L’appello del Rettore dell’Università Lateranense Mons. Enrico Dal Covolo: assumere seriamente le sfide della condizione giovanile. L’esempio di don Bosco a duecento anni dalla nascita. E su Papa Francesco: non è un marziano, ma incarna una Chiesa viva.
2. Mons. Enrico Dal Covolo, Rettore Lateranense
Che cosa significa essere un educatore salesiano?
«Partiamo da un esempio concreto. Lei sa quello che accade ogni giorno sui social
network, che pure io frequento? Una moltitudine di giovani affamati di riconoscimento, di
un “mi piace”; molte volte disposti a tutto pur di essere “visti” e “condivisi”. Qualche giorno
fa leggevo su un quotidiano un articolo molto documentato sulle pratiche estreme che
alcuni adolescenti mettono in atto al fine di divenire gli eroi del mondo virtuale; il
balconing, ovvero la pratica di saltare da un balcone all’altro, è un esempio, e ha già
provocato diverse vittime. In questo contesto chi è l’educatore salesiano? Una persona
animata da una “simpatia incondizionata” per i giovani, prima e al di là di ogni qualità e
prestazione; “Basta che siate giovani perché io vi ami assai” diceva don Bosco, insomma
un “mi piace” sempre e comunque. Accanto al “sentimento”, l’educatore salesiano cura la
dimensione razionale. Non basta amare; occorre assumere con serietà le sfide della
condizione giovanile. L’amore cioè deve tradursi in progetti concreti e di ampio respiro per
la promozione integrale dei giovani; qualcuno ha coniato l’espressione il “martiro della
creatività”: l’educatore salesiano non riposa finché non ha trovato risposte concrete ai
bisogni dei giovani. Egli è un vero imprenditore della questione giovanile».
Quale importanza ha avuto per la Sua vita predicare gli Esercizi spirituali
quaresimali a Benedetto XVI?
«Qualche mese prima della mia nomina, nel febbraio del 2010, ho predicato gli esercizi
spirituali al Papa e ai suoi collaboratori della curia romana. Era l’anno sacerdotale, e il
titolo che avevo dato alle meditazioni era questo: “Lezioni di Dio e della Chiesa sulla
vocazione sacerdotale”. Ma poi, quando ho pubblicato il libro, questo è diventato il
sottotitolo. Il titolo, invece, me l’ha suggerito Benedetto stesso: “In ascolto dell’altro”. E
davvero, quei giorni hanno segnato per me un’esperienza indimenticabile di ascolto…
anche se a parlare ero io. I giornali si stupirono perché da parecchio tempo non capitava
che un semplice sacerdote (quale ero io allora) predicasse gli esercizi al papa: al “papa
teologo”, poi! Molte persone mi hanno chiesto se ero emozionato. No, non lo ero. Perché
l’ascolto e l’accoglienza umile e cordiale del Papa mi hanno dato un grande coraggio.
Potrei raccontare tante cose, di quei giorni. Qui ne ricordo una sola. Il mattino della
domenica in cui poi, alla sera, avrei cominciato gli esercizi, il Papa volle avere il testo
completo delle mie diciassette meditazioni. Ho visto che, mentre parlavo, lui teneva le mie
pagine appoggiate davanti a sé, sull’inginocchiatoio, e come uno scolaro diligente
prendeva nota con la matita, sottolineava, aggiungeva in margine… Era il primo ad
arrivare, e l’ultimo ad andare via. Gli altri prelati stavano nella navata della Cappella
Redemptoris Mater, lui invece in una cappelletta laterale, alla sinistra del predicatore. Così,
in pratica, solo io potevo vederlo. Talvolta, infatti, il Papa potrebbe anche distrarsi, quando
il predicatore diventa pesante o noioso, e non è bene che gli altri lo notino… Da parte mia,
3. posso assicurare che lui è stato l’esercitando migliore che io abbia mai avuto: e sì che di
esercizi ne ho predicati tanti…».
Perché celebrare il bicentenario della nascita di san Giovanni Bosco? Che cosa
dice agli uomini e donne, e soprattutto ai giovani del terzo millennio, il
fondatore dei Salesiani?
«Un autorevole sociologo italiano ha intitolato un suo saggio sulla condizione giovanile: “La
strage degli innocenti. Note sul genocidio di una generazione”. Io condivido la sua lettura;
il mondo che abbiamo preparato per le nuove generazioni strozza il loro diritto alla felicità.
E guardi che non parlo solo del lavoro, ma anche delle questioni drammatiche legate al
senso dell’esistenza e alla verità sulla condizione umana, perché “non di solo pane vive
l’uomo”. Lei sa che in Europa il suicidio è la seconda causa di morte per gli adolescenti ed
è la prima per i giovani? L’Istat dice che più del 30% di coloro che in Italia soffrono di
depressione sono giovani. Il punto è che mancano le ricette, tutti sappiamo fare la
diagnosi, ma se mi guardo attorno dentro e fuori la Chiesa mancano le cosiddette “exit
strategies”. Qui entra don Bosco – di cui celebriamo il bicentenario della nascita – che fu
un vero e proprio imprenditore di Dio per il bene dei giovani. In lui l’analisi attenta della
condizione giovanile e la formulazione di soluzioni concrete rappresentarono una miscela
esplosiva e benefica. Penso che se don Bosco fosse tra noi oggi ci direbbe: “È tempo di
ricette, di diagnosi ne abbiamo fin troppe”».
Come sta la Pontificia Università Lateranense? Quali sono gli obiettivi presenti
e futuri?
«La Lateranense, come tutte le Università Pontificie romane, è in cammino verso
l'eccellenza accademica. Gli indicatori di tale eccellenza - a mio avviso - debbono essere
diversi: la qualità del corpo docente, l'offerta formativa, l'aiuto a coloro che sono
economicamente svantaggiati, l'innovazione didattica, la ricerca, la relazione Docente-
Studente, il tutoraggio, le relazioni con le altre università anche straniere e con il mondo
del lavoro. La Lateranense si muove energicamente in queste direzioni, e il suo sforzo è
ripagato dalla buona tenuta delle iscrizioni, non scontata in questi tempi difficili. Io credo
che il segreto della riuscita sia credere nell'importanza dell'innovazione a tutti i livelli,
perché dove manca questa abbiamo una sola alternativa: la stagnazione, e l'acqua
stagnante nessuno la beve».
Come descrive il pontificato di Francesco? E secondo Lei come si troverebbe
don Bosco con Papa Bergoglio?
«Vorrei risponderle con un aneddoto. Qualche mese fa mi trovavo in Perù, ospite di un
bravo vescovo che la sera toglieva la croce pettorale, indossava il grembiule e si metteva ai
fornelli a cucinare. Voglio dire che Papa Francesco non è un marziano, egli incarna una
Chiesa che è viva e molto più reale di quanto si pensi. Quanto al rapporto con don Bosco,
tutti sanno dell’influsso che il carisma salesiano ha avuto nella vita di Jorge Mario
Bergoglio. Possiamo dire – e penso di non esagerare – che nel petto del Santo Padre batta
anche un po’ del cuore di don Bosco».
FONTE: Vaticaninsider.lastampa.it