Lo sport ha da sempre avuto una stretta relazione con il mondo militare, si può dire che è una rappresentazione dell’“arte della guerra”. Se si intende l’aggressività come componente antropologica ineliminabile, non si può negare che lo sport è nella sua forma attuale un campo di battaglia sostanzialmente pacifico, dove l’uomo può esprimere la sua voglia di primeggiare sull’altro.
Se fin dall’antichità il rapporto era fondamentalmente di utilizzo da parte dei militari della pratica sportiva come un allenamento o una riproposizione mascherata della battaglia e della vittoria, una volta che lo sport a partire dal secondo dopoguerra ha assunto una sua caratterizzazione come fenomeno a sé stante con le sue regole e i suoi valori, è stato esso stesso ad usufruire delle istituzioni militari per ottenerne supporto e sostegno, economico ed organizzativo. Questo è avvenuto nei Paesi del blocco sovietico in chiave ideologica, ancora legata ad un’idea bellicosa dello sport, ma anche in chiave soprattutto utilitaristica in Italia, con un sistema che negli anni è andato rafforzandosi sempre più.
Puntualmente ad ogni edizione dei Giochi Olimpici si aprono le polemiche sugli atleti italiani appartenenti ai diversi gruppi sportivi militari, stipendiati dallo Stato e quindi a carico dei cittadini, che appare un’ulteriore spesa pubblica. Nonostante le vittorie sportive e le medaglie olimpiche, che rappresentano la maggior parte di quelle conquistate dalla delegazione italiana, possono appagare un senso di orgoglio nazionale, c’è sempre un serpeggiante malcontento pensando ad atleti a tutti gli effetti soldati ed agenti, ma esonerati dal mestiere ovvero pagati per svolgere l’attività sportiva professionale a tempo pieno. Il sistema è divenuto indispensabile per lo sport italiano di vertice, in quanto i grandi gruppi polisportivi militari sono gli unici, salvo alcune eccezioni, a garantire un sostegno pieno e di livello assoluto per permettere ai migliori atleti di primeggiare nelle grandi manifestazioni internazionali.
Il seguente lavoro si distinguerà in tre parti. Nella prima verrà messo in luce come la nascita delle pratiche sportive sia strettamente legata l’attività della guerra, e l’utilizzo in chiave di educazione militare e ideologica dello sport nel corso della storia. Nella seconda parte verrà analizzato il sistema del sostegno pubblico italiano dello sport di alto livello tramite i Gruppi sportivi delle Forze Armate (Esercito, Marna, Aeronautica, Carabinieri) e di Polizia (Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria, Guardia Forestale e Vigili del Fuoco) dal punto di vista organizzativo e legislativo. Nella terza ed ultima parte verranno posti in esame i diversi modelli del sostegno militare di tre potenze sportive europee come Francia, Germania e Russia.
Lo sport ha da sempre avuto una stretta relazione con il mondo militare, si può dire che è una rappresentazione dell’“arte della guerra”. Se si intende l’aggressività come componente antropologica ineliminabile, non si può negare che lo sport è nella sua forma attuale un campo di battaglia sostanzialmente pacifico, dove l’uomo può esprimere la sua voglia di primeggiare sull’altro.
Se fin dall’antichità il rapporto era fondamentalmente di utilizzo da parte dei militari della pratica sportiva come un allenamento o una riproposizione mascherata della battaglia e della vittoria, una volta che lo sport a partire dal secondo dopoguerra ha assunto una sua caratterizzazione come fenomeno a sé stante con le sue regole e i suoi valori, è stato esso stesso ad usufruire delle istituzioni militari per ottenerne supporto e sostegno, economico ed organizzativo. Questo è avvenuto nei Paesi del blocco sovietico in chiave ideologica, ancora legata ad un’idea bellicosa dello sport, ma anche in chiave soprattutto utilitaristica in Italia, con un sistema che negli anni è andato rafforzandosi sempre più.
Puntualmente ad ogni edizione dei Giochi Olimpici si aprono le polemiche sugli atleti italiani appartenenti ai diversi gruppi sportivi militari, stipendiati dallo Stato e quindi a carico dei cittadini, che appare un’ulteriore spesa pubblica. Nonostante le vittorie sportive e le medaglie olimpiche, che rappresentano la maggior parte di quelle conquistate dalla delegazione italiana, possono appagare un senso di orgoglio nazionale, c’è sempre un serpeggiante malcontento pensando ad atleti a tutti gli effetti soldati ed agenti, ma esonerati dal mestiere ovvero pagati per svolgere l’attività sportiva professionale a tempo pieno. Il sistema è divenuto indispensabile per lo sport italiano di vertice, in quanto i grandi gruppi polisportivi militari sono gli unici, salvo alcune eccezioni, a garantire un sostegno pieno e di livello assoluto per permettere ai migliori atleti di primeggiare nelle grandi manifestazioni internazionali.
Il seguente lavoro si distinguerà in tre parti. Nella prima verrà messo in luce come la nascita delle pratiche sportive sia strettamente legata l’attività della guerra, e l’utilizzo in chiave di educazione militare e ideologica dello sport nel corso della storia. Nella seconda parte verrà analizzato il sistema del sostegno pubblico italiano dello sport di alto livello tramite i Gruppi sportivi delle Forze Armate (Esercito, Marna, Aeronautica, Carabinieri) e di Polizia (Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria, Guardia Forestale e Vigili del Fuoco) dal punto di vista organizzativo e legislativo. Nella terza ed ultima parte verranno posti in esame i diversi modelli del sostegno militare di tre potenze sportive europee come Francia, Germania e Russia.
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