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Inflazione e Moneta endogena
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1. La Teoria Quantitativa della Moneta
“Almeno ho scoperto qual è la causa del Natale!”
Nicholas Kaldor, ironizzando sulla Teoria Quantitativa della Moneta
dopo aver notato che l'offerta di moneta sale a dicembre per poi scendere a gennaio
In ambito mainstream è convinzione comune che le masse monetarie siano controllate dalla banca centrale (per inciso anche Keynes, nella sua Teoria
Generale, assunse questa ipotesi, sia pure in un quadro più complesso di quello dei neoclassici).
Secondo la T eoria Quantitativa della Moneta (T QM) la sequenza è la seguente: le banche centrali possono stampare denaro e con esso comprare titoli,
privati o pubblici, dando così alle banche commerciali, o allo Stato, nuova moneta. Inoltre, agendo sulle riserve obbligatorie delle banche,
possono variare la capacità degli istituti di credito di concedere prestiti, controllando così l'emissione della “moneta bancaria”, attraverso quello
che viene chiamato “moltiplicatore monetario”. Meno riserve sono richieste, più le banche possono prestare. Se la riserva obbligatoria è il 2% di tutti i
depositi posseduti da una banca, allora il moltiplicatore monetario è 50 (1/0,02).
IL MOLT IPLICAT ORE MONET ARIO
Il meccanismo della riserva frazionaria, contro il quale si scagliano a torto gli economisti “austriaci” (e i “signoraggisti” di varia natura), è
spiegato in questi termini: supponiamo che il sistema bancario sia tenuto a trattenere il 2% come riserva obbligatoria. Quando
qualcuno deposita 100 euro, la banca potrà concedere in prestito la parte eccedente la riserva obbligatoria, cioè 98 euro (100-2%).
Questi soldi verranno spesi, ma alla fine torneranno nel sistema bancario come depositi da parte di chi li avrà ricevuti. Quindi avremo 100+98.
Con i 98 euro le banche potranno concedere 98-2% euro di prestiti, ovvero 96,04 euro, che a loro volta finiranno nel sistema bancario e
potranno alimentare nuovi prestiti per 96,04-2%=94,12 euro. E così via. Come si vede ad ogni passaggio l'ammontare dei nuovi prestiti
diminuisce. Alla fine del ciclo avremo che la moneta di banca complessivamente creata sarà 49 volte il deposito iniziale e,
aggiungendosi ad esso, la moneta complessiva arriverà a 50 volte il deposito iniziale (nel nostro caso quindi 5000 euro).
Come vedremo questo meccanismo non è in realtà rilevante, per cui le tesi “austriache” e “signoraggiste” non hanno fondamento. Ma anche se
il moltiplicatore monetario fosse rilevante esso non sarebbe affatto una truffa come spesso si legge.
Si noti inoltre che questa descrizione sostiene che i depositi precedono i prestiti.
Secondo la TQM quindi, se la banca centrale stampa troppa moneta (che viene moltiplicata dalle banche commerciali secondo parametri sotto il controllo
della banca centrale) questa offerta può superare quanto necessario a rappresentare i beni reali. In tal caso i prezzi saliranno, cioè avremo inflazione.
La base teorica di questa affermazione è una particolare interpretazione della seguente identità, detta equazione degli scambi di Fisher:
M×V = P×T
Dove M è la quantità di moneta, V è la velocità di circolazione (misura cioè quanto velocemente la moneta viene scambiata), P è il livello generale dei prezzi
(la cui variazione si chiama inflazione) e infine T è il numero di transazioni (scambi). Assumendo per semplicità che l'economia produca un solo tipo di bene,
possiamo sostituire T con Q (numero dei singoli beni scambiati), ottenendo:
M×V = P×Q
ESEMPIO
Se in un'economia vi sono 100 beni e 200 euro di moneta, che in un dato periodo (diciamo un anno) vengono scambiati 5 volte e il prezzo
medio è 10 euro, avremo:
200 × 5 = 10 × 100
Il che ovviamente è vero visto che a sinistra e destra dell'uguale abbiamo 1000.
Il problema è che questa equazione è un'identità contabile, vera per definizione. Difatti essa afferma semplicemente che la spesa totale in termini
monetari (M×V) è uguale al valore monetario dei beni scambiati (P×Q). Nulla ci dice circa la relazione causale (“cosa causa un'altra cosa”) tra M e
P.
La T eoria Quantitativa della Moneta, formalizzata da Irving Fisher e ripresa da Milton Friedman e dalle correnti monetariste, sostiene che l'aumento
di M causi quello di P e suggerisce che le masse monetarie, sotto il controllo delle banche centrali, debbano crescere modestamente, altrimenti l'inflazione
esploderà, i lavoratori percepiranno salari reali minori e i mercati perderanno fiducia nella valuta. Fisher giungeva a tale risultato ipotizzando l'equilibrio di
pieno impiego (Q costante) e che V fosse stabile in quanto determinata da fattori istituzionali, ipotesi queste tutt'altro che realistiche.
Per verificare le conclusioni della TQM dovremmo quindi prendere in considerazione la correlazione tra M e P, cioè vedere se l'aumento o la
diminuzione di una variabile si accompagna allo stesso movimento dell'altra variabile. Conoscere P è semplice poiché gli istituti di statistica
monitorano i prezzi mese per mese. Riguardo M, le banche centrali usano gli aggregati monetari “larghi” che comprendono, oltre alle banconote e monete
metalliche vere e proprie, una serie di altre attività finanziarie considerate abbastanza “liquide”, cioè immediatamente scambiabili o facilmente convertibili
in attività a loro volta immediatamente scambiabili come il denaro, senza costi significativi. La definizione di cosa sia considerabile come moneta varia da
banca centrale a banca centrale, tenendo conto delle leggi e dei comportamenti degli operatori economici. Ma in generale si tratta di aggiungere al denaro
circolante i depositi bancari e postali, i titoli a breve scadenza e altre attività “liquide”.
Quindi, come dicevamo, all'aumentare di M dovremmo trovare un aumento di P e in particolare dovremmo vedere che la variazione di M è simile a
quella di P, cioè all'inflazione. Ma questa correlazione è tutt'altro che evidente guardando alle variazioni annuali di M e P.
M2 [blu ] - inflazione [rosso] - Stati Uniti
M3 [blu ] - inflazione [rosso] Eu rozona (fonte BCE, grafico Bill Mitchell)
La supposta correlazione tra M e P non sembra trovare conferma. Ciò può sorprendere perché abbiamo affermato che M×V=P×Q è vera per definizione.
Vedremo che tale correlazione esiste nel lungo periodo, ma in modo meno banale e soprattutto con una catena causale opposta a quella
presunta dalla T eoria Quantitativa della Moneta.
2. Inflazione e costi: il punto di vista della singola impresa
Prendiamo in considerazione una fabbrica di spilli, per seguire un noto esempio di Adam Smith (ma relativo a tutt'altro). La fabbrica produce spilli partendo
da materie prime (l'acciaio). Si servirà di energia elettrica per far funzionare i macchinari. Inoltre dovrà pagare i suoi dipendenti. Queste spese sono i costi di
produzione dell'impresa. Se la produzione di ogni spillo costa un centesimo, allora l'impresa dovrà vendere ogni spillo a un centesimo più qualcosa (il
cosiddetto ricarico o mark up) e realizzerà il massimo dei profitti quando avrà venduto tutta la produzione.
Supponiamo che una delle voci di costo aumenti. Se vuole mantenere il suo profitto, l'impresa tenderà ad aumentare il prezzo.
L'OBIEZIONE DEI NEOCLASSICI
A questo punto l'economia neoclassica obietta che i prezzi dipendono da domanda e offerta, nell'ipotesi (peraltro irrealistica) in un
regime di concorrenza perfetta; l'impresa quindi è sempre "price taker", cioè non è libera di aumentare i prezzi a suo piacimento, pena l'uscita
dal mercato. Tuttavia i costi che abbiamo elencato cambiano non solo per quell'impresa, ma per l'intero settore produttivo di cui fa parte e in alcuni
casi per l'intero sistema produttivo: il prezzo dell'energia aumenta per tutti e i salari, considerando che esistono i contratti collettivi, aumentano sia
per l'impresa in esame che per le sue concorrenti. In sintesi, una parte rilevante dei costi è comune (o almeno le variazioni di tali costi sono
simili per tutte le imprese in un settore o in una economia) e nel breve periodo non c'è modo di risolvere il problema riducendo i costi in altro
modo, ad esempio acquisendo macchinari più moderni, mentre nel lungo periodo accade che anche molti concorrenti facciano investimenti simili
per abbattere il prezzo unitario.
Se questa descrizione fosse realistica, dovremmo attenderci che l'inflazione presenti un andamento simile (sebbene non identico) a quello dei salari
nominali, anche nel breve periodo, poiché i salari sono una delle più importanti voci nei costi di produzione.
V ariazione dei salari orari nom inali [rosso], Inflazione [blu ] - Stati Uniti
Si nota che negli anni '7 0 l'inflazione aumenta notevolmente di più di quanto aumentino i salari. Difatti nel 197 3 e poi nel 197 9 vi sono state due note crisi
petrolifere che hanno portato l'inflazione a due cifre quasi ovunque nel mondo, innescando il ben noto meccanismo della spirale prezzi-salari. I salari sono
infatti solo una delle voci di costo per le imprese. Vanno considerate anche le materie prime, l'energia, le tasse, ecc.
Nel paragrafo seguente seguiremo un approccio alla relazione costi-prezzi a livello di sistema economico nel suo complesso.
3. Inflazione e costi: l'approccio a livello di sistema economico
Partiamo dal Prodotto Interno Lordo. Uno dei modi di calcolarlo è basato sulla spesa: consumi + investimenti + spesa pubblica + esportazioni -
importazioni. Un modo equivalente è sommare tutti i redditi (“la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro” spiegava Keynes). In simboli:
PIL=W+U
dove W è la somma di tutti i salari dei lavoratori e U quella di tutti i profitti.
Ma il PIL, abbiamo detto, è anche la somma di tutte le spese, quindi, nel nostro modello ad un solo bene, è uguale al prezzo (P) moltiplicato per la quantità
(Q). Avremo quindi:
P×Q=W+U
Portiamo Q a dividere dall'altra parte e otterremo P:
P = W/Q + U/Q
Cosa sono W/Q e U/Q? W/Q è il costo del lavoro per unità di prodotto. E' una delle misure più importanti in economia ed è centrale nell'analisi degli
squilibri nell'eurozona. U/Q invece è, parallelamente, il profitto per unità di prodotto.
Quindi considerando che, secondo l'ipotesi che abbiamo formulato, le imprese cercheranno di mantenere il più possibile stabile il profitto unitario di
fronte all'aumento dei costi, dovremmo vedere che le variazioni del costo del lavoro per unità di prodotto e le variazioni dei prezzi seguono
un andamento simile anche nel breve periodo.
Costo del lav oro per u nità di prodotto [blu ] - Inflazione [rosso], Italia. Dati Istat, grafico di
Sebastiano Marino
Unit Labor Cost [blu ], Inflazione [rosso], Stati Uniti
LA MICROECONOMIA POST -KEYNESIANA
Il mondo appena descritto e le conclusioni a cui siamo giunti a livello globale sono “microfondate”, cioè basate sui comportamenti degli agenti a
livello microeconomico: le imprese (che cercano di mantenere i profitti) e i lavoratori (che contrattano con le imprese i salari, in termini nominali).
Tuttavia esse non sono microfondate sulla microeconomia neoclassica, che descrive un mondo ideale in cui un banditore del villaggio
declama i prezzi d'asta, i consumatori conoscono perfettamente le caratteristiche delle merci, la concorrenza è perfetta, gli individui massimizzano
l'utilità, i mercati sono “competi”, le aspettative sono razionali (cioè gli individui si comportano come se conoscessero il modello), la moneta è solo
un velo che nasconde un mondo di baratti, il consumatore è “sovrano” e l'equilibrio è sempre quello di piena occupazione.
Al contrario, la descrizione fornita è basata sulla microeconomia eterodossa Post Keynesiana (in particolare sulle ipotesi di Kalecki) che
cerca di descrivere i comportamenti concreti delle imprese e degli altri agenti. Molto altro si potrebbe aggiungere su questo argomento: ad
esempio, è realistico supporre che le imprese lavorino sempre a pieno regime con tutti i lavoratori impiegati (piena occupazione)? Vi è motivo di
dubitarne. Al contrario, esse conservano un “buffer” di capacità produttiva inutilizzata che viene attivato quando la domanda cresce (si
pensi, ad esempio, all'uso degli straordinari).
Per quel che concerne tali questioni rimandiamo all'ottimo testo Introduction to Post-Keynesian econom ics di Marc Lavoie (Palgrave
Macmillan, 2006). Per una sintesi si vedano le dispense elaborate da Marco Passarella [http://www.marcopassarella.it/wp-
content/uploads/economia-post-keynesiana.pdf].
Chiaramente quanto qui illustrato non basta a provare in modo rigoroso la relazione causale tra costi e inflazione. Tuttavia un modello di inflazione "cost-
push" (guidata dai costi) appare sicuramente più realistico, sia nelle sue ipotesi che a confronto con i dati, rispetto all'idea che siano le masse monetarie a
guidare l'inflazione, come sostenuto dalla Teoria Quantitativa della Moneta.
4. Domanda e offerta di moneta
Se, come abbiamo visto, l'aumento dei costi guida a breve termine dell'aumento dei prezzi, possiamo ora ipotizzare l'effetto che questo processo avrà sulle
masse monetarie: un incremento dei prezzi P richiederà un aumento della moneta M per rappresentare i medesimi beni prodotti (Q)
dall'economia. Servirà più moneta anche nel caso in cui l'economia sia in una fase di crescita (cioè quando Q aumenta), a prescindere
dall'inflazione, perché vi saranno investimenti crescenti, più persone lavoreranno, aumenteranno i consumi e i beni e servizi acquistati: vale a dire l'aumento
della domanda aggregata, la quale guida la crescita economica tanto nel breve quanto nel lungo periodo, secondo il principio keynesiano della domanda
effettiva.
Ci si chiede a questo punto dove il settore reale (imprese, famiglie) prenda la moneta aggiuntiva rispetto al periodo precedente. La
risposta più immediata è che essa proviene dalle banche, attraverso i prestiti. Una conferma dovrebbe venire dal confronto tra la crescita delle
masse monetarie (offerta) con la crescita dei prestiti (domanda):
Credito totale Banche com m erciali [blu ] - Moneta (M2 ) [rosso], Stati Uniti
Si noti che il "ciclo"del credito anticipa quello della massa monetaria M2.
Il grafico seguente mostra l'andamento dell'aggregato monetario M3 e dei prestiti nell'area euro
Gli andamenti sono molti simili e ravvicinati. Si tenga presente che l'anomalia tra il 2001 e il 2003 è spiegata dalla BCE come un'elevata preferenza per le
attività liquide da parte degli operatori (che comunque è anch'essa un fenomeno riguardante la domanda e non l'offerta della moneta).
Possiamo ora quindi avanzare l'ipotesi opposta a quella della T QM: la massa monetaria non dipende dall'offerta di moneta “esogena”, sotto il
controllo della banca centrale, ma dalla dom anda di moneta da parte dell'economia e dalla “propensione al prestito” (o meglio propensione
al rischio) delle banche.
Se così è, allora un'eventuale crescita dell'offerta di moneta da parte delle banche centrali (base monetaria) che vada oltre la domanda da parte dell'economia,
ad esempio attraverso i cosiddetti “quantitative easing” (l'acquisto di grandi quantità di titoli da parte delle BC in cambio di nuovo denaro), non dovrebbe
causare né un sensibile aumento della quantità complessiva di moneta né un corrispettivo aumento dell'inflazione. Il grafico seguente
mostra la crescita della base monetaria (la moneta “stampata” dalla banca centrale) in confronto con l'aggregato monetario M2 e l'indice dei prezzi, negli
USA.
Base m onetaria [blu ], M2 [v erde], inflazione [rosso], Stati Uniti, 1 9 80=1 00
Queste sono invece le variazioni delle stesse tre variabili:
Si tenga conto che l'aumento della base monetaria nel 2008 (a cui sono seguiti ulteriori Quantitative Easing) è stato di proporzioni enormi. Anche volendo
ipotizzare che tale liquidità aggiuntiva abbia influenza sull'inflazione solo nel lungo periodo, siamo ormai a 5 anni dal primo grande QE e nel frattempo altri ne
sono seguiti. Eppure l'inflazione si è sempre mantenuta estremamente modesta, anche quando l'economia è tornata a crescere (negli USA) dopo il 2009.
Non solo, anche la moneta M2 non ha seguito l'andamento della base monetaria, diversamente dagli anni precedenti, in cui, almeno per alcuni
periodi, questa relazione sembrava stabile.
Base m onetaria [blu ], M2 [rosso], Stati Uniti
Cade quindi l'idea che il moltiplicatore monetario abbia rilevanza nel processo di creazione della moneta. La relazione base
monetaria/quantità di moneta, insomma, sembra "rompersi" se la banca centrale decide di "stampare in eccesso" rispetto alle esigenze
dell'economia.
Vi sono diversi modi per spiegare la mancata esplosione dell'inflazione e delle masse monetarie. Keynes sosteneva ad esempio che la velocità della moneta
(numero di transazioni in un dato tempo) precipita durante una crisi perché la gente tende a non spendere, ma a detenere scorte liquide di moneta in risposta
all'incertezza. Inoltre sappiamo che grande parte della liquidità aggiuntiva è rimasta nei depositi delle banche commerciali presso le banche centrali, cioè le
banche stesse hanno usato la moneta come riserva di valore (si veda il nostro articolo sulla preferenza della liquidità delle banche:
[http://keynesblog.com/2012/09/06/la-preferenza-per-la-liquidita-delle-banche-e-la-politica-monetaria-disciplinare-di-mario-draghi/]).
In ogni caso l'ipotesi di una relazione causale del tipo:
Base Monetaria → M → P
non sembra in grado di dar conto in modo soddisfacente di una serie di fenomeni che accadono tanto in periodo di crisi quanto in periodo di espansione.
Serve probabilmente qualcosa di più solidamente poggiato sui reali meccanismi della creazione monetaria: una teoria della moneta "endogena", cioè
un modello in cui le masse monetarie dipendono dalla domanda e dalla creazione di moneta da parte delle banche, piuttosto che
dall'offerta "esogena" sotto il controllo della banca centrale.
5. La moneta “endogena”
Per illustrare come la moneta viene creata dal sistema creditizio, partiremo da un esempio semplice, ma estremamente istruttivo, che ci permetterà di capire
che la moneta è un "segno"rappresentativo di una "promessa di pagamento"da parte dell'emittente e di un "potere d'acquisto"in mano a chi la detiene.
Supponiamo che il signor A, proprietario di un mulino che produce farina, chieda al signor B un prestito di 100 euro. Il signor B tuttavia non possiede
al momento contante e firma un foglio di carta con su scritto “pagherò 100 euro a chi si presenterà con questo foglio”. Poiché il signor B è persona
notoriamente affidabile, il signor A considererà quel foglio un valido sostituto temporaneo dei 100 euro. A lo girerà ad un altro soggetto (ad esempio
un macellaio, che conosce anch'egli l'affidabilità di B), che lo girerà ad un altro ancora (ad esempio un fruttivendolo), che lo girerà ad un terzo, ad
esempio un panettiere. Il panettiere ha bisogno di farina e la compra dal signor A, pagando in parte con il “pagherò” emesso dal signor B. Quindi il
signor A tornerà dal signor B e gli restituirà il “pagherò”, estinguendo così il debito. A questo punto il signor B semplicemente lo straccerà,
distruggendo la moneta precedentemente creata.
Si noti che il signor B non ha mai avuto davvero bisogno di possedere 100 euro. Né, al momento in cui ha emesso il “pagherò”, era obbligato a
sapere quanto possedeva precedentemente. Doveva solo fidarsi del signor A.
La moneta è un cioè un “IOU” (I Owe You, “io ti devo”), viene creata con i prestiti e distrutta con la loro restituzione.
Che la moneta sia una "promessa di pagamento" è sempre stato chiaro ai banchieri centrali. Sulle sterline inglesi viene esplicitamente dichiarato
"Prometto di pagare al portatore su domanda la somma di ... sterline":
Per comprendere quindi come funziona realmente il sistema monetario dobbiamo partire dall'idea che siano i prestiti a creare la moneta.
Nella realtà economica la questione quindi diventa: da dove le banche commerciali ottengono la moneta per i prestiti? La risposta è che, a livello
aggregato, la creano "dal nulla". Esse aprono cioè delle linee di credito dalle quale le imprese attingono per iniziare la produzione. Le banche nel loro
insieme non sono quindi vincolate nel concedere prestiti dall'ammontare del denaro precedentemente depositato.
La sequenza logica funziona esattamente al contrario rispetto alla TQM: le banche concedono prestiti, con i quali gli imprenditori investono,
pagano le famiglie e queste depositano i soldi nella banche. Infine le imprese, grazie agli incassi realizzati con l'attività economica, restituiscono i
prestiti e quindi la moneta inizialmente creata si “distrugge”. Gli incassi dell'attività economica altro non sono che il frutto delle vendite realizzate
dalle imprese alle famiglie, le quali, come si è detto, hanno un reddito perché le imprese hanno pagato loro i salari (i dividendi in caso degli azionisti). E i
salari (o dividendi) possono essere pagati solo perché le imprese hanno inizialmente chiesto e ottenuto un prestito alle banche.
Se le famiglie risparmiano una certa parte del reddito, le banche avranno dei depositi residui. Essi ammonteranno a una frazione del reddito
percepito dalle famiglie, che a sua volta è il risultato del prestito iniziale. Ecco quindi perché i depositi sono una frazione dei prestiti. Invece
che di moltiplicatore monetario, quindi, si può parlare di "divisore".
Pertanto, a differenza di quanto comunemente si crede, i prestiti creano i depositi e non viceversa. Le banche non sono perciò un intermediario
tra i risparmiatori che depositano denaro e coloro che chiedono i prestiti.
E' questo in sintesi il cosiddetto “circuito monetario”, ossia la sequenza logica di fasi concatenate che scandiscono la produzione e lo scambio
in un’economia capitalistica. Un'economia in cui le imprese usano la moneta “creata dal nulla” dalle banche per investire (comprare beni capitali) e
pagare i lavoratori al fine di produrre le merci. Successivamente le imprese venderanno le merci sul mercato e con la moneta così ottenuta restituiranno i
prestiti alle banche.
Questo semplice modello può essere poi arricchito per rappresentare il reale funzionamento dell'economia. Per motivi pratici il pubblico potrebbe desiderare
dei mezzi di pagamento cartacei per le spese, invece che ordinare alla banca di effettuare un trasferimento a favore delle imprese. E' questa l'origine
dei “biglietti di banca”, cioè le banconote, prima che nascessero le banche centrali controllate dallo Stato.
Inoltre le banche, temendo l'insolvenza di alcune aziende e per assicurarsi un proprio profitto, chiederanno un prezzo per i prestiti concessi: il tasso
d'interesse. Poiché sotto forma di liquidità la moneta può venire conservata (non necessariamente in forma cartacea, ma anche in conti correnti e
depositi “liquidi”) le imprese si troveranno costantemente in debito con le banche. Per eliminare questo problema, le aziende emettono titoli
(le obbligazioni) che vendono alle famiglie, ottenendo in cambio moneta: in questo modo sono in grado di ripagare le banche e si indebitano direttamente
con le famiglie.
Infine, nasce l'esigenza di strumenti di pagamento definitivi che estinguano tutti i debiti, compresi quelli tra le banche, generati, ad esempio,
dai trasferimenti dei clienti (si pensi ad un bonifico effettuato da una banca ad un'altra). Difatti una banca non può estinguere i propri debiti con
un'altra banca emettendo la propria moneta bancaria, altrimenti godrebbe del privilegio di signoraggio. E' quindi necessaria la moneta legale
emessa da un'autorità terza: la banca centrale.
In effetti che questo sia lo scopo della moneta legale è chiaro leggendo quanto scritto su ogni dollaro americano: “This note is legal tender for all debts public
and private” (questa banconota è a corso legale per [estinguere] tutti i debiti, pubblici e privati).
Nella realtà i pagamenti interbancari non vengono effettuati con denaro contante, ma attraverso le riserve delle banche commerciali presso le
banche centrali, che fanno comunque parte della moneta legale come le banconote e le monete metalliche. Nella maggior parte dei paesi le banche centrali
richiedono una riserva obbligatoria minima (una frazione dei depositi), di cui abbiamo già parlato quando abbiamo descritto il moltiplicatore
monetario. In alcuni (Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Svezia) al contrario non è richiesta alcuna riserva obbligatoria, senza che ciò
faccia crescere l'offerta di moneta all'infinito, come suggerisce il modello del moltiplicatore monetario.
L'esigenza per il sistema economico di ottenere una moneta legale dà quindi alla banca centrale il potere di fissare il suo prezzo: il tasso di interesse
della Banca Centrale è perciò il riferimento per le banche quando concedono prestiti alle aziende. In questo quadro allora la banca centrale svolge un
ruolo completamente differente rispetto a quanto sostenuto dalla TQM. Essa fissa un prezzo per la moneta legale che influenza il tasso d'interesse
bancario.
La domanda di moneta, sensibile al tasso d'interesse, diminuirà o aumenterà in funzione di questo, dando quindi una certa efficacia alle
politiche monetarie. A questo punto la banca centrale stamperà quanto effettivamente necessario a rispondere alla domanda di moneta
legale, che sarà una frazione della moneta totale.
I due grafici seguenti illustrano la differenza tra la Teoria Quantitativa della Moneta e la Teoria della Moneta Endogena (qui ci riferiamo alla sua versione più
semplice, l' "orizzontalismo"sviluppato da Basil Moore sulla base delle osservazioni di Kaldor):
Nel caso della TQM, la Banca Centrale è in grado di controllare la quantità di moneta che non dipende in alcun modo dalla domanda, ma esclusivamente
dall'offerta. Al contrario, nella T eoria della Moneta Endogena, la Banca Centrale non è in grado di controllare direttamente la quantità di
moneta. Essa fissa il tasso d'interesse al quale rifinanzia le banche con la moneta legale e tale tasso d'interesse influisce su quello effettivamente applicato
dalle banche ai clienti. A tale tasso d'interesse bancario la domanda di moneta "tirerà" una certa offerta. Se la Banca Centrale riduce il tasso d'interesse, e di
conseguenza lo riducono anche le banche, la domanda aumenterà e quindi aumenterà anche l'offerta. La Banca Centrale deve essere sempre pronta a
fornire la liquidità in moneta legale necessaria, pena l'insolvenza del sistema finanziario.
Si noti tuttavia che, durante una crisi, il fatto che la BC sia in grado di diminuire il tasso d'interesse sulla moneta legale non implica che le banche riducano
nella stessa misura il tasso d'interesse bancario, né che esse siano più propense al rischio (esse possono cioè sempre razionare il credito se temono
l'insolvenza dei propri clienti), né che la domanda di prestiti aumenti di conseguenza nel caso in cui gli imprenditori abbiano aspettative negative sul
rendimento degli investimenti. In ogni momento, insomma, è il rapporto tra le banche e chi richiede i prestiti a determinare la quantità di
moneta nel sistema economico. Gli economisti spesso usano le metafore "non si può spingere una corda" e "il cavallo non vuole bere" per
descrivere quelle situazioni in cui la politica monetaria "rilassata" della banca centrale non si dimostra abbastanza efficace per far riprendere il ciclo del
credito.
L'affermazione che le Banche Centrali non siano in grado di determinare la quantità di moneta può sembrare molto azzardata, ma l'esperienza lo conferma. Nel
grafico seguente, che abbiamo già esaminato nel paragrafo 4., la retta orizzontale azzurra rappresenta l'obiettivo di crescita di M3 fissato dalla Banca Centrale
Europea (4,5% annuo). Come si può notare, M3 è quasi sempre cresciuta a ritmi notevolmente superiori all'obiettivo stabilito dalla BCE.
Riassumendo quindi sono i prestiti che creano i depositi e i depositi creano le riserve (in moneta legale). L'influenza della banca
centrale sull'economia si realizza dunque fissando il tasso d'interesse, al quale essa deve poi accomodare la richiesta di moneta legale da
parte del sistema.
Infatti, come sottolineato da Kaldor, l'autorità monetaria (la banca centrale) ha sempre il dovere di assecondare la domanda di moneta legale, pena
l'insolvenza del settore finanziario.
Il tasso d'interesse non è quindi più, come per l'economia mainstream, il prezzo d'equilibrio tra investimenti e risparmio. La moneta può venire
tesoreggiata, come sosteneva Keynes, non trasformandosi in investimento; i risparmiatori possono non comprare i titoli delle aziende ma mantenere
liquidità; la stessa offerta di moneta è di per sé incapace di influire sull'ammontare delle masse monetarie. Nulla perciò assicura a priori che il ritmo
dell'investimento sia sufficiente a mantenere la piena occupazione. Un’ "economia monetaria di produzione" è quindi un sistema scoordinato e
"non-ergodico", cioè un sistema in cui nulla ci riporta automaticamente all'equilibrio iniziale, una volta che ce ne siamo allontanati.
Questa descrizione del funzionamento del sistema monetario affonda le proprie radici in teorici come Wicksel, Shumpeter, Kaldor e in parte nel Trattato
sulla m oneta di Keynes. In Italia in particolare è stata elaborata da Augusto Graziani nella versione della T eoria del Circuito Monetario (insieme
alla Scuola francese di Poulon, Parguez e Schmitt), in Inghilterra da Basil Moore nella sua versione detta “orizzontalista” e negli Stati Uniti da Hyman
Minsky. Il neo-cartalismo (Modern Monetary Theory, MMT), secondo Marc Lavoie [link-inglese; link-italiano], afferisce anch'esso alla tradizione Post
Keynesiana della moneta endogena, sebbene la MMT ponga un'enfasi sulla moneta legale decisamente più marcata rispetto agli altri "rami" della Teoria della
Moneta Endogena.
6. L'inflazione e la crescita aumentano le masse monetarie
Tornando all'identità M×V=P×Q abbiamo quindi affermato che il livello dei prezzi P (insieme alla crescita del "PIL reale" Q) guida la quantità di
moneta M. T roveremo quindi ancora una relazione tra le due grandezze, ma solo nel medio-lungo periodo, vale a dire quando gli effetti
cumulati delle variazioni dei prezzi, insieme alle variazioni di Q e alle oscillazioni di V (velocità degli scambi), si ripercuoteranno sulla domanda di moneta e di
conseguenza sulle masse monetarie. Difatti, se costruiamo il nostro grafico sulle variazioni delle due variabili misurate sul lungo periodo (10 anni),
ritroveremo (approssimativamente) la correlazione perduta ma, come abbiamo visto, con nessi causali invertiti rispetto alla TQM:
Moneta M2 (rosso) e deflattore del PNL (blu ), v ariazioni della m edia decennale, Stati Uniti
(in questo grafico tratto da Wikipedia si usa il deflattore del prodotto nazionale lordo come indice, che differisce generalmente poco rispetto all'indice dei
prezzi al consumo).
Torna utile un confronto con gli andamenti di breve periodo (1 anno):
Moneta M2 (v erde), prezzi al consu m o (rosso), deflattore del PNL (blu ), v ariazioni anno/anno,
Stati Uniti
Riassumendo la nostra sequenza:
1. l'inflazione è guidata fondamentalmente dai costi (materie prime, energia, salari, ecc.);
2. l'aumento dei prezzi P (e la crescita economica, che dipende dalla domanda aggregata) inducono l'economia reale a domandare più moneta alle banche;
3. l'aumento dei prestiti aumenta la quantità di moneta M e crea i depositi secondo la regola del "divisore";
4. l'aumento di M rende necessario l'aumento della moneta legale emessa dalle banche centrali (riserve e moneta cartacea) che sarà a sua volta una
frazione dell'intera moneta nel sistema.
Un'ultima nota: come accennato, Keynes nella Teoria Generale ha mantenuto la Teoria Quantitativa della Moneta, pur ampiamente rivisitata in modo tale che
fosse valida solo nel lungo periodo. Tuttavia la Teoria della Moneta Endogena, sviluppata da Kaldor proprio come critica a Keynes, si adatta molto meglio al
modello della Teoria Generale. Difatti, se per Keynes sono gli investimenti a creare i risparmi, è perfettamente logico attendersi che siano i
prestiti a creare i depositi e non viceversa.
7. Le Banche centrali e la Teoria della Moneta Endogena
Dopo la crisi del 2008 e di fronte alla mancanza di effetti degni di nota dell'azione delle banche centrali sia sulle grandezze reali (Pil, occupazione) che su
quelle monetarie (inflazione), la teoria della moneta endogena è tornata prepotentemente in campo. Molti economisti, anche ortodossi, e soprattutto alcuni
banchieri centrali, riconoscono il ruolo del credito quale creatore della moneta ed esplicitamente sostengono il punto centrale della Teoria della Moneta
Endogena: l'inversione di causalità tra prestiti, depositi e riserve in moneta legale.
Di seguito riportiamo alcuni passaggi di articoli e interventi in tal senso.
Vítor Constâncio, vice presidente della Banca Centrale Europea, 26th International Conference on Interest Rates, Frankfurt am Main, 8 December 2011
[link]
“Non esiste una teoria accettabile che colleghi in modo necessario la base monetaria creata dalle banche centrali con l'inflazione. Tuttavia, si sostiene da
parte di alcuni che le istituzioni finanziarie sarebbero libere di trasformare istantaneamente i prestiti loro accordati dalla banca centrale in credito al
settore non-finanziario. Questo si inserisce la vecchia visione teorica sul moltiplicatore del credito, in base alla quale la sequenza di creazione di moneta
va dalla liquidità primaria creata dalle banche centrali all'offerta di moneta totale creata dalle banche attraverso le loro decisioni di credito. In realtà la
sequenza funziona più che altro nella direzione opposta, con le banche che prima prendono le loro decisioni di credito e poi cercando i finanziamenti
necessari e le riserve di moneta della banca centrale. Come Claudio Borio e Disyatat dalla Banca dei Regolamenti Internazionali hanno scritto: 'In effetti,
il livello di riserve difficilmente figura nelle decisioni di prestito delle banche. L'ammontare del credito in essere è determinato dalla disponibilità delle
banche a fornire prestiti, sulla base del trade-off percezione del rischio/rendimento e della domanda per i prestiti'. Nei settori bancari moderni, le
decisioni di credito precedono la disponibilità di riserve nella centrale banca. Come Charles Goodhart ha acutamente sostenuto, sarebbe più opportuno
parlare di un "divisore del credito"invece che di un "moltiplicatore del credito”.
Alan R. Holmes, Federal Reserve Bank di New Y ork (1969) [link]
“Nel mondo reale, le banche estendono il credito, creando i depositi nel processo, e cercano le riserve successivamente.”
Finn Kydland e Ed Prescott (Premi Nobel per l'Economia), Federal Reserve Bank di Minneapolis (1990) [link]
“Non ci sono prove che siano la base monetaria o M1 [liquidità primaria] a guidarlo [il ciclo del credito], anche se alcuni economisti credono ancora a
questo mito monetario. Le serie della base monetaria e di M1 sono generalmente procicliche e, semmai, la base monetaria segue con un po' di ritardo [il
ciclo del credito]”
Charles Goodhart, membro del Comitato per la politica monetaria della Banca d'Inghilterra (2007 ) [link]
“La massa monetaria è una variabile dipendente endogena. Questo è esattamente ciò che gli eterodossi post-keynesiani, da Kaldor, attraverso Vicky
Chick, e attraverso Basil Moore e Randy Wray, hanno correttamente sostenuto per decenni, e sono stato dalla loro parte su questo.”
Piti Distayat e Claudio Borio, Banca dei Regolamenti Internazionali (2009) [link]
“Questo documento sostiene che l'accento sulle variazioni nei depositi indotti dalle politiche [monetarie] è inappropriato. Semmai il processo
effettivamente funziona in senso inverso, con i prestiti che guidano i depositi. In particolare, si sostiene che il concetto di moltiplicatore monetario è
inesatto e non informativo in termini di analisi delle dinamiche del credito bancario. Sotto uno standard di moneta a corso forzoso e sistema finanziario
liberalizzato, non vi è alcun vincolo esogeno sulla fornitura di credito, se non attraverso i requisiti patrimoniali. Un sistema bancario adeguatamente
capitalizzato può sempre soddisfare la domanda di prestiti se lo desidera.”
Seth B. Carpenter e Selva Demiralp, Federal Reserve Bank (2010) [link]
“Nonostante i fatti istituzionali da soli forniscano un supporto interessante alle nostre idee, dimostriamo in maniera empirica che le relazioni implicate
dal moltiplicatore monetario non esistono nei dati per la maggior parte delle banche liquide e ben capitalizzate. Le variazioni delle riserve non sono
correlate a quelle nel credito, e le operazioni di mercato aperto non hanno un impatto diretto sui prestiti. Concludiamo che il modo in cui nei libri di
testo viene affrontato il meccanismo di trasmissione può essere respinto. In particolare, i nostri risultati indicano che l'offerta di prestito bancario non
risponde ai cambiamenti nella politica monetaria attraverso un canale del credito bancario.”
Jaime Caruana, General Manager della Bank for International Settlements [link]
"Nei fatti, l’espansione del credito bancario è determinata dalla disponibilità delle banche di garantire i prestiti, basandosi sul trade off percepito tra
rischio e rendimento e sulla domanda di credito. Un’espansione di riserve bancarie oltre il livello richiesto per precauzione, e/o per soddisfare l’obbligo
di riserva, non fornisce alle banche maggiori risorse per l’espansione del credito. Finanziare la variazione degli asset nello stato patrimoniale della Banca
Centrale tramite riserve piuttosto che altri strumenti a breve termine come banconote o titoli di Stato, altera solo la composizione della liquidità nel
sistema bancario. Come detto, i due sono veri e propri sostituti. […] Questo può essere visto in un’altra maniera. Ricordo che per finanziare politiche di
bilancio tramite un’espansione di riserve, la Banca Centrale deve eliminare il costo opportunità di detenerle. In altre parole, deve pagare un’interesse
sulle riserve pari al tasso overnight che vorrebbe raggiungere, o il tasso overnight deve scendere sino al tasso [pagato sulla, ndt] deposit facility (o zero).
Infatti, la Banca Centrale deve rendere le riserve bancarie sufficientemente attrattive rispetto ad altri asset liquidi. Questo li rende perfetti sostituti, in
particolare di altri titoli del tesoro a breve termine. Le riserve diventano così solo un altro tipo di asset liquido fra tanti."
James T obin, Premio Nobel per l'Economia, (1963) [link]
"La singola banca non è vincolata da nessun ammontare fisso di riserve. Può ottenere ulteriori riserve per soddisfare gli obblighi di riserva prendendo a
prestito dalla Federal Reserve, acquistando “fondi Federali” da altre banche, vendendo o “richiedendo anticipatamente il rimborso” di titoli a breve
termine. In breve, le riserve sono disponibili [accedendo, ndt] alla discount window e nel mercato monetario ad un prezzo."
William Dudley, presidente e CEO della Federal Reserve Bank di New Y ork (2009) [link]
"Un altro problema collegato è la questione se la Federal Reserve sarà in grado di agire abbastanza rapidamente una volta che decide che è il momento di
alzare i tassi. Questa preoccupazione riflette l'opinione che le riserve in eccesso su cui sono sedute le banche sono essenzialmente 'esca per il fuoco' che
potrebbe rapidamente alimentare l'eccessiva creazione di credito e spiazzare la stretta monetaria della Fed.
In termini di immagini, questa preoccupazione sembra convincente, le banche sedute su mucchi di soldi che potrebbero essere utilizzati per estendere il
credito con poco preavviso. Tuttavia, questo ragionamento non tiene conto di un punto molto importante. Sulla base di come la politica monetaria è
stata condotta da diversi decenni, le banche hanno sempre avuto la possibilità di espandere il credito ogni volta che vogliono. Non hanno bisogno per
farlo di un mucchio di 'esca per il fuoco', sotto forma di riserve in eccesso. Questo perché la Federal Reserve si è impegnata a fornire riserve sufficienti a
mantenere il tasso sui fed funds al suo obiettivo. Se le banche vogliono espandere il credito e questo fa salire la domanda di riserve, la Fed
automaticamente asseconda quella domanda nella conduzione della politica monetaria. In termini di capacità di espandere il credito rapidamente, non
fa alcuna differenza se le banche hanno un sacco di riserve in eccesso o meno."
[Parzialmente tratto da: http://rwer.wordpress.com/2012/01/26/central-bankers-were-all-post-keynesians-now/ e da alcuni post di "Istwine" su diversi
forum in rete]
8. Ringraziamenti e Bibliografia
Ringraziamo per i consigli e suggerimenti sul tema Marco Passarella, Hervé Baron e Andrea Terzi
Per una esposizione didattica dell'approccio della moneta endogena abbiamo in particolar modo attinto a:
Lavoie M., A primer on endogenous credit-money [link]
Passarella M., Dispense sul circuito monetario [link]
Terzi A., Appunti di Economia Monetaria, EDUCatt, 2012 [link]
Consigliamo inoltre:
Risorse in rete
Cavalieri, Duccio, Il circuito della moneta e il finanziamento dell'economia. Un'analisi teorica [link]
Brancaccio Emiliano, Fontana Giuseppe, “Solvency rule” versus “Taylor rule”. An alternative interpretation of the relation between monetary policy
and the economic crisis, 2012, Cambridge Journal of Economics. doi: 10.1093/cje/bes028.
Brancaccio E., Un modello di teoria monetaria di produzione capitalistica, Il pensiero economico italiano XIII/2005 [link]
Ferrara Ferdinando , Moneta endogena, disponibilità di credito e preferenza per la liquidità, in Studi e note di economia MPS, 1/98 [link]
Leijonhufvud, Axel The Wicksell Connection: Variation on a Theme. UCLA, 197 9. [link]
Riportiamo infine una bibliografia estesa tratta dal blog Social Democracy for 21st Centory [link]
Libri
Arestis, P. and Sawyer M. (eds). 2006. A Handbook of Alternative Monetary Economics, Edward Elgar, Cheltenham, UK and Northampton, Mass.
Fontana, G. 2009. Money, Uncertainty and Time, Routledge, London and New Y ork.
Graziani, Augusto. 2003. The Monetary Theory of Production, Cambridge University Press, Cambridge. [Anteprima su Google books]
Kaldor, N. 1982. The Scourge of Monetarism, Oxford University Press, Oxford and New Y ork.
Lavoie, Marc. 1992. Foundations of Post-Keynesian Economic Analysis. Elgar, Aldershot.
Moore, B. J. 1988. Horizontalists and Verticalists: The Macroeconomics of Credit Money, Cambridge University Press, Cambridge and New Y ork.
Rochon, Louis-Philippe and Sergio Rossi (eds.). 2006.Endogenous Money: The Evolutionary Versus Revolutionary Views, Centro di studi bancari, RME Lab,
Vezia.
Rochon, Louis-Philippe. 1999. Credit, Money, and Production: An Alternative Post-Keynesian Approach, Edward Elgar, Cheltenham, UK and Northampton,
MA, USA.
Rousseas, Stephen. 1998. Post Keynesian Monetary Economics(3rd end.), Macmillan, London.
Setterfield, M. (ed.). 2006. Complexity, Endogenous Money and Macroeconomic Theory: Essays in Honour of Basil J. Moore, Edward Elgar, Cheltenham, UK
; Northampton, MA.
Wray, L. R. 1990. Money and Credit in Capitalist Economies: The Endogenous Money Approach, E. Elgar, Aldershot, Hants, England and Brookfield, Vt.,
USA.
Wray, L. R. 1998. Understanding Modern Money: The Key to Full Employment and Price Stability, Edward Elgar, Cheltenham.
Articoli
Arestis, P. and P. Howells. 1996. “Theoretical Reflections on Endogenous Money: The Problem with ‘Convenience Lending,’”Cambridge Journal of
Economics 20: 539–552.
Arestis, P. and I. Biefang-Frisancho Mariscal. 1995. “The Endogenous Money Stock: Empirical Observations from the United Kingdom,” Journal of Post
Keynesian Economics 17 .4: 545–559.
Bell, S. 2001. “The Role of the State and the Hierarchy of Money,”Cambridge Journal of Economics 25.2: 149–163.
Chick, Victoria and Sheila Dow. 2002. “Monetary Policy with Endogenous Money and Liquidity Preference: A Nondualistic Treatment,” Journal of Post
Keynesian Economics 24.4: 587 –607 .
Cottrell, Allin. 1994. “Endogenous Money and the Multiplier,”Journal of Post Keynesian Economics 17 .1: 111–120.
Dalziel, Paul. 1996. “The Keynesian Multiplier, Liquidity Preference, and Endogenous Money,” Journal of Post Keynesian Economics 18.3: 311–331.
Dalziel, Paul. 1999–2000. “A Post Keynesian Theory of Asset Price Inflation with Endogenous Money,” Journal of Post Keynesian Economics 22.2: 227 –245.
Fand, David I. 1988. “On the Endogenous Money Supply,” Journal of Post Keynesian Economics 10.3: 386–389.
Fontana, G. 2000. “Post Keynesians and Circuitists on Money and Uncertainty: An Attempt at Generality,” Journal of Post Keynesian Economics 23.1: 27 –
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Fontana, G. 2002. “The Making of Monetary Policy in Endogenous Money Theory: An Introduction,” Journal of Post Keynesian Economics 24.4: 503–509.
Fontana, G. 2003. “Post Keynesian Approaches to Endogenous Money: A Time Framework Explanation,” Review of Political Economy 15.3: 291–314.
Fontana, G. 2004. “Rethinking Endogenous Money: A Constructive Interpretation of the Debate Between Horizontalists and
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Kaldor, N. 1939. “Speculation and Economic Activity,” Review of Economic Studies 7 : 1-27 .
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Keynesian Economics 10.3: 390–397 .
Moore, Basil J. 197 9. “The Endogenous Money Stock,” Journal of Post Keynesian Economics 2.1: 49–7 0.
Moore, Basil J. 1997 . “Reconciliation of the Supply and Demand for Endogenous Money,” Journal of Post Keynesian Economics19.3: 423–428.
Musella, M. 2001. “Endogenous Money and Credit,” in P. Anthony O’Hara (ed.), Encyclopedia of Political Economy. Volume 1. A–K, Routledge, London and
New Y ork. 259–261.
Paganelli, Maria Pia. 2006. “Hume and Endogenous Money,”Eastern Economic Journal 32.3: 533–547 .
Palacio-Vera, Alfonso. 2001. “The Endogenous Money Hypothesis: Some Evidence from Spain (1987 –1998),” Journal of Post Keynesian Economics 23.3:
509–526.
Palley, T. I., 2002, “Endogenous Money: What It is and Why It Matters,” Metroeconomica 53: 152–180.
Palley, Thomas I. 1987 –1988. “Bank Lending, Discount Window Borrowing, and the Endogenous Money Supply: A Theoretical Framework,” Journal of Post
Keynesian Economics 10.2: 282–303.
Palley, Thomas I. 1991. “The Endogenous Money Supply: Consensus and Disagreement,” Journal of Post Keynesian Economics 13.3: 397 –403.
Palley, Thomas I. 1996. Post Keynesian Economics: Debt, Distribution, and the Macro Economy, St. Martin’s Press, New Y ork.
Palley, Thomas I. 1997 . “Endogenous Money and the Business Cycle.” Journal of Economics 65.2: 133–149.
Piegay, P. 2003. “Post Keynesian Controversies on Endogenous Money: An Alternative Interpretation,” in L.-P. Rochon and S. Rossi (eds), Modern Theories
of Money: The Nature and Role of Money in Capitalist Economies, Edward Elgar Publishing, Cheltenham, UK and Northampton, Mass.
Pollin, Robert. 1991. “Two Theories of Money Supply Endogeneity: Some Empirical Evidence,” Journal of Post Keynesian Economics 13.3: 366–396.
Rochon, Louis-Philippe. 1999. “The Creation and Circulation of Endogenous Money: A Circuit Dynamique Approach,” Journal of Economic Issues 33.1: 1–21.
Rochon, Louis-Philippe. 2000. “The Creation and Circulation of Endogenous Money: A Reply to Pressman,” Journal of Economic Issues 34.4: 97 3–97 9.
Setterfield, M. 2000. “Expectations, Endogenous Money, and the Business Cycle: An Exercise in Open Systems Modeling,” Journal of Post Keynesian
Economics 23.1: 7 7 –105.
Shanmugam, B., Nair, M. and Ong, W. L. 2003. “The Endogenous Money Hypothesis: Empirical Evidence from Malaysia (1985–2000),” Journal of Post
Keynesian Economics 25.4: 599–611.
Wray, L. Randall. 2003–2004. “Loanable Funds, Liquidity Preference, and Endogenous Money: Do Credit Cards Make a Difference?,” Journal of Post
Keynesian Economics 26.2: 309–323.

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Inflazione moneta keynes blog

  • 1. Inflazione e Moneta endogena www.keynesblog.com 1. La Teoria Quantitativa della Moneta “Almeno ho scoperto qual è la causa del Natale!” Nicholas Kaldor, ironizzando sulla Teoria Quantitativa della Moneta dopo aver notato che l'offerta di moneta sale a dicembre per poi scendere a gennaio In ambito mainstream è convinzione comune che le masse monetarie siano controllate dalla banca centrale (per inciso anche Keynes, nella sua Teoria Generale, assunse questa ipotesi, sia pure in un quadro più complesso di quello dei neoclassici). Secondo la T eoria Quantitativa della Moneta (T QM) la sequenza è la seguente: le banche centrali possono stampare denaro e con esso comprare titoli, privati o pubblici, dando così alle banche commerciali, o allo Stato, nuova moneta. Inoltre, agendo sulle riserve obbligatorie delle banche, possono variare la capacità degli istituti di credito di concedere prestiti, controllando così l'emissione della “moneta bancaria”, attraverso quello che viene chiamato “moltiplicatore monetario”. Meno riserve sono richieste, più le banche possono prestare. Se la riserva obbligatoria è il 2% di tutti i depositi posseduti da una banca, allora il moltiplicatore monetario è 50 (1/0,02). IL MOLT IPLICAT ORE MONET ARIO Il meccanismo della riserva frazionaria, contro il quale si scagliano a torto gli economisti “austriaci” (e i “signoraggisti” di varia natura), è spiegato in questi termini: supponiamo che il sistema bancario sia tenuto a trattenere il 2% come riserva obbligatoria. Quando qualcuno deposita 100 euro, la banca potrà concedere in prestito la parte eccedente la riserva obbligatoria, cioè 98 euro (100-2%). Questi soldi verranno spesi, ma alla fine torneranno nel sistema bancario come depositi da parte di chi li avrà ricevuti. Quindi avremo 100+98. Con i 98 euro le banche potranno concedere 98-2% euro di prestiti, ovvero 96,04 euro, che a loro volta finiranno nel sistema bancario e potranno alimentare nuovi prestiti per 96,04-2%=94,12 euro. E così via. Come si vede ad ogni passaggio l'ammontare dei nuovi prestiti diminuisce. Alla fine del ciclo avremo che la moneta di banca complessivamente creata sarà 49 volte il deposito iniziale e, aggiungendosi ad esso, la moneta complessiva arriverà a 50 volte il deposito iniziale (nel nostro caso quindi 5000 euro). Come vedremo questo meccanismo non è in realtà rilevante, per cui le tesi “austriache” e “signoraggiste” non hanno fondamento. Ma anche se il moltiplicatore monetario fosse rilevante esso non sarebbe affatto una truffa come spesso si legge. Si noti inoltre che questa descrizione sostiene che i depositi precedono i prestiti. Secondo la TQM quindi, se la banca centrale stampa troppa moneta (che viene moltiplicata dalle banche commerciali secondo parametri sotto il controllo della banca centrale) questa offerta può superare quanto necessario a rappresentare i beni reali. In tal caso i prezzi saliranno, cioè avremo inflazione. La base teorica di questa affermazione è una particolare interpretazione della seguente identità, detta equazione degli scambi di Fisher: M×V = P×T Dove M è la quantità di moneta, V è la velocità di circolazione (misura cioè quanto velocemente la moneta viene scambiata), P è il livello generale dei prezzi (la cui variazione si chiama inflazione) e infine T è il numero di transazioni (scambi). Assumendo per semplicità che l'economia produca un solo tipo di bene, possiamo sostituire T con Q (numero dei singoli beni scambiati), ottenendo: M×V = P×Q ESEMPIO Se in un'economia vi sono 100 beni e 200 euro di moneta, che in un dato periodo (diciamo un anno) vengono scambiati 5 volte e il prezzo medio è 10 euro, avremo: 200 × 5 = 10 × 100 Il che ovviamente è vero visto che a sinistra e destra dell'uguale abbiamo 1000. Il problema è che questa equazione è un'identità contabile, vera per definizione. Difatti essa afferma semplicemente che la spesa totale in termini monetari (M×V) è uguale al valore monetario dei beni scambiati (P×Q). Nulla ci dice circa la relazione causale (“cosa causa un'altra cosa”) tra M e P. La T eoria Quantitativa della Moneta, formalizzata da Irving Fisher e ripresa da Milton Friedman e dalle correnti monetariste, sostiene che l'aumento di M causi quello di P e suggerisce che le masse monetarie, sotto il controllo delle banche centrali, debbano crescere modestamente, altrimenti l'inflazione esploderà, i lavoratori percepiranno salari reali minori e i mercati perderanno fiducia nella valuta. Fisher giungeva a tale risultato ipotizzando l'equilibrio di pieno impiego (Q costante) e che V fosse stabile in quanto determinata da fattori istituzionali, ipotesi queste tutt'altro che realistiche.
  • 2. Per verificare le conclusioni della TQM dovremmo quindi prendere in considerazione la correlazione tra M e P, cioè vedere se l'aumento o la diminuzione di una variabile si accompagna allo stesso movimento dell'altra variabile. Conoscere P è semplice poiché gli istituti di statistica monitorano i prezzi mese per mese. Riguardo M, le banche centrali usano gli aggregati monetari “larghi” che comprendono, oltre alle banconote e monete metalliche vere e proprie, una serie di altre attività finanziarie considerate abbastanza “liquide”, cioè immediatamente scambiabili o facilmente convertibili in attività a loro volta immediatamente scambiabili come il denaro, senza costi significativi. La definizione di cosa sia considerabile come moneta varia da banca centrale a banca centrale, tenendo conto delle leggi e dei comportamenti degli operatori economici. Ma in generale si tratta di aggiungere al denaro circolante i depositi bancari e postali, i titoli a breve scadenza e altre attività “liquide”. Quindi, come dicevamo, all'aumentare di M dovremmo trovare un aumento di P e in particolare dovremmo vedere che la variazione di M è simile a quella di P, cioè all'inflazione. Ma questa correlazione è tutt'altro che evidente guardando alle variazioni annuali di M e P. M2 [blu ] - inflazione [rosso] - Stati Uniti M3 [blu ] - inflazione [rosso] Eu rozona (fonte BCE, grafico Bill Mitchell) La supposta correlazione tra M e P non sembra trovare conferma. Ciò può sorprendere perché abbiamo affermato che M×V=P×Q è vera per definizione. Vedremo che tale correlazione esiste nel lungo periodo, ma in modo meno banale e soprattutto con una catena causale opposta a quella presunta dalla T eoria Quantitativa della Moneta. 2. Inflazione e costi: il punto di vista della singola impresa Prendiamo in considerazione una fabbrica di spilli, per seguire un noto esempio di Adam Smith (ma relativo a tutt'altro). La fabbrica produce spilli partendo da materie prime (l'acciaio). Si servirà di energia elettrica per far funzionare i macchinari. Inoltre dovrà pagare i suoi dipendenti. Queste spese sono i costi di produzione dell'impresa. Se la produzione di ogni spillo costa un centesimo, allora l'impresa dovrà vendere ogni spillo a un centesimo più qualcosa (il cosiddetto ricarico o mark up) e realizzerà il massimo dei profitti quando avrà venduto tutta la produzione. Supponiamo che una delle voci di costo aumenti. Se vuole mantenere il suo profitto, l'impresa tenderà ad aumentare il prezzo. L'OBIEZIONE DEI NEOCLASSICI A questo punto l'economia neoclassica obietta che i prezzi dipendono da domanda e offerta, nell'ipotesi (peraltro irrealistica) in un regime di concorrenza perfetta; l'impresa quindi è sempre "price taker", cioè non è libera di aumentare i prezzi a suo piacimento, pena l'uscita dal mercato. Tuttavia i costi che abbiamo elencato cambiano non solo per quell'impresa, ma per l'intero settore produttivo di cui fa parte e in alcuni casi per l'intero sistema produttivo: il prezzo dell'energia aumenta per tutti e i salari, considerando che esistono i contratti collettivi, aumentano sia per l'impresa in esame che per le sue concorrenti. In sintesi, una parte rilevante dei costi è comune (o almeno le variazioni di tali costi sono simili per tutte le imprese in un settore o in una economia) e nel breve periodo non c'è modo di risolvere il problema riducendo i costi in altro modo, ad esempio acquisendo macchinari più moderni, mentre nel lungo periodo accade che anche molti concorrenti facciano investimenti simili per abbattere il prezzo unitario. Se questa descrizione fosse realistica, dovremmo attenderci che l'inflazione presenti un andamento simile (sebbene non identico) a quello dei salari
  • 3. nominali, anche nel breve periodo, poiché i salari sono una delle più importanti voci nei costi di produzione. V ariazione dei salari orari nom inali [rosso], Inflazione [blu ] - Stati Uniti Si nota che negli anni '7 0 l'inflazione aumenta notevolmente di più di quanto aumentino i salari. Difatti nel 197 3 e poi nel 197 9 vi sono state due note crisi petrolifere che hanno portato l'inflazione a due cifre quasi ovunque nel mondo, innescando il ben noto meccanismo della spirale prezzi-salari. I salari sono infatti solo una delle voci di costo per le imprese. Vanno considerate anche le materie prime, l'energia, le tasse, ecc. Nel paragrafo seguente seguiremo un approccio alla relazione costi-prezzi a livello di sistema economico nel suo complesso. 3. Inflazione e costi: l'approccio a livello di sistema economico Partiamo dal Prodotto Interno Lordo. Uno dei modi di calcolarlo è basato sulla spesa: consumi + investimenti + spesa pubblica + esportazioni - importazioni. Un modo equivalente è sommare tutti i redditi (“la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro” spiegava Keynes). In simboli: PIL=W+U dove W è la somma di tutti i salari dei lavoratori e U quella di tutti i profitti. Ma il PIL, abbiamo detto, è anche la somma di tutte le spese, quindi, nel nostro modello ad un solo bene, è uguale al prezzo (P) moltiplicato per la quantità (Q). Avremo quindi: P×Q=W+U Portiamo Q a dividere dall'altra parte e otterremo P: P = W/Q + U/Q Cosa sono W/Q e U/Q? W/Q è il costo del lavoro per unità di prodotto. E' una delle misure più importanti in economia ed è centrale nell'analisi degli squilibri nell'eurozona. U/Q invece è, parallelamente, il profitto per unità di prodotto. Quindi considerando che, secondo l'ipotesi che abbiamo formulato, le imprese cercheranno di mantenere il più possibile stabile il profitto unitario di fronte all'aumento dei costi, dovremmo vedere che le variazioni del costo del lavoro per unità di prodotto e le variazioni dei prezzi seguono un andamento simile anche nel breve periodo. Costo del lav oro per u nità di prodotto [blu ] - Inflazione [rosso], Italia. Dati Istat, grafico di Sebastiano Marino
  • 4. Unit Labor Cost [blu ], Inflazione [rosso], Stati Uniti LA MICROECONOMIA POST -KEYNESIANA Il mondo appena descritto e le conclusioni a cui siamo giunti a livello globale sono “microfondate”, cioè basate sui comportamenti degli agenti a livello microeconomico: le imprese (che cercano di mantenere i profitti) e i lavoratori (che contrattano con le imprese i salari, in termini nominali). Tuttavia esse non sono microfondate sulla microeconomia neoclassica, che descrive un mondo ideale in cui un banditore del villaggio declama i prezzi d'asta, i consumatori conoscono perfettamente le caratteristiche delle merci, la concorrenza è perfetta, gli individui massimizzano l'utilità, i mercati sono “competi”, le aspettative sono razionali (cioè gli individui si comportano come se conoscessero il modello), la moneta è solo un velo che nasconde un mondo di baratti, il consumatore è “sovrano” e l'equilibrio è sempre quello di piena occupazione. Al contrario, la descrizione fornita è basata sulla microeconomia eterodossa Post Keynesiana (in particolare sulle ipotesi di Kalecki) che cerca di descrivere i comportamenti concreti delle imprese e degli altri agenti. Molto altro si potrebbe aggiungere su questo argomento: ad esempio, è realistico supporre che le imprese lavorino sempre a pieno regime con tutti i lavoratori impiegati (piena occupazione)? Vi è motivo di dubitarne. Al contrario, esse conservano un “buffer” di capacità produttiva inutilizzata che viene attivato quando la domanda cresce (si pensi, ad esempio, all'uso degli straordinari). Per quel che concerne tali questioni rimandiamo all'ottimo testo Introduction to Post-Keynesian econom ics di Marc Lavoie (Palgrave Macmillan, 2006). Per una sintesi si vedano le dispense elaborate da Marco Passarella [http://www.marcopassarella.it/wp- content/uploads/economia-post-keynesiana.pdf]. Chiaramente quanto qui illustrato non basta a provare in modo rigoroso la relazione causale tra costi e inflazione. Tuttavia un modello di inflazione "cost- push" (guidata dai costi) appare sicuramente più realistico, sia nelle sue ipotesi che a confronto con i dati, rispetto all'idea che siano le masse monetarie a guidare l'inflazione, come sostenuto dalla Teoria Quantitativa della Moneta. 4. Domanda e offerta di moneta Se, come abbiamo visto, l'aumento dei costi guida a breve termine dell'aumento dei prezzi, possiamo ora ipotizzare l'effetto che questo processo avrà sulle masse monetarie: un incremento dei prezzi P richiederà un aumento della moneta M per rappresentare i medesimi beni prodotti (Q) dall'economia. Servirà più moneta anche nel caso in cui l'economia sia in una fase di crescita (cioè quando Q aumenta), a prescindere dall'inflazione, perché vi saranno investimenti crescenti, più persone lavoreranno, aumenteranno i consumi e i beni e servizi acquistati: vale a dire l'aumento della domanda aggregata, la quale guida la crescita economica tanto nel breve quanto nel lungo periodo, secondo il principio keynesiano della domanda effettiva. Ci si chiede a questo punto dove il settore reale (imprese, famiglie) prenda la moneta aggiuntiva rispetto al periodo precedente. La risposta più immediata è che essa proviene dalle banche, attraverso i prestiti. Una conferma dovrebbe venire dal confronto tra la crescita delle masse monetarie (offerta) con la crescita dei prestiti (domanda): Credito totale Banche com m erciali [blu ] - Moneta (M2 ) [rosso], Stati Uniti Si noti che il "ciclo"del credito anticipa quello della massa monetaria M2.
  • 5. Il grafico seguente mostra l'andamento dell'aggregato monetario M3 e dei prestiti nell'area euro Gli andamenti sono molti simili e ravvicinati. Si tenga presente che l'anomalia tra il 2001 e il 2003 è spiegata dalla BCE come un'elevata preferenza per le attività liquide da parte degli operatori (che comunque è anch'essa un fenomeno riguardante la domanda e non l'offerta della moneta). Possiamo ora quindi avanzare l'ipotesi opposta a quella della T QM: la massa monetaria non dipende dall'offerta di moneta “esogena”, sotto il controllo della banca centrale, ma dalla dom anda di moneta da parte dell'economia e dalla “propensione al prestito” (o meglio propensione al rischio) delle banche. Se così è, allora un'eventuale crescita dell'offerta di moneta da parte delle banche centrali (base monetaria) che vada oltre la domanda da parte dell'economia, ad esempio attraverso i cosiddetti “quantitative easing” (l'acquisto di grandi quantità di titoli da parte delle BC in cambio di nuovo denaro), non dovrebbe causare né un sensibile aumento della quantità complessiva di moneta né un corrispettivo aumento dell'inflazione. Il grafico seguente mostra la crescita della base monetaria (la moneta “stampata” dalla banca centrale) in confronto con l'aggregato monetario M2 e l'indice dei prezzi, negli USA. Base m onetaria [blu ], M2 [v erde], inflazione [rosso], Stati Uniti, 1 9 80=1 00 Queste sono invece le variazioni delle stesse tre variabili: Si tenga conto che l'aumento della base monetaria nel 2008 (a cui sono seguiti ulteriori Quantitative Easing) è stato di proporzioni enormi. Anche volendo ipotizzare che tale liquidità aggiuntiva abbia influenza sull'inflazione solo nel lungo periodo, siamo ormai a 5 anni dal primo grande QE e nel frattempo altri ne
  • 6. sono seguiti. Eppure l'inflazione si è sempre mantenuta estremamente modesta, anche quando l'economia è tornata a crescere (negli USA) dopo il 2009. Non solo, anche la moneta M2 non ha seguito l'andamento della base monetaria, diversamente dagli anni precedenti, in cui, almeno per alcuni periodi, questa relazione sembrava stabile. Base m onetaria [blu ], M2 [rosso], Stati Uniti Cade quindi l'idea che il moltiplicatore monetario abbia rilevanza nel processo di creazione della moneta. La relazione base monetaria/quantità di moneta, insomma, sembra "rompersi" se la banca centrale decide di "stampare in eccesso" rispetto alle esigenze dell'economia. Vi sono diversi modi per spiegare la mancata esplosione dell'inflazione e delle masse monetarie. Keynes sosteneva ad esempio che la velocità della moneta (numero di transazioni in un dato tempo) precipita durante una crisi perché la gente tende a non spendere, ma a detenere scorte liquide di moneta in risposta all'incertezza. Inoltre sappiamo che grande parte della liquidità aggiuntiva è rimasta nei depositi delle banche commerciali presso le banche centrali, cioè le banche stesse hanno usato la moneta come riserva di valore (si veda il nostro articolo sulla preferenza della liquidità delle banche: [http://keynesblog.com/2012/09/06/la-preferenza-per-la-liquidita-delle-banche-e-la-politica-monetaria-disciplinare-di-mario-draghi/]). In ogni caso l'ipotesi di una relazione causale del tipo: Base Monetaria → M → P non sembra in grado di dar conto in modo soddisfacente di una serie di fenomeni che accadono tanto in periodo di crisi quanto in periodo di espansione. Serve probabilmente qualcosa di più solidamente poggiato sui reali meccanismi della creazione monetaria: una teoria della moneta "endogena", cioè un modello in cui le masse monetarie dipendono dalla domanda e dalla creazione di moneta da parte delle banche, piuttosto che dall'offerta "esogena" sotto il controllo della banca centrale. 5. La moneta “endogena” Per illustrare come la moneta viene creata dal sistema creditizio, partiremo da un esempio semplice, ma estremamente istruttivo, che ci permetterà di capire che la moneta è un "segno"rappresentativo di una "promessa di pagamento"da parte dell'emittente e di un "potere d'acquisto"in mano a chi la detiene. Supponiamo che il signor A, proprietario di un mulino che produce farina, chieda al signor B un prestito di 100 euro. Il signor B tuttavia non possiede al momento contante e firma un foglio di carta con su scritto “pagherò 100 euro a chi si presenterà con questo foglio”. Poiché il signor B è persona notoriamente affidabile, il signor A considererà quel foglio un valido sostituto temporaneo dei 100 euro. A lo girerà ad un altro soggetto (ad esempio un macellaio, che conosce anch'egli l'affidabilità di B), che lo girerà ad un altro ancora (ad esempio un fruttivendolo), che lo girerà ad un terzo, ad esempio un panettiere. Il panettiere ha bisogno di farina e la compra dal signor A, pagando in parte con il “pagherò” emesso dal signor B. Quindi il signor A tornerà dal signor B e gli restituirà il “pagherò”, estinguendo così il debito. A questo punto il signor B semplicemente lo straccerà, distruggendo la moneta precedentemente creata. Si noti che il signor B non ha mai avuto davvero bisogno di possedere 100 euro. Né, al momento in cui ha emesso il “pagherò”, era obbligato a sapere quanto possedeva precedentemente. Doveva solo fidarsi del signor A. La moneta è un cioè un “IOU” (I Owe You, “io ti devo”), viene creata con i prestiti e distrutta con la loro restituzione. Che la moneta sia una "promessa di pagamento" è sempre stato chiaro ai banchieri centrali. Sulle sterline inglesi viene esplicitamente dichiarato "Prometto di pagare al portatore su domanda la somma di ... sterline":
  • 7. Per comprendere quindi come funziona realmente il sistema monetario dobbiamo partire dall'idea che siano i prestiti a creare la moneta. Nella realtà economica la questione quindi diventa: da dove le banche commerciali ottengono la moneta per i prestiti? La risposta è che, a livello aggregato, la creano "dal nulla". Esse aprono cioè delle linee di credito dalle quale le imprese attingono per iniziare la produzione. Le banche nel loro insieme non sono quindi vincolate nel concedere prestiti dall'ammontare del denaro precedentemente depositato. La sequenza logica funziona esattamente al contrario rispetto alla TQM: le banche concedono prestiti, con i quali gli imprenditori investono, pagano le famiglie e queste depositano i soldi nella banche. Infine le imprese, grazie agli incassi realizzati con l'attività economica, restituiscono i prestiti e quindi la moneta inizialmente creata si “distrugge”. Gli incassi dell'attività economica altro non sono che il frutto delle vendite realizzate dalle imprese alle famiglie, le quali, come si è detto, hanno un reddito perché le imprese hanno pagato loro i salari (i dividendi in caso degli azionisti). E i salari (o dividendi) possono essere pagati solo perché le imprese hanno inizialmente chiesto e ottenuto un prestito alle banche. Se le famiglie risparmiano una certa parte del reddito, le banche avranno dei depositi residui. Essi ammonteranno a una frazione del reddito percepito dalle famiglie, che a sua volta è il risultato del prestito iniziale. Ecco quindi perché i depositi sono una frazione dei prestiti. Invece che di moltiplicatore monetario, quindi, si può parlare di "divisore". Pertanto, a differenza di quanto comunemente si crede, i prestiti creano i depositi e non viceversa. Le banche non sono perciò un intermediario tra i risparmiatori che depositano denaro e coloro che chiedono i prestiti. E' questo in sintesi il cosiddetto “circuito monetario”, ossia la sequenza logica di fasi concatenate che scandiscono la produzione e lo scambio in un’economia capitalistica. Un'economia in cui le imprese usano la moneta “creata dal nulla” dalle banche per investire (comprare beni capitali) e pagare i lavoratori al fine di produrre le merci. Successivamente le imprese venderanno le merci sul mercato e con la moneta così ottenuta restituiranno i prestiti alle banche. Questo semplice modello può essere poi arricchito per rappresentare il reale funzionamento dell'economia. Per motivi pratici il pubblico potrebbe desiderare dei mezzi di pagamento cartacei per le spese, invece che ordinare alla banca di effettuare un trasferimento a favore delle imprese. E' questa l'origine dei “biglietti di banca”, cioè le banconote, prima che nascessero le banche centrali controllate dallo Stato. Inoltre le banche, temendo l'insolvenza di alcune aziende e per assicurarsi un proprio profitto, chiederanno un prezzo per i prestiti concessi: il tasso d'interesse. Poiché sotto forma di liquidità la moneta può venire conservata (non necessariamente in forma cartacea, ma anche in conti correnti e depositi “liquidi”) le imprese si troveranno costantemente in debito con le banche. Per eliminare questo problema, le aziende emettono titoli (le obbligazioni) che vendono alle famiglie, ottenendo in cambio moneta: in questo modo sono in grado di ripagare le banche e si indebitano direttamente con le famiglie. Infine, nasce l'esigenza di strumenti di pagamento definitivi che estinguano tutti i debiti, compresi quelli tra le banche, generati, ad esempio, dai trasferimenti dei clienti (si pensi ad un bonifico effettuato da una banca ad un'altra). Difatti una banca non può estinguere i propri debiti con un'altra banca emettendo la propria moneta bancaria, altrimenti godrebbe del privilegio di signoraggio. E' quindi necessaria la moneta legale emessa da un'autorità terza: la banca centrale. In effetti che questo sia lo scopo della moneta legale è chiaro leggendo quanto scritto su ogni dollaro americano: “This note is legal tender for all debts public and private” (questa banconota è a corso legale per [estinguere] tutti i debiti, pubblici e privati). Nella realtà i pagamenti interbancari non vengono effettuati con denaro contante, ma attraverso le riserve delle banche commerciali presso le banche centrali, che fanno comunque parte della moneta legale come le banconote e le monete metalliche. Nella maggior parte dei paesi le banche centrali richiedono una riserva obbligatoria minima (una frazione dei depositi), di cui abbiamo già parlato quando abbiamo descritto il moltiplicatore monetario. In alcuni (Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Svezia) al contrario non è richiesta alcuna riserva obbligatoria, senza che ciò faccia crescere l'offerta di moneta all'infinito, come suggerisce il modello del moltiplicatore monetario. L'esigenza per il sistema economico di ottenere una moneta legale dà quindi alla banca centrale il potere di fissare il suo prezzo: il tasso di interesse della Banca Centrale è perciò il riferimento per le banche quando concedono prestiti alle aziende. In questo quadro allora la banca centrale svolge un
  • 8. ruolo completamente differente rispetto a quanto sostenuto dalla TQM. Essa fissa un prezzo per la moneta legale che influenza il tasso d'interesse bancario. La domanda di moneta, sensibile al tasso d'interesse, diminuirà o aumenterà in funzione di questo, dando quindi una certa efficacia alle politiche monetarie. A questo punto la banca centrale stamperà quanto effettivamente necessario a rispondere alla domanda di moneta legale, che sarà una frazione della moneta totale. I due grafici seguenti illustrano la differenza tra la Teoria Quantitativa della Moneta e la Teoria della Moneta Endogena (qui ci riferiamo alla sua versione più semplice, l' "orizzontalismo"sviluppato da Basil Moore sulla base delle osservazioni di Kaldor): Nel caso della TQM, la Banca Centrale è in grado di controllare la quantità di moneta che non dipende in alcun modo dalla domanda, ma esclusivamente dall'offerta. Al contrario, nella T eoria della Moneta Endogena, la Banca Centrale non è in grado di controllare direttamente la quantità di moneta. Essa fissa il tasso d'interesse al quale rifinanzia le banche con la moneta legale e tale tasso d'interesse influisce su quello effettivamente applicato dalle banche ai clienti. A tale tasso d'interesse bancario la domanda di moneta "tirerà" una certa offerta. Se la Banca Centrale riduce il tasso d'interesse, e di conseguenza lo riducono anche le banche, la domanda aumenterà e quindi aumenterà anche l'offerta. La Banca Centrale deve essere sempre pronta a fornire la liquidità in moneta legale necessaria, pena l'insolvenza del sistema finanziario. Si noti tuttavia che, durante una crisi, il fatto che la BC sia in grado di diminuire il tasso d'interesse sulla moneta legale non implica che le banche riducano nella stessa misura il tasso d'interesse bancario, né che esse siano più propense al rischio (esse possono cioè sempre razionare il credito se temono l'insolvenza dei propri clienti), né che la domanda di prestiti aumenti di conseguenza nel caso in cui gli imprenditori abbiano aspettative negative sul rendimento degli investimenti. In ogni momento, insomma, è il rapporto tra le banche e chi richiede i prestiti a determinare la quantità di moneta nel sistema economico. Gli economisti spesso usano le metafore "non si può spingere una corda" e "il cavallo non vuole bere" per descrivere quelle situazioni in cui la politica monetaria "rilassata" della banca centrale non si dimostra abbastanza efficace per far riprendere il ciclo del credito. L'affermazione che le Banche Centrali non siano in grado di determinare la quantità di moneta può sembrare molto azzardata, ma l'esperienza lo conferma. Nel grafico seguente, che abbiamo già esaminato nel paragrafo 4., la retta orizzontale azzurra rappresenta l'obiettivo di crescita di M3 fissato dalla Banca Centrale Europea (4,5% annuo). Come si può notare, M3 è quasi sempre cresciuta a ritmi notevolmente superiori all'obiettivo stabilito dalla BCE. Riassumendo quindi sono i prestiti che creano i depositi e i depositi creano le riserve (in moneta legale). L'influenza della banca centrale sull'economia si realizza dunque fissando il tasso d'interesse, al quale essa deve poi accomodare la richiesta di moneta legale da parte del sistema.
  • 9. Infatti, come sottolineato da Kaldor, l'autorità monetaria (la banca centrale) ha sempre il dovere di assecondare la domanda di moneta legale, pena l'insolvenza del settore finanziario. Il tasso d'interesse non è quindi più, come per l'economia mainstream, il prezzo d'equilibrio tra investimenti e risparmio. La moneta può venire tesoreggiata, come sosteneva Keynes, non trasformandosi in investimento; i risparmiatori possono non comprare i titoli delle aziende ma mantenere liquidità; la stessa offerta di moneta è di per sé incapace di influire sull'ammontare delle masse monetarie. Nulla perciò assicura a priori che il ritmo dell'investimento sia sufficiente a mantenere la piena occupazione. Un’ "economia monetaria di produzione" è quindi un sistema scoordinato e "non-ergodico", cioè un sistema in cui nulla ci riporta automaticamente all'equilibrio iniziale, una volta che ce ne siamo allontanati. Questa descrizione del funzionamento del sistema monetario affonda le proprie radici in teorici come Wicksel, Shumpeter, Kaldor e in parte nel Trattato sulla m oneta di Keynes. In Italia in particolare è stata elaborata da Augusto Graziani nella versione della T eoria del Circuito Monetario (insieme alla Scuola francese di Poulon, Parguez e Schmitt), in Inghilterra da Basil Moore nella sua versione detta “orizzontalista” e negli Stati Uniti da Hyman Minsky. Il neo-cartalismo (Modern Monetary Theory, MMT), secondo Marc Lavoie [link-inglese; link-italiano], afferisce anch'esso alla tradizione Post Keynesiana della moneta endogena, sebbene la MMT ponga un'enfasi sulla moneta legale decisamente più marcata rispetto agli altri "rami" della Teoria della Moneta Endogena. 6. L'inflazione e la crescita aumentano le masse monetarie Tornando all'identità M×V=P×Q abbiamo quindi affermato che il livello dei prezzi P (insieme alla crescita del "PIL reale" Q) guida la quantità di moneta M. T roveremo quindi ancora una relazione tra le due grandezze, ma solo nel medio-lungo periodo, vale a dire quando gli effetti cumulati delle variazioni dei prezzi, insieme alle variazioni di Q e alle oscillazioni di V (velocità degli scambi), si ripercuoteranno sulla domanda di moneta e di conseguenza sulle masse monetarie. Difatti, se costruiamo il nostro grafico sulle variazioni delle due variabili misurate sul lungo periodo (10 anni), ritroveremo (approssimativamente) la correlazione perduta ma, come abbiamo visto, con nessi causali invertiti rispetto alla TQM: Moneta M2 (rosso) e deflattore del PNL (blu ), v ariazioni della m edia decennale, Stati Uniti (in questo grafico tratto da Wikipedia si usa il deflattore del prodotto nazionale lordo come indice, che differisce generalmente poco rispetto all'indice dei prezzi al consumo). Torna utile un confronto con gli andamenti di breve periodo (1 anno): Moneta M2 (v erde), prezzi al consu m o (rosso), deflattore del PNL (blu ), v ariazioni anno/anno, Stati Uniti Riassumendo la nostra sequenza:
  • 10. 1. l'inflazione è guidata fondamentalmente dai costi (materie prime, energia, salari, ecc.); 2. l'aumento dei prezzi P (e la crescita economica, che dipende dalla domanda aggregata) inducono l'economia reale a domandare più moneta alle banche; 3. l'aumento dei prestiti aumenta la quantità di moneta M e crea i depositi secondo la regola del "divisore"; 4. l'aumento di M rende necessario l'aumento della moneta legale emessa dalle banche centrali (riserve e moneta cartacea) che sarà a sua volta una frazione dell'intera moneta nel sistema. Un'ultima nota: come accennato, Keynes nella Teoria Generale ha mantenuto la Teoria Quantitativa della Moneta, pur ampiamente rivisitata in modo tale che fosse valida solo nel lungo periodo. Tuttavia la Teoria della Moneta Endogena, sviluppata da Kaldor proprio come critica a Keynes, si adatta molto meglio al modello della Teoria Generale. Difatti, se per Keynes sono gli investimenti a creare i risparmi, è perfettamente logico attendersi che siano i prestiti a creare i depositi e non viceversa. 7. Le Banche centrali e la Teoria della Moneta Endogena Dopo la crisi del 2008 e di fronte alla mancanza di effetti degni di nota dell'azione delle banche centrali sia sulle grandezze reali (Pil, occupazione) che su quelle monetarie (inflazione), la teoria della moneta endogena è tornata prepotentemente in campo. Molti economisti, anche ortodossi, e soprattutto alcuni banchieri centrali, riconoscono il ruolo del credito quale creatore della moneta ed esplicitamente sostengono il punto centrale della Teoria della Moneta Endogena: l'inversione di causalità tra prestiti, depositi e riserve in moneta legale. Di seguito riportiamo alcuni passaggi di articoli e interventi in tal senso. Vítor Constâncio, vice presidente della Banca Centrale Europea, 26th International Conference on Interest Rates, Frankfurt am Main, 8 December 2011 [link] “Non esiste una teoria accettabile che colleghi in modo necessario la base monetaria creata dalle banche centrali con l'inflazione. Tuttavia, si sostiene da parte di alcuni che le istituzioni finanziarie sarebbero libere di trasformare istantaneamente i prestiti loro accordati dalla banca centrale in credito al settore non-finanziario. Questo si inserisce la vecchia visione teorica sul moltiplicatore del credito, in base alla quale la sequenza di creazione di moneta va dalla liquidità primaria creata dalle banche centrali all'offerta di moneta totale creata dalle banche attraverso le loro decisioni di credito. In realtà la sequenza funziona più che altro nella direzione opposta, con le banche che prima prendono le loro decisioni di credito e poi cercando i finanziamenti necessari e le riserve di moneta della banca centrale. Come Claudio Borio e Disyatat dalla Banca dei Regolamenti Internazionali hanno scritto: 'In effetti, il livello di riserve difficilmente figura nelle decisioni di prestito delle banche. L'ammontare del credito in essere è determinato dalla disponibilità delle banche a fornire prestiti, sulla base del trade-off percezione del rischio/rendimento e della domanda per i prestiti'. Nei settori bancari moderni, le decisioni di credito precedono la disponibilità di riserve nella centrale banca. Come Charles Goodhart ha acutamente sostenuto, sarebbe più opportuno parlare di un "divisore del credito"invece che di un "moltiplicatore del credito”. Alan R. Holmes, Federal Reserve Bank di New Y ork (1969) [link] “Nel mondo reale, le banche estendono il credito, creando i depositi nel processo, e cercano le riserve successivamente.” Finn Kydland e Ed Prescott (Premi Nobel per l'Economia), Federal Reserve Bank di Minneapolis (1990) [link] “Non ci sono prove che siano la base monetaria o M1 [liquidità primaria] a guidarlo [il ciclo del credito], anche se alcuni economisti credono ancora a questo mito monetario. Le serie della base monetaria e di M1 sono generalmente procicliche e, semmai, la base monetaria segue con un po' di ritardo [il ciclo del credito]” Charles Goodhart, membro del Comitato per la politica monetaria della Banca d'Inghilterra (2007 ) [link] “La massa monetaria è una variabile dipendente endogena. Questo è esattamente ciò che gli eterodossi post-keynesiani, da Kaldor, attraverso Vicky Chick, e attraverso Basil Moore e Randy Wray, hanno correttamente sostenuto per decenni, e sono stato dalla loro parte su questo.” Piti Distayat e Claudio Borio, Banca dei Regolamenti Internazionali (2009) [link] “Questo documento sostiene che l'accento sulle variazioni nei depositi indotti dalle politiche [monetarie] è inappropriato. Semmai il processo effettivamente funziona in senso inverso, con i prestiti che guidano i depositi. In particolare, si sostiene che il concetto di moltiplicatore monetario è inesatto e non informativo in termini di analisi delle dinamiche del credito bancario. Sotto uno standard di moneta a corso forzoso e sistema finanziario liberalizzato, non vi è alcun vincolo esogeno sulla fornitura di credito, se non attraverso i requisiti patrimoniali. Un sistema bancario adeguatamente capitalizzato può sempre soddisfare la domanda di prestiti se lo desidera.” Seth B. Carpenter e Selva Demiralp, Federal Reserve Bank (2010) [link] “Nonostante i fatti istituzionali da soli forniscano un supporto interessante alle nostre idee, dimostriamo in maniera empirica che le relazioni implicate dal moltiplicatore monetario non esistono nei dati per la maggior parte delle banche liquide e ben capitalizzate. Le variazioni delle riserve non sono correlate a quelle nel credito, e le operazioni di mercato aperto non hanno un impatto diretto sui prestiti. Concludiamo che il modo in cui nei libri di testo viene affrontato il meccanismo di trasmissione può essere respinto. In particolare, i nostri risultati indicano che l'offerta di prestito bancario non risponde ai cambiamenti nella politica monetaria attraverso un canale del credito bancario.” Jaime Caruana, General Manager della Bank for International Settlements [link] "Nei fatti, l’espansione del credito bancario è determinata dalla disponibilità delle banche di garantire i prestiti, basandosi sul trade off percepito tra rischio e rendimento e sulla domanda di credito. Un’espansione di riserve bancarie oltre il livello richiesto per precauzione, e/o per soddisfare l’obbligo di riserva, non fornisce alle banche maggiori risorse per l’espansione del credito. Finanziare la variazione degli asset nello stato patrimoniale della Banca Centrale tramite riserve piuttosto che altri strumenti a breve termine come banconote o titoli di Stato, altera solo la composizione della liquidità nel sistema bancario. Come detto, i due sono veri e propri sostituti. […] Questo può essere visto in un’altra maniera. Ricordo che per finanziare politiche di bilancio tramite un’espansione di riserve, la Banca Centrale deve eliminare il costo opportunità di detenerle. In altre parole, deve pagare un’interesse sulle riserve pari al tasso overnight che vorrebbe raggiungere, o il tasso overnight deve scendere sino al tasso [pagato sulla, ndt] deposit facility (o zero). Infatti, la Banca Centrale deve rendere le riserve bancarie sufficientemente attrattive rispetto ad altri asset liquidi. Questo li rende perfetti sostituti, in particolare di altri titoli del tesoro a breve termine. Le riserve diventano così solo un altro tipo di asset liquido fra tanti."
  • 11. James T obin, Premio Nobel per l'Economia, (1963) [link] "La singola banca non è vincolata da nessun ammontare fisso di riserve. Può ottenere ulteriori riserve per soddisfare gli obblighi di riserva prendendo a prestito dalla Federal Reserve, acquistando “fondi Federali” da altre banche, vendendo o “richiedendo anticipatamente il rimborso” di titoli a breve termine. In breve, le riserve sono disponibili [accedendo, ndt] alla discount window e nel mercato monetario ad un prezzo." William Dudley, presidente e CEO della Federal Reserve Bank di New Y ork (2009) [link] "Un altro problema collegato è la questione se la Federal Reserve sarà in grado di agire abbastanza rapidamente una volta che decide che è il momento di alzare i tassi. Questa preoccupazione riflette l'opinione che le riserve in eccesso su cui sono sedute le banche sono essenzialmente 'esca per il fuoco' che potrebbe rapidamente alimentare l'eccessiva creazione di credito e spiazzare la stretta monetaria della Fed. In termini di immagini, questa preoccupazione sembra convincente, le banche sedute su mucchi di soldi che potrebbero essere utilizzati per estendere il credito con poco preavviso. Tuttavia, questo ragionamento non tiene conto di un punto molto importante. Sulla base di come la politica monetaria è stata condotta da diversi decenni, le banche hanno sempre avuto la possibilità di espandere il credito ogni volta che vogliono. Non hanno bisogno per farlo di un mucchio di 'esca per il fuoco', sotto forma di riserve in eccesso. Questo perché la Federal Reserve si è impegnata a fornire riserve sufficienti a mantenere il tasso sui fed funds al suo obiettivo. Se le banche vogliono espandere il credito e questo fa salire la domanda di riserve, la Fed automaticamente asseconda quella domanda nella conduzione della politica monetaria. In termini di capacità di espandere il credito rapidamente, non fa alcuna differenza se le banche hanno un sacco di riserve in eccesso o meno." [Parzialmente tratto da: http://rwer.wordpress.com/2012/01/26/central-bankers-were-all-post-keynesians-now/ e da alcuni post di "Istwine" su diversi forum in rete] 8. Ringraziamenti e Bibliografia Ringraziamo per i consigli e suggerimenti sul tema Marco Passarella, Hervé Baron e Andrea Terzi Per una esposizione didattica dell'approccio della moneta endogena abbiamo in particolar modo attinto a: Lavoie M., A primer on endogenous credit-money [link] Passarella M., Dispense sul circuito monetario [link] Terzi A., Appunti di Economia Monetaria, EDUCatt, 2012 [link] Consigliamo inoltre: Risorse in rete Cavalieri, Duccio, Il circuito della moneta e il finanziamento dell'economia. Un'analisi teorica [link] Brancaccio Emiliano, Fontana Giuseppe, “Solvency rule” versus “Taylor rule”. An alternative interpretation of the relation between monetary policy and the economic crisis, 2012, Cambridge Journal of Economics. doi: 10.1093/cje/bes028. Brancaccio E., Un modello di teoria monetaria di produzione capitalistica, Il pensiero economico italiano XIII/2005 [link] Ferrara Ferdinando , Moneta endogena, disponibilità di credito e preferenza per la liquidità, in Studi e note di economia MPS, 1/98 [link] Leijonhufvud, Axel The Wicksell Connection: Variation on a Theme. UCLA, 197 9. [link] Riportiamo infine una bibliografia estesa tratta dal blog Social Democracy for 21st Centory [link] Libri Arestis, P. and Sawyer M. (eds). 2006. A Handbook of Alternative Monetary Economics, Edward Elgar, Cheltenham, UK and Northampton, Mass. Fontana, G. 2009. Money, Uncertainty and Time, Routledge, London and New Y ork. Graziani, Augusto. 2003. The Monetary Theory of Production, Cambridge University Press, Cambridge. [Anteprima su Google books] Kaldor, N. 1982. The Scourge of Monetarism, Oxford University Press, Oxford and New Y ork. Lavoie, Marc. 1992. Foundations of Post-Keynesian Economic Analysis. Elgar, Aldershot. Moore, B. J. 1988. 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  • 12. Arestis, P. and I. Biefang-Frisancho Mariscal. 1995. “The Endogenous Money Stock: Empirical Observations from the United Kingdom,” Journal of Post Keynesian Economics 17 .4: 545–559. Bell, S. 2001. “The Role of the State and the Hierarchy of Money,”Cambridge Journal of Economics 25.2: 149–163. Chick, Victoria and Sheila Dow. 2002. “Monetary Policy with Endogenous Money and Liquidity Preference: A Nondualistic Treatment,” Journal of Post Keynesian Economics 24.4: 587 –607 . Cottrell, Allin. 1994. “Endogenous Money and the Multiplier,”Journal of Post Keynesian Economics 17 .1: 111–120. Dalziel, Paul. 1996. “The Keynesian Multiplier, Liquidity Preference, and Endogenous Money,” Journal of Post Keynesian Economics 18.3: 311–331. Dalziel, Paul. 1999–2000. “A Post Keynesian Theory of Asset Price Inflation with Endogenous Money,” Journal of Post Keynesian Economics 22.2: 227 –245. 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