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Repubblica Italiana   Provincia autonoma        Unione Europea
  Ministero dello           di Trento                FESR
Sviluppo Economico




FARE MICROIMPRESA IN MONTAGNA
                                La domanda di autoimprenditorialità nelle aree
                                     obiettivo 2 della provincia di Trento




                                                 Quaderni di territorio
                                                                  volume 2




                                                            A cura di Sergio Remi

                                                         Gruppo di lavoro:
                                            Claudio Filippi, Walter Nardon, Paola Piazzi
                                                  Daniela Sannicolò, Iris Visentin
Il presente rapporto riporta i risultati del progetto DOCUP “Animazione imprenditoriale nelle aree obiettivo 2 della
provincia di Trento” realizzato da Trentino Sviluppo SpA e promosso dall’Assessorato alla programmazione,
ricerca e innovazione della Provincia Autonoma di Trento.
Trentino Sviluppo SpA




Sommario


Premessa                                                                                          5

Presentazione                                                                                     7

       1. I processi di modernizzazione dei territori montani                                     9

       2. Le motivazioni ed i risultati dell’intervento di animazione imprenditoriale            13

       3. Perché promuovere la microimpresa?                                                     17

       4. Agire per un riequilibrio territoriale                                                 28

       5.   Fare alleanza tra vecchia e nuova economia                                           34
      5.1   Il turismo                                                                           36
      5.2   L’artigianato                                                                        40
      5.3   L’agricoltura                                                                        47

       6. La promozione dell’autoimprenditorialità in un contesto di piena occupazione           52

       7. Quale propensione al rischio di impresa?                                               55

       8. Il sindaco imprenditore                                                                61

       9 L’impresa sociale di comunità                                                           67

      10.   L’articolazione dell’intervento di animazione imprenditoriale                        70
     10.1   L’offerta istituzionale                                                              74
   10.1.1   Il raccordo con gli strumenti di programmazione negoziata                            74
   10.1.2   Il raccordo con le politiche del lavoro e del welfare                                75
   10.1.3   Il raccordo con le politiche volte a promuovere le filiere produttive                77
     10.2   L’offerta di territorio                                                              78
     10.3   La domanda sociale: l’animazione imprenditoriale a livello comunale                  79
     10.4   L’assistenza tecnica all’elaborazione del piano di impresa                           82
   10.4.1   I colloqui individuali sul territorio                                                82
   10.4.2   Gli incontri di assistenza tecnica all’elaborazione del “job plan”                   84
     10.5   L’accompagnamento alla fase di start-up                                              94

      11. La domanda di imprenditorialità emersa nelle aree obiettivo 2                          96

    11.1    Analisi delle schede di partecipazione agli incontri di animazione imprenditoriale    96
   11.1.1   Distribuzione dei partecipanti a livello comunale                                     96
   11.1.2   Gli utenti del percorso di animazione                                                 97
   11.1.3   Interesse ad avviare un’attività di lavoro autonomo                                   98
   11.1.4   Tipologia d’impresa e settore di attività in cui si vorrebbe intraprendere            99
   11.1.5   Interesse per i servizi di Trentino Sviluppo                                         101


                                                                                                   1
Trentino Sviluppo SpA




   11.1.6 Osservazioni sul dibattito pubblico                                                      102

     11. 2.   Analisi dei questionari di presentazione dell’idea di impresa                        105
    11.2.1    La distribuzione delle idee di impresa per territorio                                106
   11. 2.2    Questionari presentati per patto territoriale                                        110
    11.2.3    La distribuzione delle idee di impresa per sesso del proponente                      113
    11.2.4    Attuale occupazione dei proponenti                                                   114
    11.2.5    Titolo di studio dei proponenti                                                      114
    11.2.6    Settore di attività dei progetti di impresa                                          117
    11.2.7    Progetti di impresa per settore e per ambito territoriale                            119
    11.2.8    Attività a tempo pieno o a tempo parziale                                            121
    11.2.9    Tipo di impresa che si intende avviare                                               122
  11.2.10     Forma giuridica                                                                      123
  11.2.11     Precedenti esperienze di lavoro autonomo                                             124
  11.2.12     Esperienze nel settore in cui si intende intraprendere                               125
  11.2.13     Competenze nella produzione del bene/servizio                                        126
  11.2.14     Competenze nella commercializzazione                                                 127
  11.2.15     Competenze nell’amministrazione                                                      127
  11.2.16     Conoscenza del mercato                                                               128
  11.2.17     Tipologia e numero dei potenziali clienti                                            129
  11.2.18     Principale canale di vendita e modalità di promozione del prodotto o servizio        130
  11.2.19     Tipologia di concorrenza                                                             131
  11.2.20     Differenziazione del proprio prodotto /servizio                                      133
  11.2.21     Conoscenza collocazione dei fornitori                                                133
  11.2.22     Individuazione spazi e quantificazione investimenti per l’avvio dell’attività        135
  11.2.23     Conoscenza dell’iter autorizzativo per l’avvio dell’attività                         136
  11.2.24     Modalità di reperimento capitale necessario                                          136
  11.2.25     Individuazione prezzi da praticare e fatturato necessario per il punto di pareggio   137
  11.2.26     Sintesi conoscenze complessive sulla gestione di un’impresa                          139
  11.2.27     Aiuti necessari per aprire una nuova attività                                        141

       12. Le imprese avviate                                                                      144

      13.     Conclusioni: Quali politiche per la promozione dell’autoimprenditorialità.           169
     13.1     La fluidità del mercato del lavoro                                                   171
     13.2     Reti, filiere e comunità professionali                                               179
     13.3     L’accessibilità ai mercati                                                           181
     13.4     La semplificazione amministrativa                                                    183
     13.5     Nuovi modelli di welfare e rappresentanza                                            184

Bibliografia                                                                                       189
Trentino Sviluppo SpA




Premessa


     Per fare impresa non è indispensabile essere grandi. L’affermazione trova conferma nel lavoro
di ricerca realizzato da Trentino Sviluppo in un territorio per sua natura poco incline a far nascere
e crescere nuove iniziative imprenditoriali. L’attività di animazione, condotta con impegno e
passione da Sergio Remi e dalla sua equipe, ha permesso di dimostrare, dati alla mano, come possa
esistere una visione diversa di sviluppo, che si misura sulla capacità di proporre percorsi differenti,
facendo leva sul cambiamento che l’intera economia sta vivendo, nel passaggio verso l’era della
conoscenza.
    Una visione dalla quale partire per la promozione dell’autoimprenditorialità quale strumento
centrale della politica di sviluppo della montagna, a partire dalla Persona, dalla sua capacità, dalla
sua conoscenza e professionalità, ma anche dal suo mettersi quotidianamente in gioco, nell’ambito
di una rete di relazioni che si rivela quale fattore critico sempre più rilevante. “Imprenditori
di se stessi”, come li definisce l’autore della ricerca, con la forza di costruire il proprio futuro:
nuove figure in grado di muoversi in un mercato fluido, caratterizzato da un’elevata mobilità
e dall’incertezza. Ed è proprio a queste Persone che Trentino Sviluppo propone un percorso di
crescita, accompagnandole nell’avviare e nel condurre la propria impresa.
     Nella trattazione si delinea così la “destrutturazione del concetto di impresa”, che porta a
rendere i concetti di azienda e di imprenditorialità più vicini alle reali esperienze ed esigenze
lavorative delle Persone, arrivando a riconoscere che l’autoimprenditorialità rappresenta oggi un
percorso di inclusione e crescita sociale ove il valore deriva in buona parte dalla qualità delle
risorse di relazione che le Persone riescono a mettere in campo per comunicare, condividere,
collaborare.
     Attraverso l’analisi condotta da Trentino Sviluppo, si scopre un modo nuovo di guardare alle
valli, superando la separazione tra centro e periferia, grazie ad un’organizzazione produttiva e ad
“un’industria molecolare” che segue i flussi della conoscenza e delle competenze piuttosto che
i confini geografici, dove i modelli di produzione sono sempre più flessibili e smaterializzati e
l’investimento in conoscenza rappresenta un requisito essenziale.
     “Fare microimpresa in montagna” racconta la grande trasformazione in atto, dunque, che
vede una montagna scegliere di declinare il lavoro in forma imprenditoriale, in un territorio che
scopre di poter essere culla per microimprese e lavoro autonomo in grado di generare valore e
benefici sociali collettivi. Un territorio alla ricerca di nuove forme di socializzazione del rischio
di impresa, ma anche un territorio che comprende come per affrontare un nuovo scenario siano
necessari alcuni passaggi fondamentali, inclusa l’identificazione e l’adozione di strumenti di
politica economica in grado di supportare le microimprese, così come infrastrutture atte a favorire
la crescita continua di chi fa impresa. Un territorio, in sintesi, che realizza di aver bisogno di un
“programma specifico per l’autoimprenditorialità”, che si deve inserire nel quadro complessivo
della politica economica.
    Ed in questo ambito si colloca l’azione di Trentino Sviluppo che, dando continuità al percorso
avviato negli anni recenti, opera per sostenere la capacità imprenditoriale, per migliorare il contesto
economico e produttivo e favorire la nascita di filiere specializzate, ponendo le basi per creare un
modello di sostegno partecipato della crescita dei sistemi locali.
   “Fare microimpresa in montagna” è il secondo ‘Quaderno di territorio’, che dà seguito a
“Nessuna impresa è un’isola”, la ricerca condotta sempre da Trentino Sviluppo e pubblicata nel



                                                                                                     3
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febbraio 2008, in un percorso di continuità che vede l’analisi dei contesti locali alla base di progetti
mirati di animazione imprenditoriale.
    Un ringraziamento a Sergio Remi, che con professionalità e passione da anni è impegnato in
un progetto di territorio, ove la capillarità e l’attenzione al singolo intervento si rivelano fattori
chiave di crescita anche nelle aree meno centrali, dotando le cosiddette “periferie” di una reale
prospettiva di sviluppo.
                                                              Patrizia Ballardini
                                                               Trentino Sviluppo SpA




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Trentino Sviluppo SpA




Presentazione


     Il destino della montagna non è obbligatoriamente quello della marginalità. Per quanto
sia certo che nelle aree montane le condizioni per fare impresa siano difficili, più difficili che
in altri ambienti, non c’è alcun motivo per ritenere che una legge di natura condanni i territori
di montagna alla arretratezza. E neppure c’è motivo, però, di pensare che vi sia un unico
modello adatto ad ogni contesto. Lo sviluppo locale non passa per la ripetizione meccanica
di schemi che hanno avuto successo. È “locale” proprio perché aderisce alla realtà dei luoghi:
più fedelmente riesce ad interpretarne le caratteristiche e le potenzialità, fin nelle piccole
pieghe, meglio realizza il suo compito di generare sviluppo, nell’economia, nella società e nel
territorio.
    Dunque la modernizzazione non si ferma alle pendici della montagna. Ma neppure le risale
nella forma rigida del pensiero unico di una monocultura turistica, fragile perché univoca. C’è
varietà di vocazioni e l’intelligenza di una visione dello sviluppo si misura sulla capacità di proporre
percorsi differenti, facendo leva sul cambiamento di paradigma che sta trasformando l’economia.
Non più, solo o prevalentemente, capitalismo urbano industriale, che classifica come periferia tutto
ciò che non è concentrato nello spazio metropolitano, bensì industria molecolare e capitalismo
personale, che seguono i flussi globali della conoscenza anziché le frontiere della geografia. La nuova
organizzazione della produzione industriale si è emancipata dal formato tradizionale dell’unità di
spazio-tempo-azione, superando la separazione netta tra centro e periferia. Per trovare competenze
di punta e capacità innovative oggi non è necessario bussare alla porta della grande impresa. E
per fare impresa non è indispensabile essere grandi. Conta molto di più il sistema di relazioni al
quale si è connessi; un sistema immateriale in cui la reputazione e le abilità specialistiche di cui si
dispone sono più importanti della prossimità fisica.
     Così la ricerca di Sergio Remi e dei suoi collaboratori documenta una trasformazione in atto,
e non soltanto un ideale di sviluppo futuro. Con un solido punto di partenza: in Italia il valore
aggiunto dell’economia di montagna nel corso degli ultimi quattro anni è cresciuto più della
media nazionale. E nelle aree montane non mancano esperienze di innovazione che un tempo
erano esclusiva dei territori più centrali, ad esempio nei settori delle tecnologie per l’ambiente e
dell’energia. Spesso intrecciate con forme tradizionali – e ancora ben radicate - di produzione di
beni (dall’agricoltura all’artigianato) e di servizi (specie come rielaborazione di antichi rapporti di
mutualismo).
     La chiave per comprendere questa trasformazione è quella della “imprenditorializzazione
del lavoro”. Seguendo una tendenza globale anche l’economia della montagna ha scoperto la
necessità di declinare il lavoro in forma imprenditoriale: diventare datori di lavoro di se stessi, in
territori privi di strutture ad alta intensità di occupazione, è sempre stata una scelta obbligata, ma
ora è anche una scelta in linea con un nuovo contesto economico che favorisce le microimprese e
il lavoro autonomo. Quindi una caratteristica tradizionale dello sviluppo di queste aree si presta a
farle entrare in uno scenario più grande, purché naturalmente anche l’”imprenditorialità montana”
si dimostri in grado di aggiornare se stessa. La dimensione cooperativa deve incontrare quella
innovativa, e ad entrambe è richiesto di aprirsi ad appartenenze non solo locali. Le reti corte da
sole stentano a reggere l’urto della modernizzazione.
    Come ha mostrato chiaramente un precedente studio sulla filiera della subfornitura nella Valle
del Chiese, sempre condotto da Sergio Remi e la sua equipe, il movimento tra locale e globale è il
vero nucleo distintivo del nuovo paradigma dello sviluppo. Un paradigma nel quale l’identità di


                                                                                                      5
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territorio non è più un concetto estraneo, del quale liberarsi, ma è al contrario un punto di forza
per affrontare la modernizzazione, e i suoi passaggi rischiosi, senza esserne travolti.
     La rivoluzione nelle filiere ha evidenziato un processo nel quale le medie aziende “di pianura”
hanno dovuto ricollocarsi nei nuovi scenari della globalizzazione, trasformando profondamente
le relazioni produttive con le piccole aziende “di montagna”. Le imprese committenti hanno
operato una fortissima selezione: alcune fasi della filiera produttiva sono state delocalizzate
all’estero, seguendo il percorso del minor costo, mentre altre fasi produttive sono state mantenute
all’interno del sistema locale o di vicinato, imponendo però alle imprese di subfornitura di
adeguarsi ad una domanda molto più complessa e esigente in fatto di qualità. Quasi di punto
in bianco, aziende abituate ad un rapporto “garantito” di dipendenza si sono trovate nel ruolo
nuovo, e rischioso, di alleate. Alle prese con un’organizzazione della produzione più complicata.
Obbligate ad assumersi nuove responsabilità e a sviluppare uno spirito di iniziativa che, in
alcuni casi, le ha portate a emanciparsi dal rapporto di pura subfornitura per divenire a propria
volta committenti, rivolgendosi direttamente al mercato con prodotti propri. O divenendo
subfornitori-leader, estremamente specializzati e al servizio di una pluralità di committenti, a
livello globale.
     In questa complessa trasformazione si è giocato il ruolo del territorio di riferimento, che ha
sostenuto gli imprenditori nel cambio di passo. In montagna il capitale sociale è un bene pubblico
che, per quanto indebolito, continua ad essere prodotto. La socializzazione del rischio non è un
atteggiamento di nicchia, ma il risultato di un lungo vissuto. Lo sviluppo può quindi contare su
una base solida, perché poggia su un ambiente sociale di qualità e su un patrimonio ancora ingente
di fiducia istituzionale nei confronti dei soggetti locali.
     Questi “fondamentali” della cultura imprenditoriale non bastano però da soli ad affrontare
il nuovo scenario. Occorre creare un quadro di riferimento più ampio: politiche pubbliche di
sostegno, misure di accompagnamento, strumenti di politica attiva del lavoro, welfare a misura
di micro-imprenditoria, infrastrutture orientate alla crescita dei fattori immateriali (formazione,
ricerca, internazionalizzazione). Un nuovo quadro di strumenti che deve essere definito a partire
da una conoscenza puntuale, dal basso, dei sistemi locali di sviluppo.
     Questo è appunto l’ambito dello studio che qui si pubblica. Prezioso perché accurato e tuttavia
capace di prendere distanza dai singoli dettagli, per disegnare un quadro d’insieme che non si
limita ad una descrizione avalutativa ma entra nel merito delle politiche praticabili e definisce
delle priorità. Per chiunque voglia occuparsi di sviluppo della montagna c’è qui un condensato
di analisi e riflessioni dal quale non si può prescindere. Una base indispensabile da cui partire per
una promozione dell’autoimprenditorialità come strumento centrale di una politica di sviluppo
della montagna, in un tempo nel quale l’unica vera crescita è quella che si concentra sulla persona,
le sue capacità, il suo livello di conoscenza, la responsabilità di cui sa farsi carico, la stima che
riscuote, l’autonomia di cui è capace, la fiducia su cui può contare, le relazioni in cui si pone con
altre persone con le stesse caratteristiche.
     In breve, siamo in un tempo in cui la scelta dell’autoimpiego è sempre meno residuale e
subordinata, perché – come scrive Remi – “ormai l’economia va avanti in modo tale che nessuno
è più in grado di garantire niente a nessuno”. Ne consegue che il rischio va gestito a partire dalla
capacità di ciascuno di noi – al tempo stesso lavoratore, consumatore, imprenditore, risparmiatore,
cittadino – di prendere in mano il proprio futuro, senza delegarlo ad altri. Una lezione tuttaltro che
nuova per la gente della montagna.

                                                             Gianluca Salvatori


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1. I processi di modernizzazione dei territori montani


     Il presente volume riassume i risultati di un intervento di animazione territoriale sviluppato
nell’arco di un triennio (maggio 2005 – settembre 2008), finalizzato alla promozione di nuove
iniziative imprenditoriali e forme di lavoro autonomo nei comuni ricadenti nelle aree dell’obiettivo 2 della
Provincia Autonoma di Trento.
    I risultati di questo lavoro vogliono costituire un ulteriore tassello nel processo di progressiva
demolizione di una convinzione - ancora molto diffusa anche se declinante – che attribuisce alle
aree montane del Paese un connotato di arretratezza e di marginalità che si traduce in un evitabile
bisogno di assistenza. Aree di cui, con politiche redistributive e trasferimenti, bisogna in qualche
modo farsi carico, ma che rappresentano sostanzialmente un peso per l’economia nazionale.
     Quando il Censis nel 2002, per la prima volta ha pubblicato una stima del valore aggiunto
prodotto nel territorio montano (circa 165 miliardi di euro su base dati 1999), sono stati in molti a
stupirsi. In particolare, se la montagna era in grado di produrre il 16,1% del valore aggiunto del Paese
con una popolazione corrispondente al 18,7% del totale nazionale, qualcosa andava sicuramente
rivisto nelle tradizionali interpretazioni sulla debolezza dell’economia montana. Con quel lavoro
si era aperta una breccia. Non a caso quei dati sono comparsi in numerose pubblicazioni, sono stati
ripresi in documenti ufficiali di carattere istituzionale e citati in innumerevoli convegni.
     Oggi quella breccia si può allargare ulteriormente. Infatti, nelle stime attuali, prodotte sempre
dal Censis nel 2007 con una trasposizione sul livello comunale dei dati provinciali del 2003 (ovvero
i più aggiornati per questo tipo di indicatore), il sistema montagna nel suo complesso appare
ancora più robusto. Il valore aggiunto dei territori montani può essere stimato in circa 203 miliardi
di euro, ossia il 16,7% del totale nazionale. Nei quattro anni che separano le due indagini, dunque,
la montagna è cresciuta più della media del Paese. I dati indicano una crescita del valore aggiunto
del 10,5% contro il 6,5% della media nazionale.
    La transizione economica delle aree montane va quindi sottratta, sia dal punto di vista del
racconto, sia da quello delle analisi, alla marginalità in cui è stata relegata e va ricollocata nel
passaggio che sta avvenendo tra la società industriale - caratterizzata dal capitalismo urbano
industriale per il quale le aree montane erano solo la periferia del processo economico - e la
società dell’informazione, caratterizzata da un’economia dei flussi che trova nella montagna un
fondamentale luogo di soddisfacimento di nuovi bisogni.
     Il territorio montano, e in primo luogo quello alpino, riserva a questo riguardo molte
sorprese, in special modo negli ultimi decenni, nel corso dei quali sembra essere divenuto luogo
di sperimentazione della tarda modernità, o di una nuova epoca i cui tratti non sono stati ancora
definiti. Il contesto montano è diventato luogo privilegiato di modernizzazione, di ricerca e
innovazione per la tutela dell’ambiente, la gestione del ciclo dell’acqua e delle fonti rinnovabili di
energia, la ricerca tecnologica, la sperimentazione di nuove soluzioni architettoniche, l’introduzione
di modelli innovativi per la gestione del patrimonio pubblico.
     La nuova organizzazione spazio-temporale della produzione ha modificato il ruolo economico
del territorio e la sua capacità attrattiva. I territori di montagna oggi non sono più la periferia del
sistema industriale, buoni solo per fornire manodopera e materie prime. Ma acquistano una nuova
centralità legata ai loro peculiari aspetti di qualità dell’ambiente e delle loro relazioni sociali.
    La competitività delle imprese oggi si gioca principalmente sui fattori immateriali della
produzione. Questo significa che quando sono garantite le dotazioni infrastrutturali che consentono


                                                                                                          7
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l’accesso alle grandi reti di comunicazione e la disponibilità di aree attrezzate, ad assumere rilevanza
è un contesto favorevole all’innovazione non disgiunto da aspetti di qualità ambientale e sociale.
Innovazione e qualità ambientale diventano i codici di comunicazione delle imprese, ne certificano
la qualità delle produzioni, diventano parte integrante della loro immagine.
     Il ricco patrimonio di beni ambientali e storico culturali della montagna alimenta una nuova
domanda di fruizione turistica - fondata sulla valorizzazione della qualità e della differenza
- che trova la corrispettiva offerta in forme originali di ospitalità diffusa, nella valorizzazione
delle specificità agroalimentari e artigianali, nelle innovative forme di intrattenimento capaci di
valorizzare l’esperienza connessa alla fruizione della montagna ed al consumo dei suoi prodotti.
     La stessa agricoltura di montagna è oggi coinvolta in un processo di modernizzazione
che porta progressivamente la microimpresa agricola ad affrancarsi da un’immagine di comparto
marginale e fortemente assistito dall’intervento pubblico. Dall’osservazione territoriale di quanto
accade nel mondo delle microimprese agricole se ne ricava un’immagine tutt’altro che statica o
regressiva. Sul piano strettamente produttivo e distributivo, sono individuabili una pluralità di
tendenze volte a definire un nuovo ruolo ed un nuovo modello di sostenibilità economica della
microimpresa agricola di montagna. Rientrano all’interno di tali tendenze: la valorizzazione di
produzioni tipiche in mercati di nicchia; la diffusione delle colture biologiche; l’investimento in
forme alternative di coltivazione e di allevamento; l’investimento in attività di trasformazione
e commercializzazione capaci di dare valore aggiunto alle produzione aziendali; iniziative come
il “Kilometro 0” (le reti di locali che offrono prodotti del territorio che non devono percorrere
lunghe distanze prima di giungere in tavola); la diffusione di distributori automatici per la
commercializzazione di latte appena munto; la diffusione dei “farmer markets” (i mercati esclusivi
degli agricoltori nelle città). Il nuovo modello di sostenibilità economica è ulteriormente rafforzato
dal carattere di multifunzionalità dell’impresa agricola che porta ad una sempre maggiore
integrazione tra attività agricola, turismo, artigianato e servizi alla collettività.
      L’artigianato, ancor più del turismo e dell’agricoltura, rappresenta lo “zoccolo duro” delle
economie montane: la principale attività economica che consente di far vivere questi territori
e quindi di mantenere viva la comunità. Il numero di imprese artigiane è un indicatore del
benessere di una comunità, basta pensare al ruolo dell’artigianato, nel fornire occupazione, nel
fare manutenzione del territorio, nel fornire i servizi di base che consentono la permanenza e la
vita della comunità. L’artigianato di montagna va oggi oltre lo stereotipo che lo lega ai vecchi
mestieri ricchi di tradizione e poveri di futuro. Le imprese artigiane collocate in territori montani
sono oggi specializzate in produzioni di qualità in ambito tecnologico, artistico, gastronomico,
capaci di operare in distretti e filiere di subfornitura fortemente specializzate, di esportare i propri
prodotti nel mondo. La competitività di queste imprese si gioca sulla capacità di coniugare
tradizione ed innovazione creando un mix originale, una competenza che appartiene a quello
specifico territorio. Ed è qui il grande valore dell’impresa artigiana ed il suo importante ruolo nello
sviluppo delle aree montane. I territori montani sono luoghi ricchi di identità e l’impresa artigiana
è il luogo dove questa identità viene rielaborata e valorizzata, si trasforma in valore economico e
quindi in sviluppo.
     In un contesto di razionalizzazione e progressiva riduzione della spesa pubblica nei piccoli
comuni di montagna si manifesta un’erosione di beni pubblici che è al contempo causa ed effetto
di fenomeni di spopolamento. A fronte di questa dinamica sono molte le amministrazioni locali
che sperimentano nuovi modelli di gestione economica dei servizi alla collettività. Nuovi modelli
di welfare municipale che - rielaborando tradizionali forme di mutualismo consolidate nei
territori alpini - danno origine a nuove esperienze di impresa sociale, attraverso cui le comunità
locali si auto-organizzano imprenditorialmente per dare risposte a propri specifici bisogni.


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     Nei contesti montani turismo, artigianato, agricoltura, servizi sociali non rappresentano settori
tra loro separati, ma un unico sistema socio-economico fortemente integrato, soggetto a continui
scambi e contaminazioni, il cui scopo è garantire il presidio e la manutenzione del territorio, la
qualità della vita delle comunità locali e la valorizzazione di un unico prodotto che si chiama
“montagna”.
    Nelle economie locali delle tante valli trentine - che sono state oggetto dell’intervento presentato
in questo volume - hanno ormai preso corpo culture dello sviluppo che pongono il territorio e la
sua qualità al centro dei propri processi di crescita, sono cresciuti interessi economici fondati su
una duplice specializzazione: geografica da un lato, ed economica dall’altro. Il che, sempre più
spesso, si traduce in politiche di qualità dei prodotti, della vita e dell’ambiente circostante e in una
declinazione di questi aspetti in tutti i settori di attività economica e sociale (turismo, agricoltura,
agroalimentare, industria, servizi sociali).
     Alla base di queste dinamiche c’è un processo di “imprenditorializzazione del lavoro” che riguarda
tanto le persone, quanto le società locali; un processo per certi versi epocale, che caratterizza la
generale evoluzione delle moderne società industriali e che, nelle aree montane, si coniuga con
delle preesistenze che possiamo ricondurre alla “specificità alpina”, costituite:
•	 dagli	oggettivi	vincoli	morfologici	e	infrastrutturali	all’attività	di	impresa;
•	 dalla	stagionalità	e	scarsa	remuneratività	di	molte	attività	economiche	che	vengono	svolte	in	
     aree montane;
•	 dalla	centralità	della	dimensione	territoriale	nella	definizione	dei	fattori	di	competitività	dei	
     settori di specializzazione economica di queste aree (edilizia, turismo e agricoltura);
•	 dall’esistenza	di	importanti	esternalità	ambientali	connesse	al	presidio	e	alla	manutenzione	
     del territorio montano;
•	 da	uno	spirito	“imprenditivo”	che	si	esprime	anche	nel	diffuso	ricorso	a	modelli	di	integrazione	
     del reddito;
•	 dall’esistenza	di	reticoli	socio-economici	e	produttivi	che	consentono	una	distribuzione	sociale	
     del rischio di impresa.
    Accompagnare questo processo di imprenditorializzazione del lavoro è oggi una priorità delle
politiche di sviluppo della montagna. Si tratta di operare per offrire adeguati livelli di vita anche
in zone decentrate, valorizzando le opportunità di lavoro che possono nascere dal diffondersi
forme di auto impiego a livello locale. Dai piccoli comuni di montagna emerge una domanda di
intervento finalizzata a tre obiettivi prioritari:
•	 alla	creazione	di	nuova	imprenditorialità	endogena	fondata	sulla	diversificazione	e	integrazione	
    della struttura economica e sulla piena valorizzazione delle risorse locali;
•	 al	 rafforzamento	 del	 ruolo	 svolto	 alle	 imprese	 locali	 (agricole,	 artigianali	 e	 turistiche),	
    promovendone i caratteri di innovazione e di collegamento ai mercati;
•	 a	 potenziare	 il	 carattere	 di	 multifunzionalità	 delle	 attività	 economiche,	 con	 particolare	
    riferimento a quelle agricole e commerciali.
    La crescita di microimprese e di forme di lavoro autonomo, rilevabile in queste aree, nonostante
alcuni elementi di arretratezza che devono essere progressivamente corretti, non rappresenta
un’anomalia pre-moderna, ma una costruzione antropologica e sociale dotata di futuro, avendo le
carte in regola per essere parte attiva della nuova modernità. Se guardiamo al futuro ci accorgiamo
che esiste uno spazio crescente per lo sviluppo di forme distribuite di intelligenza produttiva, in cui
i molti nodi di una rete sono connessi da rapporti diretti di fiducia e cooperazione.
    Le nuove forme dei lavori si fondano su processi di individualizzazione e reticolarità: di
individualizzazione, perché alla produzione di valore economico partecipano ormai in misura



                                                                                                       9
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assolutamente rilevante le competenze delle singole persone che forniscono le proprie prestazioni
nelle diverse forme in cui ormai si articola il lavoro indipendente; di reticolarità, perché il lavoro
individuale non nega, anzi al contrario, richiede la crescita delle connessioni tra segmenti del
ciclo, tra diverse funzioni, tra singole competenze.
     Da questo punto di vista i territori montani rappresentano un laboratorio della modernità dove
assumono rilevanza le culture del lavoro radicare in queste aree ed i reticoli di cooperazione che -
come ben si evidenzia nel caso trentino - consentono una diffusione della microimpresa anche nei
territori più periferici ed uno sbocco delle produzioni sui mercati nazionali ed internazionali.
     Inoltre, i territori montani sono caratterizzati da competenze distintive, riconoscibili,
difficilmente riproducibili e banalizzabili, capaci di produrre valore aggiunto nelle reti globali. Nelle
aree montane è ormai diffusa la consapevolezza che modernizzazione non significa necessariamente
compromissione dell’ambiente e dei rapporti sociali, al contrario è possibile osservare:
•	 come	la	qualità	di	un	territorio	sia	un	bene	considerato	sempre	più	prezioso	anche	sul	piano	
     economico, molte realtà territoriali e imprenditoriali hanno imparato a fare della qualità
     ambientale un proprio vantaggio competitivo ed un’opportunità di business;
•	 come	 i	 meccanismi	 di	 coesione	 sociale,	 di	 identità,	 e	 di	 vivacità	 della	 cultura	 locale	 siano	
     considerate una precondizione essenziale per sviluppare offerte e competenze distintive e nel
     determinare, di conseguenza, l’efficienza e lo sviluppo dei territori montani, in un’ottica di
     modernizzazione sostenibile.
     Il concetto di modernità deve essere assunto come concetto chiave all’interno delle politiche di
sviluppo della montagna. Nel senso che la modernità o viene riconosciuta, valorizzata, governata,
oppure viene subita. Viene subita con la chiusura dei servizi e con l’apertura dei grandi centri
commerciali; con infrastrutture che attraversano il territorio senza dare risposte ai bisogni locali;
con flussi migratori che a volte producono spopolamento, ma altre volte producono problemi di
integrazione degli immigrati; con una “parchizzazione” del territorio che troppo spesso vincola
senza produrre sviluppo; con flussi turistici che hanno il solo risultato di consumare il territorio; con
la chiusura di attività produttive che non hanno gli strumenti per affrontare la competizione.
     Assumere la modernità come riferimento per la definizione di politiche dello sviluppo della
montagna non significa negare la tradizionale identità di un territorio, al contrario, un’identità
forte è oggi il presupposto per stare nella modernità. È urgente capire che, nell’epoca del produrre
per competere che stiamo vivendo, il territorio montano è uno spazio “glocale”, dove il locale si
unisce al globale.
    Nella modernizzazione i concetti di comunità ed identità locale – da sempre alla base delle
dinamiche di sviluppo di questi territori - si attualizzano e si esprimono attraverso la crescita:
•	 di	 interessi	 economici	 fondati	 sulla	 qualità	 del	 bene	 territorio	 nelle	 sue	 diverse	 accezioni	
    ambientale, culturale e produttiva e sulla sua conseguente capacità di generare flussi;
•	 di	forme	di	integrazione	tra	le	diverse	attività	presenti	localmente	volte	a	definire	un’immagine	
    unitaria di territorio;
•	 nel	consolidamento	di	un	sistema	di	reti	(locali,	metropolitane	e	globali),	capaci	di	garantire	
    qualità della vita e competitività del territorio in un’economia fatta di flussi.
    A mutare è il ruolo economico del territorio e la sua capacità attrattiva. Quello che conta nella
nuova economia è l’offerta che il territorio è in grado di proporre in termini di conoscenze, reti,
e qualità ambientale, non solo per quelle attività che fanno riferimento al territorio come fattore
produttivo strategico, ma anche per quei fattori di attrattività che, in particolare in una realtà
come quella trentina, risultano, sotto alcuni aspetti, già superiori alla media nazionale, ma che
devono essere incrementati al fine di garantire una maggiore diversificazione delle attività.


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2. Le motivazioni ed i risultati dell’intervento
   di animazione imprenditoriale


     L’intervento di animazione territoriale realizzato in provincia di Trento si colloca nell’ambito
del Documento Unico di Programmazione (Docup) 2000-2006 che - nell’Asse 1, Misura 1
“Interventi per l’insediamento, riconversione e riqualificazione delle piccole e medie imprese”- prevedeva la
possibilità di attivare interventi a favore delle piccole e medie imprese situate nelle zone decentrate
e marginali, favorendone la crescita occupazionale ed economica, creando condizioni a favore
dell’insediamento di attività economicamente sane ed in grado di competere sul mercato.
     In tale cornice - e in particolare nell’ambito della promozione di politiche di contesto di cui
alla lettera d) della suddetta Misura 1 - si colloca l’iniziativa, assunta dall’Autorità di gestione del
Docup, in collaborazione con l’Agenzia dello sviluppo provinciale (oggi Trentino Sviluppo SpA),
di definire un intervento di ‘animazione territoriale finalizzata alla promozione di forme di lavoro
autonomo e iniziative imprenditoriali nei comuni trentini ricadenti nelle aree obiettivo 2.
     Le motivazioni dell’intervento trovano uno specifico riferimento nelle conclusioni del valutatore
indipendente che, nelle raccomandazioni del rapporto di valutazione intermedia del Docup
– redatto nell’anno 2003 - individuava come: “un problema di fondo di alcuni comuni è legato alla
mancanza di tessuto imprenditoriale; gli interventi previsti dal DOCUP possono sicuramente stimolare nuovi
investimenti, ma sarebbe opportuno rafforzare strumenti di “animazione” che stimolino l’imprenditoria
anche nei territori più marginali, indirizzando quanto più possibile le azioni alle categorie di popolazione, in
particolare i giovani e le donne, che, se maggiormente motivate, potrebbero rispondere positivamente”. Tali
raccomandazioni evidenziavano la necessità di impostare un intervento di animazione capace di
coniugare la logica dell’agire sociale sul territorio con quella della cultura d’impresa
e del lavoro autonomo, mettendo in relazione le risorse umane con i beni materiali e immateriali
che costituiscono il patrimonio, spesso non valorizzato, di ogni comunità locale.
     L’intervento non si poteva quindi limitare ad una semplice attività di sportello volta a fornire
informazione sulle opportunità legislative a sostegno della creazione d’impresa, ma si doveva
caratterizzare come un intervento di animazione culturale che si propone di qualificare culture e
atteggiamenti dei soggetti locali rispetto ai temi del lavoro, dell’impresa e dello sviluppo territoriale in
relazione alle attuali dinamiche di trasformazione del sistema produttivo e del mercato del lavoro.
    Più che un semplice intervento di creazione di impresa, l’intervento si è quindi caratterizzato
come un’attività di accompagnamento del processo di “imprenditorializzazione del lavoro” che
costituisce uno dei principali caratteri evolutivi del postfordismo e che, anche nelle aree montane
marginali, si esplicita presentando aspetti peculiari.
     Sempre più, l’investimento a rischio sulle proprie capacità professionali è oggi una pratica
necessaria per accedere al mercato del lavoro a tutti i livelli dell’organizzazione sociale. Questo
impone l’attivazione di politiche che promuovano la cultura di impresa come strumento
di inclusione sociale. Si tratta, in sostanza, di favorire un processo di apprendimento sociale
orientato all’autoimprenditorialità ed al lavoro autonomo e quindi basato sull’investimento di
risorse che sono proprie dell’individuo: il proprio capitale umano, costituito dalle competenze,
abilità, capacità di assumersi il rischio di un’attività autonoma; il proprio capitale sociale,
che è fatto dalle relazioni che ciascuno è in grado di mobilitare per fini produttivi. Tutto ciò,
valorizzando al contempo quel sapere contestuale e quelle risorse territoriali che sono patrimonio
delle comunità locali (competenze distintive), in relazione ai processi evolutivi del mercato e dei
nuovi modelli di consumo che sono in buona parte di carattere esogeno.


                                                                                                            11
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     La caratteristica principale dell’intervento è stata la territorializzazione del processo di creazione
di impresa in stretta relazione con le dinamiche e con le progettualità di sviluppo locale che si
esprimevamo nei vari contesti trentini. L’azione si è sviluppata con attività di animazione realizzate
a livello dei singoli comuni e con attività di ricerca azione e assistenza tecnica alla creazione
di impresa condotte nell’ambito di microsistemi territoriali, in buona parte coincidenti con la
perimetrazione dei patti territoriali sviluppati in Provincia di Trento a partire da 2000.


Figura 1 Aree di intervento del progetto animazione imprenditoriale




                                     Comuni Obiettivo 2 non compresi nei patti territoriali
                                       Comuni Obiettivo 2 non compresi nei patti territoriali
                                     Comuni phasing out non compresi nei patti territoriali
                                       Comuni phasing out non compresi nei patti territoriali




     In estrema sintesi, l’intervento di animazione si è posto gli obiettivi di:
•	   sviluppare	 nell’insieme	 della	 comunità	 locale	 una	 più	 chiara	 comprensione	 dei	 fenomeni	
     economici e sociali che caratterizzano l’evoluzione dell’area;
•	   evidenziare	i	processi	evolutivi	del	mercato	e	dei	modelli	di	consumo	che	possono	trovare	a	livello	
     locale offerte imprenditoriali fondate sulla valorizzazione ed integrazione delle risorse locali;
•	   sviluppare,	in	particolare	tra	i	giovani,	un	diverso	approccio	al	mercato	del	lavoro	incentrato	sulla	
     valorizzazione delle proprie competenze e relazioni, sulla capacità di leggere le trasformazioni
     del mercato e sulla capacità di governare il rischio connesso all’attività di impresa;
•	   sviluppare	un	sistema	di	relazioni	tra	soggetti	istituzionali,	sociali	ed	imprenditoriali,	interne	
     e esterne alle aree di intervento, a sostegno delle nuove iniziative imprenditoriali ed in stretta
     relazione con le politiche di sviluppo locale attive nei territori di riferimento (principalmente
     i patti territoriali);
•	   creare	 nuove	 iniziative	 imprenditoriali	 e	 di	 lavoro	 autonomo,	 anche	 con	 funzioni	 di	
     integrazione del reddito, avvicinando il concetto di impresa alle reali esperienze di lavoro e di
     vita delle persone e valorizzando quelle che sono le specificità delle economie locali trentine.


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Trentino Sviluppo SpA




  BOX 1
  LE COORDINATE DELL’INTERVENTO DI ANIMAZIONE IMPRENDITORIALE

  ❑	 Intervento fortemente calato sul territorio e nella dimensione del sociale. L’intervento
     si sviluppa per microsistemi territoriali (Patti territoriali). Più che un intervento di
     creazione di impresa, l’azione si caratterizza come un accompagnamento del processo di
     “imprenditorializzazione del lavoro” che caratterizza l’evoluzione post-fordista dell’economia
     e della società (crescita delle forme di lavoro autonomo, atipico, ruolo del “capitalismo
     personale”.).
  ❑	 Intervento volto a valorizzare la cultura di impresa quale mezzo di inclusione sociale e
     come strumento cardine delle politiche attive del lavoro.
  ❑	 Intervento volto a rendere il concetto di impresa più aderente alle reali esperienze di lavoro
     e di vita delle persone, valorizzando quelle che sono le specificità delle economie locali
     trentine (per esempio l’intervento promuove anche le forme di integrazione del reddito
     tipiche delle economie montane).
  ❑	 Intervento volto a creare e consolidare le reti che consentono una “divisione sociale
     del rischio di impresa” che già caratterizzano l’economia dei sistemi locali trentini (es.
     ruolo della cooperazione). L’intervento intende in tal senso attivare, accanto all’offerta
     istituzionale (incentivi, assistenza tecnica, ecc.), anche una ”offerta di territorio” (ruolo
     dei Sindaci, delle categorie economiche, degli istituti bancari, relazioni produttive con
     imprese presenti sui territori, logiche di filiera, ecc.)
  ❑	 Intervento volto ad una comprensione socialmente diffusa dei processi di trasformazione
     economica che connotano le economie locali trentine nei settori dell’artigianato, del turismo,
     dell’agricoltura, dell’impresa sociale (es. valorizzazione dell’ “economia dell’esperienza” e
     nuovi servizi turistici, integrazione tra settori economici, plurifunzionalità dell’impresa
     agricola e commerciale, reti di subfornitura e di filiera, nuove forme dei servizi alle
     imprese e fattori immateriali dello sviluppo, lavoratori della conoscenza, impresa sociale
     di comunità e nuove forme di welfare mix, ecc.)
  ❑	 Intervento volto a supportare ed integrare, attraverso l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali
     e forme di lavoro autonomo, le strategie di sviluppo locale attivate con i patti territoriali.
  ❑	 Intervento volto al consolidamento e all’evoluzione degli strumenti di programmazione
     negoziata nei contesti locali (progettualità orientate ai fattori immateriali di sviluppo e alle
     reti lunghe di mercato.)
  ❑	 Intervento volto a supportare (attraverso l’esplicitazione della domanda sociale) la
     definizione di un’offerta istituzionale di stampo post-fordista (nuove politiche del lavoro e
     del welfare, della formazione, per l’imprenditorialità femminile, per l’innovazione, ecc.)




    I consistenti dati di partecipazione al progetto - in particolare di partecipazione agli incontri di
animazione realizzati nei comuni – sono testimonianza di una sensibilità e di una consapevolezza
socialmente diffusa rispetto alle trasformazioni del lavoro e della struttura produttiva.
    La lunga fase di confronto con la popolazione condotta nel corso di 129 incontri serali
nelle singole realtà comunali ha dato origine ai dati di flusso del progetto riportati nella
seguente tabella.


                                                                                                      13
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Tabella 1 Dati di flusso dell’attività di animazione imprenditoriale (periodo maggio 2005 - settembre 2008)

  n. incontri di animazione imprenditoriale nei comuni                                      129               -
  n. partecipanti agli incontri di animazione (schede di partecipazione)                   1.878        100,0%
  n. partecipanti che hanno manifestato interesse ad avviare un’attività autonoma          1.074         57,2%
  n. idee di imprese presentate (questionari di ingresso all’assistenza tecnica)            410          21,8%
  n. giornate dedicate a incontri di verifica e primo orientamento                           78               -
  n. partecipanti agli incontri di primo orientamento                                       391          20,8%
  n. di giornate di formazione sul piano di impresa effettuate                               54               -
  n. partecipanti agli incontri di formazione sul piano di impresa                          213          11,3%
  n. di piani di impresa elaborati                                                          135           7,1%
  n. progetti indirizzati alle associazioni di categoria                                     42           2,2%
  n. di progetti indirizzati ai servizi provinciali                                          53           2,8%
  n. di imprese avviate                                                                      75           3,9%



     Nelle schede di partecipazione alle serate di animazione, alla domanda sull’interesse ad avviare
una nuova attività, di qualunque tipo, (anche di integrazione del reddito) purché esercitata in
forma autonoma, ha risposto affermativamente il 57,2% dei partecipanti. Anche se poi,
un più limitato 21,8% dei partecipanti ha dato concretamente seguito a tale interesse compilando
il questionario di presentazione della propria idea imprenditoriale.
    Questi dati dimostrano come, anche nelle aree periferiche della provincia di Trento, la
modernizzazione del sistema economico - accompagnata da un processo di scomposizione delle
forme del lavoro - incida sulla percezione dei soggetti.
     A fronte del sostanziale blocco delle assunzioni nel settore pubblico, della chiusura di
importanti imprese localizzate in queste aree, dei processi di trasformazione delle economie
agricole e turistiche, dei processi di riorganizzazione produttiva nell’ambito di filiere di piccola
e media impresa, entrano in crisi i consolidati - seppur relativamente recenti - modelli fordisti di
produzione del reddito e di sicurezza sociale.
     Le preoccupazioni delle famiglie rispetto all’inserimento lavorativo dei figli, la necessità di
incrementare l’occupazione femminile, le opportunità di diversificazione ed integrazione delle
attività economiche, sono stati i principali argomenti emersi dal dibattito pubblico nel corso delle
serate di animazione.
     Il processo di imprenditorializzazione del lavoro è, in queste aree, un processo già dispiegato,
reso evidente dalla crescita delle forme del lavoro autonomo (in particolare nel settore artigiano e
terziario) dalla diversificazione dei modelli d’offerta turistica e delle produzioni agricole in settori
di nicchia, dal diffondersi di forme di lavoro atipico attraverso cui un crescente numero di giovani
– altamente scolarizzati - accede al mercato del lavoro.
     A sostenere questo processo, come vedremo in seguito, vi è spesso un recupero di memoria
fatto di cultura del lavoro, di dimensione di comunità e di legame con il territorio.




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3. Perché promuovere la microimpresa?


     Un intervento di animazione imprenditoriale condotto in aree montane fa principalmente
riferimento alla creazione di microimprese, se non - come nel nostro caso - a forme di lavoro
autonomo e attività integrative del reddito. Tale approccio non può essere dato per scontato in
quanto, nell’ambito del dibattito sulle politiche di sviluppo, incontra spesso obiezioni e rilievi
critici che meritano alcune riflessioni.
     Oggi all’interno del dibattito sulle prospettive economiche del nostro Paese prevale una
visione “declinista”, che pone al centro della propria riflessione i numeri spesso impietosi del PIL
nazionale, della contrazione delle quote di export, della scarsa qualificazione del capitale umano
e - in particolare - della mancanza di big players internazionali e del peso eccessivo delle piccole e
microimprese, per adombrare un destino per l’Italia di paese di seconda schiera. In un clima generale
di ricerca e di brama di imprese più grandi di quelle effettivamente esistenti a livello nazionale,
la categoria delle microimprese rappresenta - per molti analisti - un gruppo folto di maglie nere
verso le quali l’unica attenzione degna e possibile è la speranza di vederle almeno diminuire.
La piccola dimensione di impresa è da sempre considerata un’anomalia del sistema produttivo
italiano rispetto ad altri, un residuo di un’economia tradizionale destinato con il tempo a sparire.
Secondo tale interpretazione, le politiche di sviluppo dovrebbero essere indirizzate all’attrazione
di investimenti, alla formazione dei lavoratori, a sostenere l’incontro tra domanda e offerta di
lavoro, alla crescita delle imprese, e non certo ad aumentare la platea delle microimprese, incapaci
- secondo gli stessi analisti - di sostenere gli aumentati livelli di competitività.
     Un ulteriore filone critico, sviluppatosi nell’ambito del dibattito sul postfordismo, arriva
perfino a negare alla microimpresa lo statuto di vera e propria impresa. La commistione tra capitale
e lavoro, rilevabile nella piccola dimensione di impresa, fa saltare lo schema shumpeteriano
di divisione dei ruoli all’interno dell’impresa (capitale, management e forza lavoro) e nei fatti
nasconde i fenomeni di precarizzazione e di sfruttamento (e autosfruttamento) che caratterizzano
i nuovi modelli di organizzazione produttiva e del lavoro. Secondo questi analisti un organismo
che ha meno di tre dipendenti può essere chiamato “impresa” solo per ragioni ideologiche, cioè
per voler inquadrare nella borghesia capitalistica quello che è invece il variegato universo del
lavoro autonomo con un elementare grado di organizzazione1, fenomeno antico ma esploso proprio in
coincidenza del diffondersi di rapporti postfordisti.
     Tali rilievi critici, seppur in parte condivisibili in quanto evidenziano alcune debolezze
strutturali della piccola dimensione di impresa (più bassa produttività media del lavoro, minore
capitale per addetto, minore produttività per addetto, scarsità di capitale, indebitamento ecc.),
sembrano non prendere in considerazione alcune peculiarità di tipo quantitativo e qualitativo di
questo tipo di imprese ed il contributo che esse hanno dato, e continuano a dare, alla competitività
del sistema Paese.
    In Italia la piccola dimensione di impresa non identifica una categoria particolare, ma una
condizione tipica del produrre, del lavorare, del vivere. Una condizione, cioè, che riguarda la
maggior parte delle persone che sono, a vario titolo, coinvolte in attività produttive. In Italia fanno
impresa più di sei milioni di persone. La maggior parte di queste imprese, piccole o grandi che
siano, hanno dietro una famiglia. Se ne deduce che circa venti milioni di persone vivono del “fare



1   Sergio Bologna, “Ceti medi senza futuro? Scritti, appunti sul lavoro e altro”, DeriveApprodi, Roma 2007



                                                                                                                      15
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impresa”. Il tasso di natalità delle imprese è un record italiano, decine di migliaia ogni anno, i dati
sulla diffusione a livello nazionale contano un’impresa ogni dieci abitanti. Questi dati ci dicono
che le imprese sono un grande laboratorio di integrazione, appartenenza e mobilità sociale. A tale
proposito basterebbe citare i crescenti numeri di imprese dirette da donne o avviate da immigrati
extracomunitari. Il “fare impresa” è un bacino di importanti virtù civiche che non creano solo
ricchezza, ma anche valori socialmente condivisi.
     A livello nazionale il 47% circa della forza lavoro occupata nell’economia di mercato, lavora
in cosiddette “microimprese” con meno di dieci dipendenti, la cui dimensione media non supera i
2,7 addetti per impresa. Queste imprese “false”, che sono le imprese individuali e le microimprese,
sono le uniche che negli ultimi anni hanno aumentato l’occupazione, nel caso italiano - come
attestato dalla convergenza di alcune ricerche CNEL.2 - ma anche a livello europeo, come illustrato
nella seguente figura 2.


Figura 2 Sviluppo dell’occupazione (Europa 19) Fonte: Barriccelli www microimpresa.it




     Già partire dagli anni ’80, le piccole imprese, hanno cessato di rappresentare, nell’immaginario
collettivo, il residuo di modi pre-moderni di produrre e di competere. E questo è sostanzialmente
dovuto all’inaspettato successo competitivo della piccola dimensione di impresa che, con la crescita
delle economie distrettuali, le forti percentuali di esportazione, la qualità delle produzioni, l’innovazione
tecnologica, ha saputo conquistarsi il ruolo di asse portante dell’economia italiana. Migliaia di piccoli
imprenditori e di artigiani hanno rapidamente appreso la lezione della modernità innovando le loro
imprese, creando i distretti, la loro internazionalizzazione, il made in Italy e gran parte di quei fattori
che rendevano il nostro Paese un modello di flessibilità e di competizione, che dall’estero venivano a
studiare. I fattori che hanno dato competitività alla piccola dimensione di impresa sono molteplici:
•	 vi	è	senz’altro	il	coraggio	e	l’intelligenza	imprenditoriale	dei	soggetti;
•	 vi	 sono	 i	 vantaggi	 della	 flessibilità	 consentita	 dalla	 piccola	 dimensione,	 che	 con	 la	 crisi	 del	
     fordismo hanno assunto una nuova centralità;


2   Si veda in particolare CNEL, “Rapporto sul mercato del lavoro 2003”, Documenti n. 39, novembre 2004, in www.cnel.it.



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•	     vi	è	poi	la	capacità	di	avere	creato	appartenenze	economiche,	nel	senso	che	la	piccola	impresa	
       ha imparato a sentirsi parte di un sistema più vasto, (reti di imprese, sistemi di subfornitura,
       distretti) che gli ha permesso di perseguire strategie di specializzazione, raggiungere economie
       di scala e superare gran parte dei limiti connessi alla piccola dimensione.
    Sono questi i numeri e le risorse che ha portato a descrivere il capitalismo italiano come un
capitalismo molecolare, di piccole imprese in rete tra di loro, un capitalismo territorialmente e
socialmente diffuso, dove le imprese - per dirla alla Becattini3 - sono un progetto di vita.
     La piccola dimensione di impresa non è, comunque, una peculiarità solo italiana. La stessa
Unione Europea ha più volte riconosciuto il ruolo svolto dalla piccola impresa nella vita
economica e sociale del continente: ruolo indubbiamente rilevante se si pensa che poco meno
dell’80% delle imprese europee è collocato nella fascia dimensionale compresa tra 1 e 9 addetti,
mentre appare modesta l’incidenza delle medie e, soprattutto, delle grandi imprese.


Tabella 2 Micro, piccole e medie imprese manifatturiere nell’Europa a 27. Principali aspetti strutturali (2004, % sul
totale, salvo produttività del lavoro)

                           Numero                                                    Valore           Produttività
                                               Addetti           Fatturato
                          di Imprese                                                aggiunto             lavoro
     1-9 addetti              79,7               13,6               6,0               7,0                 23,6
     10-19 addetti            9,6                8,4                4,9                 6,0               32,2
     20-49 addetti            6,0                11,9               8,3                 9,4               36,1
     50-249 addetti           3,8                24,7               21,1               22,2               41,1
     Oltre 250 addetti        0,8                41,3               59,7               55,3               61,2

Fonte: elaborazioni Istituto G. Tagliacarne su dati Eurostat

     La centralità della piccola dimensione di impresa è stata riconosciuta nel dibattito economico
europeo sin dalla “Nuova definizione di PMI” entrata in vigore dal 1 gennaio 20054. Due sono state le
tappe fondamentali di questo percorso: il Consiglio di Lisbona (23-24 marzo 2000) e l’approvazione
della “Carta europea della piccola impresa” da parte del Consiglio di Feira (Portogallo, 19-20
giugno 2000). In quest’ultimo documento è stato riconosciuto esplicitamente che “le piccole imprese
costituiscono il motore dell’innovazione e dell’occupazione in Europa” e vengono formulate dieci linee
d’azione dirette a promuovere l’imprenditorialità e migliorare il contesto delle piccole imprese.
     Secondo i dati dell’Osservatorio europeo sulle piccole imprese il nuovo imprenditore europeo è
giovane ha un’età media di 35 anni e fa impresa sulla base di un know-how acquisito in precedenza,
fatto che diviene particolarmente marcato nel caso degli imprenditori nel settore dei “servizi alle
imprese” e nell’”alta tecnologia”, che hanno raggiunto un livello di istruzione più elevato rispetto
a quelli del settore manifatturiero. Una microimpresa su cinque è gestita da una donna: oltre il
29% di tutti gli imprenditori europei sono donne, e le loro imprese sono attive principalmente nei
settori commerciali e vendite e nei servizi personali. Nei contesti metropolitani una nuova azienda
ogni tre, ha come titolare un immigrato.
    Il maggior ruolo della microimpresa nel contesto italiano è invece evidenziato dai dati ISTAT
(archivio ASIA). Nel 2006 sono oltre 4,4 milioni le imprese attive nell’industria e nei servizi, che
occupano complessivamente circa 17,1 milioni di addetti. La prevalenza di micro imprese


3    Becattini G., Dal distretto industriale allo sviluppo locale, Bolatti Boringhieri 2000 Torino.
4    Raccomandazione della Commissione 96/3617CE, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese,
     piccole e medie imprese, GU L.124 del 20 maggio 2003, pp.36-41.



                                                                                                                   17
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nel sistema produttivo italiano è testimoniata dalle oltre 4 milioni di imprese con
meno di 10 addetti: esse rappresentano il 95 per cento del totale e, come già detto,
occupano il 47 per cento degli addetti.


Tabella 3 Italia - Imprese e addetti per classi di addetti e settore di attività economica – Anno 2006 Fonte: Istat,
Archivio Statistico delle Imprese Attive


                               ATTIVITÀ ECONOMICHE
  CLASSI       Industria                    Commercio                          Totale
DI ADDETTI in senso stretto Costruzioni                     Altri servizi
                                             e alberghi
    (a)
          Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti
  1            176.641    177.564    316.020    318.778   823.536   823.338 1.250.245 1.246.302 2.566.442 2.565.982
  2-9          254.691 1.005.095 247.769        862.987   640.602 2.067.554 476.841 1.489.323 1.619.903 5.424.958
  10-19         52.748    706.507     22.856    294.606   37.482    483.988    29.301    383.551    142.387 1.868.652
  20-49         24.681    738.204     6.432     185.963   11.174    327.230    12.999    393.442    55.286    1.644.838
  50-249        10.397    999.374     1.468     124.814    3.362    313.171     7.221    725.532    22.448    2.162.891
  250 e più     1.461    1.103.571         84   51.462     512      527.227     1.485   1.767.170    3.542    3.449.430
  Totale       520.619 4.730.313 594.629 1.838.610 1.516.668 4.542.507 1.778.092 6.005.319 4.410.008 17.116.750
(a) Poiché il numero degli addetti di un’impresa è calcolato come media annua, la classe dimensionale ‘1’ comprende
le unità con in media fino a 1,49 addetti; la classe ‘2-9’ comprende quelle con addetti da 1,50 a 9,49, e così via.

     Analizzando il peso, in termini di addetti, dei differenti settori economici all’interno di singole
classi dimensionali (figura 3), si rileva che l’incidenza dell’industria in senso stretto è minima nelle
imprese più piccole (6,9 per cento) e cresce all’aumentare della classe dimensionale, raggiungendo
il valore più elevato nella media impresa (da 50 a 249 addetti), dove quasi il 50 per cento
dell’occupazione compete proprio all’industria in senso stretto. I settori economici del terziario
sono quelli caratterizzati dalla maggiore presenza di micro e piccole imprese; infatti, tra le imprese
che occupano fino a 10 addetti sono più numerose quelle dei settori del Commercio e alberghi e
degli Altri servizi (complessivamente rappresentano oltre il 76,2 per cento delle microimprese).


Figura 3 Addetti per settore di attività economica e classi di addetti – Anno 2006 (composizioni percentuali)




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    Vista la struttura del sistema produttivo italiano, caratterizzato dalla presenza preponderante
di microimprese, un segmento di particolare importanza da analizzare è quello delle imprese
senza lavoratori dipendenti, il cui input di lavoro è costituito esclusivamente da lavoratori
indipendenti. (figura 4). Le imprese senza lavoratori dipendenti in Italia ammontano a
circa 2 mln e 923 mila (66,3 per cento del totale delle imprese attive). Una presenza di
imprese senza dipendenti ben oltre la media nazionale si ha nei settori dei Servizi alle imprese (80,9
per cento) e del Commercio e riparazioni (71,9 per cento). È questo un segmento particolarmente
significativo, non solo per il suo dato dimensionale, ma anche dal punto di vista qualitativo. È in
questo segmento, infatti, che si vanno a collocare i nuovi e molteplici lavori ad alto contenuto
professionale che accompagnano il processo di terziarizzazione del nostro apparato produttivo
minuto ed in cui a prevalere sono le caratteristiche di individualità ed autonomia.


Figura 4 Imprese senza dipendenti per settore di attività economica – Anno 2006 (valori percentuali)




    In provincia di Trento le imprese attive nell’industria e nei servizi, secondo i dati ASIA
2005, sono 39.867 e occupano 160.379 addetti; di queste 6.482 sono localizzate nelle aree Docup
(obiettivo 2 + phasing out) e occupano 22.146 addetti. Nelle aree Docup sono quindi localizzate
il 16,2 % delle imprese ed il 13,8 % degli addetti della provincia.
    In provincia, le microimprese sono 37.508 pari al 94% del totale delle imprese
attive e occupano il 50,2% degli addetti a livello provinciale. La percentuale delle
microimprese sul totale delle imprese attive nelle aree Docup è superiore solo di mezzo
punto percentuale al dato provinciale (94,5%), ma contribuiscono maggiormente
all’occupazione, con ben il 59,1% del totale degli addetti sul totale degli addetti
nelle stesse aree.


                                                                                                             19
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Tabella 4 Ruolo della microimpresa (< di 10 addetti) confronti territoriali

                                                       Microimprese (%)              Addetti nella microimpresa (%)
  Italia                                                        95,0                               47,0
  Provincia di Trento                                           94,0                               50,2
  Aree Docup della provincia di Trento                          94,5                               59,1


Tabella 5 Imprese e addetti per classe di addetti e settore di attività economica secondo l’archivio ASIA (2005)
Fonte: Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive
                                                 Provincia di Trento
                              Industria                           Commercio e
                                               Costruzioni                              Altri servizi          Totale
     Classe di addetti    in senso stretto                          alberghi
                          Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti
  1 addetto                1.544     1.627    3.865     4.064    5.585    5.950       10.897 11.178 21.891 22.820
  Da 2 a 9 addetti         1.981     8.239    2.377     9.281    6.928    25.675       4.331   14.546 15.617 57.741
  Da 10 a 19 addetti        381      5.347     300      4.120     524     7.058         241     3.207     1.446   19.732
  Da 20 a 49 addetti        217      6.602     121      3.631     146     4.407         144     4.427     628     19.067
  Da 50 a 249 addetti        97      9.614      30      2.238      39     3.488         92      9.699     258     25.038
  250 addetti ed oltre       12      5.988       -        -        6      3.117          9      6.875      27     15.980
  Provincia                4.232    37.418    6.693    23.334 13.228 49.695 15.714 49.932 39.867 160.379

                                   Comuni phasing out della provincia di Trento
                              Industria                           Commercio e
                                               Costruzioni                              Altri servizi          Totale
     Classe di addetti    in senso stretto                          alberghi
                          Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti
  1 addetto                 192       201      467       494      573         609       733      754      1965     2058
  da 2 a 9 addetti          252      1083      307     1.170      601         2204      273      854      1433     5311
  da 10 a 19 addetti         41       577       34       461       37         506       16       188      128      1732
  da 20 a 49 addetti         17       542       10       315       14         413        8       237       49      1508
  da 50 a 249 addetti         9      1103       5        318       4          449        4       485       22      2355
  250 addetti ed oltre
  Totale                    511      3506      823      2758      1229        4182     1034     2518      3597     12964

                                   Comuni Obiettivo 2 della provincia di Trento
                              Industria                           Commercio e
                                               Costruzioni                              Altri servizi          Totale
     Classe di addetti    in senso stretto                          alberghi
                          Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti
  1 addetto                 143       149      491       510      430         463       510      517      1574     1638
  da 2 a 9 addetti          219       913      255       993      475         1521      205      679      1154     4106
  da 10 a 19 addetti         51       716       28       396       11         145       12       174      102      1432
  da 20 a 49 addetti         22       639       12       372       3           86        9       254       46      1351
  da 50 a 249 addetti         5       432       2        120       2          121        0        0        9        673
  250 addetti ed oltre
  Totale                    440      2849      788      2391      921         2336      736     1624      2885     9200

     Il peso in termini di addetti, dei differenti settori economici all’interno delle singole classi dimensionali
(figura 5) conferma quanto evidenziato a livello nazionale: si rileva che l’incidenza dell’industria in senso
stretto è minima nelle imprese più piccole e cresce all’aumentare della classe dimensionale, mentre i
settori economici del terziario sono caratterizzati dalla presenza di micro e piccole imprese.


20
Trentino Sviluppo SpA




Figura 5 Addetti per settore di attività economica e classe di addetti. Anno 2005 (composizioni percentuali) Fonte:
Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive


                                                                 PROVINCIA TRENTO

                    60,0


                    50,0


                    40,0


                    30,0


                    20,0


                    10,0


                     0,0
                            1 addetto         Da 2 a 9        Da 10 a 19       Da 20 a 49     Da 50 a 249     250 addetti ed     Totale
                                               addetti         addetti          addetti         addetti            oltre

                                 Industria in senso stretto          Costruzioni         Commercio e alberghi        Altri servizi




                                                                       Phasing out

                   50,0

                   45,0

                   40,0

                   35,0

                   30,0

                   25,0

                   20,0

                   15,0

                   10,0

                    5,0

                    0,0
                            1 addetto      Da 2 a 9 addetti    Da 10 a 19       Da 20 a 49      Da 50 a 249     250 addetti ed         Totale
                                                                addetti          addetti          addetti           oltre


                                       Industria in senso stretto          Costruzioni      Commercio e alberghi         Altri servizi




                                                                 Comuni obiettivo 2

                  70,0


                  60,0


                  50,0


                  40,0


                  30,0


                  20,0


                  10,0


                   0,0
                           1 addetto     Da 2 a 9 addetti     Da 10 a 19       Da 20 a 49      Da 50 a 249     250 addetti ed        Totale
                                                               addetti          addetti          addetti           oltre


                                   Industria in senso stretto          Costruzioni        Commercio e alberghi         Altri servizi




                                                                                                                                                           21
Trentino Sviluppo SpA




    Le imprese senza lavoratori dipendenti (si vedano tab. 6 e fig. 6) sono: il 60,9% in
provincia di Trento, il 61,7% nei comuni phasing out e il 63,6% nei comuni obiettivo 2. Le
percentuali più alte di imprese senza lavoratori dipendenti si rilevano nel settore dei servizi (73,3
in Provincia, 76,2 nelle aree phasing out, 76,5 nelle aree obiettivo 2). In particolare nelle aree
obiettivo 2, istruzione (100%), sanità ed altri servizi sociali (85,2%) seguiti dai servizi alle imprese
(82,1%) rappresentano i principali settori di autoimpiego.


Tabella 6 Imprese senza dipendenti in provincia di Trento per settore di attività economica, percentuale sul totale
delle imprese del settore. Fonte A Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive 2005.

                                                                                                   Comuni                           Comuni
                                                                                                                                                                 Provincia
                                                                                                  obiettivo 2                     phasing out
                                                                                                                                                                    %
                                                                                                      %                                %
  Industria in senso stretto                                                                        43,0%                            46,6%                        43,6%
  Costruzioni                                                                                       66,8%                            59,5%                        60,6%
  Commercio e alberghi                                                                              60,5%                            57,2%                        52,0%
  Servizi                                                                                           76,5%                            76,2%                        73,3%
  Totale                                                                                            63,6%                            61,7%                        60,9%


Figura 6 Imprese senza dipendenti in Provincia di Trento, per settore di attività. Fonte: Servizio statistica PAT,
Archivio Statistico delle Imprese Attive 2005.


                                                                Industria in senso stretto

                                                    Estrazione di minerali non energetici

                                      - Industrie alimentari delle bevande e del tabacco

                                                   - Industrie tessili e dell'abbigliamento

               - Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio , pelle e similari

                                              - Industria del legno e dei prodotti in legno
      - Fabbricazione della pasta carta, della carta e dei prodotti in carta; stampa ed
                                          editoria
                                                            - Cokerie, raffinerie di petrolio

                     - Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali

                - Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi

                         - Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo
     - Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici compresi l'installazione, il
                       montaggio, la riparazione e la manutenzione
     - Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche

                                                   - Fabbricazione di mezzi di trasporto

                               - Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche

                                                           - Altre industrie manifatturiere

            Produzione e distribuzione di energia elettrica, di gas, di vapore e acqua

                                                                                Costruzioni

                                                                    Commercio e alberghi

                           Commercio e riparazioni di autoveicoli e di beni per la casa

                                                              Alberghi e pubblici esercizi

                                                                                     Servizi

                                             Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni

                                                 Intermediazione monetaria e finanziaria
       Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed
                                          imprenditoriali
                                                                                 Istruzione

                                                              Sanità e altri servizi sociali

                                                 Altri servizi pubblici, sociali e personali

                                         Servizi domestici presso famiglie e convivenze

                                                                                           0,0%    10,0% 20,0%    30,0%   40,0%    50,0% 60,0%   70,0%   80,0% 90,0% 100,0%

                                                              Comuni obiettivo 2      Comuni phasing out   Provincia




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     La lettura dei dati sopra riportati evidenzia come il peso degli operatori di ridotte dimensioni
a livello nazionale e provinciale (ma abbiamo visto anche a livello europeo) è tale che risulta
difficile pensare ad una crescita del tessuto economico prescindendo dallo sviluppo della piccola
e piccolissima impresa.
     Con ciò, non si intende riproporre la retorica del “piccolo e bello”, ne aprire una stagione di
contrapposizione ideologica tra grandi e piccole imprese. Piccole e grandi imprese devono oggi
essere riconosciuti come attori necessari, di pari importanza, nelle prospettive economiche del
prossimo futuro, in quanto svolgono ruoli complementari. La struttura reticolare ed integrata del
nostro sistema produttivo dimostra, infatti, come sul territorio le imprese si incontrano
e collaborano a prescindere dalle dimensioni. Il nostro sistema produttivo (nazionale e
trentino) è “uno solo”: un sistema produttivo in cui operano poche grandi imprese transnazionali;
molte medie imprese che si affacciano sui mercati internazionali pur mantenendo un forte
radicamento territoriale; una moltitudine di piccole imprese e un tessuto diffuso degli artigiani
che operano nelle filiere e nelle nicchie di specializzazione; un numero crescente di microimprese
e lavoratori autonomi che operano nel ciclo dei nuovi servizi terziari alle imprese ed al territorio.
     Oggi l’impresa è innovativa e competitiva non in base alle sue dimensioni e alle sue
capacità di investimento, ma in base all’estensione e articolazione delle sue reti: di
mercato, di collaborazione, di supporto alle nuove funzioni. Più le imprese sono piccole e più
devono economizzare lo scarso capitale di cui dispongono, facendo leva sull’outsourcing, ossia
sul capitale degli altri. In tal senso le nostre piccole imprese hanno saputo inventarsi forme
originali di innovazione dei loro cicli produttivi, che non passano per forti investimenti di capitali
(che non potrebbero fare), ma per alleanze, collaborazioni, specializzazioni, focalizzazioni su
nicchie produttive ad elevata sostenibilità. Il gioco dell’innovazione si basa sullo scambio delle
conoscenze. Dallo scambio di informazioni ed esperienze tra diverse unità produttive spesso si
realizzano innovazioni pari - e probabilmente anche migliori - di quelle che nascono nei laboratori
di ricerca.
     Le politiche a sostegno delle imprese non devono solo, o necessariamente, intervenire sulla
crescita dimensionale del nostro apparato produttivo, curandolo dall’endemica malattia del nanismo,
ma incrementare il capitale relazionale che serve per produrre in un’epoca di globalizzazione ed il
capitale intellettuale che è assolutamente necessario per passare dalla produzione materiale a quella
immateriale.
    Tale strategia di supporto allo sviluppo locale assume particolare rilevanza nelle aree montane,
caratterizzate da una minore dimensione delle imprese.
      “La nostra è una realtà in cui c’è altissima quota di microimprese. Questa è un po’ una caratteristica
      della nostra provincia, anche perché siamo un territorio montano. La caratteristica di questi ultimi anni è
      l’aumento abbastanza importante delle nuove iniziative. Arriva il piccolo imprenditore, parte e ha bisogno
      del finanziamento. Aiutiamo anche l’impresa più strutturata, ma la realtà nostra è stata quella della micro
      impresa”. Responsabile Consorzio artigiano di garanzia

    Gran parte delle micro e piccole imprese trentine risulta ben radicata nel territorio operando
prevalentemente in un’area territoriale molto ristretta. Nell’ambito delle proprie attività la piccola
azienda svolge, quindi, un’importante funzione non solo economica, ma anche sociale contribuendo
a produrre e a rafforzare forme di coesione a livello territoriale, vere e proprie comunità locali.
     Nel contempo, le micro e piccole imprese hanno continuato ad operare all’interno dei settori
tradizionali specializzandosi spesso in prodotti di nicchia (unici e, spesso, inimitabili). Molte di
esse, pur rimanendo piccole e mantenendo una struttura a carattere prevalentemente familiare,
hanno adottato una serie di strategie di networking con altre imprese attraverso, soprattutto, il



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rafforzamento della loro presenza in filiere produttive, reti di impresa e di cooperazione, al fine di
acquisire i vantaggi e le economie di scala tipiche delle imprese di medio-grandi dimensioni.
     Inoltre, molte micro e piccole imprese si sono spostate, attraverso un processo di upgrading
qualitativo dei prodotti, verso fasce di mercato sempre più elevate e di nicchia (soprattutto all’interno
dei settori tradizionali) riuscendo in tal modo a mantenere una posizione competitiva sui mercati.
    Queste caratteristiche della microimpresa, evidenziano come, più che l’imprese in quanto
tali, sono le persone che le popolano e i territori che le ospitano a dover essere oggetto
di interventi di sviluppo locale.
     La piccola impresa, prima che piccola, è un’impresa personale. È il luogo e il sistema in cui
la persona si imprenditorializza, mettendo al servizio dell’impresa le sue risorse, e dove l’impresa
si personalizza, assumendo le fattezze e l’intelligenza delle persone che la popolano. La piccola
impresa, proprio perché piccola, è legata al territorio da cui trae i fattori che determinano il suo
vantaggio competitivo. È dal territorio che la piccola impresa trae i vantaggi della divisione del
lavoro e della condivisione delle conoscenze, mediate da relazioni interpersonali e dal capitale
sociale. Ecco che allora promuovere l’imprenditorialità delle persone e del territorio - sostenendo
la nascita di microimprese ed il consolidamento di filiere e reti produttive che vanno oltre la
dimensione locale - assume un ruolo strategico nello sviluppo delle aree montane, non solo per
l’obbiettivo quantitativo di creare opportunità occupazionali in loco, ma per l’obbiettivo qualitativo
di infrastrutturare e rafforzare la competitività delle economie locali.
    L’imprenditorialità diffusa alimenta un certo modo di essere e di funzionare della nostra
economia. Un modo che, nel bene e nel male, costituisce la piattaforma di esperienza e di
competenza da cui partire per affrontare la nuova concorrenza. Infatti:
•	 la	 rete	 di	 piccole	 imprese	 è	 un	 serbatoio	 di	 creatività (persone) e di intelligenza relazionale
    (reti personali, servizi). Se si ci propone di andare verso attività centrate sulla produzione di
    significati e sull’interazione comunicativa, l’esistenza delle reti di piccola impresa costituisce
    un asset da valorizzare;
•	 la	rete	di	piccole	imprese	è	un	generatore di nuova imprenditorialità, perché, grazie alla minuta
    divisione del lavoro realizzata nelle reti, riduce le barriere all’ingresso di chi vuole “mettersi in
    proprio” pur avendo un capitale limitato e competenze confinate solo ad uno specifico campo.
    La presenza di elevate barriere all’ingresso per il self-employment è uno degli elementi di rigidità
    principali dell’organizzazione fordista, perché impedisce a chi ha un’idea innovativa, a chi si
    trova a fare un lavoro che non corrisponde alle sue aspirazioni o a chi rimane senza lavoro di
    rimboccarsi le maniche e investire su se stesso, avviando una nuova iniziativa. Solo in presenza
    di ridotte barriere all’accesso (e dunque solo in presenza di un tessuto diffuso di piccole
    imprese) i sistemi industriali possono attivare quelle dinamiche dal basso che rinnovano il
    tessuto imprenditoriale e che mantengono la piena occupazione;
•	 la	 rete	 di	 piccole	 imprese	 funziona	 come	 un	 integratore sociale che consente di collegare in
    forme ragionevoli le esigenze della vita privata con quelle della vita produttiva. Persone,
    famiglie, reti amicali e religiose, servizi privati e pubblici si sovrappongono sul territorio per
    ricercare soluzioni socialmente utili che siano compatibili con le esigenze della produzione.
    In questo senso, anche il welfare può assumere forme flessibili che modulano, sul territorio,
    esigenze concrete, senza delegare il tutto a regole astratte, spesso inutili o controproducenti.
•	 la	rete	di	piccole	imprese	è	un	circuito di apprendimento che genera conoscenze sperimentali
    e condivise, attraverso un processo di specializzazione/ integrazione straordinariamente
    efficace in certi campi. Rendendo queste conoscenze facilmente accessibili a chi condivida
    l’esperienza del contesto, la rete di piccole imprese costituisce una “scuola” di professionalità
    e imprenditorialità che alimenta l’apprendimento sociale e lo sviluppo delle conoscenze


24
Trentino Sviluppo SpA




     impiegate nella produzione. In effetti, in sistemi di piccola impresa, l’intelligenza terziaria
     non sta all’interno di piramidi organizzative chiuse (proprietarie), ma sta nel settore delle
     piccole società di servizi, che vendono soluzioni, idee, informazioni alle imprese utilizzatrici.
     Esternalizzando i servizi e le conoscenze che essi contengono, il sistema della piccola impresa
     rende disponibile alle singole persone il sapere sociale accumulato nel corso delle esperienze
     di migliaia di aziende, abilitando in questo modo il singolo a tentare proprie sperimentazioni
     e varianti.
     Tutte queste funzioni hanno un impatto positivo sull’economia generale. E costituiscono un
tratto caratterizzante dell’economia del capitalismo personale.5




5   A. Bonomi – E. Rullani “ Il capitalismo personale: vite al lavoro” Einaudi 2005



                                                                                                        25
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4. Agire per un riequilibrio territoriale


    L’armonica distribuzione della popolazione sul territorio rappresenta una peculiarità e una
garanzia del sistema sociale e culturale trentino: i piccoli comuni sono un modello insediativo
fondamentale per il presidio e la gestione del territorio montano ed un’alternativa percorribile
per contenere uno sviluppo sbilanciato che favorisce la concentrazione di popolazione nelle aree
urbane di fondovalle.
      In provincia di Trento, i comuni in condizioni di marginalità (compresi nell’area obiettivo
2 delle politiche comunitarie) rappresentano più del 27% del numero complessivo di comuni
della provincia, ma pesano solo per il 9,6% in termini di popolazione. Questi semplici numeri ci
indicano come in queste aree rientrino comunità di dimensioni più ridotte di quelle, già piccole,
che caratterizzano in media il Trentino. Se a tale circostanza si aggiunge il fatto che tali comuni si
situano spesso alla periferia del territorio provinciale, o comunque in aree di non agevole accesso,
si comprende perché i punti di forza caratterizzanti la struttura socio-economica della provincia vi
si ritrovino attenuati.
     A fronte di questa situazione le politiche della Provincia di Trento sono rivolte all’obiettivo
globale di intervenire sullo spopolamento delle zone decentrate. Questo per riequilibrare un
territorio, dove seppur non emergano particolari problemi legati alla disoccupazione, si assiste ad
un depotenziamento delle comunità locali che si manifesta in processi di emigrazione e, ancor
più, in consistenti fenomeni di pendolarismo per motivi di lavoro e di studio verso le aree di
fondovalle.
     Tra le cause e conseguenze dello spopolamento, vi è un indebolimento delle reti che
consentono di fare comunità locale, una progressiva chiusura di servizi di base, il diradamento dei
punti commerciali e una progressiva carenza di sistemi di vitalità sociale. L’invecchiamento della
popolazione, il calo della natalità, l’emigrazione, il pendolarismo sono al contempo causa ed effetto
del lento scomparire di tante micro autonomie funzionali comunitarie come gli uffici postali, le
scuole, gli ospedali, o per scendere più nel micro, del circolo, del bar, del negozio di paese. Seppure
in Trentino questo fenomeno sia attenuato da politiche istituzionali rese possibili dallo statuto di
autonomia e non sia paragonabile a ciò che avviene in altre aree montane, vengono comunque
meno i parametri per una gestione “economica” dei servizi e questo determina un impoverimento
della società locale che accelera, anziché fermare, l’esodo.
     Nell’ultimo decennio le politiche, sia provinciali, sia europee, volte a ridurre gli squilibri
territoriali, hanno permesso un rallentamento del fenomeno migratorio e hanno evidenziato
la presenza di segnali di vitalità della montagna. Sebbene i comuni rientranti nell’area
obiettivo 2 perdano popolazione in ogni fotografia decennale rilevata, nell’ultimo periodo si
registra un’inversione di segno e un incremento di popolazione, anche se molto contenuto e
inferiore di ben tre volte rispetto a quello provinciale. Questa tendenza si consoliderà solo se
i piccoli comuni riusciranno, attraverso la creazione di opportunità di lavoro a livello locale, a
contrastare l’emigrazione ed il pendolarismo e se godranno di una capacità di attrazione pari, o
meglio maggiore, a quella della provincia perché solo così si potrà contribuire a consolidare il trend
positivo. Si tratta pertanto di operare per offrire adeguati livelli di vita anche in zone decentrate,
puntando prioritariamente alla creazione di opportunità di lavoro a livello locale.
      “Il problema di Valfloriana è lo spopolamento dovuto alla mancanza di opportunità di lavoro. È partita la
      generazione degli anni ’60, ’70, sono andati via a Trento, a Bolzano, a Milano. In questo paese siamo più o
      meno 540 residenti; negli ultimi 3 o 4 anni siamo calati di 30 adulti: oggi abbiamo una popolazione molto



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  • 1. Repubblica Italiana Provincia autonoma Unione Europea Ministero dello di Trento FESR Sviluppo Economico FARE MICROIMPRESA IN MONTAGNA La domanda di autoimprenditorialità nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento Quaderni di territorio volume 2 A cura di Sergio Remi Gruppo di lavoro: Claudio Filippi, Walter Nardon, Paola Piazzi Daniela Sannicolò, Iris Visentin
  • 2. Il presente rapporto riporta i risultati del progetto DOCUP “Animazione imprenditoriale nelle aree obiettivo 2 della provincia di Trento” realizzato da Trentino Sviluppo SpA e promosso dall’Assessorato alla programmazione, ricerca e innovazione della Provincia Autonoma di Trento.
  • 3. Trentino Sviluppo SpA Sommario Premessa 5 Presentazione 7 1. I processi di modernizzazione dei territori montani 9 2. Le motivazioni ed i risultati dell’intervento di animazione imprenditoriale 13 3. Perché promuovere la microimpresa? 17 4. Agire per un riequilibrio territoriale 28 5. Fare alleanza tra vecchia e nuova economia 34 5.1 Il turismo 36 5.2 L’artigianato 40 5.3 L’agricoltura 47 6. La promozione dell’autoimprenditorialità in un contesto di piena occupazione 52 7. Quale propensione al rischio di impresa? 55 8. Il sindaco imprenditore 61 9 L’impresa sociale di comunità 67 10. L’articolazione dell’intervento di animazione imprenditoriale 70 10.1 L’offerta istituzionale 74 10.1.1 Il raccordo con gli strumenti di programmazione negoziata 74 10.1.2 Il raccordo con le politiche del lavoro e del welfare 75 10.1.3 Il raccordo con le politiche volte a promuovere le filiere produttive 77 10.2 L’offerta di territorio 78 10.3 La domanda sociale: l’animazione imprenditoriale a livello comunale 79 10.4 L’assistenza tecnica all’elaborazione del piano di impresa 82 10.4.1 I colloqui individuali sul territorio 82 10.4.2 Gli incontri di assistenza tecnica all’elaborazione del “job plan” 84 10.5 L’accompagnamento alla fase di start-up 94 11. La domanda di imprenditorialità emersa nelle aree obiettivo 2 96 11.1 Analisi delle schede di partecipazione agli incontri di animazione imprenditoriale 96 11.1.1 Distribuzione dei partecipanti a livello comunale 96 11.1.2 Gli utenti del percorso di animazione 97 11.1.3 Interesse ad avviare un’attività di lavoro autonomo 98 11.1.4 Tipologia d’impresa e settore di attività in cui si vorrebbe intraprendere 99 11.1.5 Interesse per i servizi di Trentino Sviluppo 101 1
  • 4. Trentino Sviluppo SpA 11.1.6 Osservazioni sul dibattito pubblico 102 11. 2. Analisi dei questionari di presentazione dell’idea di impresa 105 11.2.1 La distribuzione delle idee di impresa per territorio 106 11. 2.2 Questionari presentati per patto territoriale 110 11.2.3 La distribuzione delle idee di impresa per sesso del proponente 113 11.2.4 Attuale occupazione dei proponenti 114 11.2.5 Titolo di studio dei proponenti 114 11.2.6 Settore di attività dei progetti di impresa 117 11.2.7 Progetti di impresa per settore e per ambito territoriale 119 11.2.8 Attività a tempo pieno o a tempo parziale 121 11.2.9 Tipo di impresa che si intende avviare 122 11.2.10 Forma giuridica 123 11.2.11 Precedenti esperienze di lavoro autonomo 124 11.2.12 Esperienze nel settore in cui si intende intraprendere 125 11.2.13 Competenze nella produzione del bene/servizio 126 11.2.14 Competenze nella commercializzazione 127 11.2.15 Competenze nell’amministrazione 127 11.2.16 Conoscenza del mercato 128 11.2.17 Tipologia e numero dei potenziali clienti 129 11.2.18 Principale canale di vendita e modalità di promozione del prodotto o servizio 130 11.2.19 Tipologia di concorrenza 131 11.2.20 Differenziazione del proprio prodotto /servizio 133 11.2.21 Conoscenza collocazione dei fornitori 133 11.2.22 Individuazione spazi e quantificazione investimenti per l’avvio dell’attività 135 11.2.23 Conoscenza dell’iter autorizzativo per l’avvio dell’attività 136 11.2.24 Modalità di reperimento capitale necessario 136 11.2.25 Individuazione prezzi da praticare e fatturato necessario per il punto di pareggio 137 11.2.26 Sintesi conoscenze complessive sulla gestione di un’impresa 139 11.2.27 Aiuti necessari per aprire una nuova attività 141 12. Le imprese avviate 144 13. Conclusioni: Quali politiche per la promozione dell’autoimprenditorialità. 169 13.1 La fluidità del mercato del lavoro 171 13.2 Reti, filiere e comunità professionali 179 13.3 L’accessibilità ai mercati 181 13.4 La semplificazione amministrativa 183 13.5 Nuovi modelli di welfare e rappresentanza 184 Bibliografia 189
  • 5. Trentino Sviluppo SpA Premessa Per fare impresa non è indispensabile essere grandi. L’affermazione trova conferma nel lavoro di ricerca realizzato da Trentino Sviluppo in un territorio per sua natura poco incline a far nascere e crescere nuove iniziative imprenditoriali. L’attività di animazione, condotta con impegno e passione da Sergio Remi e dalla sua equipe, ha permesso di dimostrare, dati alla mano, come possa esistere una visione diversa di sviluppo, che si misura sulla capacità di proporre percorsi differenti, facendo leva sul cambiamento che l’intera economia sta vivendo, nel passaggio verso l’era della conoscenza. Una visione dalla quale partire per la promozione dell’autoimprenditorialità quale strumento centrale della politica di sviluppo della montagna, a partire dalla Persona, dalla sua capacità, dalla sua conoscenza e professionalità, ma anche dal suo mettersi quotidianamente in gioco, nell’ambito di una rete di relazioni che si rivela quale fattore critico sempre più rilevante. “Imprenditori di se stessi”, come li definisce l’autore della ricerca, con la forza di costruire il proprio futuro: nuove figure in grado di muoversi in un mercato fluido, caratterizzato da un’elevata mobilità e dall’incertezza. Ed è proprio a queste Persone che Trentino Sviluppo propone un percorso di crescita, accompagnandole nell’avviare e nel condurre la propria impresa. Nella trattazione si delinea così la “destrutturazione del concetto di impresa”, che porta a rendere i concetti di azienda e di imprenditorialità più vicini alle reali esperienze ed esigenze lavorative delle Persone, arrivando a riconoscere che l’autoimprenditorialità rappresenta oggi un percorso di inclusione e crescita sociale ove il valore deriva in buona parte dalla qualità delle risorse di relazione che le Persone riescono a mettere in campo per comunicare, condividere, collaborare. Attraverso l’analisi condotta da Trentino Sviluppo, si scopre un modo nuovo di guardare alle valli, superando la separazione tra centro e periferia, grazie ad un’organizzazione produttiva e ad “un’industria molecolare” che segue i flussi della conoscenza e delle competenze piuttosto che i confini geografici, dove i modelli di produzione sono sempre più flessibili e smaterializzati e l’investimento in conoscenza rappresenta un requisito essenziale. “Fare microimpresa in montagna” racconta la grande trasformazione in atto, dunque, che vede una montagna scegliere di declinare il lavoro in forma imprenditoriale, in un territorio che scopre di poter essere culla per microimprese e lavoro autonomo in grado di generare valore e benefici sociali collettivi. Un territorio alla ricerca di nuove forme di socializzazione del rischio di impresa, ma anche un territorio che comprende come per affrontare un nuovo scenario siano necessari alcuni passaggi fondamentali, inclusa l’identificazione e l’adozione di strumenti di politica economica in grado di supportare le microimprese, così come infrastrutture atte a favorire la crescita continua di chi fa impresa. Un territorio, in sintesi, che realizza di aver bisogno di un “programma specifico per l’autoimprenditorialità”, che si deve inserire nel quadro complessivo della politica economica. Ed in questo ambito si colloca l’azione di Trentino Sviluppo che, dando continuità al percorso avviato negli anni recenti, opera per sostenere la capacità imprenditoriale, per migliorare il contesto economico e produttivo e favorire la nascita di filiere specializzate, ponendo le basi per creare un modello di sostegno partecipato della crescita dei sistemi locali. “Fare microimpresa in montagna” è il secondo ‘Quaderno di territorio’, che dà seguito a “Nessuna impresa è un’isola”, la ricerca condotta sempre da Trentino Sviluppo e pubblicata nel 3
  • 6. Trentino Sviluppo SpA febbraio 2008, in un percorso di continuità che vede l’analisi dei contesti locali alla base di progetti mirati di animazione imprenditoriale. Un ringraziamento a Sergio Remi, che con professionalità e passione da anni è impegnato in un progetto di territorio, ove la capillarità e l’attenzione al singolo intervento si rivelano fattori chiave di crescita anche nelle aree meno centrali, dotando le cosiddette “periferie” di una reale prospettiva di sviluppo. Patrizia Ballardini Trentino Sviluppo SpA 4
  • 7. Trentino Sviluppo SpA Presentazione Il destino della montagna non è obbligatoriamente quello della marginalità. Per quanto sia certo che nelle aree montane le condizioni per fare impresa siano difficili, più difficili che in altri ambienti, non c’è alcun motivo per ritenere che una legge di natura condanni i territori di montagna alla arretratezza. E neppure c’è motivo, però, di pensare che vi sia un unico modello adatto ad ogni contesto. Lo sviluppo locale non passa per la ripetizione meccanica di schemi che hanno avuto successo. È “locale” proprio perché aderisce alla realtà dei luoghi: più fedelmente riesce ad interpretarne le caratteristiche e le potenzialità, fin nelle piccole pieghe, meglio realizza il suo compito di generare sviluppo, nell’economia, nella società e nel territorio. Dunque la modernizzazione non si ferma alle pendici della montagna. Ma neppure le risale nella forma rigida del pensiero unico di una monocultura turistica, fragile perché univoca. C’è varietà di vocazioni e l’intelligenza di una visione dello sviluppo si misura sulla capacità di proporre percorsi differenti, facendo leva sul cambiamento di paradigma che sta trasformando l’economia. Non più, solo o prevalentemente, capitalismo urbano industriale, che classifica come periferia tutto ciò che non è concentrato nello spazio metropolitano, bensì industria molecolare e capitalismo personale, che seguono i flussi globali della conoscenza anziché le frontiere della geografia. La nuova organizzazione della produzione industriale si è emancipata dal formato tradizionale dell’unità di spazio-tempo-azione, superando la separazione netta tra centro e periferia. Per trovare competenze di punta e capacità innovative oggi non è necessario bussare alla porta della grande impresa. E per fare impresa non è indispensabile essere grandi. Conta molto di più il sistema di relazioni al quale si è connessi; un sistema immateriale in cui la reputazione e le abilità specialistiche di cui si dispone sono più importanti della prossimità fisica. Così la ricerca di Sergio Remi e dei suoi collaboratori documenta una trasformazione in atto, e non soltanto un ideale di sviluppo futuro. Con un solido punto di partenza: in Italia il valore aggiunto dell’economia di montagna nel corso degli ultimi quattro anni è cresciuto più della media nazionale. E nelle aree montane non mancano esperienze di innovazione che un tempo erano esclusiva dei territori più centrali, ad esempio nei settori delle tecnologie per l’ambiente e dell’energia. Spesso intrecciate con forme tradizionali – e ancora ben radicate - di produzione di beni (dall’agricoltura all’artigianato) e di servizi (specie come rielaborazione di antichi rapporti di mutualismo). La chiave per comprendere questa trasformazione è quella della “imprenditorializzazione del lavoro”. Seguendo una tendenza globale anche l’economia della montagna ha scoperto la necessità di declinare il lavoro in forma imprenditoriale: diventare datori di lavoro di se stessi, in territori privi di strutture ad alta intensità di occupazione, è sempre stata una scelta obbligata, ma ora è anche una scelta in linea con un nuovo contesto economico che favorisce le microimprese e il lavoro autonomo. Quindi una caratteristica tradizionale dello sviluppo di queste aree si presta a farle entrare in uno scenario più grande, purché naturalmente anche l’”imprenditorialità montana” si dimostri in grado di aggiornare se stessa. La dimensione cooperativa deve incontrare quella innovativa, e ad entrambe è richiesto di aprirsi ad appartenenze non solo locali. Le reti corte da sole stentano a reggere l’urto della modernizzazione. Come ha mostrato chiaramente un precedente studio sulla filiera della subfornitura nella Valle del Chiese, sempre condotto da Sergio Remi e la sua equipe, il movimento tra locale e globale è il vero nucleo distintivo del nuovo paradigma dello sviluppo. Un paradigma nel quale l’identità di 5
  • 8. Trentino Sviluppo SpA territorio non è più un concetto estraneo, del quale liberarsi, ma è al contrario un punto di forza per affrontare la modernizzazione, e i suoi passaggi rischiosi, senza esserne travolti. La rivoluzione nelle filiere ha evidenziato un processo nel quale le medie aziende “di pianura” hanno dovuto ricollocarsi nei nuovi scenari della globalizzazione, trasformando profondamente le relazioni produttive con le piccole aziende “di montagna”. Le imprese committenti hanno operato una fortissima selezione: alcune fasi della filiera produttiva sono state delocalizzate all’estero, seguendo il percorso del minor costo, mentre altre fasi produttive sono state mantenute all’interno del sistema locale o di vicinato, imponendo però alle imprese di subfornitura di adeguarsi ad una domanda molto più complessa e esigente in fatto di qualità. Quasi di punto in bianco, aziende abituate ad un rapporto “garantito” di dipendenza si sono trovate nel ruolo nuovo, e rischioso, di alleate. Alle prese con un’organizzazione della produzione più complicata. Obbligate ad assumersi nuove responsabilità e a sviluppare uno spirito di iniziativa che, in alcuni casi, le ha portate a emanciparsi dal rapporto di pura subfornitura per divenire a propria volta committenti, rivolgendosi direttamente al mercato con prodotti propri. O divenendo subfornitori-leader, estremamente specializzati e al servizio di una pluralità di committenti, a livello globale. In questa complessa trasformazione si è giocato il ruolo del territorio di riferimento, che ha sostenuto gli imprenditori nel cambio di passo. In montagna il capitale sociale è un bene pubblico che, per quanto indebolito, continua ad essere prodotto. La socializzazione del rischio non è un atteggiamento di nicchia, ma il risultato di un lungo vissuto. Lo sviluppo può quindi contare su una base solida, perché poggia su un ambiente sociale di qualità e su un patrimonio ancora ingente di fiducia istituzionale nei confronti dei soggetti locali. Questi “fondamentali” della cultura imprenditoriale non bastano però da soli ad affrontare il nuovo scenario. Occorre creare un quadro di riferimento più ampio: politiche pubbliche di sostegno, misure di accompagnamento, strumenti di politica attiva del lavoro, welfare a misura di micro-imprenditoria, infrastrutture orientate alla crescita dei fattori immateriali (formazione, ricerca, internazionalizzazione). Un nuovo quadro di strumenti che deve essere definito a partire da una conoscenza puntuale, dal basso, dei sistemi locali di sviluppo. Questo è appunto l’ambito dello studio che qui si pubblica. Prezioso perché accurato e tuttavia capace di prendere distanza dai singoli dettagli, per disegnare un quadro d’insieme che non si limita ad una descrizione avalutativa ma entra nel merito delle politiche praticabili e definisce delle priorità. Per chiunque voglia occuparsi di sviluppo della montagna c’è qui un condensato di analisi e riflessioni dal quale non si può prescindere. Una base indispensabile da cui partire per una promozione dell’autoimprenditorialità come strumento centrale di una politica di sviluppo della montagna, in un tempo nel quale l’unica vera crescita è quella che si concentra sulla persona, le sue capacità, il suo livello di conoscenza, la responsabilità di cui sa farsi carico, la stima che riscuote, l’autonomia di cui è capace, la fiducia su cui può contare, le relazioni in cui si pone con altre persone con le stesse caratteristiche. In breve, siamo in un tempo in cui la scelta dell’autoimpiego è sempre meno residuale e subordinata, perché – come scrive Remi – “ormai l’economia va avanti in modo tale che nessuno è più in grado di garantire niente a nessuno”. Ne consegue che il rischio va gestito a partire dalla capacità di ciascuno di noi – al tempo stesso lavoratore, consumatore, imprenditore, risparmiatore, cittadino – di prendere in mano il proprio futuro, senza delegarlo ad altri. Una lezione tuttaltro che nuova per la gente della montagna. Gianluca Salvatori 6
  • 9. Trentino Sviluppo SpA 1. I processi di modernizzazione dei territori montani Il presente volume riassume i risultati di un intervento di animazione territoriale sviluppato nell’arco di un triennio (maggio 2005 – settembre 2008), finalizzato alla promozione di nuove iniziative imprenditoriali e forme di lavoro autonomo nei comuni ricadenti nelle aree dell’obiettivo 2 della Provincia Autonoma di Trento. I risultati di questo lavoro vogliono costituire un ulteriore tassello nel processo di progressiva demolizione di una convinzione - ancora molto diffusa anche se declinante – che attribuisce alle aree montane del Paese un connotato di arretratezza e di marginalità che si traduce in un evitabile bisogno di assistenza. Aree di cui, con politiche redistributive e trasferimenti, bisogna in qualche modo farsi carico, ma che rappresentano sostanzialmente un peso per l’economia nazionale. Quando il Censis nel 2002, per la prima volta ha pubblicato una stima del valore aggiunto prodotto nel territorio montano (circa 165 miliardi di euro su base dati 1999), sono stati in molti a stupirsi. In particolare, se la montagna era in grado di produrre il 16,1% del valore aggiunto del Paese con una popolazione corrispondente al 18,7% del totale nazionale, qualcosa andava sicuramente rivisto nelle tradizionali interpretazioni sulla debolezza dell’economia montana. Con quel lavoro si era aperta una breccia. Non a caso quei dati sono comparsi in numerose pubblicazioni, sono stati ripresi in documenti ufficiali di carattere istituzionale e citati in innumerevoli convegni. Oggi quella breccia si può allargare ulteriormente. Infatti, nelle stime attuali, prodotte sempre dal Censis nel 2007 con una trasposizione sul livello comunale dei dati provinciali del 2003 (ovvero i più aggiornati per questo tipo di indicatore), il sistema montagna nel suo complesso appare ancora più robusto. Il valore aggiunto dei territori montani può essere stimato in circa 203 miliardi di euro, ossia il 16,7% del totale nazionale. Nei quattro anni che separano le due indagini, dunque, la montagna è cresciuta più della media del Paese. I dati indicano una crescita del valore aggiunto del 10,5% contro il 6,5% della media nazionale. La transizione economica delle aree montane va quindi sottratta, sia dal punto di vista del racconto, sia da quello delle analisi, alla marginalità in cui è stata relegata e va ricollocata nel passaggio che sta avvenendo tra la società industriale - caratterizzata dal capitalismo urbano industriale per il quale le aree montane erano solo la periferia del processo economico - e la società dell’informazione, caratterizzata da un’economia dei flussi che trova nella montagna un fondamentale luogo di soddisfacimento di nuovi bisogni. Il territorio montano, e in primo luogo quello alpino, riserva a questo riguardo molte sorprese, in special modo negli ultimi decenni, nel corso dei quali sembra essere divenuto luogo di sperimentazione della tarda modernità, o di una nuova epoca i cui tratti non sono stati ancora definiti. Il contesto montano è diventato luogo privilegiato di modernizzazione, di ricerca e innovazione per la tutela dell’ambiente, la gestione del ciclo dell’acqua e delle fonti rinnovabili di energia, la ricerca tecnologica, la sperimentazione di nuove soluzioni architettoniche, l’introduzione di modelli innovativi per la gestione del patrimonio pubblico. La nuova organizzazione spazio-temporale della produzione ha modificato il ruolo economico del territorio e la sua capacità attrattiva. I territori di montagna oggi non sono più la periferia del sistema industriale, buoni solo per fornire manodopera e materie prime. Ma acquistano una nuova centralità legata ai loro peculiari aspetti di qualità dell’ambiente e delle loro relazioni sociali. La competitività delle imprese oggi si gioca principalmente sui fattori immateriali della produzione. Questo significa che quando sono garantite le dotazioni infrastrutturali che consentono 7
  • 10. Trentino Sviluppo SpA l’accesso alle grandi reti di comunicazione e la disponibilità di aree attrezzate, ad assumere rilevanza è un contesto favorevole all’innovazione non disgiunto da aspetti di qualità ambientale e sociale. Innovazione e qualità ambientale diventano i codici di comunicazione delle imprese, ne certificano la qualità delle produzioni, diventano parte integrante della loro immagine. Il ricco patrimonio di beni ambientali e storico culturali della montagna alimenta una nuova domanda di fruizione turistica - fondata sulla valorizzazione della qualità e della differenza - che trova la corrispettiva offerta in forme originali di ospitalità diffusa, nella valorizzazione delle specificità agroalimentari e artigianali, nelle innovative forme di intrattenimento capaci di valorizzare l’esperienza connessa alla fruizione della montagna ed al consumo dei suoi prodotti. La stessa agricoltura di montagna è oggi coinvolta in un processo di modernizzazione che porta progressivamente la microimpresa agricola ad affrancarsi da un’immagine di comparto marginale e fortemente assistito dall’intervento pubblico. Dall’osservazione territoriale di quanto accade nel mondo delle microimprese agricole se ne ricava un’immagine tutt’altro che statica o regressiva. Sul piano strettamente produttivo e distributivo, sono individuabili una pluralità di tendenze volte a definire un nuovo ruolo ed un nuovo modello di sostenibilità economica della microimpresa agricola di montagna. Rientrano all’interno di tali tendenze: la valorizzazione di produzioni tipiche in mercati di nicchia; la diffusione delle colture biologiche; l’investimento in forme alternative di coltivazione e di allevamento; l’investimento in attività di trasformazione e commercializzazione capaci di dare valore aggiunto alle produzione aziendali; iniziative come il “Kilometro 0” (le reti di locali che offrono prodotti del territorio che non devono percorrere lunghe distanze prima di giungere in tavola); la diffusione di distributori automatici per la commercializzazione di latte appena munto; la diffusione dei “farmer markets” (i mercati esclusivi degli agricoltori nelle città). Il nuovo modello di sostenibilità economica è ulteriormente rafforzato dal carattere di multifunzionalità dell’impresa agricola che porta ad una sempre maggiore integrazione tra attività agricola, turismo, artigianato e servizi alla collettività. L’artigianato, ancor più del turismo e dell’agricoltura, rappresenta lo “zoccolo duro” delle economie montane: la principale attività economica che consente di far vivere questi territori e quindi di mantenere viva la comunità. Il numero di imprese artigiane è un indicatore del benessere di una comunità, basta pensare al ruolo dell’artigianato, nel fornire occupazione, nel fare manutenzione del territorio, nel fornire i servizi di base che consentono la permanenza e la vita della comunità. L’artigianato di montagna va oggi oltre lo stereotipo che lo lega ai vecchi mestieri ricchi di tradizione e poveri di futuro. Le imprese artigiane collocate in territori montani sono oggi specializzate in produzioni di qualità in ambito tecnologico, artistico, gastronomico, capaci di operare in distretti e filiere di subfornitura fortemente specializzate, di esportare i propri prodotti nel mondo. La competitività di queste imprese si gioca sulla capacità di coniugare tradizione ed innovazione creando un mix originale, una competenza che appartiene a quello specifico territorio. Ed è qui il grande valore dell’impresa artigiana ed il suo importante ruolo nello sviluppo delle aree montane. I territori montani sono luoghi ricchi di identità e l’impresa artigiana è il luogo dove questa identità viene rielaborata e valorizzata, si trasforma in valore economico e quindi in sviluppo. In un contesto di razionalizzazione e progressiva riduzione della spesa pubblica nei piccoli comuni di montagna si manifesta un’erosione di beni pubblici che è al contempo causa ed effetto di fenomeni di spopolamento. A fronte di questa dinamica sono molte le amministrazioni locali che sperimentano nuovi modelli di gestione economica dei servizi alla collettività. Nuovi modelli di welfare municipale che - rielaborando tradizionali forme di mutualismo consolidate nei territori alpini - danno origine a nuove esperienze di impresa sociale, attraverso cui le comunità locali si auto-organizzano imprenditorialmente per dare risposte a propri specifici bisogni. 8
  • 11. Trentino Sviluppo SpA Nei contesti montani turismo, artigianato, agricoltura, servizi sociali non rappresentano settori tra loro separati, ma un unico sistema socio-economico fortemente integrato, soggetto a continui scambi e contaminazioni, il cui scopo è garantire il presidio e la manutenzione del territorio, la qualità della vita delle comunità locali e la valorizzazione di un unico prodotto che si chiama “montagna”. Nelle economie locali delle tante valli trentine - che sono state oggetto dell’intervento presentato in questo volume - hanno ormai preso corpo culture dello sviluppo che pongono il territorio e la sua qualità al centro dei propri processi di crescita, sono cresciuti interessi economici fondati su una duplice specializzazione: geografica da un lato, ed economica dall’altro. Il che, sempre più spesso, si traduce in politiche di qualità dei prodotti, della vita e dell’ambiente circostante e in una declinazione di questi aspetti in tutti i settori di attività economica e sociale (turismo, agricoltura, agroalimentare, industria, servizi sociali). Alla base di queste dinamiche c’è un processo di “imprenditorializzazione del lavoro” che riguarda tanto le persone, quanto le società locali; un processo per certi versi epocale, che caratterizza la generale evoluzione delle moderne società industriali e che, nelle aree montane, si coniuga con delle preesistenze che possiamo ricondurre alla “specificità alpina”, costituite: • dagli oggettivi vincoli morfologici e infrastrutturali all’attività di impresa; • dalla stagionalità e scarsa remuneratività di molte attività economiche che vengono svolte in aree montane; • dalla centralità della dimensione territoriale nella definizione dei fattori di competitività dei settori di specializzazione economica di queste aree (edilizia, turismo e agricoltura); • dall’esistenza di importanti esternalità ambientali connesse al presidio e alla manutenzione del territorio montano; • da uno spirito “imprenditivo” che si esprime anche nel diffuso ricorso a modelli di integrazione del reddito; • dall’esistenza di reticoli socio-economici e produttivi che consentono una distribuzione sociale del rischio di impresa. Accompagnare questo processo di imprenditorializzazione del lavoro è oggi una priorità delle politiche di sviluppo della montagna. Si tratta di operare per offrire adeguati livelli di vita anche in zone decentrate, valorizzando le opportunità di lavoro che possono nascere dal diffondersi forme di auto impiego a livello locale. Dai piccoli comuni di montagna emerge una domanda di intervento finalizzata a tre obiettivi prioritari: • alla creazione di nuova imprenditorialità endogena fondata sulla diversificazione e integrazione della struttura economica e sulla piena valorizzazione delle risorse locali; • al rafforzamento del ruolo svolto alle imprese locali (agricole, artigianali e turistiche), promovendone i caratteri di innovazione e di collegamento ai mercati; • a potenziare il carattere di multifunzionalità delle attività economiche, con particolare riferimento a quelle agricole e commerciali. La crescita di microimprese e di forme di lavoro autonomo, rilevabile in queste aree, nonostante alcuni elementi di arretratezza che devono essere progressivamente corretti, non rappresenta un’anomalia pre-moderna, ma una costruzione antropologica e sociale dotata di futuro, avendo le carte in regola per essere parte attiva della nuova modernità. Se guardiamo al futuro ci accorgiamo che esiste uno spazio crescente per lo sviluppo di forme distribuite di intelligenza produttiva, in cui i molti nodi di una rete sono connessi da rapporti diretti di fiducia e cooperazione. Le nuove forme dei lavori si fondano su processi di individualizzazione e reticolarità: di individualizzazione, perché alla produzione di valore economico partecipano ormai in misura 9
  • 12. Trentino Sviluppo SpA assolutamente rilevante le competenze delle singole persone che forniscono le proprie prestazioni nelle diverse forme in cui ormai si articola il lavoro indipendente; di reticolarità, perché il lavoro individuale non nega, anzi al contrario, richiede la crescita delle connessioni tra segmenti del ciclo, tra diverse funzioni, tra singole competenze. Da questo punto di vista i territori montani rappresentano un laboratorio della modernità dove assumono rilevanza le culture del lavoro radicare in queste aree ed i reticoli di cooperazione che - come ben si evidenzia nel caso trentino - consentono una diffusione della microimpresa anche nei territori più periferici ed uno sbocco delle produzioni sui mercati nazionali ed internazionali. Inoltre, i territori montani sono caratterizzati da competenze distintive, riconoscibili, difficilmente riproducibili e banalizzabili, capaci di produrre valore aggiunto nelle reti globali. Nelle aree montane è ormai diffusa la consapevolezza che modernizzazione non significa necessariamente compromissione dell’ambiente e dei rapporti sociali, al contrario è possibile osservare: • come la qualità di un territorio sia un bene considerato sempre più prezioso anche sul piano economico, molte realtà territoriali e imprenditoriali hanno imparato a fare della qualità ambientale un proprio vantaggio competitivo ed un’opportunità di business; • come i meccanismi di coesione sociale, di identità, e di vivacità della cultura locale siano considerate una precondizione essenziale per sviluppare offerte e competenze distintive e nel determinare, di conseguenza, l’efficienza e lo sviluppo dei territori montani, in un’ottica di modernizzazione sostenibile. Il concetto di modernità deve essere assunto come concetto chiave all’interno delle politiche di sviluppo della montagna. Nel senso che la modernità o viene riconosciuta, valorizzata, governata, oppure viene subita. Viene subita con la chiusura dei servizi e con l’apertura dei grandi centri commerciali; con infrastrutture che attraversano il territorio senza dare risposte ai bisogni locali; con flussi migratori che a volte producono spopolamento, ma altre volte producono problemi di integrazione degli immigrati; con una “parchizzazione” del territorio che troppo spesso vincola senza produrre sviluppo; con flussi turistici che hanno il solo risultato di consumare il territorio; con la chiusura di attività produttive che non hanno gli strumenti per affrontare la competizione. Assumere la modernità come riferimento per la definizione di politiche dello sviluppo della montagna non significa negare la tradizionale identità di un territorio, al contrario, un’identità forte è oggi il presupposto per stare nella modernità. È urgente capire che, nell’epoca del produrre per competere che stiamo vivendo, il territorio montano è uno spazio “glocale”, dove il locale si unisce al globale. Nella modernizzazione i concetti di comunità ed identità locale – da sempre alla base delle dinamiche di sviluppo di questi territori - si attualizzano e si esprimono attraverso la crescita: • di interessi economici fondati sulla qualità del bene territorio nelle sue diverse accezioni ambientale, culturale e produttiva e sulla sua conseguente capacità di generare flussi; • di forme di integrazione tra le diverse attività presenti localmente volte a definire un’immagine unitaria di territorio; • nel consolidamento di un sistema di reti (locali, metropolitane e globali), capaci di garantire qualità della vita e competitività del territorio in un’economia fatta di flussi. A mutare è il ruolo economico del territorio e la sua capacità attrattiva. Quello che conta nella nuova economia è l’offerta che il territorio è in grado di proporre in termini di conoscenze, reti, e qualità ambientale, non solo per quelle attività che fanno riferimento al territorio come fattore produttivo strategico, ma anche per quei fattori di attrattività che, in particolare in una realtà come quella trentina, risultano, sotto alcuni aspetti, già superiori alla media nazionale, ma che devono essere incrementati al fine di garantire una maggiore diversificazione delle attività. 10
  • 13. Trentino Sviluppo SpA 2. Le motivazioni ed i risultati dell’intervento di animazione imprenditoriale L’intervento di animazione territoriale realizzato in provincia di Trento si colloca nell’ambito del Documento Unico di Programmazione (Docup) 2000-2006 che - nell’Asse 1, Misura 1 “Interventi per l’insediamento, riconversione e riqualificazione delle piccole e medie imprese”- prevedeva la possibilità di attivare interventi a favore delle piccole e medie imprese situate nelle zone decentrate e marginali, favorendone la crescita occupazionale ed economica, creando condizioni a favore dell’insediamento di attività economicamente sane ed in grado di competere sul mercato. In tale cornice - e in particolare nell’ambito della promozione di politiche di contesto di cui alla lettera d) della suddetta Misura 1 - si colloca l’iniziativa, assunta dall’Autorità di gestione del Docup, in collaborazione con l’Agenzia dello sviluppo provinciale (oggi Trentino Sviluppo SpA), di definire un intervento di ‘animazione territoriale finalizzata alla promozione di forme di lavoro autonomo e iniziative imprenditoriali nei comuni trentini ricadenti nelle aree obiettivo 2. Le motivazioni dell’intervento trovano uno specifico riferimento nelle conclusioni del valutatore indipendente che, nelle raccomandazioni del rapporto di valutazione intermedia del Docup – redatto nell’anno 2003 - individuava come: “un problema di fondo di alcuni comuni è legato alla mancanza di tessuto imprenditoriale; gli interventi previsti dal DOCUP possono sicuramente stimolare nuovi investimenti, ma sarebbe opportuno rafforzare strumenti di “animazione” che stimolino l’imprenditoria anche nei territori più marginali, indirizzando quanto più possibile le azioni alle categorie di popolazione, in particolare i giovani e le donne, che, se maggiormente motivate, potrebbero rispondere positivamente”. Tali raccomandazioni evidenziavano la necessità di impostare un intervento di animazione capace di coniugare la logica dell’agire sociale sul territorio con quella della cultura d’impresa e del lavoro autonomo, mettendo in relazione le risorse umane con i beni materiali e immateriali che costituiscono il patrimonio, spesso non valorizzato, di ogni comunità locale. L’intervento non si poteva quindi limitare ad una semplice attività di sportello volta a fornire informazione sulle opportunità legislative a sostegno della creazione d’impresa, ma si doveva caratterizzare come un intervento di animazione culturale che si propone di qualificare culture e atteggiamenti dei soggetti locali rispetto ai temi del lavoro, dell’impresa e dello sviluppo territoriale in relazione alle attuali dinamiche di trasformazione del sistema produttivo e del mercato del lavoro. Più che un semplice intervento di creazione di impresa, l’intervento si è quindi caratterizzato come un’attività di accompagnamento del processo di “imprenditorializzazione del lavoro” che costituisce uno dei principali caratteri evolutivi del postfordismo e che, anche nelle aree montane marginali, si esplicita presentando aspetti peculiari. Sempre più, l’investimento a rischio sulle proprie capacità professionali è oggi una pratica necessaria per accedere al mercato del lavoro a tutti i livelli dell’organizzazione sociale. Questo impone l’attivazione di politiche che promuovano la cultura di impresa come strumento di inclusione sociale. Si tratta, in sostanza, di favorire un processo di apprendimento sociale orientato all’autoimprenditorialità ed al lavoro autonomo e quindi basato sull’investimento di risorse che sono proprie dell’individuo: il proprio capitale umano, costituito dalle competenze, abilità, capacità di assumersi il rischio di un’attività autonoma; il proprio capitale sociale, che è fatto dalle relazioni che ciascuno è in grado di mobilitare per fini produttivi. Tutto ciò, valorizzando al contempo quel sapere contestuale e quelle risorse territoriali che sono patrimonio delle comunità locali (competenze distintive), in relazione ai processi evolutivi del mercato e dei nuovi modelli di consumo che sono in buona parte di carattere esogeno. 11
  • 14. Trentino Sviluppo SpA La caratteristica principale dell’intervento è stata la territorializzazione del processo di creazione di impresa in stretta relazione con le dinamiche e con le progettualità di sviluppo locale che si esprimevamo nei vari contesti trentini. L’azione si è sviluppata con attività di animazione realizzate a livello dei singoli comuni e con attività di ricerca azione e assistenza tecnica alla creazione di impresa condotte nell’ambito di microsistemi territoriali, in buona parte coincidenti con la perimetrazione dei patti territoriali sviluppati in Provincia di Trento a partire da 2000. Figura 1 Aree di intervento del progetto animazione imprenditoriale Comuni Obiettivo 2 non compresi nei patti territoriali Comuni Obiettivo 2 non compresi nei patti territoriali Comuni phasing out non compresi nei patti territoriali Comuni phasing out non compresi nei patti territoriali In estrema sintesi, l’intervento di animazione si è posto gli obiettivi di: • sviluppare nell’insieme della comunità locale una più chiara comprensione dei fenomeni economici e sociali che caratterizzano l’evoluzione dell’area; • evidenziare i processi evolutivi del mercato e dei modelli di consumo che possono trovare a livello locale offerte imprenditoriali fondate sulla valorizzazione ed integrazione delle risorse locali; • sviluppare, in particolare tra i giovani, un diverso approccio al mercato del lavoro incentrato sulla valorizzazione delle proprie competenze e relazioni, sulla capacità di leggere le trasformazioni del mercato e sulla capacità di governare il rischio connesso all’attività di impresa; • sviluppare un sistema di relazioni tra soggetti istituzionali, sociali ed imprenditoriali, interne e esterne alle aree di intervento, a sostegno delle nuove iniziative imprenditoriali ed in stretta relazione con le politiche di sviluppo locale attive nei territori di riferimento (principalmente i patti territoriali); • creare nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo, anche con funzioni di integrazione del reddito, avvicinando il concetto di impresa alle reali esperienze di lavoro e di vita delle persone e valorizzando quelle che sono le specificità delle economie locali trentine. 12
  • 15. Trentino Sviluppo SpA BOX 1 LE COORDINATE DELL’INTERVENTO DI ANIMAZIONE IMPRENDITORIALE ❑ Intervento fortemente calato sul territorio e nella dimensione del sociale. L’intervento si sviluppa per microsistemi territoriali (Patti territoriali). Più che un intervento di creazione di impresa, l’azione si caratterizza come un accompagnamento del processo di “imprenditorializzazione del lavoro” che caratterizza l’evoluzione post-fordista dell’economia e della società (crescita delle forme di lavoro autonomo, atipico, ruolo del “capitalismo personale”.). ❑ Intervento volto a valorizzare la cultura di impresa quale mezzo di inclusione sociale e come strumento cardine delle politiche attive del lavoro. ❑ Intervento volto a rendere il concetto di impresa più aderente alle reali esperienze di lavoro e di vita delle persone, valorizzando quelle che sono le specificità delle economie locali trentine (per esempio l’intervento promuove anche le forme di integrazione del reddito tipiche delle economie montane). ❑ Intervento volto a creare e consolidare le reti che consentono una “divisione sociale del rischio di impresa” che già caratterizzano l’economia dei sistemi locali trentini (es. ruolo della cooperazione). L’intervento intende in tal senso attivare, accanto all’offerta istituzionale (incentivi, assistenza tecnica, ecc.), anche una ”offerta di territorio” (ruolo dei Sindaci, delle categorie economiche, degli istituti bancari, relazioni produttive con imprese presenti sui territori, logiche di filiera, ecc.) ❑ Intervento volto ad una comprensione socialmente diffusa dei processi di trasformazione economica che connotano le economie locali trentine nei settori dell’artigianato, del turismo, dell’agricoltura, dell’impresa sociale (es. valorizzazione dell’ “economia dell’esperienza” e nuovi servizi turistici, integrazione tra settori economici, plurifunzionalità dell’impresa agricola e commerciale, reti di subfornitura e di filiera, nuove forme dei servizi alle imprese e fattori immateriali dello sviluppo, lavoratori della conoscenza, impresa sociale di comunità e nuove forme di welfare mix, ecc.) ❑ Intervento volto a supportare ed integrare, attraverso l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali e forme di lavoro autonomo, le strategie di sviluppo locale attivate con i patti territoriali. ❑ Intervento volto al consolidamento e all’evoluzione degli strumenti di programmazione negoziata nei contesti locali (progettualità orientate ai fattori immateriali di sviluppo e alle reti lunghe di mercato.) ❑ Intervento volto a supportare (attraverso l’esplicitazione della domanda sociale) la definizione di un’offerta istituzionale di stampo post-fordista (nuove politiche del lavoro e del welfare, della formazione, per l’imprenditorialità femminile, per l’innovazione, ecc.) I consistenti dati di partecipazione al progetto - in particolare di partecipazione agli incontri di animazione realizzati nei comuni – sono testimonianza di una sensibilità e di una consapevolezza socialmente diffusa rispetto alle trasformazioni del lavoro e della struttura produttiva. La lunga fase di confronto con la popolazione condotta nel corso di 129 incontri serali nelle singole realtà comunali ha dato origine ai dati di flusso del progetto riportati nella seguente tabella. 13
  • 16. Trentino Sviluppo SpA Tabella 1 Dati di flusso dell’attività di animazione imprenditoriale (periodo maggio 2005 - settembre 2008) n. incontri di animazione imprenditoriale nei comuni 129 - n. partecipanti agli incontri di animazione (schede di partecipazione) 1.878 100,0% n. partecipanti che hanno manifestato interesse ad avviare un’attività autonoma 1.074 57,2% n. idee di imprese presentate (questionari di ingresso all’assistenza tecnica) 410 21,8% n. giornate dedicate a incontri di verifica e primo orientamento 78 - n. partecipanti agli incontri di primo orientamento 391 20,8% n. di giornate di formazione sul piano di impresa effettuate 54 - n. partecipanti agli incontri di formazione sul piano di impresa 213 11,3% n. di piani di impresa elaborati 135 7,1% n. progetti indirizzati alle associazioni di categoria 42 2,2% n. di progetti indirizzati ai servizi provinciali 53 2,8% n. di imprese avviate 75 3,9% Nelle schede di partecipazione alle serate di animazione, alla domanda sull’interesse ad avviare una nuova attività, di qualunque tipo, (anche di integrazione del reddito) purché esercitata in forma autonoma, ha risposto affermativamente il 57,2% dei partecipanti. Anche se poi, un più limitato 21,8% dei partecipanti ha dato concretamente seguito a tale interesse compilando il questionario di presentazione della propria idea imprenditoriale. Questi dati dimostrano come, anche nelle aree periferiche della provincia di Trento, la modernizzazione del sistema economico - accompagnata da un processo di scomposizione delle forme del lavoro - incida sulla percezione dei soggetti. A fronte del sostanziale blocco delle assunzioni nel settore pubblico, della chiusura di importanti imprese localizzate in queste aree, dei processi di trasformazione delle economie agricole e turistiche, dei processi di riorganizzazione produttiva nell’ambito di filiere di piccola e media impresa, entrano in crisi i consolidati - seppur relativamente recenti - modelli fordisti di produzione del reddito e di sicurezza sociale. Le preoccupazioni delle famiglie rispetto all’inserimento lavorativo dei figli, la necessità di incrementare l’occupazione femminile, le opportunità di diversificazione ed integrazione delle attività economiche, sono stati i principali argomenti emersi dal dibattito pubblico nel corso delle serate di animazione. Il processo di imprenditorializzazione del lavoro è, in queste aree, un processo già dispiegato, reso evidente dalla crescita delle forme del lavoro autonomo (in particolare nel settore artigiano e terziario) dalla diversificazione dei modelli d’offerta turistica e delle produzioni agricole in settori di nicchia, dal diffondersi di forme di lavoro atipico attraverso cui un crescente numero di giovani – altamente scolarizzati - accede al mercato del lavoro. A sostenere questo processo, come vedremo in seguito, vi è spesso un recupero di memoria fatto di cultura del lavoro, di dimensione di comunità e di legame con il territorio. 14
  • 17. Trentino Sviluppo SpA 3. Perché promuovere la microimpresa? Un intervento di animazione imprenditoriale condotto in aree montane fa principalmente riferimento alla creazione di microimprese, se non - come nel nostro caso - a forme di lavoro autonomo e attività integrative del reddito. Tale approccio non può essere dato per scontato in quanto, nell’ambito del dibattito sulle politiche di sviluppo, incontra spesso obiezioni e rilievi critici che meritano alcune riflessioni. Oggi all’interno del dibattito sulle prospettive economiche del nostro Paese prevale una visione “declinista”, che pone al centro della propria riflessione i numeri spesso impietosi del PIL nazionale, della contrazione delle quote di export, della scarsa qualificazione del capitale umano e - in particolare - della mancanza di big players internazionali e del peso eccessivo delle piccole e microimprese, per adombrare un destino per l’Italia di paese di seconda schiera. In un clima generale di ricerca e di brama di imprese più grandi di quelle effettivamente esistenti a livello nazionale, la categoria delle microimprese rappresenta - per molti analisti - un gruppo folto di maglie nere verso le quali l’unica attenzione degna e possibile è la speranza di vederle almeno diminuire. La piccola dimensione di impresa è da sempre considerata un’anomalia del sistema produttivo italiano rispetto ad altri, un residuo di un’economia tradizionale destinato con il tempo a sparire. Secondo tale interpretazione, le politiche di sviluppo dovrebbero essere indirizzate all’attrazione di investimenti, alla formazione dei lavoratori, a sostenere l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, alla crescita delle imprese, e non certo ad aumentare la platea delle microimprese, incapaci - secondo gli stessi analisti - di sostenere gli aumentati livelli di competitività. Un ulteriore filone critico, sviluppatosi nell’ambito del dibattito sul postfordismo, arriva perfino a negare alla microimpresa lo statuto di vera e propria impresa. La commistione tra capitale e lavoro, rilevabile nella piccola dimensione di impresa, fa saltare lo schema shumpeteriano di divisione dei ruoli all’interno dell’impresa (capitale, management e forza lavoro) e nei fatti nasconde i fenomeni di precarizzazione e di sfruttamento (e autosfruttamento) che caratterizzano i nuovi modelli di organizzazione produttiva e del lavoro. Secondo questi analisti un organismo che ha meno di tre dipendenti può essere chiamato “impresa” solo per ragioni ideologiche, cioè per voler inquadrare nella borghesia capitalistica quello che è invece il variegato universo del lavoro autonomo con un elementare grado di organizzazione1, fenomeno antico ma esploso proprio in coincidenza del diffondersi di rapporti postfordisti. Tali rilievi critici, seppur in parte condivisibili in quanto evidenziano alcune debolezze strutturali della piccola dimensione di impresa (più bassa produttività media del lavoro, minore capitale per addetto, minore produttività per addetto, scarsità di capitale, indebitamento ecc.), sembrano non prendere in considerazione alcune peculiarità di tipo quantitativo e qualitativo di questo tipo di imprese ed il contributo che esse hanno dato, e continuano a dare, alla competitività del sistema Paese. In Italia la piccola dimensione di impresa non identifica una categoria particolare, ma una condizione tipica del produrre, del lavorare, del vivere. Una condizione, cioè, che riguarda la maggior parte delle persone che sono, a vario titolo, coinvolte in attività produttive. In Italia fanno impresa più di sei milioni di persone. La maggior parte di queste imprese, piccole o grandi che siano, hanno dietro una famiglia. Se ne deduce che circa venti milioni di persone vivono del “fare 1 Sergio Bologna, “Ceti medi senza futuro? Scritti, appunti sul lavoro e altro”, DeriveApprodi, Roma 2007 15
  • 18. Trentino Sviluppo SpA impresa”. Il tasso di natalità delle imprese è un record italiano, decine di migliaia ogni anno, i dati sulla diffusione a livello nazionale contano un’impresa ogni dieci abitanti. Questi dati ci dicono che le imprese sono un grande laboratorio di integrazione, appartenenza e mobilità sociale. A tale proposito basterebbe citare i crescenti numeri di imprese dirette da donne o avviate da immigrati extracomunitari. Il “fare impresa” è un bacino di importanti virtù civiche che non creano solo ricchezza, ma anche valori socialmente condivisi. A livello nazionale il 47% circa della forza lavoro occupata nell’economia di mercato, lavora in cosiddette “microimprese” con meno di dieci dipendenti, la cui dimensione media non supera i 2,7 addetti per impresa. Queste imprese “false”, che sono le imprese individuali e le microimprese, sono le uniche che negli ultimi anni hanno aumentato l’occupazione, nel caso italiano - come attestato dalla convergenza di alcune ricerche CNEL.2 - ma anche a livello europeo, come illustrato nella seguente figura 2. Figura 2 Sviluppo dell’occupazione (Europa 19) Fonte: Barriccelli www microimpresa.it Già partire dagli anni ’80, le piccole imprese, hanno cessato di rappresentare, nell’immaginario collettivo, il residuo di modi pre-moderni di produrre e di competere. E questo è sostanzialmente dovuto all’inaspettato successo competitivo della piccola dimensione di impresa che, con la crescita delle economie distrettuali, le forti percentuali di esportazione, la qualità delle produzioni, l’innovazione tecnologica, ha saputo conquistarsi il ruolo di asse portante dell’economia italiana. Migliaia di piccoli imprenditori e di artigiani hanno rapidamente appreso la lezione della modernità innovando le loro imprese, creando i distretti, la loro internazionalizzazione, il made in Italy e gran parte di quei fattori che rendevano il nostro Paese un modello di flessibilità e di competizione, che dall’estero venivano a studiare. I fattori che hanno dato competitività alla piccola dimensione di impresa sono molteplici: • vi è senz’altro il coraggio e l’intelligenza imprenditoriale dei soggetti; • vi sono i vantaggi della flessibilità consentita dalla piccola dimensione, che con la crisi del fordismo hanno assunto una nuova centralità; 2 Si veda in particolare CNEL, “Rapporto sul mercato del lavoro 2003”, Documenti n. 39, novembre 2004, in www.cnel.it. 16
  • 19. Trentino Sviluppo SpA • vi è poi la capacità di avere creato appartenenze economiche, nel senso che la piccola impresa ha imparato a sentirsi parte di un sistema più vasto, (reti di imprese, sistemi di subfornitura, distretti) che gli ha permesso di perseguire strategie di specializzazione, raggiungere economie di scala e superare gran parte dei limiti connessi alla piccola dimensione. Sono questi i numeri e le risorse che ha portato a descrivere il capitalismo italiano come un capitalismo molecolare, di piccole imprese in rete tra di loro, un capitalismo territorialmente e socialmente diffuso, dove le imprese - per dirla alla Becattini3 - sono un progetto di vita. La piccola dimensione di impresa non è, comunque, una peculiarità solo italiana. La stessa Unione Europea ha più volte riconosciuto il ruolo svolto dalla piccola impresa nella vita economica e sociale del continente: ruolo indubbiamente rilevante se si pensa che poco meno dell’80% delle imprese europee è collocato nella fascia dimensionale compresa tra 1 e 9 addetti, mentre appare modesta l’incidenza delle medie e, soprattutto, delle grandi imprese. Tabella 2 Micro, piccole e medie imprese manifatturiere nell’Europa a 27. Principali aspetti strutturali (2004, % sul totale, salvo produttività del lavoro) Numero Valore Produttività Addetti Fatturato di Imprese aggiunto lavoro 1-9 addetti 79,7 13,6 6,0 7,0 23,6 10-19 addetti 9,6 8,4 4,9 6,0 32,2 20-49 addetti 6,0 11,9 8,3 9,4 36,1 50-249 addetti 3,8 24,7 21,1 22,2 41,1 Oltre 250 addetti 0,8 41,3 59,7 55,3 61,2 Fonte: elaborazioni Istituto G. Tagliacarne su dati Eurostat La centralità della piccola dimensione di impresa è stata riconosciuta nel dibattito economico europeo sin dalla “Nuova definizione di PMI” entrata in vigore dal 1 gennaio 20054. Due sono state le tappe fondamentali di questo percorso: il Consiglio di Lisbona (23-24 marzo 2000) e l’approvazione della “Carta europea della piccola impresa” da parte del Consiglio di Feira (Portogallo, 19-20 giugno 2000). In quest’ultimo documento è stato riconosciuto esplicitamente che “le piccole imprese costituiscono il motore dell’innovazione e dell’occupazione in Europa” e vengono formulate dieci linee d’azione dirette a promuovere l’imprenditorialità e migliorare il contesto delle piccole imprese. Secondo i dati dell’Osservatorio europeo sulle piccole imprese il nuovo imprenditore europeo è giovane ha un’età media di 35 anni e fa impresa sulla base di un know-how acquisito in precedenza, fatto che diviene particolarmente marcato nel caso degli imprenditori nel settore dei “servizi alle imprese” e nell’”alta tecnologia”, che hanno raggiunto un livello di istruzione più elevato rispetto a quelli del settore manifatturiero. Una microimpresa su cinque è gestita da una donna: oltre il 29% di tutti gli imprenditori europei sono donne, e le loro imprese sono attive principalmente nei settori commerciali e vendite e nei servizi personali. Nei contesti metropolitani una nuova azienda ogni tre, ha come titolare un immigrato. Il maggior ruolo della microimpresa nel contesto italiano è invece evidenziato dai dati ISTAT (archivio ASIA). Nel 2006 sono oltre 4,4 milioni le imprese attive nell’industria e nei servizi, che occupano complessivamente circa 17,1 milioni di addetti. La prevalenza di micro imprese 3 Becattini G., Dal distretto industriale allo sviluppo locale, Bolatti Boringhieri 2000 Torino. 4 Raccomandazione della Commissione 96/3617CE, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese, GU L.124 del 20 maggio 2003, pp.36-41. 17
  • 20. Trentino Sviluppo SpA nel sistema produttivo italiano è testimoniata dalle oltre 4 milioni di imprese con meno di 10 addetti: esse rappresentano il 95 per cento del totale e, come già detto, occupano il 47 per cento degli addetti. Tabella 3 Italia - Imprese e addetti per classi di addetti e settore di attività economica – Anno 2006 Fonte: Istat, Archivio Statistico delle Imprese Attive ATTIVITÀ ECONOMICHE CLASSI Industria Commercio Totale DI ADDETTI in senso stretto Costruzioni Altri servizi e alberghi (a) Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti 1 176.641 177.564 316.020 318.778 823.536 823.338 1.250.245 1.246.302 2.566.442 2.565.982 2-9 254.691 1.005.095 247.769 862.987 640.602 2.067.554 476.841 1.489.323 1.619.903 5.424.958 10-19 52.748 706.507 22.856 294.606 37.482 483.988 29.301 383.551 142.387 1.868.652 20-49 24.681 738.204 6.432 185.963 11.174 327.230 12.999 393.442 55.286 1.644.838 50-249 10.397 999.374 1.468 124.814 3.362 313.171 7.221 725.532 22.448 2.162.891 250 e più 1.461 1.103.571 84 51.462 512 527.227 1.485 1.767.170 3.542 3.449.430 Totale 520.619 4.730.313 594.629 1.838.610 1.516.668 4.542.507 1.778.092 6.005.319 4.410.008 17.116.750 (a) Poiché il numero degli addetti di un’impresa è calcolato come media annua, la classe dimensionale ‘1’ comprende le unità con in media fino a 1,49 addetti; la classe ‘2-9’ comprende quelle con addetti da 1,50 a 9,49, e così via. Analizzando il peso, in termini di addetti, dei differenti settori economici all’interno di singole classi dimensionali (figura 3), si rileva che l’incidenza dell’industria in senso stretto è minima nelle imprese più piccole (6,9 per cento) e cresce all’aumentare della classe dimensionale, raggiungendo il valore più elevato nella media impresa (da 50 a 249 addetti), dove quasi il 50 per cento dell’occupazione compete proprio all’industria in senso stretto. I settori economici del terziario sono quelli caratterizzati dalla maggiore presenza di micro e piccole imprese; infatti, tra le imprese che occupano fino a 10 addetti sono più numerose quelle dei settori del Commercio e alberghi e degli Altri servizi (complessivamente rappresentano oltre il 76,2 per cento delle microimprese). Figura 3 Addetti per settore di attività economica e classi di addetti – Anno 2006 (composizioni percentuali) 18
  • 21. Trentino Sviluppo SpA Vista la struttura del sistema produttivo italiano, caratterizzato dalla presenza preponderante di microimprese, un segmento di particolare importanza da analizzare è quello delle imprese senza lavoratori dipendenti, il cui input di lavoro è costituito esclusivamente da lavoratori indipendenti. (figura 4). Le imprese senza lavoratori dipendenti in Italia ammontano a circa 2 mln e 923 mila (66,3 per cento del totale delle imprese attive). Una presenza di imprese senza dipendenti ben oltre la media nazionale si ha nei settori dei Servizi alle imprese (80,9 per cento) e del Commercio e riparazioni (71,9 per cento). È questo un segmento particolarmente significativo, non solo per il suo dato dimensionale, ma anche dal punto di vista qualitativo. È in questo segmento, infatti, che si vanno a collocare i nuovi e molteplici lavori ad alto contenuto professionale che accompagnano il processo di terziarizzazione del nostro apparato produttivo minuto ed in cui a prevalere sono le caratteristiche di individualità ed autonomia. Figura 4 Imprese senza dipendenti per settore di attività economica – Anno 2006 (valori percentuali) In provincia di Trento le imprese attive nell’industria e nei servizi, secondo i dati ASIA 2005, sono 39.867 e occupano 160.379 addetti; di queste 6.482 sono localizzate nelle aree Docup (obiettivo 2 + phasing out) e occupano 22.146 addetti. Nelle aree Docup sono quindi localizzate il 16,2 % delle imprese ed il 13,8 % degli addetti della provincia. In provincia, le microimprese sono 37.508 pari al 94% del totale delle imprese attive e occupano il 50,2% degli addetti a livello provinciale. La percentuale delle microimprese sul totale delle imprese attive nelle aree Docup è superiore solo di mezzo punto percentuale al dato provinciale (94,5%), ma contribuiscono maggiormente all’occupazione, con ben il 59,1% del totale degli addetti sul totale degli addetti nelle stesse aree. 19
  • 22. Trentino Sviluppo SpA Tabella 4 Ruolo della microimpresa (< di 10 addetti) confronti territoriali Microimprese (%) Addetti nella microimpresa (%) Italia 95,0 47,0 Provincia di Trento 94,0 50,2 Aree Docup della provincia di Trento 94,5 59,1 Tabella 5 Imprese e addetti per classe di addetti e settore di attività economica secondo l’archivio ASIA (2005) Fonte: Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive Provincia di Trento Industria Commercio e Costruzioni Altri servizi Totale Classe di addetti in senso stretto alberghi Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti 1 addetto 1.544 1.627 3.865 4.064 5.585 5.950 10.897 11.178 21.891 22.820 Da 2 a 9 addetti 1.981 8.239 2.377 9.281 6.928 25.675 4.331 14.546 15.617 57.741 Da 10 a 19 addetti 381 5.347 300 4.120 524 7.058 241 3.207 1.446 19.732 Da 20 a 49 addetti 217 6.602 121 3.631 146 4.407 144 4.427 628 19.067 Da 50 a 249 addetti 97 9.614 30 2.238 39 3.488 92 9.699 258 25.038 250 addetti ed oltre 12 5.988 - - 6 3.117 9 6.875 27 15.980 Provincia 4.232 37.418 6.693 23.334 13.228 49.695 15.714 49.932 39.867 160.379 Comuni phasing out della provincia di Trento Industria Commercio e Costruzioni Altri servizi Totale Classe di addetti in senso stretto alberghi Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti 1 addetto 192 201 467 494 573 609 733 754 1965 2058 da 2 a 9 addetti 252 1083 307 1.170 601 2204 273 854 1433 5311 da 10 a 19 addetti 41 577 34 461 37 506 16 188 128 1732 da 20 a 49 addetti 17 542 10 315 14 413 8 237 49 1508 da 50 a 249 addetti 9 1103 5 318 4 449 4 485 22 2355 250 addetti ed oltre Totale 511 3506 823 2758 1229 4182 1034 2518 3597 12964 Comuni Obiettivo 2 della provincia di Trento Industria Commercio e Costruzioni Altri servizi Totale Classe di addetti in senso stretto alberghi Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti Imprese addetti 1 addetto 143 149 491 510 430 463 510 517 1574 1638 da 2 a 9 addetti 219 913 255 993 475 1521 205 679 1154 4106 da 10 a 19 addetti 51 716 28 396 11 145 12 174 102 1432 da 20 a 49 addetti 22 639 12 372 3 86 9 254 46 1351 da 50 a 249 addetti 5 432 2 120 2 121 0 0 9 673 250 addetti ed oltre Totale 440 2849 788 2391 921 2336 736 1624 2885 9200 Il peso in termini di addetti, dei differenti settori economici all’interno delle singole classi dimensionali (figura 5) conferma quanto evidenziato a livello nazionale: si rileva che l’incidenza dell’industria in senso stretto è minima nelle imprese più piccole e cresce all’aumentare della classe dimensionale, mentre i settori economici del terziario sono caratterizzati dalla presenza di micro e piccole imprese. 20
  • 23. Trentino Sviluppo SpA Figura 5 Addetti per settore di attività economica e classe di addetti. Anno 2005 (composizioni percentuali) Fonte: Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive PROVINCIA TRENTO 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0 1 addetto Da 2 a 9 Da 10 a 19 Da 20 a 49 Da 50 a 249 250 addetti ed Totale addetti addetti addetti addetti oltre Industria in senso stretto Costruzioni Commercio e alberghi Altri servizi Phasing out 50,0 45,0 40,0 35,0 30,0 25,0 20,0 15,0 10,0 5,0 0,0 1 addetto Da 2 a 9 addetti Da 10 a 19 Da 20 a 49 Da 50 a 249 250 addetti ed Totale addetti addetti addetti oltre Industria in senso stretto Costruzioni Commercio e alberghi Altri servizi Comuni obiettivo 2 70,0 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0 1 addetto Da 2 a 9 addetti Da 10 a 19 Da 20 a 49 Da 50 a 249 250 addetti ed Totale addetti addetti addetti oltre Industria in senso stretto Costruzioni Commercio e alberghi Altri servizi 21
  • 24. Trentino Sviluppo SpA Le imprese senza lavoratori dipendenti (si vedano tab. 6 e fig. 6) sono: il 60,9% in provincia di Trento, il 61,7% nei comuni phasing out e il 63,6% nei comuni obiettivo 2. Le percentuali più alte di imprese senza lavoratori dipendenti si rilevano nel settore dei servizi (73,3 in Provincia, 76,2 nelle aree phasing out, 76,5 nelle aree obiettivo 2). In particolare nelle aree obiettivo 2, istruzione (100%), sanità ed altri servizi sociali (85,2%) seguiti dai servizi alle imprese (82,1%) rappresentano i principali settori di autoimpiego. Tabella 6 Imprese senza dipendenti in provincia di Trento per settore di attività economica, percentuale sul totale delle imprese del settore. Fonte A Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive 2005. Comuni Comuni Provincia obiettivo 2 phasing out % % % Industria in senso stretto 43,0% 46,6% 43,6% Costruzioni 66,8% 59,5% 60,6% Commercio e alberghi 60,5% 57,2% 52,0% Servizi 76,5% 76,2% 73,3% Totale 63,6% 61,7% 60,9% Figura 6 Imprese senza dipendenti in Provincia di Trento, per settore di attività. Fonte: Servizio statistica PAT, Archivio Statistico delle Imprese Attive 2005. Industria in senso stretto Estrazione di minerali non energetici - Industrie alimentari delle bevande e del tabacco - Industrie tessili e dell'abbigliamento - Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio , pelle e similari - Industria del legno e dei prodotti in legno - Fabbricazione della pasta carta, della carta e dei prodotti in carta; stampa ed editoria - Cokerie, raffinerie di petrolio - Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali - Fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi - Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo - Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici compresi l'installazione, il montaggio, la riparazione e la manutenzione - Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche - Fabbricazione di mezzi di trasporto - Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche - Altre industrie manifatturiere Produzione e distribuzione di energia elettrica, di gas, di vapore e acqua Costruzioni Commercio e alberghi Commercio e riparazioni di autoveicoli e di beni per la casa Alberghi e pubblici esercizi Servizi Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni Intermediazione monetaria e finanziaria Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali Istruzione Sanità e altri servizi sociali Altri servizi pubblici, sociali e personali Servizi domestici presso famiglie e convivenze 0,0% 10,0% 20,0% 30,0% 40,0% 50,0% 60,0% 70,0% 80,0% 90,0% 100,0% Comuni obiettivo 2 Comuni phasing out Provincia 22
  • 25. Trentino Sviluppo SpA La lettura dei dati sopra riportati evidenzia come il peso degli operatori di ridotte dimensioni a livello nazionale e provinciale (ma abbiamo visto anche a livello europeo) è tale che risulta difficile pensare ad una crescita del tessuto economico prescindendo dallo sviluppo della piccola e piccolissima impresa. Con ciò, non si intende riproporre la retorica del “piccolo e bello”, ne aprire una stagione di contrapposizione ideologica tra grandi e piccole imprese. Piccole e grandi imprese devono oggi essere riconosciuti come attori necessari, di pari importanza, nelle prospettive economiche del prossimo futuro, in quanto svolgono ruoli complementari. La struttura reticolare ed integrata del nostro sistema produttivo dimostra, infatti, come sul territorio le imprese si incontrano e collaborano a prescindere dalle dimensioni. Il nostro sistema produttivo (nazionale e trentino) è “uno solo”: un sistema produttivo in cui operano poche grandi imprese transnazionali; molte medie imprese che si affacciano sui mercati internazionali pur mantenendo un forte radicamento territoriale; una moltitudine di piccole imprese e un tessuto diffuso degli artigiani che operano nelle filiere e nelle nicchie di specializzazione; un numero crescente di microimprese e lavoratori autonomi che operano nel ciclo dei nuovi servizi terziari alle imprese ed al territorio. Oggi l’impresa è innovativa e competitiva non in base alle sue dimensioni e alle sue capacità di investimento, ma in base all’estensione e articolazione delle sue reti: di mercato, di collaborazione, di supporto alle nuove funzioni. Più le imprese sono piccole e più devono economizzare lo scarso capitale di cui dispongono, facendo leva sull’outsourcing, ossia sul capitale degli altri. In tal senso le nostre piccole imprese hanno saputo inventarsi forme originali di innovazione dei loro cicli produttivi, che non passano per forti investimenti di capitali (che non potrebbero fare), ma per alleanze, collaborazioni, specializzazioni, focalizzazioni su nicchie produttive ad elevata sostenibilità. Il gioco dell’innovazione si basa sullo scambio delle conoscenze. Dallo scambio di informazioni ed esperienze tra diverse unità produttive spesso si realizzano innovazioni pari - e probabilmente anche migliori - di quelle che nascono nei laboratori di ricerca. Le politiche a sostegno delle imprese non devono solo, o necessariamente, intervenire sulla crescita dimensionale del nostro apparato produttivo, curandolo dall’endemica malattia del nanismo, ma incrementare il capitale relazionale che serve per produrre in un’epoca di globalizzazione ed il capitale intellettuale che è assolutamente necessario per passare dalla produzione materiale a quella immateriale. Tale strategia di supporto allo sviluppo locale assume particolare rilevanza nelle aree montane, caratterizzate da una minore dimensione delle imprese. “La nostra è una realtà in cui c’è altissima quota di microimprese. Questa è un po’ una caratteristica della nostra provincia, anche perché siamo un territorio montano. La caratteristica di questi ultimi anni è l’aumento abbastanza importante delle nuove iniziative. Arriva il piccolo imprenditore, parte e ha bisogno del finanziamento. Aiutiamo anche l’impresa più strutturata, ma la realtà nostra è stata quella della micro impresa”. Responsabile Consorzio artigiano di garanzia Gran parte delle micro e piccole imprese trentine risulta ben radicata nel territorio operando prevalentemente in un’area territoriale molto ristretta. Nell’ambito delle proprie attività la piccola azienda svolge, quindi, un’importante funzione non solo economica, ma anche sociale contribuendo a produrre e a rafforzare forme di coesione a livello territoriale, vere e proprie comunità locali. Nel contempo, le micro e piccole imprese hanno continuato ad operare all’interno dei settori tradizionali specializzandosi spesso in prodotti di nicchia (unici e, spesso, inimitabili). Molte di esse, pur rimanendo piccole e mantenendo una struttura a carattere prevalentemente familiare, hanno adottato una serie di strategie di networking con altre imprese attraverso, soprattutto, il 23
  • 26. Trentino Sviluppo SpA rafforzamento della loro presenza in filiere produttive, reti di impresa e di cooperazione, al fine di acquisire i vantaggi e le economie di scala tipiche delle imprese di medio-grandi dimensioni. Inoltre, molte micro e piccole imprese si sono spostate, attraverso un processo di upgrading qualitativo dei prodotti, verso fasce di mercato sempre più elevate e di nicchia (soprattutto all’interno dei settori tradizionali) riuscendo in tal modo a mantenere una posizione competitiva sui mercati. Queste caratteristiche della microimpresa, evidenziano come, più che l’imprese in quanto tali, sono le persone che le popolano e i territori che le ospitano a dover essere oggetto di interventi di sviluppo locale. La piccola impresa, prima che piccola, è un’impresa personale. È il luogo e il sistema in cui la persona si imprenditorializza, mettendo al servizio dell’impresa le sue risorse, e dove l’impresa si personalizza, assumendo le fattezze e l’intelligenza delle persone che la popolano. La piccola impresa, proprio perché piccola, è legata al territorio da cui trae i fattori che determinano il suo vantaggio competitivo. È dal territorio che la piccola impresa trae i vantaggi della divisione del lavoro e della condivisione delle conoscenze, mediate da relazioni interpersonali e dal capitale sociale. Ecco che allora promuovere l’imprenditorialità delle persone e del territorio - sostenendo la nascita di microimprese ed il consolidamento di filiere e reti produttive che vanno oltre la dimensione locale - assume un ruolo strategico nello sviluppo delle aree montane, non solo per l’obbiettivo quantitativo di creare opportunità occupazionali in loco, ma per l’obbiettivo qualitativo di infrastrutturare e rafforzare la competitività delle economie locali. L’imprenditorialità diffusa alimenta un certo modo di essere e di funzionare della nostra economia. Un modo che, nel bene e nel male, costituisce la piattaforma di esperienza e di competenza da cui partire per affrontare la nuova concorrenza. Infatti: • la rete di piccole imprese è un serbatoio di creatività (persone) e di intelligenza relazionale (reti personali, servizi). Se si ci propone di andare verso attività centrate sulla produzione di significati e sull’interazione comunicativa, l’esistenza delle reti di piccola impresa costituisce un asset da valorizzare; • la rete di piccole imprese è un generatore di nuova imprenditorialità, perché, grazie alla minuta divisione del lavoro realizzata nelle reti, riduce le barriere all’ingresso di chi vuole “mettersi in proprio” pur avendo un capitale limitato e competenze confinate solo ad uno specifico campo. La presenza di elevate barriere all’ingresso per il self-employment è uno degli elementi di rigidità principali dell’organizzazione fordista, perché impedisce a chi ha un’idea innovativa, a chi si trova a fare un lavoro che non corrisponde alle sue aspirazioni o a chi rimane senza lavoro di rimboccarsi le maniche e investire su se stesso, avviando una nuova iniziativa. Solo in presenza di ridotte barriere all’accesso (e dunque solo in presenza di un tessuto diffuso di piccole imprese) i sistemi industriali possono attivare quelle dinamiche dal basso che rinnovano il tessuto imprenditoriale e che mantengono la piena occupazione; • la rete di piccole imprese funziona come un integratore sociale che consente di collegare in forme ragionevoli le esigenze della vita privata con quelle della vita produttiva. Persone, famiglie, reti amicali e religiose, servizi privati e pubblici si sovrappongono sul territorio per ricercare soluzioni socialmente utili che siano compatibili con le esigenze della produzione. In questo senso, anche il welfare può assumere forme flessibili che modulano, sul territorio, esigenze concrete, senza delegare il tutto a regole astratte, spesso inutili o controproducenti. • la rete di piccole imprese è un circuito di apprendimento che genera conoscenze sperimentali e condivise, attraverso un processo di specializzazione/ integrazione straordinariamente efficace in certi campi. Rendendo queste conoscenze facilmente accessibili a chi condivida l’esperienza del contesto, la rete di piccole imprese costituisce una “scuola” di professionalità e imprenditorialità che alimenta l’apprendimento sociale e lo sviluppo delle conoscenze 24
  • 27. Trentino Sviluppo SpA impiegate nella produzione. In effetti, in sistemi di piccola impresa, l’intelligenza terziaria non sta all’interno di piramidi organizzative chiuse (proprietarie), ma sta nel settore delle piccole società di servizi, che vendono soluzioni, idee, informazioni alle imprese utilizzatrici. Esternalizzando i servizi e le conoscenze che essi contengono, il sistema della piccola impresa rende disponibile alle singole persone il sapere sociale accumulato nel corso delle esperienze di migliaia di aziende, abilitando in questo modo il singolo a tentare proprie sperimentazioni e varianti. Tutte queste funzioni hanno un impatto positivo sull’economia generale. E costituiscono un tratto caratterizzante dell’economia del capitalismo personale.5 5 A. Bonomi – E. Rullani “ Il capitalismo personale: vite al lavoro” Einaudi 2005 25
  • 28. Trentino Sviluppo SpA 4. Agire per un riequilibrio territoriale L’armonica distribuzione della popolazione sul territorio rappresenta una peculiarità e una garanzia del sistema sociale e culturale trentino: i piccoli comuni sono un modello insediativo fondamentale per il presidio e la gestione del territorio montano ed un’alternativa percorribile per contenere uno sviluppo sbilanciato che favorisce la concentrazione di popolazione nelle aree urbane di fondovalle. In provincia di Trento, i comuni in condizioni di marginalità (compresi nell’area obiettivo 2 delle politiche comunitarie) rappresentano più del 27% del numero complessivo di comuni della provincia, ma pesano solo per il 9,6% in termini di popolazione. Questi semplici numeri ci indicano come in queste aree rientrino comunità di dimensioni più ridotte di quelle, già piccole, che caratterizzano in media il Trentino. Se a tale circostanza si aggiunge il fatto che tali comuni si situano spesso alla periferia del territorio provinciale, o comunque in aree di non agevole accesso, si comprende perché i punti di forza caratterizzanti la struttura socio-economica della provincia vi si ritrovino attenuati. A fronte di questa situazione le politiche della Provincia di Trento sono rivolte all’obiettivo globale di intervenire sullo spopolamento delle zone decentrate. Questo per riequilibrare un territorio, dove seppur non emergano particolari problemi legati alla disoccupazione, si assiste ad un depotenziamento delle comunità locali che si manifesta in processi di emigrazione e, ancor più, in consistenti fenomeni di pendolarismo per motivi di lavoro e di studio verso le aree di fondovalle. Tra le cause e conseguenze dello spopolamento, vi è un indebolimento delle reti che consentono di fare comunità locale, una progressiva chiusura di servizi di base, il diradamento dei punti commerciali e una progressiva carenza di sistemi di vitalità sociale. L’invecchiamento della popolazione, il calo della natalità, l’emigrazione, il pendolarismo sono al contempo causa ed effetto del lento scomparire di tante micro autonomie funzionali comunitarie come gli uffici postali, le scuole, gli ospedali, o per scendere più nel micro, del circolo, del bar, del negozio di paese. Seppure in Trentino questo fenomeno sia attenuato da politiche istituzionali rese possibili dallo statuto di autonomia e non sia paragonabile a ciò che avviene in altre aree montane, vengono comunque meno i parametri per una gestione “economica” dei servizi e questo determina un impoverimento della società locale che accelera, anziché fermare, l’esodo. Nell’ultimo decennio le politiche, sia provinciali, sia europee, volte a ridurre gli squilibri territoriali, hanno permesso un rallentamento del fenomeno migratorio e hanno evidenziato la presenza di segnali di vitalità della montagna. Sebbene i comuni rientranti nell’area obiettivo 2 perdano popolazione in ogni fotografia decennale rilevata, nell’ultimo periodo si registra un’inversione di segno e un incremento di popolazione, anche se molto contenuto e inferiore di ben tre volte rispetto a quello provinciale. Questa tendenza si consoliderà solo se i piccoli comuni riusciranno, attraverso la creazione di opportunità di lavoro a livello locale, a contrastare l’emigrazione ed il pendolarismo e se godranno di una capacità di attrazione pari, o meglio maggiore, a quella della provincia perché solo così si potrà contribuire a consolidare il trend positivo. Si tratta pertanto di operare per offrire adeguati livelli di vita anche in zone decentrate, puntando prioritariamente alla creazione di opportunità di lavoro a livello locale. “Il problema di Valfloriana è lo spopolamento dovuto alla mancanza di opportunità di lavoro. È partita la generazione degli anni ’60, ’70, sono andati via a Trento, a Bolzano, a Milano. In questo paese siamo più o meno 540 residenti; negli ultimi 3 o 4 anni siamo calati di 30 adulti: oggi abbiamo una popolazione molto 26