. La velocità sfiorava i Km/h 170.
Era la vettura di classe media di concezione classica che andava per
la maggiore: stile piacevole e moderno con un pizzico di sportività
che il nuovo bialbero le aveva conferito. I commenti delle testate
specializzate rilevavano le buone prestazioni e l’ottima tenuta di
strada , in generale un ottimo comfort nei lunghi viaggi.
(Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, Ed.Domus)
Non male, anche per un fanatico Alfista, come il sottoscritto !
D’altro canto, la validità del progetto Fiat 131 , considerando la
versione elaborata da Carlo Abarth , è largamente confermata dai
vari titoli vinti nei mondiali rally di quegli anni , con alla guida i
migliori piloti del momento, come pure in molte altre corse nazionali
ed internazionali. Niente da dire, complimenti meritati !
Brava Fiat, tutti pazzi per te……altro che !!
Fiat 131 Supermirafiori 1,6
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II. Controller nell’automotive.
Sfogliando l’album dei ricordi - ma quanti sono! – mi sorprendo a
ripensare al periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, quando svolsi le
funzioni di Controller e in seguito di responsabile amministrativo.
La funzione del controller, all’epoca intesa nell’accezione americana,
implicava attività a supporto sia delle linee operative che degli staff
delle direzioni centrali.
Dopo i molti anni spesi nell’auditing , era giunto il momento di
saltare dall’altra parte della scrivania, così pensai, e di passare dalle
funzioni tipiche del consulente a quelle del responsabile di linea. E
provare perciò il brivido della responsabilità diretta.
Ma la scelta del settore “automotive” non fu una mia decisione , ma
dovuta tutta al caso. Comunque mi permise non solo di conseguire
risultati più che apprezzabili in quel settore di business , ma anche
approfondire non poco le mie conoscenze in ambito motoristico.
Incominciai l’avventura in un’azienda della valle dell’Orco, alle
porte del Gran Paradiso, in provincia di Torino, centro di eccellenza
nella fabbricazione di cuscinetti e bronzine bimetalliche, in rame e
alluminio, in forza di know-how e brevetti proprietari. Tutti
componenti ancor oggi utilizzati alla grande in molti motori a ciclo
Otto e ciclo Diesel.
La società , recentemente acquisita da un Gruppo multinazionale del
settore, aveva in Fiat il principale mercato di sbocco, seguita a ruota
da altri produttori di autoveicoli europei, come pure da clienti
indiani, russi sudamericani.
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I miei compiti concernevano il controllo dell’andamento economico
e finanziario non solo della unità produttiva, ma anche della
consorella commerciale, quest’ultima con sede in centro a Torino,
vicino a Porta Susa. In linea gerarchica rispondevo al General
manager della società e funzionalmente al Group controller, situato
nel quartiere di “Les Halles” a Parigi. Altri incarichi riguardavano
l’elaborazione dei dati finanziari di un’altra azienda di Leynì, in
provincia di Torino, produttrice di “oil seals”, i famosi anelli di
tenuta a olio, icosiddetti“o’ring” utilizzati ampiamente dal comparto
motoristico. Una piccola realtà produttiva acquisita da poco , ma che
in seguito verrà poi dismessa.
Per gli spostamenti di lavoro a Torino, Leynì, Cuorgnè e zone
limitrofe, utilizzavo la Fiat 125S bianca aziendale, la berlina di alta
gamma degli inizi degli anni ‘70, che impiegava il 4 cilindri bialbero
disegnato da Lampredi, già noto agli sportivi della formula 1.
Cilindrata cc.1.608 e potenza 100 CV, motore derivato da quello
della Fiat 124 spyder .
(Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus)
Le sospensioni davanti erano a ruote indipendenti con quadrilateri
deformabili e barre antirollio. Le posteriori ad assale rigido, balestre
longitudinali semiellittiche e biellette longitudinali ; ammortizzatori
idraulici davanti e dietro. Cambio a 4 marce con comando a cloche
sul tunnelcentrale e 4 freni a disco. Velocità : circa 170 Kmh.
La vettura si distingueva per la buona velocità , la ripresa e la tenuta
di strada, ottime la manovrabilità del cambio, l’abitabilità e il
comfort.
Una buona vettura per la famiglia , tuttosommato.
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Ecco la Fiat 125 bianca
A quel tempo abitavamo a Cuorgnè all’ultimo piano di un solido e
ben rifinito palazzo a tre piani nella zona collinare della città, da
poco terminato, anzi solo il nostro appartamento fu completato in
tempo per noi. Dal terrazzo più grande si godeva un panorama
incomparabile: a sinistra la pianura, davanti Alpette, il caratteristico
borgo alpino a quota mille metri, a destra la “Quinzeina”, che con
orgoglio fa bella mostra dei suoi duemila e oltre metri di altezza. E
che dire di Frassinetto, il tipico paesino dell’antico Piemonte,
circondato da baite in pietra, orti vicinali e fontanili rupestri,?
La seconda esperienza fu invece una società multinazionale anglo-
sassone, con uffici dislocati nell’alto e nel basso Canavese, altamente
specializzata nella fabbricazione e distribuzione di valvole dei tipi
più svariati, accessori compresi, anch’essa dell’“automotive”. Non
solo produzioni OE, destinate al primo equipaggiamento, ma anche
per l’after market, il mercato del ricambio più redditizio.
Quella volta però in veste di “internal controller”, con il compito di
verificare l’affidabilità delle procedure messe in opera dalle funzioni
amministrative , acquisti inclusi, e il grado di “compliance” alle
regole stabilite dalla policy di Gruppo. Gli stabilimenti italiani, oltre
Rivarolo Canavese, erano presenti in diverse altre città: Torino,
Casale, Belluno, Pomezia e Monfalcone.
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Al termine di ogni missione dovevo volare a Wolverhampton , in
UK, da Bob, il mio capo, per redigere il rapporto finale sui risultati
della verifica.
A volte però toccava a Bob raggiungermi in Italia, alla location dove
al momento mi trovavo. Con mia grande gioia naturalmente !
Per far fronte ai molti viaggi in agenda, la società mi affidò una bella
Fiat 124 Special , colore blu scuro, con interni in panno di lana beige,
tutta nuova e anche da rodare. Una vera bellezza !!
Il motore derivato dalla Sport Coupé era il 4 cilindri bialbero da 80
CV , di 1438 cm3 di cilindrata, valvole in testa a V e camera di
scoppio emisferica. Velocità : kmh. 165. Le sospensione anteriori a
ruote indipendenti e posteriori a ponte rigido e barra Panhard; molle
elicoidali, ammortizzatori e barre stabilizzatrici davanti e dietro.
Cambio a 4 marce con leva al pavimento e 4 freni a disco Bendix. Il
tutto dava un tocco di raffinatezza alla 124, la più sofisticata e
genuina versione, quella che avrebbe segnato l'apice dello sviluppo
tecnico ed estetico di questo modello.
Quell’anno, al ritorno dalle ferie estive, Bob mi informò con grande
rammarico che la mia bella Fiat 124 S blu, era stata rubata e poi
incendiata, quando temporaneamente affidata a un ospite inglese.
“Quel dommage” direbbero i francesi. Che peccato!
Tuttavia, ne venne ordinata subito un’altra , anch’essa una 124 S, ma
di colore diverso, nocciola chiaro, con cui riuscii comunque a
raggiungere Roma e quindi Pomezia. La missione già prenotata era
presso la locale unità produttiva, appartenente alla divisione Yale,
qui producevano invece i famosi lucchetti, serrature e altri
marchingegni di sicurezza.
(Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus)
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Nulla fu perciò perduto, malgrado la disavventura !
La Fiat 124 S
Le altre missioni contemplavano puntate a Torino, alla società di
progettazione di impianti e macchinari, la stessa che partecipò con
Fiat alla costruzione del sito produttivo di Togliattigrad, in Russia
negli anni ’60. Quindi, Monfalcone, al nuovo stabilimento fresco di
inaugurazione dalle linee completamente automatizzate. Infine
Belluno e Casale, i cui prodotti – sempre valvole ma di differente
tecnologia - erano destinati ad un altro settore, quello degli
elettrodomestici, lavatrici e frigoriferi, soprattutto.
La terza esperienza invece fu un gruppo siderurgico della galassia
Finsider, da poco subentrato alle ex-Ferriere Fiat, dove tempo
addietro avevo già lavorato – ricordi la Teksid, l’acciaieria di Torino
- seppurecon un’altra casacca e ruoli differenti . Sarei mai riuscito a
descrivere come avrei voluto, tutti i pensieri e le emozioni provate
mentre Torino e Corso Mortara si avvicinavano ? Stessi luoghi
stesse persone, stessa osteria, così cantava quegli anni Enzo Jannacci.
Ma poi l’amara sorpresa nel costatare che l’improvvisa crisi
scatenatasi nella siderurgia a livello mondiale aveva costretto il
Vertice del gruppo ad adottare scelte strategiche dolorose , con
inevitabili ripercussioni negative sui livelli occupazionali e sui
programmi di investimento, rispetto al recente passato.
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Che tristezza !
Specie per me che tempo prima avevo assistito in prima fila ai
proclami di conquista di nuovi mercati, con tanto di acclamazione e
sottofondo musicale di “My way” e di Frank Sinatra !
Le ex-Ferriere erano famose per la vastità e l’estensione dei propri
impianti : comunemente soprannominate “Chilometring”. Una città
dentro la città, con tanto di strade, segnalazioni, passaggi a livello,
semafori e cartelli stradali. E anche un raccordo ferroviario interno
che collegava direttamente l’acciaieria alla stazione di Porta Dora,
ove i treni trasportavano i nastri d’acciaio, i famosi “coils”, appena
sfornati dai lunghissimi treni di laminazione. Poi rapidamente alle
presse del reparto carrozzeria di Mirafiori, dove sarebbero stati
trasformati in telai, portiere, cofani e bauli di tante autovetture.
In quegli anni abitavamo in quei di Lodi, nella bassa Padana, in Via
Gabiano, situata su un’altura : era forse colle Eghezzone ?
Com’é possibile un colle, qui a Lodi ! E’ tutto basso e piatto da
queste parti. Addirittura alcuni rioni si trovano al disotto dell’Adda,
figurarsi ! Ma tant’è. E l’appartamento ?
Bello, ampio e ben disposto, tutto baciato dal sole, dall’alba al
tramonto. Eravamo al quinto e ultimo piano diun palazzo deglianni
’80 con grandi terrazze e fioriere a vista, in sequenza una sopra
l’altra. Il colore ? Un bel arancione vivo. Il vasto giardino e le aree
attrezzate per le biciclette, usatissime nel lodigiano, completavano il
quadro. Due piani più sotto vi erano garage e cantine, oltre a
magazzini e depositi vari. In effetti si era al settimo piano, anzi, ….al
settimo cielo!! Dalla grande porta-finestra della sala da pranzo, tutta
pavimentata in marmo chiaro, nelle giornate più limpide –
comunque, non più di due o tre all’anno - si notavano in lontananza,
lontano…lontano, spuntare in fondo la cima del Monviso, triangolare
illuminata dal sole calante e più a destra il massiccio del Monterosa,
imponente e maestoso.
19
Uno spettacolo magnifico! A volte, riuscivamo a scorgere
all’estrema destra anche parte della “Grigna” e più oltre un pezzo del
monte “Resegone”, sporgendosi dal terrazzo e con un po’ di fantasia,
Ma quali auto utilizzavo nei viaggi abituali Lodi-Torino, andata e
ritorno? Eccole.
Dapprima una rombante Argenta Diesel aziendale a trazione
posteriore, la prima turbo KKK a gasolio targata Fiat, colore verde
metallizzato, dotata di un 4 cilindri di 2445 cm³, 90 CV, cambio a 5
marce a cloche . Velocità : 160 Km/h. La vettura derivata dalla Fiat
132, presentava alcune modifiche di carrozzeria e agli interni, mentre
le sospensioni anteriori e posteriori erano rimaste praticamente
invariate. Quelle anteriori a ruote indipendenti, bracci e barra
trasversali; quelle posteriori ad assale rigido, due puntoni
longitudinali e bracci obliqui ; ammortizzatori telescopici e molloni
elicoidali, davanti e dietro. Ecco la nuova vettura di classe di casa
Fiat. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus)
La Fiat Argenta 2500 turbo
In seguito, mi venne affidata una più elegante e silenziosa Lancia
Beta berlina, la prima nata sotto la gestione del Lingotto, disegnata
dalla matita di Gianpaolo Boano, a trazione anteriore e motore a 4
cilindri bialbero ex-Lampredi, di 1.756 dicilindrata , con 110 cavalli.
Le sospensioni indipendenti a schema McPherson , a due bracci
oscillanti e triangolo dietro; il cambio a 5 marce con comando a
clochecompletavano il tutto.
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La Beta rivelò ben presto le sue migliori caratteristiche : motore
robusto e silenzioso, buona ripresa e accelerazione , ampia visuale
anteriore . Il grande cruscotto davanti al volante , quasi un “cockpit”
in termini aeronautici , era zeppo di manometri e orologi , che in
seguito ispirò il soprannome di “gruviera” affibbiato alla Beta.
La spaziosità dell’abitacolo (grazie al passo di 254 cm) e il comfort
generale garantivano gli ottimi rendimenti della tenuta di strada in
curva e in rettilineo. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus)
la Beta berlina 1,8.
La quarta esperienza fu invece la consociata italiana di un gruppo
multinazionale statunitense, dell’Alta Valtrompia, in provincia di
Brescia, specializzata in sterzi manuali ed elettrici –c.d. automatici -
per i mezzi di trasporto. Le altre unità produttive, oltre alla sede di
Gardone VT, risiedevano a Brescia, Bologna e Torino, quest’ultima
specializzata in cinture e airbag per auto,“lo stato dell’arte” del
comparto della sicurezza attiva e lo è tutt’ora. In seguito si aggiunse
anche l’unità produttiva di Livorno, contraddistinta dal know-how
elevato di sistemi di alimentazione meccanica ed elettronica, sempre
in ambito ”automotive”. Ma le fatiche del tragitto Lodi-Valtrompia
andata e ritorno, tre volte alla settimana mi convinsero avvicinandosi
l’ inverno, a prendere in affitto un appartamento in zona, a Villa
Carcina, in un nuovo quartiere residenziale. Il grande video-citofono
in bella mostra al cancello d’ingresso era una primizia assoluta:
avrebbe annunciato il mio rientro acasa in pompa magna.
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Mi divertivo un mondo nell’udire l’immediato trillo di Annalisa , la
nostra piccolina, quando, dopo avere suonato la mia figura appariva a
video. E la gioia poi sulla porta di casa nel poterla abbracciare forte,
mentre agitava braccine e piedini a più non posso. Che tenerezza
per noi genitori !! A volte, nel tragitto in auto casa-ufficio, le sue
gambotte spuntavano senza preavviso dal sedile posteriore e
roteavano nell’aria più volte , con divertimento non solo di Annalisa,
ma anche nostro.
Per le missioni di lavoro, la società mi affidò una nuovissima Fiat
Regata Diesel, in versione S, color verde marcio, ancora da rodare.
Da poco messa in commercio , l’erede della Fiat 131, aveva il
pianale derivato dalla Ritmo, assieme a buona parte della meccanica.
Il motore era anteriore e trasversale come pure la trazione , la linea
nuova, filante e piacevole, l’abitacolo spazioso. La Regata Diesel S ,
con un motore diesel a 4 cilindri da 1929 cm³ che erogava 65 CV e
una velocità di circa kmh. 165. Il cambio manuale a 5 marce con leva
al pavimento, sospensioni indipendenti a schema McPherson, barre
antirollio e ammortizzatori davanti e dietro.
La vettura affidatami montava di serie gli alzacristalli elettrici, la
chiusura centralizzata e una strumentazione più completa.
Caratteristico il gruppo comandi della climatizzazione a controllo
elettronico, in cui i tradizionali cursori a leva erano sostituiti da
pulsanti basculanti e file di led ad indicare portata e temperatura
dell'aria. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus)
Il posto guida della Regata
22
Le prime impressioni di guida avevano rimarcato sin da subito il
giusto equilibrio e l’ottima manovrabilità dell’insieme cambio,
pedaliera e volante, il che permetteva lunghi e confortevoli viaggi
autostradali. In conclusione, una buona vettura con un’ottima tenuta
di strada e una buona velocità di crociera, oltre a bassi costi di
esercizio.
Nel chiudere questo capitolo accenno brevemente all’esperienza
MITO “Mobiliare Immobiliare Torino” , appartenente all’IFIL di
casa Agnelli, con sede a Milano, in Via Turati n. 49.
Qui svolsi il ruolo di responsabile amministrativo - quindi diverso
dal “Controller” dell’azienda industriale - con supervisione sulla
controllata Prime, gestore e distributore dei Fondi di investimento di
Gruppo, al tempo molto richiesti. Ironia della sorte: anche qui la
vettura era una Fiat Regata Diesel S, già sperimentata e anche
apprezzata. Fu proprio quella l’ultima mia esperienza da funzionario
a libro paga.
In seguito creai la mia società ed iniziai l’altra grande avventura :
l’attività di consulenza in materia finanziaria , amministrativa e del
controllo di gestione, destinata alle aziende industriali e commerciali.
Ma anche finanziarie, se fosse capitato … ”Mai dire mai”….”Never
say never again”, ci insegnò James Bond, nell’omonimo film di
spionaggio.
Ma questa è tutta un’altra storia : quando ebbe inizio ?? Si era ormai
alla fine del 1988.
Vista anteriore della Fiat Regata
23
III. Il richiamo delle radici.
Lodi, 23 Luglio 2010 , data storica che rimarrà indelebile nei nostri
cuori per sempre. Quel giorno il richiamo delle radici che per tanto
tempo aveva tenuto sotto scacco Marisa e tutti noi , ebbe il
sopravvento e il suo momento di gloria . La decisione di lasciare
Lodi e la residenza degli ultimi trent’anni fu meditata a lungo e
analizzata più volte e da tutti i lati . Ma infine il trasferimento in Val
Tidone, ai luoghi natii di Marisa e dei suoi felici primi vent’anni, si
realizzò .
D’altro canto, il sogno di poter fruire della bellezza e dei profumi del
giardino ben disposto e attrezzato secondo i nostri “desiderata”,
convinse anche me al fatidico passo.
L’appartamento al piano terra di una palazzina a due piani nella
prima cintura Nord del paese, é composto da un ampio soggiorno e
annesso studio, con accesso al giardino, doppie camere da letto e
doppi servizi, oltre a un lunghissimo terrazzo nella zona retrostante
sopra i box. Anche l’ingresso é doppio, niente male per davvero.
E che dire del tanto decantato giardino che circonda la casa ? A
sinistra l’ulivo centenario – ma forse gli anni sono qualcuno meno –
e a destra la grande quercia da sughero fanno compagnia al passante
diretto al Nido comunale, proprio di fronte. Ma pure gli alti tigli, i
salici piangenti, i pini e gli abeti del parco antistante allietano con il
loro fruscio i canti e il chiacchiericcio dei bimbi ospiti che qui
trascorrono sereni e custoditi le mattinate e i pomeriggi, dell’estate e
dell’inverno.
Invece, ritornando a noi, sul lato destro sono in bella vista un
selvaggio pino svedese, una “tuja” nostrana, divenuta altissima , più
oltre due floridi corbezzoli e tre cipressi prorompenti che “alti e
schietti in duplice filar” …….adornano la scala esterna che conduce
alle cantine. E poi più in là, verso il fondo, alquanto nascosto da
glicini attorcigliati il piccolo orto di Marisa. Qui lei può deliziarsi
24
nell’arte del giardinaggio e coltivare insalate, fiori, aromi vari, quali
salvia, timo, menta , origano e rosmarino.
Dimentico qualcosa ? Ah, sì!.......
La ridondante siepe di fotinia, che con le sue 96 piantine orna tutti i
quattro lati del giardino, con il compito di nascondere ogni cosa ad
occhi indiscreti. Insomma, proprio tutto quanto serve al villico di
campagna, per essere felice e a proprio agio in ogni momento.
Però la storia non finisce qui .
Tre anni dopo, il richiamo delle radici si rifece vivo ancora
prepotente e inatteso , ma stavolta toccava me, era il mio turno.
Obiettivo : Varazze, la mia città natale da cui emigrai quarant’anni
prima. La ghiotta occasione , da non perdere, riguardava un’unità
immobiliare in vendita alla Marina di Varazze , il Porto turistico a
cinque stelle. Ma solo chi fosse riuscito a superare la fase
preliminare avrebbe avuto accesso alla finale, come ogni thriller di
Agata Christie che sirispetti.
Senza perderci d’animo, proseguimmo con tenacia nell’intento.
La conclusione avvenne il 9 Luglio 2013, quando, al termine di
quattro rilanci, arrivammo primi. Il destino ancora una volta ci
aveva premiato. Pareva che quegli interminabili anni di lontananza
non fossero trascorsi, tornavo così a casa, in quei luoghi segnati in
modo incancellabile dagli avvenimenti della mia infanzia e della mia
fanciullezza
L’appartamento in questione é al secondo piano di un edificio in stile
marinaresco, rifinito in legno antico e facente parte del complesso
residenziale del porto turistico.
Una vera “chicca” dotata di zona giorno e notte, soffitto in “tek” a
vista , terrazzo , anch’esso in legno, da dove lo sguardo spazia dai
moderni e veloci yachts alle classiche barche a vela, qui ormeggiate
in bell’ordine, senza soluzione di continuità.
Lo splendido panorama è completato dall’onnipresente macchia
mediterranea tutt’attorno , fin su verso Castagnabuona e Cantalupo,
le frazioni a Nord di Varazze, sempre verdeggianti in ogni stagione.
25
Più oltre, gli impianti del Monte Beigua , a 1.200 metri di altezza e la
chiesetta della Madonna della Guardia , più in basso, fanno da
cornice al paesaggio di mare e di monti, proprio un quadro d’autore.
Un solo aggettivo : tutto di incomparabile bellezza !
Una vista della Marina di Varazze ripresa dalla via Aurelia.
Appena possibile torniamo con gioia in questi luoghi, alle lunghe
passeggiate sulle banchine del porto fino ai pontili che ne delimitano
l’ingresso, alla statua di Santa Caterina, la patrona di Varazze, che
qui benedice i marinai e gli skipper delle barche in transito.
A volte ci spingiamo fino in Corso Europa, percorrendo la nuova
ciclabile riservata a ciclisti e pedoni con partenza dalla Villa Araba,
oltre il Nautilus, ai Piani d’Invrea, e procedendo verso Cogoleto,
lungo la vecchia strada ferrata Genova-Ventimiglia.
Qui ogni anfratto , ogni angolo di mare, ogni insenatura e ogni
scoglio dell’arenile presentano inediti scorci di panorama,
sconosciuti, finché la ferrovia non venne poi trasferita più a monte.
Infatti, tutto questa meraviglia, vera goduria degli occhi, era
esclusivo appannaggio dei passeggeri dei treni che percorrevano
questo tratto di costa, ma solo parzialmente e non nelle dimensioni
attuali.
26
La flora e la fauna che animano questo piccolo paradiso marino, in
ogni stagione, sono quanto di meglio si possa desiderare nella
Riviera dei Fiori e del mar Ligure.
Ancora tanti complimenti a tutti quanti presero parte alla
realizzazione del progetto, da preservare il più possibile.
Un “Bravo” di cuore ai Comuni di Varazze e di Cogoleto !! ……..
IV. Alfa Brera : il colpo di sonno.
A Settembre del 2009, l’Alfa presentò la Brera versione 1750 TBI,
turbo, cilindrata storica tanto amata dalla Casa. Pensai allora di
sostituire la vecchia 2,2 JTS , sia per il vantaggio dei minori consumi
sia per il minore inquinamento. I cavalli aumentarono a 200 HP.
Colore ordinato : bianco ghiaccio, tetto in vetro anticromatico nero,
interno nero opaco, ovviamente. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote,
Ed.Domus)
E quali i viaggi con la Brera 1750 TBI ?
La missione a Venezia, per più di sei mesi. Il cliente ? Una società di
parcheggi metropolitani, dislocata sull’isola del Tronchetto. Il
collegamento con Piazzale Roma é assicurato dal “People Mover”,
l’efficiente monorotaia senza pilota, che a circa trenta metri di
altezza porta i turisti alla Stazione Marittima, per gli imbarchi sulle
navi da crociera, oppure al Tronchetto per il ritiro della vettura.
Geniale e pure comodissimo! Anche Marisa mi raggiunse spesso qui
e visitò tutto quanto c’era da vedere, a volte insieme. L’ufficio
affacciato sul Canale di attracco, mi permetteva di ammirare da
vicino quei colossi del mare mentre in laguna procedevano
lentamente.
27
Quell’autunno in particolare avvenne il passaggio della Queen Mary
II , il transatlantico della Cunard inglese, altissimo e maestoso,
mentre sul canale della Giudecca anacronisticamente transitava
vicino ai monumenti storici e le onde agitarsi vieppiù, ma invano.
Riesci perfino a individuare le persone che ti salutano dai vari ponti
della nave. Senza parole, a bocca aperta! Mi ricordava un altro
gigante del mare, il “Titanic” della concorrente White Star Line, che
immaginavo anch’esso lasciare il porto di Southampton in Inghilterra
e affrontare l’Atlantico, moltissimi anni prima, nel suo sfortunato
viaggio inaugurale.
La missione proseguì poi a Peschiera del Garda, sul lago omonimo,
nota località turistica del Benaco , prediletta dal turismo germanico.
Nell’800 fu parte integrante del famoso sistema difensivo
dell’impero Austriaco in Veneto “Il quadrilatero”, i cui vertici erano
composti anche da Mantova, Verona e Legnago. Si notano tuttora le
vestigia di quell’epoca, come le alte mura fortificate, il porto lacustre
sempre trafficato, le acque del fiume Mincio che circondano
interamente la fortezza. Dall’alto delle torri di guardia si ammira
l’altra sponda del lago, Salò, la località tristemente nota alla fine
degli anni ’40, il dannunziano Vittoriale, il rifugio del “Vate” a
Gardone, le tante cale e calette della riviera del Garda. Di sera il
panorama del lago è splendido, dal tremolio delle tenue luci della
costa. E’ stato un periodo bellissimo, che rifarei subito, attività
inclusa.
L’ultima missione fu per un gruppo multinazionale produttore di gru,
fisse e mobili, situato in una nota località del monregalese. Trascorsi
felicemente il soggiorno in un vetusto Albergo di Vicoforte, l’antica
proprietà privata dei Savoia. Bellissima la Basilica dell’omonimo
Santuario, dedicato al Duca Filiberto I , il capostipite della dinastia
sabauda, dalla cupola ellissoidale più grande d’Europa.
28
Il panorama infinito di lassù spazia dalle Alpi Marittime e del Col di
Nava , per spingersi fin oltre il massiccio del Monviso e delle grandi
Alpi piemontesi e aostane. Ogni tanto mi fu chiesto di raggiungere
Lyon, in Francia, per le riunioni alla casa madre europea.
Il tragitto ogni volta avvenne , se possibile, con il TGV , il Train à
Grand Vitesse, dei cugini transalpini , la nostra TAV. Ogni giovedì
pomeriggio parte da Porta Garibaldi a Milano e raggiunge Lyon, la
città delle luci , in quasi cinque ore. La tratta tocca Torino, Modane,
Grenoble, con arrivo a sera inoltrata a Saint Exupery : ricordi lo
scrittore-aviatore de “Il piccolo Principe” ?
L’avveneristica stazione, opera di Calatrava, il tanto criticato
autore dell’ ultimo ponte a Venezia che da Piazzale Roma porta alla
stazione di Santa Lucia.
Cara Brera, ti guido ogni giorno, felice e soddisfatto dei momenti belli che
riesci a regalarmi. Fin quando potrai tu, potrò anch’io ??
Marina di Varazze –
la Brera 1750 TB bianca.
Però non sapevo ancora che pure i sodalizi più collaudati e duraturi,
all’apparenza indissolubili, hanno anch’essi un termine. La vita è
piena di sorprese, a volte sgradevoli, e anch’io presto avrei dovuto
rendermeneconto , mio malgrado.
29
La sottile trappola del “colpo di sonno” subdolo, silenzioso,
infingardo, scattò a sorpresa e io vi caddi in pieno, inconsapevole.
Accadde un pomeriggio di fine Autunno del 2015 , in viaggio sulla
A7 dopo Tortona, diretto a Varazze. Il crollo accadde all’improvviso
, gli occhisi chiusero senza che me ne accorgessi e nulla potessi fare.
Poi, si spalancarono repentinamente al rumore assordante della
lamiera che si schiantava contro il parafango del TIR che mi
precedeva, mentre la Brera iniziava a roteare all’insù, proiettandosi
verso il cielo azzurro , per poi ricadere pesantemente a terra,
capovolta. Ma non era finita.
Sotto di me terrorizzato percepivo il gracchiante stridio del tetto che
strisciava sull’asfalto, un tempo infinito, che pareva non volersi
fermare più.
Così come era iniziata, la terribile capottata finì inaspettatamente e la
Brera ritornò sulle sue ruote, fermandosi provvidamente
nell’apposita area di parcheggio lungo l’autostrada, senza così
intralciare il traffico. Incredibile !
Mi allontanai subito, per timore che accadesse qualcos’altro e mi
fermai sedendomi sul guard-rail, perché mi girava tanto la testa e
tutto quanto attorno, mentre il cuore pareva scoppiare in petto.
Ora sì che era tutto finito, anche la mia amata Brera.
Ringraziai più volte il mio santo protettore per lo scampato pericolo.
Un vero miracolo, questa volta !
Cosa mi è rimasto dentro di quella terribile esperienza ?
Il forte e vivo sentimento di solidarietà e di partecipazione da parte
degli automobilisti che , procedendo dietro di me, videro l’accaduto
e si fermarono a prestarmi soccorso .
Per non spaventarmi ancor più, non mi chiesero ulteriori spiegazioni
sull’incidente - non sai cosa abbiamo visto !! sentivo però sussurrare
– e si prodigarono invece nell’aiutarmi.
30
Chi telefonava al pronto soccorso e chi alla polizia stradale, chi
voleva verificare le mie condizioni, chi piazzava il triangolo per
segnalare l’incidente, chi mi consolava e mi avvisava dell’imminente
arrivo del carro attrezzi e dell’ambulanza.
Mi sentivo tanto rassicurato e ricolmo di attenzioni.
Questo il risvolto positivo di quella malaugurata sventura.
Ne avrei senz’altro fatto tesoro e tratte le debite conseguenze, per il
futuro. …… non si finisce mai di imparare !!
V. In ricordo di Gianni Lancia
Il progetto “B10” (l’Aurelia) nasce durante la Seconda Guerra
Mondiale, quando per scampare alle bombe alcuni uffici di Lancia
sono spostati da Torino nella più sicura Padova.
Qui lavorano tecnici di valore, come Francesco De Virgilio e
Vittorio Jano, l’ingegnere che un decennio prima aveva realizzato la
famosa Alfa 8c 2900B berlinetta Touring, per la 24 ore di Le Mans,
la “Soffio di Satana” in edizione unica. Durante il conflitto Jano
contribuisce alla nascita di un’altra unità con identica configurazione
e altrettanto celebre, il primo 6 cilindri a V che equipaggia un
modello di grande serie, l’Aurelia. Un’unità compatta e leggera che
eroga 56 CV e che richiede poca manutenzione e fornisce elevata
affidabilità. A destare interesse per la nuova berlina sono altre
soluzioni tecniche adottate, come la trasmissione con frizione,
cambio e differenziale realizzati in un gruppo unico disposti al
retrotreno, le sospensioni a ruote indipendenti e la struttura portante
della scocca.
31
Con l’Aurelia, “Gianni” Lancia, figlio di Vincenzo e patron del
marchio dal 1947, immette sul mercato gli autotelai, siglati B50 e
B51, con i quali carrozzieri del calibro di Allemano, Boneschi, Ghia,
Vignale si dilettano a creare fuoriserie di indubbio fascino, come la
Giardinetta con struttura in legno di Viotti o la coupé 5 posti di
Balbo.
A uscire direttamente dagli stabilimenti di Borgo San Paolo a Torino
è la variante sportiva B20 coupé, dalla linea filante , ricca di fascino
e dalle indubbie doti di maneggevolezza e tenuta di strada. Qualità
che, insieme al motore da 2 litri da 75 CV che “spinge” il modello
fino ai 160 km/h (più tardi arriverà anche il 2.5 da 118 CV e 185
km/h di velocità di punta), la rendono da subito protagonista nella
gare di Turismo , dove intraprende entusiasmanti duelli con le rivali
Alfa Romeo 1900. Sfide dalle quali esce spesso vincente, ottenendo
prestigiosi successi di categoria in competizioni di rilievo, come
Mille Miglia, Targa Florio e la ventiquattrore di LeMans. (Ndr :
tratto dall’articolo di Stefano Panzeri - Omiauto , 2003) .
Aurelia B20 - 6 ore di Pescara
32
Per partecipare alla Carrera Messicana, le B20 vengono munite di
compressore Roots, raggiungendo i 150 cavalli a 6000 g/’minuto e la
velocità di 215 km orari. Nel 1952, la vettura di Umberto Maglioli e
Franco Bornigia si piazza ad un brillante 4º posto assoluto.
Il desiderio di Gianni Lancia, maturato nel 1953, era di realizzare
una vettura con cui prendere parte al campionato mondiale per
vetture sport, che sarebbe stato istituito a cominciare da quell’anno.
Una squadra di progettisti si mise all’opera, sotto la guido di Vittorio
Jano per costruire e sviluppare una vettura sportiva : Ettore Zaccone
Mina per il motore, Francesco Faleo per l’autotelaio, Luigi Bosco per
la trasmissione. La vettura denominata D20 come il numero di
progetto, da molti venne impropriamente chiamata Aurelia 2900.
Alcune caratteristiche tecniche della vettura si richiamavano infatti
all’Aurelia B20 gt, ma molti dettagli erano completamente diversi e
particolarmente appropriati all’uso agonistico. Il motore con testa e
basamento in alluminio aveva le canne smontabili riportate in umido,
ma della sola Aurelia manteneva la architettura a V di 60 ° con i sei
cilindri. Le valvole a V in testa , con doppia molla, erano in questo
caso comandate direttamente da quattro assi a camme in testa.
Questo motore ancora denominato con la sigla B10 aveva un alesaggio e corsa
80,5x 81,5 per una cilindrata di cmc. 2.489, mentre il definitivo denominato
D20 le misure erano 86x85, per una cilindrata di cm-cubici 2.962 e una
potenza di circa 220 CV al regime di 6.500 g/’.
Un’altra caratteristica del motore consisteva nell’applicazione di due
valvole per cilindro, per poter usufruire di un più elevato rapporto di
compressione, tre carburatori a doppio corpo con l’alimentazione
indipendente per ognicilindro.
Al campionato mondiale sport del 1953, Lancia partecipa con la D23
e l’anno seguente con la D24, quest’ultima è tra le più belle vetture
da corsa, la linea slanciata e armoniosa creata dalla matita di
Pininfarina.
33
Ecco i dati tecnici della D24 : il motore a 6 cilindri a V di 60° , a
quattro alberi a camme in testa (due per bancata) aveva cilindrata di
cmc. 3,3 litri , aumentata rispetto alla D23, albero motore su
cuscinetti Vanderwell a guscio sottile, due candele per cilindro e
doppio spinterogeno. L'alimentazione con tre carburatori Weber
doppio corpo, la potenza massima è di 245 cavalli a circa 6200 g/’ .
La vettura registra un aumento della lunghezza (6 cm) la
diminuzione dell'altezza (10 cm), e il sensibile abbassamento della
linea di cintura della vettura rispetto alla D23.
La D24 dopo la vittoria alla Carrera Panamericana nel novembre
1953 , modificherà la denominazione in D24 Carrera.
Nel 1954 otterrà parecchie affermazioni di prestigio : Mille Miglia,
Targa Florio, Giro diSicilia e il Gran Premio , oltre ad altre gare.
Lancia D24 con Taruffi a Torino, presentata a Gianni Lancia
34
La Lancia D50 fu invece la vettura monoposto di Formula 1,
progettata da Vittorio Jano e presentata alla fine della stagione
agonistica 1954.
Fece sensazione per le sue inedite soluzioni costruttive: motore a 8
cilindri a V di 90°, in posizione angolata rispetto all’asse
longitudinale della vettura, canne cilindri riportate, quattro
carburatori a doppio corpo, accensione con due candele per cilindro,
telaio a traliccio tubolare irrigidito anteriormente dal blocco motore
che aveva anche funzione portante, due serbatoi di carburante
sistemati esternamente alla carrozzeria. La carriera sportiva della
D50 nella squadra Lancia fu però particolarmente breve .
il motore a 8 cil a V.
All’ultimo G.P. del 1954, quello di Spagna, le due vetture
partecipanti con Alberto Ascarie e Gigi Villoresi, si ritirarono, anche
se Alberto Ascari ottenne il miglio tempo sul giro.
35
All’inizio della stagione 1955, la D50 vinse il G.P. di Torino,
classificandosi al primo, terzo e quarto posto, quindi al G.P. di Pau,
si classificarono al secondo, quarto e quinto posto.
Ancora al G.P. di Napoli si classificarono seconda e terza , guidate
da Ascari e da Villoresi.
Nel Maggio del 1955 al XV G.P. di Montecarlo, quattro vetture
presero parte alla gara, e si classificarono : 2° con Castelloti, 5° con
Villoresi e 6° con Luois Chiron, mentre Alberto Ascari dovette
ritirarsi, cadendo in mare.
Qualche settimana dopo, provando a Monza la Ferrari sport di
Eugenio Castellotti, Ascari usciva di pista perdendo la vita.
Gianni Lancia , il patron della casa, decideva allora di abbandonare
l’attività agonistica e donava alla Ferrari tutte le macchine e il
materiale. L’anno successivo la Lancia-Ferrari di formula 1
conquistava con Juan Manuel Fangio il titolo mondiale piloti, a
conclusione del Gran Premio d’Italia a Monza nel Settembre del
1956.
A. Ascari con la D50 in prova
Le notizie sulle Lancia sport D23, D24 e D50 sono tratte dal libro di
Lorenzo Morello : “ Lancia, Storie di innovazione tecnologica nelle
automobili” edito dal Centro storico Fiat.
36
VI. Un incontro inaspettato
Svoltando da Via Calzolai , a Piacenza, mi apparve all’improvviso:
bella, sinuosa, nel colore rosso rubino, acquattata all’ombra del
bronzo equestre di Alessandro Farnese, con le curve vistose ideate
dalla Touring di Milano, allora vincenti in fatto di aerodinamica. La
riconobbi subito : era l’ Alfa Romeo 8c 2900B berlinetta speciale del
1938, esemplare unico, di cui molte volte lessi le vicissitudini e che
finora mai ero riuscito a vedere dal vivo. Che bella sorpresa ,
incredibile !. Era circondata da un folto gruppo di studenti che ne
avrebbe dovuto abbozzare disegni e schizzi , secondo le emozioni
che l’evento e i luoghi magici avrebbero senz’altro suscitato.
Il collaudatore presente raccontò la storia di quell’Alfa : la vettura fu
allestita nella Primavera del 1938 dalla Touring di Milano, per
prendere parte alla ventiquattrore di Les Mans in calendario, dove
l’Alfa vinse dal 1931 al 1934 ininterrottamente, mentre nel 1935
giunse seconda. Carlo Felice Anderloni , capo della Touring di
Milano, volle nell’occasione predisporre una vettura a fiancate
integrali invece che a parafanghi separati e prominenti di rigore
allora , come pure l’abitacolo e il posteriore a torretta in ossequio alle
nuove teorie di Kamm e Jaray per migliorare l’efficienza
aerodinamica. Il motore era quanto di meglio l’Alfa Romeo
disponesse : otto cilindri in linea, bi-blocco in lega leggera, di 2900
cc di cilindrata, da 220 HP , con doppio asse a camme e valvole in
testa inclinate , doppio compressore Roots e doppi carburatori . Il
gruppo cambio, frizione e differenziale montato al retrotreno per una
più equilibrata distribuzione dei pesi.
La Touring allestì su questa base una gabbia reticolare in tubi e
profilati di piccolo diametro in acciaio speciale, assemblata poi dai
bravi battilastra della carrozzeria ,in lamiere di diversi tipi di lega
d’alluminio , con finestrini e lunotto in plexiglas. Il peso della
37
berlinetta era stimato intorno ai Kg. 1.150. La velocità massima si
aggirava intorno ai 220/240 Km/h.
La 2900B_8C Touring del 1938 , one-off, berlinetta speciale
soprannominata "Soffio di Satana" fu in testa per oltre 20 delle 24
ore a Le Mans , ma alla fine costretta al ritiro per lo scoppio di uno
pneumatico lungo il rettilineo "Les Hunaudierès" con Biondetti al
volante . Si trovava in testa con oltre 14 giri di vantaggio , cioè circa
un’ora e mezza , sulla Delahaye 6 cil. 3500 cc. di Chaboud-
Trémoulet che poi vinsero la gara. Tale vettura farà parte della
collezione del “Museo Alfa Romeo” di Arese che in occasione
dell’inaugurazione di Expo 2015 verrà riaperto al pubblico.
(le notizie tecniche e il nome “Soffio di Satana” sono tratti dal n.1
di Ruote Classiche del Novembre 1987)
Ecco la 8c 2900 B a Le Mans in una sosta per i rifornimenti
38
Foto dalla rievocazione storica di Goodwood, Inghilterra del 2010.
Il cruscotto ed il motore della 8c. 2900B Le Mans
39

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  • 1. 1 ANTONIO VIOTTO ………..SPIGOLATUREA TEMA ……………. Seconda parte di …”Una vita in auto”……………..
  • 2. 2 COPYRIGHT 13 MARZO 2016 INDICE SPIGOLATURE A TEMA I. La “Finanza creativa” pag. 4 II. Controller nell’automotive pag. 13 III. Il richiamo delle radici pag. 23 IV. Alfa Brera : il colpo di sonno pag. 26 V. In ricordo di Gianni Lancia pag. 30 VI. Un incontro inaspettato pag. 36
  • 3. 3 Autore : Antonio Viotto Via dei Cordari n. 7 – 17019 Varazze (SV) Vietata la riproduzione Torino e la Fiat 500 1° serie , alla presentazione nel 1957
  • 4. 4 I. La finanza creativa E’ giunto ora il momento di riconsiderare gli accadimenti via via succedutisi nel tempo da una differente angolazione, non più solo dalla mia. Ad esempio da quella dell’azienda che di volta in volta viene presa in considerazione. E’ ora il tempo delle spigolature a tema….. ma potrà forse cambiare il giudizio del tempo che fu ? Mi ritorna in mente la Società Finanziaria, allora controllata dal principale gruppo assicurativo di Torino, a metà degli anni ’70 : alle molte missioni effettuate con l’incarico di individuare possibili investimenti in aziende interessanti da acquisire e quindi sviluppare. Tutti incarichisvolti nella veste di funzionario a libro paga: figurarsi, all’epoca sedici erano le mensilità previste dal contratto bancario, qual’era il mio. Una pacchia , nel vero senso della parola !! Senz’altro fu la mia esperienza più interessante e piacevole, non solo per i contenuti professionali e il ruolo ricoperto, ma anche per la qualità dei rapporti intrattenuti con i vari personaggi via via incontrati, come purecon i collaboratori all’interno della società. Come spesso si dice, anche l’occhio vuole la sua parte. E qui l’occhio era appagato alla grande : attorno era tutto affascinante e raffinato, da veri buongustai. Non solo gli uffici di Torino, in Via Marenco dietro al Valentino, nella sede della stessa capogruppo, ma anche quelli di Milano, ove in seguito la società si spostò. Erano al termine di Corso Matteotti, nei dintorni di Piazza Meda: ricordi il famoso mappamondo rotante, il moto perpetuo di Gio’ Pomodoro al centro della piazza ?? Sì, proprio in quei luoghi. Anche la denominazione sociale mutò , come pure la compagine azionaria.
  • 5. 5 I progetti iniziali puntavano su investimenti in capitale di rischio nelle PMI - le piccole e medie aziende di cui l’Italia è tanto orgogliosa – in settori tecnologici avanzati, forieri di sviluppo elevato in un prossimo futuro. In tali operazioni, la società avrebbe coinvolto anche privati investitori all’uopo selezionati e informati a dovere. Il mio compito consisteva nella predisposizione di piani industriali di sviluppo sufficientemente credibili; poi in base ad essi , pervenire a una valutazione appropriata del business sotto esame. Naturalmente, tutto dipendeva dai risultati delle verifiche sulla situazione riscontrata in azienda, in termini patrimoniali e reddituali. Da esse dipendeva la decisione se andare avanti oppure no. L’elaborazione dei piani industriali triennali faceva innanzi tutto perno sull’identificazione delle variabili macro e micro economiche in gioco, interne e esterne, nonché sulla loro evoluzione futura. Il confronto deidatiottenuti con quelli delmercato diriferimento, della concorrenza , della tecnologia di settore avrebbe scaturito il posizionamento strategico dell’azienda, l’individuazione delle sue possibilità di sviluppo, insomma il quadro globale. I criteri di valutazione si basavano sulla media tra il valore reddituale, ottenuto in base al profitto normalizzato rivalutato con multipli di settore e il valore del patrimonio netto aggiornato. Quest’ultimo é il risultato delle attività al netto delle passività, tenendo presente i valori rivisti, in modo da riflettere potenziali plusvalenze al netto della fiscalità.(Ndr. Da Luigi Guatri, La valutazione di impresa). Ricordo alcuni degli investimenti fatti dalla società, spesso in veste di socio minoritario. Ad esempio, nell’azienda leader del comparto interruttori e quadri elettrici, intervento avvenuto al momento della conversione dai sistemi meccanici in sistemi elettronici.
  • 6. 6 Negli antifurti e sistemi di sicurezza, questa volta con una quota del 50% , pari al socio fondatore , con la benedizione della capogruppo romana; nel settore della moda, di abiti e soprabiti in pelle e in pelliccia, contraddistinti da design altamente innovativo. Nel settore del tempo libero, in un’azienda produttrice di sci ed altri accessori sportivi dell’alta Val Sarentino; come pure in quel noto gruppo immobiliare specializzato in “residenze” per le vacanze di prestigio, dell’alta Val Veny, in provincia di Aosta. E anche in altre aziende, a volte investendo solo “un chip” , come si bisbigliava tra gli addetti ai lavori, per comunicare al mondo finanziario la presenza della società in quel settore. Dopo la variazione della ragione sociale e lo spostamento della sede a Milano, la società cambiò la strategia di investimento e di approccio al mercato. Iniziarono la gestione e la commercializzazione dei Fondi di investimento di diritto estero, tramite contratti atipici, perché allora non erano ancora regolamentati dal codice civile italiano. Furono quelli gli anni in cui la società presentò al mercato il contratto di associazione in partecipazione : la società intendeva in tal modo “far partecipare privati investitori in qualità di associato a grandi operazioni finanziarie, stipulate con società industriali o commerciali, di solito non quotate, per finanziare i nuovi investimenti già programmati o da completare: era questo l’affare dell’associazione”. Al riguardo vennero istituiti particolari titoli cartacei , i c.d. certificati di associazione, emessi dall’associante, intestati all’associato, ciascuno per l’importo che l’associato aveva sottoscritto e versato ; ogni titolo rappresentava una quota dell’importo globale dell’affare.
  • 7. 7 Fu un successo : molte le operazioni stipulate con diverse società industriali e commerciali, come pure molti i contratti di associazione e le quote vendute. Gli investitori erano attratti dal buon rendimento pubblicizzato e pure garantito dal valore immobiliare sottostante. L’associato veniva remunerato al termine dell’esercizio, la cui cedola era pari alla quota di profitto netto generato dall’associazione e di sua spettanza. Ricordi qualche operazione ? Sì, certamente. Ad esempio, l’immenso Centro commerciale del comparto alimentare costruito e rapidamente aperto al pubblico in un’importante snodo autostradale in provincia di Bergamo , oppure quella società operante in servizi di trasporto, distribuzione e deposito appartenente a un noto Gruppo della distribuzione organizzata. Pure un’importante residenza immobiliare dell’alto Milanese, comprendente residenze civili e commerciali, magazzini e centri servizi, ancor’oggi funzionanti e molto conosciuti . Ma anche altri, di cui però non rammento il nome. Ah, mi torna in mente ora il bel grattacielo di Piazzale Loreto, proprio all’angolo con Viale Monza, con la facciata di fronte e in bella vista , guardando la piazza con le spalle rivolte al Corso Buenos Ayres. Bellissimo e molto scenografico !!. Chissà quanti di queicertificati riportano tutt’oggi la firma di Gino, il mio amico e collega, e la mia. Al solo ripensarci, mi duole di nuovo il polso destro! Se ognuna, avesse fruttato un solo “chip”, oggi avremmo una vera fortuna !! Mi ricordo benissimo il giorno in cui effettuai la consegna dei certificati alla BNL di Torino, nella centralissima sede di Via Alfieri, il cuore pulsante della città della “Mole”.
  • 8. 8 Come pure il momento in cui varcai il portone principale della banca preceduto dal cupo rumore del furgone diesel che guidavo – avrei dovuto infatti consegnare quei certificati di persona, per ovvi motivi - stando attento a nonstrisciare quelle storiche volte. Il tutto sotto gli sguardi vigili , ma sorpresi, delle guardie di sorveglianza. Che scena indimenticabile rivedere i commessi andare e venire più volte dal furgone, con in mano il prezioso carico , su e giù fino al caveau che attendeva i certificati !! Un figurone per me e per Gino, allora giovani “yuppy” della finanza, in cerca di affermazione e di fortuna!! La nostra casa in quel periodo, peraltro abbastanza breve, si trovava nella bassa lodigiana, al “Vecchio Mulino”, dietro al Castello di S.Angelo Lodigiano , al termine della strada alberata sugli argini del Lambro, che limaccioso entra qui prepotente in paese. E’ il punto in cui il dislivello del letto del fiume crea alti zampilli, vari mulinelli e spruzzi d’acqua accompagnati da cupi brontolii tutt’attorno. La strada é contornata da alte betulle bianche, che nelle giornate di nebbia fitta contribuiscono a rendere più irreale e soffusa l’atmosfera circostante, mentre ci si avvicina alcondominio. Come pure in inverno inoltrato, quando la galaverna fa irruzione e si impadronisce delle foglie e dei rami delle povere betulle: all’appello mancanosolo Dante e Virgilio , nel girone infernale !! L’appartamento con soffitto mansardato era al secondo piano, con ingresso direttamente su un ampio salone, tutto piastrellato in cotto e suddiviso in due zone : a sinistra l’ area lettura con la fatidica lampada a stelo , divano e due poltrone ; a destra la zona pranzo, con tanto di tavolone in legno e madia a vetri colorati, in stile “Fra’ Cristoforo”, di manzoniana memoria.
  • 9. 9 Dal salone si accedeva alla camera da letto , anch’essa mansardata e matrimoniale, come pure alla cucina, ben attrezzata e autonoma, arredata anch’essa in stile “Fraticello“. Completava il tutto, il terrazzo in mattoni rossi, l’estrema propaggine che interrompeva la ripida discesa dei coppi in cotto lombardo del grande tetto condominiale. La vista spaziava dall’imponente castello Attendolo Bolognini , proprio di fronte, ancor’oggi museo di attrezzi agricoli del tempo passato, più sotto il viale delle ginestre tutt’attorno alcastello e più a destra si spingeva fino al massiccio del Monterosa, che possente e minaccioso si ergeva sulla onnipresente pianura , ammirato nelle rare giornate più terse e più limpide L’ombrellone a fiori del periodo estivo piazzato in mezzo al terrazzo illudeva di trovarsi al mare : mancavano le zoccole, gli occhialoni da sole e la bibita con tanto di cannuccia , oltre all’immancabile sedia a sdraio . Quando si dice l’immaginazione!! Molti gli episodi che vorrei ancora raccontare prima di concludere il racconto. Come il viaggio della vigilia di Natale dello stesso anno, quando la società mi inviò con urgenza in un tour di 24 Ore, con tappa iniziale nel Principato del Lussemburgo, la mattina dopo puntata a Parigi, e in serata ritorno urgente in Lussemburgo. Una vera avventura, proprio un “giro del mondo in 80 giorni”, in miniatura. Così feci : alcuni inconvenienti da addebitare al periodo , mi costrinsero a utilizzare il TEE, anziché l’aereo nel tragitto Milano-Luxembourg, con pernottamento in vagone letto, dormendo poco, come previsto. Quindi, all’arrivo taxi fino alla BIL per le firme sui documenti interessati e partenza immediata per Parigi. Questa volta il viaggio andò tutto secondo programma : altra corsa in taxi alla banca S.G., altre firme, quindi rapido ritorno in Lussemburgo.
  • 10. 10 La sorpresa questa volta fu il tipo di aereo: quasi un monoplano d’anteguerra, a ruota fissa, che notai solo dopo come volasse sempre a mezz’altezza, e come il rumore assordante dei due motori a elica entrasse con violenza fin dentro la cabina. Viaggio terrificante : finalmente l’arrivo !! Altra corsa in banca, ove consegnai il tutto. Un sospiro! Ma le sorprese non erano finite : il volo di ritorno a Milano si fece con un piccolo turbo elica a dieci posti, con stivaggio delle valigie nella coda, a carico di ogni viaggiatore. Il comandante promise che nel prossimo volo l’aereo sarebbe stato più grosso: ma sicuramente non avrei voluto verificare, in ognicaso. Tutto filò liscio fino alle Alpi, quando senza preavviso vennero accese le luci di atterraggio , fatto insolito, forse per controllare il superamento di quelle vette innevate. In quel preciso momento mi accorsi che il secondo pilota stava convulsamente sfogliando il manuale di volo. Infatti ero seduto subito dietro la cabina di pilotaggio : ce l’avremmo fatta ? Ma cosa stesse in effetti controllando non riuscii mai a scoprirlo. Avvicinandosi Linate, purtroppo apparve sul monitor il messaggio che annunciava nebbia all’arrivo: a bordo il silenzio regnava assoluto. Nessuno respirava. Chiusi gli occhi raccomandando l’anima a chi fosse in ascolto Lassù : non so come, ma dopo qualche tempo l’aereo così minuscolo riuscì per caso ad atterrare. Ringraziai il mio protettore e pure il comandante che comunque ci aveva riportati a casa. Che viaggio, …altro che bambola !! Ecco cosa avrebbe dovuto cantare Fred Buscaglione, il re della mala canterina di un decennio prima !! Vorrei raccontare anche l’altro episodio , pure in una serata di fitta nebbia, quello stesso Autunno .
  • 11. 11 Il tragitto in auto era da Milano a casa, lungo la SSP Landriano- Villanterio, verso Sant’Angelo. Dopo alcune curve, guidando pian piano , a volte anche con la testa fuori per vedere meglio gli incroci, notai un fascio di luci fisse puntate in alto, provenire dai fossi a lato della strada. Che poteva essere ? Mi spostai a destra il più possibile e mi fermai : vidi allora la fiancata di un’automobile spuntare dal fosso e qualcuno dentroche chiedeva aiuto. Mi sporsi il più possibile verso di lui e cercai con tutta la mia forza di aprire la portiera: dopo vari tentativi, alla fine ci riuscii. L’uomo si abbarbicò al mio braccio proteso in basso e poi sulle mie spalle, finché dopo altri sforzi riuscì a risalire fin sul ciglio della strada. Parlava a malapena, non so se per troppo vino…oppure per lo spavento. Dopo un po’, si riprese dallo choc avuto e dopo avermi rassicurato , ripresiil viaggio verso casa. Michiedo : sarà poiriuscito a recuperare la vettura ? Sarà ritornato acasa sano e salvo ?? Ora sorge spontanea e inevitabile la domanda : qual era la vettura utilizzata in quel periodo? Pensaci… Sì, mi ricordo : era la celeberrima Fiat 131 Supermirafiori, costruita in circa 1 milione e mezzo di esemplari : uno dei tanti successi Fiat di quei tempi, di cui tutta l’Italia si vantava . Debuttò al salone di Ginevra del 1978 e si distingueva, oltre che per le ricorrenti modifiche alla carrozzeria, anche per le migliori rifiniture interne , ma soprattutto per l’adozione del famigerato motore bialbero della fortunata famiglia creata dall’Ing. Lampredi, il progettista proveniente dal mondo delle corse, alcuni anni prima. Con questa vettura Fiat aveva aperto le ostilità con l’Alfa Romeo , concui poteva a buon diritto misurarsi in termini di prestazioni. Ecco le sue caratteristiche : 4 cilindri in linea, 4 valvole a V in testa, doppio albero a camme in testa con cinghia, cilindrata cmc. 1585, con 96 cavalli a 6000 g/’ cambio a 5 marce, con comando a cloche; trazione posteriore.
  • 12. 12 Le sospensioni anteriori a ruote indipendenti con bracci e barra trasversale, mentre le posteriori erano a ponte rigido, puntoni e barra trasversali; molloni e ammortizzatori davanti e dietro; Freni a disco anteriori, e servofreno. La velocità sfiorava i Km/h 170. Era la vettura di classe media di concezione classica che andava per la maggiore: stile piacevole e moderno con un pizzico di sportività che il nuovo bialbero le aveva conferito. I commenti delle testate specializzate rilevavano le buone prestazioni e l’ottima tenuta di strada , in generale un ottimo comfort nei lunghi viaggi. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, Ed.Domus) Non male, anche per un fanatico Alfista, come il sottoscritto ! D’altro canto, la validità del progetto Fiat 131 , considerando la versione elaborata da Carlo Abarth , è largamente confermata dai vari titoli vinti nei mondiali rally di quegli anni , con alla guida i migliori piloti del momento, come pure in molte altre corse nazionali ed internazionali. Niente da dire, complimenti meritati ! Brava Fiat, tutti pazzi per te……altro che !! Fiat 131 Supermirafiori 1,6
  • 13. 13 II. Controller nell’automotive. Sfogliando l’album dei ricordi - ma quanti sono! – mi sorprendo a ripensare al periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, quando svolsi le funzioni di Controller e in seguito di responsabile amministrativo. La funzione del controller, all’epoca intesa nell’accezione americana, implicava attività a supporto sia delle linee operative che degli staff delle direzioni centrali. Dopo i molti anni spesi nell’auditing , era giunto il momento di saltare dall’altra parte della scrivania, così pensai, e di passare dalle funzioni tipiche del consulente a quelle del responsabile di linea. E provare perciò il brivido della responsabilità diretta. Ma la scelta del settore “automotive” non fu una mia decisione , ma dovuta tutta al caso. Comunque mi permise non solo di conseguire risultati più che apprezzabili in quel settore di business , ma anche approfondire non poco le mie conoscenze in ambito motoristico. Incominciai l’avventura in un’azienda della valle dell’Orco, alle porte del Gran Paradiso, in provincia di Torino, centro di eccellenza nella fabbricazione di cuscinetti e bronzine bimetalliche, in rame e alluminio, in forza di know-how e brevetti proprietari. Tutti componenti ancor oggi utilizzati alla grande in molti motori a ciclo Otto e ciclo Diesel. La società , recentemente acquisita da un Gruppo multinazionale del settore, aveva in Fiat il principale mercato di sbocco, seguita a ruota da altri produttori di autoveicoli europei, come pure da clienti indiani, russi sudamericani.
  • 14. 14 I miei compiti concernevano il controllo dell’andamento economico e finanziario non solo della unità produttiva, ma anche della consorella commerciale, quest’ultima con sede in centro a Torino, vicino a Porta Susa. In linea gerarchica rispondevo al General manager della società e funzionalmente al Group controller, situato nel quartiere di “Les Halles” a Parigi. Altri incarichi riguardavano l’elaborazione dei dati finanziari di un’altra azienda di Leynì, in provincia di Torino, produttrice di “oil seals”, i famosi anelli di tenuta a olio, icosiddetti“o’ring” utilizzati ampiamente dal comparto motoristico. Una piccola realtà produttiva acquisita da poco , ma che in seguito verrà poi dismessa. Per gli spostamenti di lavoro a Torino, Leynì, Cuorgnè e zone limitrofe, utilizzavo la Fiat 125S bianca aziendale, la berlina di alta gamma degli inizi degli anni ‘70, che impiegava il 4 cilindri bialbero disegnato da Lampredi, già noto agli sportivi della formula 1. Cilindrata cc.1.608 e potenza 100 CV, motore derivato da quello della Fiat 124 spyder . (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus) Le sospensioni davanti erano a ruote indipendenti con quadrilateri deformabili e barre antirollio. Le posteriori ad assale rigido, balestre longitudinali semiellittiche e biellette longitudinali ; ammortizzatori idraulici davanti e dietro. Cambio a 4 marce con comando a cloche sul tunnelcentrale e 4 freni a disco. Velocità : circa 170 Kmh. La vettura si distingueva per la buona velocità , la ripresa e la tenuta di strada, ottime la manovrabilità del cambio, l’abitabilità e il comfort. Una buona vettura per la famiglia , tuttosommato.
  • 15. 15 Ecco la Fiat 125 bianca A quel tempo abitavamo a Cuorgnè all’ultimo piano di un solido e ben rifinito palazzo a tre piani nella zona collinare della città, da poco terminato, anzi solo il nostro appartamento fu completato in tempo per noi. Dal terrazzo più grande si godeva un panorama incomparabile: a sinistra la pianura, davanti Alpette, il caratteristico borgo alpino a quota mille metri, a destra la “Quinzeina”, che con orgoglio fa bella mostra dei suoi duemila e oltre metri di altezza. E che dire di Frassinetto, il tipico paesino dell’antico Piemonte, circondato da baite in pietra, orti vicinali e fontanili rupestri,? La seconda esperienza fu invece una società multinazionale anglo- sassone, con uffici dislocati nell’alto e nel basso Canavese, altamente specializzata nella fabbricazione e distribuzione di valvole dei tipi più svariati, accessori compresi, anch’essa dell’“automotive”. Non solo produzioni OE, destinate al primo equipaggiamento, ma anche per l’after market, il mercato del ricambio più redditizio. Quella volta però in veste di “internal controller”, con il compito di verificare l’affidabilità delle procedure messe in opera dalle funzioni amministrative , acquisti inclusi, e il grado di “compliance” alle regole stabilite dalla policy di Gruppo. Gli stabilimenti italiani, oltre Rivarolo Canavese, erano presenti in diverse altre città: Torino, Casale, Belluno, Pomezia e Monfalcone.
  • 16. 16 Al termine di ogni missione dovevo volare a Wolverhampton , in UK, da Bob, il mio capo, per redigere il rapporto finale sui risultati della verifica. A volte però toccava a Bob raggiungermi in Italia, alla location dove al momento mi trovavo. Con mia grande gioia naturalmente ! Per far fronte ai molti viaggi in agenda, la società mi affidò una bella Fiat 124 Special , colore blu scuro, con interni in panno di lana beige, tutta nuova e anche da rodare. Una vera bellezza !! Il motore derivato dalla Sport Coupé era il 4 cilindri bialbero da 80 CV , di 1438 cm3 di cilindrata, valvole in testa a V e camera di scoppio emisferica. Velocità : kmh. 165. Le sospensione anteriori a ruote indipendenti e posteriori a ponte rigido e barra Panhard; molle elicoidali, ammortizzatori e barre stabilizzatrici davanti e dietro. Cambio a 4 marce con leva al pavimento e 4 freni a disco Bendix. Il tutto dava un tocco di raffinatezza alla 124, la più sofisticata e genuina versione, quella che avrebbe segnato l'apice dello sviluppo tecnico ed estetico di questo modello. Quell’anno, al ritorno dalle ferie estive, Bob mi informò con grande rammarico che la mia bella Fiat 124 S blu, era stata rubata e poi incendiata, quando temporaneamente affidata a un ospite inglese. “Quel dommage” direbbero i francesi. Che peccato! Tuttavia, ne venne ordinata subito un’altra , anch’essa una 124 S, ma di colore diverso, nocciola chiaro, con cui riuscii comunque a raggiungere Roma e quindi Pomezia. La missione già prenotata era presso la locale unità produttiva, appartenente alla divisione Yale, qui producevano invece i famosi lucchetti, serrature e altri marchingegni di sicurezza. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus)
  • 17. 17 Nulla fu perciò perduto, malgrado la disavventura ! La Fiat 124 S Le altre missioni contemplavano puntate a Torino, alla società di progettazione di impianti e macchinari, la stessa che partecipò con Fiat alla costruzione del sito produttivo di Togliattigrad, in Russia negli anni ’60. Quindi, Monfalcone, al nuovo stabilimento fresco di inaugurazione dalle linee completamente automatizzate. Infine Belluno e Casale, i cui prodotti – sempre valvole ma di differente tecnologia - erano destinati ad un altro settore, quello degli elettrodomestici, lavatrici e frigoriferi, soprattutto. La terza esperienza invece fu un gruppo siderurgico della galassia Finsider, da poco subentrato alle ex-Ferriere Fiat, dove tempo addietro avevo già lavorato – ricordi la Teksid, l’acciaieria di Torino - seppurecon un’altra casacca e ruoli differenti . Sarei mai riuscito a descrivere come avrei voluto, tutti i pensieri e le emozioni provate mentre Torino e Corso Mortara si avvicinavano ? Stessi luoghi stesse persone, stessa osteria, così cantava quegli anni Enzo Jannacci. Ma poi l’amara sorpresa nel costatare che l’improvvisa crisi scatenatasi nella siderurgia a livello mondiale aveva costretto il Vertice del gruppo ad adottare scelte strategiche dolorose , con inevitabili ripercussioni negative sui livelli occupazionali e sui programmi di investimento, rispetto al recente passato.
  • 18. 18 Che tristezza ! Specie per me che tempo prima avevo assistito in prima fila ai proclami di conquista di nuovi mercati, con tanto di acclamazione e sottofondo musicale di “My way” e di Frank Sinatra ! Le ex-Ferriere erano famose per la vastità e l’estensione dei propri impianti : comunemente soprannominate “Chilometring”. Una città dentro la città, con tanto di strade, segnalazioni, passaggi a livello, semafori e cartelli stradali. E anche un raccordo ferroviario interno che collegava direttamente l’acciaieria alla stazione di Porta Dora, ove i treni trasportavano i nastri d’acciaio, i famosi “coils”, appena sfornati dai lunghissimi treni di laminazione. Poi rapidamente alle presse del reparto carrozzeria di Mirafiori, dove sarebbero stati trasformati in telai, portiere, cofani e bauli di tante autovetture. In quegli anni abitavamo in quei di Lodi, nella bassa Padana, in Via Gabiano, situata su un’altura : era forse colle Eghezzone ? Com’é possibile un colle, qui a Lodi ! E’ tutto basso e piatto da queste parti. Addirittura alcuni rioni si trovano al disotto dell’Adda, figurarsi ! Ma tant’è. E l’appartamento ? Bello, ampio e ben disposto, tutto baciato dal sole, dall’alba al tramonto. Eravamo al quinto e ultimo piano diun palazzo deglianni ’80 con grandi terrazze e fioriere a vista, in sequenza una sopra l’altra. Il colore ? Un bel arancione vivo. Il vasto giardino e le aree attrezzate per le biciclette, usatissime nel lodigiano, completavano il quadro. Due piani più sotto vi erano garage e cantine, oltre a magazzini e depositi vari. In effetti si era al settimo piano, anzi, ….al settimo cielo!! Dalla grande porta-finestra della sala da pranzo, tutta pavimentata in marmo chiaro, nelle giornate più limpide – comunque, non più di due o tre all’anno - si notavano in lontananza, lontano…lontano, spuntare in fondo la cima del Monviso, triangolare illuminata dal sole calante e più a destra il massiccio del Monterosa, imponente e maestoso.
  • 19. 19 Uno spettacolo magnifico! A volte, riuscivamo a scorgere all’estrema destra anche parte della “Grigna” e più oltre un pezzo del monte “Resegone”, sporgendosi dal terrazzo e con un po’ di fantasia, Ma quali auto utilizzavo nei viaggi abituali Lodi-Torino, andata e ritorno? Eccole. Dapprima una rombante Argenta Diesel aziendale a trazione posteriore, la prima turbo KKK a gasolio targata Fiat, colore verde metallizzato, dotata di un 4 cilindri di 2445 cm³, 90 CV, cambio a 5 marce a cloche . Velocità : 160 Km/h. La vettura derivata dalla Fiat 132, presentava alcune modifiche di carrozzeria e agli interni, mentre le sospensioni anteriori e posteriori erano rimaste praticamente invariate. Quelle anteriori a ruote indipendenti, bracci e barra trasversali; quelle posteriori ad assale rigido, due puntoni longitudinali e bracci obliqui ; ammortizzatori telescopici e molloni elicoidali, davanti e dietro. Ecco la nuova vettura di classe di casa Fiat. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus) La Fiat Argenta 2500 turbo In seguito, mi venne affidata una più elegante e silenziosa Lancia Beta berlina, la prima nata sotto la gestione del Lingotto, disegnata dalla matita di Gianpaolo Boano, a trazione anteriore e motore a 4 cilindri bialbero ex-Lampredi, di 1.756 dicilindrata , con 110 cavalli. Le sospensioni indipendenti a schema McPherson , a due bracci oscillanti e triangolo dietro; il cambio a 5 marce con comando a clochecompletavano il tutto.
  • 20. 20 La Beta rivelò ben presto le sue migliori caratteristiche : motore robusto e silenzioso, buona ripresa e accelerazione , ampia visuale anteriore . Il grande cruscotto davanti al volante , quasi un “cockpit” in termini aeronautici , era zeppo di manometri e orologi , che in seguito ispirò il soprannome di “gruviera” affibbiato alla Beta. La spaziosità dell’abitacolo (grazie al passo di 254 cm) e il comfort generale garantivano gli ottimi rendimenti della tenuta di strada in curva e in rettilineo. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus) la Beta berlina 1,8. La quarta esperienza fu invece la consociata italiana di un gruppo multinazionale statunitense, dell’Alta Valtrompia, in provincia di Brescia, specializzata in sterzi manuali ed elettrici –c.d. automatici - per i mezzi di trasporto. Le altre unità produttive, oltre alla sede di Gardone VT, risiedevano a Brescia, Bologna e Torino, quest’ultima specializzata in cinture e airbag per auto,“lo stato dell’arte” del comparto della sicurezza attiva e lo è tutt’ora. In seguito si aggiunse anche l’unità produttiva di Livorno, contraddistinta dal know-how elevato di sistemi di alimentazione meccanica ed elettronica, sempre in ambito ”automotive”. Ma le fatiche del tragitto Lodi-Valtrompia andata e ritorno, tre volte alla settimana mi convinsero avvicinandosi l’ inverno, a prendere in affitto un appartamento in zona, a Villa Carcina, in un nuovo quartiere residenziale. Il grande video-citofono in bella mostra al cancello d’ingresso era una primizia assoluta: avrebbe annunciato il mio rientro acasa in pompa magna.
  • 21. 21 Mi divertivo un mondo nell’udire l’immediato trillo di Annalisa , la nostra piccolina, quando, dopo avere suonato la mia figura appariva a video. E la gioia poi sulla porta di casa nel poterla abbracciare forte, mentre agitava braccine e piedini a più non posso. Che tenerezza per noi genitori !! A volte, nel tragitto in auto casa-ufficio, le sue gambotte spuntavano senza preavviso dal sedile posteriore e roteavano nell’aria più volte , con divertimento non solo di Annalisa, ma anche nostro. Per le missioni di lavoro, la società mi affidò una nuovissima Fiat Regata Diesel, in versione S, color verde marcio, ancora da rodare. Da poco messa in commercio , l’erede della Fiat 131, aveva il pianale derivato dalla Ritmo, assieme a buona parte della meccanica. Il motore era anteriore e trasversale come pure la trazione , la linea nuova, filante e piacevole, l’abitacolo spazioso. La Regata Diesel S , con un motore diesel a 4 cilindri da 1929 cm³ che erogava 65 CV e una velocità di circa kmh. 165. Il cambio manuale a 5 marce con leva al pavimento, sospensioni indipendenti a schema McPherson, barre antirollio e ammortizzatori davanti e dietro. La vettura affidatami montava di serie gli alzacristalli elettrici, la chiusura centralizzata e una strumentazione più completa. Caratteristico il gruppo comandi della climatizzazione a controllo elettronico, in cui i tradizionali cursori a leva erano sostituiti da pulsanti basculanti e file di led ad indicare portata e temperatura dell'aria. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, E.Domus) Il posto guida della Regata
  • 22. 22 Le prime impressioni di guida avevano rimarcato sin da subito il giusto equilibrio e l’ottima manovrabilità dell’insieme cambio, pedaliera e volante, il che permetteva lunghi e confortevoli viaggi autostradali. In conclusione, una buona vettura con un’ottima tenuta di strada e una buona velocità di crociera, oltre a bassi costi di esercizio. Nel chiudere questo capitolo accenno brevemente all’esperienza MITO “Mobiliare Immobiliare Torino” , appartenente all’IFIL di casa Agnelli, con sede a Milano, in Via Turati n. 49. Qui svolsi il ruolo di responsabile amministrativo - quindi diverso dal “Controller” dell’azienda industriale - con supervisione sulla controllata Prime, gestore e distributore dei Fondi di investimento di Gruppo, al tempo molto richiesti. Ironia della sorte: anche qui la vettura era una Fiat Regata Diesel S, già sperimentata e anche apprezzata. Fu proprio quella l’ultima mia esperienza da funzionario a libro paga. In seguito creai la mia società ed iniziai l’altra grande avventura : l’attività di consulenza in materia finanziaria , amministrativa e del controllo di gestione, destinata alle aziende industriali e commerciali. Ma anche finanziarie, se fosse capitato … ”Mai dire mai”….”Never say never again”, ci insegnò James Bond, nell’omonimo film di spionaggio. Ma questa è tutta un’altra storia : quando ebbe inizio ?? Si era ormai alla fine del 1988. Vista anteriore della Fiat Regata
  • 23. 23 III. Il richiamo delle radici. Lodi, 23 Luglio 2010 , data storica che rimarrà indelebile nei nostri cuori per sempre. Quel giorno il richiamo delle radici che per tanto tempo aveva tenuto sotto scacco Marisa e tutti noi , ebbe il sopravvento e il suo momento di gloria . La decisione di lasciare Lodi e la residenza degli ultimi trent’anni fu meditata a lungo e analizzata più volte e da tutti i lati . Ma infine il trasferimento in Val Tidone, ai luoghi natii di Marisa e dei suoi felici primi vent’anni, si realizzò . D’altro canto, il sogno di poter fruire della bellezza e dei profumi del giardino ben disposto e attrezzato secondo i nostri “desiderata”, convinse anche me al fatidico passo. L’appartamento al piano terra di una palazzina a due piani nella prima cintura Nord del paese, é composto da un ampio soggiorno e annesso studio, con accesso al giardino, doppie camere da letto e doppi servizi, oltre a un lunghissimo terrazzo nella zona retrostante sopra i box. Anche l’ingresso é doppio, niente male per davvero. E che dire del tanto decantato giardino che circonda la casa ? A sinistra l’ulivo centenario – ma forse gli anni sono qualcuno meno – e a destra la grande quercia da sughero fanno compagnia al passante diretto al Nido comunale, proprio di fronte. Ma pure gli alti tigli, i salici piangenti, i pini e gli abeti del parco antistante allietano con il loro fruscio i canti e il chiacchiericcio dei bimbi ospiti che qui trascorrono sereni e custoditi le mattinate e i pomeriggi, dell’estate e dell’inverno. Invece, ritornando a noi, sul lato destro sono in bella vista un selvaggio pino svedese, una “tuja” nostrana, divenuta altissima , più oltre due floridi corbezzoli e tre cipressi prorompenti che “alti e schietti in duplice filar” …….adornano la scala esterna che conduce alle cantine. E poi più in là, verso il fondo, alquanto nascosto da glicini attorcigliati il piccolo orto di Marisa. Qui lei può deliziarsi
  • 24. 24 nell’arte del giardinaggio e coltivare insalate, fiori, aromi vari, quali salvia, timo, menta , origano e rosmarino. Dimentico qualcosa ? Ah, sì!....... La ridondante siepe di fotinia, che con le sue 96 piantine orna tutti i quattro lati del giardino, con il compito di nascondere ogni cosa ad occhi indiscreti. Insomma, proprio tutto quanto serve al villico di campagna, per essere felice e a proprio agio in ogni momento. Però la storia non finisce qui . Tre anni dopo, il richiamo delle radici si rifece vivo ancora prepotente e inatteso , ma stavolta toccava me, era il mio turno. Obiettivo : Varazze, la mia città natale da cui emigrai quarant’anni prima. La ghiotta occasione , da non perdere, riguardava un’unità immobiliare in vendita alla Marina di Varazze , il Porto turistico a cinque stelle. Ma solo chi fosse riuscito a superare la fase preliminare avrebbe avuto accesso alla finale, come ogni thriller di Agata Christie che sirispetti. Senza perderci d’animo, proseguimmo con tenacia nell’intento. La conclusione avvenne il 9 Luglio 2013, quando, al termine di quattro rilanci, arrivammo primi. Il destino ancora una volta ci aveva premiato. Pareva che quegli interminabili anni di lontananza non fossero trascorsi, tornavo così a casa, in quei luoghi segnati in modo incancellabile dagli avvenimenti della mia infanzia e della mia fanciullezza L’appartamento in questione é al secondo piano di un edificio in stile marinaresco, rifinito in legno antico e facente parte del complesso residenziale del porto turistico. Una vera “chicca” dotata di zona giorno e notte, soffitto in “tek” a vista , terrazzo , anch’esso in legno, da dove lo sguardo spazia dai moderni e veloci yachts alle classiche barche a vela, qui ormeggiate in bell’ordine, senza soluzione di continuità. Lo splendido panorama è completato dall’onnipresente macchia mediterranea tutt’attorno , fin su verso Castagnabuona e Cantalupo, le frazioni a Nord di Varazze, sempre verdeggianti in ogni stagione.
  • 25. 25 Più oltre, gli impianti del Monte Beigua , a 1.200 metri di altezza e la chiesetta della Madonna della Guardia , più in basso, fanno da cornice al paesaggio di mare e di monti, proprio un quadro d’autore. Un solo aggettivo : tutto di incomparabile bellezza ! Una vista della Marina di Varazze ripresa dalla via Aurelia. Appena possibile torniamo con gioia in questi luoghi, alle lunghe passeggiate sulle banchine del porto fino ai pontili che ne delimitano l’ingresso, alla statua di Santa Caterina, la patrona di Varazze, che qui benedice i marinai e gli skipper delle barche in transito. A volte ci spingiamo fino in Corso Europa, percorrendo la nuova ciclabile riservata a ciclisti e pedoni con partenza dalla Villa Araba, oltre il Nautilus, ai Piani d’Invrea, e procedendo verso Cogoleto, lungo la vecchia strada ferrata Genova-Ventimiglia. Qui ogni anfratto , ogni angolo di mare, ogni insenatura e ogni scoglio dell’arenile presentano inediti scorci di panorama, sconosciuti, finché la ferrovia non venne poi trasferita più a monte. Infatti, tutto questa meraviglia, vera goduria degli occhi, era esclusivo appannaggio dei passeggeri dei treni che percorrevano questo tratto di costa, ma solo parzialmente e non nelle dimensioni attuali.
  • 26. 26 La flora e la fauna che animano questo piccolo paradiso marino, in ogni stagione, sono quanto di meglio si possa desiderare nella Riviera dei Fiori e del mar Ligure. Ancora tanti complimenti a tutti quanti presero parte alla realizzazione del progetto, da preservare il più possibile. Un “Bravo” di cuore ai Comuni di Varazze e di Cogoleto !! …….. IV. Alfa Brera : il colpo di sonno. A Settembre del 2009, l’Alfa presentò la Brera versione 1750 TBI, turbo, cilindrata storica tanto amata dalla Casa. Pensai allora di sostituire la vecchia 2,2 JTS , sia per il vantaggio dei minori consumi sia per il minore inquinamento. I cavalli aumentarono a 200 HP. Colore ordinato : bianco ghiaccio, tetto in vetro anticromatico nero, interno nero opaco, ovviamente. (Ndr. Dati tecnici da Quattroruote, Ed.Domus) E quali i viaggi con la Brera 1750 TBI ? La missione a Venezia, per più di sei mesi. Il cliente ? Una società di parcheggi metropolitani, dislocata sull’isola del Tronchetto. Il collegamento con Piazzale Roma é assicurato dal “People Mover”, l’efficiente monorotaia senza pilota, che a circa trenta metri di altezza porta i turisti alla Stazione Marittima, per gli imbarchi sulle navi da crociera, oppure al Tronchetto per il ritiro della vettura. Geniale e pure comodissimo! Anche Marisa mi raggiunse spesso qui e visitò tutto quanto c’era da vedere, a volte insieme. L’ufficio affacciato sul Canale di attracco, mi permetteva di ammirare da vicino quei colossi del mare mentre in laguna procedevano lentamente.
  • 27. 27 Quell’autunno in particolare avvenne il passaggio della Queen Mary II , il transatlantico della Cunard inglese, altissimo e maestoso, mentre sul canale della Giudecca anacronisticamente transitava vicino ai monumenti storici e le onde agitarsi vieppiù, ma invano. Riesci perfino a individuare le persone che ti salutano dai vari ponti della nave. Senza parole, a bocca aperta! Mi ricordava un altro gigante del mare, il “Titanic” della concorrente White Star Line, che immaginavo anch’esso lasciare il porto di Southampton in Inghilterra e affrontare l’Atlantico, moltissimi anni prima, nel suo sfortunato viaggio inaugurale. La missione proseguì poi a Peschiera del Garda, sul lago omonimo, nota località turistica del Benaco , prediletta dal turismo germanico. Nell’800 fu parte integrante del famoso sistema difensivo dell’impero Austriaco in Veneto “Il quadrilatero”, i cui vertici erano composti anche da Mantova, Verona e Legnago. Si notano tuttora le vestigia di quell’epoca, come le alte mura fortificate, il porto lacustre sempre trafficato, le acque del fiume Mincio che circondano interamente la fortezza. Dall’alto delle torri di guardia si ammira l’altra sponda del lago, Salò, la località tristemente nota alla fine degli anni ’40, il dannunziano Vittoriale, il rifugio del “Vate” a Gardone, le tante cale e calette della riviera del Garda. Di sera il panorama del lago è splendido, dal tremolio delle tenue luci della costa. E’ stato un periodo bellissimo, che rifarei subito, attività inclusa. L’ultima missione fu per un gruppo multinazionale produttore di gru, fisse e mobili, situato in una nota località del monregalese. Trascorsi felicemente il soggiorno in un vetusto Albergo di Vicoforte, l’antica proprietà privata dei Savoia. Bellissima la Basilica dell’omonimo Santuario, dedicato al Duca Filiberto I , il capostipite della dinastia sabauda, dalla cupola ellissoidale più grande d’Europa.
  • 28. 28 Il panorama infinito di lassù spazia dalle Alpi Marittime e del Col di Nava , per spingersi fin oltre il massiccio del Monviso e delle grandi Alpi piemontesi e aostane. Ogni tanto mi fu chiesto di raggiungere Lyon, in Francia, per le riunioni alla casa madre europea. Il tragitto ogni volta avvenne , se possibile, con il TGV , il Train à Grand Vitesse, dei cugini transalpini , la nostra TAV. Ogni giovedì pomeriggio parte da Porta Garibaldi a Milano e raggiunge Lyon, la città delle luci , in quasi cinque ore. La tratta tocca Torino, Modane, Grenoble, con arrivo a sera inoltrata a Saint Exupery : ricordi lo scrittore-aviatore de “Il piccolo Principe” ? L’avveneristica stazione, opera di Calatrava, il tanto criticato autore dell’ ultimo ponte a Venezia che da Piazzale Roma porta alla stazione di Santa Lucia. Cara Brera, ti guido ogni giorno, felice e soddisfatto dei momenti belli che riesci a regalarmi. Fin quando potrai tu, potrò anch’io ?? Marina di Varazze – la Brera 1750 TB bianca. Però non sapevo ancora che pure i sodalizi più collaudati e duraturi, all’apparenza indissolubili, hanno anch’essi un termine. La vita è piena di sorprese, a volte sgradevoli, e anch’io presto avrei dovuto rendermeneconto , mio malgrado.
  • 29. 29 La sottile trappola del “colpo di sonno” subdolo, silenzioso, infingardo, scattò a sorpresa e io vi caddi in pieno, inconsapevole. Accadde un pomeriggio di fine Autunno del 2015 , in viaggio sulla A7 dopo Tortona, diretto a Varazze. Il crollo accadde all’improvviso , gli occhisi chiusero senza che me ne accorgessi e nulla potessi fare. Poi, si spalancarono repentinamente al rumore assordante della lamiera che si schiantava contro il parafango del TIR che mi precedeva, mentre la Brera iniziava a roteare all’insù, proiettandosi verso il cielo azzurro , per poi ricadere pesantemente a terra, capovolta. Ma non era finita. Sotto di me terrorizzato percepivo il gracchiante stridio del tetto che strisciava sull’asfalto, un tempo infinito, che pareva non volersi fermare più. Così come era iniziata, la terribile capottata finì inaspettatamente e la Brera ritornò sulle sue ruote, fermandosi provvidamente nell’apposita area di parcheggio lungo l’autostrada, senza così intralciare il traffico. Incredibile ! Mi allontanai subito, per timore che accadesse qualcos’altro e mi fermai sedendomi sul guard-rail, perché mi girava tanto la testa e tutto quanto attorno, mentre il cuore pareva scoppiare in petto. Ora sì che era tutto finito, anche la mia amata Brera. Ringraziai più volte il mio santo protettore per lo scampato pericolo. Un vero miracolo, questa volta ! Cosa mi è rimasto dentro di quella terribile esperienza ? Il forte e vivo sentimento di solidarietà e di partecipazione da parte degli automobilisti che , procedendo dietro di me, videro l’accaduto e si fermarono a prestarmi soccorso . Per non spaventarmi ancor più, non mi chiesero ulteriori spiegazioni sull’incidente - non sai cosa abbiamo visto !! sentivo però sussurrare – e si prodigarono invece nell’aiutarmi.
  • 30. 30 Chi telefonava al pronto soccorso e chi alla polizia stradale, chi voleva verificare le mie condizioni, chi piazzava il triangolo per segnalare l’incidente, chi mi consolava e mi avvisava dell’imminente arrivo del carro attrezzi e dell’ambulanza. Mi sentivo tanto rassicurato e ricolmo di attenzioni. Questo il risvolto positivo di quella malaugurata sventura. Ne avrei senz’altro fatto tesoro e tratte le debite conseguenze, per il futuro. …… non si finisce mai di imparare !! V. In ricordo di Gianni Lancia Il progetto “B10” (l’Aurelia) nasce durante la Seconda Guerra Mondiale, quando per scampare alle bombe alcuni uffici di Lancia sono spostati da Torino nella più sicura Padova. Qui lavorano tecnici di valore, come Francesco De Virgilio e Vittorio Jano, l’ingegnere che un decennio prima aveva realizzato la famosa Alfa 8c 2900B berlinetta Touring, per la 24 ore di Le Mans, la “Soffio di Satana” in edizione unica. Durante il conflitto Jano contribuisce alla nascita di un’altra unità con identica configurazione e altrettanto celebre, il primo 6 cilindri a V che equipaggia un modello di grande serie, l’Aurelia. Un’unità compatta e leggera che eroga 56 CV e che richiede poca manutenzione e fornisce elevata affidabilità. A destare interesse per la nuova berlina sono altre soluzioni tecniche adottate, come la trasmissione con frizione, cambio e differenziale realizzati in un gruppo unico disposti al retrotreno, le sospensioni a ruote indipendenti e la struttura portante della scocca.
  • 31. 31 Con l’Aurelia, “Gianni” Lancia, figlio di Vincenzo e patron del marchio dal 1947, immette sul mercato gli autotelai, siglati B50 e B51, con i quali carrozzieri del calibro di Allemano, Boneschi, Ghia, Vignale si dilettano a creare fuoriserie di indubbio fascino, come la Giardinetta con struttura in legno di Viotti o la coupé 5 posti di Balbo. A uscire direttamente dagli stabilimenti di Borgo San Paolo a Torino è la variante sportiva B20 coupé, dalla linea filante , ricca di fascino e dalle indubbie doti di maneggevolezza e tenuta di strada. Qualità che, insieme al motore da 2 litri da 75 CV che “spinge” il modello fino ai 160 km/h (più tardi arriverà anche il 2.5 da 118 CV e 185 km/h di velocità di punta), la rendono da subito protagonista nella gare di Turismo , dove intraprende entusiasmanti duelli con le rivali Alfa Romeo 1900. Sfide dalle quali esce spesso vincente, ottenendo prestigiosi successi di categoria in competizioni di rilievo, come Mille Miglia, Targa Florio e la ventiquattrore di LeMans. (Ndr : tratto dall’articolo di Stefano Panzeri - Omiauto , 2003) . Aurelia B20 - 6 ore di Pescara
  • 32. 32 Per partecipare alla Carrera Messicana, le B20 vengono munite di compressore Roots, raggiungendo i 150 cavalli a 6000 g/’minuto e la velocità di 215 km orari. Nel 1952, la vettura di Umberto Maglioli e Franco Bornigia si piazza ad un brillante 4º posto assoluto. Il desiderio di Gianni Lancia, maturato nel 1953, era di realizzare una vettura con cui prendere parte al campionato mondiale per vetture sport, che sarebbe stato istituito a cominciare da quell’anno. Una squadra di progettisti si mise all’opera, sotto la guido di Vittorio Jano per costruire e sviluppare una vettura sportiva : Ettore Zaccone Mina per il motore, Francesco Faleo per l’autotelaio, Luigi Bosco per la trasmissione. La vettura denominata D20 come il numero di progetto, da molti venne impropriamente chiamata Aurelia 2900. Alcune caratteristiche tecniche della vettura si richiamavano infatti all’Aurelia B20 gt, ma molti dettagli erano completamente diversi e particolarmente appropriati all’uso agonistico. Il motore con testa e basamento in alluminio aveva le canne smontabili riportate in umido, ma della sola Aurelia manteneva la architettura a V di 60 ° con i sei cilindri. Le valvole a V in testa , con doppia molla, erano in questo caso comandate direttamente da quattro assi a camme in testa. Questo motore ancora denominato con la sigla B10 aveva un alesaggio e corsa 80,5x 81,5 per una cilindrata di cmc. 2.489, mentre il definitivo denominato D20 le misure erano 86x85, per una cilindrata di cm-cubici 2.962 e una potenza di circa 220 CV al regime di 6.500 g/’. Un’altra caratteristica del motore consisteva nell’applicazione di due valvole per cilindro, per poter usufruire di un più elevato rapporto di compressione, tre carburatori a doppio corpo con l’alimentazione indipendente per ognicilindro. Al campionato mondiale sport del 1953, Lancia partecipa con la D23 e l’anno seguente con la D24, quest’ultima è tra le più belle vetture da corsa, la linea slanciata e armoniosa creata dalla matita di Pininfarina.
  • 33. 33 Ecco i dati tecnici della D24 : il motore a 6 cilindri a V di 60° , a quattro alberi a camme in testa (due per bancata) aveva cilindrata di cmc. 3,3 litri , aumentata rispetto alla D23, albero motore su cuscinetti Vanderwell a guscio sottile, due candele per cilindro e doppio spinterogeno. L'alimentazione con tre carburatori Weber doppio corpo, la potenza massima è di 245 cavalli a circa 6200 g/’ . La vettura registra un aumento della lunghezza (6 cm) la diminuzione dell'altezza (10 cm), e il sensibile abbassamento della linea di cintura della vettura rispetto alla D23. La D24 dopo la vittoria alla Carrera Panamericana nel novembre 1953 , modificherà la denominazione in D24 Carrera. Nel 1954 otterrà parecchie affermazioni di prestigio : Mille Miglia, Targa Florio, Giro diSicilia e il Gran Premio , oltre ad altre gare. Lancia D24 con Taruffi a Torino, presentata a Gianni Lancia
  • 34. 34 La Lancia D50 fu invece la vettura monoposto di Formula 1, progettata da Vittorio Jano e presentata alla fine della stagione agonistica 1954. Fece sensazione per le sue inedite soluzioni costruttive: motore a 8 cilindri a V di 90°, in posizione angolata rispetto all’asse longitudinale della vettura, canne cilindri riportate, quattro carburatori a doppio corpo, accensione con due candele per cilindro, telaio a traliccio tubolare irrigidito anteriormente dal blocco motore che aveva anche funzione portante, due serbatoi di carburante sistemati esternamente alla carrozzeria. La carriera sportiva della D50 nella squadra Lancia fu però particolarmente breve . il motore a 8 cil a V. All’ultimo G.P. del 1954, quello di Spagna, le due vetture partecipanti con Alberto Ascarie e Gigi Villoresi, si ritirarono, anche se Alberto Ascari ottenne il miglio tempo sul giro.
  • 35. 35 All’inizio della stagione 1955, la D50 vinse il G.P. di Torino, classificandosi al primo, terzo e quarto posto, quindi al G.P. di Pau, si classificarono al secondo, quarto e quinto posto. Ancora al G.P. di Napoli si classificarono seconda e terza , guidate da Ascari e da Villoresi. Nel Maggio del 1955 al XV G.P. di Montecarlo, quattro vetture presero parte alla gara, e si classificarono : 2° con Castelloti, 5° con Villoresi e 6° con Luois Chiron, mentre Alberto Ascari dovette ritirarsi, cadendo in mare. Qualche settimana dopo, provando a Monza la Ferrari sport di Eugenio Castellotti, Ascari usciva di pista perdendo la vita. Gianni Lancia , il patron della casa, decideva allora di abbandonare l’attività agonistica e donava alla Ferrari tutte le macchine e il materiale. L’anno successivo la Lancia-Ferrari di formula 1 conquistava con Juan Manuel Fangio il titolo mondiale piloti, a conclusione del Gran Premio d’Italia a Monza nel Settembre del 1956. A. Ascari con la D50 in prova Le notizie sulle Lancia sport D23, D24 e D50 sono tratte dal libro di Lorenzo Morello : “ Lancia, Storie di innovazione tecnologica nelle automobili” edito dal Centro storico Fiat.
  • 36. 36 VI. Un incontro inaspettato Svoltando da Via Calzolai , a Piacenza, mi apparve all’improvviso: bella, sinuosa, nel colore rosso rubino, acquattata all’ombra del bronzo equestre di Alessandro Farnese, con le curve vistose ideate dalla Touring di Milano, allora vincenti in fatto di aerodinamica. La riconobbi subito : era l’ Alfa Romeo 8c 2900B berlinetta speciale del 1938, esemplare unico, di cui molte volte lessi le vicissitudini e che finora mai ero riuscito a vedere dal vivo. Che bella sorpresa , incredibile !. Era circondata da un folto gruppo di studenti che ne avrebbe dovuto abbozzare disegni e schizzi , secondo le emozioni che l’evento e i luoghi magici avrebbero senz’altro suscitato. Il collaudatore presente raccontò la storia di quell’Alfa : la vettura fu allestita nella Primavera del 1938 dalla Touring di Milano, per prendere parte alla ventiquattrore di Les Mans in calendario, dove l’Alfa vinse dal 1931 al 1934 ininterrottamente, mentre nel 1935 giunse seconda. Carlo Felice Anderloni , capo della Touring di Milano, volle nell’occasione predisporre una vettura a fiancate integrali invece che a parafanghi separati e prominenti di rigore allora , come pure l’abitacolo e il posteriore a torretta in ossequio alle nuove teorie di Kamm e Jaray per migliorare l’efficienza aerodinamica. Il motore era quanto di meglio l’Alfa Romeo disponesse : otto cilindri in linea, bi-blocco in lega leggera, di 2900 cc di cilindrata, da 220 HP , con doppio asse a camme e valvole in testa inclinate , doppio compressore Roots e doppi carburatori . Il gruppo cambio, frizione e differenziale montato al retrotreno per una più equilibrata distribuzione dei pesi. La Touring allestì su questa base una gabbia reticolare in tubi e profilati di piccolo diametro in acciaio speciale, assemblata poi dai bravi battilastra della carrozzeria ,in lamiere di diversi tipi di lega d’alluminio , con finestrini e lunotto in plexiglas. Il peso della
  • 37. 37 berlinetta era stimato intorno ai Kg. 1.150. La velocità massima si aggirava intorno ai 220/240 Km/h. La 2900B_8C Touring del 1938 , one-off, berlinetta speciale soprannominata "Soffio di Satana" fu in testa per oltre 20 delle 24 ore a Le Mans , ma alla fine costretta al ritiro per lo scoppio di uno pneumatico lungo il rettilineo "Les Hunaudierès" con Biondetti al volante . Si trovava in testa con oltre 14 giri di vantaggio , cioè circa un’ora e mezza , sulla Delahaye 6 cil. 3500 cc. di Chaboud- Trémoulet che poi vinsero la gara. Tale vettura farà parte della collezione del “Museo Alfa Romeo” di Arese che in occasione dell’inaugurazione di Expo 2015 verrà riaperto al pubblico. (le notizie tecniche e il nome “Soffio di Satana” sono tratti dal n.1 di Ruote Classiche del Novembre 1987) Ecco la 8c 2900 B a Le Mans in una sosta per i rifornimenti
  • 38. 38 Foto dalla rievocazione storica di Goodwood, Inghilterra del 2010. Il cruscotto ed il motore della 8c. 2900B Le Mans
  • 39. 39