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La revisione del sistema sanzionatorio penale tributario
Vediamo cosa cambia nel sistema sanzionatorio penale tributario dopo la pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale del Decreto Legislativo 158/2015.
Lo scorso 7 ottobre 2015, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (Serie Generale N. 233 –
Supplemento Ordinario N. 55), il Decreto Legislativo 24 settembre 2015, N. 158, recante: Revisione
del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, N. 23
(Legge Delega per la Riforma Fiscale). L’entrata in vigore del provvedimento è il 22 ottobre 2015,
seppure, a voler essere precisi, l’art. 32 del Decreto stabilisce che le disposizioni di cui al Titolo II
(Revisione del sistema sanzionatorio amministrativo), si applicheranno solo a decorrere dal 1°
gennaio 2017. Peraltro, la presente analisi si limita a prendere in considerazione esclusivamente le
novità previste dal Titolo I: Revisione del sistema sanzionatorio penale tributario.
Nel rafforzamento della competitività del Paese a livello internazionale (a cui tende come obiettivo
finale di lungo periodo, la Legge Delega), assume un ruolo centrale la stabilità del quadro giuridico
di riferimento, da intendersi relativa non solo alla disciplina sostanziale dei singoli tributi o alla
trasparenza e semplificazione del rapporto fiscale, ma anche alla predeterminazione delle
condotte illecite, alla certezza della misura delle sanzioni, alla rapidità dei tempi di irrogazione
della stesse e alla percezione della pena come risposta adeguata e non vessatoria.
Il legislatore ha inteso soddisfare le aspettative di tutti gli attori coinvolti:
- i contribuenti, interessati a conoscere anticipatamente le conseguenze, in termini soprattutto di
rischio, dei propri comportamenti;
- lo Stato, preoccupato di presidiare correttamente gli obblighi fiscali con sanzioni che non siano
percepite dal destinatario, potenziale investitore, nazionale o straniero, come sproporzionate e
disincentivanti.
Secondo i propositi dichiarati dal Governo (ma, come avremo modo di vedere, non coerentemente
attuati), il Decreto mira a una riduzione delle fattispecie penali, operata anche attraverso un
ripensamento e una rimodulazione delle soglie di punibilità, nonché all'individuazione di nuove
ipotesi di non punibilità, destinate a garantire una più efficace risposta ai fatti di reato e, nello
stesso tempo, a riservare all'impianto sanzionatorio amministrativo la repressione di quelle
condotte che si connotano per una diversa e minore gravità.
Ciò premesso, con riferimento al particolare tema qui in argomento, il Governo è stato “delegato a
procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di
predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti”.
Concordiamo sulla circostanza che la delega, parlando di “revisione” e non di “riforma” del diritto
penale tributario, lasci intendere come l'intervento debba comunque articolarsi entro le
coordinate di fondo del sistema vigente (D.Lgs. 74/2000). Viceversa, siamo meno propensi a
considerare raggiunti tali obiettivi da parte del Governo con riferimento a talune gravi lacune che il
Decreto non ha colmato.
La relazione di accompagnamento al Decreto, afferma che: “Un'attenzione preminente deve
essere rivolta ai comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di
documentazione falsa.” Avuto riguardo specie all’articolo 2, l’obiettivo non parrebbe essere stato
perseguito compiutamente.
Passando all'esame delle singole disposizioni, il primo articolo va a modificare l'art. 1 del citato
D.Lgs. 74/2000, dedicato alle norme definitorie. In particolare:
- si interviene sulla lettera b), che disciplina le fattispecie criminose concernenti la
dichiarazione, ora comprendendo tutte le voci, comunque costituite o denominate, che
concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione delle basi imponibili rilevanti
ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto;
- si fornisce la definizione di "imposta evasa" come quella corrispondente alla differenza fra
l'imposta effettivamente dovuta e quella che è stata indicata in dichiarazione (ovvero
l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione), al netto delle somme che il
contribuente, o altri in sua vece (es: sostituito d'imposta), abbiano versato a qualunque
titolo (acconto, ritenuta, etc.), prima della presentazione della dichiarazione o della
scadenza del relativo termine; viene, inoltre, specificato che non si considera imposta
evasa quella teorica collegata a rettifiche in diminuzione di perdite dell'esercizio, o
all'utilizzo di perdite pregresse;
- con l’aggiunta, infine, delle lettere g-bis) e g-ter) vengono fornite due ulteriori definizioni:
le "operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente" si intendono quelle poste in
essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte, ovvero le operazioni riferite a
soggetti fittiziamente interposti;
i "mezzi fraudolenti" sono caratterizzati da tutte quelle condotte artificiose che
determinano una falsa rappresentazione della realtà; l'elemento materiale potrà consistere
sia in condotte attive, sia in condotte omissive: in quest’ultimo caso, però, l'obbligo di agire
dovrà essere imposto da una specifica norma giuridica.
Pare logico osservare che:
- la definizione di operazioni simulate sembra riprodurre, senza alcun sostanziale apporto di
novità, la nozione corrispondente a quella che si deduce dal Codice Civile;
- la definizione di mezzi fraudolenti appare sostanzialmente una norma vuota giacché, non
solo rinvia a non meglio specificati doveri giuridici la determinazione delle condotte illecite,
ma soprattutto perché qualifica come giuridici i doveri cui si deve attenere il contribuente
(il che appare meramente tautologico).
L'articolo 2 del Decreto (modifiche in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture
o altri documenti per operazioni inesistenti) si limita ad ampliare il novero delle dichiarazioni
rilevanti al fine del reato ivi previsto, attraverso la soppressione del riferimento all’annualità delle
stesse. Incredibilmente, resta priva di qualunque modulazione la pena relativa agli importi di tali
elementi, determinati come inesistenti.
Così come correttamente si è provveduto in altri articoli del Decreto a rivedere i limiti minimi
afferenti gli importi penalmente rilevanti, e così come – del resto – il Governo stesso aveva
dichiarato (“il Decreto mira a una riduzione delle fattispecie penali, operata anche attraverso un
ripensamento e una rimodulazione delle soglie di punibilità”), sarebbe stato logico e giusto
attendersi un intervento anche in tali casi. Tra l’altro, non si può certo affermare che il palese
errore sia dipeso da mera sbadataggine o dimenticanza, posto che Il Consiglio Nazionale dei
Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, pur esprimendo una valutazione sostanzialmente
positiva circa l’impianto complessivo dello schema di Decreto Legislativo, sentito in sede di
Commissioni riunite Giustizia e Finanza, aveva chiaramente evidenziato come fosse
imprescindibile intervenire al riguardo.
Dobbiamo, dunque, necessariamente concludere che per qualche recondito e (da un punto di vista
di diritto) inspiegabile motivo politico, il Governo non abbia inteso volutamente eliminare detta
incredibile ingiustizia sanzionatoria che, quindi, permane inalterata.
Giova ricordare che il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. 74/2000 statuiva che se l'ammontare degli
elementi passivi fittizi fosse stato inferiore a euro 154.937,07, si sarebbe applicata la reclusione da
sei mesi a due anni. Il comma 143 dell'art. 1 della L. 24 dicembre 2007, N. 244 ha abrogato tale
comma; per cui, oggi, qualunque ipotesi di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti
(indipendentemente dall’importo) può essere punito con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.
Sarebbe bastato, dunque, almeno limitarsi a ripristinare tale previsione attenuata, la quale, da un
lato svolgeva un importante ruolo di compensazione del rigore sanzionatorio rispetto a condotte
meno gravi, e dall’altro fungeva da necessario pendant in relazione a quanto previsto dall’art. 3.
Quest’ultimo, infatti, in relazione a condotte sostanzialmente analoghe sul piano dell’insidiosità
dei mezzi utilizzati per frodare il Fisco, introduceva, rispetto a condotte meno gravi, delle
significative soglie di punibilità, come tali mantenute anche nel Decreto qui in esame.
A parere di chi scrive, inoltre, la scelta adottata va chiaramente contro quanto disposto da una
parte della Legge Delega, la quale, sul punto, raccomanda di dare rilievo “tenuto conto di
adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti,
simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa”. Ebbene, non v’è
dubbio che le fatture per operazioni inesistenti rientrino nella “documentazione falsa”, e,
pertanto, il Legislatore Delegato avrebbe dovuto valorizzare, anche in relazione a tali condotte,
questo criterio direttivo.
L'articolo 3 modifica la norma incriminatrice della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici,
dilatandone i confini applicativi. La condotta costitutiva del delitto si articolava in tre elementi
distinti: la non veritiera dichiarazione dei redditi o ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, la falsa
rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie (come base) e l'utilizzazione di mezzi
fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento.
Nella nuova formulazione, sparisce il secondo elemento (la falsa rappresentazione nelle scritture
contabili obbligatorie come base). Pertanto, la sfera operativa della figura criminosa risulta
ampliata: da reato proprio dei soli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, in
reato ascrivibile a qualunque soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi o a fini
dell'imposta sul valore aggiunto.
Anche tale previsione, a nostro modesto avviso, potrebbe configurare un’ipotesi di eccesso di
delega da parte del Governo. Si tratta di una scelta che, infatti, non sembra perfettamente in linea
con i criteri indicati nella Legge, la quale ha demandato al Governo di procedere soltanto (come
precisato all’inizio) a una “revisione” del sistema sanzionatorio; non a una rimodulazione delle
fattispecie vigenti.
Altra importante modifica è quella dovuta all’inserimento della congiunzione disgiuntiva "ovvero",
tra le operazioni simulate e l'utilizzo di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei a
ostacolare l'accertamento, che testimonia l'equipollenza di tali elementi ("operazioni simulate",
"documenti falsi", "altri mezzi fraudolenti") e l’autosufficienza di ciascuno di essi a integrare la
condotta del delitto.
Quanto, infine, alle soglie di punibilità, la norma prevede, congiuntamente:
- un’imposta evasa, superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 30 mila;
- un ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante
indicazione di elementi passivi fittizi, superiore al 5 per cento dell'ammontare complessivo degli
elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, superiore a euro un milione
cinquecentomila; ovvero un ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in
diminuzione dell'imposta superiore al 5 per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o
comunque a euro 30 mila.
Il secondo comma precisa che il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi,
quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di
prova nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria.
Il successivo comma 3 afferma, per altro verso, che non rientrano tra i mezzi fraudolenti le mere
violazioni degli obblighi di fatturazione o di emissione di altri documenti di rilievo probatorio
analogo (scontrini fiscali, documenti di trasporto etc.), e di annotazione dei corrispettivi nelle
scritture contabili; o la mera indicazione nelle fatture o nei documenti, ovvero nelle annotazioni di
corrispettivi inferiori a quelli reali.
Francamente, abbiamo letto e riletto tale precetto nel suo complesso, tenendo in debito conto
pure le definizioni di cui all’art. 1, e l’unico obiettivo che ci pare davvero raggiunto dal Governo è
quello di creare confusione. Dire che il tutto appare oltremodo farraginoso e assai poco chiaro, è
un eufemismo. Ci pare inevitabile che, su tali fondamenti normativi, il contenzioso non potrà che
aumentare, e i contribuenti non avranno alcuna certezza su quelli che potranno essere ritenuti dei
comportamenti penalmente rilevanti.
Anche riguardo a tale articolo 3, si deve osservare che la delega demandava al Governo compiti di
revisione, oltre che, secondo criteri di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti,
anche di predeterminazione. Delle previsioni così generiche, invece, infondono notevoli
perplessità sul piano del rispetto del principio di determinatezza.
La disposizione in parola, infine, sembra riproporre una questione che pareva ormai risolta: punire
a titolo di delitto, il titolare di redditi di lavoro autonomo o di impresa che avesse redatto le
scritture contabili obbligatorie o la dichiarazione dei redditi ovvero il bilancio o rendiconto a essa
allegato, dissimulando componenti positivi o simulando componenti negativi. Dobbiamo, invero,
ricordare che la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità della previsione nella parte in cui non
prevedeva che la dissimulazione di componenti positivi o la simulazione di componenti negativi di
reddito dovesse concretarsi in forme artificiose (Corte Cost. 22 gennaio 1991, n. 35). Peraltro, così
come formulata, la nuova disposizione rischia di punire la simulazione o la dissimulazione a
prescindere dalla fraudolenza dei comportamenti posti in essere, laddove si consideri che i “nuovi
mezzi fraudolenti” costituiscono una condotta alternativa a quella della simulazione o della
dissimulazione.
L’articolo 4, sostanzialmente, provvede a modificare, innalzandole, le soglie di rilevanza penale
corrispondenti all’imposta evasa, elevata da 50 mila a 150 mila euro, nonché quella del valore
degli elementi attivi sottratti all'imposizione, aumentata da 2 a 3 milioni di euro.
Oltre a ciò, lo stesso articolo precisa che non si tiene conto della non corretta classificazione, della
valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri
concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio (ovvero in altra
documentazione rilevante ai fini fiscali), della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio
di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. Non danno
luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore
al 10 per cento rispetto a quelle corrette.
L’articolo 5 stabilisce che è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni,
chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi
obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'importo evaso è superiore,
con riferimento a taluna delle singole imposte a euro 50 mila.
Dopo di che, viene aggiunto il comma 1-bis nel quale si stabilisce la nuova fattispecie penale di
omessa dichiarazione del sostituto d’imposta. Anche qui vale quanto già più volte osservato in
precedenza. La novità si pone in aperto contrasto con i principi contenuti nella Legge Delega che,
dovendo semplicemente revisionare e non riformare il sistema penale-tributario, non consente
l’introduzione di nuove ipotesi di reato. Il Governo, con la scusa di operare sulla base di una delega
parlamentare, ha di fatto avocato a sé il potere legislativo; e questo non è costituzionalmente
legittimo, né tanto meno tollerabile.
Con l'articolo 6 è stato modificato l'art. 10 del D.Lgs. 74/2000, prevedendo un innalzamento della
pena (che ora va da un anno e sei mesi fino a sei anni di reclusione) a carico di coloro che, al fine di
evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi,
occultano o distruggono in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria
la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
L'articolo 7 innalza la soglia di non punibilità da 50 mila euro a 150 mila, per ciascun periodo
d'imposta, per chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale del sostituto di imposta le ritenute risultanti, quali dovute sulla base della
dichiarazione o della certificazione rilasciata ai sostituiti. Non si comprende perché non sia stata
parificata tale soglia a quella analogamente introdotta in tema di mancato versamento IVA.
Sempre in tema di limiti di punibilità, l'articolo 8 del Decreto stabilisce una nuova soglia minima
per il delitto di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, adesso pari a euro 250 mila
per ciascun periodo d'imposta.
Con il successivo art. 9, il Decreto interviene su crediti e compensazioni in F24.
Viene punito con la reclusione da sei mesi a due anni, chiunque non versa le somme dovute,
utilizzando in compensazione crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a 50 mila
euro.
E’, invece, punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, chiunque non versa le somme
dovute, utilizzando in compensazione crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai 50 mila
euro.
Qui viene correttamente applicato il principio di rimodulazione sanzionatoria, prevedendo una
pena più elevata per chi utilizza crediti inesistenti, rispetto a coloro che indicano crediti non
spettanti.
L'articolo 10 del Decreto – riporta la relazione illustrativa – ha carattere solo in parte innovativo,
limitandosi a fornire una collocazione normativa più adeguata alla disposizione "estravagante" in
tema di confisca obbligatoria per delitti tributari, anche nella forma per equivalente.
Come noto, le normative vigenti rendono obbligatoria per alcuni reati contro la Pubblica
Amministrazione la confisca del prezzo o profitto del reato, introducendo la possibilità di
procedere alla confisca per equivalente nel caso in cui tale prezzo o profitto non sia facilmente
aggredibile. Pertanto, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti:
“E’ sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che
appartengano a persona estranea al reato” (confisca diretta). Quando ciò non è possibile, avrà
luogo “la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale
prezzo o profitto” (confisca per equivalente).
Al riguardo, come anche già osservato dal CNDCEC, va evidenziato come sull’ambito di
applicazione della disposizione siano intervenute recentemente le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione (Cass., Sez. Unite, 30 gennaio 2014, N. 10561), le quali, chiamate a dirimere un
contrasto relativo alla possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta
o per equivalente, dei beni appartenenti a una persona giuridica per le violazioni tributarie
commesse dal legale rappresentante della stessa, hanno ammesso che la confisca, nel caso in cui
non sia reperito nel patrimonio della società il profitto del reato, possa riguardare anche i beni del
legale rappresentante. Sebbene, sempre secondo le Sezioni Unite, la confisca diretta del profitto di
reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal
legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell'interesse della società, è ovvio
che ciò possa avvenire quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto siano
rimasti nella disponibilità della persona giuridica medesima.
Per converso, la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della persona giuridica
per reati tributari commessi dal legale rappresentante viene esclusa, salva l'ipotesi in cui la
persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo
attraverso cui l'amministratore agisce come effettivo titolare. In tale evenienza, secondo le Sezioni
Unite, infatti, non si potrebbe rinvenire, sul piano del diritto positivo, alcuna disposizione
normativa che consentirebbe di disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una
persona giuridica nell’ipotesi di violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante. Nel caso
in cui, a esempio, la somma non corrisposta all'Erario sia stata utilizzata dalla società per il
pagamento dello stipendio dei dipendenti, essendo pacifica l'impossibilità di procedere alla
confisca diretta del profitto del reato e non potendosi pertanto aggredire il denaro o altri beni
direttamente riconducibili a tale profitto, risulta legittimo disporre il sequestro preventivo
finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti della persona fisica per i reati tributari
commessi nell'interesse dell'ente.
Ciò ammesso, se tale scelta può sembrare coerente nell’ipotesi in cui la società sia nella sostanza
lo schermo giuridico sotto il quale opera l’imprenditore-contribuente, qualche perplessità lascia
trasparire il caso in cui la persona fisica sia l’amministratore di una società di medio-grande
dimensione nelle quali gli effetti economico-finanziari del reato ricadono interamente nel
patrimonio dell’ente amministrato. In tal caso, infatti, la persona fisica che subisce la confisca
riceve un pregiudizio di carattere economico che non è coerente con la finalità tipica della misura
di cui si tratta. Quest’ultima, come noto, costituisce una misura ablatoria prevista per spossessare
il colpevole dei frutti della sua attività illecita e per rendere non conveniente, in una visione
sociale-preventiva, la commissione dei reati. Orbene, nella situazione considerata, quella cioè
dell’amministratore di una società che subisce la misura di sicurezza, la confisca non solo non
svolge la funzione tipica che l’ordinamento le assegna, ma assume una funzione repressiva talvolta
sproporzionata e addirittura superiore a quella esercitata dalla sanzione principale.
Ora, poiché il fondamento della conclusione cui sono pervenute le Sezioni Unite è la constatazione
dell’inesistenza, sul piano del diritto positivo, di una disposizione normativa che consentirebbe di
disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nel caso di
violazioni tributarie commesse dal suo legale rappresentante, sarebbe parso necessario colmare
tale lacuna attraverso una previsione ad hoc che avesse stabilito come, nel caso di reati commessi
dal legale rappresentante nell’interesse di un ente, la confisca, diretta o per equivalente, dovesse
sempre riguardare i beni della società.
Riteniamo che il Governo abbia qui perso un’importante occasione per poter intervenire a colmare
un’altra delle lacune presenti nel nostro Ordinamento.
Con l'articolo 11 si sostituisce l'attuale art. 13 del D.Lgs. 74/2000.
Una prima novità è rappresentata dalla disposizione che prevede la non punibilità dei reati di
omesso versamento delle ritenute certificate, di omesso versamento di IVA, di indebita
compensazione, qualora i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati
integralmente pagati prima dell'apertura del dibattimento.
Il comma 2, prevede la non punibilità dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione nel
caso in cui i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati integralmente pagati per
effetto del ravvedimento operoso, ovvero la dichiarazione omessa sia stata trasmessa entro il
termine di presentazione della denuncia relativa al periodo di imposta successivo, purché
l'interessato non sia a conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche già avviati dall'Amministrazione
Finanziaria, ovvero di procedimenti penali. In tali circostanze, la spontaneità del comportamento
del contribuente che si attiva per l'estinzione tempestiva dei debiti giustifica, senza bisogno di
ulteriori sanzioni, la rinuncia alla pena da parte dello Stato.
L'articolo 12 prevede la diminuzione fino alla metà delle sanzioni, senza applicazione delle pene
accessorie, nel caso in cui il debito tributario sia stato estinto mediante pagamento integrale,
prima dell'apertura del dibattimento di Primo Grado, anche a seguito delle speciali procedure
conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie.
Da notare che se il reato è commesso dal correo nell'esercizio dell'attività di intermediazione
tributaria, attraverso l'elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale, le pene sono aumentate
della metà.
L'articolo 13 stabilisce che i beni sequestrati nell'ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti
previsti dal Decreto (nonché a ogni altro delitto tributario), diversi dal denaro e dalle disponibilità
finanziarie, possano essere affidati dall'Autorità Giudiziaria in custodia agli organi
dell'Amministrazione Finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.
L'articolo 14 (ultimo del Titolo I, oggetto del presente elaborato) provvede, infine, a determinate
ulteriori abrogazioni espresse, in linea con i precedenti provvedimenti adottati, concernenti:
- gli articoli 7 e 16 del D.Lgs. 74/2000;
- il comma 143 dell'articolo 1 della Legge 244/2007.

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  • 1. La revisione del sistema sanzionatorio penale tributario Vediamo cosa cambia nel sistema sanzionatorio penale tributario dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Decreto Legislativo 158/2015. Lo scorso 7 ottobre 2015, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (Serie Generale N. 233 – Supplemento Ordinario N. 55), il Decreto Legislativo 24 settembre 2015, N. 158, recante: Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, N. 23 (Legge Delega per la Riforma Fiscale). L’entrata in vigore del provvedimento è il 22 ottobre 2015, seppure, a voler essere precisi, l’art. 32 del Decreto stabilisce che le disposizioni di cui al Titolo II (Revisione del sistema sanzionatorio amministrativo), si applicheranno solo a decorrere dal 1° gennaio 2017. Peraltro, la presente analisi si limita a prendere in considerazione esclusivamente le novità previste dal Titolo I: Revisione del sistema sanzionatorio penale tributario. Nel rafforzamento della competitività del Paese a livello internazionale (a cui tende come obiettivo finale di lungo periodo, la Legge Delega), assume un ruolo centrale la stabilità del quadro giuridico di riferimento, da intendersi relativa non solo alla disciplina sostanziale dei singoli tributi o alla trasparenza e semplificazione del rapporto fiscale, ma anche alla predeterminazione delle condotte illecite, alla certezza della misura delle sanzioni, alla rapidità dei tempi di irrogazione della stesse e alla percezione della pena come risposta adeguata e non vessatoria. Il legislatore ha inteso soddisfare le aspettative di tutti gli attori coinvolti: - i contribuenti, interessati a conoscere anticipatamente le conseguenze, in termini soprattutto di rischio, dei propri comportamenti; - lo Stato, preoccupato di presidiare correttamente gli obblighi fiscali con sanzioni che non siano percepite dal destinatario, potenziale investitore, nazionale o straniero, come sproporzionate e disincentivanti. Secondo i propositi dichiarati dal Governo (ma, come avremo modo di vedere, non coerentemente attuati), il Decreto mira a una riduzione delle fattispecie penali, operata anche attraverso un ripensamento e una rimodulazione delle soglie di punibilità, nonché all'individuazione di nuove ipotesi di non punibilità, destinate a garantire una più efficace risposta ai fatti di reato e, nello stesso tempo, a riservare all'impianto sanzionatorio amministrativo la repressione di quelle condotte che si connotano per una diversa e minore gravità. Ciò premesso, con riferimento al particolare tema qui in argomento, il Governo è stato “delegato a procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti”. Concordiamo sulla circostanza che la delega, parlando di “revisione” e non di “riforma” del diritto penale tributario, lasci intendere come l'intervento debba comunque articolarsi entro le coordinate di fondo del sistema vigente (D.Lgs. 74/2000). Viceversa, siamo meno propensi a considerare raggiunti tali obiettivi da parte del Governo con riferimento a talune gravi lacune che il Decreto non ha colmato.
  • 2. La relazione di accompagnamento al Decreto, afferma che: “Un'attenzione preminente deve essere rivolta ai comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa.” Avuto riguardo specie all’articolo 2, l’obiettivo non parrebbe essere stato perseguito compiutamente. Passando all'esame delle singole disposizioni, il primo articolo va a modificare l'art. 1 del citato D.Lgs. 74/2000, dedicato alle norme definitorie. In particolare: - si interviene sulla lettera b), che disciplina le fattispecie criminose concernenti la dichiarazione, ora comprendendo tutte le voci, comunque costituite o denominate, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione delle basi imponibili rilevanti ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; - si fornisce la definizione di "imposta evasa" come quella corrispondente alla differenza fra l'imposta effettivamente dovuta e quella che è stata indicata in dichiarazione (ovvero l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione), al netto delle somme che il contribuente, o altri in sua vece (es: sostituito d'imposta), abbiano versato a qualunque titolo (acconto, ritenuta, etc.), prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; viene, inoltre, specificato che non si considera imposta evasa quella teorica collegata a rettifiche in diminuzione di perdite dell'esercizio, o all'utilizzo di perdite pregresse; - con l’aggiunta, infine, delle lettere g-bis) e g-ter) vengono fornite due ulteriori definizioni: le "operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente" si intendono quelle poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte, ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti; i "mezzi fraudolenti" sono caratterizzati da tutte quelle condotte artificiose che determinano una falsa rappresentazione della realtà; l'elemento materiale potrà consistere sia in condotte attive, sia in condotte omissive: in quest’ultimo caso, però, l'obbligo di agire dovrà essere imposto da una specifica norma giuridica. Pare logico osservare che: - la definizione di operazioni simulate sembra riprodurre, senza alcun sostanziale apporto di novità, la nozione corrispondente a quella che si deduce dal Codice Civile; - la definizione di mezzi fraudolenti appare sostanzialmente una norma vuota giacché, non solo rinvia a non meglio specificati doveri giuridici la determinazione delle condotte illecite, ma soprattutto perché qualifica come giuridici i doveri cui si deve attenere il contribuente (il che appare meramente tautologico). L'articolo 2 del Decreto (modifiche in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) si limita ad ampliare il novero delle dichiarazioni rilevanti al fine del reato ivi previsto, attraverso la soppressione del riferimento all’annualità delle stesse. Incredibilmente, resta priva di qualunque modulazione la pena relativa agli importi di tali elementi, determinati come inesistenti.
  • 3. Così come correttamente si è provveduto in altri articoli del Decreto a rivedere i limiti minimi afferenti gli importi penalmente rilevanti, e così come – del resto – il Governo stesso aveva dichiarato (“il Decreto mira a una riduzione delle fattispecie penali, operata anche attraverso un ripensamento e una rimodulazione delle soglie di punibilità”), sarebbe stato logico e giusto attendersi un intervento anche in tali casi. Tra l’altro, non si può certo affermare che il palese errore sia dipeso da mera sbadataggine o dimenticanza, posto che Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, pur esprimendo una valutazione sostanzialmente positiva circa l’impianto complessivo dello schema di Decreto Legislativo, sentito in sede di Commissioni riunite Giustizia e Finanza, aveva chiaramente evidenziato come fosse imprescindibile intervenire al riguardo. Dobbiamo, dunque, necessariamente concludere che per qualche recondito e (da un punto di vista di diritto) inspiegabile motivo politico, il Governo non abbia inteso volutamente eliminare detta incredibile ingiustizia sanzionatoria che, quindi, permane inalterata. Giova ricordare che il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. 74/2000 statuiva che se l'ammontare degli elementi passivi fittizi fosse stato inferiore a euro 154.937,07, si sarebbe applicata la reclusione da sei mesi a due anni. Il comma 143 dell'art. 1 della L. 24 dicembre 2007, N. 244 ha abrogato tale comma; per cui, oggi, qualunque ipotesi di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (indipendentemente dall’importo) può essere punito con la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni. Sarebbe bastato, dunque, almeno limitarsi a ripristinare tale previsione attenuata, la quale, da un lato svolgeva un importante ruolo di compensazione del rigore sanzionatorio rispetto a condotte meno gravi, e dall’altro fungeva da necessario pendant in relazione a quanto previsto dall’art. 3. Quest’ultimo, infatti, in relazione a condotte sostanzialmente analoghe sul piano dell’insidiosità dei mezzi utilizzati per frodare il Fisco, introduceva, rispetto a condotte meno gravi, delle significative soglie di punibilità, come tali mantenute anche nel Decreto qui in esame. A parere di chi scrive, inoltre, la scelta adottata va chiaramente contro quanto disposto da una parte della Legge Delega, la quale, sul punto, raccomanda di dare rilievo “tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa”. Ebbene, non v’è dubbio che le fatture per operazioni inesistenti rientrino nella “documentazione falsa”, e, pertanto, il Legislatore Delegato avrebbe dovuto valorizzare, anche in relazione a tali condotte, questo criterio direttivo. L'articolo 3 modifica la norma incriminatrice della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dilatandone i confini applicativi. La condotta costitutiva del delitto si articolava in tre elementi distinti: la non veritiera dichiarazione dei redditi o ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie (come base) e l'utilizzazione di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento. Nella nuova formulazione, sparisce il secondo elemento (la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie come base). Pertanto, la sfera operativa della figura criminosa risulta
  • 4. ampliata: da reato proprio dei soli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, in reato ascrivibile a qualunque soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi o a fini dell'imposta sul valore aggiunto. Anche tale previsione, a nostro modesto avviso, potrebbe configurare un’ipotesi di eccesso di delega da parte del Governo. Si tratta di una scelta che, infatti, non sembra perfettamente in linea con i criteri indicati nella Legge, la quale ha demandato al Governo di procedere soltanto (come precisato all’inizio) a una “revisione” del sistema sanzionatorio; non a una rimodulazione delle fattispecie vigenti. Altra importante modifica è quella dovuta all’inserimento della congiunzione disgiuntiva "ovvero", tra le operazioni simulate e l'utilizzo di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento, che testimonia l'equipollenza di tali elementi ("operazioni simulate", "documenti falsi", "altri mezzi fraudolenti") e l’autosufficienza di ciascuno di essi a integrare la condotta del delitto. Quanto, infine, alle soglie di punibilità, la norma prevede, congiuntamente: - un’imposta evasa, superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 30 mila; - un ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, superiore al 5 per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, superiore a euro un milione cinquecentomila; ovvero un ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta superiore al 5 per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro 30 mila. Il secondo comma precisa che il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi, quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria. Il successivo comma 3 afferma, per altro verso, che non rientrano tra i mezzi fraudolenti le mere violazioni degli obblighi di fatturazione o di emissione di altri documenti di rilievo probatorio analogo (scontrini fiscali, documenti di trasporto etc.), e di annotazione dei corrispettivi nelle scritture contabili; o la mera indicazione nelle fatture o nei documenti, ovvero nelle annotazioni di corrispettivi inferiori a quelli reali. Francamente, abbiamo letto e riletto tale precetto nel suo complesso, tenendo in debito conto pure le definizioni di cui all’art. 1, e l’unico obiettivo che ci pare davvero raggiunto dal Governo è quello di creare confusione. Dire che il tutto appare oltremodo farraginoso e assai poco chiaro, è un eufemismo. Ci pare inevitabile che, su tali fondamenti normativi, il contenzioso non potrà che aumentare, e i contribuenti non avranno alcuna certezza su quelli che potranno essere ritenuti dei comportamenti penalmente rilevanti. Anche riguardo a tale articolo 3, si deve osservare che la delega demandava al Governo compiti di revisione, oltre che, secondo criteri di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti,
  • 5. anche di predeterminazione. Delle previsioni così generiche, invece, infondono notevoli perplessità sul piano del rispetto del principio di determinatezza. La disposizione in parola, infine, sembra riproporre una questione che pareva ormai risolta: punire a titolo di delitto, il titolare di redditi di lavoro autonomo o di impresa che avesse redatto le scritture contabili obbligatorie o la dichiarazione dei redditi ovvero il bilancio o rendiconto a essa allegato, dissimulando componenti positivi o simulando componenti negativi. Dobbiamo, invero, ricordare che la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità della previsione nella parte in cui non prevedeva che la dissimulazione di componenti positivi o la simulazione di componenti negativi di reddito dovesse concretarsi in forme artificiose (Corte Cost. 22 gennaio 1991, n. 35). Peraltro, così come formulata, la nuova disposizione rischia di punire la simulazione o la dissimulazione a prescindere dalla fraudolenza dei comportamenti posti in essere, laddove si consideri che i “nuovi mezzi fraudolenti” costituiscono una condotta alternativa a quella della simulazione o della dissimulazione. L’articolo 4, sostanzialmente, provvede a modificare, innalzandole, le soglie di rilevanza penale corrispondenti all’imposta evasa, elevata da 50 mila a 150 mila euro, nonché quella del valore degli elementi attivi sottratti all'imposizione, aumentata da 2 a 3 milioni di euro. Oltre a ciò, lo stesso articolo precisa che non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio (ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali), della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. Non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento rispetto a quelle corrette. L’articolo 5 stabilisce che è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni, chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'importo evaso è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro 50 mila. Dopo di che, viene aggiunto il comma 1-bis nel quale si stabilisce la nuova fattispecie penale di omessa dichiarazione del sostituto d’imposta. Anche qui vale quanto già più volte osservato in precedenza. La novità si pone in aperto contrasto con i principi contenuti nella Legge Delega che, dovendo semplicemente revisionare e non riformare il sistema penale-tributario, non consente l’introduzione di nuove ipotesi di reato. Il Governo, con la scusa di operare sulla base di una delega parlamentare, ha di fatto avocato a sé il potere legislativo; e questo non è costituzionalmente legittimo, né tanto meno tollerabile. Con l'articolo 6 è stato modificato l'art. 10 del D.Lgs. 74/2000, prevedendo un innalzamento della pena (che ora va da un anno e sei mesi fino a sei anni di reclusione) a carico di coloro che, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi,
  • 6. occultano o distruggono in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. L'articolo 7 innalza la soglia di non punibilità da 50 mila euro a 150 mila, per ciascun periodo d'imposta, per chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto di imposta le ritenute risultanti, quali dovute sulla base della dichiarazione o della certificazione rilasciata ai sostituiti. Non si comprende perché non sia stata parificata tale soglia a quella analogamente introdotta in tema di mancato versamento IVA. Sempre in tema di limiti di punibilità, l'articolo 8 del Decreto stabilisce una nuova soglia minima per il delitto di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, adesso pari a euro 250 mila per ciascun periodo d'imposta. Con il successivo art. 9, il Decreto interviene su crediti e compensazioni in F24. Viene punito con la reclusione da sei mesi a due anni, chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a 50 mila euro. E’, invece, punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai 50 mila euro. Qui viene correttamente applicato il principio di rimodulazione sanzionatoria, prevedendo una pena più elevata per chi utilizza crediti inesistenti, rispetto a coloro che indicano crediti non spettanti. L'articolo 10 del Decreto – riporta la relazione illustrativa – ha carattere solo in parte innovativo, limitandosi a fornire una collocazione normativa più adeguata alla disposizione "estravagante" in tema di confisca obbligatoria per delitti tributari, anche nella forma per equivalente. Come noto, le normative vigenti rendono obbligatoria per alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione la confisca del prezzo o profitto del reato, introducendo la possibilità di procedere alla confisca per equivalente nel caso in cui tale prezzo o profitto non sia facilmente aggredibile. Pertanto, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti: “E’ sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato” (confisca diretta). Quando ciò non è possibile, avrà luogo “la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto” (confisca per equivalente). Al riguardo, come anche già osservato dal CNDCEC, va evidenziato come sull’ambito di applicazione della disposizione siano intervenute recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., Sez. Unite, 30 gennaio 2014, N. 10561), le quali, chiamate a dirimere un contrasto relativo alla possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, dei beni appartenenti a una persona giuridica per le violazioni tributarie
  • 7. commesse dal legale rappresentante della stessa, hanno ammesso che la confisca, nel caso in cui non sia reperito nel patrimonio della società il profitto del reato, possa riguardare anche i beni del legale rappresentante. Sebbene, sempre secondo le Sezioni Unite, la confisca diretta del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell'interesse della società, è ovvio che ciò possa avvenire quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto siano rimasti nella disponibilità della persona giuridica medesima. Per converso, la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante viene esclusa, salva l'ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l'amministratore agisce come effettivo titolare. In tale evenienza, secondo le Sezioni Unite, infatti, non si potrebbe rinvenire, sul piano del diritto positivo, alcuna disposizione normativa che consentirebbe di disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nell’ipotesi di violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante. Nel caso in cui, a esempio, la somma non corrisposta all'Erario sia stata utilizzata dalla società per il pagamento dello stipendio dei dipendenti, essendo pacifica l'impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto del reato e non potendosi pertanto aggredire il denaro o altri beni direttamente riconducibili a tale profitto, risulta legittimo disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti della persona fisica per i reati tributari commessi nell'interesse dell'ente. Ciò ammesso, se tale scelta può sembrare coerente nell’ipotesi in cui la società sia nella sostanza lo schermo giuridico sotto il quale opera l’imprenditore-contribuente, qualche perplessità lascia trasparire il caso in cui la persona fisica sia l’amministratore di una società di medio-grande dimensione nelle quali gli effetti economico-finanziari del reato ricadono interamente nel patrimonio dell’ente amministrato. In tal caso, infatti, la persona fisica che subisce la confisca riceve un pregiudizio di carattere economico che non è coerente con la finalità tipica della misura di cui si tratta. Quest’ultima, come noto, costituisce una misura ablatoria prevista per spossessare il colpevole dei frutti della sua attività illecita e per rendere non conveniente, in una visione sociale-preventiva, la commissione dei reati. Orbene, nella situazione considerata, quella cioè dell’amministratore di una società che subisce la misura di sicurezza, la confisca non solo non svolge la funzione tipica che l’ordinamento le assegna, ma assume una funzione repressiva talvolta sproporzionata e addirittura superiore a quella esercitata dalla sanzione principale. Ora, poiché il fondamento della conclusione cui sono pervenute le Sezioni Unite è la constatazione dell’inesistenza, sul piano del diritto positivo, di una disposizione normativa che consentirebbe di disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nel caso di violazioni tributarie commesse dal suo legale rappresentante, sarebbe parso necessario colmare tale lacuna attraverso una previsione ad hoc che avesse stabilito come, nel caso di reati commessi dal legale rappresentante nell’interesse di un ente, la confisca, diretta o per equivalente, dovesse sempre riguardare i beni della società.
  • 8. Riteniamo che il Governo abbia qui perso un’importante occasione per poter intervenire a colmare un’altra delle lacune presenti nel nostro Ordinamento. Con l'articolo 11 si sostituisce l'attuale art. 13 del D.Lgs. 74/2000. Una prima novità è rappresentata dalla disposizione che prevede la non punibilità dei reati di omesso versamento delle ritenute certificate, di omesso versamento di IVA, di indebita compensazione, qualora i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati integralmente pagati prima dell'apertura del dibattimento. Il comma 2, prevede la non punibilità dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione nel caso in cui i debiti tributari, comprensivi di sanzioni e interessi, siano stati integralmente pagati per effetto del ravvedimento operoso, ovvero la dichiarazione omessa sia stata trasmessa entro il termine di presentazione della denuncia relativa al periodo di imposta successivo, purché l'interessato non sia a conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche già avviati dall'Amministrazione Finanziaria, ovvero di procedimenti penali. In tali circostanze, la spontaneità del comportamento del contribuente che si attiva per l'estinzione tempestiva dei debiti giustifica, senza bisogno di ulteriori sanzioni, la rinuncia alla pena da parte dello Stato. L'articolo 12 prevede la diminuzione fino alla metà delle sanzioni, senza applicazione delle pene accessorie, nel caso in cui il debito tributario sia stato estinto mediante pagamento integrale, prima dell'apertura del dibattimento di Primo Grado, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie. Da notare che se il reato è commesso dal correo nell'esercizio dell'attività di intermediazione tributaria, attraverso l'elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale, le pene sono aumentate della metà. L'articolo 13 stabilisce che i beni sequestrati nell'ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti dal Decreto (nonché a ogni altro delitto tributario), diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possano essere affidati dall'Autorità Giudiziaria in custodia agli organi dell'Amministrazione Finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. L'articolo 14 (ultimo del Titolo I, oggetto del presente elaborato) provvede, infine, a determinate ulteriori abrogazioni espresse, in linea con i precedenti provvedimenti adottati, concernenti: - gli articoli 7 e 16 del D.Lgs. 74/2000; - il comma 143 dell'articolo 1 della Legge 244/2007.