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SSOOFFTTWWAARREE EE SSEERRVVIIZZII::
EE'' OORRAA DDII UUSSCCIIRREE DDAAII CCOONNFFIINNII
L'allargamento dell'Unione Europea, la globalizzazione del
commercio e la disponibilità di accessi a Internet a banda
larga anche nei paesi di nuova industrializzazione
permettono alle aziende di gestire con maggior semplicità i
progetti informatici che coinvolgono le sedi e i partner
dislocati all'estero
Per l'IT è un occasione di adattare gli strumenti e i servizi
disponibili alle nuove esigenze di business dell'azienda,
per le organizzazioni più efficienti è l'occasione di crearsi
un vantaggio competitivo sulla concorrenza
A cura della redazione di Computerworld Italia
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Con l'entrata di ben dieci nuovi stati nell'Unione Europea, il mercato di riferimento per
qualunque attività di business risulta notevolmente ampliato. E permette alle numerosissime
aziende italiane che hanno a che fare con questi paesi, sia per l'importazione di prodotti che
per la disponibilità di filiali proprie, di semplificare le attività burocratiche e accelerare la
propria internazionalizzazione. Un processo che va necessariamente accompagnato con
l'evoluzione dei sistemi informativi aziendali: il gestionale fatto in casa e funzionante a
tutt'oggi in una finestra DOS di Windows non basta più per gestire acquisti e forniture in tutto
il mondo, Internet garantisce un'efficienza talmente elevata alla gestione dei rapporti con
l'estero da non poterla più ignorare. Nemmeno se questo comporta un rinnovamento radicale
delle proprie soluzioni gestionali.
L'esperienza maturata dai fornitori nella preparazione supporto di software multivaluta, con
l'ingresso nell'era dell'euro, è stata per essi un'ottima palestra sia dal punto di vista tecnico che
organizzativo.
Se queste considerazioni possono tranquillizzare almeno in parte i CIO ancora (e per chi sa
quanto tempo) alle prese con resistenze interne e diffidenza verso le spese IT, un aspetto di
cui è giusto continuare a preoccuparsi è la scelta del modello di 'internazionalizzazione' del
sistema informativo. Meglio delocalizzarlo, installando molteplici siti del gestionale e degli altri
applicativi negli stabilimenti e negli uffici all'estero, o mantenere un'architettura centralizzata,
fornendo all'estero solo delle form e procedure basate su Web? E sul fronte dei servizi, meglio
affidarsi interamente a un fornitore basato in Italia, che manderà debitamente in giro per il
mondo i propri consulenti, o ricercare (magari proprio con l'aiuto del fornitore italiano) accordi
con fornitori locali? Quanto si può andare lontano con questi accordi, in ottica puramente
geografica, dato che avere un fornitore nell'est europeo non è certo la stessa cosa che averlo
in India?
Il dossier affronta tutti questi argomenti riportando i punti di vista e le esperienze dirette di
diversi IT manager, che offrono le loro valutazioni sulle installazioni internazionali (Andrea
Provini, CIO del gruppo Faber, ha realizzato un servizio sull'installazione di un ERP presso un
sito produttivo in Cina) e sulle attività di outsourcing. Presentiamo anche il punto di vista dei
fornitori sull'internazionalizzazione dei software gestionali, così da far comprendere al lettore
anche le problematiche più o meno esplicite di chi le soluzioni gestionali le propone sul
mercato. Comprendere le aspettative e le difficoltà di chi sviluppa e supporta gli applicativi è
sicuramente un passo importante, per il CIO, al fine di una proficua impostazione del rapporto
con il proprio fornitore.
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LLee ssoolluuzziioonnii cchhee vvaannnnoo aallll''eesstteerroo
Le ragioni che portano le software house del nostro Paese a varcare i confini
di Giuseppe Goglio
La progressiva apertura dei mercati su scala internazionale porta le aziende a confrontarsi con
una serie di problematiche a livello di infrastruttura IT che raramente si presentano operando
all'interno della nazione di appartenenza. In tema di software gestionali, in particolare, il lavoro
di localizzazione indispensabile per rendere fruibile un pacchetto applicativo anche al di fuori
dei confini italiani non può limitarsi alla banale traduzione dell'interfaccia. La parte più
impegnativa del lavoro è l'adeguamento alle normative e alle procedure del software secondo
gli usi locali, senza dimenticare che nel caso di aziende utenti italiane che operano all'estero le
esigenze del luogo devono conciliarsi con le abitudini del management dislocato sul posto. Il
quadro estremamente variegato in materia di scenari locali, esigenze di settore e rapporti
internazionali offre spazio alle software house italiane che, per scelta o necessità, si trovano a
dover mettere a punto nuove soluzioni per il mercato internazionale.
A rimorchio del cliente
Quando il gestionale di una software house
incontra un certo successo a livello nazionale,
prima o poi inevitabilmente si presenta il
problema di come affrontare il mercato estero.
È infatti frequente il caso di aziende utenti
che decidono di avviare rapporti
commerciali oltre confine o aprire nuove
filiali e che di conseguenza richiedono
un'estensione del sistema in uso. E proprio
l'azienda utente italiana che cresce all'estero
rappresenta la motivazione principale che
induce i fornitori di soluzioni a
'internazionalizzare' un applicativo esistente.
"La decisione di 'varcare' i confini è derivata
dalla necessità di seguire un grosso cliente
italiano che aveva acquisito una società in
Francia - afferma Enrico Gamba, PM divisione
grandi imprese di Esa Software -. A ciò è poi
seguito uno sforzo di penetrazione notevole
che ha portato a installare i nostri prodotti in
22 Paesi stranieri, in Europa, in Sudamerica e
nell'Africa del nord". In queste situazioni, la traduzione del software è solamente il primo di
una serie di passaggi a volte delicati: "Per rispondere alle esigenze specifiche dei Paesi in cui si
andava a installare il nostro pacchetto - aggiunge Gamba -, abbiamo sostenuto pesanti
investimenti per la traduzione e per la localizzazione, nonché per la formazione interna dei
consulenti al fine di creare risorse in grado di interfacciarsi con dieci lingue diverse".
Per una software house però, non sempre 'seguire' un'azienda utente può essere considerato
sinonimo di presenza internazionale. Spesso infatti, può trattarsi di un caso limitato, mirato a
consolidare il rapporto con un cliente, e poco significativo ai fini della verifica delle potenzialità
del mercato estero, per il quale servono invece strategie più articolate.
"Abbiamo seguito sostanzialmente due criteri nella nostra strategia di internazionalizzazione.
In primis abbiamo cercato di esaminare il trend di mercato delle aziende utenti italiane, ovvero
Quando è il cliente che parla internazionale
Un buon punto di partenza per lo sviluppo su scala
internazionale di una software house italiana è
l'espansione all'estero delle attività di un cliente già
acquisito. Questa è la strada che Formula ha seguito
grazie a Flos, azienda bresciana che opera nel settore
dell'illuminazione e che ha implementato la soluzione
ERP Diapason a livello internazionale in differenti
Paesi europei. Successivamente, Flos ha inoltre
collegato una sua società partner spagnola attraverso
una soluzione in ambito supply chain e ora tutti i suoi
agenti europei, compresi quelli belgi e scandinavi,
immettono gli ordini di vendita direttamente nel
sistema attraverso interfacce web in lingua. "Il livello
delle procedure utilizzate e richieste da Flos è alto,
ma allo stesso tempo l'azienda non dispone di budget
a livello di corporate multinazionali- afferma Giuseppe
Iannuzzi, responsabile filiale di Milano e area SCM di
Formula-. Siamo stati chiamati a coniugare queste
esigenze e fornire soluzioni in grado di rispondere
completamente alle necessità un'azienda
internazionale, italiana e non".
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verso quale area era indirizzata la loro politica di espansione internazionale - dichiara Enrico
Itri, CEO di Microarea -. Quindi abbiamo cercato di individuare quelle aree del mercato
internazionale che mostrano una segmentazione simile a quella del mercato italiano e che si
presentano, dunque, particolarmente ricettive nei confronti delle soluzioni gestionali per le
piccole e medie imprese".
Dagli esiti di entrambi gli aspetti dello studio condotto da Microarea, è emerso come le migliori
possibilità in campo estero per i fornitori italiani che operano in ambito ERP, arrivino dal
mercato dell'Est Europa, sia per le prospettive commerciali, sia per una segmentazione simile a
quella italiana. "Si tratta di un mercato relativamente giovane sotto il profilo del software per
le PMI - sottolinea Itri -, ma nello stesso tempo esprime alte competenze tecnologiche". "Sono
i clienti a giocare un ruolo fondamentale nella scelta dei Paesi verso i quali è prioritario
orientarsi - conferma Stefano Matera, direttore commerciale canale indiretto e marketing di
TeamSystem -. Sono sempre più numerose le imprese italiane che per motivi economici
vedono soprattutto i Paesi dell'Est europeo come mercati interessanti".
Non solo software multilingua
Invece di intervenire 'a posteriori' nel momento in cui da parte di un'azienda utente si
manifesta l'esigenza specifica, alcuni fornitori
preferiscono intervenire in fase di
progettazione, lasciando aperto il proprio
software a personalizzazioni non solo per
quanto riguarda il ramo di attività, ma anche
per gli aspetti di localizzazione: "Fin dall'inizio
della fase di progettazione della nostra
famiglia di soluzioni ERP, abbiamo impostato
una strategia di sviluppo per il mercato
internazionale, non solo limitata alle aziende
italiane con filiali estere - afferma Maurizio
Ferraris, direttore commerciale di DS Data
Systems -. Saper supportare clienti esteri
significa non solo scrivere software multilingua e multivaluta, ma soprattutto progettarne la
documentazione, il metodo per la parametrizzazione, i servizi di consulenza-formazione-
supporto in modo tale da renderli disponibili nelle modalità richieste dai diversi Paesi".
In una strategia di questo tipo, può risultare vantaggioso lavorare in partnership con realtà
locali o comunque con buona conoscenza dello scenario internazionale: "Per offrire lo stesso
livello di servizio alle aziende sia in Italia sia all'estero ci siamo mossi a livello internazionale
per essere in grado di fornire un servizio adeguato - afferma Giuseppe Iannuzzi, responsabile
filiale di Milano e area SCM di Formula -. Con l'aiuto di Ernst&Young, divisione Audit di
Amsterdam, abbiamo redatto le esigenze, sia in termini di fiscalità che di best practices, dei
differenti Paesi che intendiamo servire e contemporaneamente siamo partiti nel costruire una
rete di assistenza a livello internazionale".
Gli standard, il punto di partenza
Una terza via per la diffusione di soluzioni italiane a livello internazionale prende spunto
dall'utilizzo di una serie di standard in fase di progettazione che consentono una rapida
localizzazione per gli aspetti più generici del software e lasciano aperta la possibilità di
interventi a scopo di personalizzazione: "Negli ultimi anni abbiamo sviluppato diverse
localizzazioni estere della nostra offerta, grazie anche al fatto che le tecnologie su cui è basata,
Java, ne consentono un utilizzo via web - spiega Fabio Vennettilli, direttore generale di Cata
Informatica (Gruppo Byte) - . Oltre a ciò, garantiamo servizi di adeguamento ai requirement
locali sia civilistico-fiscali sia alle business practice specificatamente richieste sul luogo".
Anche in questo caso, a livello locale l'offerta può essere completata attivando collaborazioni
con i fornitori del posto: "Per coprire le esigenze delle aziende italiane, nostre clienti, che
L'Est, un mercato 'ideale' per gli italiani
Sono diversi gli imprenditori, che vedono nei mercati
dell'Europa dell'Est caratteristiche analoghe alla
situazione italiana, a tutto vantaggio delle software
house nostrane. Questa è una delle motivazioni che,
secondo Enrico Itri, CEO di Microarea, ha indotto
l'ungherese Budacolor, che produce inchiostri
tipografici, e facente parte dell'italiana Samor
International Group, a optare anche a livello locale
per la soluzione software Mago.Net per la gestione
della produzione.
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hanno all'estero sedi operative sia commerciali che produttive, abbiamo reso disponibile la
nostra soluzione anche in versione multilingua. - precisa Paolo Furini, direttore marketing di
Axioma -. Devo comunque precisare che
tale estensione riguarda solo la parte
della soluzione che va a impattare sui
processi operativi: escludendo il modulo
amministrativo e finanziario, che
diverrebbe troppo complicato gestire in
tal senso vista l'eterogeneità delle
normative. La soluzione è quella di
gestire poi un consolidato centrale,
partendo dai dati forniti dalle soluzioni
software locali e di terze parti".
Il rovescio della medaglia
Non sono però solamente le difficoltà
della localizzazione le uniche
problematiche che deve affrontare una
software house italiana che si avvia ad
affrontare un mercato straniero. Da non
sottovalutare sono anche le potenzialità
di una concorrenza sul sito, che fa leva
esattamente sulle stesse motivazioni dei
fornitori italiani di fronte ai grandi nomi
internazionali.
"Per supportare una politica di
espansione all'estero delle aziende utenti
italiane è necessario da un lato conoscere
in modo approfondito le dinamiche che
governano i loro processi aziendali interni
e dall'altro sostenere con loro una
comunicazione continua ed efficace;
soltanto un vendor italiano può conoscere bene un'azienda italiana - afferma Enrico Itri di
Microarea -. Parallelamente, occorrono analoghe competenze nei vari Paesi dove si intende
sviluppare il business del gestionale".
D'altra parte, sarebbe rischioso per un fornitore di soluzioni limitarsi a 'coltivare il proprio
orticello', senza considerare l'idea di estendere la portata dei software: "L'allargamento dei
mercati è requisito irrinunciabile per il successo delle aziende - afferma Cristina Storer,
marketing & communication director di Txt e-solutions -. Inoltre, volendo gestire un proprio
software è necessario disporre di un'ampia base di installato; in quest'ottica rimanere entro i
confini italiani rappresenta una forte limitazione".
Il mercato delle tlc nell'est europeo
La penetrazione delle comunicazioni mobili nei Paesi
dell'Europa occidentale sta arrivando alla soglia del 100%; a
livello mondiale, nel febbraio 2004 il GSM ha superato il
miliardo di utenti, su un totale di circa 1,3 miliardi di utenti
mobili, e ormai si lavora per il secondo miliardo. Nella sola
Cina, il numero degli utenti mobili ha superato i 260 milioni,
con incrementi di oltre 50 milioni l'anno.
Quanto alla banda larga, ha ormai cessato di rappresentare un
optional. All'inizio del 2004, oltre 100 milioni di utenti nel
mondo disponevano di una connessione a banda larga, in
prevalenza ADSL. Il primo Paese in valori assoluti è ancora
una volta la Cina, seguita dal Giappone. In Italia, a metà 2004
ADSL registrava circa tre milioni di utenti, e anche la diffusione
delle connessioni veloci via fibra ottica continua a essere
sostenuta. Si apre così la strada a un triplice salto di qualità,
con comunicazione bidirezionale su Internet, su rete mobile e
su televisione interattiva. In questo scenario si inserisce
naturalmente il nuovo attore, la televisione digitale terrestre,
che è ancora in fase di lancio e sostanzialmente sperimentale;
ma è rimarchevole notare che i 250.000 utenti (dati di aprile
2004) avevano tutti meno di 12 mesi di anzianità. Appare
quindi ragionevole aspettarsi una popolazione utente non
inferiore al milione entro la fine di quest'anno.
In pochi anni sono cambiati gli apparecchi che utilizziamo in
casa, in ufficio o per strada. Le vendite dei monitor LCD hanno
superato quelle dei monitor a tubo catodico (i grandi nomi
hanno tolto, o stanno togliendo i monitor CRT dai listini), e la
presenza è diventata significativa anche nel mercato del
televisore. Il lettore DVD ha sostituito il videoregistratore a
cassetta, con ovvio effetto trainante sul mercato dei media
preregistrati. Lo stesso discorso vale per la fotografia: il
digitale si sta affermando a tutti i livelli di costo e di utilizzo,
anche professionale.
Pagina 6 di 3
OOffffsshhoorree:: uunn bboooomm aannnnuunncciiaattoo,, mmaa......
I servizi di outsourcing
'd'importazione' non incontrano
molto favore tra i CIO italiani
di Ornella Fusina
Le grandi multinazionali ne fanno un
uso sempre più esteso. In Italia
qualche banca ha iniziato a ricorre a
questa pratica, ma è quasi un tabù per
le delicate questioni del personale che
sollevano. E si racconta che anche da
noi ogni system integrator e
outsourcer, nel formulare un'offerta
chieda ormai di prassi: "Vuole
personale locale o le va bene anche
straniero?". Stiamo parlando dei
servizi IT offshore, cioè prestati da
strutture e risorse di Paesi lontani
rispetto all'azienda utente, come
India, Cina, Singapore, Filippine.
Oppure più vicini, come Russia,
Romania e Irlanda nel caso di
un'azienda cliente europea: in tal caso
vengono chiamati servizi nearshore.
Ad accomunare le due opzioni è il fatto
che in questi Paesi le risorse tecnico-
specialistiche costano meno che nel
mondo occidentale sviluppato, e sono
di buona qualità, talvolta superiore
anche a quella dei fornitori americani.
È l'effetto della globalizzazione sul
mercato dei servizi IT, che secondo le
stime di Gartner ha già indotto
quest'anno quattro CIO di grandi
aziende su dieci ad affidare almeno un
servizio tecnologico in offshore; e
l'anno prossimo diventeranno otto su
dieci. "Un trend irreversibile - sancisce
l'analista di Gartner, Rita Terdinam -
per il semplice fatto che un risparmio
del 40% sui costi non può essere
ignorato nell'attuale clima economico e
che il personale IT deve diventare più
flessibile per riuscire a cogliere più
velocemente le opportunità di
business". Un trend che il capo delle
operazioni di outsourcing di Cap Gemini
Ernst & Young conferma: "Nell'ultimo
anno non c'è stato un incontro con
India, Irlanda e Russia: i pro e i contro
L'India è indubbiamente il Paese con la tradizione più
consolidata nell'offerta di servizi di outsourcing a basso costo e
di elevata qualità, e la principale destinazione delle commesse
offshore delle aziende americane. E man mano che il
vantaggio competitivo sui prezzi viene oscurato da altri Paesi
'emergenti' nell'offshoring, in particolare la Cina, i vendor
indiani (Infosys Technologies, Wipro, Tata Consultancy
Services, Cognizant sono i maggiori nomi) stanno cercando di
allargare la loro offerta originaria di manutenzione e sviluppo
di applicazioni e di system integration di piccole parti di
progetti con la gestione di processi operativi, come le paghe e
stipendi, i call center, fatture e analisi finanziarie, anche se gli
skill di consulenza per settori industriali specifici rimane per il
momento un punto debole. Sta di fatto che queste aziende
ormai competono testa a testa con IBM, EDS, Accenture e altri
outsourcer occidentali, i quali peraltro si stanno guadagnando
un sempre maggior accesso a risorse tecniche a basso costo,
indiane e di altri Paesi, proprio per competere sui prezzi. Resta
per ora indiscusso il vantaggio competitivo della qualità: tutti i
vendor indiani sono infatti certificati CMM Level 5, il più alto
livello del Capability Maturity Model dell'americana Carnegie
Mellon University per lo sviluppo software e le metodologie di
processo. Mentre le profonde differenze culturali - come
l'incapacità di dire no anche quando non si sa ottemperare a
una specifica - restano per molti IT manager occidentali un
problema.
Irlanda Venendo all'offerta europea, a rendere interessante
l'Irlanda non sono tanto gli stipendi IT (a metà tra quelli di
USA e India), quanto la possibilità di misurarsi con una cultura
anglosassone con una differenza di fuso minima beneficiando
di un'aliquota fiscale per le imprese (12,5%) che è la più bassa
dell'Europa occidentale e di incentivi statali. Di qui la scelta di
alcune società finanziarie americane, già qualche anno fa, di
creare vere e proprie filiali IT a Dublino e dintorni per
sviluppare, testare e integrare pacchetti applicativi, e
soprattutto di trasferire qui i call center. Sono 11mila i laureati
e diplomati in informatica che ogni anno escono dalle scuole
irlandesi, e a cui attingono anche IBM, Microsoft e Oracle per
le loro software factory locali.
Russia ed Europa dell'Est. La Russia ha scoperto da poco il
business dell'outsourcing, un business che oggi vale meno di
200 milioni di dollari contro i sei miliardi dell'India, ma che sta
crescendo del 50% l'anno. Gli stipendi degli sviluppatori sono
al livello di quelli di indiani (tra 5mila e 9mila dollari), ma
secondo la Banca Mondiale la Russia è il terzo Paese del
mondo per numero di scienziati e ingegneri pro capite. Il
problema sono l'economia instabile e le infrastrutture
tecnologiche inadeguate, nonostante i progressi compiuti negli
ultimi anni, ma soprattutto l'atteggiamento poco trasparente
del governo, la pesante burocrazia e leggi restrittive in materia
fiscale, doganale e sull'immigrazione, con l'influenza che tutto
ciò esercita sulla cultura di business del Paese. Inoltre il
governo russo, espressione di una democrazia appena agli
esordi, investe poco nel settore IT rispetto ai governi dirigistici
di India e Cina, dove il processo decisionale è più snello. A ciò
si aggiunge il fatto che la lingua inglese è poco conosciuta e le
competenze manageriali poco diffuse. In confronto l'Ungheria
ha un mercato IT più maturo e a crescita più lenta, ma una
maggior disponibilità di competenze IT, gestionali e
imprenditoriali, mentre Ucraina e Bielorussia offrono
programmatori di lingua russa a minori costi.
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clienti in cui non si sia parlato di
offshore, anzi ci sono clienti che
chiedono che l'80% del lavoro a
contratto venga eseguito in offshore".
E anche se per il momento i CIO
italiani intervistati dal nostro giornale
non sembrano così interessati
all'argomento, quelli americani
intervistati dall'edizione americana di
Computerworld utilizzano già
direttamente risorse offshore per lo
sviluppo del software, per
l'integrazione di sistemi, per la
manutenzione e anche per la gestione
delle operazioni , non solo tramite il
loro fornitore principale di
oustsourcing. IBM o Accenture o EDS
ormai trasferiscono buona parte dei
contratti alle strutture che hanno in
India, in Cina e in altre parti del
mondo. Per avere un'idea, IBM dopo
l'ultimo potenziamento delle sue
'facility' in India è diventata il quinto
maggior datore di lavoro del Paese,
mentre EDS ha annunciato che
allocherà il lavoro alle risorse più
adatte a eseguirlo tra le sue '16
facility' in 11 Paesi del mondo, e di
voler arrivare nel 2004 ad avere ben
20mila addetti in località offshore.
Tra le varie implicazioni che
l'offshoring ha sul modo di operare,
sul profilo e le competenze dei CIO,
nonché sull'organizzazione IT di
un'azienda, gli analisti, i fornitori e i
CIO che già stanno sperimentando
questa nuova modalità di sourcing
evidenziano soprattutto la
complessità del multisourcing, cioè di
gestire la pluralità di fornitori
specializzati per tipologia di servizio (sviluppo software, manutenzione, Business Process
Outsourcing ecc.); ma anche la necessità di disporre di personale IT con meno skill tecnici e
più esperienza manageriale, nonché più conoscenza dei processi e capacità di analisi del
business.
I CIO italiani e l'offshore
Abbiamo chiesto ad alcuni responsabili dell'IT italiani se
utilizzano o stanno prendendo in considerazione di utilizzare
servizi offshore e che opinione hanno dei benefici e ostacoli
che presenta questa modalità di outsourcing. Ecco che cosa ci
hanno risposto.
"Ho recentemente incontrato una delle maggiori società
indiane attive nello sviluppo di software - racconta Bruno
Cocchi, CIO di Gruppo Coin -. Mi hanno prospettato tariffe
unitarie inferiori del 30% a quelle da noi attualmente pagate,
ma considerato l'overhead di progetto e le inevitabili
complicazioni di gestione il risparmio si riduce
considerevolmente".
Anche se l'incontro con questa società non ha avuto seguito, in
ogni caso Gruppo Coin intende "mantenere monitorata la
possibilità di utilizzare servizi offshore per lo sviluppo di nuovi
sistemi applicativi, in particolare per singoli progetti ad alto
volume di giornate/uomo (oltre 2.000)".
A smentire il mito dell'economicità dell'offshore è il CIO di
Natuzzi, Giuseppe Nicola Lassandro: "Abbiamo scoperto che
l'offshore non conviene, perché i costi delle risorse
informatiche in provincia di Bari risultano competitivi con quelli
delle società indiane".
Paolo Sassi, ICT manager di Osram Italia, intravede invece
nell'offshoring "forti vincoli nei fusi orari e nella comunicazione
linguistica; e comunque non è un'opzione che stiamo
considerando".
Neanche al gruppo Sonepar (distribuzione di materiale
elettrico) l'offshore viene preso in considerazione per il
momento: ai "benefici riscontrabili sicuramente nella
diminuzione dei costi e negli alti skill professionali reperiti si
oppongono vincoli legati, da un lato, alla grossa esperienza
necessaria per gestire processi tipici del nostro mondo,
dall'altro alle distanze culturali con i Paesi dell'offerta
offshore", sostiene il responsabile IT Gianfranco Baccichetto.
Meno motivate le risposte di altri due CIO: "Nel nostro
contesto non abbiamo individuato settori di attività sui quali
adottare questo tipo di servizi", dice Claudio Cassarino,
responsabile dei sistemi informativi dell'azienda di trasporti
milanese ATM. Dello stesso tenore la risposta dell'IT manager
della casa farmaceutica Grunenthal-Formenti, Roberto
Brambilla: "Non utilizziamo e non stiamo prendendo in
considerazione, al momento, questa opzione".
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VViicciinnaa oo lloonnttaannaa,, llaa CCiinnaa èè uunn''ooppppoorrttuunniittàà
Un CIO italiano, in Cina per un progetto ERP, parla dei diversi problemi di questo
grande Paese
di Andrea Provini (CIO del gruppo Faber)
Spesso capita che il CIO di un'azienda che opera a livello internazionale sia chiamato a
coordinare il roll-out di un sistema informativo all'estero. Più inusuale, anche se sempre più
frequente, è che debba pensare a un'implementazione in Paesi del Far-East. Per esempio, la
Cina.
Già, la Cina, un Paese ormai all'attenzione di tutti, sia in positivo che in negativo. Infatti, ai
problemi ambientali, sanitari e alla scarsa regolamentazione che ne fanno un Paese 'a rischio',
si contrappone un mercato potenziale di oltre un miliardo di consumatori e una economia che
cresce costantemente con tassi di 4 o 5 volte superiori a quelli europei. Insomma, un mercato
in cui non si può non andare, se si vuol continuare a giocare un ruolo da leader sui mercati
internazionali.
Detto questo torniamo al problema o meglio all'opportunità oggetto del nostro viaggio: il roll-
out di un ERP (SAP, per l'esattezza) in Cina. Questo articolo è il primo di una serie che vuol
dare conto in modo dettagliato delle difficoltà e delle opportunità, degli spunti interessanti e
degli errori da evitare nell'organizzazione e nella conduzione di un tale progetto in Cina. Il tutto
visto con gli occhi di un CIO che tale esperienza deve viverla e gestirla in prima persona.
Questo viaggio verrà affrontato in alcune tappe: come preparare il viaggio, come impostare il
progetto, come gestire la sua esecuzione localmente e interagire con il territorio, la sua storia
e le sue risorse (persone, fornitori, e così via). Il tutto con l'attenzione e la curiosità di chi
cerca di capire e di ottimizzare tutte le risorse disponibili e le opportunità che gli si offrono.
Come organizzare viaggio e permanenza
La prima cosa che appare evidente nell'impostare un viaggio in Cina è che si tratta di un Paese
che non sta dietro l'angolo, ha un fuso orario (nella sua parte più sviluppata) che oscilla tra le
6 e le 7 ore, ha una cultura e una lingua molto distanti dalla nostra e sta vivendo una difficile
transizione dalla più immobile economia alla più selvaggia deregulation. Un Paese in cui
l'evoluzione culturale e tecnologica assume gli aspetti di una rivoluzione, perché tutte
le innovazioni e i cambiamenti che nel mondo occidentale sono maturati in uno o più decenni
qui assumono delle accelerazioni inimmaginabili.
Per tutte queste ragioni, prima di muoversi e al fine di essere pronti e meglio comprendere la
Cina, il mio consiglio è di entrare in contatto con chi esperienze simili le ha già affrontate e può
essere quindi prodigo di consigli e suggerimenti. Suggerimento: state alla larga da improbabili
aziende e/o consulenti capaci di risolvere in loco e con tempi rapidissimi ogni problema grazie
alle loro vantate 'importantissime entrature'; mi avvicinerei maggiormente agli enti
istituzionali quali la Camera di Commercio Italo-Cinese, la Camera di commercio
italiana in Cina (strano ma vero, sono due cose distinte), alcune organizzazioni presenti sul
Web quali ItaliaCina on line, tutte in grado di fornire utili informazioni. L'iscrizione a tali istituti
non costa molto e può essere utile per ottenere risposte a molti quesiti iniziali sulla Cina.
Sottolineo quesiti iniziali, perché le risposte più interessanti le si possono avere solo sul luogo.
Secondo suggerimento: tenetevi in contatto con tutte quelle entità che all'interno del proprio
settore, della propria supply-chain e della propria clientela operano già nel mercato cinese.
Questo per poter entrare a far parte di quel network di aziende, persone e conoscenze che a
vario titolo possono avere interesse a sviluppare competenze, business e progetti in Cina, e
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disponibilità a condividere esperienze, posizioni acquisite e, nei casi più arditi, anche progetti e
investimenti.
Il vantaggio del 'gioco di squadra'6
Già a questo livello e con le poche esperienze maturate potrete accorgervi che muoversi
dall'Italia alla Cina con un roll-out internazionale è molto meno agevole che farlo a partire da
un Paese della CEE o anglosassone. Per rendersi conto di ciò basta girare un po' su Internet
per accorgersi (e, stando in Cina, averne la certezza) che in questi Paesi esiste un maggior
gioco di squadra nell'affrontare 'Paesi lontani': tutte le componenti della catena necessaria a
garantire il successo del progetto si muovono generalmente in modo coordinato per creare le
condizioni necessarie per non rischiare di trovarsi a metà di un progetto senza alcune delle
componenti chiave.
Stando in Cina, infatti, non è difficile notare come i grandi gruppi tedeschi e francesi si siano
mossi in modo coordinato; tutta la catena del valore di tali gruppi ha spesso sposato questa
strategia di localizzazione. Risultato: la creazione (in Cina) di distretti locali che surrogano
e ricreano le condizioni del proprio Paese d'origine.
Per tale motivo, dal punto di vista IT, non è difficile imbattersi in system integrator tedeschi
e/o francesi già localizzati in Cina, che operano spesso con personale cinese (anche se il
management e le figure di maggiore esperienza sono ancora tutte occidentali) che già sono al
supporto di aziende in catena tra loro di cui sono fornitori di servizi sia in Cina sia nel proprio
Paese d'origine.
Oltre a questo, tutte le grandi aziende globali di consulenza ICT (Accenture, Atos Origin e così
via) sono già presenti localmente, spesso al seguito di grandi multinazionali loro clienti.
Tuttavia il loro approccio e il loro profilo di costi spesso risultano rivolti esclusivamente a questi
grandi gruppi industriali/finanziari e poco adatto a chi già a casa propria non si affida ad altri
fornitori non condividendone approcci e metodologie.
È sorprendente che proprio un Paese come l'Italia, dove i distretti sono spesso definiti come
l'ossatura e l'arma vincente di molti settori industriali, non sia capace di replicare all'estero lo
stesso modello vincente. Anche se i più esperti non sono sorpresi più di tanto, considerando il
forte individualismo e la forte conflittualità spesso presenti nel sistema aziendale distrettuale
italiano.
I tanti ritardi dell'Italia
Che l'Italia sia in ritardo, e sicuramente non in posizione 'aggressiva' sul mercato cinese, lo si
nota con facilità anche nella disponibilità di collegamenti aerei tra l'Italia e la Cina. Non esiste
alcun volo di linea tra l'Italia e la Cina della nostra (sia pur in crisi) compagnia di
bandiera; resta invece la possibilità di muoversi con alcune compagnie straniere (Cathay
Pacific in primis) che collegano Roma a Hong Kong quotidianamente, oppure scegliere di
sfruttare i grandi hub del Nord Europa (Parigi e Francoforte) dove esistono collegamenti
quotidiani con tutti i principali centri cinesi.
Il volo ha una durata di 10 ore circa per raggiungere i principali centri (Pechino e/o Hong
Kong) a cui poi bisogna sommare le attese e le ore per eventuali trasferimenti interni. Da
questo punto di vista aeroporti e linee aree che operano in Cina, per infrastrutture e livello di
servizio, sono sicuramente all'altezza dei principali hub europei.
Per arrivare in Cina i collegamenti più interessanti, almeno nella mia esperienza pratica, sono
quelli che all'andata partono tra le 12 e le 16 (ora di Roma) e sfruttano la 'notte cinese' per
viaggiare (ricordo che esistono dalle 6 alle 7 ore di fuso orario a seconda del periodo
dell'anno): dormire infatti per tutto il viaggio o almeno il più possibile può essere utile per
assorbire velocemente il jet lag e sfruttare da subito il tempo a disposizione in Cina. In ogni
caso il consiglio è di viaggiare di venerdì, arrivare di sabato e sfruttare la domenica per
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assorbire completamente le differenze di fuso
e iniziare a familiarizzare con il territorio e il
cibo, arrivando a lunedì con i 'bioritmi' già
fasati.
Le formalità burocratiche per l'accesso in
Cina prevedono la richiesta, prima della
partenza dall'Italia, di un visto di
ingresso. Tale visto deve essere richiesto
all'ambasciata cinese e per essere rilasciato
per motivi di lavoro deve essere
accompagnato da una lettera di invito della
società ospitante.
Esistono diversi tipi di visto, diversi per durata
(da 1 a 12 mesi), diversi per numeri di
ingressi possibili (da 1 a enne) e per durata
massima del soggiorno (da 30 giorni in sù). A
seconda del vostro impegno progettuale e di
permanenza prevista in Cina richiedete quello
che più si avvicina alle vostre esigenze,
ricordando comunque che i tempi per ottenerlo
sono ridotti, come pure le necessità
burocratiche.
A parte il visto e un controllo passaporti solo
formalmente molto attento (nella sostanza
molto lasco) non vi sono ulteriori formalità. A
questo punto siete arrivati in Cina.
Vivere e implementare il progetto in Cina
Uno degli aspetti da non sottovalutare per la
preparazione del proprio progetto in Cina è la
lingua. In genere si pensa che un buon inglese
e una discreta abitudine a viaggiare e operare
all'estero possano essere sufficienti. Questo
potrebbe essere un grave errore che potrebbe
costarvi molto caro: infatti il cinese è una
lingua, anzi una cultura, molto diversa
dalla nostra, dove la scrittura e la gestualità
(tipici strumenti a supporto della difficoltà
della comunicazione verbale) sono molto
diversi dai nostri. A ciò si aggiunge una scarsa
conoscenza dell'inglese da parte dei cinesi, sia
quantitativa che qualitativa: lo parlano in
pochi e quei pochi lo parlano male, avendo tra l'altro una pronuncia fortemente influenzata da
una madre lingua che rende spesso il loro inglese, seppur corretto, difficilmente comprensibile.
Nei centri maggiormente sviluppati e/o da più anni in contatto con il mondo business
occidentale (Pechino e Shanghai soprattutto) questo problema è meno sentito, ma spesso le
aziende che stanno investendo in Cina in quest'ultimo periodo trovano maggiori incentivi e
convenienza a investire nei nuovi distretti industriali che si stanno sviluppando.
Per evitare problemi la soluzione è molto semplice: dotatevi di un interprete che parli bene
il cinese, meglio se occidentale con conoscenza della cultura cinese e delle abitudini
del luogo. Questo vi semplificherà molto la vita, sia in termini progettuali sia in termini pratici
di vita quotidiana nel corso del progetto stesso, quando anche prendere un taxi può diventare
un'impresa ardua.
La Cina in pillole
- Popolazione: compresi i 22,2 milioni di residenti a
Taiwan, a fine 2003 la Cina aveva una popolazione di
oltre 1,295 miliardi di abitanti, su una superficie di
9,6 milioni di km quadrati.
- PIL, prezzi e occupazione: malgrado la Sars e
numerose, ricorrenti calamità naturali, nel 2003 la
Cina ha visto crescere il proprio PIL del 9,1%, 1,1
punti percentuali più dell'anno precedente. I prezzi al
consumo sono cresciuti soltanto dell'1,2% rispetto
all'anno precedente. A fine del 2003 il numero totale
degli occupati era pari a 774 milioni (6 milioni in più
rispetto al 2002), di cui 256 milioni nelle aree urbane.
Nel corso del 2003 circa 4,4 milioni di addetti, in
uscita dalle aziende di stato, sono stati riassorbiti in
altre attività economiche non statali. Per il 2004 gli
organismi governativi prevedono una crescita del PIL
intorno all'8,5%, con una particolare accentuazione
nel settore manifatturiero.
- Industria e ICT: il totale del valore della produzione
nel settore industriale è stato nel 2003 di circa
645,93 miliardi di dollari USA, con una crescita del
12,6% rispetto all'anno precedente. Per quanto
riguarda i settori merceologici una crescita di riguardo
- circa il 20% - è stata registrata dai settori high tech
con particolari punte, illustra un documento dell'ICE
(Istituto per il Commercio Estero) "nel settore
informatica e relativi comparti, dove il tasso di
crescita ha fatto registrare tassi variabili tra il 25 e il
120%". Rispetto all'anno precedente nel 2003 i
servizi di telecomunicazioni sono cresciuti del 29%; si
sono avuti 40 milioni di nuovi abbonati al servizio
telefonico mentre gli utilizzatori di telefoni cellulari
sono arrivati a 268 milioni, con una crescita
nell'ultimo anno del 63%.
- Investimenti e presenza italiana: nel 2003 (periodo
gennaio-settembre) l'Italia è risultata al 18° posto
per volume di investimenti in Cina (230 milioni di
dollari USA), il 5° tra i Paesi europei. Le aziende
italiane operanti in Cina con una presenza diretta
sono circa 500; è in forte sviluppo la presenza di
banche, società di spedizione, studi legali e di
consulenza, generalmente concentrate nelle zone di
Pechino e Shanghai. I principali settori di destinazione
degli investimenti italiani sono stati fino ad oggi
l'automobilistico, il tessile abbigliamento, il
meccanico, il chimico-farmaceutico e quello dei
servizi.
(Numeri e informazioni tratte da un documento
dell'Ufficio di Pechino dell'ICE - Istituto per il
Commercio Estero)
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Meglio ancora poi se una figura di tal genere può essere integrata nella vita quotidiana
dell'azienda e/o del progetto, permettendo di sommare conoscenza linguistica e culturale del
luogo allo slang tipico del vostro settore industriale, agevolando così la comunicazione e
l'integrazione anche nei colloqui 'tecnici' e progettuali.
Una volta arrivati in Cina, prima ancora di poter affrontare i problemi tecnici e organizzativi del
vostro progetto IT, dovrete sicuramente fare i conti con l’organizzazione della vostra logistica
A seconda di dove siete localizzati avrete più o meno opportunità di trovarvi di fronte ad
ambienti maggiormente capaci di accogliervi. In particolare ci sono aree, come Shangai,
Pechino, lo Guan Tsu, dove sono da anni presenti le localizzazioni di siti industriali e di servizi
di aziende ed enti occidentali. Tali siti sono in generale capaci di offrire infrastrutture di
accoglienza, servizi e ogni aspetto della vita sociale in linea con le aspettative, almeno quelle di
base, della cultura e delle abitudini occidentali. Inoltre in queste aree è abbastanza semplice
reperire tutto ciò che può servire, dai generi di
prima necessità agli alimenti, dagli alberghi
con standard occidentali ai ristoranti
internazionali, dai fornitori di hardware e
servizi a risorse umane adeguatamente
preparate.
Se al contrario la vostra azienda è localizzata
in un’area di recente sviluppo, i problemi da
affrontare potranno essere maggiori. In tali
aree, quelle generalmente più lontane dalla
costa, non solo il tenore di vita è molto diverso
da quello occidentale, ma la difficoltà di
integrazione aumenta e i servizi disponibili,
compresa la qualità dei fornitori e delle risorse
umane, e la loro capacità di integrarsi, si riducono drasticamente. In questo caso, visto che
tale localizzazione sarà sicuramente stata incoraggiata da incentivi estremamente accattivanti,
l’unica cosa che potrete fare sarà accettare un piano temporale più lungo, capace di crescere
con tempi necessariamente più estesi.
Nelle aree più arretrate inoltre sarete obbligati a una maggior integrazione con gli stili e i
modelli di vita cinesi, e la possibilità di avere contatti con la comunità occidentale sarà molto
limitata. Questo aspetto si riflette anche sulle infrastrutture logistiche e di servizio che nelle
aree di nuovo insediamento lasciano ancora molto a desiderare.
Primo approccio con la popolazione
Girando per la Cina e soprattutto nei luoghi maggiormente orientati al turismo, cosa che vi
capiterà spesso nel vostro soggiorno, soprattutto per ‘riempire’ i vostri week-end, potrete
visitare molti musei che raccontano gli splendori dei secoli passati. È sorprendente vedere
come centinaia di anni prima che la cultura occidentale si sviluppasse, i cinesi fossero un
popolo florido, pieno di risorse e di iniziativa e capace di opere artistiche e ingegneristiche di
assoluto livello. Una realtà che fa un po’ a pugni con la situazione di oggi: capirete subito che
la Cina di oggi è un Paese di enormi numeri, ma fatta di persone che hanno smarrito
la capacità di agire con intraprendenza e con iniziativa propria.
Se da una parte si nota come in questo Paese le persone lavorano 24 ore su 24 e il paesaggio
cambia da un giorno all’altro, tutto questo attivismo e dinamismo riguarda però una
limitatissima parte della popolazione; gran parte della quale - pensiamo per esempio alla
generazione cresciuta e formatasi durante gli anni più duri del regime comunista - ha
Gruppo Faber
Nata cinquant'anni fa a Fabriano (Ancona), è
l'azienda che ha inventato e prodotto le prime cappe
da cucina. Oggi produce 2,7 milioni di pezzi all'anno,
l'80% destinati all'export, occupa 1.300 addetti e ha
sede in 13 Paesi nel mondo, compresa quella di
Shangai in Cina. Lo scorso anno il fatturato ha
raggiunto i 190 milioni di euro (+6% rispetto all'anno
prima ), con una quota del 50% del mercato
mondiale delle cappe. Lo scorso agosto il 49% del
capitale è stato rilevato dalla svizzera Francke, ma la
famiglia Galassi che la fondò ne mantiene ancora il
controllo insieme ad altri soci storici.
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sviluppato grandi capacità di ubbidienza ed esecuzione ma scarsissime capacità di
autorevolezza personale, intraprendenza e iniziativa. Questo, come potremo evidenziare
successivamente, si riflette poi nella qualità e nelle caratteristiche di una gran parte delle
persone che vedrete coinvolte in ambito lavorativo.
I numeri della Cina
1,3 miliardi di persone popolano la Cina, e solo il 20% di questa enorme popolazione è
coinvolta nella esuberante crescita economica cinese. Molti vivono ancora in aree non
influenzate dal boom economico, che ha riguardato soprattutto la costa orientale del Paese.
Inoltre anche quel 20% è concentrato in pochi distretti congestionati in modo impressionante:
in città come Pechino o Shangai si trovano dai 17 ai 20 milioni di abitanti. È chiaro che per
gestire e convivere con questi numeri impressionanti l’organizzazione della società cinese
risulta molto evoluta. Vi suggerisco nel vostro soggiorno in Cina di non farvi mancare i mezzi di
trasporto pubblici (treni, bus, aerei, ecc). Capirete come la puntualità e l’organizzazione di tali
servizi siano fondamentali, anzi vitali, per gestire un volume di popolazione che, se non
perfettamente organizzato e canalizzato, creerebbe problemi di ordine pubblico, igienico, e
altro ancora, di enorme gravità.
Girando per le città cinesi vi accorgerete subito che tutti, ma proprio tutti, sono impegnati in
attività lavorative. Per raggiungere tale livello di occupazione le attività sono strutturate
secondo un incredibile livello di specializzazione. Se i Paesi occidentali sono sempre più
ossessionati dall’efficienza, dall’integrazione e dalla flessibilità delle persone e delle società, in
Cina la specializzazione e la gerarchia sono alla base della cultura di questo popolo e una delle
ricette vincenti per garantire una occupazione (sia pure di basso livello e remunerazione) a
tutti. Questo concetto lo riprenderemo più avanti in quanto tale approccio alla vita, ormai parte
integrante della cultura cinese, ha un impatto incredibile nell’ambito della gestione e
dell’organizzazione aziendale e soprattutto nell’implementazione di un sistema informativo
integrato come SAP.
Alla ricerca degli strumenti
Anche in Cina, alla base di un qualsiasi progetto IT ci sono quattro elementi: infrastruttura e
connettività, hardware, software e risorse umane. Appena messo piede in Cina vi
domanderete come approvvigionarvi di questi quattro fondamentali elementi. Andiamo con
ordine. Per quanto riguarda le infrastrutture e in particolare la connettività, è chiaro che, come
in tutti gli altri aspetti della vita sociale cinese, la situazione è molto differente se parliamo di
centri come Shangai e Pechino oppure di aree meno evolute e periferiche. Nei centri principali
le infrastrutture sono al livello dei più evoluti centri economici occidentali e non ci sono
problemi di reperibilità delle risorse. Anche le infrastrutture di comunicazione (telefoni fissi,
cellulari, ecc) sono di livello paragonabile a quelli occidentali. Quello che impressiona ancora è
l’elevato livello di costi per l’accesso a tali infrastrutture, paragonabile a quelli di casa nostra
dei primi anni novanta. Per fare un esempio, il roaming in Cina ha dei costi che possono
raggiungere i 3-4 euro al minuto, mentre una linea HDSL da 10MB senza alcuna banda minima
garantita costa dai 100 ai 200 euro al mese, che crescono molto rapidamente quando sale il
livello del servizio e/o di comunicazioni dedicate. Nei centri meno evoluti e più periferici il
livello di costo è simile (anche perché non esiste una particolare pluralità di fornitori e servizi),
anche se i servizi sono inferiori e hanno una minore copertura, con in più tempi di attivazione
spesso molto lunghi.
I cinesi, della parte più evoluta del Paese, utilizzano con grande intensità Internet, sono dei
grandi navigatori e utilizzano la Rete per gestire molti aspetti della loro vita quotidiana. Ma
questo non corrisponde a un’efficiente infrastruttura per le grandi aziende e per chi utilizza la
Rete per il traffico business. Per le aziende le offerte di banda garantita sono poche e molto
care, mentre l’utilizzo della rete per la creazione di VPN e di comunicazione dati-voce VOIP con
la Cina soffre chiaramente di colli di bottiglia e picchi di traffico.
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Come vedremo più avanti, nella nostra esperienza una linea HDSL da 10 MB senza alcuna
banda minima garantita supporta (con l’ausilio di software e di scelte che puntano a una
grande efficienza di consumo di banda) una decina di utenti SAP, tutti i servizi di posta
elettronica (il server di posta attualmente è centralizzato in Italia) alcune sessioni di VoIP
(quasi mai contemporanee) e il traffico Internet locale. A parte i momenti di picco, le risultanze
non sono eccezionali ma accettabili. Per pensare a bande maggiori si deve essere disposti a
spendere e ad assorbire costi sicuramente maggiori e molto elevati. Considerato il fuso orario e
la disponibilità dei servizi relativi, può essere molto più conveniente fare ospitare il server in
Cina o direttamente presso la propria consociata (con la possibilità di assisterlo con personale
proprio e/o esterno se ve ne è la disponibilità) oppure farlo ‘ospitare’ in un data center locale,
sfruttando la VPN Internet per il canale dall’Italia che verrebbe utilizzato per la gestione e la
manutenzione.
Da un punto di vista legislativo dovrebbe essere vietato in Cina il passaggio sulla rete pubblica
di traffico che non sia in chiaro. In realtà nessun rilievo ci è mai stato fatto e nella normalità
dei casi abbiamo visto l’esistenza di traffico criptato come pratica comune. Quindi...
Hardware e software, tra Cina ed Europa
Se parliamo di hardware il problema
veramente non si pone. E, eccezione fatta per
gli eventuali problemi logistici nel far pervenire
la merce, la disponibilità di hardware delle
principali aziende produttrici risulta ampia e
qualitativamente allineata al mercato
occidentale. Avendo tutti i maggiori costruttori
fabbriche in Cina, i tempi di consegna sono
sicuramente al livello dei nostri o migliori. Per
quanto riguarda i costi, il costo della
tecnologia in Cina è allineato al costo in
Europa. Chiaramente, considerando il costo
della vita in Cina, questo costo può essere
considerato localmente molto elevato, ma per
chi definisce i budget a livello centrale, come
nel nostro caso, il fatto di avere una parità tra
costi di hardware non rappresenta certo un
vantaggio ma sicuramente una
semplificazione.
Anche per quanto riguarda il software la
disponibilità è ampia e allineata ai nostri
standard. Se parliamo di software di base,
sistemi operativi e di produttività individuale,
sono molto diffusi le piattaforme Microsoft,
anche perché è abbastanza semplice
recuperare conoscenze e risorse capaci di
gestire tali tecnologie. Meno diffuse per la stessa ragione piattaforme quali Unix, e Linux anche
se si stanno affermando con tassi di sviluppo, se non maggiori, sicuramente analoghi a quelli
del nostro mercato. L’assistenza in questo ambito lascia un po’ a desiderare, ma si deve
considerare che, come molto spesso capita anche in altri ambiti, la presenza di software non
licenziato e quindi privo della possibilità di essere mantenuto e aggiornato con continuità ne è
sicuramente una delle cause principali (oltre comunque alla scarsezza di risorse con
competenze medio-alte).
Se invece parliamo di software applicativo la situazione risulta un po’ più complessa. Pochi i
produttori locali di software applicativo e tutti concentrati nei centri principali del business. La
gran parte dell’offerta risulta di derivazione occidentale, soprattutto anglosassone, ma con
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presenza, nei distretti, di software verticale di provenienza dei Paesi esportatori di tale
tecnologia. Tutti i software forniscono una localizzazione per l’area amministrativo-fiscale, che
in Cina è molto particolare e ultimamente è stata anche rivista e inasprita.
Per quanto riguarda i principali processi logistico-produttivi la Cina non rappresenta particolari
specificità. Infatti i modelli organizzativi sia logistici che produttivi sono normalmente di
derivazione occidentale ed esportati tout court dall’esperienza della casa madre. Anche il
modello commerciale non risulta particolarmente differente. Questo è l’aspetto che ha
contribuito alla diffusione di software pacchettizzato occidentale, del tutto analogo (se non per
la disponibilità della lingua cinese) ad analoghi prodotti disponibili sul nostro mercato. Come
prezzo tali pacchetti gestionali sono paragonabili agli analoghi europei, forse un 20-30%
mediamente più cari; va aggiunto però un costo per la consulenza, l’installazione e la
personalizzazione che è sicuramente più elevato (qui siamo a un profilo di prezzi paragonabile
ai prezzi del mercato nei primi anni 2000). La ragione è certo dovuta alla forte richiesta del
mercato e a una disponibilità soprattutto di risorse consulenziali che ancora scarseggia.
C’è tuttavia buona disponibilità di competenze consulenziali per i principali software ERP.
Anche se in questo caso il problema dell’acquisizione non sussiste (normalmente possono
essere acquisite licenze corporate), è interessante sapere che tutti i principali player (nel mio
caso specifico SAP) hanno una versione localizzata per il mercato cinese, quindi in lingua e con
caratteri cinesi sia tradizionali che semplificati, e dispongono di una rete di partner
sufficientemente sviluppata (come sempre, soprattutto nelle aree a maggior sviluppo). La
tipologia dei player è molto varia: dai grandi management consultant e system integrator ‘alla
Accenture’ fino alle sedi di system integrator (soprattutto tedeschi e francesi) al seguito delle
multinazionali localizzate in quel territorio.
Le risorse umane
Per quanto riguarda le risorse umane la tematica è ampia e complessa. Inutile dire che anche
qui come in tutti gli altri casi, la disponibilità di risorse qualificate (sia in termini di consulenti
che in termini di potenziali dipendenti) è sicuramente maggiore nelle aree più sviluppate.
Tuttavia in questo caso anche nelle aree più periferiche la situazione si presenta migliore che
su altri aspetti. Qui è utile fare alcune precisazioni. Innanzitutto la popolazione cinese è molto
giovane e il sistema scolastico-universitario qui funziona abbastanza bene, soprattutto nelle
aree sviluppate e in quelle che storicamente sono sedi di atenei importanti. Quindi l’offerta è
ampia, anche se la domanda è sostenuta, soprattutto per le figure di livello medio e medio-alto
e specializzate.
Quello che sta accadendo è una veloce saturazione delle disponibilità e un, seppur iniziale,
‘riscaldamento’ delle retribuzioni, che cominciano a salire. Infatti se la retribuzione mensile
media di un operaio non supera l’equivalente di 80-100 euro e per un impiegato supera con
difficoltà i 150 euro (un buon livello retributivo, da queste parti), i laureati e specializzati in ICT
con una minima esperienza vedono arrivare le loro retribuzioni anche a 250-300 euro al mese
e soprattutto vengono richiesti ogni giorno di più.
Si tratta di risorse ben preparate da un punto di vista scolastico, che conoscono normalmente
la lingua inglese ed hanno delle buone basi teoriche. Spesso manca invece l’esperienza pratica
e la familiarità con i problemi del giorno per giorno, rapidamente recuperabili però, soprattutto
se nei primi mesi di progetto queste persone vengono affiancate da personale specializzato
dell’azienda.
Il problema dell’approccio culturale al lavoro
Ma il vero problema sta nell’approccio culturale al lavoro. I lavoratori, anche giovani, tendono a
non avere una grande capacità organizzativa e denotano una totale assenza di iniziativa
personale e capacità di gestione della responsabilità. Sono persone abituate ad avere compiti
molto specifici, a rispondere con puntualità alle richieste dei superiori e normalmente poco
avvezze all’autorevolezza. Valutano come grandemente importante la gerarchia e puntano
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moltissimo sulla specializzazione dell’attività, cosa che fa a pugni con i concetti di
ottimizzazione e di delega.
Impossibile pensare di cambiare una mentalità e un approccio che si sono sedimentati nel
corso dei secoli e che ormai connotano culturalmente questo popolo. L’esasperata attenzione
all’ordine e alla gerarchia va però anche considerata un fattore positivo e vitale che può
portare, lavorando con molta pazienza, a fare crescere queste risorse in un giusto mix tra
responsabilità e intraprendenza, precisione e rispetto delle regole.
Dopo la necessaria presa di contatto con la realtà cinese, è il momento di contattare un
partner di servizi e di realizzare praticamente il progetto
In Cina la presenza di soluzioni applicative è completa, anche se escludo a priori tra le possibili
scelte i software locali in sola lingua cinese, cosa frequente da trovare ma di difficile, se non
impossibile, gestione da parte di direzioni IT di gruppo. Ampia è la scelta di soluzioni
localizzate di chiara connotazione anglossassone
(per lo più americana) oppure europea. In
alternativa esiste una buona localizzazione e
disponibilità di risorse sui principali ERP
internazionali, SAP principalmente ma anche
Oracle, PeopleSoft e Microsoft.
La scelta, in questo caso, dipende molto dalla
strategia implementata a livello di headquarter,
che di fatto si riflette sulle scelte locali. Per chi,
come il mio gruppo, ha in questi anni investito
per costruire un modello organizzativo e
informativo di gruppo che possa essere esteso a
tutte le consociate, è naturale fornire continuità
a tale scelta (costruita attraverso una attenta
implementazione delle funzionalità standard e
delle personalizzazioni) ed estenderlo a ciascuna consociata. A maggior ragione se nel Paese in
questione sono disponibili localizzazioni e risorse competenti (e questo è il caso della Cina).
Diverso può essere il discorso nel caso che l’azienda abbia scelto soluzioni locali per le proprie
consociate e ricerchi nella soluzione locale maggior facilità e minori rischi di implementazione,
per prevedere successivamente un’integrazione a livello di reporting e di gestione consolidata.
Come organizzare il progetto
Molto spesso tali alternative si differenziano sulla base del costo della soluzione e della
disponibilità di risorse, tuttavia nel caso della Cina ritengo che la scelta dipenda
esclusivamente dalla strategia del gruppo, visto che sia nell’un che nell’altro non esistono
differenze rilevanti. Il Gruppo Faber ha scelto di perseguire la propria strategia di
integrazione implementando la propria verticalizzazione SAP di gruppo in tutte le
consociate, Cina compresa. All’atto pratico, già nella prima implementazione, quella che ha
riguardato la capogruppo, si sono dovuti adottare alcuni atteggiamenti, approcci e decisioni. In
particolare si sposta grande l’attenzione a mantenere standard la propria implementazione e a
isolare le personalizzazioni, in particolare differenziando quelle specifiche per Paese (in questo
caso l’Italia) e quelle pensate per essere estese a livello di gruppo. Altrettanta importanza è
stata dedicata alla creazione di un gruppo di lavoro interno capace di appropriarsi delle
competenze (sia tecniche che applicative) e in grado di fare da valido supporto interno alla
gestione e alla implementazione. Tra l’altro tanto più tale gruppo ha competenza sul core
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business aziendale e sui suoi processi critici, tanto migliore e più coordinata sarà
l’implementazione dell’ERP nelle diverse consociate.
Il team di progetto
Un buon gruppo di progetto (sia funzionale che tecnico) interno all’azienda e consolidato nel
corso della prima implementazione farà da trait d’union tra fornitori, SAP e consociata, e
garantirà la giusta integrazione e la buona conclusione del progetto. Il team di progetto deve
prevedere un project sponsor, in generale il managing director della consociata o, come nel
nostro caso, il CEO di gruppo, e un gruppo di progetto abbastanza leggero formato sia da
persone della capogruppo che da risorse locali cinesi. In particolare se, come nel nostro caso,
la Cina ha rappresentato il primo reale rollout internazionale di SAP, sia per evitare sorprese
che per accrescere anche a livello direzionale la nostra esperienza, il CIO ha coordinato
direttamente tutte le attività di impostazione, definendo il macro piano di progetto,
presenziando in loco a tutte le attività di definizione organizzative e di contatto con i principali
utenti e fornitori locali, e comunque garantendo il project management.
In tale gruppo di lavoro devono coordinarsi sia figure applicativo-funzionale di alto livello
interne all’azienda che almeno una figura tecnico-sistemistica (anche questa interna). Tali
figure agiscono sia a livello locale (Cina) che remotamente durante tutta la fase di
implementazione, al fine di coordinare tutte le fasi importanti dell’implementazione (in
particolare la parte organizzativa e di formazione, considerato quanto detto nelle due puntate
precedenti).
Risorse competenti o outsourcing
Per quanto riguarda la parte sistemistica la presenza di una figura di riferimento della
capogruppo è indispensabile per adeguare l’architettura cinese agli standard necessari per
garantire un buon funzionamento del progetto anche a livello sistemistico. Nel nostro caso,
inoltre, avendo da sempre deciso di erogare servizi informativi remoti attraverso tecnologia
terminal server, tale ruolo è apparso ancora più delicato. Da un punto di vista tecnico-
sistemistico va aggiunta una maggior necessità di coordinarsi con fornitori locali sia per
l’infrastruttura e la sua gestione che per le comunicazioni. Nella nostra esperienza la decisione
se localizzare il server cinese in Cina o mantenere una centralizzazione dei server delle
consociate presso il nostro data center di Fabriano è stata differita fino a dopo il go-live. Nel
frattempo abbiamo messo a punto una soluzione capace di supportare il carico di uno sviluppo
di progetto e go-live di circa una quindicina di utenti e di fornire il tempo necessario alla
implementazione della soluzione finale a dopo il go-live.
Fondamentale infine per la buona riuscita del progetto è l’individuazione e la formazione di una
risorsa interna locale che faccia da coordinatore sia per gli aspetti tecnici che per quelli
funzionali e che, durante il day-by-day, diventi un coordinatore dei key users locali.
Come detto, a seconda della zona della Cina in cui si è localizzati, può essere più o meno facile
trovare una risorsa già formata o con le competenze necessarie, tuttavia non ritengo possa
esservi alternativa. La mancanza di tale risorsa può, a medio termine, mettere a rischio
l’implementazione. Una valida alternativa (non certo per la fase implementativa, ma casomai
per quella di mantenimento) può essere individuata nell’outsourcing di alcune competenze,
preferibilmente quelle tecnico-sistemistiche, ma nel caso anche applicative. Molto può
dipendere dalla localizzazione dell’implementazione e quindi dalla disponibilità di risorse
competenti.
Le linee di comunicazione
Coordinare un progetto di tal genere chiaramente deve prevedere una presenza continua e
periodica in Cina del team italiano, sia al fine di garantire la formazione, la crescita e il
coordinamento delle persone e dei fornitori locali, sia per dar modo al team di lavoro di fare
esperienza diretta dell’ambiente locale e di poter quindi meglio gestire le relazioni e le decisioni
una volta rientrato in Italia. Inoltre molta attenzione va dedicata agli strumenti di
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comunicazione che sono necessari al fine di mantenere un costante coordinamento tra il
gruppo di progetto italiano e quello cinese. In questo senso alcuni componenti fondamentali
sono spazi di lavoro virtuali comuni, facilità di comunicazione verbale (VoIP, chat) e
documentale (mail, FTP, etc) a basso costo, viste le alte tariffe telefoniche tra Italia e Cina.
La tecnologia e l’architettura terminal server da noi utilizzate hanno certamente fornito una
ulteriore modalità di supporto remoto e di controllo da parte del team di specialisti italiano,
anche perché ha reso possibile accompagnare l’attività degli utenti anche via remoto, sia
condividendo i risultati del loro lavoro che supportandoli attraverso l’utilizzo di funzionalità
shadow (controllo del terminale dell’utente in remoto).
Partner locale e interpreti
Chiaramente il nostro team di progetto è stato affiancato e supportato per tutte le fasi
progettuali da parte degli specialisti del system integrator che ci ha assistito durante
l’implementazione italiana. Tuttavia sia per motivi di costo, sia perché abbiamo ritenuto
fondamentale consolidare le competenza all’interno dell’azienda (per i successivi roll-out),
questi ultimi non sono mai intervenuti in prima linea presso la nostra consociata cinese, e
come nel caso delle attività di localizzazione della parte contabile-amministrativa-fiscale hanno
agito di supporto al partner locale.
Partner locale che è stato individuato attraverso una analisi incrociata su internet, referenze da
SAP e da altre aziende localizzate in Cina, incontri e visite dirette sul campo, e chiaramente ha
richiesto un pizzico di intuito e di fortuna. Una componente fondamentale all’interno del team è
poi quella dall’interprete, di volta in volta una persona tendenzialmente italiana ma talvolta
anche cinese, che conosce bene la lingua e mette in condizione di capirsi senza pericolosi
fraintendimenti sia tra colleghi che con i fornitori.
Le insidie di un progetto ‘remoto’
Implementare un progetto SAP in una consociata e in un Paese così remoto non è semplice e
nasconde molte insidie. Eccone alcune, tanto per dare una prima idea: il viaggio, l’essere soli
dovendosi arrangiare, la lingua e la cultura completamente diversi, l’ostilità di chi deve
cambiare e chiaramente oppone una naturale resistenza e infine aspetti ambientali contingenti
quali la recente epidemia di SARS e il clima estremamente rigido e continentale. Inoltre i tempi
di permanenza in Cina, sia per la distanza che per la natura stessa del progetto, non possono
essere particolarmente brevi, e quindi a tutto ciò si deve aggiungere la disponibilità a soggiorni
di media durata.
Poi ci sono tutti gli aspetti riguardanti il personale sia tecnico che utente coinvolto localmente
presso la consociata. In particolare per questi ultimi, anche se tutte le componenti logistiche
non devono essere considerate, sussistono (e secondo la mia esperienza sono ulteriormente
presenti) problemi e resistenze al cambiamento, e anche problemi di cultura operativa e
aziendale che spesso contrastano in modo stridente con le regole e i processi base di un
sistema ERP integrato.
Strumenti di motivazione
Per tutti abbiamo utilizzato tre diverse tipologie di strumenti motivazionali nelle tre fasi
principali del progetto (prima, durante e dopo): prima abbiamo pensato a dotare le persone
coinvolte di strumenti pratici e teorici (la lingua inglese, letture e corsi di metodologia
motivazionale, di supporto al cambiamento e pensiero laterale, e infine specifiche della
tecnologia SAP). Durante lo svolgimento del progetto abbiamo puntato sulla presenza e il
commitment dell’alta direzione e di tutto il management, sulla costruzione di momenti culturali
e di svago durante i lunghi tempi di permanenza in Cina, e siamo stati attenti a supportare
localmente il team di progetto con tutti gli strumenti necessari. Infine, nel ‘dopo-progetto’,
abbiamo cercato di premiare i risultati sia in termini di crescita professionale che in termini di
premio e incentivazione economica.
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Fondamentale in tutto questo, comunque, è cercare di descrivere e individuare gli obiettivi
minimi del progetto e analizzarli al fine di rendere più oggettiva possibile qualsiasi valutazione,
garantendo così un pieno supporto di tutto il team nella direzione voluta dall’azienda.
(fine)
SSeerrvviizzii ooffffsshhoorree,, ii pprroobblleemmii pprriimmaa ddeell bboooomm
Al fenomeno dello spostamento a oriente dei servizi IT i governi occidentali,
pressati da esigenze interne, potrebbero rispondere con il protezionismo
di Ornella Fusina
Per mesi abbiamo sentito parlare dell'offshore come una delle nicchie più promettenti del
mercato dei servizi IT per il prossimo futuro, e come una strategia irrinunciabile per le aziende
in cerca di efficienza, con un'offerta in procinto di 'arrivare' anche in Italia. Ora rischiamo di
non poter fare la conoscenza di questa alternativa economica e di qualità ai servizi di
outsourcing e di sviluppo del software dei vendor tradizionali, locali e internazionali. L'industria
offshore sembra infatti entrata in crisi prima del boom o, come dice qualche analista, di
diventare vecchia senza essere diventata matura.
Il termine offshore indica genericamente tutti i servizi, non esclusivamente IT ma anche di
consulenza, per esempio medica o nel campo del diritto del lavoro, e di gestione di operazioni
di back-end, erogati da società geograficamente remote, indiane in primis. "Il bello
dell'offshore - citiamo un analista di Gartner - è che permette alle aziende di accedere a
personale di alta qualità professionale a costi più bassi di quelli normali e di disporre di un
supporto 24x7, e quindi di continuare ad aumentare i livelli di servizio mantenendo buoni
margini".
Non più tardi di qualche mese fa, Gartner stimava che quest'anno il mercato mondiale dei
servizi di outsourcing offshore sarebbe cresciuto di oltre il 40% e che entro il prossimo anno il
75% delle grandi e medie imprese europee avrebbe preso in considerazione i servizi di
outsourcing offshore. La fiorente industria indiana di software e servizi detiene il 90% del
mercato offshore, e si è guadagnata negli ultimi anni il favore delle maggiori imprese
finanziarie nordamericane: una stima parla di 417 milioni di dollari spesi dai soli broker nel
2002, destinati a diventare 1,3 miliardi nel 2005, e di 1.100 addetti IT sostituiti con specialisti
offshore destinati a triplicare tra due anni; le banche americane dal canto loro avrebbero
risparmiato fino a oggi qualcosa come sette miliardi di dollari grazie all'outsourcing offshore. In
Europa, il Paese che fa il maggior uso di servizi offshore, e dove i fornitori indiani in genere
aprono la loro prima sede, è la Gran Bretagna per via delle relazioni storiche e per il vantaggio
linguistico, ma anche perché qui i modelli di acquisto sono più maturi e la normativa sul
trasferimento di lavoro meno restrittiva che in altri Paesi europei.
Grazie a crescite del 60%, nel giro di pochi anni Infosys Technologies, la numero uno
dell'industria del software indiana, ha raggiunto nell'ultimo anno un giro d'affari di 753 milioni
di dollari (+38% sull'anno precedente), con un utile netto di 195 milioni, e un organico di oltre
1.500 addetti. Nonostante la forte crescita, nell'ultimo anno i suoi margini si sono però
notevolmente ridotti, in parte a causa della pressione sui prezzi innescata dal rallentamento
della spesa IT (la tariffa oraria in media è scesa da 40 a 35 dollari), in parte per l'inasprirsi
della concorrenza su tre fronti: gli altri fornitori di servizi indiani, quelli degli altri Paesi in via di
sviluppo - in particolare Russia e Cina - e le multinazionali del software e dei servizi, da SAP a
IBM, da Microsoft a Sun, da Accenture a Cap Gemini Ernst & Young.
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Questi ultimi hanno infatti reagito alla
perdita di margini degli ultimi trimestri
potenziando le loro infrastrutture in India e
in Cina, per ridurre i costi di sviluppo o di
supporto tecnico - non sempre riversando sui
clienti i benefici finanziari del minore costo
del lavoro, fa notare qualche analista.
Capendo che il business model originale
basato su risorse di sviluppo a basso costo
non è più sostenibile, per distanziarsi dai
concorrenti Infosys ha cominciato a passare
al più costoso modello misto 'onsite-
offshore', sviluppando l'offerta di business
process outsourcing (BPO), fornendo servizi
di fatturazione e contabilità, utilizzando le
tecnologie più moderne, tra cui Microsoft
.Net. E allo stesso tempo tagliando i costi
generali, benché il suo modello di staffing
just-in-time permetta di mantenere sempre
impiegato almeno l'80% del personale.
Intanto Wipro di Bangalore, l'altro leader del
software indiano, ha preannunciato un
fatturato in crescita di appena il 4% per
questo trimestre e sta per comprare per
meno di 20 milioni di dollari quel che resta
dell'americana NerveWire. È questa una
società di consulenza che ha fatto fortuna
per qualche anno negli ambienti della finanza nordamericana (con clienti del calibro di Merrill
Lynch) e che ora Infosys intende sfruttare per competere nei progetti strategici a elevati
margini e per guadagnare una presenza onshore e procurarsi competenze consulenziali.
È quello che gli analisti chiamano processo di obsolescenza dell'offshore: società di offshore
che, acquisendo nel depresso mercato nordamericano dei servizi IT strutture e risorse a prezzi
di saldo, adottano un modello ibrido onsite-offshore oppure onsite-onshore-offshore,
mettendosi in aperta concorrenza con Accenture, IBM e Cap Gemini Ernst & Young. E in effetti
già oggi il 40% del fatturato delle esportazioni di software e servizi IT dell'India (9,9 miliardi di
dollari allo scorso marzo) proviene da attività svolte presso le sedi dei clienti.
Lo spettro del protezionismo
Ma quello che rischia di gettare improvvisamente in crisi l'industria offshore indiana è qualcosa
forse di più imprevedibile: una sorta di barriera protezionistica che le autorità di governo
americane e alcuni gruppi d'interesse europei stanno valutando di creare contro la migrazione
all'estero di posti di lavoro eliminati nei confini nazionali dalle aziende IT e di addetti IT delle
aziende in genere. I Parlamenti di diversi Stati USA stanno discutendo leggi che limitano la
possibilità di ricorrere all'outsourcing offshore per gli enti pubblici, mentre in Francia
un'associazione di consulenti IT (MUNCI) accusa il governo di favorire e addirittura finanziare
l'outsourcing offshore per lo sviluppo software, e chiede quantomeno che la Pubblica
Amministrazione acquisti quello di 'produzione nazionale'.
A preoccupare invece un'organizzazione di professionisti inglesi (PCG, Professional Contractor
Group) è l'abuso dei permessi di lavoro da parte sia dei service provider inglesi sia di quelli
offshore che operano in UK: istituiti per soddisfare un deficit di offerta del lavoro, questi
permessi vengono utilizzati per 'importare' skill IT a basso costo, dice il PCG. In Germania i
permessi di soggiorno per i tecnici stranieri istituiti tre anni fa saranno sostituiti da una
Istruzioni per una strategia offshore
Per minimizzare i rischi di una 'strategia offshore'
Gartner consiglia di procedere per passi, tre
esattamente:
1) Scegliere il Paese. Oltre alle affinità linguistiche e
culturali, devono essere valutati il supporto dato dal
governo all'industria offshore, la stabilità politica, la
disponibilità di risorse competenti e di infrastrutture,
in particolare quelle per la sicurezza dei dati, la
protezione su Internet e la pirateria del software,
nonché il numero e la qualità dei laureati che entrano
nell'industria dei servizi IT.
2) Selezionare il fornitore. I criteri sono: la 'scala'
delle operazioni, la gamma dei servizi, il focus
geografico o di settore industriale, nonché le affinità
culturali.
3) Determinare il modello di delivery più vantaggioso
per il proprio business tra 'pure offshore', 'onsite-
offshore' oppure 'onsite-onshore-offshore'. Il modello
dell'offshore puro, tipico delle attività per l'Anno
2000, ha rivelato problemi di comunicazione e di
project management, ed è stato superato dal modello
'insite-onshore', che combina supporto locale con
risorse offshore.
Il CIO dovrà inoltre svolgere un lavoro di
pianificazione a livello del personale (per convertire
gli addetti il cui lavoro viene affidato a risorse
offshore), di management (per riorganizzare
l'impresa in modo da gestire le differenze di fuso, di
lingua e di comunicazione) e di fornitori di servizi
esterni (per reazione hanno iniziato a offrire anch'essi
servizi offshore).
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normativa che agevola ulteriormente, con un permesso a tempo indeterminato, i lavoratori IT
stranieri. Un'iniziativa che le società high-tech come Siemens e SAP appoggiano, perché
farebbe sentire più a loro agio i loro dipendenti immigrati, ma che i politici conservatori
contrastano per timore di aprire troppo le frontiere.
A questo si aggiunge un altro problema: i clienti americani ed europei, segnatamente banche e
assicurazioni, chiedono oggi servizi più sofisticati e maggiori conoscenze di business, mentre il
punto di forza delle società indiane sono sempre state le competenze tecnologiche e l'utilizzo di
linguaggi di sviluppo avanzati. Dalla capacità di evolvere verso questo nuovo modello di offerta
più strategico e meno tattico, anche attraverso l'acquisizione di aziende di consulenza della 'old
economy', può dipendere il superamento di questa fase 'adolescenziale' e quindi la maturità
dell'industria offshore.
NNaanniissmmoo iinndduussttrriiaallee ee nnuuoovvaa eeccoonnoommiiaa
Il gap tecnologico tra Italia e i principali Paesi industrializzati: ecco come la
dimensione mediamente piccola delle imprese italiane influisce sull'adozione
dell'ICT
di Luigi Guiso
(ordinario di Economia politica all'università di Sassari, ha lavorato come economista al Servizio Studi della Banca d'Italia)
Articolo pubblicato per gentile concessione del sito LaVoce.info
L'economia italiana soffre di bassa crescita. Nell'ultimo decennio il nostro prodotto interno
lordo è cresciuto a un tasso medio dell'1,4 per cento , contro il 2,6 del decennio precedente. A
questi risultati insoddisfacenti, in parte condivisi con le principali economie europee, si è
contrapposta la brillante performance dell'economia americana, tuttora migliore di quella
media dell'area dell'euro.
Varie ricerche empiriche indicano che negli Stati Uniti l'accelerazione della produttività, alla
base della crescita sostenuta, sia in buona parte dovuta all'introduzione su vasta scala delle
nuove tecnologie digitali. Tuttavia, l'interesse per quanto queste ultime possano aver
contribuito a spingere lo sviluppo dell'economia americana e la sua produttività sembra al
momento offuscato. Il crollo dei corsi azionari, particolarmente dei tecnologici, ha cancellato
dal dibattito di politica economica l'espressione new economy.
Il gap tecnologico dell'Italia
Sul tema della diffusione delle tecnologie digitali in Italia è uscito in questi giorni un
interessante volume che raccoglie i risultati di un vasto progetto di ricerca condotto da un
gruppo di economisti della Banca d'Italia. E' "La nuova economia: i fatti dietro il mito"
(Bologna, il Mulino, 2003), curato da Salvatore Rossi, il capo del Servizio studi della banca
centrale.
Il saggio offre l'occasione per meditare su due argomenti di rilievo per l'economia italiana e
europea: a) il ruolo svolto da un comparto - quello delle nuove tecnologie - che aveva destato
tanto entusiasmo e interesse solo pochi anni fa; b) gli ostacoli che si frappongono alla
innovazione e alla adozione di nuove tecniche di produzione, che sono il principale veicolo della
crescita di una economia.
In uno dei saggi del volume, con dati campionari relativi a circa 2.400 imprese italiane per il
periodo 1995-1997, viene fatta una stima del capitale digitale della nostra industria
manifatturiera, impresa per impresa. Da un confronto con analoghi dati americani emerge che
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nel 1997 l'accumulazione di capitale digitale nell'industria italiana era in ritardo di 7-8 anni
rispetto all'industria americana.
E le sue cause
La semplice misurazione del gap indica l'esistenza di una impressionante incapacità dell'Italia
di tenere il passo con l'innovazione tecnologica. Per capire quali possano essere le barriere e gli
ostacoli alla adozione di nuove tecnologie tra le imprese italiane, nel volume si utilizza
un'indagine ad hoc svolta dalla Banca d'Italia su un campione di circa 1.500 imprese
manifatturiere con oltre 50 addetti, per
misurare il grado di diffusione di alcune
tecnologie digitali e i connessi mutamenti
organizzativi. Due fattori emergono con
chiarezza (si veda la tavola):
- La dimensione dell'impresa è determinante
sia per il "se" adottare, sia relativamente al
"quanto e quando" immettere in azienda le
nuove tecnologie. Più è grande l'impresa, più
probabile è l'adozione e più intenso l'uso che
si decide di farne.
- Il livello del capitale umano disponibile in
azienda influenza notevolmente il grado di
digitalizzazione prescelto. Imprese con una
manodopera mediamente più istruita
riescono a collocarsi vicine alla frontiera tecnologica.
- Una terza caratteristica, la capacità dell'impresa di portare a compimento processi di
riorganizzazione interni, facilita la adozione di nuove tecnologie.
Gli ostacoli alla crescita delle imprese
Su questi fronti l'Italia è a mal partito. La dimensione media di impresa è una delle più piccole
tra i paesi industrializzati: 4.4 addetti in media in Italia, più o meno la metà che in Germania,
Francia e Regno Unito e la più bassa in Europa assieme alla Spagna. Il livello medio di
istruzione dei lavoratori italiani è notoriamente più basso che negli altri Paesi. Le possibilità di
riorganizzazione interna - sebbene difficili da misurare - sono probabilmente anch'esse minori
che altrove, visti gli ostacoli che il forte grado di sindacalizzazione può frapporre. La minor
dimensione aziendale, sfuggendo in parte alla sindacalizzazione, offre una via di fuga, ma al
prezzo di una inadeguata dimensione per l'innovazione e le attività di ricerca e sviluppo.
Degli ostacoli indicati, la piccola dimensione dell'impresa è probabilmente quella determinante.
Imprese di maggiori dimensioni non solo riescono a innovare maggiormente e più celermente,
ma hanno anche la possibilità di assorbire manodopera con livelli di istruzione più elevati.
Vi è perciò da chiedersi cosa ostacola la crescita dimensionale. Non è facile dare una risposta,
ma vi sono nella letteratura economica indicazioni sufficienti dei fattori - alcuni rimovibili da
appropriate decisioni di policy - che ostacolano la crescita dimensionale. Tra questi in
particolare:
- La disponibilità di manodopera con livello di istruzione elevato incoraggia la costituzione di
imprese di maggiori dimensioni perché facilita l'adozione di tecnologie più sofisticate ad alta
intensità di lavoro qualificato. D'altra parte, queste tecnologie comportano a loro volta elevati
costi fissi, giustificati solo da una dimensione elevata.
- L'efficienza del sistema giudiziario, sia direttamente sia indirettamente, attraverso l'effetto
sul grado di sviluppo finanziario, incoraggia la crescita dimensionale. Assieme alla disponibilità
di adeguata protezione degli azionisti di minoranza, favorisce l'abbandono del sistema di
"capitalismo famigliare".
La disponibilità di fonti di finanziamento variegate e diversificate nella fase di start up
dell'impresa, ma soprattutto in quella successiva, quando tende ad accrescere le sue
Per saperne di più:
- Luigi Guiso, Paola Sapienza e Luigi Zingales, Does
Local Financial Development Matter?
(http://papers.ssrn.com/abstract=308569)
- Krishna Kumar, Raghuram Rajan e Luigi Zingales,
Whate Determines Firm Size?
(http://gsbwww.uchicago.edu/fac/luigi.zingales/resea
rch/Pspapers)
- Luigi Guiso, Small Business Finance in Italy
- Mike Burkart, Fausto Panunzi e Andrei Shleifer,
Family Firms
(http://post.economics.harvard.edu/faculty/shleifer/p
apers/)
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dimensioni, è un fattore critico per la crescita dimensionale. L'Italia e i Paesi europei
lamentano un forte gap nel grado di sviluppo finanziario rispetto agli Stati Uniti e su questo
fronte parecchio può essere fatto dalla politica economica.
In conclusione, vi sono condizioni "ambientali", esterne all'impresa, che ostacolano l'affermarsi
di quella trasformazione profonda del sistema produttivo chiamata Nuova Economia: vanno
dall'assetto istituzionale, all'ordinamento giuridico, al funzionamento dei mercati finanziari.
Questi sono fronti in cui l'azione di riforma e di policy può esplicare tutti i suoi effetti.
PPiiùù ssllaanncciioo aallll''iinnffoorrmmaattiiccaa ccoonn ll''aallllaarrggaammeennttoo ddeellllaa UUEE
Nei dieci Stati entrati nell'Unione il mercato informatico cresce più velocemente che
in quelli occidentali
di Ornella Fusina
Dal primo maggio 2004, sono entrati a far parte dell'Unione europea dieci Paesi dell'Europa
orientale: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Cipro,
Slovacchia e Slovenia. Un evento che avrà un impatto anche sulle dinamiche del mercato IT
europeo. Fino a oggi, infatti, esisteva una distinzione abbastanza netta tra il mercato
dell'Europa occidentale, comunemente identificata con la UE, e quello dell'Europa orientale, ora
in parte assorbita nell'area euro.
Il principale effetto dello spostamento del
confine orientale dell'Unione è quello di
inserire nel mercato IT della UE una
componente che al momento si presenta
ancora piccola - meno dell'8% del totale,
secondo Gartner -, ma che è destinata a
crescere tre volte più velocemente dell'Europa
occidentale nei prossimi anni fino ad arrivare a
rappresentare circa il 10% del mercato UE nel
2007. Una crescita figlia dei finanziamenti
della UE e dei progetti tecnologici volti allo
sviluppo economico locale. Nonostante i
notevoli progressi compiuti sul piano
economico negli ultimi anni, infatti, ci
vorranno anni perché le economie dell'Europa
dell'Est riescano a colmare il gap che li separa
da quelle dei Paesi occidentali. Per accelerare
questo processo la UE destinerà importanti
risorse finanziarie, fino a oggi destinate
prevalentemente alle regioni in via di sviluppo
degli Stati membri, mentre gli investitori esteri
faranno affluire altri capitali per stabilirsi in
questi relativamente nuovi mercati. Questi due
flussi finanziari, insieme alle politiche per
l'innovazione tecnologica dei governi locali, contribuiranno a far crescere i mercati IT dei nuovi
Paesi UE in misura considerevole. Senza tener conto dello spostamento di attenzione delle
grandi imprese americane che già ricorrono all'offshoring dei servizi IT dall'India e dalla Cina ai
Paesi dell'Est, tra cui spicca, oltre alla Russia, l'Ungheria (vedi box).
Consigli per i fornitori
Ai fornitori di IT che già operano nei nuovi Paesi UE
Gartner consiglia di focalizzarsi sulle nicchie in cui i
prodotti e i servizi possono essere veramente
competitivi, anziché sulle aree in cui operano le filiali
locali dei vendor internazionali. Di approfondire la
conoscenza delle condizioni del mercato e le pratiche
di business locali. Di sfruttare i rapporti con le
comunità d'affari locali, per creare legami con i
vendor internazionali più grandi che stanno cercando
di consolidare o rafforzare la loro presenza su quel
mercato. E anche di assicurarsi le risorse umane
chiave per quando verranno meno le barriere alla
libera circolazione dei lavoratori.
Ai vendor che invece vogliono espandersi nei nuovi
mercati UE, Gartner consiglia di localizzare le loro
soluzioni e le loro politiche di concorrenza, perché,
pur entrando a far parte della UE, ogni Paese
manterrà delle peculiarità. Gartner consiglia anche di
non focalizzarsi solo sugli obiettivi facili, come i
progetti che conducono a una migliore 'corporate
governance', o i progetti per le dogane, l'agricoltura e
il controllo delle frontiere. E di tener presente che
spesso qui mancano ancora solide infrastrutture di
diritto e che allearsi con operatori pubblici e privati è
il miglior modo per aiutare i clienti a utilizzare i fondi
della UE.
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"Le aziende utenti di IT beneficeranno direttamente e indirettamente dei finanziamenti della
UE, instaurando delle relazioni con i fornitori per riceverli e riducendo, allo stesso tempo, i costi
per l'acquisto di beni e servizi - afferma Andrea Di Maio, research vice president di Gartner -.
Se i vendor IT non hanno ancora incominciato a chiedersi che impatto avrà questo sul loro
business, è bene che lo facciano subito".
Tra le diverse problematiche che la maggior parte dei dieci nuovi Paesi della UE dovrà
affrontare vi è anche quella di conformarsi ai nuovi standard normativi mentre adottano i
regolamenti e le direttive UE attualmente in vigore. Per il resto esistono grandi differenze tra le
esigenze IT e il livello di penetrazione della tecnologia nei diversi Paesi, sottolinea Gartner, che
individua in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia ed Estonia gli Stati dell'Europa
dell'Est più avanzati dal punto di vista dell'infrastruttura IT e i mercati a più alto potenziale per
i vendor IT. Con la differenza che, mentre l'Estonia e la Slovenia non hanno niente da
invidiare, anzi forse sono anche più avanzate di molti altri Stati membri, Polonia e Ungheria
hanno un certo ritardo da recuperare, pur avendo gettato le basi per sviluppare una cultura IT
e una solida crescita nel breve periodo. Il software sarà probabilmente l'area a maggior
crescita, perché sarà lo strumento per supportare una gestione finanziaria conforme alle regole
Polonia
È il più grande mercato IT dell'Europa centro-orientale dopo la Russia (3,99 miliardi di euro nel 2003, secondo le stime di
IDC) e nell'ultimo anno ha registrato una crescita del 9,7%, contro il +14,3% dell'intera regione. Il mercato IT ha infatti
risentito, nel 2003, oltre che del rallentamento economico, anche della drastica riduzione degli investimenti dall'estero e
delle esportazioni. Ma quest'anno IDC prevede un'accelerazione della crescita tra il 13 e il 14%, grazie anche ad alcune
importanti iniziative di carattere pubblico e privato dello scorso anno.
Fattori di sviluppo. Tra queste iniziative spicca una legge per l'informatizzazione di una serie di enti pubblici approvata dal
Parlamento lo scorso settembre, che dovrebbe migliorare la cooperazione tra i sistemi IT pubblici e il registro delle
imprese e che getta le basi per le future politiche di e-government - anche se il progetto non è molto piaciuto alle autorità
locali in quanto pone l'intero controllo del processo di informatizzazione nelle mani del governo. Inoltre dovrebbe
diventare operativo in questi giorni un sistema IT del Ministero delle Finanze per il monitoraggio della spesa delle risorse
finanziarie proveniente dalla UE.
Un'altra iniziativa, questa volta di carattere privato, è il programma di cooperazione tra un gruppo di società IT polacche,
l'University of Texas e l'Università di Lodz per realizzare una serie di progetti, tra cui 'un acceleratore di tecnologie
moderne' a Lodz. Tra gli investimenti esteri si segnala invece l'apertura a Lodz di un centro per la contabilità finanziaria di
Philips, che impiegherà 500 persone e fornirà servizi a oltre 100 strutture del colosso olandese in 20 Paesi nel mondo: un
progetto il cui valore viene stimato introno ai 45 milioni di dollari. Inoltre, per la legge polacca ogni produttore di armi che
firma un contratto di fornitura di armi deve compiere investimenti (detti di bilanciamento) di valore almeno pari in altre
aree, tra le quali il governo mostra di privilegiare quella delle tecnologie avanzate: l'anno scorso la finlandese Patria e
l'italiana Oto Melara hanno dovuto investire la prima tranche di 1,6 miliardi di euro relativa a una fornitura di corazzati per
il trasporto delle truppe di 3,1 miliardi, cui dovrebbe seguire una seconda tranche di investimenti.
Ostacoli allo sviluppo. Esistono alcuni fattori economico-sociali che possono frenare lo sviluppo del mercato IT: uno è la
disoccupazione al 18%, un altro è la corruzione, soprattutto nella Pubblica Amministrazione - un polacco su cinque
riferisce di dover pagare per permessi e concessioni un sovrapprezzo. Inoltre Lockheed non ha rispettato l'impegno di
firmare 42 contratti per i cosiddetti 'investimenti di bilanciamento' come contrapartita, dovuta per legge, per una fornitura
di aerei da combattimento, alcuni dei quali riguardavano i fornitori locali Prokom e ComputerLand.
I maggiori player. Il numero uno dei servizi IT in Polonia nel 2002 risultava la polacca Prokom Software (142 milioni di
euro), seguita da HP Poland, IBM Poland, e da un altro fornitore nazionale, ComputerLand (fonte: TOP 100 di
Computerworld Polska). ComputerLand è anche il maggior fornitore di software (35 milioni di euro nel 2003), cui seguono
altre due società polacche: Prokom Software (25 milioni) e Altkom Akademia.
Una star. ComArch è una software house di Cracovia specializzata nei sistemi per la gestione dei servizi di
telecomunicazioni e nelle applicazioni di fatturazione in tempo reale per le reti mobili, ma sviluppa anche software per la
finanza e la Pubblica Amministrazione. È considerata la migliore azienda polacca e la più importante nella tecnologia
avanzata. Fondata nel 2000 da un professore dell'Università di Scienze e Tecnologia di Cracovia, Janusz Filipiak, e un
gruppo di ricercatori esperti di telecomunicazioni per condurre alcuni studi di fattibilità per il gestore nazionale TP,
ComArch (che sta per Computer Architects) in pochi anni è diventata uno dei primi dieci fornitori del mondo di sistemi di
billing. Quotata alla Borsa di Varsavia, ha aperto due anni fa sedi a Varsavia, Francoforte e Miami, e nel 2003 ha raggiunto
i 65 milioni di dollari di fatturato, in crescita del 30% rispetto all'anno prima, e ha raddoppiando l'utile netto (2,3 milioni).
Conta oltre mille addetti.
(Ha collaborato la redazione di Computerworld Polska)
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di governo dell'impresa stabilite dalla UE, e perché le aziende che già dispongono di un sistema
ERP avranno bisogno di funzionalità CRM per operare in un mercato molto più vasto.
Anche la spesa per l'hardware sarà più elevata nei Paesi dell'Est che nelle aree geografiche più
mature: sia perché esiste qui una maggior quantità di tecnologia e sistemi legacy da sostituire,
sia perché, stimolati dai fondi UE, si moltiplicheranno i progetti infrastrutturali, osserva
Gartner. Un altro aspetto che contribuirà a rinforzare la domanda di hardware sarà l'aumento
della spesa per le telecomunicazioni e le reti aziendali, così come lo sviluppo della larga banda
per l'utenza business e consumer.
Ungheria
È il quarto maggiore mercato IT dell'area CEE (1,95 miliardi di euro nel 2003, +8,5% di crescita rispetto all'anno prima).
Mentre la componente hardware e quella dei servizi sono risultate in forte rallentamento anche qui (+3,2% e +6%
rispettivamente), quella del software si è mostrata molto dinamica (+12,5%). Quest'anno IDC prevede una crescita del
9,6%. Durante la scorsa estate il Paese ha toccato il picco di rallentamento economico determinando una crescita del PIL del
2,8%, la più bassa dal 1996 ma in linea con quella degli altri Paesi dell'Europa centrale. La bilancia commerciale e l'inflazione,
comunque, risultano ancora in peggioramento.
Fattori di sviluppo. Il Ministero dell'Informatica e delle Telecomunicazioni ha varato un programma di e-government volto a
installare accessi Internet via VSAT negli enti pubblici, uno per promuovere l'utilizzo di software e servizi IT all'interno nella
PA locale e un contratto quadro per l'acquisto di pc no-branded per oltre 11 milioni di dollari.
HP ha trasferito qui la produzione dei sistemi di storage State Library, assegnandola a Flextronics, che impiega su questa
linea di produzione 1.200 persone per oltre un milione di unità prodotte all'anno. Inoltre il vendor americano produce qui
computer, monitor e stampanti.
Ostacoli allo sviluppo. Il ministero dell'Informatica e delle Telecomunicazioni ha sottoposto a revisione alcune commesse
concluse negli anni passati dall'Ufficio del Primo Ministro e risultate irregolari, mentre l'Autorità per la concorrenza ha multato
alcuni gestori mobili per accordi lesivi del libero mercato.
I maggiori player. KFKI CSC è il maggior fornitore di servizi IT ungherese (79 milioni di dollari nel 2003) e il secondo in
assoluto, dopo HP e prima di IBM. Si tratta di un gruppo formato da diverse società che hanno attraversato tutte le fasi della
privatizzazione del Paese, e che nel 1992 si sono rese indipendenti con un management buy out supportato da due fondi di
investimento americani. La maggioranza del capitale di KFKI CSC è ancora oggi in mano ai cinque soci fondatori, che
lavorano insieme da 30 anni. Oltre a distribuire prodotti di IBM, HP e Sun, il gruppo opera con le controllate nella system
integration, nelle soluzioni ERP e nello sviluppo di applicazioni speciali, nella consulenza di business, nei servizi finanziari e
nella gestione dei desktop. Per quest'anno la società prevede una crescita del 6% del mercato ungherese dell'ERP, in
ragione, da un lato, della scoperta dei gestionali 'professionali' da parte delle PMI, e dall'altro per la riduzione dei prezzi che
comporterà l'ingresso nella UE e il supporto finanziario del governo ungherese, che ha già stanziato 4,8 milioni di euro e
altrettanti dovrebbe destinare ai progetti ERP, soprattutto a quelli più innovativi delle PMI.
Mtv Informatika. Fa capo alla compagnia ferroviaria di Stato (MAV) ed è il secondo maggior player ungherese di software e
servizi, con circa 20 milioni di euro di fatturato nel 2002 e 600 addetti. Specializzato in sistemi ERP - ha installato il primo R/3
su mainframe in Ungheria - offre un sistema proprietario per PMI che si interfaccia con SAP, venduto anche da SAP Ungheria,
e ha implementato per la società ferroviaria uno dei maggiori sistemi finanziari basati su Oracle. Offre anche servizi di
outsourcing e ASP (con il marchio registrato IT Utilities) anche nei sistemi di logistica.
Synergon. È stata la prima società IT a quotarsi alla Borsa di Budapest e a quella elettronica di Londra nel 1999 e grazie a
una aggressiva strategia di acquisizioni, tra cui quella della filiale ungherese di Atos Origin nell'agosto 2003, è già presente in
quattro Paesi dell'Europa centro-orientale (Repubblica Ceca, Croazia e Slovacchia) con un fatturato di gruppo di 80 milioni di
euro nel 2003. Ora punta a diventare uno dei maggiori system integrator della regione, anche se la sua strategia di
espansione in un mercato regionale preossoché stagnante sta creando qualche problema finanziario. Synergon offre soluzioni
per il settore della sanità, della finanza e dell'energia elettrica, servizi ERP (con una specializzazione in SAP per la PA e il
settore agricolo), consulenza business e per la sicurezza, reti aziendali e per carrier di tlc.
Una star. Da dieci anni EPAM Systems fornisce servizi offshore per lo sviluppo di software, con uno staff di 600 persone tra le
sedi negli Stati Uniti, in Russia e Bielorussia. In marzo ha comprato Fathom Technology di Budapest per procurarsi risorse
specializzate in Enterprise Java Beans e servizi .Net. (160 addetti), diventando il più grande fornitore di servizi di ingegneria
del software nell'Europa centro-orientale. Ora ha in progetto di impiantare altri uffici in USA e in Europa per allargare la base
dei clienti, tra cui spiccano Microsoft, Sun, Reuters e Colgate Palmolive. Il modello di business di EPAM è di collocare i
progetti e gli analisti di sistema vicino al cliente, creando così la capacità di seguire localmente i grandi progetti, trasferendo
le attività di sviluppo nei diversi Paesi in cui opera. "Le grandi imprese stanno cominciando a cercare di ridurre i rischi
dell'offshore in un unico Paese, utilizzando oltre agli outsourcer indiani anche quelli di altre regioni geografiche", riferisce il
CEO Arkadiy Dobkin.
(Ha collaborato la redazione di Computerworld Ungheria - Szamitastechnika)
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  • 1. Destinazione >> .... SSOOFFTTWWAARREE EE SSEERRVVIIZZII:: EE'' OORRAA DDII UUSSCCIIRREE DDAAII CCOONNFFIINNII L'allargamento dell'Unione Europea, la globalizzazione del commercio e la disponibilità di accessi a Internet a banda larga anche nei paesi di nuova industrializzazione permettono alle aziende di gestire con maggior semplicità i progetti informatici che coinvolgono le sedi e i partner dislocati all'estero Per l'IT è un occasione di adattare gli strumenti e i servizi disponibili alle nuove esigenze di business dell'azienda, per le organizzazioni più efficienti è l'occasione di crearsi un vantaggio competitivo sulla concorrenza A cura della redazione di Computerworld Italia
  • 2. Pagina 2 di 3 Con l'entrata di ben dieci nuovi stati nell'Unione Europea, il mercato di riferimento per qualunque attività di business risulta notevolmente ampliato. E permette alle numerosissime aziende italiane che hanno a che fare con questi paesi, sia per l'importazione di prodotti che per la disponibilità di filiali proprie, di semplificare le attività burocratiche e accelerare la propria internazionalizzazione. Un processo che va necessariamente accompagnato con l'evoluzione dei sistemi informativi aziendali: il gestionale fatto in casa e funzionante a tutt'oggi in una finestra DOS di Windows non basta più per gestire acquisti e forniture in tutto il mondo, Internet garantisce un'efficienza talmente elevata alla gestione dei rapporti con l'estero da non poterla più ignorare. Nemmeno se questo comporta un rinnovamento radicale delle proprie soluzioni gestionali. L'esperienza maturata dai fornitori nella preparazione supporto di software multivaluta, con l'ingresso nell'era dell'euro, è stata per essi un'ottima palestra sia dal punto di vista tecnico che organizzativo. Se queste considerazioni possono tranquillizzare almeno in parte i CIO ancora (e per chi sa quanto tempo) alle prese con resistenze interne e diffidenza verso le spese IT, un aspetto di cui è giusto continuare a preoccuparsi è la scelta del modello di 'internazionalizzazione' del sistema informativo. Meglio delocalizzarlo, installando molteplici siti del gestionale e degli altri applicativi negli stabilimenti e negli uffici all'estero, o mantenere un'architettura centralizzata, fornendo all'estero solo delle form e procedure basate su Web? E sul fronte dei servizi, meglio affidarsi interamente a un fornitore basato in Italia, che manderà debitamente in giro per il mondo i propri consulenti, o ricercare (magari proprio con l'aiuto del fornitore italiano) accordi con fornitori locali? Quanto si può andare lontano con questi accordi, in ottica puramente geografica, dato che avere un fornitore nell'est europeo non è certo la stessa cosa che averlo in India? Il dossier affronta tutti questi argomenti riportando i punti di vista e le esperienze dirette di diversi IT manager, che offrono le loro valutazioni sulle installazioni internazionali (Andrea Provini, CIO del gruppo Faber, ha realizzato un servizio sull'installazione di un ERP presso un sito produttivo in Cina) e sulle attività di outsourcing. Presentiamo anche il punto di vista dei fornitori sull'internazionalizzazione dei software gestionali, così da far comprendere al lettore anche le problematiche più o meno esplicite di chi le soluzioni gestionali le propone sul mercato. Comprendere le aspettative e le difficoltà di chi sviluppa e supporta gli applicativi è sicuramente un passo importante, per il CIO, al fine di una proficua impostazione del rapporto con il proprio fornitore.
  • 3. Pagina 3 di 3 LLee ssoolluuzziioonnii cchhee vvaannnnoo aallll''eesstteerroo Le ragioni che portano le software house del nostro Paese a varcare i confini di Giuseppe Goglio La progressiva apertura dei mercati su scala internazionale porta le aziende a confrontarsi con una serie di problematiche a livello di infrastruttura IT che raramente si presentano operando all'interno della nazione di appartenenza. In tema di software gestionali, in particolare, il lavoro di localizzazione indispensabile per rendere fruibile un pacchetto applicativo anche al di fuori dei confini italiani non può limitarsi alla banale traduzione dell'interfaccia. La parte più impegnativa del lavoro è l'adeguamento alle normative e alle procedure del software secondo gli usi locali, senza dimenticare che nel caso di aziende utenti italiane che operano all'estero le esigenze del luogo devono conciliarsi con le abitudini del management dislocato sul posto. Il quadro estremamente variegato in materia di scenari locali, esigenze di settore e rapporti internazionali offre spazio alle software house italiane che, per scelta o necessità, si trovano a dover mettere a punto nuove soluzioni per il mercato internazionale. A rimorchio del cliente Quando il gestionale di una software house incontra un certo successo a livello nazionale, prima o poi inevitabilmente si presenta il problema di come affrontare il mercato estero. È infatti frequente il caso di aziende utenti che decidono di avviare rapporti commerciali oltre confine o aprire nuove filiali e che di conseguenza richiedono un'estensione del sistema in uso. E proprio l'azienda utente italiana che cresce all'estero rappresenta la motivazione principale che induce i fornitori di soluzioni a 'internazionalizzare' un applicativo esistente. "La decisione di 'varcare' i confini è derivata dalla necessità di seguire un grosso cliente italiano che aveva acquisito una società in Francia - afferma Enrico Gamba, PM divisione grandi imprese di Esa Software -. A ciò è poi seguito uno sforzo di penetrazione notevole che ha portato a installare i nostri prodotti in 22 Paesi stranieri, in Europa, in Sudamerica e nell'Africa del nord". In queste situazioni, la traduzione del software è solamente il primo di una serie di passaggi a volte delicati: "Per rispondere alle esigenze specifiche dei Paesi in cui si andava a installare il nostro pacchetto - aggiunge Gamba -, abbiamo sostenuto pesanti investimenti per la traduzione e per la localizzazione, nonché per la formazione interna dei consulenti al fine di creare risorse in grado di interfacciarsi con dieci lingue diverse". Per una software house però, non sempre 'seguire' un'azienda utente può essere considerato sinonimo di presenza internazionale. Spesso infatti, può trattarsi di un caso limitato, mirato a consolidare il rapporto con un cliente, e poco significativo ai fini della verifica delle potenzialità del mercato estero, per il quale servono invece strategie più articolate. "Abbiamo seguito sostanzialmente due criteri nella nostra strategia di internazionalizzazione. In primis abbiamo cercato di esaminare il trend di mercato delle aziende utenti italiane, ovvero Quando è il cliente che parla internazionale Un buon punto di partenza per lo sviluppo su scala internazionale di una software house italiana è l'espansione all'estero delle attività di un cliente già acquisito. Questa è la strada che Formula ha seguito grazie a Flos, azienda bresciana che opera nel settore dell'illuminazione e che ha implementato la soluzione ERP Diapason a livello internazionale in differenti Paesi europei. Successivamente, Flos ha inoltre collegato una sua società partner spagnola attraverso una soluzione in ambito supply chain e ora tutti i suoi agenti europei, compresi quelli belgi e scandinavi, immettono gli ordini di vendita direttamente nel sistema attraverso interfacce web in lingua. "Il livello delle procedure utilizzate e richieste da Flos è alto, ma allo stesso tempo l'azienda non dispone di budget a livello di corporate multinazionali- afferma Giuseppe Iannuzzi, responsabile filiale di Milano e area SCM di Formula-. Siamo stati chiamati a coniugare queste esigenze e fornire soluzioni in grado di rispondere completamente alle necessità un'azienda internazionale, italiana e non".
  • 4. Pagina 4 di 3 verso quale area era indirizzata la loro politica di espansione internazionale - dichiara Enrico Itri, CEO di Microarea -. Quindi abbiamo cercato di individuare quelle aree del mercato internazionale che mostrano una segmentazione simile a quella del mercato italiano e che si presentano, dunque, particolarmente ricettive nei confronti delle soluzioni gestionali per le piccole e medie imprese". Dagli esiti di entrambi gli aspetti dello studio condotto da Microarea, è emerso come le migliori possibilità in campo estero per i fornitori italiani che operano in ambito ERP, arrivino dal mercato dell'Est Europa, sia per le prospettive commerciali, sia per una segmentazione simile a quella italiana. "Si tratta di un mercato relativamente giovane sotto il profilo del software per le PMI - sottolinea Itri -, ma nello stesso tempo esprime alte competenze tecnologiche". "Sono i clienti a giocare un ruolo fondamentale nella scelta dei Paesi verso i quali è prioritario orientarsi - conferma Stefano Matera, direttore commerciale canale indiretto e marketing di TeamSystem -. Sono sempre più numerose le imprese italiane che per motivi economici vedono soprattutto i Paesi dell'Est europeo come mercati interessanti". Non solo software multilingua Invece di intervenire 'a posteriori' nel momento in cui da parte di un'azienda utente si manifesta l'esigenza specifica, alcuni fornitori preferiscono intervenire in fase di progettazione, lasciando aperto il proprio software a personalizzazioni non solo per quanto riguarda il ramo di attività, ma anche per gli aspetti di localizzazione: "Fin dall'inizio della fase di progettazione della nostra famiglia di soluzioni ERP, abbiamo impostato una strategia di sviluppo per il mercato internazionale, non solo limitata alle aziende italiane con filiali estere - afferma Maurizio Ferraris, direttore commerciale di DS Data Systems -. Saper supportare clienti esteri significa non solo scrivere software multilingua e multivaluta, ma soprattutto progettarne la documentazione, il metodo per la parametrizzazione, i servizi di consulenza-formazione- supporto in modo tale da renderli disponibili nelle modalità richieste dai diversi Paesi". In una strategia di questo tipo, può risultare vantaggioso lavorare in partnership con realtà locali o comunque con buona conoscenza dello scenario internazionale: "Per offrire lo stesso livello di servizio alle aziende sia in Italia sia all'estero ci siamo mossi a livello internazionale per essere in grado di fornire un servizio adeguato - afferma Giuseppe Iannuzzi, responsabile filiale di Milano e area SCM di Formula -. Con l'aiuto di Ernst&Young, divisione Audit di Amsterdam, abbiamo redatto le esigenze, sia in termini di fiscalità che di best practices, dei differenti Paesi che intendiamo servire e contemporaneamente siamo partiti nel costruire una rete di assistenza a livello internazionale". Gli standard, il punto di partenza Una terza via per la diffusione di soluzioni italiane a livello internazionale prende spunto dall'utilizzo di una serie di standard in fase di progettazione che consentono una rapida localizzazione per gli aspetti più generici del software e lasciano aperta la possibilità di interventi a scopo di personalizzazione: "Negli ultimi anni abbiamo sviluppato diverse localizzazioni estere della nostra offerta, grazie anche al fatto che le tecnologie su cui è basata, Java, ne consentono un utilizzo via web - spiega Fabio Vennettilli, direttore generale di Cata Informatica (Gruppo Byte) - . Oltre a ciò, garantiamo servizi di adeguamento ai requirement locali sia civilistico-fiscali sia alle business practice specificatamente richieste sul luogo". Anche in questo caso, a livello locale l'offerta può essere completata attivando collaborazioni con i fornitori del posto: "Per coprire le esigenze delle aziende italiane, nostre clienti, che L'Est, un mercato 'ideale' per gli italiani Sono diversi gli imprenditori, che vedono nei mercati dell'Europa dell'Est caratteristiche analoghe alla situazione italiana, a tutto vantaggio delle software house nostrane. Questa è una delle motivazioni che, secondo Enrico Itri, CEO di Microarea, ha indotto l'ungherese Budacolor, che produce inchiostri tipografici, e facente parte dell'italiana Samor International Group, a optare anche a livello locale per la soluzione software Mago.Net per la gestione della produzione.
  • 5. Pagina 5 di 3 hanno all'estero sedi operative sia commerciali che produttive, abbiamo reso disponibile la nostra soluzione anche in versione multilingua. - precisa Paolo Furini, direttore marketing di Axioma -. Devo comunque precisare che tale estensione riguarda solo la parte della soluzione che va a impattare sui processi operativi: escludendo il modulo amministrativo e finanziario, che diverrebbe troppo complicato gestire in tal senso vista l'eterogeneità delle normative. La soluzione è quella di gestire poi un consolidato centrale, partendo dai dati forniti dalle soluzioni software locali e di terze parti". Il rovescio della medaglia Non sono però solamente le difficoltà della localizzazione le uniche problematiche che deve affrontare una software house italiana che si avvia ad affrontare un mercato straniero. Da non sottovalutare sono anche le potenzialità di una concorrenza sul sito, che fa leva esattamente sulle stesse motivazioni dei fornitori italiani di fronte ai grandi nomi internazionali. "Per supportare una politica di espansione all'estero delle aziende utenti italiane è necessario da un lato conoscere in modo approfondito le dinamiche che governano i loro processi aziendali interni e dall'altro sostenere con loro una comunicazione continua ed efficace; soltanto un vendor italiano può conoscere bene un'azienda italiana - afferma Enrico Itri di Microarea -. Parallelamente, occorrono analoghe competenze nei vari Paesi dove si intende sviluppare il business del gestionale". D'altra parte, sarebbe rischioso per un fornitore di soluzioni limitarsi a 'coltivare il proprio orticello', senza considerare l'idea di estendere la portata dei software: "L'allargamento dei mercati è requisito irrinunciabile per il successo delle aziende - afferma Cristina Storer, marketing & communication director di Txt e-solutions -. Inoltre, volendo gestire un proprio software è necessario disporre di un'ampia base di installato; in quest'ottica rimanere entro i confini italiani rappresenta una forte limitazione". Il mercato delle tlc nell'est europeo La penetrazione delle comunicazioni mobili nei Paesi dell'Europa occidentale sta arrivando alla soglia del 100%; a livello mondiale, nel febbraio 2004 il GSM ha superato il miliardo di utenti, su un totale di circa 1,3 miliardi di utenti mobili, e ormai si lavora per il secondo miliardo. Nella sola Cina, il numero degli utenti mobili ha superato i 260 milioni, con incrementi di oltre 50 milioni l'anno. Quanto alla banda larga, ha ormai cessato di rappresentare un optional. All'inizio del 2004, oltre 100 milioni di utenti nel mondo disponevano di una connessione a banda larga, in prevalenza ADSL. Il primo Paese in valori assoluti è ancora una volta la Cina, seguita dal Giappone. In Italia, a metà 2004 ADSL registrava circa tre milioni di utenti, e anche la diffusione delle connessioni veloci via fibra ottica continua a essere sostenuta. Si apre così la strada a un triplice salto di qualità, con comunicazione bidirezionale su Internet, su rete mobile e su televisione interattiva. In questo scenario si inserisce naturalmente il nuovo attore, la televisione digitale terrestre, che è ancora in fase di lancio e sostanzialmente sperimentale; ma è rimarchevole notare che i 250.000 utenti (dati di aprile 2004) avevano tutti meno di 12 mesi di anzianità. Appare quindi ragionevole aspettarsi una popolazione utente non inferiore al milione entro la fine di quest'anno. In pochi anni sono cambiati gli apparecchi che utilizziamo in casa, in ufficio o per strada. Le vendite dei monitor LCD hanno superato quelle dei monitor a tubo catodico (i grandi nomi hanno tolto, o stanno togliendo i monitor CRT dai listini), e la presenza è diventata significativa anche nel mercato del televisore. Il lettore DVD ha sostituito il videoregistratore a cassetta, con ovvio effetto trainante sul mercato dei media preregistrati. Lo stesso discorso vale per la fotografia: il digitale si sta affermando a tutti i livelli di costo e di utilizzo, anche professionale.
  • 6. Pagina 6 di 3 OOffffsshhoorree:: uunn bboooomm aannnnuunncciiaattoo,, mmaa...... I servizi di outsourcing 'd'importazione' non incontrano molto favore tra i CIO italiani di Ornella Fusina Le grandi multinazionali ne fanno un uso sempre più esteso. In Italia qualche banca ha iniziato a ricorre a questa pratica, ma è quasi un tabù per le delicate questioni del personale che sollevano. E si racconta che anche da noi ogni system integrator e outsourcer, nel formulare un'offerta chieda ormai di prassi: "Vuole personale locale o le va bene anche straniero?". Stiamo parlando dei servizi IT offshore, cioè prestati da strutture e risorse di Paesi lontani rispetto all'azienda utente, come India, Cina, Singapore, Filippine. Oppure più vicini, come Russia, Romania e Irlanda nel caso di un'azienda cliente europea: in tal caso vengono chiamati servizi nearshore. Ad accomunare le due opzioni è il fatto che in questi Paesi le risorse tecnico- specialistiche costano meno che nel mondo occidentale sviluppato, e sono di buona qualità, talvolta superiore anche a quella dei fornitori americani. È l'effetto della globalizzazione sul mercato dei servizi IT, che secondo le stime di Gartner ha già indotto quest'anno quattro CIO di grandi aziende su dieci ad affidare almeno un servizio tecnologico in offshore; e l'anno prossimo diventeranno otto su dieci. "Un trend irreversibile - sancisce l'analista di Gartner, Rita Terdinam - per il semplice fatto che un risparmio del 40% sui costi non può essere ignorato nell'attuale clima economico e che il personale IT deve diventare più flessibile per riuscire a cogliere più velocemente le opportunità di business". Un trend che il capo delle operazioni di outsourcing di Cap Gemini Ernst & Young conferma: "Nell'ultimo anno non c'è stato un incontro con India, Irlanda e Russia: i pro e i contro L'India è indubbiamente il Paese con la tradizione più consolidata nell'offerta di servizi di outsourcing a basso costo e di elevata qualità, e la principale destinazione delle commesse offshore delle aziende americane. E man mano che il vantaggio competitivo sui prezzi viene oscurato da altri Paesi 'emergenti' nell'offshoring, in particolare la Cina, i vendor indiani (Infosys Technologies, Wipro, Tata Consultancy Services, Cognizant sono i maggiori nomi) stanno cercando di allargare la loro offerta originaria di manutenzione e sviluppo di applicazioni e di system integration di piccole parti di progetti con la gestione di processi operativi, come le paghe e stipendi, i call center, fatture e analisi finanziarie, anche se gli skill di consulenza per settori industriali specifici rimane per il momento un punto debole. Sta di fatto che queste aziende ormai competono testa a testa con IBM, EDS, Accenture e altri outsourcer occidentali, i quali peraltro si stanno guadagnando un sempre maggior accesso a risorse tecniche a basso costo, indiane e di altri Paesi, proprio per competere sui prezzi. Resta per ora indiscusso il vantaggio competitivo della qualità: tutti i vendor indiani sono infatti certificati CMM Level 5, il più alto livello del Capability Maturity Model dell'americana Carnegie Mellon University per lo sviluppo software e le metodologie di processo. Mentre le profonde differenze culturali - come l'incapacità di dire no anche quando non si sa ottemperare a una specifica - restano per molti IT manager occidentali un problema. Irlanda Venendo all'offerta europea, a rendere interessante l'Irlanda non sono tanto gli stipendi IT (a metà tra quelli di USA e India), quanto la possibilità di misurarsi con una cultura anglosassone con una differenza di fuso minima beneficiando di un'aliquota fiscale per le imprese (12,5%) che è la più bassa dell'Europa occidentale e di incentivi statali. Di qui la scelta di alcune società finanziarie americane, già qualche anno fa, di creare vere e proprie filiali IT a Dublino e dintorni per sviluppare, testare e integrare pacchetti applicativi, e soprattutto di trasferire qui i call center. Sono 11mila i laureati e diplomati in informatica che ogni anno escono dalle scuole irlandesi, e a cui attingono anche IBM, Microsoft e Oracle per le loro software factory locali. Russia ed Europa dell'Est. La Russia ha scoperto da poco il business dell'outsourcing, un business che oggi vale meno di 200 milioni di dollari contro i sei miliardi dell'India, ma che sta crescendo del 50% l'anno. Gli stipendi degli sviluppatori sono al livello di quelli di indiani (tra 5mila e 9mila dollari), ma secondo la Banca Mondiale la Russia è il terzo Paese del mondo per numero di scienziati e ingegneri pro capite. Il problema sono l'economia instabile e le infrastrutture tecnologiche inadeguate, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, ma soprattutto l'atteggiamento poco trasparente del governo, la pesante burocrazia e leggi restrittive in materia fiscale, doganale e sull'immigrazione, con l'influenza che tutto ciò esercita sulla cultura di business del Paese. Inoltre il governo russo, espressione di una democrazia appena agli esordi, investe poco nel settore IT rispetto ai governi dirigistici di India e Cina, dove il processo decisionale è più snello. A ciò si aggiunge il fatto che la lingua inglese è poco conosciuta e le competenze manageriali poco diffuse. In confronto l'Ungheria ha un mercato IT più maturo e a crescita più lenta, ma una maggior disponibilità di competenze IT, gestionali e imprenditoriali, mentre Ucraina e Bielorussia offrono programmatori di lingua russa a minori costi.
  • 7. Pagina 7 di 3 clienti in cui non si sia parlato di offshore, anzi ci sono clienti che chiedono che l'80% del lavoro a contratto venga eseguito in offshore". E anche se per il momento i CIO italiani intervistati dal nostro giornale non sembrano così interessati all'argomento, quelli americani intervistati dall'edizione americana di Computerworld utilizzano già direttamente risorse offshore per lo sviluppo del software, per l'integrazione di sistemi, per la manutenzione e anche per la gestione delle operazioni , non solo tramite il loro fornitore principale di oustsourcing. IBM o Accenture o EDS ormai trasferiscono buona parte dei contratti alle strutture che hanno in India, in Cina e in altre parti del mondo. Per avere un'idea, IBM dopo l'ultimo potenziamento delle sue 'facility' in India è diventata il quinto maggior datore di lavoro del Paese, mentre EDS ha annunciato che allocherà il lavoro alle risorse più adatte a eseguirlo tra le sue '16 facility' in 11 Paesi del mondo, e di voler arrivare nel 2004 ad avere ben 20mila addetti in località offshore. Tra le varie implicazioni che l'offshoring ha sul modo di operare, sul profilo e le competenze dei CIO, nonché sull'organizzazione IT di un'azienda, gli analisti, i fornitori e i CIO che già stanno sperimentando questa nuova modalità di sourcing evidenziano soprattutto la complessità del multisourcing, cioè di gestire la pluralità di fornitori specializzati per tipologia di servizio (sviluppo software, manutenzione, Business Process Outsourcing ecc.); ma anche la necessità di disporre di personale IT con meno skill tecnici e più esperienza manageriale, nonché più conoscenza dei processi e capacità di analisi del business. I CIO italiani e l'offshore Abbiamo chiesto ad alcuni responsabili dell'IT italiani se utilizzano o stanno prendendo in considerazione di utilizzare servizi offshore e che opinione hanno dei benefici e ostacoli che presenta questa modalità di outsourcing. Ecco che cosa ci hanno risposto. "Ho recentemente incontrato una delle maggiori società indiane attive nello sviluppo di software - racconta Bruno Cocchi, CIO di Gruppo Coin -. Mi hanno prospettato tariffe unitarie inferiori del 30% a quelle da noi attualmente pagate, ma considerato l'overhead di progetto e le inevitabili complicazioni di gestione il risparmio si riduce considerevolmente". Anche se l'incontro con questa società non ha avuto seguito, in ogni caso Gruppo Coin intende "mantenere monitorata la possibilità di utilizzare servizi offshore per lo sviluppo di nuovi sistemi applicativi, in particolare per singoli progetti ad alto volume di giornate/uomo (oltre 2.000)". A smentire il mito dell'economicità dell'offshore è il CIO di Natuzzi, Giuseppe Nicola Lassandro: "Abbiamo scoperto che l'offshore non conviene, perché i costi delle risorse informatiche in provincia di Bari risultano competitivi con quelli delle società indiane". Paolo Sassi, ICT manager di Osram Italia, intravede invece nell'offshoring "forti vincoli nei fusi orari e nella comunicazione linguistica; e comunque non è un'opzione che stiamo considerando". Neanche al gruppo Sonepar (distribuzione di materiale elettrico) l'offshore viene preso in considerazione per il momento: ai "benefici riscontrabili sicuramente nella diminuzione dei costi e negli alti skill professionali reperiti si oppongono vincoli legati, da un lato, alla grossa esperienza necessaria per gestire processi tipici del nostro mondo, dall'altro alle distanze culturali con i Paesi dell'offerta offshore", sostiene il responsabile IT Gianfranco Baccichetto. Meno motivate le risposte di altri due CIO: "Nel nostro contesto non abbiamo individuato settori di attività sui quali adottare questo tipo di servizi", dice Claudio Cassarino, responsabile dei sistemi informativi dell'azienda di trasporti milanese ATM. Dello stesso tenore la risposta dell'IT manager della casa farmaceutica Grunenthal-Formenti, Roberto Brambilla: "Non utilizziamo e non stiamo prendendo in considerazione, al momento, questa opzione".
  • 8. Pagina 8 di 3 VViicciinnaa oo lloonnttaannaa,, llaa CCiinnaa èè uunn''ooppppoorrttuunniittàà Un CIO italiano, in Cina per un progetto ERP, parla dei diversi problemi di questo grande Paese di Andrea Provini (CIO del gruppo Faber) Spesso capita che il CIO di un'azienda che opera a livello internazionale sia chiamato a coordinare il roll-out di un sistema informativo all'estero. Più inusuale, anche se sempre più frequente, è che debba pensare a un'implementazione in Paesi del Far-East. Per esempio, la Cina. Già, la Cina, un Paese ormai all'attenzione di tutti, sia in positivo che in negativo. Infatti, ai problemi ambientali, sanitari e alla scarsa regolamentazione che ne fanno un Paese 'a rischio', si contrappone un mercato potenziale di oltre un miliardo di consumatori e una economia che cresce costantemente con tassi di 4 o 5 volte superiori a quelli europei. Insomma, un mercato in cui non si può non andare, se si vuol continuare a giocare un ruolo da leader sui mercati internazionali. Detto questo torniamo al problema o meglio all'opportunità oggetto del nostro viaggio: il roll- out di un ERP (SAP, per l'esattezza) in Cina. Questo articolo è il primo di una serie che vuol dare conto in modo dettagliato delle difficoltà e delle opportunità, degli spunti interessanti e degli errori da evitare nell'organizzazione e nella conduzione di un tale progetto in Cina. Il tutto visto con gli occhi di un CIO che tale esperienza deve viverla e gestirla in prima persona. Questo viaggio verrà affrontato in alcune tappe: come preparare il viaggio, come impostare il progetto, come gestire la sua esecuzione localmente e interagire con il territorio, la sua storia e le sue risorse (persone, fornitori, e così via). Il tutto con l'attenzione e la curiosità di chi cerca di capire e di ottimizzare tutte le risorse disponibili e le opportunità che gli si offrono. Come organizzare viaggio e permanenza La prima cosa che appare evidente nell'impostare un viaggio in Cina è che si tratta di un Paese che non sta dietro l'angolo, ha un fuso orario (nella sua parte più sviluppata) che oscilla tra le 6 e le 7 ore, ha una cultura e una lingua molto distanti dalla nostra e sta vivendo una difficile transizione dalla più immobile economia alla più selvaggia deregulation. Un Paese in cui l'evoluzione culturale e tecnologica assume gli aspetti di una rivoluzione, perché tutte le innovazioni e i cambiamenti che nel mondo occidentale sono maturati in uno o più decenni qui assumono delle accelerazioni inimmaginabili. Per tutte queste ragioni, prima di muoversi e al fine di essere pronti e meglio comprendere la Cina, il mio consiglio è di entrare in contatto con chi esperienze simili le ha già affrontate e può essere quindi prodigo di consigli e suggerimenti. Suggerimento: state alla larga da improbabili aziende e/o consulenti capaci di risolvere in loco e con tempi rapidissimi ogni problema grazie alle loro vantate 'importantissime entrature'; mi avvicinerei maggiormente agli enti istituzionali quali la Camera di Commercio Italo-Cinese, la Camera di commercio italiana in Cina (strano ma vero, sono due cose distinte), alcune organizzazioni presenti sul Web quali ItaliaCina on line, tutte in grado di fornire utili informazioni. L'iscrizione a tali istituti non costa molto e può essere utile per ottenere risposte a molti quesiti iniziali sulla Cina. Sottolineo quesiti iniziali, perché le risposte più interessanti le si possono avere solo sul luogo. Secondo suggerimento: tenetevi in contatto con tutte quelle entità che all'interno del proprio settore, della propria supply-chain e della propria clientela operano già nel mercato cinese. Questo per poter entrare a far parte di quel network di aziende, persone e conoscenze che a vario titolo possono avere interesse a sviluppare competenze, business e progetti in Cina, e
  • 9. Pagina 9 di 3 disponibilità a condividere esperienze, posizioni acquisite e, nei casi più arditi, anche progetti e investimenti. Il vantaggio del 'gioco di squadra'6 Già a questo livello e con le poche esperienze maturate potrete accorgervi che muoversi dall'Italia alla Cina con un roll-out internazionale è molto meno agevole che farlo a partire da un Paese della CEE o anglosassone. Per rendersi conto di ciò basta girare un po' su Internet per accorgersi (e, stando in Cina, averne la certezza) che in questi Paesi esiste un maggior gioco di squadra nell'affrontare 'Paesi lontani': tutte le componenti della catena necessaria a garantire il successo del progetto si muovono generalmente in modo coordinato per creare le condizioni necessarie per non rischiare di trovarsi a metà di un progetto senza alcune delle componenti chiave. Stando in Cina, infatti, non è difficile notare come i grandi gruppi tedeschi e francesi si siano mossi in modo coordinato; tutta la catena del valore di tali gruppi ha spesso sposato questa strategia di localizzazione. Risultato: la creazione (in Cina) di distretti locali che surrogano e ricreano le condizioni del proprio Paese d'origine. Per tale motivo, dal punto di vista IT, non è difficile imbattersi in system integrator tedeschi e/o francesi già localizzati in Cina, che operano spesso con personale cinese (anche se il management e le figure di maggiore esperienza sono ancora tutte occidentali) che già sono al supporto di aziende in catena tra loro di cui sono fornitori di servizi sia in Cina sia nel proprio Paese d'origine. Oltre a questo, tutte le grandi aziende globali di consulenza ICT (Accenture, Atos Origin e così via) sono già presenti localmente, spesso al seguito di grandi multinazionali loro clienti. Tuttavia il loro approccio e il loro profilo di costi spesso risultano rivolti esclusivamente a questi grandi gruppi industriali/finanziari e poco adatto a chi già a casa propria non si affida ad altri fornitori non condividendone approcci e metodologie. È sorprendente che proprio un Paese come l'Italia, dove i distretti sono spesso definiti come l'ossatura e l'arma vincente di molti settori industriali, non sia capace di replicare all'estero lo stesso modello vincente. Anche se i più esperti non sono sorpresi più di tanto, considerando il forte individualismo e la forte conflittualità spesso presenti nel sistema aziendale distrettuale italiano. I tanti ritardi dell'Italia Che l'Italia sia in ritardo, e sicuramente non in posizione 'aggressiva' sul mercato cinese, lo si nota con facilità anche nella disponibilità di collegamenti aerei tra l'Italia e la Cina. Non esiste alcun volo di linea tra l'Italia e la Cina della nostra (sia pur in crisi) compagnia di bandiera; resta invece la possibilità di muoversi con alcune compagnie straniere (Cathay Pacific in primis) che collegano Roma a Hong Kong quotidianamente, oppure scegliere di sfruttare i grandi hub del Nord Europa (Parigi e Francoforte) dove esistono collegamenti quotidiani con tutti i principali centri cinesi. Il volo ha una durata di 10 ore circa per raggiungere i principali centri (Pechino e/o Hong Kong) a cui poi bisogna sommare le attese e le ore per eventuali trasferimenti interni. Da questo punto di vista aeroporti e linee aree che operano in Cina, per infrastrutture e livello di servizio, sono sicuramente all'altezza dei principali hub europei. Per arrivare in Cina i collegamenti più interessanti, almeno nella mia esperienza pratica, sono quelli che all'andata partono tra le 12 e le 16 (ora di Roma) e sfruttano la 'notte cinese' per viaggiare (ricordo che esistono dalle 6 alle 7 ore di fuso orario a seconda del periodo dell'anno): dormire infatti per tutto il viaggio o almeno il più possibile può essere utile per assorbire velocemente il jet lag e sfruttare da subito il tempo a disposizione in Cina. In ogni caso il consiglio è di viaggiare di venerdì, arrivare di sabato e sfruttare la domenica per
  • 10. Pagina 10 di 3 assorbire completamente le differenze di fuso e iniziare a familiarizzare con il territorio e il cibo, arrivando a lunedì con i 'bioritmi' già fasati. Le formalità burocratiche per l'accesso in Cina prevedono la richiesta, prima della partenza dall'Italia, di un visto di ingresso. Tale visto deve essere richiesto all'ambasciata cinese e per essere rilasciato per motivi di lavoro deve essere accompagnato da una lettera di invito della società ospitante. Esistono diversi tipi di visto, diversi per durata (da 1 a 12 mesi), diversi per numeri di ingressi possibili (da 1 a enne) e per durata massima del soggiorno (da 30 giorni in sù). A seconda del vostro impegno progettuale e di permanenza prevista in Cina richiedete quello che più si avvicina alle vostre esigenze, ricordando comunque che i tempi per ottenerlo sono ridotti, come pure le necessità burocratiche. A parte il visto e un controllo passaporti solo formalmente molto attento (nella sostanza molto lasco) non vi sono ulteriori formalità. A questo punto siete arrivati in Cina. Vivere e implementare il progetto in Cina Uno degli aspetti da non sottovalutare per la preparazione del proprio progetto in Cina è la lingua. In genere si pensa che un buon inglese e una discreta abitudine a viaggiare e operare all'estero possano essere sufficienti. Questo potrebbe essere un grave errore che potrebbe costarvi molto caro: infatti il cinese è una lingua, anzi una cultura, molto diversa dalla nostra, dove la scrittura e la gestualità (tipici strumenti a supporto della difficoltà della comunicazione verbale) sono molto diversi dai nostri. A ciò si aggiunge una scarsa conoscenza dell'inglese da parte dei cinesi, sia quantitativa che qualitativa: lo parlano in pochi e quei pochi lo parlano male, avendo tra l'altro una pronuncia fortemente influenzata da una madre lingua che rende spesso il loro inglese, seppur corretto, difficilmente comprensibile. Nei centri maggiormente sviluppati e/o da più anni in contatto con il mondo business occidentale (Pechino e Shanghai soprattutto) questo problema è meno sentito, ma spesso le aziende che stanno investendo in Cina in quest'ultimo periodo trovano maggiori incentivi e convenienza a investire nei nuovi distretti industriali che si stanno sviluppando. Per evitare problemi la soluzione è molto semplice: dotatevi di un interprete che parli bene il cinese, meglio se occidentale con conoscenza della cultura cinese e delle abitudini del luogo. Questo vi semplificherà molto la vita, sia in termini progettuali sia in termini pratici di vita quotidiana nel corso del progetto stesso, quando anche prendere un taxi può diventare un'impresa ardua. La Cina in pillole - Popolazione: compresi i 22,2 milioni di residenti a Taiwan, a fine 2003 la Cina aveva una popolazione di oltre 1,295 miliardi di abitanti, su una superficie di 9,6 milioni di km quadrati. - PIL, prezzi e occupazione: malgrado la Sars e numerose, ricorrenti calamità naturali, nel 2003 la Cina ha visto crescere il proprio PIL del 9,1%, 1,1 punti percentuali più dell'anno precedente. I prezzi al consumo sono cresciuti soltanto dell'1,2% rispetto all'anno precedente. A fine del 2003 il numero totale degli occupati era pari a 774 milioni (6 milioni in più rispetto al 2002), di cui 256 milioni nelle aree urbane. Nel corso del 2003 circa 4,4 milioni di addetti, in uscita dalle aziende di stato, sono stati riassorbiti in altre attività economiche non statali. Per il 2004 gli organismi governativi prevedono una crescita del PIL intorno all'8,5%, con una particolare accentuazione nel settore manifatturiero. - Industria e ICT: il totale del valore della produzione nel settore industriale è stato nel 2003 di circa 645,93 miliardi di dollari USA, con una crescita del 12,6% rispetto all'anno precedente. Per quanto riguarda i settori merceologici una crescita di riguardo - circa il 20% - è stata registrata dai settori high tech con particolari punte, illustra un documento dell'ICE (Istituto per il Commercio Estero) "nel settore informatica e relativi comparti, dove il tasso di crescita ha fatto registrare tassi variabili tra il 25 e il 120%". Rispetto all'anno precedente nel 2003 i servizi di telecomunicazioni sono cresciuti del 29%; si sono avuti 40 milioni di nuovi abbonati al servizio telefonico mentre gli utilizzatori di telefoni cellulari sono arrivati a 268 milioni, con una crescita nell'ultimo anno del 63%. - Investimenti e presenza italiana: nel 2003 (periodo gennaio-settembre) l'Italia è risultata al 18° posto per volume di investimenti in Cina (230 milioni di dollari USA), il 5° tra i Paesi europei. Le aziende italiane operanti in Cina con una presenza diretta sono circa 500; è in forte sviluppo la presenza di banche, società di spedizione, studi legali e di consulenza, generalmente concentrate nelle zone di Pechino e Shanghai. I principali settori di destinazione degli investimenti italiani sono stati fino ad oggi l'automobilistico, il tessile abbigliamento, il meccanico, il chimico-farmaceutico e quello dei servizi. (Numeri e informazioni tratte da un documento dell'Ufficio di Pechino dell'ICE - Istituto per il Commercio Estero)
  • 11. Pagina 11 di 3 Meglio ancora poi se una figura di tal genere può essere integrata nella vita quotidiana dell'azienda e/o del progetto, permettendo di sommare conoscenza linguistica e culturale del luogo allo slang tipico del vostro settore industriale, agevolando così la comunicazione e l'integrazione anche nei colloqui 'tecnici' e progettuali. Una volta arrivati in Cina, prima ancora di poter affrontare i problemi tecnici e organizzativi del vostro progetto IT, dovrete sicuramente fare i conti con l’organizzazione della vostra logistica A seconda di dove siete localizzati avrete più o meno opportunità di trovarvi di fronte ad ambienti maggiormente capaci di accogliervi. In particolare ci sono aree, come Shangai, Pechino, lo Guan Tsu, dove sono da anni presenti le localizzazioni di siti industriali e di servizi di aziende ed enti occidentali. Tali siti sono in generale capaci di offrire infrastrutture di accoglienza, servizi e ogni aspetto della vita sociale in linea con le aspettative, almeno quelle di base, della cultura e delle abitudini occidentali. Inoltre in queste aree è abbastanza semplice reperire tutto ciò che può servire, dai generi di prima necessità agli alimenti, dagli alberghi con standard occidentali ai ristoranti internazionali, dai fornitori di hardware e servizi a risorse umane adeguatamente preparate. Se al contrario la vostra azienda è localizzata in un’area di recente sviluppo, i problemi da affrontare potranno essere maggiori. In tali aree, quelle generalmente più lontane dalla costa, non solo il tenore di vita è molto diverso da quello occidentale, ma la difficoltà di integrazione aumenta e i servizi disponibili, compresa la qualità dei fornitori e delle risorse umane, e la loro capacità di integrarsi, si riducono drasticamente. In questo caso, visto che tale localizzazione sarà sicuramente stata incoraggiata da incentivi estremamente accattivanti, l’unica cosa che potrete fare sarà accettare un piano temporale più lungo, capace di crescere con tempi necessariamente più estesi. Nelle aree più arretrate inoltre sarete obbligati a una maggior integrazione con gli stili e i modelli di vita cinesi, e la possibilità di avere contatti con la comunità occidentale sarà molto limitata. Questo aspetto si riflette anche sulle infrastrutture logistiche e di servizio che nelle aree di nuovo insediamento lasciano ancora molto a desiderare. Primo approccio con la popolazione Girando per la Cina e soprattutto nei luoghi maggiormente orientati al turismo, cosa che vi capiterà spesso nel vostro soggiorno, soprattutto per ‘riempire’ i vostri week-end, potrete visitare molti musei che raccontano gli splendori dei secoli passati. È sorprendente vedere come centinaia di anni prima che la cultura occidentale si sviluppasse, i cinesi fossero un popolo florido, pieno di risorse e di iniziativa e capace di opere artistiche e ingegneristiche di assoluto livello. Una realtà che fa un po’ a pugni con la situazione di oggi: capirete subito che la Cina di oggi è un Paese di enormi numeri, ma fatta di persone che hanno smarrito la capacità di agire con intraprendenza e con iniziativa propria. Se da una parte si nota come in questo Paese le persone lavorano 24 ore su 24 e il paesaggio cambia da un giorno all’altro, tutto questo attivismo e dinamismo riguarda però una limitatissima parte della popolazione; gran parte della quale - pensiamo per esempio alla generazione cresciuta e formatasi durante gli anni più duri del regime comunista - ha Gruppo Faber Nata cinquant'anni fa a Fabriano (Ancona), è l'azienda che ha inventato e prodotto le prime cappe da cucina. Oggi produce 2,7 milioni di pezzi all'anno, l'80% destinati all'export, occupa 1.300 addetti e ha sede in 13 Paesi nel mondo, compresa quella di Shangai in Cina. Lo scorso anno il fatturato ha raggiunto i 190 milioni di euro (+6% rispetto all'anno prima ), con una quota del 50% del mercato mondiale delle cappe. Lo scorso agosto il 49% del capitale è stato rilevato dalla svizzera Francke, ma la famiglia Galassi che la fondò ne mantiene ancora il controllo insieme ad altri soci storici.
  • 12. Pagina 12 di 3 sviluppato grandi capacità di ubbidienza ed esecuzione ma scarsissime capacità di autorevolezza personale, intraprendenza e iniziativa. Questo, come potremo evidenziare successivamente, si riflette poi nella qualità e nelle caratteristiche di una gran parte delle persone che vedrete coinvolte in ambito lavorativo. I numeri della Cina 1,3 miliardi di persone popolano la Cina, e solo il 20% di questa enorme popolazione è coinvolta nella esuberante crescita economica cinese. Molti vivono ancora in aree non influenzate dal boom economico, che ha riguardato soprattutto la costa orientale del Paese. Inoltre anche quel 20% è concentrato in pochi distretti congestionati in modo impressionante: in città come Pechino o Shangai si trovano dai 17 ai 20 milioni di abitanti. È chiaro che per gestire e convivere con questi numeri impressionanti l’organizzazione della società cinese risulta molto evoluta. Vi suggerisco nel vostro soggiorno in Cina di non farvi mancare i mezzi di trasporto pubblici (treni, bus, aerei, ecc). Capirete come la puntualità e l’organizzazione di tali servizi siano fondamentali, anzi vitali, per gestire un volume di popolazione che, se non perfettamente organizzato e canalizzato, creerebbe problemi di ordine pubblico, igienico, e altro ancora, di enorme gravità. Girando per le città cinesi vi accorgerete subito che tutti, ma proprio tutti, sono impegnati in attività lavorative. Per raggiungere tale livello di occupazione le attività sono strutturate secondo un incredibile livello di specializzazione. Se i Paesi occidentali sono sempre più ossessionati dall’efficienza, dall’integrazione e dalla flessibilità delle persone e delle società, in Cina la specializzazione e la gerarchia sono alla base della cultura di questo popolo e una delle ricette vincenti per garantire una occupazione (sia pure di basso livello e remunerazione) a tutti. Questo concetto lo riprenderemo più avanti in quanto tale approccio alla vita, ormai parte integrante della cultura cinese, ha un impatto incredibile nell’ambito della gestione e dell’organizzazione aziendale e soprattutto nell’implementazione di un sistema informativo integrato come SAP. Alla ricerca degli strumenti Anche in Cina, alla base di un qualsiasi progetto IT ci sono quattro elementi: infrastruttura e connettività, hardware, software e risorse umane. Appena messo piede in Cina vi domanderete come approvvigionarvi di questi quattro fondamentali elementi. Andiamo con ordine. Per quanto riguarda le infrastrutture e in particolare la connettività, è chiaro che, come in tutti gli altri aspetti della vita sociale cinese, la situazione è molto differente se parliamo di centri come Shangai e Pechino oppure di aree meno evolute e periferiche. Nei centri principali le infrastrutture sono al livello dei più evoluti centri economici occidentali e non ci sono problemi di reperibilità delle risorse. Anche le infrastrutture di comunicazione (telefoni fissi, cellulari, ecc) sono di livello paragonabile a quelli occidentali. Quello che impressiona ancora è l’elevato livello di costi per l’accesso a tali infrastrutture, paragonabile a quelli di casa nostra dei primi anni novanta. Per fare un esempio, il roaming in Cina ha dei costi che possono raggiungere i 3-4 euro al minuto, mentre una linea HDSL da 10MB senza alcuna banda minima garantita costa dai 100 ai 200 euro al mese, che crescono molto rapidamente quando sale il livello del servizio e/o di comunicazioni dedicate. Nei centri meno evoluti e più periferici il livello di costo è simile (anche perché non esiste una particolare pluralità di fornitori e servizi), anche se i servizi sono inferiori e hanno una minore copertura, con in più tempi di attivazione spesso molto lunghi. I cinesi, della parte più evoluta del Paese, utilizzano con grande intensità Internet, sono dei grandi navigatori e utilizzano la Rete per gestire molti aspetti della loro vita quotidiana. Ma questo non corrisponde a un’efficiente infrastruttura per le grandi aziende e per chi utilizza la Rete per il traffico business. Per le aziende le offerte di banda garantita sono poche e molto care, mentre l’utilizzo della rete per la creazione di VPN e di comunicazione dati-voce VOIP con la Cina soffre chiaramente di colli di bottiglia e picchi di traffico.
  • 13. Pagina 13 di 3 Come vedremo più avanti, nella nostra esperienza una linea HDSL da 10 MB senza alcuna banda minima garantita supporta (con l’ausilio di software e di scelte che puntano a una grande efficienza di consumo di banda) una decina di utenti SAP, tutti i servizi di posta elettronica (il server di posta attualmente è centralizzato in Italia) alcune sessioni di VoIP (quasi mai contemporanee) e il traffico Internet locale. A parte i momenti di picco, le risultanze non sono eccezionali ma accettabili. Per pensare a bande maggiori si deve essere disposti a spendere e ad assorbire costi sicuramente maggiori e molto elevati. Considerato il fuso orario e la disponibilità dei servizi relativi, può essere molto più conveniente fare ospitare il server in Cina o direttamente presso la propria consociata (con la possibilità di assisterlo con personale proprio e/o esterno se ve ne è la disponibilità) oppure farlo ‘ospitare’ in un data center locale, sfruttando la VPN Internet per il canale dall’Italia che verrebbe utilizzato per la gestione e la manutenzione. Da un punto di vista legislativo dovrebbe essere vietato in Cina il passaggio sulla rete pubblica di traffico che non sia in chiaro. In realtà nessun rilievo ci è mai stato fatto e nella normalità dei casi abbiamo visto l’esistenza di traffico criptato come pratica comune. Quindi... Hardware e software, tra Cina ed Europa Se parliamo di hardware il problema veramente non si pone. E, eccezione fatta per gli eventuali problemi logistici nel far pervenire la merce, la disponibilità di hardware delle principali aziende produttrici risulta ampia e qualitativamente allineata al mercato occidentale. Avendo tutti i maggiori costruttori fabbriche in Cina, i tempi di consegna sono sicuramente al livello dei nostri o migliori. Per quanto riguarda i costi, il costo della tecnologia in Cina è allineato al costo in Europa. Chiaramente, considerando il costo della vita in Cina, questo costo può essere considerato localmente molto elevato, ma per chi definisce i budget a livello centrale, come nel nostro caso, il fatto di avere una parità tra costi di hardware non rappresenta certo un vantaggio ma sicuramente una semplificazione. Anche per quanto riguarda il software la disponibilità è ampia e allineata ai nostri standard. Se parliamo di software di base, sistemi operativi e di produttività individuale, sono molto diffusi le piattaforme Microsoft, anche perché è abbastanza semplice recuperare conoscenze e risorse capaci di gestire tali tecnologie. Meno diffuse per la stessa ragione piattaforme quali Unix, e Linux anche se si stanno affermando con tassi di sviluppo, se non maggiori, sicuramente analoghi a quelli del nostro mercato. L’assistenza in questo ambito lascia un po’ a desiderare, ma si deve considerare che, come molto spesso capita anche in altri ambiti, la presenza di software non licenziato e quindi privo della possibilità di essere mantenuto e aggiornato con continuità ne è sicuramente una delle cause principali (oltre comunque alla scarsezza di risorse con competenze medio-alte). Se invece parliamo di software applicativo la situazione risulta un po’ più complessa. Pochi i produttori locali di software applicativo e tutti concentrati nei centri principali del business. La gran parte dell’offerta risulta di derivazione occidentale, soprattutto anglosassone, ma con
  • 14. Pagina 14 di 3 presenza, nei distretti, di software verticale di provenienza dei Paesi esportatori di tale tecnologia. Tutti i software forniscono una localizzazione per l’area amministrativo-fiscale, che in Cina è molto particolare e ultimamente è stata anche rivista e inasprita. Per quanto riguarda i principali processi logistico-produttivi la Cina non rappresenta particolari specificità. Infatti i modelli organizzativi sia logistici che produttivi sono normalmente di derivazione occidentale ed esportati tout court dall’esperienza della casa madre. Anche il modello commerciale non risulta particolarmente differente. Questo è l’aspetto che ha contribuito alla diffusione di software pacchettizzato occidentale, del tutto analogo (se non per la disponibilità della lingua cinese) ad analoghi prodotti disponibili sul nostro mercato. Come prezzo tali pacchetti gestionali sono paragonabili agli analoghi europei, forse un 20-30% mediamente più cari; va aggiunto però un costo per la consulenza, l’installazione e la personalizzazione che è sicuramente più elevato (qui siamo a un profilo di prezzi paragonabile ai prezzi del mercato nei primi anni 2000). La ragione è certo dovuta alla forte richiesta del mercato e a una disponibilità soprattutto di risorse consulenziali che ancora scarseggia. C’è tuttavia buona disponibilità di competenze consulenziali per i principali software ERP. Anche se in questo caso il problema dell’acquisizione non sussiste (normalmente possono essere acquisite licenze corporate), è interessante sapere che tutti i principali player (nel mio caso specifico SAP) hanno una versione localizzata per il mercato cinese, quindi in lingua e con caratteri cinesi sia tradizionali che semplificati, e dispongono di una rete di partner sufficientemente sviluppata (come sempre, soprattutto nelle aree a maggior sviluppo). La tipologia dei player è molto varia: dai grandi management consultant e system integrator ‘alla Accenture’ fino alle sedi di system integrator (soprattutto tedeschi e francesi) al seguito delle multinazionali localizzate in quel territorio. Le risorse umane Per quanto riguarda le risorse umane la tematica è ampia e complessa. Inutile dire che anche qui come in tutti gli altri casi, la disponibilità di risorse qualificate (sia in termini di consulenti che in termini di potenziali dipendenti) è sicuramente maggiore nelle aree più sviluppate. Tuttavia in questo caso anche nelle aree più periferiche la situazione si presenta migliore che su altri aspetti. Qui è utile fare alcune precisazioni. Innanzitutto la popolazione cinese è molto giovane e il sistema scolastico-universitario qui funziona abbastanza bene, soprattutto nelle aree sviluppate e in quelle che storicamente sono sedi di atenei importanti. Quindi l’offerta è ampia, anche se la domanda è sostenuta, soprattutto per le figure di livello medio e medio-alto e specializzate. Quello che sta accadendo è una veloce saturazione delle disponibilità e un, seppur iniziale, ‘riscaldamento’ delle retribuzioni, che cominciano a salire. Infatti se la retribuzione mensile media di un operaio non supera l’equivalente di 80-100 euro e per un impiegato supera con difficoltà i 150 euro (un buon livello retributivo, da queste parti), i laureati e specializzati in ICT con una minima esperienza vedono arrivare le loro retribuzioni anche a 250-300 euro al mese e soprattutto vengono richiesti ogni giorno di più. Si tratta di risorse ben preparate da un punto di vista scolastico, che conoscono normalmente la lingua inglese ed hanno delle buone basi teoriche. Spesso manca invece l’esperienza pratica e la familiarità con i problemi del giorno per giorno, rapidamente recuperabili però, soprattutto se nei primi mesi di progetto queste persone vengono affiancate da personale specializzato dell’azienda. Il problema dell’approccio culturale al lavoro Ma il vero problema sta nell’approccio culturale al lavoro. I lavoratori, anche giovani, tendono a non avere una grande capacità organizzativa e denotano una totale assenza di iniziativa personale e capacità di gestione della responsabilità. Sono persone abituate ad avere compiti molto specifici, a rispondere con puntualità alle richieste dei superiori e normalmente poco avvezze all’autorevolezza. Valutano come grandemente importante la gerarchia e puntano
  • 15. Pagina 15 di 3 moltissimo sulla specializzazione dell’attività, cosa che fa a pugni con i concetti di ottimizzazione e di delega. Impossibile pensare di cambiare una mentalità e un approccio che si sono sedimentati nel corso dei secoli e che ormai connotano culturalmente questo popolo. L’esasperata attenzione all’ordine e alla gerarchia va però anche considerata un fattore positivo e vitale che può portare, lavorando con molta pazienza, a fare crescere queste risorse in un giusto mix tra responsabilità e intraprendenza, precisione e rispetto delle regole. Dopo la necessaria presa di contatto con la realtà cinese, è il momento di contattare un partner di servizi e di realizzare praticamente il progetto In Cina la presenza di soluzioni applicative è completa, anche se escludo a priori tra le possibili scelte i software locali in sola lingua cinese, cosa frequente da trovare ma di difficile, se non impossibile, gestione da parte di direzioni IT di gruppo. Ampia è la scelta di soluzioni localizzate di chiara connotazione anglossassone (per lo più americana) oppure europea. In alternativa esiste una buona localizzazione e disponibilità di risorse sui principali ERP internazionali, SAP principalmente ma anche Oracle, PeopleSoft e Microsoft. La scelta, in questo caso, dipende molto dalla strategia implementata a livello di headquarter, che di fatto si riflette sulle scelte locali. Per chi, come il mio gruppo, ha in questi anni investito per costruire un modello organizzativo e informativo di gruppo che possa essere esteso a tutte le consociate, è naturale fornire continuità a tale scelta (costruita attraverso una attenta implementazione delle funzionalità standard e delle personalizzazioni) ed estenderlo a ciascuna consociata. A maggior ragione se nel Paese in questione sono disponibili localizzazioni e risorse competenti (e questo è il caso della Cina). Diverso può essere il discorso nel caso che l’azienda abbia scelto soluzioni locali per le proprie consociate e ricerchi nella soluzione locale maggior facilità e minori rischi di implementazione, per prevedere successivamente un’integrazione a livello di reporting e di gestione consolidata. Come organizzare il progetto Molto spesso tali alternative si differenziano sulla base del costo della soluzione e della disponibilità di risorse, tuttavia nel caso della Cina ritengo che la scelta dipenda esclusivamente dalla strategia del gruppo, visto che sia nell’un che nell’altro non esistono differenze rilevanti. Il Gruppo Faber ha scelto di perseguire la propria strategia di integrazione implementando la propria verticalizzazione SAP di gruppo in tutte le consociate, Cina compresa. All’atto pratico, già nella prima implementazione, quella che ha riguardato la capogruppo, si sono dovuti adottare alcuni atteggiamenti, approcci e decisioni. In particolare si sposta grande l’attenzione a mantenere standard la propria implementazione e a isolare le personalizzazioni, in particolare differenziando quelle specifiche per Paese (in questo caso l’Italia) e quelle pensate per essere estese a livello di gruppo. Altrettanta importanza è stata dedicata alla creazione di un gruppo di lavoro interno capace di appropriarsi delle competenze (sia tecniche che applicative) e in grado di fare da valido supporto interno alla gestione e alla implementazione. Tra l’altro tanto più tale gruppo ha competenza sul core
  • 16. Pagina 16 di 3 business aziendale e sui suoi processi critici, tanto migliore e più coordinata sarà l’implementazione dell’ERP nelle diverse consociate. Il team di progetto Un buon gruppo di progetto (sia funzionale che tecnico) interno all’azienda e consolidato nel corso della prima implementazione farà da trait d’union tra fornitori, SAP e consociata, e garantirà la giusta integrazione e la buona conclusione del progetto. Il team di progetto deve prevedere un project sponsor, in generale il managing director della consociata o, come nel nostro caso, il CEO di gruppo, e un gruppo di progetto abbastanza leggero formato sia da persone della capogruppo che da risorse locali cinesi. In particolare se, come nel nostro caso, la Cina ha rappresentato il primo reale rollout internazionale di SAP, sia per evitare sorprese che per accrescere anche a livello direzionale la nostra esperienza, il CIO ha coordinato direttamente tutte le attività di impostazione, definendo il macro piano di progetto, presenziando in loco a tutte le attività di definizione organizzative e di contatto con i principali utenti e fornitori locali, e comunque garantendo il project management. In tale gruppo di lavoro devono coordinarsi sia figure applicativo-funzionale di alto livello interne all’azienda che almeno una figura tecnico-sistemistica (anche questa interna). Tali figure agiscono sia a livello locale (Cina) che remotamente durante tutta la fase di implementazione, al fine di coordinare tutte le fasi importanti dell’implementazione (in particolare la parte organizzativa e di formazione, considerato quanto detto nelle due puntate precedenti). Risorse competenti o outsourcing Per quanto riguarda la parte sistemistica la presenza di una figura di riferimento della capogruppo è indispensabile per adeguare l’architettura cinese agli standard necessari per garantire un buon funzionamento del progetto anche a livello sistemistico. Nel nostro caso, inoltre, avendo da sempre deciso di erogare servizi informativi remoti attraverso tecnologia terminal server, tale ruolo è apparso ancora più delicato. Da un punto di vista tecnico- sistemistico va aggiunta una maggior necessità di coordinarsi con fornitori locali sia per l’infrastruttura e la sua gestione che per le comunicazioni. Nella nostra esperienza la decisione se localizzare il server cinese in Cina o mantenere una centralizzazione dei server delle consociate presso il nostro data center di Fabriano è stata differita fino a dopo il go-live. Nel frattempo abbiamo messo a punto una soluzione capace di supportare il carico di uno sviluppo di progetto e go-live di circa una quindicina di utenti e di fornire il tempo necessario alla implementazione della soluzione finale a dopo il go-live. Fondamentale infine per la buona riuscita del progetto è l’individuazione e la formazione di una risorsa interna locale che faccia da coordinatore sia per gli aspetti tecnici che per quelli funzionali e che, durante il day-by-day, diventi un coordinatore dei key users locali. Come detto, a seconda della zona della Cina in cui si è localizzati, può essere più o meno facile trovare una risorsa già formata o con le competenze necessarie, tuttavia non ritengo possa esservi alternativa. La mancanza di tale risorsa può, a medio termine, mettere a rischio l’implementazione. Una valida alternativa (non certo per la fase implementativa, ma casomai per quella di mantenimento) può essere individuata nell’outsourcing di alcune competenze, preferibilmente quelle tecnico-sistemistiche, ma nel caso anche applicative. Molto può dipendere dalla localizzazione dell’implementazione e quindi dalla disponibilità di risorse competenti. Le linee di comunicazione Coordinare un progetto di tal genere chiaramente deve prevedere una presenza continua e periodica in Cina del team italiano, sia al fine di garantire la formazione, la crescita e il coordinamento delle persone e dei fornitori locali, sia per dar modo al team di lavoro di fare esperienza diretta dell’ambiente locale e di poter quindi meglio gestire le relazioni e le decisioni una volta rientrato in Italia. Inoltre molta attenzione va dedicata agli strumenti di
  • 17. Pagina 17 di 3 comunicazione che sono necessari al fine di mantenere un costante coordinamento tra il gruppo di progetto italiano e quello cinese. In questo senso alcuni componenti fondamentali sono spazi di lavoro virtuali comuni, facilità di comunicazione verbale (VoIP, chat) e documentale (mail, FTP, etc) a basso costo, viste le alte tariffe telefoniche tra Italia e Cina. La tecnologia e l’architettura terminal server da noi utilizzate hanno certamente fornito una ulteriore modalità di supporto remoto e di controllo da parte del team di specialisti italiano, anche perché ha reso possibile accompagnare l’attività degli utenti anche via remoto, sia condividendo i risultati del loro lavoro che supportandoli attraverso l’utilizzo di funzionalità shadow (controllo del terminale dell’utente in remoto). Partner locale e interpreti Chiaramente il nostro team di progetto è stato affiancato e supportato per tutte le fasi progettuali da parte degli specialisti del system integrator che ci ha assistito durante l’implementazione italiana. Tuttavia sia per motivi di costo, sia perché abbiamo ritenuto fondamentale consolidare le competenza all’interno dell’azienda (per i successivi roll-out), questi ultimi non sono mai intervenuti in prima linea presso la nostra consociata cinese, e come nel caso delle attività di localizzazione della parte contabile-amministrativa-fiscale hanno agito di supporto al partner locale. Partner locale che è stato individuato attraverso una analisi incrociata su internet, referenze da SAP e da altre aziende localizzate in Cina, incontri e visite dirette sul campo, e chiaramente ha richiesto un pizzico di intuito e di fortuna. Una componente fondamentale all’interno del team è poi quella dall’interprete, di volta in volta una persona tendenzialmente italiana ma talvolta anche cinese, che conosce bene la lingua e mette in condizione di capirsi senza pericolosi fraintendimenti sia tra colleghi che con i fornitori. Le insidie di un progetto ‘remoto’ Implementare un progetto SAP in una consociata e in un Paese così remoto non è semplice e nasconde molte insidie. Eccone alcune, tanto per dare una prima idea: il viaggio, l’essere soli dovendosi arrangiare, la lingua e la cultura completamente diversi, l’ostilità di chi deve cambiare e chiaramente oppone una naturale resistenza e infine aspetti ambientali contingenti quali la recente epidemia di SARS e il clima estremamente rigido e continentale. Inoltre i tempi di permanenza in Cina, sia per la distanza che per la natura stessa del progetto, non possono essere particolarmente brevi, e quindi a tutto ciò si deve aggiungere la disponibilità a soggiorni di media durata. Poi ci sono tutti gli aspetti riguardanti il personale sia tecnico che utente coinvolto localmente presso la consociata. In particolare per questi ultimi, anche se tutte le componenti logistiche non devono essere considerate, sussistono (e secondo la mia esperienza sono ulteriormente presenti) problemi e resistenze al cambiamento, e anche problemi di cultura operativa e aziendale che spesso contrastano in modo stridente con le regole e i processi base di un sistema ERP integrato. Strumenti di motivazione Per tutti abbiamo utilizzato tre diverse tipologie di strumenti motivazionali nelle tre fasi principali del progetto (prima, durante e dopo): prima abbiamo pensato a dotare le persone coinvolte di strumenti pratici e teorici (la lingua inglese, letture e corsi di metodologia motivazionale, di supporto al cambiamento e pensiero laterale, e infine specifiche della tecnologia SAP). Durante lo svolgimento del progetto abbiamo puntato sulla presenza e il commitment dell’alta direzione e di tutto il management, sulla costruzione di momenti culturali e di svago durante i lunghi tempi di permanenza in Cina, e siamo stati attenti a supportare localmente il team di progetto con tutti gli strumenti necessari. Infine, nel ‘dopo-progetto’, abbiamo cercato di premiare i risultati sia in termini di crescita professionale che in termini di premio e incentivazione economica.
  • 18. Pagina 18 di 3 Fondamentale in tutto questo, comunque, è cercare di descrivere e individuare gli obiettivi minimi del progetto e analizzarli al fine di rendere più oggettiva possibile qualsiasi valutazione, garantendo così un pieno supporto di tutto il team nella direzione voluta dall’azienda. (fine) SSeerrvviizzii ooffffsshhoorree,, ii pprroobblleemmii pprriimmaa ddeell bboooomm Al fenomeno dello spostamento a oriente dei servizi IT i governi occidentali, pressati da esigenze interne, potrebbero rispondere con il protezionismo di Ornella Fusina Per mesi abbiamo sentito parlare dell'offshore come una delle nicchie più promettenti del mercato dei servizi IT per il prossimo futuro, e come una strategia irrinunciabile per le aziende in cerca di efficienza, con un'offerta in procinto di 'arrivare' anche in Italia. Ora rischiamo di non poter fare la conoscenza di questa alternativa economica e di qualità ai servizi di outsourcing e di sviluppo del software dei vendor tradizionali, locali e internazionali. L'industria offshore sembra infatti entrata in crisi prima del boom o, come dice qualche analista, di diventare vecchia senza essere diventata matura. Il termine offshore indica genericamente tutti i servizi, non esclusivamente IT ma anche di consulenza, per esempio medica o nel campo del diritto del lavoro, e di gestione di operazioni di back-end, erogati da società geograficamente remote, indiane in primis. "Il bello dell'offshore - citiamo un analista di Gartner - è che permette alle aziende di accedere a personale di alta qualità professionale a costi più bassi di quelli normali e di disporre di un supporto 24x7, e quindi di continuare ad aumentare i livelli di servizio mantenendo buoni margini". Non più tardi di qualche mese fa, Gartner stimava che quest'anno il mercato mondiale dei servizi di outsourcing offshore sarebbe cresciuto di oltre il 40% e che entro il prossimo anno il 75% delle grandi e medie imprese europee avrebbe preso in considerazione i servizi di outsourcing offshore. La fiorente industria indiana di software e servizi detiene il 90% del mercato offshore, e si è guadagnata negli ultimi anni il favore delle maggiori imprese finanziarie nordamericane: una stima parla di 417 milioni di dollari spesi dai soli broker nel 2002, destinati a diventare 1,3 miliardi nel 2005, e di 1.100 addetti IT sostituiti con specialisti offshore destinati a triplicare tra due anni; le banche americane dal canto loro avrebbero risparmiato fino a oggi qualcosa come sette miliardi di dollari grazie all'outsourcing offshore. In Europa, il Paese che fa il maggior uso di servizi offshore, e dove i fornitori indiani in genere aprono la loro prima sede, è la Gran Bretagna per via delle relazioni storiche e per il vantaggio linguistico, ma anche perché qui i modelli di acquisto sono più maturi e la normativa sul trasferimento di lavoro meno restrittiva che in altri Paesi europei. Grazie a crescite del 60%, nel giro di pochi anni Infosys Technologies, la numero uno dell'industria del software indiana, ha raggiunto nell'ultimo anno un giro d'affari di 753 milioni di dollari (+38% sull'anno precedente), con un utile netto di 195 milioni, e un organico di oltre 1.500 addetti. Nonostante la forte crescita, nell'ultimo anno i suoi margini si sono però notevolmente ridotti, in parte a causa della pressione sui prezzi innescata dal rallentamento della spesa IT (la tariffa oraria in media è scesa da 40 a 35 dollari), in parte per l'inasprirsi della concorrenza su tre fronti: gli altri fornitori di servizi indiani, quelli degli altri Paesi in via di sviluppo - in particolare Russia e Cina - e le multinazionali del software e dei servizi, da SAP a IBM, da Microsoft a Sun, da Accenture a Cap Gemini Ernst & Young.
  • 19. Pagina 19 di 3 Questi ultimi hanno infatti reagito alla perdita di margini degli ultimi trimestri potenziando le loro infrastrutture in India e in Cina, per ridurre i costi di sviluppo o di supporto tecnico - non sempre riversando sui clienti i benefici finanziari del minore costo del lavoro, fa notare qualche analista. Capendo che il business model originale basato su risorse di sviluppo a basso costo non è più sostenibile, per distanziarsi dai concorrenti Infosys ha cominciato a passare al più costoso modello misto 'onsite- offshore', sviluppando l'offerta di business process outsourcing (BPO), fornendo servizi di fatturazione e contabilità, utilizzando le tecnologie più moderne, tra cui Microsoft .Net. E allo stesso tempo tagliando i costi generali, benché il suo modello di staffing just-in-time permetta di mantenere sempre impiegato almeno l'80% del personale. Intanto Wipro di Bangalore, l'altro leader del software indiano, ha preannunciato un fatturato in crescita di appena il 4% per questo trimestre e sta per comprare per meno di 20 milioni di dollari quel che resta dell'americana NerveWire. È questa una società di consulenza che ha fatto fortuna per qualche anno negli ambienti della finanza nordamericana (con clienti del calibro di Merrill Lynch) e che ora Infosys intende sfruttare per competere nei progetti strategici a elevati margini e per guadagnare una presenza onshore e procurarsi competenze consulenziali. È quello che gli analisti chiamano processo di obsolescenza dell'offshore: società di offshore che, acquisendo nel depresso mercato nordamericano dei servizi IT strutture e risorse a prezzi di saldo, adottano un modello ibrido onsite-offshore oppure onsite-onshore-offshore, mettendosi in aperta concorrenza con Accenture, IBM e Cap Gemini Ernst & Young. E in effetti già oggi il 40% del fatturato delle esportazioni di software e servizi IT dell'India (9,9 miliardi di dollari allo scorso marzo) proviene da attività svolte presso le sedi dei clienti. Lo spettro del protezionismo Ma quello che rischia di gettare improvvisamente in crisi l'industria offshore indiana è qualcosa forse di più imprevedibile: una sorta di barriera protezionistica che le autorità di governo americane e alcuni gruppi d'interesse europei stanno valutando di creare contro la migrazione all'estero di posti di lavoro eliminati nei confini nazionali dalle aziende IT e di addetti IT delle aziende in genere. I Parlamenti di diversi Stati USA stanno discutendo leggi che limitano la possibilità di ricorrere all'outsourcing offshore per gli enti pubblici, mentre in Francia un'associazione di consulenti IT (MUNCI) accusa il governo di favorire e addirittura finanziare l'outsourcing offshore per lo sviluppo software, e chiede quantomeno che la Pubblica Amministrazione acquisti quello di 'produzione nazionale'. A preoccupare invece un'organizzazione di professionisti inglesi (PCG, Professional Contractor Group) è l'abuso dei permessi di lavoro da parte sia dei service provider inglesi sia di quelli offshore che operano in UK: istituiti per soddisfare un deficit di offerta del lavoro, questi permessi vengono utilizzati per 'importare' skill IT a basso costo, dice il PCG. In Germania i permessi di soggiorno per i tecnici stranieri istituiti tre anni fa saranno sostituiti da una Istruzioni per una strategia offshore Per minimizzare i rischi di una 'strategia offshore' Gartner consiglia di procedere per passi, tre esattamente: 1) Scegliere il Paese. Oltre alle affinità linguistiche e culturali, devono essere valutati il supporto dato dal governo all'industria offshore, la stabilità politica, la disponibilità di risorse competenti e di infrastrutture, in particolare quelle per la sicurezza dei dati, la protezione su Internet e la pirateria del software, nonché il numero e la qualità dei laureati che entrano nell'industria dei servizi IT. 2) Selezionare il fornitore. I criteri sono: la 'scala' delle operazioni, la gamma dei servizi, il focus geografico o di settore industriale, nonché le affinità culturali. 3) Determinare il modello di delivery più vantaggioso per il proprio business tra 'pure offshore', 'onsite- offshore' oppure 'onsite-onshore-offshore'. Il modello dell'offshore puro, tipico delle attività per l'Anno 2000, ha rivelato problemi di comunicazione e di project management, ed è stato superato dal modello 'insite-onshore', che combina supporto locale con risorse offshore. Il CIO dovrà inoltre svolgere un lavoro di pianificazione a livello del personale (per convertire gli addetti il cui lavoro viene affidato a risorse offshore), di management (per riorganizzare l'impresa in modo da gestire le differenze di fuso, di lingua e di comunicazione) e di fornitori di servizi esterni (per reazione hanno iniziato a offrire anch'essi servizi offshore).
  • 20. Pagina 20 di 3 normativa che agevola ulteriormente, con un permesso a tempo indeterminato, i lavoratori IT stranieri. Un'iniziativa che le società high-tech come Siemens e SAP appoggiano, perché farebbe sentire più a loro agio i loro dipendenti immigrati, ma che i politici conservatori contrastano per timore di aprire troppo le frontiere. A questo si aggiunge un altro problema: i clienti americani ed europei, segnatamente banche e assicurazioni, chiedono oggi servizi più sofisticati e maggiori conoscenze di business, mentre il punto di forza delle società indiane sono sempre state le competenze tecnologiche e l'utilizzo di linguaggi di sviluppo avanzati. Dalla capacità di evolvere verso questo nuovo modello di offerta più strategico e meno tattico, anche attraverso l'acquisizione di aziende di consulenza della 'old economy', può dipendere il superamento di questa fase 'adolescenziale' e quindi la maturità dell'industria offshore. NNaanniissmmoo iinndduussttrriiaallee ee nnuuoovvaa eeccoonnoommiiaa Il gap tecnologico tra Italia e i principali Paesi industrializzati: ecco come la dimensione mediamente piccola delle imprese italiane influisce sull'adozione dell'ICT di Luigi Guiso (ordinario di Economia politica all'università di Sassari, ha lavorato come economista al Servizio Studi della Banca d'Italia) Articolo pubblicato per gentile concessione del sito LaVoce.info L'economia italiana soffre di bassa crescita. Nell'ultimo decennio il nostro prodotto interno lordo è cresciuto a un tasso medio dell'1,4 per cento , contro il 2,6 del decennio precedente. A questi risultati insoddisfacenti, in parte condivisi con le principali economie europee, si è contrapposta la brillante performance dell'economia americana, tuttora migliore di quella media dell'area dell'euro. Varie ricerche empiriche indicano che negli Stati Uniti l'accelerazione della produttività, alla base della crescita sostenuta, sia in buona parte dovuta all'introduzione su vasta scala delle nuove tecnologie digitali. Tuttavia, l'interesse per quanto queste ultime possano aver contribuito a spingere lo sviluppo dell'economia americana e la sua produttività sembra al momento offuscato. Il crollo dei corsi azionari, particolarmente dei tecnologici, ha cancellato dal dibattito di politica economica l'espressione new economy. Il gap tecnologico dell'Italia Sul tema della diffusione delle tecnologie digitali in Italia è uscito in questi giorni un interessante volume che raccoglie i risultati di un vasto progetto di ricerca condotto da un gruppo di economisti della Banca d'Italia. E' "La nuova economia: i fatti dietro il mito" (Bologna, il Mulino, 2003), curato da Salvatore Rossi, il capo del Servizio studi della banca centrale. Il saggio offre l'occasione per meditare su due argomenti di rilievo per l'economia italiana e europea: a) il ruolo svolto da un comparto - quello delle nuove tecnologie - che aveva destato tanto entusiasmo e interesse solo pochi anni fa; b) gli ostacoli che si frappongono alla innovazione e alla adozione di nuove tecniche di produzione, che sono il principale veicolo della crescita di una economia. In uno dei saggi del volume, con dati campionari relativi a circa 2.400 imprese italiane per il periodo 1995-1997, viene fatta una stima del capitale digitale della nostra industria manifatturiera, impresa per impresa. Da un confronto con analoghi dati americani emerge che
  • 21. Pagina 21 di 3 nel 1997 l'accumulazione di capitale digitale nell'industria italiana era in ritardo di 7-8 anni rispetto all'industria americana. E le sue cause La semplice misurazione del gap indica l'esistenza di una impressionante incapacità dell'Italia di tenere il passo con l'innovazione tecnologica. Per capire quali possano essere le barriere e gli ostacoli alla adozione di nuove tecnologie tra le imprese italiane, nel volume si utilizza un'indagine ad hoc svolta dalla Banca d'Italia su un campione di circa 1.500 imprese manifatturiere con oltre 50 addetti, per misurare il grado di diffusione di alcune tecnologie digitali e i connessi mutamenti organizzativi. Due fattori emergono con chiarezza (si veda la tavola): - La dimensione dell'impresa è determinante sia per il "se" adottare, sia relativamente al "quanto e quando" immettere in azienda le nuove tecnologie. Più è grande l'impresa, più probabile è l'adozione e più intenso l'uso che si decide di farne. - Il livello del capitale umano disponibile in azienda influenza notevolmente il grado di digitalizzazione prescelto. Imprese con una manodopera mediamente più istruita riescono a collocarsi vicine alla frontiera tecnologica. - Una terza caratteristica, la capacità dell'impresa di portare a compimento processi di riorganizzazione interni, facilita la adozione di nuove tecnologie. Gli ostacoli alla crescita delle imprese Su questi fronti l'Italia è a mal partito. La dimensione media di impresa è una delle più piccole tra i paesi industrializzati: 4.4 addetti in media in Italia, più o meno la metà che in Germania, Francia e Regno Unito e la più bassa in Europa assieme alla Spagna. Il livello medio di istruzione dei lavoratori italiani è notoriamente più basso che negli altri Paesi. Le possibilità di riorganizzazione interna - sebbene difficili da misurare - sono probabilmente anch'esse minori che altrove, visti gli ostacoli che il forte grado di sindacalizzazione può frapporre. La minor dimensione aziendale, sfuggendo in parte alla sindacalizzazione, offre una via di fuga, ma al prezzo di una inadeguata dimensione per l'innovazione e le attività di ricerca e sviluppo. Degli ostacoli indicati, la piccola dimensione dell'impresa è probabilmente quella determinante. Imprese di maggiori dimensioni non solo riescono a innovare maggiormente e più celermente, ma hanno anche la possibilità di assorbire manodopera con livelli di istruzione più elevati. Vi è perciò da chiedersi cosa ostacola la crescita dimensionale. Non è facile dare una risposta, ma vi sono nella letteratura economica indicazioni sufficienti dei fattori - alcuni rimovibili da appropriate decisioni di policy - che ostacolano la crescita dimensionale. Tra questi in particolare: - La disponibilità di manodopera con livello di istruzione elevato incoraggia la costituzione di imprese di maggiori dimensioni perché facilita l'adozione di tecnologie più sofisticate ad alta intensità di lavoro qualificato. D'altra parte, queste tecnologie comportano a loro volta elevati costi fissi, giustificati solo da una dimensione elevata. - L'efficienza del sistema giudiziario, sia direttamente sia indirettamente, attraverso l'effetto sul grado di sviluppo finanziario, incoraggia la crescita dimensionale. Assieme alla disponibilità di adeguata protezione degli azionisti di minoranza, favorisce l'abbandono del sistema di "capitalismo famigliare". La disponibilità di fonti di finanziamento variegate e diversificate nella fase di start up dell'impresa, ma soprattutto in quella successiva, quando tende ad accrescere le sue Per saperne di più: - Luigi Guiso, Paola Sapienza e Luigi Zingales, Does Local Financial Development Matter? (http://papers.ssrn.com/abstract=308569) - Krishna Kumar, Raghuram Rajan e Luigi Zingales, Whate Determines Firm Size? (http://gsbwww.uchicago.edu/fac/luigi.zingales/resea rch/Pspapers) - Luigi Guiso, Small Business Finance in Italy - Mike Burkart, Fausto Panunzi e Andrei Shleifer, Family Firms (http://post.economics.harvard.edu/faculty/shleifer/p apers/)
  • 22. Pagina 22 di 3 dimensioni, è un fattore critico per la crescita dimensionale. L'Italia e i Paesi europei lamentano un forte gap nel grado di sviluppo finanziario rispetto agli Stati Uniti e su questo fronte parecchio può essere fatto dalla politica economica. In conclusione, vi sono condizioni "ambientali", esterne all'impresa, che ostacolano l'affermarsi di quella trasformazione profonda del sistema produttivo chiamata Nuova Economia: vanno dall'assetto istituzionale, all'ordinamento giuridico, al funzionamento dei mercati finanziari. Questi sono fronti in cui l'azione di riforma e di policy può esplicare tutti i suoi effetti. PPiiùù ssllaanncciioo aallll''iinnffoorrmmaattiiccaa ccoonn ll''aallllaarrggaammeennttoo ddeellllaa UUEE Nei dieci Stati entrati nell'Unione il mercato informatico cresce più velocemente che in quelli occidentali di Ornella Fusina Dal primo maggio 2004, sono entrati a far parte dell'Unione europea dieci Paesi dell'Europa orientale: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Cipro, Slovacchia e Slovenia. Un evento che avrà un impatto anche sulle dinamiche del mercato IT europeo. Fino a oggi, infatti, esisteva una distinzione abbastanza netta tra il mercato dell'Europa occidentale, comunemente identificata con la UE, e quello dell'Europa orientale, ora in parte assorbita nell'area euro. Il principale effetto dello spostamento del confine orientale dell'Unione è quello di inserire nel mercato IT della UE una componente che al momento si presenta ancora piccola - meno dell'8% del totale, secondo Gartner -, ma che è destinata a crescere tre volte più velocemente dell'Europa occidentale nei prossimi anni fino ad arrivare a rappresentare circa il 10% del mercato UE nel 2007. Una crescita figlia dei finanziamenti della UE e dei progetti tecnologici volti allo sviluppo economico locale. Nonostante i notevoli progressi compiuti sul piano economico negli ultimi anni, infatti, ci vorranno anni perché le economie dell'Europa dell'Est riescano a colmare il gap che li separa da quelle dei Paesi occidentali. Per accelerare questo processo la UE destinerà importanti risorse finanziarie, fino a oggi destinate prevalentemente alle regioni in via di sviluppo degli Stati membri, mentre gli investitori esteri faranno affluire altri capitali per stabilirsi in questi relativamente nuovi mercati. Questi due flussi finanziari, insieme alle politiche per l'innovazione tecnologica dei governi locali, contribuiranno a far crescere i mercati IT dei nuovi Paesi UE in misura considerevole. Senza tener conto dello spostamento di attenzione delle grandi imprese americane che già ricorrono all'offshoring dei servizi IT dall'India e dalla Cina ai Paesi dell'Est, tra cui spicca, oltre alla Russia, l'Ungheria (vedi box). Consigli per i fornitori Ai fornitori di IT che già operano nei nuovi Paesi UE Gartner consiglia di focalizzarsi sulle nicchie in cui i prodotti e i servizi possono essere veramente competitivi, anziché sulle aree in cui operano le filiali locali dei vendor internazionali. Di approfondire la conoscenza delle condizioni del mercato e le pratiche di business locali. Di sfruttare i rapporti con le comunità d'affari locali, per creare legami con i vendor internazionali più grandi che stanno cercando di consolidare o rafforzare la loro presenza su quel mercato. E anche di assicurarsi le risorse umane chiave per quando verranno meno le barriere alla libera circolazione dei lavoratori. Ai vendor che invece vogliono espandersi nei nuovi mercati UE, Gartner consiglia di localizzare le loro soluzioni e le loro politiche di concorrenza, perché, pur entrando a far parte della UE, ogni Paese manterrà delle peculiarità. Gartner consiglia anche di non focalizzarsi solo sugli obiettivi facili, come i progetti che conducono a una migliore 'corporate governance', o i progetti per le dogane, l'agricoltura e il controllo delle frontiere. E di tener presente che spesso qui mancano ancora solide infrastrutture di diritto e che allearsi con operatori pubblici e privati è il miglior modo per aiutare i clienti a utilizzare i fondi della UE.
  • 23. Pagina 23 di 3 "Le aziende utenti di IT beneficeranno direttamente e indirettamente dei finanziamenti della UE, instaurando delle relazioni con i fornitori per riceverli e riducendo, allo stesso tempo, i costi per l'acquisto di beni e servizi - afferma Andrea Di Maio, research vice president di Gartner -. Se i vendor IT non hanno ancora incominciato a chiedersi che impatto avrà questo sul loro business, è bene che lo facciano subito". Tra le diverse problematiche che la maggior parte dei dieci nuovi Paesi della UE dovrà affrontare vi è anche quella di conformarsi ai nuovi standard normativi mentre adottano i regolamenti e le direttive UE attualmente in vigore. Per il resto esistono grandi differenze tra le esigenze IT e il livello di penetrazione della tecnologia nei diversi Paesi, sottolinea Gartner, che individua in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia ed Estonia gli Stati dell'Europa dell'Est più avanzati dal punto di vista dell'infrastruttura IT e i mercati a più alto potenziale per i vendor IT. Con la differenza che, mentre l'Estonia e la Slovenia non hanno niente da invidiare, anzi forse sono anche più avanzate di molti altri Stati membri, Polonia e Ungheria hanno un certo ritardo da recuperare, pur avendo gettato le basi per sviluppare una cultura IT e una solida crescita nel breve periodo. Il software sarà probabilmente l'area a maggior crescita, perché sarà lo strumento per supportare una gestione finanziaria conforme alle regole Polonia È il più grande mercato IT dell'Europa centro-orientale dopo la Russia (3,99 miliardi di euro nel 2003, secondo le stime di IDC) e nell'ultimo anno ha registrato una crescita del 9,7%, contro il +14,3% dell'intera regione. Il mercato IT ha infatti risentito, nel 2003, oltre che del rallentamento economico, anche della drastica riduzione degli investimenti dall'estero e delle esportazioni. Ma quest'anno IDC prevede un'accelerazione della crescita tra il 13 e il 14%, grazie anche ad alcune importanti iniziative di carattere pubblico e privato dello scorso anno. Fattori di sviluppo. Tra queste iniziative spicca una legge per l'informatizzazione di una serie di enti pubblici approvata dal Parlamento lo scorso settembre, che dovrebbe migliorare la cooperazione tra i sistemi IT pubblici e il registro delle imprese e che getta le basi per le future politiche di e-government - anche se il progetto non è molto piaciuto alle autorità locali in quanto pone l'intero controllo del processo di informatizzazione nelle mani del governo. Inoltre dovrebbe diventare operativo in questi giorni un sistema IT del Ministero delle Finanze per il monitoraggio della spesa delle risorse finanziarie proveniente dalla UE. Un'altra iniziativa, questa volta di carattere privato, è il programma di cooperazione tra un gruppo di società IT polacche, l'University of Texas e l'Università di Lodz per realizzare una serie di progetti, tra cui 'un acceleratore di tecnologie moderne' a Lodz. Tra gli investimenti esteri si segnala invece l'apertura a Lodz di un centro per la contabilità finanziaria di Philips, che impiegherà 500 persone e fornirà servizi a oltre 100 strutture del colosso olandese in 20 Paesi nel mondo: un progetto il cui valore viene stimato introno ai 45 milioni di dollari. Inoltre, per la legge polacca ogni produttore di armi che firma un contratto di fornitura di armi deve compiere investimenti (detti di bilanciamento) di valore almeno pari in altre aree, tra le quali il governo mostra di privilegiare quella delle tecnologie avanzate: l'anno scorso la finlandese Patria e l'italiana Oto Melara hanno dovuto investire la prima tranche di 1,6 miliardi di euro relativa a una fornitura di corazzati per il trasporto delle truppe di 3,1 miliardi, cui dovrebbe seguire una seconda tranche di investimenti. Ostacoli allo sviluppo. Esistono alcuni fattori economico-sociali che possono frenare lo sviluppo del mercato IT: uno è la disoccupazione al 18%, un altro è la corruzione, soprattutto nella Pubblica Amministrazione - un polacco su cinque riferisce di dover pagare per permessi e concessioni un sovrapprezzo. Inoltre Lockheed non ha rispettato l'impegno di firmare 42 contratti per i cosiddetti 'investimenti di bilanciamento' come contrapartita, dovuta per legge, per una fornitura di aerei da combattimento, alcuni dei quali riguardavano i fornitori locali Prokom e ComputerLand. I maggiori player. Il numero uno dei servizi IT in Polonia nel 2002 risultava la polacca Prokom Software (142 milioni di euro), seguita da HP Poland, IBM Poland, e da un altro fornitore nazionale, ComputerLand (fonte: TOP 100 di Computerworld Polska). ComputerLand è anche il maggior fornitore di software (35 milioni di euro nel 2003), cui seguono altre due società polacche: Prokom Software (25 milioni) e Altkom Akademia. Una star. ComArch è una software house di Cracovia specializzata nei sistemi per la gestione dei servizi di telecomunicazioni e nelle applicazioni di fatturazione in tempo reale per le reti mobili, ma sviluppa anche software per la finanza e la Pubblica Amministrazione. È considerata la migliore azienda polacca e la più importante nella tecnologia avanzata. Fondata nel 2000 da un professore dell'Università di Scienze e Tecnologia di Cracovia, Janusz Filipiak, e un gruppo di ricercatori esperti di telecomunicazioni per condurre alcuni studi di fattibilità per il gestore nazionale TP, ComArch (che sta per Computer Architects) in pochi anni è diventata uno dei primi dieci fornitori del mondo di sistemi di billing. Quotata alla Borsa di Varsavia, ha aperto due anni fa sedi a Varsavia, Francoforte e Miami, e nel 2003 ha raggiunto i 65 milioni di dollari di fatturato, in crescita del 30% rispetto all'anno prima, e ha raddoppiando l'utile netto (2,3 milioni). Conta oltre mille addetti. (Ha collaborato la redazione di Computerworld Polska)
  • 24. Pagina 24 di 3 di governo dell'impresa stabilite dalla UE, e perché le aziende che già dispongono di un sistema ERP avranno bisogno di funzionalità CRM per operare in un mercato molto più vasto. Anche la spesa per l'hardware sarà più elevata nei Paesi dell'Est che nelle aree geografiche più mature: sia perché esiste qui una maggior quantità di tecnologia e sistemi legacy da sostituire, sia perché, stimolati dai fondi UE, si moltiplicheranno i progetti infrastrutturali, osserva Gartner. Un altro aspetto che contribuirà a rinforzare la domanda di hardware sarà l'aumento della spesa per le telecomunicazioni e le reti aziendali, così come lo sviluppo della larga banda per l'utenza business e consumer. Ungheria È il quarto maggiore mercato IT dell'area CEE (1,95 miliardi di euro nel 2003, +8,5% di crescita rispetto all'anno prima). Mentre la componente hardware e quella dei servizi sono risultate in forte rallentamento anche qui (+3,2% e +6% rispettivamente), quella del software si è mostrata molto dinamica (+12,5%). Quest'anno IDC prevede una crescita del 9,6%. Durante la scorsa estate il Paese ha toccato il picco di rallentamento economico determinando una crescita del PIL del 2,8%, la più bassa dal 1996 ma in linea con quella degli altri Paesi dell'Europa centrale. La bilancia commerciale e l'inflazione, comunque, risultano ancora in peggioramento. Fattori di sviluppo. Il Ministero dell'Informatica e delle Telecomunicazioni ha varato un programma di e-government volto a installare accessi Internet via VSAT negli enti pubblici, uno per promuovere l'utilizzo di software e servizi IT all'interno nella PA locale e un contratto quadro per l'acquisto di pc no-branded per oltre 11 milioni di dollari. HP ha trasferito qui la produzione dei sistemi di storage State Library, assegnandola a Flextronics, che impiega su questa linea di produzione 1.200 persone per oltre un milione di unità prodotte all'anno. Inoltre il vendor americano produce qui computer, monitor e stampanti. Ostacoli allo sviluppo. Il ministero dell'Informatica e delle Telecomunicazioni ha sottoposto a revisione alcune commesse concluse negli anni passati dall'Ufficio del Primo Ministro e risultate irregolari, mentre l'Autorità per la concorrenza ha multato alcuni gestori mobili per accordi lesivi del libero mercato. I maggiori player. KFKI CSC è il maggior fornitore di servizi IT ungherese (79 milioni di dollari nel 2003) e il secondo in assoluto, dopo HP e prima di IBM. Si tratta di un gruppo formato da diverse società che hanno attraversato tutte le fasi della privatizzazione del Paese, e che nel 1992 si sono rese indipendenti con un management buy out supportato da due fondi di investimento americani. La maggioranza del capitale di KFKI CSC è ancora oggi in mano ai cinque soci fondatori, che lavorano insieme da 30 anni. Oltre a distribuire prodotti di IBM, HP e Sun, il gruppo opera con le controllate nella system integration, nelle soluzioni ERP e nello sviluppo di applicazioni speciali, nella consulenza di business, nei servizi finanziari e nella gestione dei desktop. Per quest'anno la società prevede una crescita del 6% del mercato ungherese dell'ERP, in ragione, da un lato, della scoperta dei gestionali 'professionali' da parte delle PMI, e dall'altro per la riduzione dei prezzi che comporterà l'ingresso nella UE e il supporto finanziario del governo ungherese, che ha già stanziato 4,8 milioni di euro e altrettanti dovrebbe destinare ai progetti ERP, soprattutto a quelli più innovativi delle PMI. Mtv Informatika. Fa capo alla compagnia ferroviaria di Stato (MAV) ed è il secondo maggior player ungherese di software e servizi, con circa 20 milioni di euro di fatturato nel 2002 e 600 addetti. Specializzato in sistemi ERP - ha installato il primo R/3 su mainframe in Ungheria - offre un sistema proprietario per PMI che si interfaccia con SAP, venduto anche da SAP Ungheria, e ha implementato per la società ferroviaria uno dei maggiori sistemi finanziari basati su Oracle. Offre anche servizi di outsourcing e ASP (con il marchio registrato IT Utilities) anche nei sistemi di logistica. Synergon. È stata la prima società IT a quotarsi alla Borsa di Budapest e a quella elettronica di Londra nel 1999 e grazie a una aggressiva strategia di acquisizioni, tra cui quella della filiale ungherese di Atos Origin nell'agosto 2003, è già presente in quattro Paesi dell'Europa centro-orientale (Repubblica Ceca, Croazia e Slovacchia) con un fatturato di gruppo di 80 milioni di euro nel 2003. Ora punta a diventare uno dei maggiori system integrator della regione, anche se la sua strategia di espansione in un mercato regionale preossoché stagnante sta creando qualche problema finanziario. Synergon offre soluzioni per il settore della sanità, della finanza e dell'energia elettrica, servizi ERP (con una specializzazione in SAP per la PA e il settore agricolo), consulenza business e per la sicurezza, reti aziendali e per carrier di tlc. Una star. Da dieci anni EPAM Systems fornisce servizi offshore per lo sviluppo di software, con uno staff di 600 persone tra le sedi negli Stati Uniti, in Russia e Bielorussia. In marzo ha comprato Fathom Technology di Budapest per procurarsi risorse specializzate in Enterprise Java Beans e servizi .Net. (160 addetti), diventando il più grande fornitore di servizi di ingegneria del software nell'Europa centro-orientale. Ora ha in progetto di impiantare altri uffici in USA e in Europa per allargare la base dei clienti, tra cui spiccano Microsoft, Sun, Reuters e Colgate Palmolive. Il modello di business di EPAM è di collocare i progetti e gli analisti di sistema vicino al cliente, creando così la capacità di seguire localmente i grandi progetti, trasferendo le attività di sviluppo nei diversi Paesi in cui opera. "Le grandi imprese stanno cominciando a cercare di ridurre i rischi dell'offshore in un unico Paese, utilizzando oltre agli outsourcer indiani anche quelli di altre regioni geografiche", riferisce il CEO Arkadiy Dobkin. (Ha collaborato la redazione di Computerworld Ungheria - Szamitastechnika)