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GIORDANO BRUNO
Guido del Giudice
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IL PROFETA DELL’UNIVERSO INFINITO
INTRODUZIONE
Il Profeta
Giordano Bruno era un pensatore geniale in anticipo sui tempi,
al punto da ritenersi uno di quei “Mercuri” inviati sulla terra in
periodi stabiliti, ispirati da una visione profetica dell’umanità e
dell’universo. Come tutti gli esseri di tal fatta egli è stato e sarà
sempre odiato da quegli uomini meschini, invidiosi di tutto ciò
che non arrivano a capire, chiusi come sono nel loro ottuso “parti-
culare” che temono di veder svanire al cospetto dell’immenso. Era
un uomo che conosceva il proprio valore e rispettava quello degli
altri, quello vero però, non quello stabilito dalle consuetudini e
dalle convenienze. Era un uomo che diceva pane al pane e vino
al vino. Era un uomo che amava la vita in tutti i suoi aspetti e
che in tutte le sue manifestazioni riconosceva l’espressione della
divinità. Ed era, questo è certo, il nemico implacabile e convinto
di tutti “quegli uomini stolti e ignobilissimi che non riconoscono nobiltà se
non dove splende l'oro, tintinna l'argento, e il favore di persone loro simili tri-
pudia e applaude” ( Oratio Valedictoria). Furono questi gli ideali che
perseguì per tutta la vita, fino all’estrema conseguenza del rogo
di Campo de’ Fiori. Quel triste epilogo sarà stato pure inevitabi-
le, per come andavano le cose a quel tempo, ma rimane ugual-
mente un monito affinché una simile infamia non si ripeta mai
più. L’intuizione sovvertitrice dell’infinità dell’universo nasceva
in lui dalla conoscenza delle antiche dottrine ermetica, egizia,
greca, che contenevano già in embrione i principi generatori del-
la concezione infinitista. Ma egli infonde in tutto ciò il suo ine-
guagliabile ardore intellettuale e, allorquando "la luce di Coperni-
co" viene a dare sostegno alle sue idee, ecco spalancarsi davanti
ai piedi del piccolo frate domenicano l’immensità di Dio, del-
l’Universo, di Dio nell’Universo di cui noi siamo l’ombra, il nega-
tivo che solo attraverso un processo di "inversione intellettuale"
può arrivare a contemplare l’immagine positiva del Tutto.
E’ il gioco dimensionale nel tempo e nello spazio sempre presen-
te in Bruno, è la vicissitudine universale: "..si la mutazione è vera, io
che son ne la notte aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano la
notte: tutto quel ch'è, o è cqua o llà, o vicino o lungi, o adesso o poi, o presto
o tardi." (Candelaio). Si pone spesso l’accento sul fatto che le sue
idee riposavano soltanto su intuizioni, magari geniali ma non ac-
cettabili dall’emergente spirito scientifico per la mancanza di qua-
lunque “matematizzazione”. Ma è proprio qui la grandezza di
Bruno, ciò che fa di Lui un vero e proprio profeta, il fascino della
sua complessa personalità, del culto della magia naturale, della
mnemotecnica, tutte attività evocatrici e precorritrici di moderni
sviluppi. E quando, nel settembre del 1599, messo alle strette dal-
le intimazioni del Santo Uffizio, che bene aveva intuito le deva-
stanti implicazioni della sua filosofia, prese la decisione di non
abiurare i capisaldi della sua filosofia, il suo spirito non era quel-
lo di un martire, ma di un pensatore illuminato e coerente fino
allo stremo. La sua esperienza terrena ci dà una direzione, un
metodo, un insegnamento che al di là delle contraddizioni, delle
distorsioni o delle oscurità della sua opera, sono una inestimabile
eredità che il Nolano ha lasciato a tutti gli uomini di libero pen-
siero. Il lettore contemporaneo trova in lui lo stimolo a illumina-
re senza posa questa realtà che, pur essendo umbra profunda, può
essere conosciuta da ognuno, con l’applicazione e lo studio, e su-
perata attraverso uno sforzo “eroico” capace di rivelarci il divino
che è in noi. Purificato dalle scorie di dispute teologiche che po-
co gli interessavano, egli aspetta ancor oggi di essere letto, giudi-
cato e capito per la sua filosofia, la sua visione della natura e del
cosmo, al di là di ogni strumentalizzazione. E’ in quest’ottica che
cercherò di raccontarvi l’esperienza terrena di questo gigante del
pensiero.
2
1582
CANDELAIO
DE UMBRIS IDEARUM
CANTUS CIRCAEUS
DE COMPENDIOSA ARCHITECTURA ET COMPLEMENTO ARTIS LULLI
1583
ARS REMINISCENDI,TRIGINTA SIGILLI ET TRIGINTA SIGILLORUM EPLICA-
TIO
1584
LA CENA DE LE CENERI
DE LA CAUSA PRINCIPIO ET UNO
DE L'INFINITO UNIVERSO E MONDI
SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE
1585
DE GL'HEROICI FURORI
CABALA DEL CAVALLO PEGASEO CON L'AGGIUNTA DELL'ASINO CILLENICO
1586
FIGURATIO ARISTOTELICI PHYSICI AUDITUS
MORDENTIUS, DE MORDENTII CIRCINO
IDIOTA TRIUMPHANS, DE SOMNII INTERPRETATIONE
CENTUM ET VIGINTI ARTICULI DE NATURA ET MUNDO ADVERSUS PERIPA-
TETICOS
1587
DE LAMPADE COMBINATORIA LULLIANA
ANIMADVERSIONES CIRCA LAMPADEM LULLIANAM
DE PROGRESSU ET LAMPADE VENATORIA LOGICORUM
ARTIFICIUM PERORANDI
LAMPAS TRIGINTA STATUARUM
1588
ORATIO VALEDICTORIA
CAMORACENSIS ACROTISMUS SEU RATIONES ARTICULORUM PHYSICO-
RUM ADVERSOS PERIPATETICOS
ARTICULI CENTUM ET SEXAGINTA ADVERSUS HUIUS TEMPESTATIS MATHE-
MATICOS ATQUE PHILOSOPHOS
DE SPECIERUM SCRUTINIO
LIBRI PHYSICORUM ARISTOTELIS EXPLANATI
1589
DE MAGIA
THESES DE MAGIA
DE MAGIA MATHEMATICA
MEDICINA LULLIANA
DE RERUM PRINCIPIIS ET ELEMENTIS ET CAUSIS
DE IMAGINUM.SIGNORUM ET IDEARUM COMPOSITIONE
ORATIO CONSOLATORIA
1591
DE INNUMERABILIBUS, IMMENSO ET INFIGURABILI
DE MONADE, NUMERO ET FIGURA
DE TRIPLICI MINIMO ET MENSURA
DE VINCULIS IN GENERE
PRAELECTIONES GEOMETRICAE. ARS DEFORMATIONUM
1595 SUMMA TERMINORUM METAPHYSICORUM
3
OPERE DI GIORDANO BRUNO
Capitolo 1
“NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO”
✦ Nola, con la sua tradizione di indomabili guerrieri, dalla cui
stirpe discendeva tuo padre, è patria degna di un Mercurio.
✦ E’ una terra dagli umori forti e in questo mi sento, anche nei
miei difetti, suo figlio genuino, orgoglioso di essere nato sotto
quel benigno cielo. Non potrei mai dimenticare i dolci pendii
del Monte Cicala, ove giovinetto mi avventuravo tra l’edera e i
rami d’olivo, del cornio, dell’alloro, del mirto e del rosmarino.
Sentivo la natura animare e informare tutto con un potente di-
namismo che da dentro il seme o radice manda ed esplica i germogli; da
dentro i germogli caccia i rami, da dentro i rami le formate branche, da
dentro queste spiega le gemme; da dentro forma, figura, intesse, come di
nervi le fronde, i fiori, i frutti. Avvertivo la presenza di Dio, natura
infinita, in tutte le cose per cui non c’è bisogno di cercarlo al-
trove ché l’abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesmi sia-
mo dentro a noi. Così tutto si anima, tutto si risponde, dalle cose
grandi alle vilissime minuzzarie, dall’albero al fiore al filo d’er-
ba tutto, quantunque minimo, è sotto infinitamente grande providenza,
perché le cose grandi sono composte de le picciole e le picciole de le piccio-
lissime. E’ il complicato che si esplica, Dio che si fa natura, la
luce che si fa ombra e viceversa.
Giordano Bruno nacque, nei primi mesi del 1548 a
Nola, nella contrada di S. Giovanni del Ciesco, alle
pendici del monte Cicala, da una famiglia non certo
agiata. La madre, Fraulisa Savolino, apparteneva ad
una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Il padre
Giovanni era un soldato di professione, fedele al re di
Spagna, in onore del quale impose al figlio il nome di
battesimo del principe ereditario, Filippo. Del luogo
natio, la gloriosa Nola, che aveva respinto Annibale e
accolto l’ultimo respiro di Augusto, aveva ereditato la
fierezza e lo spirito combattivo e, anche quando
l’abbandonerà a 14 anni per andare a studiare a Napoli,
Filippo Bruno rimarrà per sempre il “Nolano”.
5
“NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO”
il Nolano
Nola nel XVI sec.
✦ Nel suggestivo scenario di Cicala le esperienze e le letture
giovanili stimolavano la tua fantasia, alimentando una voca-
zione innata all’intuizione cosmica, alla proiezione delle fa-
coltà immaginative e conoscitive al di là delle forme e delle
apparenze.
✦ Quante volte seduto sotto gli spalti del castello, all’ombra
di un castagno ho ammirato di lassù quell’indimenticabile
tramonto tingere di rosso il cielo, facendo risaltare sullo
sfondo dell’ampia pianura, la sagoma nera del Vesuvio. I
raggi del sole, infilandosi nelle feritoie, tra le rovine, proiet-
tavano sulle mura fantastiche immagini animate. Contem-
plando quello spettacolo sentivo che non ero solo in quel-
l’istante, avvertivo le innumerevoli presenze che popolano
l’immensità dell’universo e le magiche corrispondenze degli
elementi, perché anche noi siamo cielo per coloro che sono cielo per
noi. In questo come negli altri infiniti mondi, lo spirito fluttua
da una ad altra materia, regolato dalle stesse leggi, pervaso dal-
lo stesso principio vitale.
6
Il volto di Giordano Bruno
✦ Bisogna dire in verità che il tuo carattere fastidito, restio e bizzar-
ro non ti attirava troppe simpatie. Nell’infanzia Nolana e an-
cor più a Napoli, in un periodo in cui la comunità monacale
di S. Domenico Maggiore si trovava all’apice di una degenera-
zione estrema dei costumi, trovava sfogo nel gusto della be-
stemmia, dello scherzo volgare, in quella procax fescennina iocatio
che confluirà tutta nel Candelaio e che emerge dalle invettive
contenute qua e là nelle tue opere o riferite dai testimoni del
processo e dai compagni di cella.
✦ Quando arrivai qui divorato dalla mia sete di sapere, rimasi
affascinato da questa grande religione che riusciva ad imporre
la sua forza spirituale e la sua organizzazione.
✦ Eppure erano tempi burrascosi per l’Ordine domenicano: lot-
te interne, indisciplina, vizi, delitti, punizioni caratterizzavano
la vita monacale. L’abito era per molti solo un pretesto per as-
sicurarsi asilo e protezione di abitudini dissolute o licenziose.
A Napoli frequentò gli studi superiori e seguì le lezioni
private e pubbliche di dialettica, logica e mnemotecnica di
Teofilo da Vairano, Giovan Vincenzo Colle detto il Sar-
nese e Mattia Aquario. Nel giugno del 1565, ad un’età
abbastanza tarda per questo tipo di scelta, decise di intra-
prendere la carriera ecclesiastica ed entrò, col nome di
Giordano, nell’ordine dei predicatori nel convento di S.
Domenico Maggiore. In seminario la sua cella era adia-
cente a quella che era stata di S. Tommaso d’Aquino.
Fra Giordano si segnalò subito per l’acuto ingegno e la
particolare abilità nell’arte della memoria, ma anche per
l’insofferenza alle rigorose regole dell’ordine religioso e
l’insaziabile curiosità intellettuale. Dopo circa un anno
era già accusato di disprezzare il culto di Maria e dei
Santi, incorrendo nelle prime censure disciplinari.
7
“NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO”
Gli anni della formazione
S. Domenico Maggiore
✦ Le nature bestiali si riconoscono, anche se portano una ve-
ste da religioso. Ma è rimasta da allora in me l’impressione
di questa Chiesa forte e ben organizzata che, soprattutto do-
po aver conosciuto le altre nel corso della mia peregrinatio,
rimarrà in fondo, la migliore, l’unica in possesso di un cari-
sma e di un apparato in grado di comporre sotto un’unica
guida le differenze religiose. Nonostante il viver delli religiosi
non fosse più conforme a quello degli apostoli, la Chiesa aveva an-
cora potere e influenza tali da realizzare il progetto irenisti-
co di una pace ideologica tra i popoli. Bastava abbandona-
re quel dogmatismo intransigente, lasciare che dei proble-
mi teologici e filosofici si occupasse una casta sacerdotale
illuminata, mentre il clero ritornasse a predicare il messag-
gio evangelico per tenere i popoli nella pace e nella concor-
dia, in un’operosa tranquillità senza occuparsi di dispute
dottrinali, che creano soltanto odi e divisioni.
✦ Questo intendevi quando al processo affermasti di parlare
da filosofo, non da teologo?
✦ Non mi interessava discutere di una divinità che non pos-
siamo veramente conoscere, se non come ombra, vestigio.
La mia sete di conoscenza, la costruzione della mia filosofia
sono passate, in quegli anni, attraverso lo studio di molti au-
tori, eretici e non : ho letto Erasmo ma ho ammirato l’Aqui-
nate, mi sono interessato all’eresia di Ario ed ho amato il
divino Cusano. La religione non è mai stato il mio proble-
ma principale e mi sono adattato a tutte le chiese ove ho
cercato asilo. cattolico o protestante, calvinista o luterano,
il concetto di Chiesa si giustificava per me soltanto in un ot-
tica di pace, di concordia tra le genti: mi bastava poter con-
tinuare a coltivare le mie idee filosofiche. Per questo resiste-
vo fintantoché ci si accontentava della mia adesione forma-
le alle varie religioni e misi lasciava coltivare e diffondere le
mie idee filosofiche.
✦ Devi ammettere che la tua insofferenza alla regola mal si
adattava alla vita monacale. La diplomazia non era certo il
tuo forte.
✦ Una volta, in uno dei rari momenti di svago che a S. Do-
menico erano concessi ai novizi, giocavamo col libro delle
sorti. Si apriva a caso una pagina e vi si leggeva il proprio
destino. A me toccò un verso dell’Ariosto: D’ogni legge nemico
e d’ogni fede.
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✦ Dei numerosi conventi che visitasti in quegli anni, fu l’unico
che ricordasti al processo.
✦ E’ uno dei pochi luoghi dove sono stato sereno: lì ritrovai per
l’ultima volta il caldo abbraccio della mia terra natia.
✦ Quando arrivasti, arrampicandoti a dorso di mulo per quegli
impervi tornanti, che impressione ti fece quel piccolo monaste-
ro di padri predicatori addossato al colle di Gerione, con in ci-
ma le rovine della fortezza?
✦ Non credevo ai miei occhi: sembrava un incantesimo! Era im-
pressionante la somiglianza di Gerione e Cicala: due gocce
d’acqua, due fratelli gemelli. Mi sembrava di essere tornato a
casa. Chi avrebbe mai detto che in quel posto sperduto, avrei
avuto l’impressione di rivedere il paesaggio natio, che tanto mi
era mancato, in quegli anni trascorsi a S. Domenico?
✦ La cella che ti era stata assegnata nel piccolo noviziato si affac-
ciava su uno stretto sentiero, pietroso e impervio, che si inerpi-
cava su per il colle, fino alla fortezza.
✦ Percorrendolo ricordavo spesso, con commozione, mia madre
Fraulisa, quando con i lunghi capelli a treccia raccolti sulla nu-
ca, camminava leggera al mio fianco, tenendomi per mano.
Nonostante le prime censure per qualche incauta
esternazione, grazie alle eccezionali doti d’ingegno,
Bruno percorse rapidamente i vari gradi della carriera
ecclesiastica: suddiacono nel 1570, diacono l’anno
successivo. Nel 1572 fu ordinato sacerdote, celebrando la
sua prima messa nella chiesa del convento di S.
Bartolomeo in Campagna, cittadina a 40 miglia da
Napoli.
9
“NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO”
Fra’ Giordano
La rivedevo salire tra gli alti castagni, calpestando i ricci,
affondando le bianche caviglie in un letto crepitante di fo-
glie morte. Ansimante per la fatica e l’emozione, arrivavo
sulla vetta, in quello che doveva essere stato un cortile, cir-
condato da muraglie e torrioni diroccati. Sembrava proprio
di trovarsi in cima al Cicala, tra i ruderi del castello. Qui
però, la pianura luminosa, era più lontana, oltre la stretta
gola, come se Gerione fuggisse, portandomi in groppa, per
addentrarsi nell’oscurità della valle, presagio di un allonta-
namento, di un distacco, verso un esilio senza ritorno.
✦ Verso Nord, oltre i neri rilievi del monte Romanella e del
Ripalta, ti attendeva l’ignoto. Fu l’ultima occasione che ave-
sti di contemplare il mondo dall’alto, con distacco. In segui-
to sballottato dagli eventi, da un luogo all’altro, non potrai
più farlo, se non con la fantasia, fino al giorno in cui vedrai
il tuo corpo bruciare lontano, mentre la tua anima ascende-
rà con il fumo in paradiso.
✦ Vedevo sotto di me la chiesetta col piccolo campanile, do-
ve avevo appena celebrato l’eucarestia e come sempre mi
affascinava il gioco delle proporzioni, la sensazione della re-
latività del tutto. Sentivo ancora in bocca il sapore del vino
e del pane sacrificali, ma non era sazia la mia voglia di con-
tatto col divino. Una profonda insoddisfazione mi assaliva
al confronto delle corrispondenze universali che provavo
lassù, al cospetto dell’immenso.
✦ Quel freddo inverno di solitudine e di riflessione, fu dun-
que decisivo per le tue decisioni future ?
✦ Un giorno, mentre sedevo nella piccola guardiola di pie-
tra, vicino alla porta del ponte levatoio, immerso nella lettu-
ra dell’amato Tommaso, mi parve di sentirne la voce: “Re-
sta tra noi, fratello Giordano, resta nella tua chiesa. Non da-
re ascolto al demone della conoscenza, resisti alle tentazio-
ni dell’eresia. Umilia il tuo orgoglio. Fai penitenza per que-
sti tuoi peccati di presunzione e rinuncia all’insano proget-
to di propagandare le tue folli teorie. Le tue grandi doti di
ingegno ti promettono un glorioso futuro, la possibilità di
raggiungere le più alte cariche ecclesiastiche. La Chiesa ti
proteggerà e ricompenserà i tuoi meriti con una vita di agia-
tezza e di gloria”. Quelle parole, ascoltate in ginocchio, col
volto tra le mani, in segno di reverenza per il divino Aqui-
nate, non fecero che rafforzare i miei propositi. Non era
quel genere di onori che mi interessava. Sentivo dentro di
me, potente, la certezza di essere nel giusto, di non poter
rinunciare a seguire la strada della verità, anche se essa mi
avrebbe portato alla rovina. Ancora una volta ero in preda
all’ebbrezza dell’infinito. Mi levai in piedi, allargando le
braccia sotto l’ampio mantello bianco e abbracciai con lo
sguardo per l’ultima volta quello spettacolo. Addio Cicala!
Addio Gerione! Addio a questa pace, alle tranquille giorna-
te di studio e di contemplazione. La mia missione di Mercu-
rio mi aspetta: sono pronto ad affrontare il mio destino di
umiliazione e di morte.
10
Nel 1575 divenne dottore in
teologia ma, contemporanea-
mente allo studio profondo e
ammirato dell’opera di S.
Tommaso, non rinunciava a
leggere gli scritti di Erasmo da
Rotterdam. Alcune incaute af-
fermazioni in favore delle dot-
trine eretiche di Ario determi-
narono l’apertura di un proces-
so locale a suo carico, nel cor-
so del quale emersero anche
accuse di dubbi circa il dogma
trinitario. Recatosi a Roma,
per difendersi dalle accuse di-
nanzi a Sisto Lucca, procurato-
re dell’ordine, venne avvisato
che nella sua cella erano stati
trovati i libri proibiti di Era-
smo. Vedendo aggravarsi la
sua posizione, fuggì da Roma,
abbandonando l’abito ecclesia-
stico.
Ebbe inizio così un’incredibile
peregrinatio: quasi diecimila chi-
lometri, che lo porteranno a
visitare le principali corti ed
accademie europee. Nell’arco
di due anni (1577-1578) sog-
giornò a Noli, a Savona, a To-
rino, a Venezia e a Padova, do-
ve si mantenne impartendo le-
zioni in varie discipline (geo-
metria, astronomia, mnemo-
tecnica, filosofia).
Dopo brevi soste a Bergamo e
a Brescia, alla fine del 1578 si
diresse verso Lione, poi Cham-
bery e di lì a Ginevra, la capi-
tale del calvinismo. Qui venne
accolto da Gian Galeazzo Ca-
E’ l’alba. Una carrozza con le insegne papali è in attesa sul
sagrato della Chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli. Un
frate, piccolo ma elegante nella candida tonaca dell’ordine dome-
nicano, esce dal cancello del convento e vi sale, abbandonandosi
ancora assonnato sul sedile di velluto. Quel frate è Giordano
Bruno da Nola. Papa Pio V, cui è giunta voce della straordina-
ria abilità del giovane rappresentante della grande tradizione
domenicana nella memoria artificiale, vuole vederlo all’opera. A
Roma Bruno reciterà a memoria, in ebraico, il salmo “Funda-
menta”, dalla prima parola all’ultima e all’inverso. Sarà la pri-
ma di numerose esibizioni che nel corso della sua vita concederà
a papi, imperatori, autorità accademiche ed ecclesiastiche, con
l’irridente spavalderia del genio incompreso. Ma la Chiesa non
tarderà a scoprire che la prodigiosa memoria di quell’uomo è so-
lo la manifestazione esteriore di una straordinaria capacità di
intuizione, di una inarrestabile brama di sapere e comunicare, e
dovrà fare i conti con il suo pensiero corrosivo e ribelle.
11
“NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO”
La fuga
racciolo marchese di Vico, esule dall’Italia e fondatore della
locale comunità evangelica.
Dopo una esperienza di "correttore di prime stampe" presso
una tipografia, Bruno aderì formalmente al calvinismo e fu
immatricolato come docente nella locale università (maggio
1579). Già nell’agosto però, avendo pubblicato un libretto in
cui evidenziava ben venti errori commessi, nel corso di una
sola lezione, dal titolare della cattedra di filosofia Antoine De
la Faye, fu da questi denunciato per diffamazione. Arrestato e
processato, gli fu comminata la “deffence de la cène”, il divie-
to di partecipare all’Eucarestia, che di fatto equivaleva a una
scomunica. Per ottenere il perdono, Bruno dovette ammette-
re la sua colpevolezza e lasciare Ginevra. La sua irrequietez-
za e l’intolleranza ai dogmi gli faranno stabilire un ineguaglia-
to record di scomuniche: alla cattolica e alla calvinista, si ag-
giungeranno in seguito l’anglicana a Londra e la luterana ad
Helmstedt.
Tappa successiva: Tolosa, baluardo dell’ortodossia cattolica
nella Francia meridionale, dove ottenne il dottorato e fu am-
messo ad insegnare per circa due anni nella locale università,
commentando il De anima di Aristotele. Pressoché insuperabi-
le nelle dispute accademiche, si guadagnò prestissimo la sti-
ma e l’ammirazione dei colleghi, che evidentemente non ri-
cambiava. Quando l’illustre professore Francisco Sanchez gli
dedicò, con parole cariche di ammirazione, il proprio Quod
nihil scitur, il commento vergato da Bruno sul frontespizio del
libro fu spietato: “Fa meraviglia che quest’asino possa chiamarsi dotto-
re”! Nel 1581 la recrudescenza delle lotte religiose tra cattolici
e ugonotti lo spinse a cambiare aria, ma influì probabilmente
sulla decisione la convinzione di essere pronto per palcosceni-
ci più prestigiosi.
12
Giovanni Calvino
Capitolo 2
ALLA CORTE DEL RE DI FRANCIA
✦ “La tua abilità nell’arte della memoria è famosa in tutta Euro-
pa. Ce ne dai un saggio, Giordano?”.
✦ “Mi prendi anche tu per un giullare, per un saltimbanco? E’
dai tempi del noviziato a S. Domenico Maggiore che Papi, re-
gnanti e semplici studenti vogliono assistere alle mie esibizio-
ni, chiedendomi di svelar loro i miei segreti. Essi vedono nella
mnemotecnica soltanto uno strumento in grado di aumentare
il loro potere, per riuscire a vincolare altri esseri umani. Non
capiscono che i sigilli, le statue, sono solo immagini-specchio
della realtà. Esse sono in grado di dirigere attraverso le nostre
facoltà gli influssi astrali che agiscono sull’universo, stabilendo
una connessione diretta tra quest’ombra profonda e la luce del-
la divinità. Mnemosyne è la mia dea! E’ a lei che mi rivolgo,
per rimuovere il velo dell’apparenza e arrivare a fondermi con
l’anima del mondo! Memoria non è soltanto ricordare, ma ac-
quisire conoscenze sempre nuove. Perché, se la mia mente è
divina, allora, con l’aiuto della memoria, io posso arrivare a
comprendere l’organizzazione dell’universo!”.
Giunto a Parigi, iniziò per Bruno un periodo di fulgida
fortuna. Venne ammesso a tenere un corso in trenta lezioni sugli
attributi divini in Tommaso d'Aquino,in qualità di "lettore
straordinario". A differenza di Tolosa, infatti, a Parigi quelli
"ordinari" erano tenuti a frequentare la messa, cosa a lui
interdetta in quanto scomunicato. L’eco delle eccezionali doti
messe in mostra dal piccolo frate italiano arrivò ad Enrico III,
sovrano dotato di profonda cultura nonché ottimo oratore, che
volle subito incontrare quel mirabolante mago della memoria.
Bruno gli dedicò allora un testo straordinario: il De umbris
idearum. La riconoscenza e l’ammirazione del Re furono
immediate, al punto da nominarlo lecteur royaux nella più
prestigiosa università del tempo. Un pulpito da cui Bruno
cominciò subito a diffondere le sue idee rivoluzionarie, incurante
dell’ostracismo dei pedanti della Sorbona, scandalizzati da
teorie che smantellavano, punto per punto, gli intoccabili dogmi
aristotelici.
14
ALLA CORTE DEL RE DI FRANCIA
Memoria non è solo ricordare...
Alle immagini, evocatrici di
concetti ideali universali egli
affida il fondamentale ruolo di
trait d’union con il mondo ideale
di ispirazione neoplatonica. Sta-
tue, lettere, ruote, segni zodia-
cali si associano, rimandandosi
l’un l’altro, svelando corrispon-
denze e coincidenze, ombre e
luci, similitudini e differenze,
che regolano la ruota del tem-
po e il ciclo della vicissitudine.
La loro sequenzialità e comple-
mentarietà costituisce l’essenza
unificante dell’universo e della
vita-materia infinita.
Quelle immagini che ognuno
di noi può formarsi autonoma-
mente, una volta vivificate dal-
le emozioni, ci connettono au-
tomaticamente alla sfera delle
idee di cui siamo ombra, um-
bra profunda, ma a cui fatalmen-
te, come una fiamma, tendia-
mo e da cui dipendiamo in un
ciclico alternarsi di ascenso e de-
scenso, quel processo per cui gli
spiriti pervengono alla contem-
plazione del divino principio e
le anime si incarnano, mutan-
do e assumendo il controllo
della materia e delle forme.
Astri, numeri, figure, rinviano
tutti alle forze elementari della
natura, operanti in una mate-
ria che ha la stessa dignità del-
la forma. Bruno avverte tutto
ciò e cerca di esprimerlo utiliz-
zando con disinvoltura tutti gli
strumenti che il suo tempo rie-
sce ad offrirgli: la magia natu-
rale, l’astrologia, la matemati-
ca e, appunto, l’arte della me-
moria.
Bruno è un grande sensitivo: immerso nell’Universo, è con-
vinto di poter abbattere la barriera tra umano e divino,
pur rimanendo questa conoscenza soltanto “umbratile”.
L’ Ars memoriae rappresenta per lui un mezzo per andare
oltre l’umanità, alla ricerca del vero e dell’inesprimibile,
per stabilire vincoli, per arrivare alle intuizioni universali
partendo dalla natura delle cose; una tecnica per raggiun-
gere, avvalendosi di corrispondenze naturali, astrologiche e
verbali, una consapevolezza superiore.
15
MEMORIA NON E’ SOLO RICORDARE…
Le immagini “agentes”
Egli non si accontenta però degli artifici dei grandi mnemoni-
sti del passato, ma elabora, sperimenta, trasforma. Perfeziona e
modifica le ruote mnemoniche di Raimondo Lullo, ideandone
di nuove, in cui alle parole sono associate immagini, come quel-
le da lui elaborate nel De umbris idearum, che sfruttando la sfera
emozionale (sesso, paura, etc.) e la simbologia delle divinità mi-
tologiche, si imprimano nella memoria, aiutando a ricordare.
Dalle allegorie dello Spaccio agli emblemi dei Furori, fino ai con-
cetti-statue della impressionante Lampas triginta statuarum, l’asso-
ciazione parola-immagine si trasforma da semplice tecnica di
memoria in meccanismo di pensiero, che consente di elaborare
e confrontare i concetti per giungere a nuove verità. L’idea è
quella di creare una macchina mnemonica, una specie di com-
puter creativo, che riesca a pensare da sé.
Se da un lato l’ars memoriae costituisce per Bruno uno strumen-
to proto scientifico, dall’altro essa si ricollega alle credenze sul-
le influenze astrali, comunemente accettate nel Rinascimento.
Gli astri sono “grandi animali”, in quanto dotati di “anima”, e
pertanto sono in grado di vincolare altre “anime”. Ai pronosti-
ci astrali credevano re e imperatori, Papi officiavano riti astrolo-
gici nelle loro cappelle private, filosofi come Tommaso Campa-
nella e astronomi come Tycho Brahe compilavano pronostici e
predizioni. Come nei mandala indiani, Bruno tenta di cogliere
nella natura e di riprodurre i mandala naturali che si esprimo-
no nei fiori, nelle piante, nel moto degli astri e dei pianeti, nelle
manifestazioni della natura, che attraverso l’introiezione dello
schema permettano di cogliere intuitivamente le similitudini in
esso contenute. Ogni casella della ruota mnemonica viene così
associata a un’immagine e questa, a sua volta, ad un astro. E’ il
caso delle tre figure fondamentali della sua geometria che egli
ci presenta nel De Minimo, con i titoli di ATRIO DI APOLLO,
MINERVA E VENERE, che rappresentano mitologicamente
il suo credo filosofico: la Trinità ermetica di Mente, Intelletto e
Amore.
16
Rivelando una sorprendente affinità con le correnti del pensiero
orientale, Bruno identifica, all’interno delle strutture naturali, par-
ticolari figure e sigilli, che determinano le forme delle cose. Que-
ste figurazioni esprimono lo stesso tentativo dei mandala indiani
di cogliere le geometrie naturali e di riprodurle attraverso diagram-
mi che, attivati dall’impulso intellettivo infuso in essi durante la lo-
ro formulazione e realizzazione, stabiliscano un contatto con le
strutture essenziali, soprasensibili della realtà.
La parola “mandala” in sanscrito significa “cerchio” , ma anche
“centro”. Ascoltiamo Bruno:
“ Come il centro si esplica in un ampio cerchio, così uno spirito ordinatore, dopo
essersi esplicato negli aggregati atomici, coordina il tutto, fino a che, trascorso il
tempo ed infranto lo stame della vita, si ricomprime nel centro e nuovamente si
espande nello spazio infinito: tale evento viene solitamente identificato con la mor-
te; poiché ci spingiamo verso una luce sconosciuta, a pochi è concesso l’avvertire
quanto questa nostra vita significhi in realtà morte e questa morte significhi assur-
gere a nuova vita: non tutti riescono a prescindere dalla corporeità e precipitano,
trascinati dal proprio peso, in un profondo baratro, privo della luce divina.” (De
triplici minimo)
“Noi, indagando i numeri della natura, abbiamo rivolto la
nostra attenzione alle figure naturali, per mezzo delle quali
l’ottima madre, configurando tutte le cose, distingue le rispet-
tive virtù e proprietà; dipinge, scolpisce, intesse, nelle loro su-
perfici i rispettivi nomi. La natura esprime attraverso i nume-
ri delle membra e delle fibre di tutte le cose la loro stessa
struttura. Essa mostra in queste stesse immagini la bellez-
za, l’eccellenza, i privilegi, di cui è dotata oppure i loro con-
trari. Essa stessa pone nelle forme delle cose le leggi, i modi
nell’agire e nel patire evidenzia le vicissitudini. Nell’impri-
mere tali sigilli, quell’ottima genitrice rende chiara l’autorità
di un Dio che tutto governa...” (De monade).
17
MEMORIA NON E’ SOLO RICORDARE...
I Mandala di Giordano Bruno
Questo concetto di
emanazione del tut-
to da una sorgente
divina e del ritorno
della molteplicità
nell’Uno, Bruno lo
rappresenta con i
suoi disegni costitui-
ti da cerchi concen-
trici e complicati
quadrati, immagini
che diventano “co-
smogrammi” cioè
proiezioni geometri-
che della formula dell’universo. Contemplando questo cosmo-
gramma, l’individuo si identifica con le forze arcane che opera-
no nell’universo, in cui rapporti numerici e figure geometriche
scandiscono la trama interna della realtà e si impadronisce del-
le strutture che regolano la natura, fino ad arrivare a realizzare
in se stesso la coincidenza di macrocosmo e microcosmo. Que-
sto impulso verso l’unità, nelle filosofie orientali, è capace di
condurre all’illuminazione colui che contempla l’immagine. Il
mandala è dunque un mezzo, un canale per ritrovare l’unità a
partire dal molteplice. Al tempo stesso, capire le proprietà delle
cose, e il loro significato nell’ordine del mondo vuol dire anche
imparare ad agire su di esse attraverso la magia naturale.
18
Capitolo 3
IL SOGGIORNO INGLESE
Il soggiorno inglese, nell’accogliente e protettiva dimora dell’am-
basciatore, gli consentì di comporre opere importanti. Pubblicò,
in unico volume, Ars reminiscendi, Explicatio triginta sigillorum e Sigillus
sigillorum e subito dopo portò a termine la maggior parte delle ope-
re italiane: la Cena de le ceneri, il De la causa, principio et uno, il De infi-
nito, universo et mondi e lo Spaccio della bestia trionfante. Nell’anno se-
guente, sempre a Londra, diede alle stampe la Cabala del cavallo pe-
gaseo e il Degl’heroici furori. Quest'ultima opera, al pari dello Spaccio,
è dedicata a sir Philip Sidney, nipote del favorito della Regina Ro-
bert Dudley conte di Leicester, con il quale strinse un rapporto di
stima e di amicizia e che lo introdusse nelle grazie di Elisabetta
Tudor. Bruno manifesta nella Cena, a chiare lettere, entusiasmo e
stima per la sovrana: “Non hai qua materia di parlar di quel nume de la
terra, di quella singolare e rarissima Dama, che da questo freddo cielo, vicino
a l’artico parallelo, a tutto il terrestre globo rende sì chiaro lume: Elizabetta
dico, che per titolo e dignità regia non è inferiore a qualsivoglia re, che sii nel
mondo”. Pur se priva di precisi riscontri, estremamente suggestiva è
l’ipotesi di un incontro del filosofo con William Shakespeare. Indu-
bitabili influenze sono rintracciabili in alcune sue opere e, addirit-
tura, in Pene d’amor perdute, nel personaggio di Berowne è ben rico-
noscibile il filosofo Nolano.
Dopo circa un anno e mezzo, agli inizi della primavera
del 1583, Bruno lascia Parigi per raggiungere, “con
lettere dell’istesso re”, la residenza londinese
dell’ambasciatore Michel de Castelnau. Anche questo
trasferimento, come quello di Tolosa, venne da lui
spiegato agli inquisitori veneti con i tumulti che
sconvolgevano la capitale.
20
IL SOGGIORNO INGLESE
Dalla Sorbona ad Oxford
Michel de Castelnau
Nel mirino dell’insaziabile ambizione di Bruno finì natural-
mente Oxford: troppo ghiotta l’occasione di affermare l’infini-
tà dell’universo nella roccaforte della pedanteria accademica!
Venuto a contatto con la famosa università oxoniana, sospinto
dall’irruenza del suo carattere, durante una disputa mise in dif-
ficoltà, senza troppi riguardi, uno stimato docente, John Un-
derhill, che sarebbe poi diventato Vescovo di Oxford, destando
naturalmente lo sdegno di una parte dei suoi colleghi che non
mancarono di manifestare alla prima occasione la loro animosi-
tà. Ottenuto, dopo alcuni mesi, l’incarico di tenere una serie di
conferenze in latino sulla cosmologia, difese tra l'altro le teorie
di Niccolò Copernico sul movimento della terra. Tanto ardire
gli costò l’allontanamento anche da Oxford. La mnemotecni-
ca, gli consentiva di citare tanto fedelmente i suoi maestri, che
fu accusato di aver plagiato il De vita coelitus comparanda di Marsi-
lio Ficino e costretto a interrompere le lezioni. Ma al di là dei
risentimenti personali, confliggevano con la temperie culturale
e religiosa inglese del tempo alcune idee di fondo di Bruno,
quali appunto la sua cosmologia ed il suo antiaristotelismo.
L’episodio del giorno delle ceneri del 1584 è significativo: Bru-
no era stato invitato a cena nella residenza del nobile inglese
Sir Fulke Greville ad esporre le sue idee sull’universo. Due dot-
tori di Oxford presenti, anziché opporre argomento ad argo-
mento, provocarono un acceso diverbio ed usarono espressioni
che Bruno ritenne offensive tanto da indurlo a licenziarsi dal-
l’ospite. Da questo fatto nacque il dialogo La cena de le ceneri che
contiene acute e non sempre diplomatiche osservazioni sulla
realtà inglese contemporanea, attenuate poi, anche per la rea-
zione di alcuni che si sentivano ingiustamente coinvolti in tali
giudizi, nel successivo De la causa, principio et uno. Nei due dialo-
ghi italiani, Bruno contrasta la cosmologia geocentrica di stam-
po aristotelico-tolemaico, ma supera anche le concezioni di Co-
pernico, integrandole con la speculazione del "divino Cusano".
Sulla scia della filosofia cusaniana, infatti, il Nolano immagina
un cosmo animato, infinito, immutabile, all'interno del quale si
agitano infiniti mondi simili al nostro.
21
Se la terra ruotasse, diceva Aristotele, essa si sposterebbe duran-
te il tempo di caduta, per cui il punto dove la pietra cade dovreb-
be spostarsi nella direzione opposta al movimento della terra.
Bruno fu il primo a confutare questo argomento nel terzo dialo-
go della Cena de le Ceneri: “Se alcuno che è dentro la nave, gitta per
dritto una pietra, quella per la medesima linea ritornarà a basso, muovasi
quantosivoglia la nave, pur che non faccia degl’inchini.”. In altre parole,
imbarcazione albero e pietra formano quello che in seguito sa-
rebbe stato chiamato “sistema meccanico”. “Della qual diversità
non possiamo apportar altra ragione, eccetto che le cose, che hanno fissione o
simili appartenenze nella nave, si muoveno con quella”. (Bruno -Teofilo).
“Con la terra dunque si muoveno tutte le cose che si trovano in terra”. L’ar-
gomento dei sostenitori della fissità della Terra è quindi privo di
fondamento. Mostrando come non si possa valutare il moto di
un corpo in assoluto, ma solamente in maniera relativa, Bruno
apre la strada al lavoro di Galileo, che gli farà eco nel Dialogo
sopra i due massimi sistemi del mondo: “E di tutta questa corrispon-
denza d’effetti ne è cagione l’esser il moto della nave comune a tutte le cose
contenute in essa, ed all’aria ancora”. (Galileo - Salviati)
Anche nel campo della fisica Bruno ha lasciato il segno:
è il caso del celebre esperimento della nave per spiegare la
relatività del movimento. L’osservazione che una pietra
lasciata cadere dall’alto di un albero o di una torre cade
verticalmente era considerata dalla fisica aristotelica una
delle prove più evidenti dell’immobilità della terra.
22
IL SOGGIORNO INGLESE
La Cena de le Ceneri
Immagine dalla “Cena de le Ceneri”
14 Febbraio 1584, giorno delle ceneri. Un barcone scricchio-
lante scivola sul Tamigi in una serata nuvolosa. A bordo, ol-
tre a due vecchi e scorbutici barcaioli, ci sono Giordano Bru-
no e i suoi due amici, messer Giovanni Florio e maestro Mat-
teo Gwynn, venuti a prenderlo per accompagnarlo alla resi-
denza di sir Fulke Greville. Questi ha invitato il filosofo a ce-
na, per sentirlo disputare sulle sue teorie eliocentriche ed infi-
nitiste. Bruno è a prora e volge lo sguardo verso un cielo livi-
do, in cui si staglia una candida luna.
BRUNO. “La luna mia, per mia continua pena, mai sempre
è ferma ed è mai sempre piena. Mi è sempre piaciuto in sera-
te come questa contemplarla e immaginare di essere lassù.
Magari potrei trovarvi, finalmente, un po’ di pace: fuggire
l’università che mi dispiace, il volgo ch’odio, la moltitudine
che non mi contenta”.
GWYNN. “Suvvia, sta di buon animo Giordano! Stasera ti
aspetta una gran bella disputa! Anch’io muoio dalla voglia di
sentirti difendere contro i pedanti di Oxonia la teoria eliocen-
trica di messer Copernico, su cui hai innalzato la tua Nova filo-
sofia”.
BRUNO. “Io non vedo né per gli occhi di Tolomeo, né per
quelli di Copernico! Sono grato a questi grandi ingegni, co-
me a tanti altri sapienti che già in passato si erano accorti del
moto della terra. Lo affermavano i pitagorici: Niceta Siracu-
sano, Ecfanto, Filolao. Platone ne parla nel Timeo, lo lascia-
va intendere cautamente il divino Niccolò Cusano. Ma è toc-
cato a me, come Tiresia, cieco ma divinamente ispirato, pene-
trare il significato delle loro osservazioni, leggervi ciò che essi
stessi non hanno saputo cogliere”.
GWYNN. “Pensavo che almeno su Copernico non avessi
niente da obiettare!”
BRUNO.“Grandissimo astronomo! Ha l’enorme merito di
aver conferito dignità e credibilità alle tesi degli antichi ma,
più studioso de la matematica che de la natura, neanch’egli è
riuscito a liberarsi completamente dalle vane chimere dei vol-
gari filosofi, fino ad abbattere le muraglie delle prime, ottave,
none, decime e altre sfere per affermare l’infinità dell’univer-
so. Quell’infinità che io, fin da ragazzo, avevo imparato a con-
templare nella mia amata terra natia.”
23
Capitolo 4
INFINITI MONDI
La credenza in una volta cele-
ste materiale che delimitasse il
mondo come un guscio di noce
si perde nella notte dei tempi,
ma bisogna attendere nel IV
secolo a.c. Aristotele e il suo
trattato De coelo, per una com-
piuta esposizione di una teoria,
in grado di spiegare nel modo
più preciso possibile il moto ap-
parente delle stelle rispetto ai
corpi celesti. Lo Stagirita rite-
neva impensabile l’ipotesi di
un mondo infinito, come imma-
ginavano gran parte degli anti-
chi filosofi. La sua visione geo-
centrica prevedeva che il no-
stro piccolo globo terrestre fos-
se immobile al centro dell’uni-
verso e la periferia del mondo,
come un’immensa sfera, giras-
se senza fine in 24 ore intorno
al proprio asse portandosi die-
tro le stelle. Era questo il cielo
delle stelle fisse, così chiamato
perché l’occhio le percepisce a
distanza fissa l’una dall’altra.
La sua rotazione spiegava l’ap-
parente moto notturno attorno
al polo celeste delle stelle, che
si troverebbero tutte ad eguale
distanza dalla terra. Secondo
Aristotele la sfera delle stelle fis-
se non era composta dai quat-
tro elementi (terra acqua aria
fuoco) che si pensava allora co-
stituissero il mondo, ma da una
quinta essenza che lui chiama
etere. Nella sua fisica, infatti,
egli distingue una regione cen-
trale o mondo sub-lunare (sotto
l’orbita della luna) che è il mon-
do dove le cose nascono, si evol-
vono e muoiono, vale a dire il
L’idea di universo infinito era già nota ai filosofi greci. Il
pitagorico Archita di Taranto, verso il 430, si chiedeva:
“Se io mi trovassi al limite estremo del cielo, sulla sfera
delle stelle fisse, mi sarebbe possibile tendere al di fuori
una mano o un bastone?”. L’ipotesi della rotazione della
terra su se stessa in 24 ore era stata già avanzata da
Eraclito nel VI secolo a.C. Nel quarto secolo a.C. Iceta
di Siracusa predicava che “Tutto nell’universo è
immobile, tranne la Terra”. Essa si muove in circolo
intorno al proprio asse, mentre Venere e Mercurio girano
intorno al Sole (come sosterrà molto più tardi, ai tempi
di Bruno, il danese Tycho Brahe). Nel suo grande poema
latino, De rerum natura, Lucrezio considerò l’universo
illimitato e si spinse ad ipotizzare una pluralità di
mondi obbedienti alla medesime leggi fisiche e abitati da
altri esseri pensanti.
25
INFINITI MONDI
Prigionieri delle Stelle fisse
mondo terrestre. E una regione che la circonda, il mondo so-
pra-lunare, dove si situano, con le loro sfere eteree, Luna Sole
e pianeti: corpi immutabili, cioè giammai affetti da alcun cam-
biamento. Astri non creati, eterni e perfetti, animati da un tipo
di movimento considerato anch’esso perfetto: il moto circolare
uniforme. Per spiegare questi moti di rotazione e la loro perfe-
zione, Aristotele avanza l’ipotesi che essi siano dovuti all’inter-
vento di intelligenze motrici, i cui spiriti sarebbero a loro volta
messi in movimento da un Primo Motore a cui da il nome di
Dio. La cosmologia e la fisica di Aristotele sconfinano così nel-
la metafisica. Malgrado le critiche avanzate da differenti scuo-
le filosofiche dell’antichità, la cosmologia di Aristotele alla fine
si impose. Tutti gli astronomi greci posteriori, ed in particolare
Tolomeo nel II sec. della nostra era, ripresero i concetti genera-
li proposti da Aristotele. I dibattiti tra gli astronomi aristotelici
puri e i partigiani di Tolomeo vertevano soltanto su punti mi-
nori, quali il numero delle sfere (otto, nove o di più), la distanza
che separava la terra dalle stelle fisse e più ancora il moto esat-
to dei pianeti all’interno delle sfere. Durante i primi secoli del
Medio Evo, l’Occidente dimenticò quasi totalmente Aristotele.
La cosmologia dell’occidente cristiano si fondava essenzialmen-
te sui versi biblici della creazione del mondo che faceva della
volta celeste un firmamento, cioè una volta solida (da firmus, fer-
mo) dove sono fissate le stelle. All’inizio del XIII secolo, quan-
do cominciarono a circolare le prime traduzioni latine degli
scritti perduti di Aristotele, la Chiesa, così come prima di lei i
teologi musulmani, si accorse che il trattato De coelo, pur ricono-
scendo un Dio Primo motore, ignorava l’idea della creazione
del mondo e dell’immortalità dell’anima. Pertanto, nel 1210, le
autorità religiose interdissero la lettura di Aristotele. Si deve a
colui che Bruno riconosceva come uno dei suoi maestri, il do-
menicano Tommaso d’Aquino, la soluzione di questa crisi.
Il “Divino Aquinate”, come lo chiama il Nolano, realizzò, nel-
la Summa Theologica, una vera e propria cristianizzazione dell’ar-
chitettura dell’universo descritta nel De coelo. Il mondo è unico
e ben limitato, serrato nella sfera delle stelle fisse. Egli aderisce
all’idea avanzata dai filosofi greci di una quintessenza: i corpi
celesti sono di natura diversa dai quattro elementi e sono incor-
ruttibili per natura. Allo stesso tempo egli reinterpreta in senso
cristiano la metafisica del Primo Motore, identificandolo bene
o male nel Dio creatore della Rivelazione e assimila agli angeli
le intelligenze che spingono i pianeti sulle loro orbite o sfere.
Nel 1323, mezzo secolo dopo la sua morte, Tommaso d’Aqui-
26
S. Tommaso d’Aquino tra Aristotele e Platone
no viene canonizzato e la sua filosofia, il tomismo, diviene la
dottrina ufficiale della Chiesa. Il pensiero aristotelico, diventa
la sola filosofia insegnata nelle università d’Europa, irrigidendo-
si insieme alla filosofia scolastica medievale. Aristotele viene ri-
tenuto come infallibile e nelle numerose branche del sapere
l’aristotelismo s’impone pressoché senza avversari. Nessuno
osa più contestare che delle sfere celesti concentriche ruotino
instancabilmente intorno alla terra. La sfera delle stelle fisse,
questo strano oggetto che nessun umano ha mai visto, acquista
lo stato di un’entità celeste la cui realtà non può essere messa
in dubbio! Il rivolgimento culturale del Rinascimento non pote-
va ignorare questo aristotelismo integralista. Il recupero dei pi-
tagorici,di Platone, degli stoici, l’intensificazione della ricerca
della verità nei campi più disparati, dalla medicina alla fisica,
alle matematiche, contagia tutti i campi del sapere, ma le uni-
versità, sulle quali nel XVI secolo il controllo religioso era pres-
soché totale, rappresentano una fortezza inattaccabile. Lungo
tutto il XVI secolo (e anche oltre) lo schema cosmologico me-
dievale rimane quello universalmente accettato e Tommaso
d’Aquino uno degli autori più stampati dell’epoca. E’ la pubbli-
cazione, nel 1543, del libro di Copernico De revolutionibus orbis
celestis a segnare la data della rottura. La Terra, scacciata dal
centro del mondo, gira infine su se stessa. Attorno al Sole,
ormai immobilizzato al centro del sistema, girano gli “orbi cele-
sti”, che portano i pianeti, tra cui il nostro, situato ora tra Vene-
re e Marte. La Terra è un pianeta come gli altri: questo è in so-
stanza il messaggio, che oggi sembra banale, ma fu una prodi-
giosa novità per i contemporanei di Copernico. Tuttavia il
mondo di Copernico non è esattamente l’universo che noi co-
nosciamo oggi. Da una parte egli mantiene un centro, dove
Dio, per illuminare il mondo, ha sistemato il Sole come su un
trono reale, dall’altra parte conserva un limite esterno. Anche
Copernico, infatti, per spiegare il movimento apparente delle
stelle nel cielo notturno, ricorre alla sfera delle stelle fisse che
però è costretto ad immobilizzare, come un gigantesco guscio
dalle dimensioni immense (da immensus, impossibile da misura-
re), che circonda la terra in rotazione. Inizialmente la teoria co-
pernicana fu relegata al rango di semplice ipotesi, comoda for-
se per i calcoli, ma per nulla corrispondente alla struttura reale
del mondo. Essa non andava oltre un tentativo di ridefinire le
posizioni e i moti dei pianeti all’interno del nostro sistema sola-
re, nella visione unificata di un universo di dimensioni infinite.
E’ sorprendente la scarsa eco che ebbe l’opera di Copernico,
non solo alla sua apparizione ma nel corso dei decenni che se-
guirono. Bisognò attendere ventitre anni perché il De revolutioni-
bus avesse una seconda edizione. All’inizio dell’anno 1580, qua-
si 40 anni dopo la pubblicazione dell’opera, nel momento in
cui Giordano Bruno formula le sue rivoluzionarie teorie, il
mondo scientifico in generale continuava così a professare con-
cezioni immutate nell’essenza da circa venti secoli.
Se non fu il primo a sostenere e diffondere la teoria coperni-
cana, Giordano Bruno fu certamente il primo a trarne con
coraggio e determinazione le conseguenze anche più estre-
me, e pericolose per il tempo in cui viveva, affermando che il
mondo non è per niente finito, cioè chiuso da una sfera che
lo circonda da ogni parte, come gli stessi Copernico e Keple-
ro continuavano a sostenere. Quando nel 1584 scrive la Cena
de le Ceneri, il suo primo dialogo in lingua italiana, Bruno ha
già maturato l’idea che ci troviamo sulla superficie di un glo-
bo lanciato, come gli altri pianeti, in una incessante rotazione
intorno al Sole. E’ giunto perciò il momento di abbandonare
per sempre la indifendibile dottrina della centralità della Ter-
ra. La cosmologia bruniana fa uso di fonti che risalgono a filo-
27
sofi dell’antichità, come Aristarco di Samo (che già nel III se-
colo a.C. aveva sostenuto la teoria eliocentrica, per cui la ter-
ra ed i pianeti girano su orbite circolari intorno al sole immo-
bile), Pitagora e Lucrezio, ed è intimamente connessa alla sua
metafisica. Nel terzo costituto del processo veneto egli
dichiara:“Io tengo un infinito universo, cioè effetto della infinita divina
potentia, perché io stimavo cosa indegna della divina bontà e potentia che,
possendo produr oltra questo mondo un altro ed altri infiniti, producesse un
mondo finito. Si che io ho dichiarato infiniti mondi particolari simili a que-
sto della Terra, la quale con Pittagora intendo uno astro, simile alla quale
è la Luna, altri pianeti ed altre stelle, le quali sono infinite; e che tutti que-
sti corpi sono mondi e senza numero, li quali costituiscono poi la universali-
tà infinita in uno spazio infinito; e questo se chiama universo infinito, nel
quale sono mondi innumerabili. Di sorte che è doppia sorte de infinitudine
de grandezza dell’universo e de moltitudine de mondi, onde indirettamente
s’intende essere ripugnata la verità secondo la fede”.
La sfera delle stelle fisse suscita solamente il suo sarcasmo: “Co-
me possiamo continuare a credere che le stelle sono incorporate in una cupo-
la, come se fossero attaccate a questa tribuna e superficie celeste con qual-
che buona colla o inchiodate da solidi chiodi?”.
28
I sistemi astronomici:
a) Tolemaico
b) Copernicano
c) Tychonico
Sia pur lodata per la sua auda-
cia, la filosofia bruniana suscita
altrettanto di frequente l’accu-
sa di precarietà per l’approssi-
mazione delle sue teorie mate-
matiche, l’avversione alla trigo-
nometria, i riferimenti al
pitagorismo e ai presocratici,
nonché all’atomismo di Epicu-
ro e Lucrezio, infarciti per giun-
ta di contaminazioni magiche
ed ermetiche. Pur riconoscen-
do che la sua monadologia
scorre nel solco tracciato da
Niccolò Cusano, che magia e
astrologia erano universalmen-
te coltivate da tutti i più grandi
pensatori rinascimentali, da Pi-
co a Ficino, da Della Porta a
Campanella, nel tentativo di
confutare o almeno ridimensio-
nare la grandezza del Nolano,
viene considerato “stregone-
sco” il suo interesse per magia
ed ermetismo. Non si tiene con-
to che gli scritti ermetici ebbe-
ro una parte importante nella
ripresa dell’idea del moto della
terra e furono studiati con estre-
ma cura perfino dal grande
Newton, per il quale ”I moti che
i pianeti hanno ora non poterono sor-
gere soltanto da una causa naturale
ma furono impressi da un essere intel-
ligente”, che egli identificava
con la volontà di Dio. In un pe-
riodo come il Rinascimento in
cui la Terra e, di conseguenza,
l’uomo erano il centro dell’uni-
verso, pensare che esistessero
altre galassie, abitate per giun-
ta da altri esseri, non era nem-
meno fantascienza, ma pura
follia. Ciò che più affascina di
Era la domenica che precede la festa di San Giovanni Battista,
nell’estate del 1178. Cinque monaci della cattedrale di
Canterbury a Londra, terminate le preghiere serali, prima di
ritirarsi nelle loro celle, si fermarono in silenzio a guardare la
luna. D’un tratto videro il bordo superiore dell’astro incrinarsi e
dallo spacco scaturire un’immensa fiammata. I frati corsero
allarmati a riferire l’avvenimento allo storico di Canterbury,
fratello Gervasio, che lo riportò fedelmente nelle sue
“Chronica”. Prodigi come quello erano ritenuti portatori di
disgrazie, perché soltanto il diavolo poteva permettersi di
sconvolgere l’immobile imperturbabilità degli astri. I recenti voli
spaziali hanno confermato fisicamente il resoconto lasciato nel
XII secolo dal monaco di Canterbury, rilevando che,
effettivamente, la Luna ha una leggera oscillazione, come se
fosse stata colpita meno di mille anni fa da un asteroide.
Esattamente nella regione descritta da frà Gervasio, in quella
sera di giugno, esso lasciò sulla superficie lunare un enorme
cratere che gli astronomi hanno voluto intitolare al profeta
dell’infinità dell’universo.
29
INFINITI MONDI
Mago o scienziato?
Il cratere Giordano Bruno
Bruno è la coerenza nello sviluppare le proprie idee senza
preoccuparsi delle conseguenze. Nulla di strano che venisse
considerato un visionario o, peggio, un ciarlatano dai boriosi
pedanti del suo tempo. Tycho Brahe, con feroce disprezzo, ri-
cambiò la sua ammirazione chiamandolo Nullanus. George Ab-
bot, futuro arcivescovo di Canterbury, deprecò il fatto che “quel-
l’omiciattolo italiano ave-
va tentato di far stare in
piedi l’opinione di Coper-
nico per cui la terra gira
e i cieli stanno fermi;
mentre in verità era piut-
tosto la sua testa che gira-
va, e il suo cervello che
non stava fermo”. Nono-
stante ciò, le idee del
Nolano influivano di-
rettamente o indiret-
tamente sulla “nuova
scienza”. William Gil-
bert, contemporaneo
di Bruno, esponendo le sue idee sul magnetismo, nel De mundo,
fa largo uso delle teorie cosmologiche esposte dal filosofo nola-
no nel De immenso. Galileo mostra una buona conoscenza dei
testi bruniani, anche se si guarda bene dal farne menzione. Ke-
plero, pur esprimendo il suo sconcerto per l’universo infinito
preconizzato da Bruno, rimprovera così lo scienziato pisano:
"Non avrai, Galileo mio, gelosia della lode che devesi a coloro che tanto
tempo prima di te predissero ciò che ora hai contemplato co' tuoi propri oc-
chi ? La gloria tua é che emendi la dottrina che un nostro conoscente, Ed-
mondo Bruce, tolse a prestito da Bruno". Le strade di Bruno e Gali-
leo camminarono ben distinte ma alfine si incrociarono, quan-
do il Nolano si lasciò attirare a Padova dalla cattedra di mate-
matica, lasciata vacante dal siciliano Giuseppe Moleti, e che sa-
rà assegnata al Pisano. Questo avvenimento finì per spingerlo
definitivamente verso la mortale trappola che lo attendeva a
Venezia. E' notorio l'estremo attaccamento al successo monda-
no da parte di Gali-
leo. La paternità del
compasso geometri-
co, come quella dello
stesso cannocchiale,
gli furono contestate.
Del resto, le leggi del-
l’ottica che ne spiega-
no tecnicamente il
funzionamento sono
dovute a Keplero, che
le analizzò nella sua
Diottrica del 1611, rico-
noscendo a sua volta
il debito nei confronti
del De refractione di Giovan Battista Della Porta. Se è certamen-
te avventato avvicinare Bruno allo sperimentalismo matematiz-
zante di Galileo, non bisogna neanche cadere nell’intolleranza
opposta di cancellarne il contributo alle idee scientifiche, sia
pur presentato nei termini di una profezia ancora solo vaga-
mente compresa e non ben definita. Bruno non era un astrono-
mo, nell’accezione odierna del termine, la sua visione cosmolo-
gica deriva in gran parte dalle sue conoscenze umanistiche.
Ciononostante egli elaborò su un binario parallelo a quello dei
suoi contemporanei “scienziati”, quella concezione del mondo
sorta dalla rivoluzione scientifica: quella di un universo infini-
to, senza centro né principi gerarchici. Per interpretarne la
30
Tycho Brahe
Giovan Battista Della Porta
grandezza è necessario un cambio di prospettiva fondamenta-
le: dal punto di vista di Bruno, è la pratica scientifica che va
considerata in funzione della sua teoria dell’universo infinito e
non viceversa. Il procedimento bruniano è coerente con una
visione essenzialmente intuitiva e profetica della realtà fenome-
nica, che gli consente di preconizzare, senza nessuna dimostra-
zione “scientifica”, teorie che saranno poi confermate successi-
vamente dai progressi della scienza moderna. Questa imposta-
zione è del resto da lui coscientemente dichiarata e perseguita
fin dalle prime osservazioni sul natio monte Cicala, attraverso
la mitologicizzazione del suo destino “mercuriale”. Non sarà
un caso se egli esporrà la summa della propria filosofia, in for-
ma di poema e non di trattato scientifico. La “Nolana filosofia”
è un effetto non-scientifico della rivoluzione scientifica, ma non
per questo di secondo piano, in quanto si propone di trasforma-
re il rapporto dell’uomo con il mondo. Del resto, l’irrazionale
ha avuto e continua ad avere la sua parte nello sviluppo delle
idee scientifiche e la
scienza moderna si è
rivelata in molti casi
molto più illusoria, di
quella del Cinquecen-
to e del Seicento. Se si
contesta a Bruno di
non conoscere quello
che Galileo definisce,
nel famoso brano del
Saggiatore, il linguaggio
matematico in cui è
scritto il grande libro
dell’universo, eppure
egli è riuscito a capirne o intuirne tanti meccanismi, è evidente
che di lingue che esprimono il funzionamento dell’universo ve
n’è più di una. Alexandre Koyré, nel suo fondamentale Dal mon-
do chiuso all’universo infinito, così si esprime sul filosofo: “Giordano
Bruno, mi spiace dirlo, (...) come scienziato è mediocre, non capisce la ma-
tematica (...) la concezione bruniana del mondo è vitalistica e magica (...)
Bruno non è affatto uno spirito moderno. Tuttavia, la sua concezione è tan-
to possente e profetica, tanto sensata e poetica, che non possiamo che ammi-
rarla, insieme con il suo Autore. Ed essa ha influenzato così profondamente
- almeno nei suoi tratti formali - la scienza e la filosofia moderne, che non
possiamo non assegnare a Bruno un posto importantissimo nella storia del-
lo spirito umano”. Di lui insomma, possiamo dire tutto ma non
che non fosse un pensatore di straordinaria forza mentale.
L’ammirazione non corrisposta per Tycho Brahe, come pure
l’imbarazzante entusiasmo per il compasso differenziale di Fa-
brizio Mordente, rivelano la sua preoccupazione di ottenere
misurazioni esatte, e la conseguente necessità di sviluppare nuo-
vi strumenti di osservazione. Il De triplici minimo et mensura si fo-
calizza proprio su questo concetto della misurazione, in partico-
lare in riferimento alle particelle minime, o atomi, che si trova-
no alla base dei corpi sensibili e, sorprendentemente, Bruno sol-
leva questioni molto
vive oggi nell’ambito
della matematica e
della fisica quantisti-
ca. La consapevolez-
za dell’umbratilità
del reale gli faceva
sentire, ogni volta
che cercava di adden-
trarsi “sperimental-
mente” nei problemi
matematici e geome-
trici, la relatività di
questo metodo, evi-
31
Johannes Kepler
Nikolaus Kopernik
denziando la consapevolezza dei problemi legati, come osserva
Hilary Gatti, a “teorie atomistiche e cosmologiche basate su en-
tità di dimensioni minime e massime tali da escludere per defi-
nizione le capacità percettive e intellettive della mente uma-
na”. Questi suoi dubbi anticipano sorprendentemente i proble-
mi che ancora oggi agitano la fisica quantistica, e mi riferisco
in particolare al principio di indeterminazione di Heisenberg,
il quale mise in rilievo, secondo Harold J. Morowitz, che “le
leggi della natura non avevano più a che fare con le particelle
elementari, bensì con la conoscenza che noi abbiamo di queste
particelle, cioè con il contenuto della nostra mente”. Per Bruno
la matematica e la geometria sono metodi di valutazione appli-
cati ad una realtà fenomenica che è soltanto “ombra”, e non
alla sua vera essenza. Non essendo pertanto possibile contem-
plare ciò che sta dietro l’anima mundi, soltanto la mitologia, a li-
vello intuitivo-profetico, può penetrare i motivi profondi che
regolano il comportamento dell’universo. Bruno aveva compre-
so, per ispirazione “mercuriale”, attraverso una comunicazione
diretta con la natura, l’esistenza di principi fondamentali quali
la coincidenza degli opposti, il ciclo della vicissitudine e il con-
cetto di umbra divinitatis, che costituiscono i pilastri di tutta la
sua speculazione filosofica, ivi compreso l’intero apparato mate-
matico e astronomico ad essa collegato. L’essersi rifiutato di
abiurare, a differenza del pisano, quelle teorie cosmologiche,
che aveva difeso strenuamente ai più alti livelli della cultura eu-
ropea, in un periodo in cui si esitava ancora a pronunciare il
nome di Copernico, costituisce, nella storia della scienza, già
un notevole merito. Bertolt Brecht fa così concludere il suo Ga-
lileo: “Non credo che la pratica della scienza possa andar disgiunta dal
coraggio. [....] Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione
dei potenti e si limitano ad accumulare il sapere, la scienza può rimanere
fiaccata per sempre. [....] Ho tradito la mia professione.”.
32
Abiura di Galileo Galilei
Letta il 22 giugno 1633
“...sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto
che il Sole sia centro del mondo e imobile e che la Terra non sia centro e si muova.
Pertanto...volendo io levar dalla mente delle Eminenze V.re e d'ogni fedel con cuor
sincero e fede non fìnta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie.
Dichiarazione di Giordano Bruno agli inquisitori del 21 dicembre 1599
“Non devo né voglio pentirmi, non ho di che pentirmi né ho materia di cui pentirmi,
e non so di che cosa mi debba pentire”.
Capitolo 5
PARIGI ADDIO !
Una sera Corbinelli lo invitò alla presentazione di una recente
scoperta del geometra salernitano Fabrizio Mordente: il compas-
so proporzionale a otto punte. Su invito dell’inventore, che non
conosceva il latino, Bruno ne realizzò la traduzione nella lingua
dei dotti, accompagnandola con due dialoghi esplicativi. In essi,
pur riconoscendogli la paternità dell’invenzione, anzi elevando
al cielo le capacità come geometra di Fabrizio, ne metteva in mo-
stra anche l’incapacità di capirne appieno le effettive potenziali-
tà. Bruno esaltava, in particolare, le applicazioni dello strumen-
to che avvalorano le sue tesi filosofiche sul limite fisico della divi-
sibilità. Sentendosi sminuito al ruolo di semplice "meccanico",
il Mordente si affrettò a comprare tutte le copie disponibili dei
dialoghi e le distrusse. Bruno rinfocolò la polemica pubblicando
un altro dialogo dal titolo e dal tono sarcastico Idiota trium-
phans seu de Mordentio inter geometras deo, in cui ridicolizza
Fabrizio, assimilandolo a quegli esseri, quasi sempre privi di
qualsiasi valore intellettuale, scelti dalla divinità per manifestar-
si. La conclusione della vicenda fu che il matematico si rivolse al
suo protettore, il duca di Guisa, schiumando rabbia e chiedendo
vendetta nei confronti del Nolano, schierato invece con i politi-
qués fedeli ad Enrico III. Non dovette attendere molto il verificar-
si di un avvenimento che determinò l’addio del Nolano a Parigi.
Ai primi di novembre del 1585 Giordano Bruno fece
ritorno a Parigi, in seguito al richiamo in patria
dell’ambasciatore. La situazione era radicalmente
cambiata. La caduta in disgrazia di Michel de
Castelnau e le vicissitudini politiche di Enrico III,
impegnato a contrastare l’invadenza della Lega cattolica
sostenuta dalla Spagna, non gli garantivano più la
protezione di un tempo. Cercò allora il sostegno dei
cosiddetti “italiennes”, intellettuali filo-navarrini, che
facevano capo a Jacopo Corbinelli, nelle grazie della
regina madre Caterina de’ Medici.
34
PARIGI ADDIO !
L’affaire Mordente
Il compasso di Mordente
Prima di abbandonare definitivamente Parigi, Bruno pensò di
lasciare un altro indelebile ricordo di sé e delle proprie tesi nel-
l’ambiente accademico. Aveva due opzioni: la lezione di conge-
do (che utilizzerà più tardi a Wittenberg) e la disputa. Scelse que-
st’ultima e, con il suo consueto gusto per la teatralità, decise di
interpretare il ruolo di “presidente” del consesso, lasciando al bril-
lante e fedele allievo Jean Hennequin il compito di esporre le tesi
fortemente antiaristoteliche contenute nell’opuscolo Centum et vigin-
ti articuli de natura et mundo adversos peripateticos, che aveva fatto stam-
pare per l’occasione. Fu un invito a nozze per i suoi avversari, che
organizzarono un agguato in piena regola. Al termine del discor-
so del giovane Hennequin, il Nolano invitò alla discussione
chiunque volesse intervenire. Siccome non si faceva avanti nessu-
no, egli salì sul podio e parlò a lungo contro il mondo finito di
Aristotele. Prese allora la parola un giovane avvocato, Rodolfo
Callier, il quale provocò il Nolano con ingiurie, chiamandolo
“Giordano Bruto”, e propose in maniera confusa alcune argo-
mentazioni in difesa di Aristotele, aizzando la folla degli studen-
ti. Non essendo data al Nolano facoltà di rispondere, la cosa finì
in tumulto. Il povero filosofo strattonato e minacciato dagli stu-
denti dovette promettere di tornare l’indomani per rispondere
alle contestazioni. Capita l’antifona, ovviamente non si fece più
vedere e si affrettò a lasciare Parigi.
Il 28 maggio 1586, mercoledì della settimana di
Pentecoste, il Nolano invitò i lettori reali e tutti gli altri a
sentirlo declamare nel Collegio di Cambrai contro
parecchi errori di Aristotele. Le tesi che si proponeva di
esporre nell’occasione saranno pubblicate due anni dopo,
a Wittenberg, col titolo di Camoeracensis Acrotismus.
35
PARIGI ADDIO!
La disputa di Cambrai
Capitolo 6
ASINI E PEDANTI
Bruno fu alla continua ricerca di una cattedra d’insegnamento.
Probabilmente, se fosse rimasto nel grembo della Chiesa cattoli-
ca, avrebbe scalato le più alte gerarchie ecclesiastiche. Non è
tuttavia un paradosso affermare che le sue disavventure, stretta-
mente legate ad un carattere fiero e ribelle, influirono positiva-
mente sullo sviluppo del suo pensiero in quanto lo sottrassero
agli inevitabili condizionamenti del potere religioso e di quello
accademico, che ne avrebbero fatalmente limitato la portata
rivoluzionaria. Anzi gli ostacoli e i pregiudizi che dovette af-
frontare ne stimolarono ancor più l’indomabile orgoglio e lo
spirito d’indipendenza. Nel prologo del Candelaio Bruno si defi-
nisce: “achademico di nulla achademia”. Per lui i parrucconi che
sentenziavano dall’alto dei pulpiti universitari erano soltanto
dei “pedanti”. Ciò che non sopportava di loro era la consuetudo
credendi, l’abitudine a credere tipica degli aristotelici che si ap-
piattivano passivamente sulle posizioni del loro maestro. Le tra-
versie che il Nolano dovette affrontare nel corso della sua lun-
ga peregrinatio sono legate essenzialmente alla persecuzione di
cui fu vittima da parte delle varie chiese da un lato e del mon-
do accademico dall’altro. Ciò si riflette nel quasi ossessivo ap-
pellarsi, nelle sue opere, ai principi della tolleranza e della liber-
tas philosophandi che costituiscono i pilastri dell’intera sua specu-
lazione. Egli vedeva al di là delle favole nelle quali era stato
educato. Ne capiva la vacuità ma non gli importava. Predicas-
sero pure ciò che volevano, tanto, come aveva imparato a sue
spese, una religione, una chiesa vale un’altra. Per lo stesso moti-
vo, pur essendo pronto a dissimulare per motivi di opportuni-
tà, sui punti costitutivi della sua filosofia non era disposto a
transigere nemmeno di fronte alla morte, pur sapendo che nes-
sun Dio gli avrebbe mai chiesto conto di eventuali bugie. Il
pensiero di Bruno è profondamente anti-religioso, anti-cristia-
no, anti-riformato, anti-aristotelico. Bruno insomma è "anti":
ma non solo per il suo spirito ribelle, per il carattere orgoglioso
e polemico. Non si scambino gli effetti con le cause. Bruno è
"anti" per smania di libertà di pensiero, per insofferenza a qual-
siasi imposizione dogmatica. Perché la "nova filosofia" può af-
fermarsi solo se si sgombra il campo dalle superstizioni e dai
falsi principi. Egli ha una visione aristocratica della sapienza,
in sintonia con i culti iniziatici egizi ed ermetici, che erano ca-
ratterizzati da una netta separazione tra esoterico ed essoteri-
37
ASINI E PEDANTI
“Achademico di nulla achademia”
co. La ricerca e la scoperta del vero sono prerogativa del sa-
piente e il consenso del volgo non depone assolutamente per la
verità di un’idea. Che non riuscissero a capirlo gli dava un sen-
so di frustrazione e di sconfitta, più per l’ottusità dei suoi inter-
locutori che per i propri insuccessi. Per questo motivo chiederà
fino all’ultimo istante di parlare personalmente col Papa: era
convinto che Clemente VIII condividesse quest’idea della
“doppia verità”. Di una verità di fede che mantenesse “il volgo
rozzo e infame” in una tranquilla operosità (e qui c’è tanto Ma-
chiavelli), e di una verità esoterica che tenesse conto della ma-
gia naturale, della nuova cosmologia, dell’animismo universale.
✦ Cosa vorresti dire ai tuoi nemici, a coloro che durante la
tua esistenza ti hanno osteggiato, dandoti del pazzo, accu-
sandoti di plagio, di essere un pensatore poco originale ?
✦ Trovatemi uno solo di loro che fosse un pensatore davvero
originale. Queste accuse non dimostrano altro che il livore
di questi pedanti nei confronti di chi ha portato nella storia
del pensiero un atteggiamento nuovo e lo ha fatto con con-
vinzione e spirito di indipendenza. Ognuno di noi ha biso-
gno di confrontare le proprie idee. La diversità, la comuni-
cazione sono i valori fondamentali della vera cultura.
✦ Hai accolto nel tuo sistema filosofico, cogliendole d’intui-
to, le idee di molti grandi pensatori: da Anassagora a Lu-
crezio, da Cusano a Erasmo. Ma, solo, hai saputo unificar-
le, armonizzarle, in un unico potentissimo pensiero, attra-
verso tentativi, a volte anche confusi, perché continuamen-
te rivisitati, di esprimere i tuoi concetti al di fuori e spesso
contro la cultura del tempo. Hai sviluppato le loro teorie
in una direzione che non si erano nemmeno sognati di con-
cepire o non avevano avuto il coraggio di intraprendere, an-
dando oltre laddove ognuno di loro si era arrestato dinanzi
alle convenzioni e alle difficoltà. In effetti, tutto quello che
ti rinfacciano, non fa che aumentare la tua grandezza, ep-
pure si è continuato per secoli a scambiare premeditatamen-
te le fonti con i contenuti, le suggestioni con la sostanza del
tuo pensiero.
✦ Io mi sono sempre confrontato sia con i miei modelli, con i
miei maestri, che con coloro che avversavo, a cominciare
dallo stesso Aristotele. La mia coerenza è dimostrata dalla
conoscenza che ne avevo e che mi dava il diritto di criticar-
lo. Così per questo mio desiderio di verificare , di trovare
riscontri, ho cercato conferma alle mie intuizioni, alle teo-
rie che venivo elaborando, nella dottrina dei filosofi e degli
uomini di scienza, che ho conosciuto e studiato. Le mie
grandi doti mnemotecniche mi consentivano di confronta-
re e assimilare tutte le idee che potessero aiutarmi a sostene-
re e sviluppare la mia dottrina.
✦ Ad Oxford, i pedanti ne approfittarono per accusarti di co-
piare le opere di Ficino perché, durante le tue lezioni, ne
citavi a memoria interi brani.
✦ Miseri grammatici che non osavano staccarsi di una virgo-
la dalle parole di Aristotele, ebbero il coraggio di accusare
me di plagio! Matematici e astronomi, servi di corte, inca-
paci di liberarsi delle loro stelle fisse, delle false muraglie
38
che da soli si erano costruiti, e che, secoli dopo la mia mor-
te vedevano ancora la terra immobile al centro dell’univer-
so, si arrogarono il diritto di trattare con disprezzo il mio
pensiero e di darmi del mago, dello stregone! Dicevano che
era la mia testa che girava, non la terra, perché temevano
le vertigini che il mio pensiero gli provocava.
✦ Tycho Brahe , il grande astronomo dell’epoca, da te am-
mirato e decantato al punto da dedicargli con entusiasmo
una copia del tuo Acrotismus, ti chiamò sprezzantemente
“Nullanus”.
✦ Io ho sempre riconosciuto e magnificato nelle mie opere,
a volte anche con un entusiasmo esagerato, i meriti e il valo-
re delle conquiste di pensiero. Così avrei voluto e vorrei an-
cora oggi, che si riconoscessero le mie ! Costui aveva a di-
sposizione gli strumenti più sofisticati dell’epoca, un’intera
isola era stata attrezzata per le sue osservazioni. Perlustrava
i cieli, vide e studiò il moto delle comete, elaborò molte feli-
ci teorie. Pensai: avrà pur intuito le possibilità che schiudo-
no queste sue scoperte. Nulla! Come gli altri. Persistevano
nella loro stupida, presuntuosa visione del mondo, incapaci
di sentire, privi del coraggio e dell’intuizione per andare ol-
tre e dell’umiltà per ascoltare. Al filosofo non compete for-
mulare teoremi o calcoli matematici.. Io sono quello che,
senza bisogno di osservatori astronomici ed esperimenti, ha
infranto la sfera delle stelle fisse per solcare impavido l’infi-
nito, scoprendo verità che fino ad allora nessuno era stato
capace di intuire.
✦ Ti sei fatto paladino dell’eliocentrismo, abbattendo ogni
limite, ad Oxford, nel cuore della cultura ufficiale del tem-
po, dove le teorie di Copernico erano considerate tutt’al
più un bizzarro esperimento. Hai annunciato la necessità
di una renovatio mundi in un epoca di feroci lotte religiose e
civili, non teorizzandolo dalla remota torre d’avorio del sa-
piente solitario, ma recandoti personalmente presso le cor-
ti, nel covo di luterani, calvinisti, protestanti e infine cattoli-
ci con l’intento vano di arrivare a discuterne direttamente
col Papa. Un dinamismo veramente eccezionale il tuo, se
consideriamo i mezzi dell’epoca.
✦ Non basta trastullarsi con le proprie idee, come vani sogna-
tori, appartati con i propri studi. Il filosofo ha il dovere di
sfidare, armato solo delle proprie idee, l’odio dei pedanti e
il disprezzo del volgo presso il quale tanto val dire filosofo
quanto un saltimbanco, ciarlatano buon per servir da spa-
ventapasseri in campagna. Mi sarebbe piaciuto fermarmi,
avere una cattedra fissa e tranquilla, da cui poter insegnare
e diffondere il mio pensiero. Non me l’hanno mai permes-
so. A Londra in casa dell’ambasciatore di Francia de Castel-
nau, protetto e riverito, stimato da menti eccellenti e dalla
stessa regina Elisabetta, ho provato quanto siano dolci e fe-
conde per lo studioso la tranquillità e la sicurezza, e in quel
periodo ho prodotto opere importanti. Ma è durato poco,
anche lì: il destino errante mi incalzava. Meglio così ! Ma-
gari sarei diventato anch’io un pedante! La mia vicissitudi-
ne era questa: vagare per l’Europa, affermando idee che a
quei tempi, in quei posti, in quei modi suonavano come
una provocazione, una sfida.
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✦ E’ la sorte, Giordano, di tutti i grandi inattuali, gli uomini
in anticipo sui loro tempi. Considerando le reazioni a certe
tue affermazioni mi nasceva sempre dentro una domanda:
davvero costui ha affermato queste cose nella seconda metà
del XVI secolo ? Se, ancora secoli dopo la tua morte, gli in-
tellettuali parlavano di te come un demonio per aver detto
verità riconosciute, oggi, perfino dalla scienza moderna, c’è
da meravigliarsi semmai che non ti abbiano dato fuoco pri-
ma! Non so se sia stata follia o eroismo, ma solo una perso-
nalità indomita, caparbia, insofferente al dogma come la
tua avrebbe potuto dar voce a quel tempo a tali intuizioni .
✦ Mi davano del pazzo, ma, come insegna il dotto Erasmo,
gli uomini sono tutti un po’ pazzi. Il saggio ne è consapevo-
le e si tiene ancorato alla realtà, accettandola con ironia; i
pedanti, il volgo non se ne rendono conto e diventano per-
sonaggi da commedia, ridicoli nella loro supponenza e ceci-
tà. Cosa se non la follia spinge i grammatici accigliati e alti-
tonanti dalle loro cattedre, a sentirsi così importanti, o i teo-
logi con le loro finissime sottigliezze, e la testa rimpinzata
di mille ridicole cianfrusaglie, a ritenersi i depositari della
verità?
✦ Mentre il fanatismo delle guerre di religione, degli scismi,
insanguinavano l’Europa , non era ancor più folle pretende-
re che le tue idee venissero accettate nei centri della pedan-
teria e dell’intolleranza religiosa?
✦ Forse si, ma sapessi che soddisfazione vederli vacillare di-
nanzi alla forza e alla suggestione della verità, dibattersi co-
me pulcini nella stoppa per difendere i propri errori!
40
Capitolo 7
IN TERRA D’ERETICI
A Wittenberg il Nolano visse un periodo inconsuetamente felice,
durante il quale avrà la possibilità di concepire le sue opere magi-
che e di gettare le basi dei grandi poemi francofortesi. Dopo circa
due anni, per il prevalere della fazione calvinista su quella lutera-
na che lo appoggiava, egli si congedò con una Oratio valedictoria,
nella quale ringraziò l’università per averlo accolto senza pregiudi-
zi religiosi. L’orazione contiene un caloroso elogio di Lutero, per
il suo coraggio nell’opporsi allo strapotere della Chiesa di Roma,
che ha grande valore come difesa della libertà religiosa. Nonostan-
te avesse in altre opere (specialmente Cabala e Spaccio) ferocemente
criticato la dottrina dei luterani, furono proprio questi a trattarlo
con più ospitalità e considerazione. A Wittenberg lasciò dietro di
sé uno stuolo di fedeli e
riconoscenti discepoli,
per tentare la carta Pra-
ga, alla corte dell’impera-
tore Rodolfo II, cui dedi-
cò gli Articuli adversos mat-
hematicos, ricevendone sol-
tanto una ricompensa
una tantum di trecento tal-
leri. Il Nolano non si tro-
vò per nulla a suo agio
nell’atmosfera astrologi-
co-alchemica allora pre-
dominante nella corte di
Di nuovo ramingo per l’Europa, Bruno approdò nel
giugno del 1586 a Wittemberg, in Germania, nella cui
università si immatricolò come “doctor italus”. Grazie
all’aiuto dell’illustre giurista Alberico Gentili, venne
ammesso ad insegnare, dapprima pubblicamente e poi
privatamente una lezione dell’Organon di Aristotele.
42
IN TERRA D’ERETICI
La casa della sapienza
L’Accademia di Wittenberg
Luther
Rodolfo II, che era diventata il paradiso di ciarlatani e sedicenti maghi del calibro di John Dee ed Edward Kelley. Bruno aveva già in-
contrato Dee in Inghilterra, nel giugno del 1583, quando era stato ad Oxford al seguito del conte Laski ed aveva affrontato la famosa
disputa con i pedanti oxoniensi. Dee si trovava allora nella sua tenuta di Mortlake e fu il co-
mune amico Philip Sidney ad organizzare l'incontro. Ora le loro strade si incrociarono di
nuovo, ma gli bastò poco per rendersi conto che il ruolo di mago di corte non faceva per lui.
Bruno non ha mai avuto particolare simpatia per l’alchimia, cui si riferisce nei suoi scritti sol-
tanto con intenti parodistici. A cominciare da una delle sue prime opere, Il Candelaio, in cui
l’alchimista Bonifacio rappresenta il prototipo del credulone, ignorante e presuntuoso, che
viene regolarmente raggirato e sbeffeggiato dai furfanti del volgo napoletano, così efficace-
mente descritti nella commedia. Del resto non ci sa-
rebbe stato nulla di strano se egli si fosse occupato
di alchimia: era la chimica del tempo, praticata un
po’ da tutti, umanisti, astronomi, papi. Perfino San
Tommaso aveva mostrato un tale interesse per la
“Grande Opera”, da comporre un paio di trattati
alchemici. Addirittura una leggenda medievale so-
steneva che egli avesse ricevuto, tramite il suo mae-
stro Alessandro Magno, il secretum secretorum, la pietra filosofale, che sarebbe stata scoperta da
un altro Padre della Chiesa: S. Domenico! Quando si rese conto che non era la matematica
che interessava al sovrano, ma proprio la ricerca della pietra filosofale, il Nolano preferì cam-
biare aria. A Tubinga gli andò ancora peggio: questa volta gli accordarono un’elemosina di
appena quattro fiorini, purché sloggiasse alla svelta. Verso la fine del 1588 arrivò ad
Helmstedt, dove trascorse un anno e mezzo circa, confortato dalla presenza del suo allievo
prediletto di Wittemberg, Hieronimus Besler, che lo aiutò nella stesura di una serie di opere
di argomento magico ed esoterico comprendente il De Magia, Theses de magia e Magia matematica e l’abbozzo del De rerum principiis et ele-
mentis et causis e della Medicina lulliana, tutti raccolti nel codice, intitolato ad Abraham Norov, che lo ritrovò a Parigi presso un antiqua-
rio. Ma, nonostante la protezione del Duca Heinrich Julius di Braunschweig, in seguito all’ennesima scomunica, inflittagli stavolta
dal pastore luterano Heinrich Boethius, per motivi non ben chiariti e che Bruno sostiene fossero di natura privata, fu costretto a la-
sciare anche Helmstedt. Fece quindi rotta su Francoforte, con l’obiettivo di curare la pubblicazione della summa del suo pensiero: i tre
poemi latini (De triplice minimo, De monade e De immenso). Il 2 giugno 1590 Bruno giunse a Francoforte dove chiese ma non ottenne il
permesso di soggiornare presso Andreas Wechel, lo stampatore delle sue opere, per cui rimase precariamente ospitato nel convento
dei carmelitani. Il soggiorno fu interrotto da un periodo di sei mesi in Svizzera, prima a Zurigo e poi ospite del patrizio Heinrich
Hainzel nel suo castello di Elgg, dove tenne lezione ad un gruppo di alchimisti paracelsiani e proto-rosacrociani.
43
Rodolfo II
John Dee
Cosa avevano in comune Bruno ed Egli, a parte la Summa ter-
minorum metaphysicorum, che il Nolano gli dettò? Egli era un
acceso sostenitore di Paracelso, ai cui insegnamenti si ispirava la
sua alchimia. Bruno nell’Oratio Valedictoria declamata nel 1588,
quando abbandonò l’Università di Wittenberg, aveva tessuto un
elogio della “casa della sapienza” tedesca contenente un solenne
encomio di Paracelso, definito “medico fino al miracolo”. Le
simpatie paracelsiane costituiscono, dunque, uno dei principali
punti di contatto tra Bruno e l’ambiente rosacrociano. Inoltre,
molte delle posizioni della confraternita di Elgg, sia quelle politi-
che, legate ad un progetto irenistico di pace universale, sia quel-
le di ascendenza ermetica in termini di micro e macrocosmo,
erano in larga parte condivise dal filosofo. Emergono tuttavia al-
cune notevoli differenze. Il Nolano si riconosceva fino ad un cer-
to punto nei presupposti naturalistici alla base delle teorie di Pa-
racelso. Inoltre, s’irrigidiva di fronte all’uso “magico” dell’alchi-
mia, come aveva dimostrato a Praga, nei confronti di John Dee
e della sua Monas Hyeroglifica. Bruno rimane saldamente ancora-
to ai canoni classici della prisca theologia e alla sapienza orientale
dei Magi di tipo caldaico-egizio, molto lontane dal cristianesimo
millenaristico di stampo rosacrociano.
Il personaggio cardine della vicenda relativa ai contatti
tra Bruno e i Rosacroce è il telogo zurighese Raphael
Egli. Personaggio, discusso e discutibile, si occupò di
teologia, di poesia, di alchimia e molto altro ancora. Nel
periodo successivo a quello in cui accolse Giordano Bruno
ad Elgg, nel castello del suo mecenate Heinrich Hainzel,
proprio a causa della sua passione per l’alchimia, fu
protagonista di un clamoroso crack finanziario. Costretto
a fuggire da Zurigo e a riparare alla corte del Langravio
Maurizio di Hesse dove gli fu assegnata una cattedra di
teologia, in realtà continuò ad occuparsi di alchimia per
tutta la vita. Ma Egli fu, soprattutto, un fervente
Rosacroce, uno dei primi a diffondere i famosi manifesti,
la “Fama” e la “Confessio fraternitatis”, e, molto
probabilmente, l’autore della “Consideratio brevis”,
pubblicata nel 1616, l’anno successivo a quello del
secondo manifesto.
44
IN TERRA D’ERETICI
L’incontro con i Rosacroce
Raphael Egli
La ritmica successione per cui
l’uomo cerca di ascendere alla
divinità e la divinità discende
al mondo naturale è un concet-
to strutturale trascendentale,
che nella filosofia bruniana si
identifica nel ciclico alternarsi
di “ascenso” e “descenso”.
L’intuizione principale di que-
sta teoria, che ebbe nel Medioe-
vo e nel Rinascimento una
grandissima fortuna, assimila
al Macrocosmo l’immagine del-
l’Universo, del Mondo, del lo-
cus in cui risiede Dio, la Luce
Creatrice propagantesi in ogni
direzione, capace di dissolvere
le tenebre e di fornire il princi-
pio attivo generatore di tutte le
cose. Il Microcosmo, invece, co-
stituisce una replica in piccolo
del macrocosmo, nella quale la
divinità si riflette nella sua crea-
zione, l’Uomo. Macrocosmo e
Microcosmo sono dunque costi-
tuiti da una sola materia forma-
ta da due principi contrappo-
sti: la Luce Infinita e le Tene-
bre Oscure. I principi opposti
Luce e Tenebre avevano, nella
tradizione ermetico-alchemica,
il significato dello Zolfo e del
Mercurio, del Giorno e della
Notte, del Sole e della Luna,
del Maschile e del Femminile.
La Tavola Smeraldina, attribuita a Ermete Trismegisto
recitava: “Così sopra, così sotto. Risalire dalla terra al
cielo e dal cielo ridiscendere in terra”. L’antica
corrispondenza di macrocosmo e microcosmo, per cui
infinitamente grande e infinitamente piccolo vengono a
coincidere, è comune alla tradizione orientale e a quella
filosofica presocratica, e percorre ininterrotta la storia del
pensiero umano. Bruno vi fa riferimento nel “De
Monade”: “Uno è il centro del Microcosmo, unico è il
cuore da cui gli spiriti vitali si diffondono per tutto
quanto l’animale, in cui è infisso e radicato l’albero
universale della vita e ad esso gli stessi spiriti vitali
rifluiscono per conservarsi”.
45
ERMETISMO E MAGIA
Macrocosmo e microcosmo
La parola chiave dell’esoterismo bruniano è “magia naturale”.
E’ questa l’unica magia in cui Bruno credeva: ricercare i “princì-
pi dettati a gran voce dalla natura”, come afferma nella dedica a En-
rico III del Camoeracensis Acrotismus. Nel De magia egli distin-
gue i vari tipi di magia e prende nettamente le distanze da oc-
cultismo e necromanzia. Egli sceglie chiaramente il terzo tipo
che definisce magia naturale, che consiste nel mettersi in sinto-
nia con i meccanismi che animano questa realtà e che regola-
no, in identico modo, il funzionamento di tutte le cose, dalle mi-
nuzzarie all'uomo, ai pensieri e al ciclo storico degli accadimen-
ti. Sulla loro conoscenza si fonda anche l’arte del vincolare, in
quanto, perché un vincolo possa stabilirsi, il vincolato deve ave-
re gli stessi requisiti del vincolante. Come si può vedere, si trat-
ta di conoscenze e operazioni che non configurano certo l’evi-
denza di un esoterismo di tipo occultistico.
L’aver ridato dignità divina alla materia, pur nella distinzione
di ombra e luce, esclude una interpretazione di stampo ateisti-
co, che dalla inconoscibilità e indefinibilità del divino faccia de-
rivare la sua inesistenza. Siamo ombra dunque, ma all’interno
di quest’ombra siamo vivi e attivi, in quanto materia e spirito,
pur se umbratili, sono ambedue estrinsecazioni della divinità.
Questa distinzione gli consente di discriminare nettamente le
pertinenze del fidele teologo e del vero filosofo, e di controbattere la
tendenza cristiana ad annullare l’esperienza umana in un dolo-
roso cammino di sopportazione, in attesa di un aldilà che per
loro stessa definizione è inconoscibile. Il sistema filosofico bru-
niano costituisce il più poderoso tentativo possibile per un intel-
letto allevato nel grembo della Chiesa cattolica, ed ancora im-
merso in essa, di affermare il primato della ragione, relegando
la divinità in un oltre-mondo inattingibile e, pertanto, ininfluen-
te su una realtà che ne è soltanto l’ombra. Nella sua peregrinatio
per chiese e atenei, sia fisicamente, sia attraverso gli excursus im-
maginari nei territori dell’ermetismo e dell’Oriente, e le consul-
tazioni con i filosofi dell’antichità, Bruno ricercò le strutture tra-
scendentali del pensiero e della religione. E in tutti rinvenne il
comune afflato monista, l’ordinamento vicissitudinale di una
realtà basata sulla coincidenza dei contrari, tra i quali predomi-
na la coppia minimo-massimo, minuzzaria-infinito, ingredienti
inseparabili di quella “alchimia naturale” che pervade magica-
mente il senso delle cose a Oriente come a Occidente, come in
Krishna così in Cristo, in Buddha come in Pitagora, a Roma
come in Egitto. Giordano Bruno è nato con un talento, una vir-
46
ERMETISMO E MAGIA
La Magia naturale
tù particolare, un fiuto speciale per la ricerca e il riconoscimen-
to di questi ingredienti fondamentali della composizione del
reale. La sua vita e la sua opera sono un continuo ricercarne i
geni nel DNA delle diverse filosofie e teologie, con le quali, di-
rettamente o indirettamente, venga a contatto. In ciò è davvero
un homo novus, aperto, tollerante, curioso, avido di conoscere e
confrontarsi senza pregiudizi né limitazioni di nessun tipo,
pronto a riconoscere i propri errori e ad evidenziare quelli de-
gli altri, a riformulare le proprie teorie e di nuovo a diffonderle
per verificarle, metterle alla prova, generosamente, senza inibi-
zioni o censure di alcun genere.
✦ La dottrina ermetica ebbe una profonda influenza sul tuo
pensiero.
✦ Vi trovai corrispondenze con la mia istintiva visione del
mondo e del divino . Mi diede la coscienza della possibilità
dell’uomo, incapace nella sua vita di contemplare se non
l’ombra della divinità, di poter arrivare ad “indiarsi” . “Ren-
di grande te stesso fino a divenire senza misura, liberandoti da ogni
corpo, recitava il Corpus Hermeticum; elevati al di sopra di ogni tem-
po, divieni l’eternità: allora comprenderai Dio”.
✦ Queste parole sembravano anticipare la tendenza rinasci-
mentale dello spirito ad elevarsi, in uno sforzo “verticale”
di porsi in contatto con Dio. Dalla consapevolezza della di-
gnità dell’uomo, che pensatori come Pico della Mirandola
e Marsilio Ficino avevano affermato, nasceva uno straordi-
nario anelito ad arrivare alla divinità, incanalandone lo spi-
rito attraverso gli astri, le statue, i talismani. L’uomo aveva
preso coscienza delle proprie possibilità e vede aprirsi da-
vanti a sé campi sterminati di speculazione e di indagine,
ma non riusciva ancora a sottrarsi alla visione di un univer-
so finito di cui la terra era il centro e al bisogno rassicuran-
te di avere degli intermediari con il mondo ultraterreno.
✦ L’unico tramite di cui io avvertivo la necessità era quello
dei mezzi per comunicare queste idee nuove e lo cercai con-
tinuamente in quello che poteva offrirmi l’epoca in cui vive-
vo. La mia ammirazione per la tradizione egizia nasceva
proprio dalla ricerca di una lingua originaria “divina”, che
attraverso i geroglifici, fosse comprensibile a tutti.
✦ Del resto la magia faceva allora parte del patrimonio di co-
noscenze del filosofo. Le dottrine magiche, ermetiche, a
47
Ermete Trismegisto
quei tempi, erano diffusissime negli ambienti culturali, ed
erano apprezzate da re e imperatori. Perfino i papi ne era-
no stati attratti, se Papa Borgia si intratteneva con Campa-
nella in sedute magiche e faceva affrescare sale vaticane
con immagini planetarie ermetiche, che si ritenevano in
grado di influenzare l’umore e la salute. Nell’atmosfera del-
l’epoca, in un ambiente culturale permeato di ermetismo e
di magia, è comprensibile che ti sentissi profeta o mago co-
me Cristo e Mosè !
✦ Magia per me è sempre stata quella naturale. Le stregone-
rie, le pietre filosofali le lascio a Cencio e Bonifacio, i perso-
naggi del mio Candelaio. La vera magia è quella che scatu-
risce da noi stessi, dalla natura che è in noi e che può essere
catturata, perfezionata con tecniche per vincolare, “dirige-
re” il flusso divino attraverso le proprie facoltà.
48
Capitolo 8
IL SAPIENTE E IL FURIOSO
L’ esaltazione del
valore della natu-
ra e della mate-
ria nelle sue va-
rie forme mette
in collegamento,
Bruno ad una
tradizione sapien-
ziale che propo-
ne suggestioni ti-
picamente orien-
tali. Esse agirono
sul Nolano attra-
verso i filosofi
pre-socratici, in
particolare Par-
menide, Pitagora ed Eraclito. Gli stessi influssi gli arrivarono
per il tramite di altri due personaggi a lui ben noti, Apollonio
di Tiana e Ermete Trismegisto, attraverso i quali Bruno poté
attingere alla sapienza egizia e a quella ermetica. La teoria del-
la coincidenza degli opposti, che stava alle radici stesse della
concezione orientale del mondo, era già presente nella tradizio-
ne presocratica. Furono gli insegnamenti di Niccolò Cusano a
farne uno dei fondamenti della Nolana filosofia, insieme al con-
cetto della separazione tra un Dio immanente e un Dio inattin-
gibile (il “Dio nascosto”), che costituisce il presupposto di quel-
la “dotta ignoranza” che in Bruno assume i contorni più tor-
mentati dell’umbra divinitatis. Come nel caso di Copernico,
Bruno abbatté le cautele di cui il cardinale tedesco era riuscito
ad ammantare le sue teorie, affermando apertamente l’imma-
nentismo divino.
Come i bramini e i buddisti Zen, Bruno cerca di accordare il
singolo con l’assoluto. La divinità non va quindi cercata “fuor
del infinito mondo e le infinite cose, ma dentro questo et in quelle”. La filo-
sofia nella sua massima espressione, si concretizza proprio in
questa ricerca dell’Uno, in questa contemplazione della divini-
tà nella Natura ( Natura est Deus in rebus), in questo sforzo di co-
gliere l’invisibile nel visibile, l’unità nella molteplicità. Le tradi-
zioni orientali si riferiscono costantemente ad una realtà ulti-
ma, indivisibile, che si manifesta in tutte le cose e della quale
tutte le cose sono parte. Essa è chiamata Brahman nell’Indui-
smo, Dharmakaya nel Buddismo, Tao nel Taoismo: “Ciò che
50
IL SAPIENTE E IL FURIOSO
Tra Oriente e Occidente
l’animo percepisce come essenza assoluta è l’unicità della totalità di tutte le
cose, il grande tutto che tutto comprende”. Raggiungere la consapevo-
lezza che tutti gli opposti sono polari, e quindi costituiscono
un’unità è considerato nelle tradizioni spirituali dell’Oriente
una delle più alte mete dell’uomo. Questa non è mai un’identi-
tà statica, ma sempre un’interazione dinamica tra due estremi
come nel simbolismo cinese dei poli archetipici yin e yang. Alle
dottrine pitagoriche risale la teoria che i contrari non solo non
vanno concepiti come irriducibili e assolutamente separati, ma
vanno intesi invece come trasformantisi l’uno nell’altro e tali
da realizzare una perfetta armonia. Le lunghe ricorrenti sfilze
di contrari che incontriamo negli scritti di Bruno, testimoniano
la sua concezione della realtà come coincidentia oppositorum, la ne-
cessità di andare oltre il samsara magmatico dell’apparenza per
recuperare nell’unità degli opposti, la sostanziale unità del tut-
to: “Profonda magia è saper trarre il contrario dopo aver trovato il punto
de l’unione”. Solo nel cosmo infinito le gerarchie si sgretolano; il
massimo e il minimo, come tutti i contrari, convergono in un
solo essere, la molteplicità si contrae nella divina unità: “possete
quindi montar al concetto, non dico del summo et ottimo principio, escluso
dalla nostra considerazione, ma de l’anima del mondo, come è atto di tutto
e potenza di tutto, et è tutta in tutto: onde al fine (dato che sieno innumera-
bili individui) ogni cosa è uno; et il conoscere questa unità è il scopo e ter-
mine di tutte le filosofie e contemplazioni naturali: lasciando ne’ sua termi-
ni la più alta contemplazione, che ascende sopra la natura, la quale a chi
non crede, è impossibile e nulla”. (De la Causa).
51
Se tutto ha un andamento ciclico, che si regge sull’ antinomia
dei contrari, lo stesso vale anche per le “anime”, per cui attraver-
so la metempsicosi quello che facciamo in questa vita si riverbe-
ra nella successiva. La concezione dell’anima presiedente a diver-
se forme e composti, sicut nauta in navi, come nocchiero in una na-
ve, è per Bruno il fondamento della mutazione. Lo spirito si con-
giunge all’uno o all’altro corpo per virtù di fato o provvidenza,
ordine o fortuna, e viene ad esplicare ingegno e capacità adegua-
te alla complessione e agli attributi di quel corpo. Come dunque
gli artigli conferiscono all’anima che ha assunto la forma del ra-
gno la sua specificità, così è la mano, il mirabile strumento nel
quale Bruno individua la specificità dell’essere uomo, che gli con-
ferisce quella potenza e quella superiorità su tutti gli altri esseri.
Bruno aggancia questo concetto alla fisiognomica del suo conter-
raneo Giovan Battista Della Porta, che rappresenta una sorta di
vincolo tra le sembianze e i caratteri. Nei tratti del volto e nella
complessione dei corpi si avverte già il karma dell’individuo che
condizionerà la prossima mutazione. “Come nell’umana specie veggia-
mo de molti in viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni, altri cavallini,
altri porcini, asinini, aquilini, bovini; cossì è da credere che in essi sia un
Solo gli uomini veri, quelli dotati di anime davvero
umane, possono arrivare a contemplare la verità! O
benefica Circe, aiutami a smascherare lo stupido volgo,
che sotto sembianze umane, nasconde anime bestiali! Per
quale motivo, se pochissimi animi di uomini sono stati
plasmati, tanti corpi sono stati modellati in forma di
uomini? La vera filosofia non fa distinzioni d’abito,
condizione o stato sociale ma, se studio, contemplazione e
pratica di virtù non li eleva, vedete? Hanno nei tratti del
viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni, già scritta
la loro passata o futura mutazione: alcuni asinini….,
altri porcini….., aquilini….., bovini”.
52
IL SAPIENTE E IL FURIOSO
Fisiognomica e metempsicosi
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Il profeta-delluniverso-infinito

  • 1. GIORDANO BRUNO Guido del Giudice WWW.GIORDANOBRUNO.COM IL PROFETA DELL’UNIVERSO INFINITO
  • 3. Il Profeta Giordano Bruno era un pensatore geniale in anticipo sui tempi, al punto da ritenersi uno di quei “Mercuri” inviati sulla terra in periodi stabiliti, ispirati da una visione profetica dell’umanità e dell’universo. Come tutti gli esseri di tal fatta egli è stato e sarà sempre odiato da quegli uomini meschini, invidiosi di tutto ciò che non arrivano a capire, chiusi come sono nel loro ottuso “parti- culare” che temono di veder svanire al cospetto dell’immenso. Era un uomo che conosceva il proprio valore e rispettava quello degli altri, quello vero però, non quello stabilito dalle consuetudini e dalle convenienze. Era un uomo che diceva pane al pane e vino al vino. Era un uomo che amava la vita in tutti i suoi aspetti e che in tutte le sue manifestazioni riconosceva l’espressione della divinità. Ed era, questo è certo, il nemico implacabile e convinto di tutti “quegli uomini stolti e ignobilissimi che non riconoscono nobiltà se non dove splende l'oro, tintinna l'argento, e il favore di persone loro simili tri- pudia e applaude” ( Oratio Valedictoria). Furono questi gli ideali che perseguì per tutta la vita, fino all’estrema conseguenza del rogo di Campo de’ Fiori. Quel triste epilogo sarà stato pure inevitabi- le, per come andavano le cose a quel tempo, ma rimane ugual- mente un monito affinché una simile infamia non si ripeta mai più. L’intuizione sovvertitrice dell’infinità dell’universo nasceva in lui dalla conoscenza delle antiche dottrine ermetica, egizia, greca, che contenevano già in embrione i principi generatori del- la concezione infinitista. Ma egli infonde in tutto ciò il suo ine- guagliabile ardore intellettuale e, allorquando "la luce di Coperni- co" viene a dare sostegno alle sue idee, ecco spalancarsi davanti ai piedi del piccolo frate domenicano l’immensità di Dio, del- l’Universo, di Dio nell’Universo di cui noi siamo l’ombra, il nega- tivo che solo attraverso un processo di "inversione intellettuale" può arrivare a contemplare l’immagine positiva del Tutto. E’ il gioco dimensionale nel tempo e nello spazio sempre presen- te in Bruno, è la vicissitudine universale: "..si la mutazione è vera, io che son ne la notte aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano la notte: tutto quel ch'è, o è cqua o llà, o vicino o lungi, o adesso o poi, o presto o tardi." (Candelaio). Si pone spesso l’accento sul fatto che le sue idee riposavano soltanto su intuizioni, magari geniali ma non ac- cettabili dall’emergente spirito scientifico per la mancanza di qua- lunque “matematizzazione”. Ma è proprio qui la grandezza di Bruno, ciò che fa di Lui un vero e proprio profeta, il fascino della sua complessa personalità, del culto della magia naturale, della mnemotecnica, tutte attività evocatrici e precorritrici di moderni sviluppi. E quando, nel settembre del 1599, messo alle strette dal- le intimazioni del Santo Uffizio, che bene aveva intuito le deva- stanti implicazioni della sua filosofia, prese la decisione di non abiurare i capisaldi della sua filosofia, il suo spirito non era quel- lo di un martire, ma di un pensatore illuminato e coerente fino allo stremo. La sua esperienza terrena ci dà una direzione, un metodo, un insegnamento che al di là delle contraddizioni, delle distorsioni o delle oscurità della sua opera, sono una inestimabile eredità che il Nolano ha lasciato a tutti gli uomini di libero pen- siero. Il lettore contemporaneo trova in lui lo stimolo a illumina- re senza posa questa realtà che, pur essendo umbra profunda, può essere conosciuta da ognuno, con l’applicazione e lo studio, e su- perata attraverso uno sforzo “eroico” capace di rivelarci il divino che è in noi. Purificato dalle scorie di dispute teologiche che po- co gli interessavano, egli aspetta ancor oggi di essere letto, giudi- cato e capito per la sua filosofia, la sua visione della natura e del cosmo, al di là di ogni strumentalizzazione. E’ in quest’ottica che cercherò di raccontarvi l’esperienza terrena di questo gigante del pensiero. 2
  • 4. 1582 CANDELAIO DE UMBRIS IDEARUM CANTUS CIRCAEUS DE COMPENDIOSA ARCHITECTURA ET COMPLEMENTO ARTIS LULLI 1583 ARS REMINISCENDI,TRIGINTA SIGILLI ET TRIGINTA SIGILLORUM EPLICA- TIO 1584 LA CENA DE LE CENERI DE LA CAUSA PRINCIPIO ET UNO DE L'INFINITO UNIVERSO E MONDI SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE 1585 DE GL'HEROICI FURORI CABALA DEL CAVALLO PEGASEO CON L'AGGIUNTA DELL'ASINO CILLENICO 1586 FIGURATIO ARISTOTELICI PHYSICI AUDITUS MORDENTIUS, DE MORDENTII CIRCINO IDIOTA TRIUMPHANS, DE SOMNII INTERPRETATIONE CENTUM ET VIGINTI ARTICULI DE NATURA ET MUNDO ADVERSUS PERIPA- TETICOS 1587 DE LAMPADE COMBINATORIA LULLIANA ANIMADVERSIONES CIRCA LAMPADEM LULLIANAM DE PROGRESSU ET LAMPADE VENATORIA LOGICORUM ARTIFICIUM PERORANDI LAMPAS TRIGINTA STATUARUM 1588 ORATIO VALEDICTORIA CAMORACENSIS ACROTISMUS SEU RATIONES ARTICULORUM PHYSICO- RUM ADVERSOS PERIPATETICOS ARTICULI CENTUM ET SEXAGINTA ADVERSUS HUIUS TEMPESTATIS MATHE- MATICOS ATQUE PHILOSOPHOS DE SPECIERUM SCRUTINIO LIBRI PHYSICORUM ARISTOTELIS EXPLANATI 1589 DE MAGIA THESES DE MAGIA DE MAGIA MATHEMATICA MEDICINA LULLIANA DE RERUM PRINCIPIIS ET ELEMENTIS ET CAUSIS DE IMAGINUM.SIGNORUM ET IDEARUM COMPOSITIONE ORATIO CONSOLATORIA 1591 DE INNUMERABILIBUS, IMMENSO ET INFIGURABILI DE MONADE, NUMERO ET FIGURA DE TRIPLICI MINIMO ET MENSURA DE VINCULIS IN GENERE PRAELECTIONES GEOMETRICAE. ARS DEFORMATIONUM 1595 SUMMA TERMINORUM METAPHYSICORUM 3 OPERE DI GIORDANO BRUNO
  • 5. Capitolo 1 “NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO”
  • 6. ✦ Nola, con la sua tradizione di indomabili guerrieri, dalla cui stirpe discendeva tuo padre, è patria degna di un Mercurio. ✦ E’ una terra dagli umori forti e in questo mi sento, anche nei miei difetti, suo figlio genuino, orgoglioso di essere nato sotto quel benigno cielo. Non potrei mai dimenticare i dolci pendii del Monte Cicala, ove giovinetto mi avventuravo tra l’edera e i rami d’olivo, del cornio, dell’alloro, del mirto e del rosmarino. Sentivo la natura animare e informare tutto con un potente di- namismo che da dentro il seme o radice manda ed esplica i germogli; da dentro i germogli caccia i rami, da dentro i rami le formate branche, da dentro queste spiega le gemme; da dentro forma, figura, intesse, come di nervi le fronde, i fiori, i frutti. Avvertivo la presenza di Dio, natura infinita, in tutte le cose per cui non c’è bisogno di cercarlo al- trove ché l’abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesmi sia- mo dentro a noi. Così tutto si anima, tutto si risponde, dalle cose grandi alle vilissime minuzzarie, dall’albero al fiore al filo d’er- ba tutto, quantunque minimo, è sotto infinitamente grande providenza, perché le cose grandi sono composte de le picciole e le picciole de le piccio- lissime. E’ il complicato che si esplica, Dio che si fa natura, la luce che si fa ombra e viceversa. Giordano Bruno nacque, nei primi mesi del 1548 a Nola, nella contrada di S. Giovanni del Ciesco, alle pendici del monte Cicala, da una famiglia non certo agiata. La madre, Fraulisa Savolino, apparteneva ad una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Il padre Giovanni era un soldato di professione, fedele al re di Spagna, in onore del quale impose al figlio il nome di battesimo del principe ereditario, Filippo. Del luogo natio, la gloriosa Nola, che aveva respinto Annibale e accolto l’ultimo respiro di Augusto, aveva ereditato la fierezza e lo spirito combattivo e, anche quando l’abbandonerà a 14 anni per andare a studiare a Napoli, Filippo Bruno rimarrà per sempre il “Nolano”. 5 “NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO” il Nolano Nola nel XVI sec.
  • 7. ✦ Nel suggestivo scenario di Cicala le esperienze e le letture giovanili stimolavano la tua fantasia, alimentando una voca- zione innata all’intuizione cosmica, alla proiezione delle fa- coltà immaginative e conoscitive al di là delle forme e delle apparenze. ✦ Quante volte seduto sotto gli spalti del castello, all’ombra di un castagno ho ammirato di lassù quell’indimenticabile tramonto tingere di rosso il cielo, facendo risaltare sullo sfondo dell’ampia pianura, la sagoma nera del Vesuvio. I raggi del sole, infilandosi nelle feritoie, tra le rovine, proiet- tavano sulle mura fantastiche immagini animate. Contem- plando quello spettacolo sentivo che non ero solo in quel- l’istante, avvertivo le innumerevoli presenze che popolano l’immensità dell’universo e le magiche corrispondenze degli elementi, perché anche noi siamo cielo per coloro che sono cielo per noi. In questo come negli altri infiniti mondi, lo spirito fluttua da una ad altra materia, regolato dalle stesse leggi, pervaso dal- lo stesso principio vitale. 6 Il volto di Giordano Bruno
  • 8. ✦ Bisogna dire in verità che il tuo carattere fastidito, restio e bizzar- ro non ti attirava troppe simpatie. Nell’infanzia Nolana e an- cor più a Napoli, in un periodo in cui la comunità monacale di S. Domenico Maggiore si trovava all’apice di una degenera- zione estrema dei costumi, trovava sfogo nel gusto della be- stemmia, dello scherzo volgare, in quella procax fescennina iocatio che confluirà tutta nel Candelaio e che emerge dalle invettive contenute qua e là nelle tue opere o riferite dai testimoni del processo e dai compagni di cella. ✦ Quando arrivai qui divorato dalla mia sete di sapere, rimasi affascinato da questa grande religione che riusciva ad imporre la sua forza spirituale e la sua organizzazione. ✦ Eppure erano tempi burrascosi per l’Ordine domenicano: lot- te interne, indisciplina, vizi, delitti, punizioni caratterizzavano la vita monacale. L’abito era per molti solo un pretesto per as- sicurarsi asilo e protezione di abitudini dissolute o licenziose. A Napoli frequentò gli studi superiori e seguì le lezioni private e pubbliche di dialettica, logica e mnemotecnica di Teofilo da Vairano, Giovan Vincenzo Colle detto il Sar- nese e Mattia Aquario. Nel giugno del 1565, ad un’età abbastanza tarda per questo tipo di scelta, decise di intra- prendere la carriera ecclesiastica ed entrò, col nome di Giordano, nell’ordine dei predicatori nel convento di S. Domenico Maggiore. In seminario la sua cella era adia- cente a quella che era stata di S. Tommaso d’Aquino. Fra Giordano si segnalò subito per l’acuto ingegno e la particolare abilità nell’arte della memoria, ma anche per l’insofferenza alle rigorose regole dell’ordine religioso e l’insaziabile curiosità intellettuale. Dopo circa un anno era già accusato di disprezzare il culto di Maria e dei Santi, incorrendo nelle prime censure disciplinari. 7 “NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO” Gli anni della formazione S. Domenico Maggiore
  • 9. ✦ Le nature bestiali si riconoscono, anche se portano una ve- ste da religioso. Ma è rimasta da allora in me l’impressione di questa Chiesa forte e ben organizzata che, soprattutto do- po aver conosciuto le altre nel corso della mia peregrinatio, rimarrà in fondo, la migliore, l’unica in possesso di un cari- sma e di un apparato in grado di comporre sotto un’unica guida le differenze religiose. Nonostante il viver delli religiosi non fosse più conforme a quello degli apostoli, la Chiesa aveva an- cora potere e influenza tali da realizzare il progetto irenisti- co di una pace ideologica tra i popoli. Bastava abbandona- re quel dogmatismo intransigente, lasciare che dei proble- mi teologici e filosofici si occupasse una casta sacerdotale illuminata, mentre il clero ritornasse a predicare il messag- gio evangelico per tenere i popoli nella pace e nella concor- dia, in un’operosa tranquillità senza occuparsi di dispute dottrinali, che creano soltanto odi e divisioni. ✦ Questo intendevi quando al processo affermasti di parlare da filosofo, non da teologo? ✦ Non mi interessava discutere di una divinità che non pos- siamo veramente conoscere, se non come ombra, vestigio. La mia sete di conoscenza, la costruzione della mia filosofia sono passate, in quegli anni, attraverso lo studio di molti au- tori, eretici e non : ho letto Erasmo ma ho ammirato l’Aqui- nate, mi sono interessato all’eresia di Ario ed ho amato il divino Cusano. La religione non è mai stato il mio proble- ma principale e mi sono adattato a tutte le chiese ove ho cercato asilo. cattolico o protestante, calvinista o luterano, il concetto di Chiesa si giustificava per me soltanto in un ot- tica di pace, di concordia tra le genti: mi bastava poter con- tinuare a coltivare le mie idee filosofiche. Per questo resiste- vo fintantoché ci si accontentava della mia adesione forma- le alle varie religioni e misi lasciava coltivare e diffondere le mie idee filosofiche. ✦ Devi ammettere che la tua insofferenza alla regola mal si adattava alla vita monacale. La diplomazia non era certo il tuo forte. ✦ Una volta, in uno dei rari momenti di svago che a S. Do- menico erano concessi ai novizi, giocavamo col libro delle sorti. Si apriva a caso una pagina e vi si leggeva il proprio destino. A me toccò un verso dell’Ariosto: D’ogni legge nemico e d’ogni fede. 8
  • 10. ✦ Dei numerosi conventi che visitasti in quegli anni, fu l’unico che ricordasti al processo. ✦ E’ uno dei pochi luoghi dove sono stato sereno: lì ritrovai per l’ultima volta il caldo abbraccio della mia terra natia. ✦ Quando arrivasti, arrampicandoti a dorso di mulo per quegli impervi tornanti, che impressione ti fece quel piccolo monaste- ro di padri predicatori addossato al colle di Gerione, con in ci- ma le rovine della fortezza? ✦ Non credevo ai miei occhi: sembrava un incantesimo! Era im- pressionante la somiglianza di Gerione e Cicala: due gocce d’acqua, due fratelli gemelli. Mi sembrava di essere tornato a casa. Chi avrebbe mai detto che in quel posto sperduto, avrei avuto l’impressione di rivedere il paesaggio natio, che tanto mi era mancato, in quegli anni trascorsi a S. Domenico? ✦ La cella che ti era stata assegnata nel piccolo noviziato si affac- ciava su uno stretto sentiero, pietroso e impervio, che si inerpi- cava su per il colle, fino alla fortezza. ✦ Percorrendolo ricordavo spesso, con commozione, mia madre Fraulisa, quando con i lunghi capelli a treccia raccolti sulla nu- ca, camminava leggera al mio fianco, tenendomi per mano. Nonostante le prime censure per qualche incauta esternazione, grazie alle eccezionali doti d’ingegno, Bruno percorse rapidamente i vari gradi della carriera ecclesiastica: suddiacono nel 1570, diacono l’anno successivo. Nel 1572 fu ordinato sacerdote, celebrando la sua prima messa nella chiesa del convento di S. Bartolomeo in Campagna, cittadina a 40 miglia da Napoli. 9 “NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO” Fra’ Giordano
  • 11. La rivedevo salire tra gli alti castagni, calpestando i ricci, affondando le bianche caviglie in un letto crepitante di fo- glie morte. Ansimante per la fatica e l’emozione, arrivavo sulla vetta, in quello che doveva essere stato un cortile, cir- condato da muraglie e torrioni diroccati. Sembrava proprio di trovarsi in cima al Cicala, tra i ruderi del castello. Qui però, la pianura luminosa, era più lontana, oltre la stretta gola, come se Gerione fuggisse, portandomi in groppa, per addentrarsi nell’oscurità della valle, presagio di un allonta- namento, di un distacco, verso un esilio senza ritorno. ✦ Verso Nord, oltre i neri rilievi del monte Romanella e del Ripalta, ti attendeva l’ignoto. Fu l’ultima occasione che ave- sti di contemplare il mondo dall’alto, con distacco. In segui- to sballottato dagli eventi, da un luogo all’altro, non potrai più farlo, se non con la fantasia, fino al giorno in cui vedrai il tuo corpo bruciare lontano, mentre la tua anima ascende- rà con il fumo in paradiso. ✦ Vedevo sotto di me la chiesetta col piccolo campanile, do- ve avevo appena celebrato l’eucarestia e come sempre mi affascinava il gioco delle proporzioni, la sensazione della re- latività del tutto. Sentivo ancora in bocca il sapore del vino e del pane sacrificali, ma non era sazia la mia voglia di con- tatto col divino. Una profonda insoddisfazione mi assaliva al confronto delle corrispondenze universali che provavo lassù, al cospetto dell’immenso. ✦ Quel freddo inverno di solitudine e di riflessione, fu dun- que decisivo per le tue decisioni future ? ✦ Un giorno, mentre sedevo nella piccola guardiola di pie- tra, vicino alla porta del ponte levatoio, immerso nella lettu- ra dell’amato Tommaso, mi parve di sentirne la voce: “Re- sta tra noi, fratello Giordano, resta nella tua chiesa. Non da- re ascolto al demone della conoscenza, resisti alle tentazio- ni dell’eresia. Umilia il tuo orgoglio. Fai penitenza per que- sti tuoi peccati di presunzione e rinuncia all’insano proget- to di propagandare le tue folli teorie. Le tue grandi doti di ingegno ti promettono un glorioso futuro, la possibilità di raggiungere le più alte cariche ecclesiastiche. La Chiesa ti proteggerà e ricompenserà i tuoi meriti con una vita di agia- tezza e di gloria”. Quelle parole, ascoltate in ginocchio, col volto tra le mani, in segno di reverenza per il divino Aqui- nate, non fecero che rafforzare i miei propositi. Non era quel genere di onori che mi interessava. Sentivo dentro di me, potente, la certezza di essere nel giusto, di non poter rinunciare a seguire la strada della verità, anche se essa mi avrebbe portato alla rovina. Ancora una volta ero in preda all’ebbrezza dell’infinito. Mi levai in piedi, allargando le braccia sotto l’ampio mantello bianco e abbracciai con lo sguardo per l’ultima volta quello spettacolo. Addio Cicala! Addio Gerione! Addio a questa pace, alle tranquille giorna- te di studio e di contemplazione. La mia missione di Mercu- rio mi aspetta: sono pronto ad affrontare il mio destino di umiliazione e di morte. 10
  • 12. Nel 1575 divenne dottore in teologia ma, contemporanea- mente allo studio profondo e ammirato dell’opera di S. Tommaso, non rinunciava a leggere gli scritti di Erasmo da Rotterdam. Alcune incaute af- fermazioni in favore delle dot- trine eretiche di Ario determi- narono l’apertura di un proces- so locale a suo carico, nel cor- so del quale emersero anche accuse di dubbi circa il dogma trinitario. Recatosi a Roma, per difendersi dalle accuse di- nanzi a Sisto Lucca, procurato- re dell’ordine, venne avvisato che nella sua cella erano stati trovati i libri proibiti di Era- smo. Vedendo aggravarsi la sua posizione, fuggì da Roma, abbandonando l’abito ecclesia- stico. Ebbe inizio così un’incredibile peregrinatio: quasi diecimila chi- lometri, che lo porteranno a visitare le principali corti ed accademie europee. Nell’arco di due anni (1577-1578) sog- giornò a Noli, a Savona, a To- rino, a Venezia e a Padova, do- ve si mantenne impartendo le- zioni in varie discipline (geo- metria, astronomia, mnemo- tecnica, filosofia). Dopo brevi soste a Bergamo e a Brescia, alla fine del 1578 si diresse verso Lione, poi Cham- bery e di lì a Ginevra, la capi- tale del calvinismo. Qui venne accolto da Gian Galeazzo Ca- E’ l’alba. Una carrozza con le insegne papali è in attesa sul sagrato della Chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli. Un frate, piccolo ma elegante nella candida tonaca dell’ordine dome- nicano, esce dal cancello del convento e vi sale, abbandonandosi ancora assonnato sul sedile di velluto. Quel frate è Giordano Bruno da Nola. Papa Pio V, cui è giunta voce della straordina- ria abilità del giovane rappresentante della grande tradizione domenicana nella memoria artificiale, vuole vederlo all’opera. A Roma Bruno reciterà a memoria, in ebraico, il salmo “Funda- menta”, dalla prima parola all’ultima e all’inverso. Sarà la pri- ma di numerose esibizioni che nel corso della sua vita concederà a papi, imperatori, autorità accademiche ed ecclesiastiche, con l’irridente spavalderia del genio incompreso. Ma la Chiesa non tarderà a scoprire che la prodigiosa memoria di quell’uomo è so- lo la manifestazione esteriore di una straordinaria capacità di intuizione, di una inarrestabile brama di sapere e comunicare, e dovrà fare i conti con il suo pensiero corrosivo e ribelle. 11 “NATO SOTTO PIÙ BENIGNO CIELO” La fuga
  • 13. racciolo marchese di Vico, esule dall’Italia e fondatore della locale comunità evangelica. Dopo una esperienza di "correttore di prime stampe" presso una tipografia, Bruno aderì formalmente al calvinismo e fu immatricolato come docente nella locale università (maggio 1579). Già nell’agosto però, avendo pubblicato un libretto in cui evidenziava ben venti errori commessi, nel corso di una sola lezione, dal titolare della cattedra di filosofia Antoine De la Faye, fu da questi denunciato per diffamazione. Arrestato e processato, gli fu comminata la “deffence de la cène”, il divie- to di partecipare all’Eucarestia, che di fatto equivaleva a una scomunica. Per ottenere il perdono, Bruno dovette ammette- re la sua colpevolezza e lasciare Ginevra. La sua irrequietez- za e l’intolleranza ai dogmi gli faranno stabilire un ineguaglia- to record di scomuniche: alla cattolica e alla calvinista, si ag- giungeranno in seguito l’anglicana a Londra e la luterana ad Helmstedt. Tappa successiva: Tolosa, baluardo dell’ortodossia cattolica nella Francia meridionale, dove ottenne il dottorato e fu am- messo ad insegnare per circa due anni nella locale università, commentando il De anima di Aristotele. Pressoché insuperabi- le nelle dispute accademiche, si guadagnò prestissimo la sti- ma e l’ammirazione dei colleghi, che evidentemente non ri- cambiava. Quando l’illustre professore Francisco Sanchez gli dedicò, con parole cariche di ammirazione, il proprio Quod nihil scitur, il commento vergato da Bruno sul frontespizio del libro fu spietato: “Fa meraviglia che quest’asino possa chiamarsi dotto- re”! Nel 1581 la recrudescenza delle lotte religiose tra cattolici e ugonotti lo spinse a cambiare aria, ma influì probabilmente sulla decisione la convinzione di essere pronto per palcosceni- ci più prestigiosi. 12 Giovanni Calvino
  • 14. Capitolo 2 ALLA CORTE DEL RE DI FRANCIA
  • 15. ✦ “La tua abilità nell’arte della memoria è famosa in tutta Euro- pa. Ce ne dai un saggio, Giordano?”. ✦ “Mi prendi anche tu per un giullare, per un saltimbanco? E’ dai tempi del noviziato a S. Domenico Maggiore che Papi, re- gnanti e semplici studenti vogliono assistere alle mie esibizio- ni, chiedendomi di svelar loro i miei segreti. Essi vedono nella mnemotecnica soltanto uno strumento in grado di aumentare il loro potere, per riuscire a vincolare altri esseri umani. Non capiscono che i sigilli, le statue, sono solo immagini-specchio della realtà. Esse sono in grado di dirigere attraverso le nostre facoltà gli influssi astrali che agiscono sull’universo, stabilendo una connessione diretta tra quest’ombra profonda e la luce del- la divinità. Mnemosyne è la mia dea! E’ a lei che mi rivolgo, per rimuovere il velo dell’apparenza e arrivare a fondermi con l’anima del mondo! Memoria non è soltanto ricordare, ma ac- quisire conoscenze sempre nuove. Perché, se la mia mente è divina, allora, con l’aiuto della memoria, io posso arrivare a comprendere l’organizzazione dell’universo!”. Giunto a Parigi, iniziò per Bruno un periodo di fulgida fortuna. Venne ammesso a tenere un corso in trenta lezioni sugli attributi divini in Tommaso d'Aquino,in qualità di "lettore straordinario". A differenza di Tolosa, infatti, a Parigi quelli "ordinari" erano tenuti a frequentare la messa, cosa a lui interdetta in quanto scomunicato. L’eco delle eccezionali doti messe in mostra dal piccolo frate italiano arrivò ad Enrico III, sovrano dotato di profonda cultura nonché ottimo oratore, che volle subito incontrare quel mirabolante mago della memoria. Bruno gli dedicò allora un testo straordinario: il De umbris idearum. La riconoscenza e l’ammirazione del Re furono immediate, al punto da nominarlo lecteur royaux nella più prestigiosa università del tempo. Un pulpito da cui Bruno cominciò subito a diffondere le sue idee rivoluzionarie, incurante dell’ostracismo dei pedanti della Sorbona, scandalizzati da teorie che smantellavano, punto per punto, gli intoccabili dogmi aristotelici. 14 ALLA CORTE DEL RE DI FRANCIA Memoria non è solo ricordare...
  • 16. Alle immagini, evocatrici di concetti ideali universali egli affida il fondamentale ruolo di trait d’union con il mondo ideale di ispirazione neoplatonica. Sta- tue, lettere, ruote, segni zodia- cali si associano, rimandandosi l’un l’altro, svelando corrispon- denze e coincidenze, ombre e luci, similitudini e differenze, che regolano la ruota del tem- po e il ciclo della vicissitudine. La loro sequenzialità e comple- mentarietà costituisce l’essenza unificante dell’universo e della vita-materia infinita. Quelle immagini che ognuno di noi può formarsi autonoma- mente, una volta vivificate dal- le emozioni, ci connettono au- tomaticamente alla sfera delle idee di cui siamo ombra, um- bra profunda, ma a cui fatalmen- te, come una fiamma, tendia- mo e da cui dipendiamo in un ciclico alternarsi di ascenso e de- scenso, quel processo per cui gli spiriti pervengono alla contem- plazione del divino principio e le anime si incarnano, mutan- do e assumendo il controllo della materia e delle forme. Astri, numeri, figure, rinviano tutti alle forze elementari della natura, operanti in una mate- ria che ha la stessa dignità del- la forma. Bruno avverte tutto ciò e cerca di esprimerlo utiliz- zando con disinvoltura tutti gli strumenti che il suo tempo rie- sce ad offrirgli: la magia natu- rale, l’astrologia, la matemati- ca e, appunto, l’arte della me- moria. Bruno è un grande sensitivo: immerso nell’Universo, è con- vinto di poter abbattere la barriera tra umano e divino, pur rimanendo questa conoscenza soltanto “umbratile”. L’ Ars memoriae rappresenta per lui un mezzo per andare oltre l’umanità, alla ricerca del vero e dell’inesprimibile, per stabilire vincoli, per arrivare alle intuizioni universali partendo dalla natura delle cose; una tecnica per raggiun- gere, avvalendosi di corrispondenze naturali, astrologiche e verbali, una consapevolezza superiore. 15 MEMORIA NON E’ SOLO RICORDARE… Le immagini “agentes”
  • 17. Egli non si accontenta però degli artifici dei grandi mnemoni- sti del passato, ma elabora, sperimenta, trasforma. Perfeziona e modifica le ruote mnemoniche di Raimondo Lullo, ideandone di nuove, in cui alle parole sono associate immagini, come quel- le da lui elaborate nel De umbris idearum, che sfruttando la sfera emozionale (sesso, paura, etc.) e la simbologia delle divinità mi- tologiche, si imprimano nella memoria, aiutando a ricordare. Dalle allegorie dello Spaccio agli emblemi dei Furori, fino ai con- cetti-statue della impressionante Lampas triginta statuarum, l’asso- ciazione parola-immagine si trasforma da semplice tecnica di memoria in meccanismo di pensiero, che consente di elaborare e confrontare i concetti per giungere a nuove verità. L’idea è quella di creare una macchina mnemonica, una specie di com- puter creativo, che riesca a pensare da sé. Se da un lato l’ars memoriae costituisce per Bruno uno strumen- to proto scientifico, dall’altro essa si ricollega alle credenze sul- le influenze astrali, comunemente accettate nel Rinascimento. Gli astri sono “grandi animali”, in quanto dotati di “anima”, e pertanto sono in grado di vincolare altre “anime”. Ai pronosti- ci astrali credevano re e imperatori, Papi officiavano riti astrolo- gici nelle loro cappelle private, filosofi come Tommaso Campa- nella e astronomi come Tycho Brahe compilavano pronostici e predizioni. Come nei mandala indiani, Bruno tenta di cogliere nella natura e di riprodurre i mandala naturali che si esprimo- no nei fiori, nelle piante, nel moto degli astri e dei pianeti, nelle manifestazioni della natura, che attraverso l’introiezione dello schema permettano di cogliere intuitivamente le similitudini in esso contenute. Ogni casella della ruota mnemonica viene così associata a un’immagine e questa, a sua volta, ad un astro. E’ il caso delle tre figure fondamentali della sua geometria che egli ci presenta nel De Minimo, con i titoli di ATRIO DI APOLLO, MINERVA E VENERE, che rappresentano mitologicamente il suo credo filosofico: la Trinità ermetica di Mente, Intelletto e Amore. 16
  • 18. Rivelando una sorprendente affinità con le correnti del pensiero orientale, Bruno identifica, all’interno delle strutture naturali, par- ticolari figure e sigilli, che determinano le forme delle cose. Que- ste figurazioni esprimono lo stesso tentativo dei mandala indiani di cogliere le geometrie naturali e di riprodurle attraverso diagram- mi che, attivati dall’impulso intellettivo infuso in essi durante la lo- ro formulazione e realizzazione, stabiliscano un contatto con le strutture essenziali, soprasensibili della realtà. La parola “mandala” in sanscrito significa “cerchio” , ma anche “centro”. Ascoltiamo Bruno: “ Come il centro si esplica in un ampio cerchio, così uno spirito ordinatore, dopo essersi esplicato negli aggregati atomici, coordina il tutto, fino a che, trascorso il tempo ed infranto lo stame della vita, si ricomprime nel centro e nuovamente si espande nello spazio infinito: tale evento viene solitamente identificato con la mor- te; poiché ci spingiamo verso una luce sconosciuta, a pochi è concesso l’avvertire quanto questa nostra vita significhi in realtà morte e questa morte significhi assur- gere a nuova vita: non tutti riescono a prescindere dalla corporeità e precipitano, trascinati dal proprio peso, in un profondo baratro, privo della luce divina.” (De triplici minimo) “Noi, indagando i numeri della natura, abbiamo rivolto la nostra attenzione alle figure naturali, per mezzo delle quali l’ottima madre, configurando tutte le cose, distingue le rispet- tive virtù e proprietà; dipinge, scolpisce, intesse, nelle loro su- perfici i rispettivi nomi. La natura esprime attraverso i nume- ri delle membra e delle fibre di tutte le cose la loro stessa struttura. Essa mostra in queste stesse immagini la bellez- za, l’eccellenza, i privilegi, di cui è dotata oppure i loro con- trari. Essa stessa pone nelle forme delle cose le leggi, i modi nell’agire e nel patire evidenzia le vicissitudini. Nell’impri- mere tali sigilli, quell’ottima genitrice rende chiara l’autorità di un Dio che tutto governa...” (De monade). 17 MEMORIA NON E’ SOLO RICORDARE... I Mandala di Giordano Bruno
  • 19. Questo concetto di emanazione del tut- to da una sorgente divina e del ritorno della molteplicità nell’Uno, Bruno lo rappresenta con i suoi disegni costitui- ti da cerchi concen- trici e complicati quadrati, immagini che diventano “co- smogrammi” cioè proiezioni geometri- che della formula dell’universo. Contemplando questo cosmo- gramma, l’individuo si identifica con le forze arcane che opera- no nell’universo, in cui rapporti numerici e figure geometriche scandiscono la trama interna della realtà e si impadronisce del- le strutture che regolano la natura, fino ad arrivare a realizzare in se stesso la coincidenza di macrocosmo e microcosmo. Que- sto impulso verso l’unità, nelle filosofie orientali, è capace di condurre all’illuminazione colui che contempla l’immagine. Il mandala è dunque un mezzo, un canale per ritrovare l’unità a partire dal molteplice. Al tempo stesso, capire le proprietà delle cose, e il loro significato nell’ordine del mondo vuol dire anche imparare ad agire su di esse attraverso la magia naturale. 18
  • 21. Il soggiorno inglese, nell’accogliente e protettiva dimora dell’am- basciatore, gli consentì di comporre opere importanti. Pubblicò, in unico volume, Ars reminiscendi, Explicatio triginta sigillorum e Sigillus sigillorum e subito dopo portò a termine la maggior parte delle ope- re italiane: la Cena de le ceneri, il De la causa, principio et uno, il De infi- nito, universo et mondi e lo Spaccio della bestia trionfante. Nell’anno se- guente, sempre a Londra, diede alle stampe la Cabala del cavallo pe- gaseo e il Degl’heroici furori. Quest'ultima opera, al pari dello Spaccio, è dedicata a sir Philip Sidney, nipote del favorito della Regina Ro- bert Dudley conte di Leicester, con il quale strinse un rapporto di stima e di amicizia e che lo introdusse nelle grazie di Elisabetta Tudor. Bruno manifesta nella Cena, a chiare lettere, entusiasmo e stima per la sovrana: “Non hai qua materia di parlar di quel nume de la terra, di quella singolare e rarissima Dama, che da questo freddo cielo, vicino a l’artico parallelo, a tutto il terrestre globo rende sì chiaro lume: Elizabetta dico, che per titolo e dignità regia non è inferiore a qualsivoglia re, che sii nel mondo”. Pur se priva di precisi riscontri, estremamente suggestiva è l’ipotesi di un incontro del filosofo con William Shakespeare. Indu- bitabili influenze sono rintracciabili in alcune sue opere e, addirit- tura, in Pene d’amor perdute, nel personaggio di Berowne è ben rico- noscibile il filosofo Nolano. Dopo circa un anno e mezzo, agli inizi della primavera del 1583, Bruno lascia Parigi per raggiungere, “con lettere dell’istesso re”, la residenza londinese dell’ambasciatore Michel de Castelnau. Anche questo trasferimento, come quello di Tolosa, venne da lui spiegato agli inquisitori veneti con i tumulti che sconvolgevano la capitale. 20 IL SOGGIORNO INGLESE Dalla Sorbona ad Oxford Michel de Castelnau
  • 22. Nel mirino dell’insaziabile ambizione di Bruno finì natural- mente Oxford: troppo ghiotta l’occasione di affermare l’infini- tà dell’universo nella roccaforte della pedanteria accademica! Venuto a contatto con la famosa università oxoniana, sospinto dall’irruenza del suo carattere, durante una disputa mise in dif- ficoltà, senza troppi riguardi, uno stimato docente, John Un- derhill, che sarebbe poi diventato Vescovo di Oxford, destando naturalmente lo sdegno di una parte dei suoi colleghi che non mancarono di manifestare alla prima occasione la loro animosi- tà. Ottenuto, dopo alcuni mesi, l’incarico di tenere una serie di conferenze in latino sulla cosmologia, difese tra l'altro le teorie di Niccolò Copernico sul movimento della terra. Tanto ardire gli costò l’allontanamento anche da Oxford. La mnemotecni- ca, gli consentiva di citare tanto fedelmente i suoi maestri, che fu accusato di aver plagiato il De vita coelitus comparanda di Marsi- lio Ficino e costretto a interrompere le lezioni. Ma al di là dei risentimenti personali, confliggevano con la temperie culturale e religiosa inglese del tempo alcune idee di fondo di Bruno, quali appunto la sua cosmologia ed il suo antiaristotelismo. L’episodio del giorno delle ceneri del 1584 è significativo: Bru- no era stato invitato a cena nella residenza del nobile inglese Sir Fulke Greville ad esporre le sue idee sull’universo. Due dot- tori di Oxford presenti, anziché opporre argomento ad argo- mento, provocarono un acceso diverbio ed usarono espressioni che Bruno ritenne offensive tanto da indurlo a licenziarsi dal- l’ospite. Da questo fatto nacque il dialogo La cena de le ceneri che contiene acute e non sempre diplomatiche osservazioni sulla realtà inglese contemporanea, attenuate poi, anche per la rea- zione di alcuni che si sentivano ingiustamente coinvolti in tali giudizi, nel successivo De la causa, principio et uno. Nei due dialo- ghi italiani, Bruno contrasta la cosmologia geocentrica di stam- po aristotelico-tolemaico, ma supera anche le concezioni di Co- pernico, integrandole con la speculazione del "divino Cusano". Sulla scia della filosofia cusaniana, infatti, il Nolano immagina un cosmo animato, infinito, immutabile, all'interno del quale si agitano infiniti mondi simili al nostro. 21
  • 23. Se la terra ruotasse, diceva Aristotele, essa si sposterebbe duran- te il tempo di caduta, per cui il punto dove la pietra cade dovreb- be spostarsi nella direzione opposta al movimento della terra. Bruno fu il primo a confutare questo argomento nel terzo dialo- go della Cena de le Ceneri: “Se alcuno che è dentro la nave, gitta per dritto una pietra, quella per la medesima linea ritornarà a basso, muovasi quantosivoglia la nave, pur che non faccia degl’inchini.”. In altre parole, imbarcazione albero e pietra formano quello che in seguito sa- rebbe stato chiamato “sistema meccanico”. “Della qual diversità non possiamo apportar altra ragione, eccetto che le cose, che hanno fissione o simili appartenenze nella nave, si muoveno con quella”. (Bruno -Teofilo). “Con la terra dunque si muoveno tutte le cose che si trovano in terra”. L’ar- gomento dei sostenitori della fissità della Terra è quindi privo di fondamento. Mostrando come non si possa valutare il moto di un corpo in assoluto, ma solamente in maniera relativa, Bruno apre la strada al lavoro di Galileo, che gli farà eco nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo: “E di tutta questa corrispon- denza d’effetti ne è cagione l’esser il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa, ed all’aria ancora”. (Galileo - Salviati) Anche nel campo della fisica Bruno ha lasciato il segno: è il caso del celebre esperimento della nave per spiegare la relatività del movimento. L’osservazione che una pietra lasciata cadere dall’alto di un albero o di una torre cade verticalmente era considerata dalla fisica aristotelica una delle prove più evidenti dell’immobilità della terra. 22 IL SOGGIORNO INGLESE La Cena de le Ceneri Immagine dalla “Cena de le Ceneri”
  • 24. 14 Febbraio 1584, giorno delle ceneri. Un barcone scricchio- lante scivola sul Tamigi in una serata nuvolosa. A bordo, ol- tre a due vecchi e scorbutici barcaioli, ci sono Giordano Bru- no e i suoi due amici, messer Giovanni Florio e maestro Mat- teo Gwynn, venuti a prenderlo per accompagnarlo alla resi- denza di sir Fulke Greville. Questi ha invitato il filosofo a ce- na, per sentirlo disputare sulle sue teorie eliocentriche ed infi- nitiste. Bruno è a prora e volge lo sguardo verso un cielo livi- do, in cui si staglia una candida luna. BRUNO. “La luna mia, per mia continua pena, mai sempre è ferma ed è mai sempre piena. Mi è sempre piaciuto in sera- te come questa contemplarla e immaginare di essere lassù. Magari potrei trovarvi, finalmente, un po’ di pace: fuggire l’università che mi dispiace, il volgo ch’odio, la moltitudine che non mi contenta”. GWYNN. “Suvvia, sta di buon animo Giordano! Stasera ti aspetta una gran bella disputa! Anch’io muoio dalla voglia di sentirti difendere contro i pedanti di Oxonia la teoria eliocen- trica di messer Copernico, su cui hai innalzato la tua Nova filo- sofia”. BRUNO. “Io non vedo né per gli occhi di Tolomeo, né per quelli di Copernico! Sono grato a questi grandi ingegni, co- me a tanti altri sapienti che già in passato si erano accorti del moto della terra. Lo affermavano i pitagorici: Niceta Siracu- sano, Ecfanto, Filolao. Platone ne parla nel Timeo, lo lascia- va intendere cautamente il divino Niccolò Cusano. Ma è toc- cato a me, come Tiresia, cieco ma divinamente ispirato, pene- trare il significato delle loro osservazioni, leggervi ciò che essi stessi non hanno saputo cogliere”. GWYNN. “Pensavo che almeno su Copernico non avessi niente da obiettare!” BRUNO.“Grandissimo astronomo! Ha l’enorme merito di aver conferito dignità e credibilità alle tesi degli antichi ma, più studioso de la matematica che de la natura, neanch’egli è riuscito a liberarsi completamente dalle vane chimere dei vol- gari filosofi, fino ad abbattere le muraglie delle prime, ottave, none, decime e altre sfere per affermare l’infinità dell’univer- so. Quell’infinità che io, fin da ragazzo, avevo imparato a con- templare nella mia amata terra natia.” 23
  • 26. La credenza in una volta cele- ste materiale che delimitasse il mondo come un guscio di noce si perde nella notte dei tempi, ma bisogna attendere nel IV secolo a.c. Aristotele e il suo trattato De coelo, per una com- piuta esposizione di una teoria, in grado di spiegare nel modo più preciso possibile il moto ap- parente delle stelle rispetto ai corpi celesti. Lo Stagirita rite- neva impensabile l’ipotesi di un mondo infinito, come imma- ginavano gran parte degli anti- chi filosofi. La sua visione geo- centrica prevedeva che il no- stro piccolo globo terrestre fos- se immobile al centro dell’uni- verso e la periferia del mondo, come un’immensa sfera, giras- se senza fine in 24 ore intorno al proprio asse portandosi die- tro le stelle. Era questo il cielo delle stelle fisse, così chiamato perché l’occhio le percepisce a distanza fissa l’una dall’altra. La sua rotazione spiegava l’ap- parente moto notturno attorno al polo celeste delle stelle, che si troverebbero tutte ad eguale distanza dalla terra. Secondo Aristotele la sfera delle stelle fis- se non era composta dai quat- tro elementi (terra acqua aria fuoco) che si pensava allora co- stituissero il mondo, ma da una quinta essenza che lui chiama etere. Nella sua fisica, infatti, egli distingue una regione cen- trale o mondo sub-lunare (sotto l’orbita della luna) che è il mon- do dove le cose nascono, si evol- vono e muoiono, vale a dire il L’idea di universo infinito era già nota ai filosofi greci. Il pitagorico Archita di Taranto, verso il 430, si chiedeva: “Se io mi trovassi al limite estremo del cielo, sulla sfera delle stelle fisse, mi sarebbe possibile tendere al di fuori una mano o un bastone?”. L’ipotesi della rotazione della terra su se stessa in 24 ore era stata già avanzata da Eraclito nel VI secolo a.C. Nel quarto secolo a.C. Iceta di Siracusa predicava che “Tutto nell’universo è immobile, tranne la Terra”. Essa si muove in circolo intorno al proprio asse, mentre Venere e Mercurio girano intorno al Sole (come sosterrà molto più tardi, ai tempi di Bruno, il danese Tycho Brahe). Nel suo grande poema latino, De rerum natura, Lucrezio considerò l’universo illimitato e si spinse ad ipotizzare una pluralità di mondi obbedienti alla medesime leggi fisiche e abitati da altri esseri pensanti. 25 INFINITI MONDI Prigionieri delle Stelle fisse
  • 27. mondo terrestre. E una regione che la circonda, il mondo so- pra-lunare, dove si situano, con le loro sfere eteree, Luna Sole e pianeti: corpi immutabili, cioè giammai affetti da alcun cam- biamento. Astri non creati, eterni e perfetti, animati da un tipo di movimento considerato anch’esso perfetto: il moto circolare uniforme. Per spiegare questi moti di rotazione e la loro perfe- zione, Aristotele avanza l’ipotesi che essi siano dovuti all’inter- vento di intelligenze motrici, i cui spiriti sarebbero a loro volta messi in movimento da un Primo Motore a cui da il nome di Dio. La cosmologia e la fisica di Aristotele sconfinano così nel- la metafisica. Malgrado le critiche avanzate da differenti scuo- le filosofiche dell’antichità, la cosmologia di Aristotele alla fine si impose. Tutti gli astronomi greci posteriori, ed in particolare Tolomeo nel II sec. della nostra era, ripresero i concetti genera- li proposti da Aristotele. I dibattiti tra gli astronomi aristotelici puri e i partigiani di Tolomeo vertevano soltanto su punti mi- nori, quali il numero delle sfere (otto, nove o di più), la distanza che separava la terra dalle stelle fisse e più ancora il moto esat- to dei pianeti all’interno delle sfere. Durante i primi secoli del Medio Evo, l’Occidente dimenticò quasi totalmente Aristotele. La cosmologia dell’occidente cristiano si fondava essenzialmen- te sui versi biblici della creazione del mondo che faceva della volta celeste un firmamento, cioè una volta solida (da firmus, fer- mo) dove sono fissate le stelle. All’inizio del XIII secolo, quan- do cominciarono a circolare le prime traduzioni latine degli scritti perduti di Aristotele, la Chiesa, così come prima di lei i teologi musulmani, si accorse che il trattato De coelo, pur ricono- scendo un Dio Primo motore, ignorava l’idea della creazione del mondo e dell’immortalità dell’anima. Pertanto, nel 1210, le autorità religiose interdissero la lettura di Aristotele. Si deve a colui che Bruno riconosceva come uno dei suoi maestri, il do- menicano Tommaso d’Aquino, la soluzione di questa crisi. Il “Divino Aquinate”, come lo chiama il Nolano, realizzò, nel- la Summa Theologica, una vera e propria cristianizzazione dell’ar- chitettura dell’universo descritta nel De coelo. Il mondo è unico e ben limitato, serrato nella sfera delle stelle fisse. Egli aderisce all’idea avanzata dai filosofi greci di una quintessenza: i corpi celesti sono di natura diversa dai quattro elementi e sono incor- ruttibili per natura. Allo stesso tempo egli reinterpreta in senso cristiano la metafisica del Primo Motore, identificandolo bene o male nel Dio creatore della Rivelazione e assimila agli angeli le intelligenze che spingono i pianeti sulle loro orbite o sfere. Nel 1323, mezzo secolo dopo la sua morte, Tommaso d’Aqui- 26 S. Tommaso d’Aquino tra Aristotele e Platone
  • 28. no viene canonizzato e la sua filosofia, il tomismo, diviene la dottrina ufficiale della Chiesa. Il pensiero aristotelico, diventa la sola filosofia insegnata nelle università d’Europa, irrigidendo- si insieme alla filosofia scolastica medievale. Aristotele viene ri- tenuto come infallibile e nelle numerose branche del sapere l’aristotelismo s’impone pressoché senza avversari. Nessuno osa più contestare che delle sfere celesti concentriche ruotino instancabilmente intorno alla terra. La sfera delle stelle fisse, questo strano oggetto che nessun umano ha mai visto, acquista lo stato di un’entità celeste la cui realtà non può essere messa in dubbio! Il rivolgimento culturale del Rinascimento non pote- va ignorare questo aristotelismo integralista. Il recupero dei pi- tagorici,di Platone, degli stoici, l’intensificazione della ricerca della verità nei campi più disparati, dalla medicina alla fisica, alle matematiche, contagia tutti i campi del sapere, ma le uni- versità, sulle quali nel XVI secolo il controllo religioso era pres- soché totale, rappresentano una fortezza inattaccabile. Lungo tutto il XVI secolo (e anche oltre) lo schema cosmologico me- dievale rimane quello universalmente accettato e Tommaso d’Aquino uno degli autori più stampati dell’epoca. E’ la pubbli- cazione, nel 1543, del libro di Copernico De revolutionibus orbis celestis a segnare la data della rottura. La Terra, scacciata dal centro del mondo, gira infine su se stessa. Attorno al Sole, ormai immobilizzato al centro del sistema, girano gli “orbi cele- sti”, che portano i pianeti, tra cui il nostro, situato ora tra Vene- re e Marte. La Terra è un pianeta come gli altri: questo è in so- stanza il messaggio, che oggi sembra banale, ma fu una prodi- giosa novità per i contemporanei di Copernico. Tuttavia il mondo di Copernico non è esattamente l’universo che noi co- nosciamo oggi. Da una parte egli mantiene un centro, dove Dio, per illuminare il mondo, ha sistemato il Sole come su un trono reale, dall’altra parte conserva un limite esterno. Anche Copernico, infatti, per spiegare il movimento apparente delle stelle nel cielo notturno, ricorre alla sfera delle stelle fisse che però è costretto ad immobilizzare, come un gigantesco guscio dalle dimensioni immense (da immensus, impossibile da misura- re), che circonda la terra in rotazione. Inizialmente la teoria co- pernicana fu relegata al rango di semplice ipotesi, comoda for- se per i calcoli, ma per nulla corrispondente alla struttura reale del mondo. Essa non andava oltre un tentativo di ridefinire le posizioni e i moti dei pianeti all’interno del nostro sistema sola- re, nella visione unificata di un universo di dimensioni infinite. E’ sorprendente la scarsa eco che ebbe l’opera di Copernico, non solo alla sua apparizione ma nel corso dei decenni che se- guirono. Bisognò attendere ventitre anni perché il De revolutioni- bus avesse una seconda edizione. All’inizio dell’anno 1580, qua- si 40 anni dopo la pubblicazione dell’opera, nel momento in cui Giordano Bruno formula le sue rivoluzionarie teorie, il mondo scientifico in generale continuava così a professare con- cezioni immutate nell’essenza da circa venti secoli. Se non fu il primo a sostenere e diffondere la teoria coperni- cana, Giordano Bruno fu certamente il primo a trarne con coraggio e determinazione le conseguenze anche più estre- me, e pericolose per il tempo in cui viveva, affermando che il mondo non è per niente finito, cioè chiuso da una sfera che lo circonda da ogni parte, come gli stessi Copernico e Keple- ro continuavano a sostenere. Quando nel 1584 scrive la Cena de le Ceneri, il suo primo dialogo in lingua italiana, Bruno ha già maturato l’idea che ci troviamo sulla superficie di un glo- bo lanciato, come gli altri pianeti, in una incessante rotazione intorno al Sole. E’ giunto perciò il momento di abbandonare per sempre la indifendibile dottrina della centralità della Ter- ra. La cosmologia bruniana fa uso di fonti che risalgono a filo- 27
  • 29. sofi dell’antichità, come Aristarco di Samo (che già nel III se- colo a.C. aveva sostenuto la teoria eliocentrica, per cui la ter- ra ed i pianeti girano su orbite circolari intorno al sole immo- bile), Pitagora e Lucrezio, ed è intimamente connessa alla sua metafisica. Nel terzo costituto del processo veneto egli dichiara:“Io tengo un infinito universo, cioè effetto della infinita divina potentia, perché io stimavo cosa indegna della divina bontà e potentia che, possendo produr oltra questo mondo un altro ed altri infiniti, producesse un mondo finito. Si che io ho dichiarato infiniti mondi particolari simili a que- sto della Terra, la quale con Pittagora intendo uno astro, simile alla quale è la Luna, altri pianeti ed altre stelle, le quali sono infinite; e che tutti que- sti corpi sono mondi e senza numero, li quali costituiscono poi la universali- tà infinita in uno spazio infinito; e questo se chiama universo infinito, nel quale sono mondi innumerabili. Di sorte che è doppia sorte de infinitudine de grandezza dell’universo e de moltitudine de mondi, onde indirettamente s’intende essere ripugnata la verità secondo la fede”. La sfera delle stelle fisse suscita solamente il suo sarcasmo: “Co- me possiamo continuare a credere che le stelle sono incorporate in una cupo- la, come se fossero attaccate a questa tribuna e superficie celeste con qual- che buona colla o inchiodate da solidi chiodi?”. 28 I sistemi astronomici: a) Tolemaico b) Copernicano c) Tychonico
  • 30. Sia pur lodata per la sua auda- cia, la filosofia bruniana suscita altrettanto di frequente l’accu- sa di precarietà per l’approssi- mazione delle sue teorie mate- matiche, l’avversione alla trigo- nometria, i riferimenti al pitagorismo e ai presocratici, nonché all’atomismo di Epicu- ro e Lucrezio, infarciti per giun- ta di contaminazioni magiche ed ermetiche. Pur riconoscen- do che la sua monadologia scorre nel solco tracciato da Niccolò Cusano, che magia e astrologia erano universalmen- te coltivate da tutti i più grandi pensatori rinascimentali, da Pi- co a Ficino, da Della Porta a Campanella, nel tentativo di confutare o almeno ridimensio- nare la grandezza del Nolano, viene considerato “stregone- sco” il suo interesse per magia ed ermetismo. Non si tiene con- to che gli scritti ermetici ebbe- ro una parte importante nella ripresa dell’idea del moto della terra e furono studiati con estre- ma cura perfino dal grande Newton, per il quale ”I moti che i pianeti hanno ora non poterono sor- gere soltanto da una causa naturale ma furono impressi da un essere intel- ligente”, che egli identificava con la volontà di Dio. In un pe- riodo come il Rinascimento in cui la Terra e, di conseguenza, l’uomo erano il centro dell’uni- verso, pensare che esistessero altre galassie, abitate per giun- ta da altri esseri, non era nem- meno fantascienza, ma pura follia. Ciò che più affascina di Era la domenica che precede la festa di San Giovanni Battista, nell’estate del 1178. Cinque monaci della cattedrale di Canterbury a Londra, terminate le preghiere serali, prima di ritirarsi nelle loro celle, si fermarono in silenzio a guardare la luna. D’un tratto videro il bordo superiore dell’astro incrinarsi e dallo spacco scaturire un’immensa fiammata. I frati corsero allarmati a riferire l’avvenimento allo storico di Canterbury, fratello Gervasio, che lo riportò fedelmente nelle sue “Chronica”. Prodigi come quello erano ritenuti portatori di disgrazie, perché soltanto il diavolo poteva permettersi di sconvolgere l’immobile imperturbabilità degli astri. I recenti voli spaziali hanno confermato fisicamente il resoconto lasciato nel XII secolo dal monaco di Canterbury, rilevando che, effettivamente, la Luna ha una leggera oscillazione, come se fosse stata colpita meno di mille anni fa da un asteroide. Esattamente nella regione descritta da frà Gervasio, in quella sera di giugno, esso lasciò sulla superficie lunare un enorme cratere che gli astronomi hanno voluto intitolare al profeta dell’infinità dell’universo. 29 INFINITI MONDI Mago o scienziato? Il cratere Giordano Bruno
  • 31. Bruno è la coerenza nello sviluppare le proprie idee senza preoccuparsi delle conseguenze. Nulla di strano che venisse considerato un visionario o, peggio, un ciarlatano dai boriosi pedanti del suo tempo. Tycho Brahe, con feroce disprezzo, ri- cambiò la sua ammirazione chiamandolo Nullanus. George Ab- bot, futuro arcivescovo di Canterbury, deprecò il fatto che “quel- l’omiciattolo italiano ave- va tentato di far stare in piedi l’opinione di Coper- nico per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre in verità era piut- tosto la sua testa che gira- va, e il suo cervello che non stava fermo”. Nono- stante ciò, le idee del Nolano influivano di- rettamente o indiret- tamente sulla “nuova scienza”. William Gil- bert, contemporaneo di Bruno, esponendo le sue idee sul magnetismo, nel De mundo, fa largo uso delle teorie cosmologiche esposte dal filosofo nola- no nel De immenso. Galileo mostra una buona conoscenza dei testi bruniani, anche se si guarda bene dal farne menzione. Ke- plero, pur esprimendo il suo sconcerto per l’universo infinito preconizzato da Bruno, rimprovera così lo scienziato pisano: "Non avrai, Galileo mio, gelosia della lode che devesi a coloro che tanto tempo prima di te predissero ciò che ora hai contemplato co' tuoi propri oc- chi ? La gloria tua é che emendi la dottrina che un nostro conoscente, Ed- mondo Bruce, tolse a prestito da Bruno". Le strade di Bruno e Gali- leo camminarono ben distinte ma alfine si incrociarono, quan- do il Nolano si lasciò attirare a Padova dalla cattedra di mate- matica, lasciata vacante dal siciliano Giuseppe Moleti, e che sa- rà assegnata al Pisano. Questo avvenimento finì per spingerlo definitivamente verso la mortale trappola che lo attendeva a Venezia. E' notorio l'estremo attaccamento al successo monda- no da parte di Gali- leo. La paternità del compasso geometri- co, come quella dello stesso cannocchiale, gli furono contestate. Del resto, le leggi del- l’ottica che ne spiega- no tecnicamente il funzionamento sono dovute a Keplero, che le analizzò nella sua Diottrica del 1611, rico- noscendo a sua volta il debito nei confronti del De refractione di Giovan Battista Della Porta. Se è certamen- te avventato avvicinare Bruno allo sperimentalismo matematiz- zante di Galileo, non bisogna neanche cadere nell’intolleranza opposta di cancellarne il contributo alle idee scientifiche, sia pur presentato nei termini di una profezia ancora solo vaga- mente compresa e non ben definita. Bruno non era un astrono- mo, nell’accezione odierna del termine, la sua visione cosmolo- gica deriva in gran parte dalle sue conoscenze umanistiche. Ciononostante egli elaborò su un binario parallelo a quello dei suoi contemporanei “scienziati”, quella concezione del mondo sorta dalla rivoluzione scientifica: quella di un universo infini- to, senza centro né principi gerarchici. Per interpretarne la 30 Tycho Brahe Giovan Battista Della Porta
  • 32. grandezza è necessario un cambio di prospettiva fondamenta- le: dal punto di vista di Bruno, è la pratica scientifica che va considerata in funzione della sua teoria dell’universo infinito e non viceversa. Il procedimento bruniano è coerente con una visione essenzialmente intuitiva e profetica della realtà fenome- nica, che gli consente di preconizzare, senza nessuna dimostra- zione “scientifica”, teorie che saranno poi confermate successi- vamente dai progressi della scienza moderna. Questa imposta- zione è del resto da lui coscientemente dichiarata e perseguita fin dalle prime osservazioni sul natio monte Cicala, attraverso la mitologicizzazione del suo destino “mercuriale”. Non sarà un caso se egli esporrà la summa della propria filosofia, in for- ma di poema e non di trattato scientifico. La “Nolana filosofia” è un effetto non-scientifico della rivoluzione scientifica, ma non per questo di secondo piano, in quanto si propone di trasforma- re il rapporto dell’uomo con il mondo. Del resto, l’irrazionale ha avuto e continua ad avere la sua parte nello sviluppo delle idee scientifiche e la scienza moderna si è rivelata in molti casi molto più illusoria, di quella del Cinquecen- to e del Seicento. Se si contesta a Bruno di non conoscere quello che Galileo definisce, nel famoso brano del Saggiatore, il linguaggio matematico in cui è scritto il grande libro dell’universo, eppure egli è riuscito a capirne o intuirne tanti meccanismi, è evidente che di lingue che esprimono il funzionamento dell’universo ve n’è più di una. Alexandre Koyré, nel suo fondamentale Dal mon- do chiuso all’universo infinito, così si esprime sul filosofo: “Giordano Bruno, mi spiace dirlo, (...) come scienziato è mediocre, non capisce la ma- tematica (...) la concezione bruniana del mondo è vitalistica e magica (...) Bruno non è affatto uno spirito moderno. Tuttavia, la sua concezione è tan- to possente e profetica, tanto sensata e poetica, che non possiamo che ammi- rarla, insieme con il suo Autore. Ed essa ha influenzato così profondamente - almeno nei suoi tratti formali - la scienza e la filosofia moderne, che non possiamo non assegnare a Bruno un posto importantissimo nella storia del- lo spirito umano”. Di lui insomma, possiamo dire tutto ma non che non fosse un pensatore di straordinaria forza mentale. L’ammirazione non corrisposta per Tycho Brahe, come pure l’imbarazzante entusiasmo per il compasso differenziale di Fa- brizio Mordente, rivelano la sua preoccupazione di ottenere misurazioni esatte, e la conseguente necessità di sviluppare nuo- vi strumenti di osservazione. Il De triplici minimo et mensura si fo- calizza proprio su questo concetto della misurazione, in partico- lare in riferimento alle particelle minime, o atomi, che si trova- no alla base dei corpi sensibili e, sorprendentemente, Bruno sol- leva questioni molto vive oggi nell’ambito della matematica e della fisica quantisti- ca. La consapevolez- za dell’umbratilità del reale gli faceva sentire, ogni volta che cercava di adden- trarsi “sperimental- mente” nei problemi matematici e geome- trici, la relatività di questo metodo, evi- 31 Johannes Kepler Nikolaus Kopernik
  • 33. denziando la consapevolezza dei problemi legati, come osserva Hilary Gatti, a “teorie atomistiche e cosmologiche basate su en- tità di dimensioni minime e massime tali da escludere per defi- nizione le capacità percettive e intellettive della mente uma- na”. Questi suoi dubbi anticipano sorprendentemente i proble- mi che ancora oggi agitano la fisica quantistica, e mi riferisco in particolare al principio di indeterminazione di Heisenberg, il quale mise in rilievo, secondo Harold J. Morowitz, che “le leggi della natura non avevano più a che fare con le particelle elementari, bensì con la conoscenza che noi abbiamo di queste particelle, cioè con il contenuto della nostra mente”. Per Bruno la matematica e la geometria sono metodi di valutazione appli- cati ad una realtà fenomenica che è soltanto “ombra”, e non alla sua vera essenza. Non essendo pertanto possibile contem- plare ciò che sta dietro l’anima mundi, soltanto la mitologia, a li- vello intuitivo-profetico, può penetrare i motivi profondi che regolano il comportamento dell’universo. Bruno aveva compre- so, per ispirazione “mercuriale”, attraverso una comunicazione diretta con la natura, l’esistenza di principi fondamentali quali la coincidenza degli opposti, il ciclo della vicissitudine e il con- cetto di umbra divinitatis, che costituiscono i pilastri di tutta la sua speculazione filosofica, ivi compreso l’intero apparato mate- matico e astronomico ad essa collegato. L’essersi rifiutato di abiurare, a differenza del pisano, quelle teorie cosmologiche, che aveva difeso strenuamente ai più alti livelli della cultura eu- ropea, in un periodo in cui si esitava ancora a pronunciare il nome di Copernico, costituisce, nella storia della scienza, già un notevole merito. Bertolt Brecht fa così concludere il suo Ga- lileo: “Non credo che la pratica della scienza possa andar disgiunta dal coraggio. [....] Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti e si limitano ad accumulare il sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre. [....] Ho tradito la mia professione.”. 32 Abiura di Galileo Galilei Letta il 22 giugno 1633 “...sono stato giudicato veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e imobile e che la Terra non sia centro e si muova. Pertanto...volendo io levar dalla mente delle Eminenze V.re e d'ogni fedel con cuor sincero e fede non fìnta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie. Dichiarazione di Giordano Bruno agli inquisitori del 21 dicembre 1599 “Non devo né voglio pentirmi, non ho di che pentirmi né ho materia di cui pentirmi, e non so di che cosa mi debba pentire”.
  • 35. Una sera Corbinelli lo invitò alla presentazione di una recente scoperta del geometra salernitano Fabrizio Mordente: il compas- so proporzionale a otto punte. Su invito dell’inventore, che non conosceva il latino, Bruno ne realizzò la traduzione nella lingua dei dotti, accompagnandola con due dialoghi esplicativi. In essi, pur riconoscendogli la paternità dell’invenzione, anzi elevando al cielo le capacità come geometra di Fabrizio, ne metteva in mo- stra anche l’incapacità di capirne appieno le effettive potenziali- tà. Bruno esaltava, in particolare, le applicazioni dello strumen- to che avvalorano le sue tesi filosofiche sul limite fisico della divi- sibilità. Sentendosi sminuito al ruolo di semplice "meccanico", il Mordente si affrettò a comprare tutte le copie disponibili dei dialoghi e le distrusse. Bruno rinfocolò la polemica pubblicando un altro dialogo dal titolo e dal tono sarcastico Idiota trium- phans seu de Mordentio inter geometras deo, in cui ridicolizza Fabrizio, assimilandolo a quegli esseri, quasi sempre privi di qualsiasi valore intellettuale, scelti dalla divinità per manifestar- si. La conclusione della vicenda fu che il matematico si rivolse al suo protettore, il duca di Guisa, schiumando rabbia e chiedendo vendetta nei confronti del Nolano, schierato invece con i politi- qués fedeli ad Enrico III. Non dovette attendere molto il verificar- si di un avvenimento che determinò l’addio del Nolano a Parigi. Ai primi di novembre del 1585 Giordano Bruno fece ritorno a Parigi, in seguito al richiamo in patria dell’ambasciatore. La situazione era radicalmente cambiata. La caduta in disgrazia di Michel de Castelnau e le vicissitudini politiche di Enrico III, impegnato a contrastare l’invadenza della Lega cattolica sostenuta dalla Spagna, non gli garantivano più la protezione di un tempo. Cercò allora il sostegno dei cosiddetti “italiennes”, intellettuali filo-navarrini, che facevano capo a Jacopo Corbinelli, nelle grazie della regina madre Caterina de’ Medici. 34 PARIGI ADDIO ! L’affaire Mordente Il compasso di Mordente
  • 36. Prima di abbandonare definitivamente Parigi, Bruno pensò di lasciare un altro indelebile ricordo di sé e delle proprie tesi nel- l’ambiente accademico. Aveva due opzioni: la lezione di conge- do (che utilizzerà più tardi a Wittenberg) e la disputa. Scelse que- st’ultima e, con il suo consueto gusto per la teatralità, decise di interpretare il ruolo di “presidente” del consesso, lasciando al bril- lante e fedele allievo Jean Hennequin il compito di esporre le tesi fortemente antiaristoteliche contenute nell’opuscolo Centum et vigin- ti articuli de natura et mundo adversos peripateticos, che aveva fatto stam- pare per l’occasione. Fu un invito a nozze per i suoi avversari, che organizzarono un agguato in piena regola. Al termine del discor- so del giovane Hennequin, il Nolano invitò alla discussione chiunque volesse intervenire. Siccome non si faceva avanti nessu- no, egli salì sul podio e parlò a lungo contro il mondo finito di Aristotele. Prese allora la parola un giovane avvocato, Rodolfo Callier, il quale provocò il Nolano con ingiurie, chiamandolo “Giordano Bruto”, e propose in maniera confusa alcune argo- mentazioni in difesa di Aristotele, aizzando la folla degli studen- ti. Non essendo data al Nolano facoltà di rispondere, la cosa finì in tumulto. Il povero filosofo strattonato e minacciato dagli stu- denti dovette promettere di tornare l’indomani per rispondere alle contestazioni. Capita l’antifona, ovviamente non si fece più vedere e si affrettò a lasciare Parigi. Il 28 maggio 1586, mercoledì della settimana di Pentecoste, il Nolano invitò i lettori reali e tutti gli altri a sentirlo declamare nel Collegio di Cambrai contro parecchi errori di Aristotele. Le tesi che si proponeva di esporre nell’occasione saranno pubblicate due anni dopo, a Wittenberg, col titolo di Camoeracensis Acrotismus. 35 PARIGI ADDIO! La disputa di Cambrai
  • 38. Bruno fu alla continua ricerca di una cattedra d’insegnamento. Probabilmente, se fosse rimasto nel grembo della Chiesa cattoli- ca, avrebbe scalato le più alte gerarchie ecclesiastiche. Non è tuttavia un paradosso affermare che le sue disavventure, stretta- mente legate ad un carattere fiero e ribelle, influirono positiva- mente sullo sviluppo del suo pensiero in quanto lo sottrassero agli inevitabili condizionamenti del potere religioso e di quello accademico, che ne avrebbero fatalmente limitato la portata rivoluzionaria. Anzi gli ostacoli e i pregiudizi che dovette af- frontare ne stimolarono ancor più l’indomabile orgoglio e lo spirito d’indipendenza. Nel prologo del Candelaio Bruno si defi- nisce: “achademico di nulla achademia”. Per lui i parrucconi che sentenziavano dall’alto dei pulpiti universitari erano soltanto dei “pedanti”. Ciò che non sopportava di loro era la consuetudo credendi, l’abitudine a credere tipica degli aristotelici che si ap- piattivano passivamente sulle posizioni del loro maestro. Le tra- versie che il Nolano dovette affrontare nel corso della sua lun- ga peregrinatio sono legate essenzialmente alla persecuzione di cui fu vittima da parte delle varie chiese da un lato e del mon- do accademico dall’altro. Ciò si riflette nel quasi ossessivo ap- pellarsi, nelle sue opere, ai principi della tolleranza e della liber- tas philosophandi che costituiscono i pilastri dell’intera sua specu- lazione. Egli vedeva al di là delle favole nelle quali era stato educato. Ne capiva la vacuità ma non gli importava. Predicas- sero pure ciò che volevano, tanto, come aveva imparato a sue spese, una religione, una chiesa vale un’altra. Per lo stesso moti- vo, pur essendo pronto a dissimulare per motivi di opportuni- tà, sui punti costitutivi della sua filosofia non era disposto a transigere nemmeno di fronte alla morte, pur sapendo che nes- sun Dio gli avrebbe mai chiesto conto di eventuali bugie. Il pensiero di Bruno è profondamente anti-religioso, anti-cristia- no, anti-riformato, anti-aristotelico. Bruno insomma è "anti": ma non solo per il suo spirito ribelle, per il carattere orgoglioso e polemico. Non si scambino gli effetti con le cause. Bruno è "anti" per smania di libertà di pensiero, per insofferenza a qual- siasi imposizione dogmatica. Perché la "nova filosofia" può af- fermarsi solo se si sgombra il campo dalle superstizioni e dai falsi principi. Egli ha una visione aristocratica della sapienza, in sintonia con i culti iniziatici egizi ed ermetici, che erano ca- ratterizzati da una netta separazione tra esoterico ed essoteri- 37 ASINI E PEDANTI “Achademico di nulla achademia”
  • 39. co. La ricerca e la scoperta del vero sono prerogativa del sa- piente e il consenso del volgo non depone assolutamente per la verità di un’idea. Che non riuscissero a capirlo gli dava un sen- so di frustrazione e di sconfitta, più per l’ottusità dei suoi inter- locutori che per i propri insuccessi. Per questo motivo chiederà fino all’ultimo istante di parlare personalmente col Papa: era convinto che Clemente VIII condividesse quest’idea della “doppia verità”. Di una verità di fede che mantenesse “il volgo rozzo e infame” in una tranquilla operosità (e qui c’è tanto Ma- chiavelli), e di una verità esoterica che tenesse conto della ma- gia naturale, della nuova cosmologia, dell’animismo universale. ✦ Cosa vorresti dire ai tuoi nemici, a coloro che durante la tua esistenza ti hanno osteggiato, dandoti del pazzo, accu- sandoti di plagio, di essere un pensatore poco originale ? ✦ Trovatemi uno solo di loro che fosse un pensatore davvero originale. Queste accuse non dimostrano altro che il livore di questi pedanti nei confronti di chi ha portato nella storia del pensiero un atteggiamento nuovo e lo ha fatto con con- vinzione e spirito di indipendenza. Ognuno di noi ha biso- gno di confrontare le proprie idee. La diversità, la comuni- cazione sono i valori fondamentali della vera cultura. ✦ Hai accolto nel tuo sistema filosofico, cogliendole d’intui- to, le idee di molti grandi pensatori: da Anassagora a Lu- crezio, da Cusano a Erasmo. Ma, solo, hai saputo unificar- le, armonizzarle, in un unico potentissimo pensiero, attra- verso tentativi, a volte anche confusi, perché continuamen- te rivisitati, di esprimere i tuoi concetti al di fuori e spesso contro la cultura del tempo. Hai sviluppato le loro teorie in una direzione che non si erano nemmeno sognati di con- cepire o non avevano avuto il coraggio di intraprendere, an- dando oltre laddove ognuno di loro si era arrestato dinanzi alle convenzioni e alle difficoltà. In effetti, tutto quello che ti rinfacciano, non fa che aumentare la tua grandezza, ep- pure si è continuato per secoli a scambiare premeditatamen- te le fonti con i contenuti, le suggestioni con la sostanza del tuo pensiero. ✦ Io mi sono sempre confrontato sia con i miei modelli, con i miei maestri, che con coloro che avversavo, a cominciare dallo stesso Aristotele. La mia coerenza è dimostrata dalla conoscenza che ne avevo e che mi dava il diritto di criticar- lo. Così per questo mio desiderio di verificare , di trovare riscontri, ho cercato conferma alle mie intuizioni, alle teo- rie che venivo elaborando, nella dottrina dei filosofi e degli uomini di scienza, che ho conosciuto e studiato. Le mie grandi doti mnemotecniche mi consentivano di confronta- re e assimilare tutte le idee che potessero aiutarmi a sostene- re e sviluppare la mia dottrina. ✦ Ad Oxford, i pedanti ne approfittarono per accusarti di co- piare le opere di Ficino perché, durante le tue lezioni, ne citavi a memoria interi brani. ✦ Miseri grammatici che non osavano staccarsi di una virgo- la dalle parole di Aristotele, ebbero il coraggio di accusare me di plagio! Matematici e astronomi, servi di corte, inca- paci di liberarsi delle loro stelle fisse, delle false muraglie 38
  • 40. che da soli si erano costruiti, e che, secoli dopo la mia mor- te vedevano ancora la terra immobile al centro dell’univer- so, si arrogarono il diritto di trattare con disprezzo il mio pensiero e di darmi del mago, dello stregone! Dicevano che era la mia testa che girava, non la terra, perché temevano le vertigini che il mio pensiero gli provocava. ✦ Tycho Brahe , il grande astronomo dell’epoca, da te am- mirato e decantato al punto da dedicargli con entusiasmo una copia del tuo Acrotismus, ti chiamò sprezzantemente “Nullanus”. ✦ Io ho sempre riconosciuto e magnificato nelle mie opere, a volte anche con un entusiasmo esagerato, i meriti e il valo- re delle conquiste di pensiero. Così avrei voluto e vorrei an- cora oggi, che si riconoscessero le mie ! Costui aveva a di- sposizione gli strumenti più sofisticati dell’epoca, un’intera isola era stata attrezzata per le sue osservazioni. Perlustrava i cieli, vide e studiò il moto delle comete, elaborò molte feli- ci teorie. Pensai: avrà pur intuito le possibilità che schiudo- no queste sue scoperte. Nulla! Come gli altri. Persistevano nella loro stupida, presuntuosa visione del mondo, incapaci di sentire, privi del coraggio e dell’intuizione per andare ol- tre e dell’umiltà per ascoltare. Al filosofo non compete for- mulare teoremi o calcoli matematici.. Io sono quello che, senza bisogno di osservatori astronomici ed esperimenti, ha infranto la sfera delle stelle fisse per solcare impavido l’infi- nito, scoprendo verità che fino ad allora nessuno era stato capace di intuire. ✦ Ti sei fatto paladino dell’eliocentrismo, abbattendo ogni limite, ad Oxford, nel cuore della cultura ufficiale del tem- po, dove le teorie di Copernico erano considerate tutt’al più un bizzarro esperimento. Hai annunciato la necessità di una renovatio mundi in un epoca di feroci lotte religiose e civili, non teorizzandolo dalla remota torre d’avorio del sa- piente solitario, ma recandoti personalmente presso le cor- ti, nel covo di luterani, calvinisti, protestanti e infine cattoli- ci con l’intento vano di arrivare a discuterne direttamente col Papa. Un dinamismo veramente eccezionale il tuo, se consideriamo i mezzi dell’epoca. ✦ Non basta trastullarsi con le proprie idee, come vani sogna- tori, appartati con i propri studi. Il filosofo ha il dovere di sfidare, armato solo delle proprie idee, l’odio dei pedanti e il disprezzo del volgo presso il quale tanto val dire filosofo quanto un saltimbanco, ciarlatano buon per servir da spa- ventapasseri in campagna. Mi sarebbe piaciuto fermarmi, avere una cattedra fissa e tranquilla, da cui poter insegnare e diffondere il mio pensiero. Non me l’hanno mai permes- so. A Londra in casa dell’ambasciatore di Francia de Castel- nau, protetto e riverito, stimato da menti eccellenti e dalla stessa regina Elisabetta, ho provato quanto siano dolci e fe- conde per lo studioso la tranquillità e la sicurezza, e in quel periodo ho prodotto opere importanti. Ma è durato poco, anche lì: il destino errante mi incalzava. Meglio così ! Ma- gari sarei diventato anch’io un pedante! La mia vicissitudi- ne era questa: vagare per l’Europa, affermando idee che a quei tempi, in quei posti, in quei modi suonavano come una provocazione, una sfida. 39
  • 41. ✦ E’ la sorte, Giordano, di tutti i grandi inattuali, gli uomini in anticipo sui loro tempi. Considerando le reazioni a certe tue affermazioni mi nasceva sempre dentro una domanda: davvero costui ha affermato queste cose nella seconda metà del XVI secolo ? Se, ancora secoli dopo la tua morte, gli in- tellettuali parlavano di te come un demonio per aver detto verità riconosciute, oggi, perfino dalla scienza moderna, c’è da meravigliarsi semmai che non ti abbiano dato fuoco pri- ma! Non so se sia stata follia o eroismo, ma solo una perso- nalità indomita, caparbia, insofferente al dogma come la tua avrebbe potuto dar voce a quel tempo a tali intuizioni . ✦ Mi davano del pazzo, ma, come insegna il dotto Erasmo, gli uomini sono tutti un po’ pazzi. Il saggio ne è consapevo- le e si tiene ancorato alla realtà, accettandola con ironia; i pedanti, il volgo non se ne rendono conto e diventano per- sonaggi da commedia, ridicoli nella loro supponenza e ceci- tà. Cosa se non la follia spinge i grammatici accigliati e alti- tonanti dalle loro cattedre, a sentirsi così importanti, o i teo- logi con le loro finissime sottigliezze, e la testa rimpinzata di mille ridicole cianfrusaglie, a ritenersi i depositari della verità? ✦ Mentre il fanatismo delle guerre di religione, degli scismi, insanguinavano l’Europa , non era ancor più folle pretende- re che le tue idee venissero accettate nei centri della pedan- teria e dell’intolleranza religiosa? ✦ Forse si, ma sapessi che soddisfazione vederli vacillare di- nanzi alla forza e alla suggestione della verità, dibattersi co- me pulcini nella stoppa per difendere i propri errori! 40
  • 42. Capitolo 7 IN TERRA D’ERETICI
  • 43. A Wittenberg il Nolano visse un periodo inconsuetamente felice, durante il quale avrà la possibilità di concepire le sue opere magi- che e di gettare le basi dei grandi poemi francofortesi. Dopo circa due anni, per il prevalere della fazione calvinista su quella lutera- na che lo appoggiava, egli si congedò con una Oratio valedictoria, nella quale ringraziò l’università per averlo accolto senza pregiudi- zi religiosi. L’orazione contiene un caloroso elogio di Lutero, per il suo coraggio nell’opporsi allo strapotere della Chiesa di Roma, che ha grande valore come difesa della libertà religiosa. Nonostan- te avesse in altre opere (specialmente Cabala e Spaccio) ferocemente criticato la dottrina dei luterani, furono proprio questi a trattarlo con più ospitalità e considerazione. A Wittenberg lasciò dietro di sé uno stuolo di fedeli e riconoscenti discepoli, per tentare la carta Pra- ga, alla corte dell’impera- tore Rodolfo II, cui dedi- cò gli Articuli adversos mat- hematicos, ricevendone sol- tanto una ricompensa una tantum di trecento tal- leri. Il Nolano non si tro- vò per nulla a suo agio nell’atmosfera astrologi- co-alchemica allora pre- dominante nella corte di Di nuovo ramingo per l’Europa, Bruno approdò nel giugno del 1586 a Wittemberg, in Germania, nella cui università si immatricolò come “doctor italus”. Grazie all’aiuto dell’illustre giurista Alberico Gentili, venne ammesso ad insegnare, dapprima pubblicamente e poi privatamente una lezione dell’Organon di Aristotele. 42 IN TERRA D’ERETICI La casa della sapienza L’Accademia di Wittenberg Luther
  • 44. Rodolfo II, che era diventata il paradiso di ciarlatani e sedicenti maghi del calibro di John Dee ed Edward Kelley. Bruno aveva già in- contrato Dee in Inghilterra, nel giugno del 1583, quando era stato ad Oxford al seguito del conte Laski ed aveva affrontato la famosa disputa con i pedanti oxoniensi. Dee si trovava allora nella sua tenuta di Mortlake e fu il co- mune amico Philip Sidney ad organizzare l'incontro. Ora le loro strade si incrociarono di nuovo, ma gli bastò poco per rendersi conto che il ruolo di mago di corte non faceva per lui. Bruno non ha mai avuto particolare simpatia per l’alchimia, cui si riferisce nei suoi scritti sol- tanto con intenti parodistici. A cominciare da una delle sue prime opere, Il Candelaio, in cui l’alchimista Bonifacio rappresenta il prototipo del credulone, ignorante e presuntuoso, che viene regolarmente raggirato e sbeffeggiato dai furfanti del volgo napoletano, così efficace- mente descritti nella commedia. Del resto non ci sa- rebbe stato nulla di strano se egli si fosse occupato di alchimia: era la chimica del tempo, praticata un po’ da tutti, umanisti, astronomi, papi. Perfino San Tommaso aveva mostrato un tale interesse per la “Grande Opera”, da comporre un paio di trattati alchemici. Addirittura una leggenda medievale so- steneva che egli avesse ricevuto, tramite il suo mae- stro Alessandro Magno, il secretum secretorum, la pietra filosofale, che sarebbe stata scoperta da un altro Padre della Chiesa: S. Domenico! Quando si rese conto che non era la matematica che interessava al sovrano, ma proprio la ricerca della pietra filosofale, il Nolano preferì cam- biare aria. A Tubinga gli andò ancora peggio: questa volta gli accordarono un’elemosina di appena quattro fiorini, purché sloggiasse alla svelta. Verso la fine del 1588 arrivò ad Helmstedt, dove trascorse un anno e mezzo circa, confortato dalla presenza del suo allievo prediletto di Wittemberg, Hieronimus Besler, che lo aiutò nella stesura di una serie di opere di argomento magico ed esoterico comprendente il De Magia, Theses de magia e Magia matematica e l’abbozzo del De rerum principiis et ele- mentis et causis e della Medicina lulliana, tutti raccolti nel codice, intitolato ad Abraham Norov, che lo ritrovò a Parigi presso un antiqua- rio. Ma, nonostante la protezione del Duca Heinrich Julius di Braunschweig, in seguito all’ennesima scomunica, inflittagli stavolta dal pastore luterano Heinrich Boethius, per motivi non ben chiariti e che Bruno sostiene fossero di natura privata, fu costretto a la- sciare anche Helmstedt. Fece quindi rotta su Francoforte, con l’obiettivo di curare la pubblicazione della summa del suo pensiero: i tre poemi latini (De triplice minimo, De monade e De immenso). Il 2 giugno 1590 Bruno giunse a Francoforte dove chiese ma non ottenne il permesso di soggiornare presso Andreas Wechel, lo stampatore delle sue opere, per cui rimase precariamente ospitato nel convento dei carmelitani. Il soggiorno fu interrotto da un periodo di sei mesi in Svizzera, prima a Zurigo e poi ospite del patrizio Heinrich Hainzel nel suo castello di Elgg, dove tenne lezione ad un gruppo di alchimisti paracelsiani e proto-rosacrociani. 43 Rodolfo II John Dee
  • 45. Cosa avevano in comune Bruno ed Egli, a parte la Summa ter- minorum metaphysicorum, che il Nolano gli dettò? Egli era un acceso sostenitore di Paracelso, ai cui insegnamenti si ispirava la sua alchimia. Bruno nell’Oratio Valedictoria declamata nel 1588, quando abbandonò l’Università di Wittenberg, aveva tessuto un elogio della “casa della sapienza” tedesca contenente un solenne encomio di Paracelso, definito “medico fino al miracolo”. Le simpatie paracelsiane costituiscono, dunque, uno dei principali punti di contatto tra Bruno e l’ambiente rosacrociano. Inoltre, molte delle posizioni della confraternita di Elgg, sia quelle politi- che, legate ad un progetto irenistico di pace universale, sia quel- le di ascendenza ermetica in termini di micro e macrocosmo, erano in larga parte condivise dal filosofo. Emergono tuttavia al- cune notevoli differenze. Il Nolano si riconosceva fino ad un cer- to punto nei presupposti naturalistici alla base delle teorie di Pa- racelso. Inoltre, s’irrigidiva di fronte all’uso “magico” dell’alchi- mia, come aveva dimostrato a Praga, nei confronti di John Dee e della sua Monas Hyeroglifica. Bruno rimane saldamente ancora- to ai canoni classici della prisca theologia e alla sapienza orientale dei Magi di tipo caldaico-egizio, molto lontane dal cristianesimo millenaristico di stampo rosacrociano. Il personaggio cardine della vicenda relativa ai contatti tra Bruno e i Rosacroce è il telogo zurighese Raphael Egli. Personaggio, discusso e discutibile, si occupò di teologia, di poesia, di alchimia e molto altro ancora. Nel periodo successivo a quello in cui accolse Giordano Bruno ad Elgg, nel castello del suo mecenate Heinrich Hainzel, proprio a causa della sua passione per l’alchimia, fu protagonista di un clamoroso crack finanziario. Costretto a fuggire da Zurigo e a riparare alla corte del Langravio Maurizio di Hesse dove gli fu assegnata una cattedra di teologia, in realtà continuò ad occuparsi di alchimia per tutta la vita. Ma Egli fu, soprattutto, un fervente Rosacroce, uno dei primi a diffondere i famosi manifesti, la “Fama” e la “Confessio fraternitatis”, e, molto probabilmente, l’autore della “Consideratio brevis”, pubblicata nel 1616, l’anno successivo a quello del secondo manifesto. 44 IN TERRA D’ERETICI L’incontro con i Rosacroce Raphael Egli
  • 46. La ritmica successione per cui l’uomo cerca di ascendere alla divinità e la divinità discende al mondo naturale è un concet- to strutturale trascendentale, che nella filosofia bruniana si identifica nel ciclico alternarsi di “ascenso” e “descenso”. L’intuizione principale di que- sta teoria, che ebbe nel Medioe- vo e nel Rinascimento una grandissima fortuna, assimila al Macrocosmo l’immagine del- l’Universo, del Mondo, del lo- cus in cui risiede Dio, la Luce Creatrice propagantesi in ogni direzione, capace di dissolvere le tenebre e di fornire il princi- pio attivo generatore di tutte le cose. Il Microcosmo, invece, co- stituisce una replica in piccolo del macrocosmo, nella quale la divinità si riflette nella sua crea- zione, l’Uomo. Macrocosmo e Microcosmo sono dunque costi- tuiti da una sola materia forma- ta da due principi contrappo- sti: la Luce Infinita e le Tene- bre Oscure. I principi opposti Luce e Tenebre avevano, nella tradizione ermetico-alchemica, il significato dello Zolfo e del Mercurio, del Giorno e della Notte, del Sole e della Luna, del Maschile e del Femminile. La Tavola Smeraldina, attribuita a Ermete Trismegisto recitava: “Così sopra, così sotto. Risalire dalla terra al cielo e dal cielo ridiscendere in terra”. L’antica corrispondenza di macrocosmo e microcosmo, per cui infinitamente grande e infinitamente piccolo vengono a coincidere, è comune alla tradizione orientale e a quella filosofica presocratica, e percorre ininterrotta la storia del pensiero umano. Bruno vi fa riferimento nel “De Monade”: “Uno è il centro del Microcosmo, unico è il cuore da cui gli spiriti vitali si diffondono per tutto quanto l’animale, in cui è infisso e radicato l’albero universale della vita e ad esso gli stessi spiriti vitali rifluiscono per conservarsi”. 45 ERMETISMO E MAGIA Macrocosmo e microcosmo
  • 47. La parola chiave dell’esoterismo bruniano è “magia naturale”. E’ questa l’unica magia in cui Bruno credeva: ricercare i “princì- pi dettati a gran voce dalla natura”, come afferma nella dedica a En- rico III del Camoeracensis Acrotismus. Nel De magia egli distin- gue i vari tipi di magia e prende nettamente le distanze da oc- cultismo e necromanzia. Egli sceglie chiaramente il terzo tipo che definisce magia naturale, che consiste nel mettersi in sinto- nia con i meccanismi che animano questa realtà e che regola- no, in identico modo, il funzionamento di tutte le cose, dalle mi- nuzzarie all'uomo, ai pensieri e al ciclo storico degli accadimen- ti. Sulla loro conoscenza si fonda anche l’arte del vincolare, in quanto, perché un vincolo possa stabilirsi, il vincolato deve ave- re gli stessi requisiti del vincolante. Come si può vedere, si trat- ta di conoscenze e operazioni che non configurano certo l’evi- denza di un esoterismo di tipo occultistico. L’aver ridato dignità divina alla materia, pur nella distinzione di ombra e luce, esclude una interpretazione di stampo ateisti- co, che dalla inconoscibilità e indefinibilità del divino faccia de- rivare la sua inesistenza. Siamo ombra dunque, ma all’interno di quest’ombra siamo vivi e attivi, in quanto materia e spirito, pur se umbratili, sono ambedue estrinsecazioni della divinità. Questa distinzione gli consente di discriminare nettamente le pertinenze del fidele teologo e del vero filosofo, e di controbattere la tendenza cristiana ad annullare l’esperienza umana in un dolo- roso cammino di sopportazione, in attesa di un aldilà che per loro stessa definizione è inconoscibile. Il sistema filosofico bru- niano costituisce il più poderoso tentativo possibile per un intel- letto allevato nel grembo della Chiesa cattolica, ed ancora im- merso in essa, di affermare il primato della ragione, relegando la divinità in un oltre-mondo inattingibile e, pertanto, ininfluen- te su una realtà che ne è soltanto l’ombra. Nella sua peregrinatio per chiese e atenei, sia fisicamente, sia attraverso gli excursus im- maginari nei territori dell’ermetismo e dell’Oriente, e le consul- tazioni con i filosofi dell’antichità, Bruno ricercò le strutture tra- scendentali del pensiero e della religione. E in tutti rinvenne il comune afflato monista, l’ordinamento vicissitudinale di una realtà basata sulla coincidenza dei contrari, tra i quali predomi- na la coppia minimo-massimo, minuzzaria-infinito, ingredienti inseparabili di quella “alchimia naturale” che pervade magica- mente il senso delle cose a Oriente come a Occidente, come in Krishna così in Cristo, in Buddha come in Pitagora, a Roma come in Egitto. Giordano Bruno è nato con un talento, una vir- 46 ERMETISMO E MAGIA La Magia naturale
  • 48. tù particolare, un fiuto speciale per la ricerca e il riconoscimen- to di questi ingredienti fondamentali della composizione del reale. La sua vita e la sua opera sono un continuo ricercarne i geni nel DNA delle diverse filosofie e teologie, con le quali, di- rettamente o indirettamente, venga a contatto. In ciò è davvero un homo novus, aperto, tollerante, curioso, avido di conoscere e confrontarsi senza pregiudizi né limitazioni di nessun tipo, pronto a riconoscere i propri errori e ad evidenziare quelli de- gli altri, a riformulare le proprie teorie e di nuovo a diffonderle per verificarle, metterle alla prova, generosamente, senza inibi- zioni o censure di alcun genere. ✦ La dottrina ermetica ebbe una profonda influenza sul tuo pensiero. ✦ Vi trovai corrispondenze con la mia istintiva visione del mondo e del divino . Mi diede la coscienza della possibilità dell’uomo, incapace nella sua vita di contemplare se non l’ombra della divinità, di poter arrivare ad “indiarsi” . “Ren- di grande te stesso fino a divenire senza misura, liberandoti da ogni corpo, recitava il Corpus Hermeticum; elevati al di sopra di ogni tem- po, divieni l’eternità: allora comprenderai Dio”. ✦ Queste parole sembravano anticipare la tendenza rinasci- mentale dello spirito ad elevarsi, in uno sforzo “verticale” di porsi in contatto con Dio. Dalla consapevolezza della di- gnità dell’uomo, che pensatori come Pico della Mirandola e Marsilio Ficino avevano affermato, nasceva uno straordi- nario anelito ad arrivare alla divinità, incanalandone lo spi- rito attraverso gli astri, le statue, i talismani. L’uomo aveva preso coscienza delle proprie possibilità e vede aprirsi da- vanti a sé campi sterminati di speculazione e di indagine, ma non riusciva ancora a sottrarsi alla visione di un univer- so finito di cui la terra era il centro e al bisogno rassicuran- te di avere degli intermediari con il mondo ultraterreno. ✦ L’unico tramite di cui io avvertivo la necessità era quello dei mezzi per comunicare queste idee nuove e lo cercai con- tinuamente in quello che poteva offrirmi l’epoca in cui vive- vo. La mia ammirazione per la tradizione egizia nasceva proprio dalla ricerca di una lingua originaria “divina”, che attraverso i geroglifici, fosse comprensibile a tutti. ✦ Del resto la magia faceva allora parte del patrimonio di co- noscenze del filosofo. Le dottrine magiche, ermetiche, a 47 Ermete Trismegisto
  • 49. quei tempi, erano diffusissime negli ambienti culturali, ed erano apprezzate da re e imperatori. Perfino i papi ne era- no stati attratti, se Papa Borgia si intratteneva con Campa- nella in sedute magiche e faceva affrescare sale vaticane con immagini planetarie ermetiche, che si ritenevano in grado di influenzare l’umore e la salute. Nell’atmosfera del- l’epoca, in un ambiente culturale permeato di ermetismo e di magia, è comprensibile che ti sentissi profeta o mago co- me Cristo e Mosè ! ✦ Magia per me è sempre stata quella naturale. Le stregone- rie, le pietre filosofali le lascio a Cencio e Bonifacio, i perso- naggi del mio Candelaio. La vera magia è quella che scatu- risce da noi stessi, dalla natura che è in noi e che può essere catturata, perfezionata con tecniche per vincolare, “dirige- re” il flusso divino attraverso le proprie facoltà. 48
  • 50. Capitolo 8 IL SAPIENTE E IL FURIOSO
  • 51. L’ esaltazione del valore della natu- ra e della mate- ria nelle sue va- rie forme mette in collegamento, Bruno ad una tradizione sapien- ziale che propo- ne suggestioni ti- picamente orien- tali. Esse agirono sul Nolano attra- verso i filosofi pre-socratici, in particolare Par- menide, Pitagora ed Eraclito. Gli stessi influssi gli arrivarono per il tramite di altri due personaggi a lui ben noti, Apollonio di Tiana e Ermete Trismegisto, attraverso i quali Bruno poté attingere alla sapienza egizia e a quella ermetica. La teoria del- la coincidenza degli opposti, che stava alle radici stesse della concezione orientale del mondo, era già presente nella tradizio- ne presocratica. Furono gli insegnamenti di Niccolò Cusano a farne uno dei fondamenti della Nolana filosofia, insieme al con- cetto della separazione tra un Dio immanente e un Dio inattin- gibile (il “Dio nascosto”), che costituisce il presupposto di quel- la “dotta ignoranza” che in Bruno assume i contorni più tor- mentati dell’umbra divinitatis. Come nel caso di Copernico, Bruno abbatté le cautele di cui il cardinale tedesco era riuscito ad ammantare le sue teorie, affermando apertamente l’imma- nentismo divino. Come i bramini e i buddisti Zen, Bruno cerca di accordare il singolo con l’assoluto. La divinità non va quindi cercata “fuor del infinito mondo e le infinite cose, ma dentro questo et in quelle”. La filo- sofia nella sua massima espressione, si concretizza proprio in questa ricerca dell’Uno, in questa contemplazione della divini- tà nella Natura ( Natura est Deus in rebus), in questo sforzo di co- gliere l’invisibile nel visibile, l’unità nella molteplicità. Le tradi- zioni orientali si riferiscono costantemente ad una realtà ulti- ma, indivisibile, che si manifesta in tutte le cose e della quale tutte le cose sono parte. Essa è chiamata Brahman nell’Indui- smo, Dharmakaya nel Buddismo, Tao nel Taoismo: “Ciò che 50 IL SAPIENTE E IL FURIOSO Tra Oriente e Occidente
  • 52. l’animo percepisce come essenza assoluta è l’unicità della totalità di tutte le cose, il grande tutto che tutto comprende”. Raggiungere la consapevo- lezza che tutti gli opposti sono polari, e quindi costituiscono un’unità è considerato nelle tradizioni spirituali dell’Oriente una delle più alte mete dell’uomo. Questa non è mai un’identi- tà statica, ma sempre un’interazione dinamica tra due estremi come nel simbolismo cinese dei poli archetipici yin e yang. Alle dottrine pitagoriche risale la teoria che i contrari non solo non vanno concepiti come irriducibili e assolutamente separati, ma vanno intesi invece come trasformantisi l’uno nell’altro e tali da realizzare una perfetta armonia. Le lunghe ricorrenti sfilze di contrari che incontriamo negli scritti di Bruno, testimoniano la sua concezione della realtà come coincidentia oppositorum, la ne- cessità di andare oltre il samsara magmatico dell’apparenza per recuperare nell’unità degli opposti, la sostanziale unità del tut- to: “Profonda magia è saper trarre il contrario dopo aver trovato il punto de l’unione”. Solo nel cosmo infinito le gerarchie si sgretolano; il massimo e il minimo, come tutti i contrari, convergono in un solo essere, la molteplicità si contrae nella divina unità: “possete quindi montar al concetto, non dico del summo et ottimo principio, escluso dalla nostra considerazione, ma de l’anima del mondo, come è atto di tutto e potenza di tutto, et è tutta in tutto: onde al fine (dato che sieno innumera- bili individui) ogni cosa è uno; et il conoscere questa unità è il scopo e ter- mine di tutte le filosofie e contemplazioni naturali: lasciando ne’ sua termi- ni la più alta contemplazione, che ascende sopra la natura, la quale a chi non crede, è impossibile e nulla”. (De la Causa). 51
  • 53. Se tutto ha un andamento ciclico, che si regge sull’ antinomia dei contrari, lo stesso vale anche per le “anime”, per cui attraver- so la metempsicosi quello che facciamo in questa vita si riverbe- ra nella successiva. La concezione dell’anima presiedente a diver- se forme e composti, sicut nauta in navi, come nocchiero in una na- ve, è per Bruno il fondamento della mutazione. Lo spirito si con- giunge all’uno o all’altro corpo per virtù di fato o provvidenza, ordine o fortuna, e viene ad esplicare ingegno e capacità adegua- te alla complessione e agli attributi di quel corpo. Come dunque gli artigli conferiscono all’anima che ha assunto la forma del ra- gno la sua specificità, così è la mano, il mirabile strumento nel quale Bruno individua la specificità dell’essere uomo, che gli con- ferisce quella potenza e quella superiorità su tutti gli altri esseri. Bruno aggancia questo concetto alla fisiognomica del suo conter- raneo Giovan Battista Della Porta, che rappresenta una sorta di vincolo tra le sembianze e i caratteri. Nei tratti del volto e nella complessione dei corpi si avverte già il karma dell’individuo che condizionerà la prossima mutazione. “Come nell’umana specie veggia- mo de molti in viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni, altri cavallini, altri porcini, asinini, aquilini, bovini; cossì è da credere che in essi sia un Solo gli uomini veri, quelli dotati di anime davvero umane, possono arrivare a contemplare la verità! O benefica Circe, aiutami a smascherare lo stupido volgo, che sotto sembianze umane, nasconde anime bestiali! Per quale motivo, se pochissimi animi di uomini sono stati plasmati, tanti corpi sono stati modellati in forma di uomini? La vera filosofia non fa distinzioni d’abito, condizione o stato sociale ma, se studio, contemplazione e pratica di virtù non li eleva, vedete? Hanno nei tratti del viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni, già scritta la loro passata o futura mutazione: alcuni asinini…., altri porcini….., aquilini….., bovini”. 52 IL SAPIENTE E IL FURIOSO Fisiognomica e metempsicosi