Cass. civ. sent. n. 7162 del 10.05.2012FocusLegale
Condominio - L’apertura di conto corrente non richiede autorizzazione assembleare. Anche se non si può affermare, come pure talora è stato fatto, che la mancata apertura di un conto corrente separato rispetto al patrimonio personale dell’amministratore costituisca irregolarità tale da comportarne la revoca del mandato, si può sostenere che, pur in assenza di specifiche norme che ne facciano obbligo, l’amministratore è tenuto a far affluire i versamenti delle quote condominiali su apposito e separato conto corrente intestato al condominio, per evitare confusioni e sovrapposizioni tra il patrimonio del condominio e il suo personale od eventualmente quello di altri differenti condomini, da lui amministrati. Tale necessità comporta la possibilità per l'amministratore di accendere conto corrente bancario anche in assenza di autorizzazione assembleare (Cass. Civ. n. 7162 del 10.05.2012)
Trust e azione revocatoria.
Segnaliamo un’interessante recente sentenza del Tribunale di Velletri in materia di azione revocatoria e inefficacia dell’atto di dotazione del fondo in trust.
Nella prassi a volte si verificano casi in cui un agente svolge di fatto l’attività di incasso per conto della preponente, nonostante tale attività sia formalmente vietata dal contratto o manchino le condizioni previste dagli accordi economici collettivi.
Molto spesso i clienti si lamentano del costo imprevisto dei processi e delle attività di cui il loro avvocato chiede il pagamento.
I medesimi desidererebbero poter conoscere in anticipo il costo preciso del processo, in modo da poter pianificare i pagamenti e l’impegno di spesa.
Anche al fine di poter valutare la convenienza economica di un’iniziativa processuale, che in taluni casi potrebbe rivelarsi eccessiva rispetto agli interessi perseguiti o ai valori della domanda.
LA SOLUZIONE.
Per rispondere positivamente a tali esigenze e dare soddisfazione ai propri clienti, l’avvocato può adottare il criterio della tariffazione a percentuale calcolato sul valore della domanda.
Il sistema agevola la costituzione di un rapporto fiduciario fondato sulla chiarezza e sull’immediata comprensibilità, in quanto consente di conoscere in anticipo il costo del processo.
Cass. civ. sent. n. 7162 del 10.05.2012FocusLegale
Condominio - L’apertura di conto corrente non richiede autorizzazione assembleare. Anche se non si può affermare, come pure talora è stato fatto, che la mancata apertura di un conto corrente separato rispetto al patrimonio personale dell’amministratore costituisca irregolarità tale da comportarne la revoca del mandato, si può sostenere che, pur in assenza di specifiche norme che ne facciano obbligo, l’amministratore è tenuto a far affluire i versamenti delle quote condominiali su apposito e separato conto corrente intestato al condominio, per evitare confusioni e sovrapposizioni tra il patrimonio del condominio e il suo personale od eventualmente quello di altri differenti condomini, da lui amministrati. Tale necessità comporta la possibilità per l'amministratore di accendere conto corrente bancario anche in assenza di autorizzazione assembleare (Cass. Civ. n. 7162 del 10.05.2012)
Trust e azione revocatoria.
Segnaliamo un’interessante recente sentenza del Tribunale di Velletri in materia di azione revocatoria e inefficacia dell’atto di dotazione del fondo in trust.
Nella prassi a volte si verificano casi in cui un agente svolge di fatto l’attività di incasso per conto della preponente, nonostante tale attività sia formalmente vietata dal contratto o manchino le condizioni previste dagli accordi economici collettivi.
Molto spesso i clienti si lamentano del costo imprevisto dei processi e delle attività di cui il loro avvocato chiede il pagamento.
I medesimi desidererebbero poter conoscere in anticipo il costo preciso del processo, in modo da poter pianificare i pagamenti e l’impegno di spesa.
Anche al fine di poter valutare la convenienza economica di un’iniziativa processuale, che in taluni casi potrebbe rivelarsi eccessiva rispetto agli interessi perseguiti o ai valori della domanda.
LA SOLUZIONE.
Per rispondere positivamente a tali esigenze e dare soddisfazione ai propri clienti, l’avvocato può adottare il criterio della tariffazione a percentuale calcolato sul valore della domanda.
Il sistema agevola la costituzione di un rapporto fiduciario fondato sulla chiarezza e sull’immediata comprensibilità, in quanto consente di conoscere in anticipo il costo del processo.
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L’obbligo di repechage alla luce della nuova disciplina delle mansioni - Fra...Andrea Sorba
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L’obbligo di repechage alla luce della nuova disciplina delle mansioni - Fra...
Decisione ACF n. 5/2017
1. Decisione n. 5 del 5 giugno 2017
ARBITRO PER LE CONTROVERSIE FINANZIARIE
Il Collegio
composto dai signori
Dott. G. E. Barbuzzi – Presidente
Prof.ssa M. Rispoli Farina – Membro
Dott.ssa D. Morgante – Membro
Prof. avv. G. Guizzi – Membro
Avv. G. Afferni – Membro
Relatore: Prof. Avv. G. Guizzi
nella seduta del 5 maggio 2017, in relazione al ricorso n. 31, dopo aver esaminato
la documentazione in atti, ha pronunciato la seguente decisione.
FATTO
1. La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne la
configurabilità di un inadempimento dell’intermediario agli obblighi inerenti
all’esecuzione di servizi di investimento.
Questi, in sintesi, i fatti oggetto del procedimento.
2. Con reclamo presentato il 7 settembre 2016 l’odierna ricorrente si è rivolta
all’intermediario, odierno resistente, lamentando di essere stata scorrettamente
indotta da quest’ultimo alla sottoscrizione di n. 100 azioni emesse
dall’intermediario medesimo.
In particolare, oltre a denunciare l’inadeguatezza dell’investimento rispetto
al proprio profilo di rischio, la ricorrente lamentava che la propria volontà nella
sottoscrizione dell’investimento non si era liberamente formata, in quanto tale
2. 2
operazione le era stata prospettata e suggerita dallo stesso intermediario alla
stregua di strumento che le avrebbe potuto permettere l’accesso ad una linea di
credito per l’acquisto di un immobile ad un tasso agevolato, quale appunto il tasso
che l’intermediario usualmente assicurava ai propri soci. Chiedeva pertanto di
essere ristorata del pregiudizio sofferto.
3. Insoddisfatta dell’esito del reclamo, che l’intermediario ha riscontrato con nota
del 9 novembre 2016 respingendo ogni addebito, la ricorrente, con l’assistenza di
un difensore, si è rivolta all’Arbitro per le Controversie Finanziarie chiedendo al
Collegio di «annullare e/o risolvere il contratto di sottoscrizione delle azioni
emesse con la restituzione dell’importo di euro 6.250,00 dietro la restituzione
delle stesse azioni», ovvero «di risarcire il danno per equivalente dopo che la
Banca abbia procurato la vendita delle ridette azioni in favore di terzi al minor
prezzo oggi ricavabile”.
A fondamento delle domande articolate e sopra trascritte, oltre a ribadire
quanto già dedotto nel reclamo in merito al contesto in cui si è venuta collocando
la scelta di investimento e al fatto che la stessa è stata indotta dall’intermediario
ventilandole un vantaggio che le sarebbe potuto derivare dalla qualità di socio
nell’ambito di una distinta operazione creditizia che si veniva concludendo inter
partes, la ricorrente ha esposto: (i) che l’operazione non risultava adeguata al
proprio profilo di rischio, essendo «laureata in Psicologia e impiegata in struttura
Pubblica con mansione di maestra di asilo (...) con nessun pregresso acquisto di
strumenti finanziari a contenuto azionario (proprio come indicato nel
questionario MiFID)»; (ii) che l’intermediario aveva agito in conflitto di interessi,
proponendo l’investimento in proprie azioni; (iii) che l’intermediario si era
comunque reso inadempiente agli obblighi di trasparenza ed informazione in
quanto il funzionario preposto all’operazione, al momento dell’acquisto, avrebbe
riferito che le azioni erano «sicure in quanto non collocate in borsa», omettendo
oltretutto di assolvere gli obblighi informativi per i prodotti illiquidi prescritti
dalla CONSOB nella Comunicazione 9019104 del 2 marzo 2009; (iv) che
l’intermediario avrebbe omesso di rendere qualsiasi informazione anche
successivamente all’acquisto, ed in particolare si sarebbe reso inadempiente
3. 3
all’obbligo di inviare una rendicontazione periodica che, come previsto dalla
predetta Comunicazione, specificasse il fair value del prodotto finanziario
acquistato, nonché il presumibile valore di smobilizzo sulla base delle reali
condizioni di quest’ultimo.
4. L’intermediario ha depositato controdeduzioni con cui ha resistito al ricorso,
chiedendone il rigetto.
Il resistente precisa, in fatto, che la ricorrente ha sottoscritto, nel luglio
2012, il contratto quadro per l’esecuzione di servizi di investimento, nonché di
deposito titoli in amministrazione e che l’acquisto delle azioni era avvenuto in
esecuzione di un ordine della cliente, senza sollecitazione dell’intermediario,
sicché nella specie non poteva ritenersi prestato alcun servizio di consulenza in
investimenti, l’unico che avrebbe richiesto una valutazione di adeguatezza.
L’intermediario contesta il mancato adempimento degli obblighi
informativi, avendo proceduto, all’atto dell’esecuzione dell’operazione, alla
consegna della “scheda prodotto” – nella quale era indicato espressamente il
rischio di illiquidità del titolo – e di aver sempre inviato, successivamente
all’esecuzione dell’ordine, i rendiconti periodici recanti l’indicazione del
controvalore del titolo. Quanto, infine, alla contestazione della ricorrente secondo
cui l’intermediario avrebbe fatto leva, per indurla all’acquisto, sulla possibilità
che in questo modo avrebbe avuto di fruire, nell’ambito dell’operazione di
finanziamento immobiliare che essa parallelamente stava concludendo, del tasso
agevolato riservato ai soci, il resistente ha osservato, in via preliminare, che si
tratterebbe di fatto non provato, e comunque, in via di subordine, se anche ciò
fosse rispondente al vero, che tale condotta non avrebbe alcunché di anomalo,
essendo piuttosto fisiologico, attesa la natura all’epoca di banca cooperativa, la
possibilità per l’intermediario di offrire ai propri soci un accesso al credito
agevolato.
5. La ricorrente ha presentato memoria in replica alle controdeduzioni. In questa
sede la difesa della ricorrente si è in particolare soffermata sulla questione
riguardante l’eccepito difetto di prova riguardo al fatto che l’investimento sarebbe
stato indotto dall’intermediario prospettando possibili vantaggi nella parallela
4. 4
operazione creditizia (l’unica davvero di suo interesse, secondo quanto
prospettato dalla difesa della ricorrente). In proposito la ricorrente ha richiamato
gli esiti del provvedimento adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato, e con cui detta Autorità ha accertato l’esistenza di una pratica
commerciale scorretta posta in essere dall’intermediario avente ad oggetto, nel
medesimo periodo temporale di riferimento, comportamenti in tutto conformi a
quello indicato nel ricorso e tendenti appunto ad indurre la clientela a
sottoscrivere azioni al fine di ottenere i vantaggi usualmente riservati ai soci
nell’ambito delle operazioni creditizie, vantaggi poi in realtà rivelatisi
insussistenti (la ricorrente segnala che il preteso tasso agevolato per i soci
dell’intermediario risultava essere inferiore per appena lo 0,17% rispetto al tasso
medio applicato sul mercato).
6. L’intermediario ha presentato nota di replica alla memoria della ricorrente,
contestando la rilevanza probatoria del provvedimento dell’AGCM, sia perché
esso non è ancora definitivo, in quanto impugnato avanti al TAR, sia perché la
vicenda per cui è controversia è avvenuta in un periodo successivo rispetto a
quello cui si riferisce l’accertamento condotto dall’Autorità Garante. Il resistente
contesta altresì la possibilità per l’ACF di scrutinare - secondo quella che sarebbe
la sostanziale prospettazione della ricorrente - la conformità delle condotte
dell’intermediario alle norme del codice del consumo.
DIRITTO
1. Ai fini della decisione della presente controversia occorre innanzitutto muovere
da un preliminare inquadramento dell’ordine delle questioni su cui il Collegio è
chiamato a pronunciarsi.
La ricorrente, come si è visto, articola molteplici domande, poste tra loro
in termini tendenzialmente di alternatività, e che si ascrivono a due distinti
paradigmi rimediali. Con il primo gruppo di domande la ricorrente mira a ottenere
la caducazione del contratto di acquisto delle azioni - di cui evoca, in via
alternativa, l’annullabilità, sostanzialmente per induzione dolosa da parte
5. 5
dell’intermediario al suo compimento, ovvero la sua risolubilità per
inadempimento dell’intermediario agli obblighi nascenti dal contratto quadro per
la prestazione dei sevizi di investimento – al fine di ottenere la restituzione della
somma versata. Con il secondo gruppo di domande la ricorrente mira, invece, a
ottenere il risarcimento dei danni sofferti a causa dell’investimento azionario,
nella prospettiva dunque della validità del contratto ma secondo la logica della
responsabilità da contratto valido, e dove il fondamento dell’obbligo risarcitorio
viene identificato di nuovo nella violazione degli obblighi gravanti
sull’intermediario nell’ambito della prestazione del servizio di investimento.
2. Atteso che l’ordine delle richieste articolate da parte ricorrente non sembra
lasciare adito a dubbi sul fatto che quella ascrivibile al paradigma della
restituzione della somma investita costituisca la domanda principale, quella di
natura risarcitoria configurandosi all’evidenza come subordinata, il primo
interrogativo cui il Collegio è chiamato a dare risposta è se l’ACF sia competente
a pronunciarsi su domande che postulano la previa “caducazione” del contratto,
ossia di un rimedio a cui – si tratti, come nel caso, dell’”annullamento” o piuttosto
della “risoluzione” – si ascrive classicamente natura costitutiva, e che dunque
rappresenta, ai sensi dell’art. 2908 c.c., una misura adottabile esclusivamente
nell’esercizio di un potere giurisdizionale, e dunque solo dal Giudice o, al più,
dagli Arbitri rituali.
Senza volersi addentrare sulla questione teorica della natura del potere
esercitato dell’ACF, e sul valore delle sue decisioni, ritiene il Collegio che la
pronuncia su domande che presuppongono, a monte, la previa caducazione del
contratto non sia preclusa.
A un tale esito si perviene, infatti, ad avviso del Collegio, non solo e non
tanto perché è già la natura costitutiva delle azioni di annullamento e di
risoluzione che, alla luce dei più recenti orientamenti dottrinali, può essere messa
in discussione, quanto e soprattutto perché la eventuale annullabilità e risolubilità,
ove essa sia stata prospettata dalla parte come mezzo al fine di ottenere la
restituzione delle somme versate, può ben essere accertata dall’Arbitro per le
Controversie Finanziarie in via semplicemente incidentale, unicamente nella
6. 6
prospettiva dell’esame e dell’eventuale accoglimento della domanda restitutoria
della somma, senza che occorra, allora, che esso pronunci e statuisca anche
espressamente su di essa. Un accertamento incidentale che è del resto sempre ben
possibile - purché vi sia l’esercizio del potere di parte, come nella specie - e come
dimostra, per esempio, a tacer d’altro, proprio in tema di annullabilità del
contratto, la norma dell’art. 1442, ultimo comma, c.c., là dove consente che
quest’ultima sia opposta anche solo in via di eccezione, e persino quando la
relativa azione sia prescritta, per paralizzare una pretesa all’esecuzione del
contratto.
3. Tanto premesso, il Collegio può dunque procedere - nei limiti suddetti – a
scrutinare nel merito la domanda principale proposta da parte ricorrente.
La domanda appare meritevole di accoglimento ai sensi delle
considerazioni che seguono.
Come detto la ricorrente lamenta, in primo luogo, di essere stata
artatamente indotta dall’intermediario, nell’ambito della prestazione del servizio
di investimento, ad acquistare azioni emesse dallo stesso intermediario con la
prospettiva di poter poi beneficiare, nell’ambito di una contestuale operazione
creditizia che veniva conclusa con quest’ultimo, di un tasso agevolato.
Orbene, sotto questo profilo non sembra revocabile in dubbio che la
condotta dell’intermediario, ove risulti provata in concreto, possa senz’altro
considerarsi come un comportamento decettivo dell’intermediario nella
prestazione del servizio di investimento, che ha indotto la ricorrente a concludere
un investimento in azioni che altrimenti non avrebbe concluso, e che essa possa,
dunque, essere ascritta al paradigma dei comportamenti integranti artifizi e raggiri
idonei a determinare l’annullabilità del contratto di acquisto di azioni per dolo
determinante. E ciò specie tenendo presente che, nel caso, l’intermediario che ha
posto in essere la condotta decettiva cumulava in sé sia la qualità di soggetto che
esegue l’ordine di acquisto impartito dal cliente, sia la qualità di parte venditrice
proprie azioni, ossia la qualità di parte del contratto la cui annullabilità si chiede
di delibare (ciò che vale a integrare, allora, per definizione anche il presupposto
richiesto dall’art. 1439, comma secondo, c.c.).
7. 7
4. Ciò posto, il punto decisivo è stabilire se nel caso di specie una prova concreta
della condotta decettiva, idonea a determinare l’annullabilità del contratto tramite
cui si è realizzata l’operazione di investimento, possa dirsi raggiunta.
Orbene, ad avviso del Collegio la risposta appare affermativa, anzitutto,
alla luce del circostanziato accertamento in fatto compiuto dall’AGCM nel quadro
del provvedimento evocato dalla ricorrente, che ha rilevato l’esistenza, in un arco
temporale sufficientemente prolungato, esattamente di comportamenti identici a
quelli lamentati e dedotti dalla ricorrente medesima e consistiti nell’indurre la
clientela al compimento di investimenti, cui non erano in realtà interessati,
facendo leva sulla prospettazione del conseguimento di vantaggi nell’ambito di
operazioni che venivano contestualmente poste in essere nella qualità di
intermediario creditizio.
Il provvedimento, per la sua provenienza da un’Autorità amministrativa
indipendente, dotata di imparzialità e istituzionalmente preposta a condurre
verifiche sul grado di diligenza professionale adottata da ogni genere di impresa
nell’esercizio sul mercato delle rispettive attività può del resto costituire
senz’altro (i) un principio di prova del fatto che anche la ricorrente è stata vittima
di un comportamento ingannevole posto in essere dall’intermediario, appunto
nella prestazione di servizi di investimento, al fine di indurla ad un’operazione di
acquisto di azioni che altrimenti non avrebbe compiuto, e dunque anche (ii) un
principio di prova di un comportamento che, specie nella prospettiva seriale che
caratterizza la contrattazione di impresa, ben può essere qualificato come un
“artificio” idoneo a integrare la fattispecie di annullabilità del contratto
disciplinata dall’art. 1439, primo comma, c.c.
5. Le osservazioni che precedono appaiono dirimenti. Né vale in contrario
opporre, come fa il resistente nella memoria di replica, che l’ACF non è
competente a conoscere di comportamenti che costituiscono pratiche commerciali
scorrette, e che il provvedimento dell’AGCM non può, comunque, essere assunto
come mezzo di prova ostandovi il fatto che l’accertamento ivi contenuto ha
riguardato un periodo non del tutto coincidente con quello in cui si colloca la
presente vicenda.
8. 8
Quanto alla prima obiezione, essa si supera osservando che ciò di cui
l’ACF nella presente sede conosce non è, ovviamente, della violazione delle
norme del codice del consumo, quanto piuttosto di un comportamento che
integrando una violazione della diligenza professionale certamente concretizza,
accanto a una violazione delle prime, anche una violazione dei doveri generali di
diligenza e correttezza nei confronti della clientela che l’art. 21, lett. a), del TUF
impone all’intermediario nella prestazione dei servizi e dell’attività di
investimento.
Quanto alla seconda obiezione appare, invece, sufficiente rilevare come la
sistematicità e la serialità delle condotte accertate lasci oggettivamente presumere,
con inferenza probabilistica, che quella condotta abbia avuto una più lunga durata,
e dunque possa essersi verificata anche in periodi cronologicamente contigui a
quello oggetto dello specifico accertamento, e pertanto essersi verificata anche
all’epoca in cui si data l’operazione conclusa dalla ricorrente.
P.Q.M.
Il Collegio, accogliendo la domanda ai sensi e nei limiti di cui in
motivazione, dichiara l’intermediario tenuto alla restituzione alla ricorrente della
somma di € 6.250,00, il tutto a fronte della restituzione da parte di quest’ultima
delle azioni a suo tempo acquistate, e fissa il termine per l’esecuzione in trenta
giorni dalla ricezione della decisione.
Entro lo stesso termine l’intermediario comunica all’ACF gli atti realizzati
al fine di conformarsi alla decisione, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del
regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 19602 del 4 maggio 2016.
L’intermediario è tenuto a versare alla Consob la somma di € 400,00, ai
sensi dell’art. 18, comma 3, del sopra citato regolamento, secondo le modalità
indicate nel sito istituzionale www.acf.consob.it, sezione “Intermediari”.
Il Presidente
Firmato digitalmente da:
Gianpaolo Eduardo Barbuzzi