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Facebook lo ha inventato Caravaggio
Intervento a cura di Oracle Italia
Andrea Zinno - Business Development Manager
Il tema è sempre lo stesso, in fondo: servire la mia clientela/cittadinanza nel modo migliore possibile,
affinché mi resti fedele e rappresenti per me un valore, non solo e non necessariamente economico.
Lo sviluppo di nuovi modelli partecipativi non cambia l’essenza del problema: c’è qualcuno che offre
qualcosa ad altri che ne hanno (o potrebbero averne, o pensano di averne) bisogno. La
clientela/cittadinanza chiede – e ragionevolmente ognuno chiede qualcosa che vorrebbe fosse tagliata su
misura per lui – l’azienda/amministrazione offre – e ragionevolmente vorrebbe offrire qualcosa di
standardizzato, che costi meno produrre e mantenere.
La dicotomia è sempre la stessa: approccio sartoriale o grande distribuzione ?
La domanda è sempre la stessa: dove sta il punto di equilibrio ?
C’è però un elemento nuovo e prorompente: la dinamica della relazione introdotta dai Social Media. Una
dinamica che sfuma i ruoli, che sposta l’ago della bilancia del controllo, e forse del potere, che assegna a
ciascuno di noi (membro della community) un ruolo mutevole, che può essere quello del cliente, quando
compro; quello del partner, quando recensisco positivamente; quello del competitor, quando lo faccio
negativamente.
Questa mutevolezza dei ruoli diventa elemento di potenziale valore anche per l’azienda/amministrazione,
che può pensare di delegare alla rete, implicitamente o esplicitamente, ciò che prima faceva in prima
persona. Implicitamente attraverso l’osservazione, esplicitamente attraverso la selezione di particolari
interlocutori, che rappresentino l’estensione digitale e comunitaria dell’azienda/amministrazione stessa.
Citando il Professor Carlo Alberto Maffè, nel mondo dei Social Media siamo tutti azionisti.
La dignità del singolo nella moltitudine della massa.
La CX e i Social Media rendono possibile, al tempo stesso, di dar voce alla comunità e al singolo, con pari
dignità.
L’uno non esiste senza l’altro e la forza comunicativa della comunità trascende quella risultante dalla
somma dei singoli. La comunità si alimenta dai singoli ma ne aggiunge forza, proprio in virtù dell’essere
comunità. Da questo punto di vista la comunità è sicuramente una struttura olistica.
L’abilità consiste allora nell’essere in grado di bilanciare i due estremi, riuscendo a conoscere i singoli, senza
però perdere la loro identità in quanto parte di una comunità. Il singolo, sotto certi aspetti, è un multi-
singolo, dove agli elementi individuali (ontologici) si sommano quelli derivanti dall’essere parte di una o più
comunità (ontici). Il singolo si incarna di volta in volta nella comunità alla quale partecipa.
La conoscenza del singolo, secondo i termini appena detti, deve essere “finalizzata”. Non voglio/debbo
conoscere qualcuno in-quanto-tale, ma per i fini che intendo perseguire, quali essi siano. Questa visione
“intenzionale” (cioè diretta sul mondo) della conoscenza (o della profilazione) fa si che diventi imperativo il
controllo dell’intero processo, dalle “intenzioni” dell’azienda/amministrazione, al modo in cui esse si
realizzano nell’interazione con il singolo/comunità.
La CX non è fatta di “momenti” ma, piuttosto, è un continuum, dove i singoli momenti altro non sono che
particolari eventi nei quali si realizza la continuità dell’interazione.
La CX non è un processo lineare, con un inizio e una fine, quanto piuttosto uno stato permanente, che lega
indissolubilmente il cliente/cittadino all’impresa/amministrazione. Uno stato che può vivere di alti e bassi,
di eccitazione e frustrazione.
Qui forse è l’elemento chiave, nel senso che il passaggio dal CRM alla CX non si riduce semplicemente
nell’aprirsi ad un nuovo canale, quello dei Social Media, quanto piuttosto, come fece San Girolamo con la
Bibbia, di tradurre il vecchio modello di gestione della relazione nel nuovo, secondo una riscrittura che
faccia propri i principi che governano il nuovo paradigma.
Ciò che è andato bene fino a oggi, ammesso che sia andato bene, non è detto vada bene per il nuovo.
Dobbiamo imparare, non solo una nuova lingua, ma un intero nuovo modello di comunicazione (cfr.
Wittgenstein - "Se un leone potesse parlare, non lo capiremmo comunque"). Non cambia solo il linguaggio,
ma cambiano anche i concetti.
Tutto diventa più veloce, più pubblico, più interattivo.
Paradossalmente (forse), è il mondo dei Social Media ad inglobare tutti gli altri, piuttosto che diventarne
una nuova estensione.
I Social Media sono ciò che la Teoria Copernicana fu per l’astronomia, con in più la certezza che questo
cambiamento non sia considerato un’eresia, ma piuttosto un fatto osservato. I Social Media sono il sole,
tutti gli altri canali i pianeti.
Per chi decide di intraprendere il cammino, gli effetti dell’entrare in modo sistematico, pianificato e
strategico nel mondo dei Social Media, con il fine di “mettersi in gioco” e di offrire ai propri interlocutori
una CX di eccellenza, possono rappresentare una vera e propria folgorazione (per l’estasi, non so, e mi
rimetto alla sfera emotiva di ciascuno di voi).
Non è infrequente che le dinamiche indotte da questo nuovo modello partecipativo sfuggano alle previsioni
– nel bene e nel male – conducendo ad effetti in certi casi prorompenti.
La capacità virale dei Social Media può essere travolgente, amplificando la nostra voce e quella dei nostri
interlocutori. Diventa pertanto un fattore chiave avere il massimo controllo possibile su tale amplificazione,
prima, durante e dopo che essa si manifesti.
Questa folgorazione, tuttavia, non deve far trascurare gli altri canali, quelli eventualmente utilizzati sino a
quel momento, quanto piuttosto lavorare sempre per una loro piena e reale integrazione. Non sono io a
poter decidere quali canali utilizzeranno i miei clienti/cittadini – benché forse mi piacerebbe fosse così – e
devo essere quindi pronto a gestire una relazione e una comunicazione che siano, per così dire, realmente
Channel Independent e che consentano al mio interlocutore di agire secondo quelle che sono le sue
preferenze “qui e adesso”.
Se la folgorazione è la nostra, una folgorazione che ci apre al mondo dei Social Media, l’estasi vorremmo
fosse quella dei nostri interlocutori – cittadini e/o consumatori – che interagendo con noi in un modo
nuovo e moderno, trovino tutte le risposte che cercano, dalla migliore qualità e nel minor tempo possibile.
Due letture
La prima è che la rapida evoluzione dei modelli partecipativi e relazionali, le dinamiche secondo le quali
queste si realizzano, la scala temporale della relazione che viene sempre più compressa, facendo si che
quello che un tempo si sviluppava in mesi, oggi si esaurisce in giorni, se non in ore, impone che non sia più
possibile – ammesso che prima lo fosse – riposare sugli allori e bearsi di un successo che per sua stessa
natura è effimero.
Non solo il nuovo modo di interpretare la relazione impone un forte controllo sul suo intero processo,
condizione necessaria per una CX di qualità, ma anche di prendere atto del fatto che i processi di oggi
possano non essere quelli di domani (e con “domani” intendo domani).
Non riposare sugli allori, vuol dire che non solo devo essere pronto a reagire al cambiamento, ma devo
operare per poterlo anticipare e devo anche pormi l’obiettivo, ambizioso, di essere io ad indirizzarlo, il
cambiamento.
La seconda è che devo sempre conoscere me stesso, tanto bene quando conosco, o vorrei conoscere, gli
altri (SunTzu – L’arte della guerra – “Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti
troverai in pericolo”). Non esiste relazione senza la conoscenza e tale conoscenza deve essere completa.
Devo conoscere il mio interlocutore, devo conoscere me stesso e devo sapere cosa sono e non sono in
grado di fare.
E per conoscere me stesso tanto bene quanto conosco gli altri, non ho che l’osservazione continua,
strategica e pianificata.
...quindi incredulità, o piuttosto curiosità, per sfruttare al meglio il potenziale offerto dai nuovi paradigmi di
relazione/comunicazione. Partecipare non è più sufficiente: bisogna anche conoscere ciò che accade;
perché accade e cosa fare affinché qualcosa accada o non accada.
Non essere curiosi implica non sfruttare appieno il potenziale e non bisogna mai dare nulla per scontato,
pur con la difficoltà di comprendere le motivazioni potendo osservare solo il comportamento.
Le usuali tecniche di analisi mostrano la corda ed è necessario esplorare nuove strade, che siano in grado di
comprendere quello che oramai viene indicato come “Digital Body Language”, un misto di linguaggio
naturale, semiotica e simbolismo, dal quale derivare, o meglio ipotizzare, ciò che si dice e si pensa di noi – il
sentiment – in modo da poter reagire con azioni che mantengano la relazione sui binari della reciproca
soddisfazione.
Anche qui abbiamo due letture, sempre connesse con il tema dell’analisi
La prima è che siamo in un mondo fortemente partecipato, dove le nostre scelte sono guidate non sempre
in modo consapevole e i risultati che vogliamo raggiungere sono influenzati, ora più che mai, da fattori
esogeni, che forse possiamo prevedere, ma difficilmente possiamo controllare direttamente.
Ciò che avviene all’interno della comunità è, per definizione, visibile a tutti e anche un attore totalmente
passivo può formarsi opinioni dalla semplice osservazione di ciò che accade e condividere a sua volta tali
opinioni, secondo meccanismi profondamente virali. Elementi positivi e negativi sono quindi amplificati
negli effetti.
Si guarda ciò che accade per trarne spunti e norme di comportamento; per capire cosa fare e cosa non fare;
per giocare al meglio le nostre carte. E tutto ciò accade senza che l’azienda/amministrazione se ne debba
necessariamente accorgere.
La seconda è che nella rete non è possibile barare; prima o poi ciò che accade – o meglio, ciò che viene
percepito come accaduto – diventa di dominio pubblico, nel bene o nel male. Il controllo lungo l’intero
processo che caratterizza la relazione – o meglio, l’experience - diventa quindi fondamentale. Ogni perdita
di contatto può rappresentare un momento di fuga difficilmente recuperabile.
Partecipare ed essere coinvolti porta con se il rischio, nel peggiore dei casi, di essere esposti al pubblico
ludibrio. E, in questo caso, la resurrezione è tutt’altro che facile.
Non si può partecipare senza accettare questo rischio. Peggio ancora, anche se non partecipiamo
ufficialmente, il rischio permane, con in più l’aggravante di non poter sapere quando qualcosa è accaduto e,
di conseguenza, di rischiare di non avere diritto di replica o di averlo quando è troppo tardi.
La soluzione, quindi, è quella di una partecipazione attenta e continua, che da un lato aiuta il controllo e
dall’altro da la sensazione di esserci, cosa che di per se è già un valore.
La partecipazione, inoltre, deve essere pianificata, non estemporanea, per ridurre il rischio di essere
percepita come interessata , come legata ad un fine aziendale ben specifico (partecipi solo perché hai, qui e
adesso, interesse a vendermi/offrirmi qualcosa).
Insomma, ricordando ne“Il ritratto di Dorian Gray” (Oscar Wilde – 1890) le parole “There is only one thing
in the world worse than being talked about, and that is not being talked about” (e relative re-
interpretazioni andreottiane), dobbiamo esserci, con consapevolezza, attenzione e con un disegno chiaro,
ma dobbiamo esserci.
Purtroppo, che ci piaccia o no, nell’epoca dei Social Media, l’accusa conta più della sua fondatezza. Nulla di
nuovo, in fondo, anche nella carta stampata l’accusa è sempre a quattro colonne in prima pagina, mentre la
smentita e un articolo di spalla nell’ultima.
L’unica arma che abbiamo è il presidio, di qualità, e la reattività. Anticipare l’accusa, per quanto possibile, è
sempre meglio che porvi rimedio. Porvi rimedio nell’immediatezza dell’accusa è sempre meglio che farlo
quando l’accusa, in modo virale, si è diffusa in modo incontrollabile, come una pandemia.
Dobbiamo agire come fossimo un vaccino e non come la cura.
Presidiare e reagire implicano il controllo sull’intero processo, indipendentemente da dove tale processo
prende avvio (dal consumatore/cittadino o dall’azienda/amministrazione).
Reagire in un mondo condiviso vuol dire adattare, in modo strategico e pianificato, il proprio
comportamento alla natura stessa di tale mondo e non adeguarsi ad esso in modo tattico e contingente.
I Social Media sono la rivincita dei Davide contro i Golia.
La viralità e la capacità di amplificazione delle comunità sono tali da non poter più controllare, nel bene e
nel male, ciò che accade e se un tempo il singolo si sentiva in soggezione rispetto
all’azienda/amministrazione, adesso ha le armi per la sua rivalsa, ben sapendo che ciò che pubblicamente
dirà avrà una cassa di risonanza amplissima.
Ciò che di negativo accade non potrà più essere tenuto nascosto e diventa quindi imperante agire alla
fonte, ponendo la massima cura possibile affinché nulla di negativo accada o, qualora accada, di reagirvi in
modo tempestivo.
Nascondere la testa dopo che Davide l’ha tagliata è troppo tardi. Dobbiamo fermare la lama prima che
colpisca e, se non ci riusciamo, dobbiamo essere bravi nel riattaccare la testa sul nostro collo.
Quindi, proseguendo sul tema, analizzare il presente per anticipare il futuro, ma anche analizzare e agire
affinché il futuro sia quello che noi vorremmo che fosse.
E’ vero che una comunità segue dinamiche difficilmente prevedibili, con cambi di rotta repentini, come i gli
storni nel cielo, ma è pur vero che, piuttosto che semplicemente osservare, tentando di capire dove avverrà
la successiva svolta, sembra ragionevole intraprendere azioni che, in qualche modo, suggeriscano tale
direzione.
Non si analizza quindi più solo per capire cosa e perché accade, ma anche per anticipare azioni che siano in
grado, sperabilmente, di modificare il futuro che sarebbe senza tali azioni. Dal reagire al verificarsi di un
evento all’anticipazione del suo possibile accadimento, forti del detto “meglio prevenire che curare”.
Non stiamo fuggendo, casomai inseguendo, ma siamo arrivati al momento del riposo e delle conclusioni
1. Non stiamo parlando di una semplice estensione di ciò che è adesso a ciò che sarà. Stiamo parlando
di una profonda riprogettazione del nostro modello di relazione, che riveda il fulcro intorno al quale
il modello ruota e dia centralità all’esperienza (nel senso di provare qualcosa e non di conoscere)
nel suo complesso, come elemento emotivo più che funzionale e/o tecnologico.
2. I Social Media non sono un nuovo canale, almeno non solo, ma un nuovo paradigma che governa la
relazione tra noi e loro. I Social Media, parafrasando Henry Ford, sono l’automobile dopo il cavallo e
non un cavallo più veloce
3. La digitalizzazione, ovvero il progressivo e pieno passaggio ad una CX di qualità, è un problema di
Change Management e non tecnologico, anche se la tecnologia ne rappresenta uno degli elementi
abilitanti fondamentali.
4. L’analisi di ciò che accade non può più essere considerata come un “qualcosa da fare semmai
dopo”, ma diventa un elemento fondante, essenziale, di una iniziativa di CX, tanto più quando
questa è legata a filo doppio al mondo dei Social Media. Non analizzo più solo per capire cosa è
successo o, al più, cosa sta succedendo, ma analizzo per capire cosa potrà succedere, come e
perché e cosa devo/posso fare affinché accada qualcosa di diverso. Non è più nemmeno possibile
definire una strategia senza una piena conoscenza del fenomeno, per cui l’analisi, da un “qualcosa
che viene dopo”, diventa un “qualcosa che viene prima, necessario per poter definire cosa io voglia
fare dopo”.
5. La CX è un processo continuo, dinamico e mutevole. Non è un progetto e nemmeno un programma.
E’ uno stato continuo, una sorta di alveo nel quale scorre il fiume della relazione
6. I Social Media comprimono la scala temporale. Ciò che prima accadeva in giorni, ora accade in ore,
se non in minuti. Vorremmo tutti poter reagire, usando un ossimoro, in modo “istintivamente
pianificato”.
Per concludere e lasciarci con un pensiero sulla CX potremmo allora citare Proust, che ne “Alla ricerca del
tempo perduto”, ci dice che “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere
nuovi occhi”.

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  • 1. Facebook lo ha inventato Caravaggio Intervento a cura di Oracle Italia Andrea Zinno - Business Development Manager
  • 2. Il tema è sempre lo stesso, in fondo: servire la mia clientela/cittadinanza nel modo migliore possibile, affinché mi resti fedele e rappresenti per me un valore, non solo e non necessariamente economico. Lo sviluppo di nuovi modelli partecipativi non cambia l’essenza del problema: c’è qualcuno che offre qualcosa ad altri che ne hanno (o potrebbero averne, o pensano di averne) bisogno. La clientela/cittadinanza chiede – e ragionevolmente ognuno chiede qualcosa che vorrebbe fosse tagliata su misura per lui – l’azienda/amministrazione offre – e ragionevolmente vorrebbe offrire qualcosa di standardizzato, che costi meno produrre e mantenere. La dicotomia è sempre la stessa: approccio sartoriale o grande distribuzione ? La domanda è sempre la stessa: dove sta il punto di equilibrio ? C’è però un elemento nuovo e prorompente: la dinamica della relazione introdotta dai Social Media. Una dinamica che sfuma i ruoli, che sposta l’ago della bilancia del controllo, e forse del potere, che assegna a ciascuno di noi (membro della community) un ruolo mutevole, che può essere quello del cliente, quando compro; quello del partner, quando recensisco positivamente; quello del competitor, quando lo faccio negativamente. Questa mutevolezza dei ruoli diventa elemento di potenziale valore anche per l’azienda/amministrazione, che può pensare di delegare alla rete, implicitamente o esplicitamente, ciò che prima faceva in prima persona. Implicitamente attraverso l’osservazione, esplicitamente attraverso la selezione di particolari interlocutori, che rappresentino l’estensione digitale e comunitaria dell’azienda/amministrazione stessa. Citando il Professor Carlo Alberto Maffè, nel mondo dei Social Media siamo tutti azionisti.
  • 3. La dignità del singolo nella moltitudine della massa. La CX e i Social Media rendono possibile, al tempo stesso, di dar voce alla comunità e al singolo, con pari dignità. L’uno non esiste senza l’altro e la forza comunicativa della comunità trascende quella risultante dalla somma dei singoli. La comunità si alimenta dai singoli ma ne aggiunge forza, proprio in virtù dell’essere comunità. Da questo punto di vista la comunità è sicuramente una struttura olistica. L’abilità consiste allora nell’essere in grado di bilanciare i due estremi, riuscendo a conoscere i singoli, senza però perdere la loro identità in quanto parte di una comunità. Il singolo, sotto certi aspetti, è un multi- singolo, dove agli elementi individuali (ontologici) si sommano quelli derivanti dall’essere parte di una o più comunità (ontici). Il singolo si incarna di volta in volta nella comunità alla quale partecipa. La conoscenza del singolo, secondo i termini appena detti, deve essere “finalizzata”. Non voglio/debbo conoscere qualcuno in-quanto-tale, ma per i fini che intendo perseguire, quali essi siano. Questa visione “intenzionale” (cioè diretta sul mondo) della conoscenza (o della profilazione) fa si che diventi imperativo il controllo dell’intero processo, dalle “intenzioni” dell’azienda/amministrazione, al modo in cui esse si realizzano nell’interazione con il singolo/comunità. La CX non è fatta di “momenti” ma, piuttosto, è un continuum, dove i singoli momenti altro non sono che particolari eventi nei quali si realizza la continuità dell’interazione. La CX non è un processo lineare, con un inizio e una fine, quanto piuttosto uno stato permanente, che lega indissolubilmente il cliente/cittadino all’impresa/amministrazione. Uno stato che può vivere di alti e bassi, di eccitazione e frustrazione.
  • 4. Qui forse è l’elemento chiave, nel senso che il passaggio dal CRM alla CX non si riduce semplicemente nell’aprirsi ad un nuovo canale, quello dei Social Media, quanto piuttosto, come fece San Girolamo con la Bibbia, di tradurre il vecchio modello di gestione della relazione nel nuovo, secondo una riscrittura che faccia propri i principi che governano il nuovo paradigma. Ciò che è andato bene fino a oggi, ammesso che sia andato bene, non è detto vada bene per il nuovo. Dobbiamo imparare, non solo una nuova lingua, ma un intero nuovo modello di comunicazione (cfr. Wittgenstein - "Se un leone potesse parlare, non lo capiremmo comunque"). Non cambia solo il linguaggio, ma cambiano anche i concetti. Tutto diventa più veloce, più pubblico, più interattivo. Paradossalmente (forse), è il mondo dei Social Media ad inglobare tutti gli altri, piuttosto che diventarne una nuova estensione. I Social Media sono ciò che la Teoria Copernicana fu per l’astronomia, con in più la certezza che questo cambiamento non sia considerato un’eresia, ma piuttosto un fatto osservato. I Social Media sono il sole, tutti gli altri canali i pianeti.
  • 5. Per chi decide di intraprendere il cammino, gli effetti dell’entrare in modo sistematico, pianificato e strategico nel mondo dei Social Media, con il fine di “mettersi in gioco” e di offrire ai propri interlocutori una CX di eccellenza, possono rappresentare una vera e propria folgorazione (per l’estasi, non so, e mi rimetto alla sfera emotiva di ciascuno di voi). Non è infrequente che le dinamiche indotte da questo nuovo modello partecipativo sfuggano alle previsioni – nel bene e nel male – conducendo ad effetti in certi casi prorompenti. La capacità virale dei Social Media può essere travolgente, amplificando la nostra voce e quella dei nostri interlocutori. Diventa pertanto un fattore chiave avere il massimo controllo possibile su tale amplificazione, prima, durante e dopo che essa si manifesti. Questa folgorazione, tuttavia, non deve far trascurare gli altri canali, quelli eventualmente utilizzati sino a quel momento, quanto piuttosto lavorare sempre per una loro piena e reale integrazione. Non sono io a poter decidere quali canali utilizzeranno i miei clienti/cittadini – benché forse mi piacerebbe fosse così – e devo essere quindi pronto a gestire una relazione e una comunicazione che siano, per così dire, realmente Channel Independent e che consentano al mio interlocutore di agire secondo quelle che sono le sue preferenze “qui e adesso”. Se la folgorazione è la nostra, una folgorazione che ci apre al mondo dei Social Media, l’estasi vorremmo fosse quella dei nostri interlocutori – cittadini e/o consumatori – che interagendo con noi in un modo nuovo e moderno, trovino tutte le risposte che cercano, dalla migliore qualità e nel minor tempo possibile.
  • 6. Due letture La prima è che la rapida evoluzione dei modelli partecipativi e relazionali, le dinamiche secondo le quali queste si realizzano, la scala temporale della relazione che viene sempre più compressa, facendo si che quello che un tempo si sviluppava in mesi, oggi si esaurisce in giorni, se non in ore, impone che non sia più possibile – ammesso che prima lo fosse – riposare sugli allori e bearsi di un successo che per sua stessa natura è effimero. Non solo il nuovo modo di interpretare la relazione impone un forte controllo sul suo intero processo, condizione necessaria per una CX di qualità, ma anche di prendere atto del fatto che i processi di oggi possano non essere quelli di domani (e con “domani” intendo domani). Non riposare sugli allori, vuol dire che non solo devo essere pronto a reagire al cambiamento, ma devo operare per poterlo anticipare e devo anche pormi l’obiettivo, ambizioso, di essere io ad indirizzarlo, il cambiamento. La seconda è che devo sempre conoscere me stesso, tanto bene quando conosco, o vorrei conoscere, gli altri (SunTzu – L’arte della guerra – “Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo”). Non esiste relazione senza la conoscenza e tale conoscenza deve essere completa. Devo conoscere il mio interlocutore, devo conoscere me stesso e devo sapere cosa sono e non sono in grado di fare. E per conoscere me stesso tanto bene quanto conosco gli altri, non ho che l’osservazione continua, strategica e pianificata.
  • 7. ...quindi incredulità, o piuttosto curiosità, per sfruttare al meglio il potenziale offerto dai nuovi paradigmi di relazione/comunicazione. Partecipare non è più sufficiente: bisogna anche conoscere ciò che accade; perché accade e cosa fare affinché qualcosa accada o non accada. Non essere curiosi implica non sfruttare appieno il potenziale e non bisogna mai dare nulla per scontato, pur con la difficoltà di comprendere le motivazioni potendo osservare solo il comportamento. Le usuali tecniche di analisi mostrano la corda ed è necessario esplorare nuove strade, che siano in grado di comprendere quello che oramai viene indicato come “Digital Body Language”, un misto di linguaggio naturale, semiotica e simbolismo, dal quale derivare, o meglio ipotizzare, ciò che si dice e si pensa di noi – il sentiment – in modo da poter reagire con azioni che mantengano la relazione sui binari della reciproca soddisfazione.
  • 8. Anche qui abbiamo due letture, sempre connesse con il tema dell’analisi La prima è che siamo in un mondo fortemente partecipato, dove le nostre scelte sono guidate non sempre in modo consapevole e i risultati che vogliamo raggiungere sono influenzati, ora più che mai, da fattori esogeni, che forse possiamo prevedere, ma difficilmente possiamo controllare direttamente. Ciò che avviene all’interno della comunità è, per definizione, visibile a tutti e anche un attore totalmente passivo può formarsi opinioni dalla semplice osservazione di ciò che accade e condividere a sua volta tali opinioni, secondo meccanismi profondamente virali. Elementi positivi e negativi sono quindi amplificati negli effetti. Si guarda ciò che accade per trarne spunti e norme di comportamento; per capire cosa fare e cosa non fare; per giocare al meglio le nostre carte. E tutto ciò accade senza che l’azienda/amministrazione se ne debba necessariamente accorgere. La seconda è che nella rete non è possibile barare; prima o poi ciò che accade – o meglio, ciò che viene percepito come accaduto – diventa di dominio pubblico, nel bene o nel male. Il controllo lungo l’intero processo che caratterizza la relazione – o meglio, l’experience - diventa quindi fondamentale. Ogni perdita di contatto può rappresentare un momento di fuga difficilmente recuperabile.
  • 9. Partecipare ed essere coinvolti porta con se il rischio, nel peggiore dei casi, di essere esposti al pubblico ludibrio. E, in questo caso, la resurrezione è tutt’altro che facile. Non si può partecipare senza accettare questo rischio. Peggio ancora, anche se non partecipiamo ufficialmente, il rischio permane, con in più l’aggravante di non poter sapere quando qualcosa è accaduto e, di conseguenza, di rischiare di non avere diritto di replica o di averlo quando è troppo tardi. La soluzione, quindi, è quella di una partecipazione attenta e continua, che da un lato aiuta il controllo e dall’altro da la sensazione di esserci, cosa che di per se è già un valore. La partecipazione, inoltre, deve essere pianificata, non estemporanea, per ridurre il rischio di essere percepita come interessata , come legata ad un fine aziendale ben specifico (partecipi solo perché hai, qui e adesso, interesse a vendermi/offrirmi qualcosa). Insomma, ricordando ne“Il ritratto di Dorian Gray” (Oscar Wilde – 1890) le parole “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about” (e relative re- interpretazioni andreottiane), dobbiamo esserci, con consapevolezza, attenzione e con un disegno chiaro, ma dobbiamo esserci.
  • 10. Purtroppo, che ci piaccia o no, nell’epoca dei Social Media, l’accusa conta più della sua fondatezza. Nulla di nuovo, in fondo, anche nella carta stampata l’accusa è sempre a quattro colonne in prima pagina, mentre la smentita e un articolo di spalla nell’ultima. L’unica arma che abbiamo è il presidio, di qualità, e la reattività. Anticipare l’accusa, per quanto possibile, è sempre meglio che porvi rimedio. Porvi rimedio nell’immediatezza dell’accusa è sempre meglio che farlo quando l’accusa, in modo virale, si è diffusa in modo incontrollabile, come una pandemia. Dobbiamo agire come fossimo un vaccino e non come la cura. Presidiare e reagire implicano il controllo sull’intero processo, indipendentemente da dove tale processo prende avvio (dal consumatore/cittadino o dall’azienda/amministrazione). Reagire in un mondo condiviso vuol dire adattare, in modo strategico e pianificato, il proprio comportamento alla natura stessa di tale mondo e non adeguarsi ad esso in modo tattico e contingente.
  • 11. I Social Media sono la rivincita dei Davide contro i Golia. La viralità e la capacità di amplificazione delle comunità sono tali da non poter più controllare, nel bene e nel male, ciò che accade e se un tempo il singolo si sentiva in soggezione rispetto all’azienda/amministrazione, adesso ha le armi per la sua rivalsa, ben sapendo che ciò che pubblicamente dirà avrà una cassa di risonanza amplissima. Ciò che di negativo accade non potrà più essere tenuto nascosto e diventa quindi imperante agire alla fonte, ponendo la massima cura possibile affinché nulla di negativo accada o, qualora accada, di reagirvi in modo tempestivo. Nascondere la testa dopo che Davide l’ha tagliata è troppo tardi. Dobbiamo fermare la lama prima che colpisca e, se non ci riusciamo, dobbiamo essere bravi nel riattaccare la testa sul nostro collo.
  • 12. Quindi, proseguendo sul tema, analizzare il presente per anticipare il futuro, ma anche analizzare e agire affinché il futuro sia quello che noi vorremmo che fosse. E’ vero che una comunità segue dinamiche difficilmente prevedibili, con cambi di rotta repentini, come i gli storni nel cielo, ma è pur vero che, piuttosto che semplicemente osservare, tentando di capire dove avverrà la successiva svolta, sembra ragionevole intraprendere azioni che, in qualche modo, suggeriscano tale direzione. Non si analizza quindi più solo per capire cosa e perché accade, ma anche per anticipare azioni che siano in grado, sperabilmente, di modificare il futuro che sarebbe senza tali azioni. Dal reagire al verificarsi di un evento all’anticipazione del suo possibile accadimento, forti del detto “meglio prevenire che curare”.
  • 13. Non stiamo fuggendo, casomai inseguendo, ma siamo arrivati al momento del riposo e delle conclusioni 1. Non stiamo parlando di una semplice estensione di ciò che è adesso a ciò che sarà. Stiamo parlando di una profonda riprogettazione del nostro modello di relazione, che riveda il fulcro intorno al quale il modello ruota e dia centralità all’esperienza (nel senso di provare qualcosa e non di conoscere) nel suo complesso, come elemento emotivo più che funzionale e/o tecnologico. 2. I Social Media non sono un nuovo canale, almeno non solo, ma un nuovo paradigma che governa la relazione tra noi e loro. I Social Media, parafrasando Henry Ford, sono l’automobile dopo il cavallo e non un cavallo più veloce 3. La digitalizzazione, ovvero il progressivo e pieno passaggio ad una CX di qualità, è un problema di Change Management e non tecnologico, anche se la tecnologia ne rappresenta uno degli elementi abilitanti fondamentali. 4. L’analisi di ciò che accade non può più essere considerata come un “qualcosa da fare semmai dopo”, ma diventa un elemento fondante, essenziale, di una iniziativa di CX, tanto più quando questa è legata a filo doppio al mondo dei Social Media. Non analizzo più solo per capire cosa è successo o, al più, cosa sta succedendo, ma analizzo per capire cosa potrà succedere, come e perché e cosa devo/posso fare affinché accada qualcosa di diverso. Non è più nemmeno possibile definire una strategia senza una piena conoscenza del fenomeno, per cui l’analisi, da un “qualcosa che viene dopo”, diventa un “qualcosa che viene prima, necessario per poter definire cosa io voglia fare dopo”. 5. La CX è un processo continuo, dinamico e mutevole. Non è un progetto e nemmeno un programma. E’ uno stato continuo, una sorta di alveo nel quale scorre il fiume della relazione 6. I Social Media comprimono la scala temporale. Ciò che prima accadeva in giorni, ora accade in ore, se non in minuti. Vorremmo tutti poter reagire, usando un ossimoro, in modo “istintivamente pianificato”.
  • 14. Per concludere e lasciarci con un pensiero sulla CX potremmo allora citare Proust, che ne “Alla ricerca del tempo perduto”, ci dice che “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi”.