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Come realizzare cose
meravigliose… in un
mondo di merda
di Danilo Lapegna
Metodi pratici per crescere, realizzare, cambiare le cose...
... anche quando tutto il mondo ci rema contro!
ESTRATTO GRATUITO
Nuova edizione GEM
Come realizzare cose meravigliose… ..............................................1
I - Imbraccia il tuo “superpotere fondamentale”............................8
II - “Muovi i pezzi” prima degli altri .............................................16
III - Carpe diem.............................................................................22
IV - Esprimi un “coraggio senza limiti” .......................................30
Nutriti del “boost fisiologico” ...................................................................................31
Temi… il tuo pranzo!..................................................................................................32
Guarda solo al “danger index”...................................................................................33
Fagli vedere chi sei. Ma a chi? ....................................................................................34
Zittisci le “voci” ...........................................................................................................35
Deresponsabilizzati......................................................................................................37
Un tuffo nella zona di “gestibile panico”.................................................................38
Esponiti a più “docce gelate”?...................................................................................39
V - Fai il pieno del tuo “carburante ideale”...................................43
Conosciti meglio...........................................................................................................44
Prova a riscoprire dei “link” emotivi.........................................................................47
Non scegliere a ca… volo...........................................................................................48
Intervieni sul tuo stato fisiologico.............................................................................49
Prova a identificare qualche dubbio..........................................................................50
A fa****o la motivazione!...........................................................................................51
VI - Ispeziona la “dubbio-bibbia”.................................................56
Ho paura degli ostacoli e dei problemi che si stagliano davanti?..........................57
La situazione nella quale mi sto muovendo ha troppe incognite?........................59
Non credo davvero nel mio obiettivo?.....................................................................62
C’è una tentazione nelle alternative o, peggio, nelle scappatoie?..........................63
Credo di stare puntando a “troppo”? .......................................................................65
Ho paura di “espormi”?..............................................................................................66
Mi è chiaro almeno a grandi linee cosa voglio, ma non come realizzarlo?..........67
VII - Imbraccia “il potere nel tuo DNA”.......................................72
VIII - Lasciati animare dal tuo “demone” ....................................79
IX – Imbraccia una “fede razionale”.............................................92
La mente è scema.........................................................................................................93
Fidati del tuo “contrattacco”......................................................................................94
Il potere della frustrazione..........................................................................................96
Pigmalione 2.0 ..............................................................................................................98
Punta a un “costante accumulo energetico”..........................................................100
X - Resisti e procedi .....................................................................105
Non sottovalutare la tua sensibilità .........................................................................107
Non smarrirti nei “settori vuoti”.............................................................................108
Impara..........................................................................................................................110
Avvicinati al “momento di fioritura”......................................................................111
XI - Attacca, anche se con la spada spezzata...............................116
XII - Punta a una mentalità “limitless” .......................................122
Ripulire i “circuiti neurali” dal passato ...................................................................125
Osserva e prendi in giro............................................................................................126
Avvia un’indagine “scientifica”................................................................................127
Cara vecchia visualizzazione, ci sei sempre quando ho bisogno di te! ..............129
Diventa quella realtà..................................................................................................130
XIII - Riscopri la “bellezza nell’autodisciplina”..........................133
Ottimizzazione energetica........................................................................................135
Un kit contro le “brutte abitudini” .........................................................................137
Autodisciplina… perpetua?......................................................................................147
XIV – I tre “segreti” dell’efficacia................................................151
XV - Ora, vai a fare… “cose meravigliose”!.................................157
CAPITOLO BONUS - Tecniche di produttività “insolite”.........162
Grazie per la tua lettura! ...............................................................167
Ma c’è di più… .............................................................................168
L'autore ........................................................................................175
Bibliografia e approfondimenti....................................................177
Disclaimer.....................................................................................181
Come realizzare cose
meravigliose…
“Dovete possedere totale risolutezza. Il peggior avversario in cui può capitare
di imbattervi è uno il cui proposito è diventato un’ossessione. Ad esempio, se
un uomo ha deciso di dovervi staccare il naso con un morso, non importa cosa
gli succeda nel corso dello scontro, con ogni probabilità egli ci riuscirà. Potrà
anche essere picchiato selvaggiamente, ma ciò non gli impedirà di raggiungere il
suo scopo. Questo è il vero combattente.”
(Bruce Lee)
Se sei qui vuol dire che probabilmente il titolo, almeno in parte, ha
attirato la tua attenzione o curiosità. E magari, ipotizzo, che lo
abbia fatto proprio quell’espressione “colorita” sull’essenza del
mondo. Che vuol dire che siamo in un “mondo di merda”? Lo
siamo davvero? Rispetto a quale altro “mondo” o idea dello
stesso?
Immagino che queste domande, se fatte a ognuno di voi,
rivelerebbero risposte ogni volta profondamente diverse.
Cerchiamo però di farci strada nella nebbia delle mille possibili
opinioni sul mondo e chiariamo una cosa:
Chi ha già letto il mio altro libro “Come essere felici in un mondo
di merda” sa bene infatti che questa espressione… altro non è che
una provocazione.
Viviamo certamente in un’epoca piena di difficoltà, ingiustizie e
diseguaglianze, ma non intendo neppure sottolineare quanto la
nostra sia comunque una società dotata nel complesso di molto
più benessere e coesione rispetto anche a solo 100 anni fa, perché
non sarebbe quello il punto; ciò che qui conta, infatti, è che questo
libro vuole provare a insegnare un metodo di crescita e
realizzazione che sia universale, e in quanto tale funzioni in ogni
tipo di epoca, sia essa di crisi, crescita, recessione, paradiso
terrestre o post-apocalisse.
Se è vero d’altronde che la nostra specie è l’unica in grado di fare
cose terribilmente idiote, allo stesso tempo sarebbe da folli negare
l’altro lato della medaglia, ossia come siamo anche gli unici grado
di creare arte, scienza, cultura, progresso tecnologico e di farlo anche nelle
epoche più disastrose. Perché la verità oggettiva è che nella nostra
spontanea curiosità, nel nostro intimo desiderio di raggiungere
nuovi orizzonti, nella nostra capacità di evolverci e apprendere, è
scolpita una “miracolosa” capacità di creare cose nuove e, con esse,
modificare profondamente l’ambiente che ci circonda, indipendentemente
dall’avversità delle condizioni iniziali.
Il libro che avete tra le mani pertanto proverà proprio a indagare
l’essenza di questa “forza umana” straordinaria: come possiamo
appropriarcene come individui e imbracciarla al suo massimo
potenziale? Come possiamo sfruttare al massimo e al meglio quello
stesso potere che ci ha portati, nonostante tutto, a conquistare i
mari, esplorare nuove terre, comprendere i misteri della genetica e
dell’atomo, e finanche a sondare i misteri dello spazio-tempo?
Non ti nasconderò fin d’ora che nel “metodo” che troverai
illustrato in questo volume non ci saranno “segreti” o “trucchetti”
di alcun tipo. È tutta una questione di imparare a non incolpare mai il
mondo o l’epoca che si sta vivendo e piuttosto responsabilizzarsi,
lavorare intelligentemente, e sviluppare tutta la capacità
decisionale necessaria per “navigare nel caos”. Complici gli
insegnamenti di maestri e filosofi ben più autorevoli di me, tutta la
ricerca scientifica che abbiamo a disposizione sull’argomento,
nonché le storie di grandi artisti, intellettuali, atleti e imprenditori
che hanno fatto la differenza, in questo prezioso volumetto
troverai un insieme di “semplici appunti” con cui allenare e
sviluppare queste doti nella tua quotidianità; con cui modellare
giorno dopo giorno il tuo “io in grado di fare cose meravigliose
anche nel peggiore dei mondi”; quell’ “io a pieno potenziale” che
proprio come ogni opera d’arte di michelangiolesca memoria, non fa
che attendere, dormiente, di essere scolpito fuori dal marmo. E
che potrai usare... per scrivere finalmente il tuo libro? Ottenere
finalmente quell’aumento a lavoro? Realizzare una volta e per tutte
il sogno di comprare una casa sulla spiaggia?
Il cassetto con i tuoi sogni è lì, e non posso sapere cosa ci hai
riposto. E, ti dirò, non posso prometterti in alcun modo che il
percorso sarà semplice, o che ti porterà esattamente dove volevi,
ma posso garantirti che ne varrà la pena. Ma soprattutto, ti garantisco
che questo manuale proverà a indicarti la strada nel pieno spirito
che anima il Kintsugi Project da oltre dieci anni: ovvero, fornendoti
solo principi saldamente radicati in ciò che la ricerca scientifica ha
rivelato (come evidenziato anche nella ricca bihliografia a fine testo),
unito alla nostra instancabile costruzione di una filosofia di
crescita sana e compassionevole. Ogni manuale per noi rimane
l’occasione per offrire il testo più “denso di segnale”
sull’argomento possibile; un’occasione eccellente per farsi strada
nell’infinito rumore che spesso pervade le nostre vite e, ancor più,
il mondo del self-help e della crescita personale.
Prima di concludere, quindi, ti presento le novità: in questa
nuovissima edizione, oltre a una sostanziale “rinfrescata” dei
contenuti, ho pensato di aggiungere due sezioni fondamentali alla
fine di ogni capitolo:
• Una è “Sfidare il mondo di m…”, ossia un piccolo racconto, una
storia vera che aiuti a dimostrare che tutti i principi illustrati fino
a quel momento sono ben più che un insieme di “vaghe
astrazioni” e che, anzi, possono risultare veramente potenti se
applicati nel modo giusto.
• La seconda invece è stata aggiunta per “metterti un po’ più in
crisi”, è chiamata “La provocazione”, e ti lascerà con un
piccolo spunto con cui sfidare attivamente la validità dei contenuti
letti fino a quel momento. L’intento da parte mia, ovviamente,
non è quello di “affermare tutto e il contrario di tutto”, ma di
ravvivare al massimo il tuo intuito e senso critico. Potresti usare
quella “provocazione”, per esempio, per confermare
ulteriormente la validità di quanto letto. Potresti usarla per
riformulare i principi appena visti sulla base della tua natura, del
tuo carattere. Oppure sì, potresti finire anche con lo smontarli
completamente, se è lì che le tue conclusioni ti conducono.
Nonostante infatti creda fermamente nell’importanza dei
concetti illustrati nei vari capitoli, credo molto anche nella
straordinaria forza intellettuale del paradosso, dell’apparente
contraddizione, della sfida del far convivere due principi
apparentemente contrapposti. Un po’ come accade in quei
racconti Zen che si concludono all’improvviso con
un’affermazione paradossale, credo che questa modalità
rappresenti l’equivalente dello scoccare una freccia diretta al
“nucleo” della nostra consapevolezza; un vero e proprio
“attacco concettuale” che all’impatto accenda qualcosa e ci
invogli a riflettere in modi inediti. E così, senza certo vantare la
pretesa di raggiungere il livello di brillantezza di un racconto
Zen, non mi resta che sperare che da questo libro tu sappia
estrarre il massimo valore possibile.
Ma ora ti auguro il mio più sincero “in bocca al lupo”, e ricorda:
se hai dei feedback per noi, proposte, richieste, suggerimenti di
qualunque tipo, scrivici a info@kintsugiproject.net
Danilo Lapegna
IV - Esprimi un “coraggio
senza limiti”
“Il coraggio è sapere cosa non temere”
(Platone)
Parte dei limiti che ci vengono imposti nella nostra vita è scaturita
da vincoli oggettivi, fisici, temporali; da costanti di fronte alle quali
non possiamo letteralmente fare nulla. Il tempo che scorre, la
nostra mortalità, i limiti cellulari del nostro corpo. Il problema
però, tuttavia, è nel fatto che invece un’altra, enorme parte dei
limiti che ci imponiamo derivano da ciò che la paura ci fa evitare.
Tra quintali di letteratura scritta e cinematografica su di lei, tra
montagne di studi psicologici e psichiatrici che cercano di
afferrarne la natura, tra milioni di scelte fatte e non fatte a causa
sua, probabilmente la paura è infatti una delle emozioni più
suggestive dello spettro umano. Una sensazione antica e
primordiale, scolpita nella nostra natura per difenderci dai più
terrificanti pericoli, ma che tuttavia, con l’aumentare della
complessità dei nostri pensieri e del nostro mondo, è finita per
diventare troppo spesso uno strenuo alleato delle nostre più
autolesioniste pi**e mentali.
Già, perché il più delle volte, quando avvertiamo quei tremori,
quei brividi gelati, quel cuore che sussulta di fronte all’idea di
entrare in un aereo, di chiedere a quella ragazza o a quel ragazzo di
uscire, o di dover tenere un discorso davanti a una platea, non
facciamo altro che elevare alla stregua di pericoli mortali dei
semplici frutti della nostra immaginazione. E lasciando così un
“eccessivo potere” a questi impulsi, lasciando che si impossessino
dei nostri schemi cognitivi e riconoscendo agli stessi più potere e
affidabilità di quanto meriterebbero, riempiamo la nostra vita di
muraglie, strade evitate, eterne procrastinazioni; il che può finire con
l’avere una “perdita di interesse composto”, sul lungo termine,
assolutamente devastante. Vediamo quindi assieme le “regole
d’oro” da seguire per puntare a una migliore gestione emotiva
delle nostre paure, e fare così un ulteriore passo verso
un’espressione “ottimale” del nostro potenziale umano:
Nutriti del “boost fisiologico”
Principio base di qualunque arte strategica: accettare “il nemico”
per ciò che è e quindi ricordarsi che la paura è una sensazione
perfettamente normale, di natura evolutiva e che in quanto tale nasce
per essere adattiva. Senza la capacità di provare paura, infatti, non
potremmo mai renderci conto di alcun pericolo, sia esso esterno o
annidatosi dentro di noi. La paura, l’orrore, e finanche il disgusto,
sono tutte cose che ci ricordano che esistiamo, che siamo vivi e
che vogliamo tenerci al riparo da ciò che potrebbe danneggiarci
fisicamente o psicologicamente. Senza contare che tutte le reazioni
fisiologiche che ne conseguono, come l’aumento della pressione
sanguigna o della tensione mentale e muscolare, sono
indispensabili alleati che potranno aiutarci a programmare la
migliore reazione possibile a tale pericolo. Pertanto non
“demonizzare”, reprimere, rigettare mai la sensazione in sé, perché
non faresti altro che inasprirne e peggiorarne la reazione
fisiologica. Punta piuttosto a trasformarla in una “finestra
privilegiata” sul tuo io e sulle cose che ti circondano, in una
risorsa. In un’occasione per beneficiare di quella “attivazione
neurale aumentata” che non fa che migliorare l’afflusso del tuo
sangue al cervello, l’ossigenazione delle tue cellule e la circolazione
di sostanze nutritive nel corpo.
Si dice per esempio che Bruce Springsteen, per fronteggiare la
propria iniziale paura di esibirsi in pubblico, sfruttasse tali reazioni
fisiologiche definendole una normale “eccitazione” dovuta alla
sfida del proprio confronto con la platea. E che grazie a questa
semplice fase di accettazione e “ridefinizione” delle proprie
reazioni, le abbia così pian piano domate e sconfitte. Può
sembrare una sciocchezza priva di senso, eppure è qualcosa di
solido, scientificamente comprovato, scolpito a fondo nei nostri
meccanismi fisiologici: le nostre reazioni non sono solo le “nostre
reazioni”, ma anche le narrazioni che vi ricamiamo intorno; e a
diverse narrazioni, il nostro cervello attiva connessioni neurali
differenti, proiettandoci così in stati d’animo completamente
diversi. Provare per credere!
Temi… il tuo pranzo!
Il tuo timore di qualcosa è spesso non paura della “cosa in sé”, ma
del tuo averne fatto un involucro per le tue insicurezze. Già, un
involucro e nulla più, perché è assai probabile che tu possa subire
cose peggiori qui, adesso, mentre siedi comodamente sul tuo
divano, mangiando un panino al prosciutto che ti potrebbe
strozzare, che mentre sei lì fuori su un deltaplano o a fare bungee
jumping. Può sembrare un concetto estremo nel suo cinismo ma è
proprio così che funziona il nostro cervello: tutto ciò che ci risulta
in qualche modo familiare, fosse anche una sfida estrema ma
consueta, ci darà molta più sicurezza rispetto a qualcosa di magari
meno rischioso, ma estraneo (ciò, d’altronde, è stato ampiamente
confermato da gran parte della letteratura scientifica e psicologica
a tema, come lo studio Fear-relevant selective associations and covariation
bias del 1989).
Molto quindi qui del “segreto per non farsi fregare” sta nel
provare a comprendere la “stupidità” e fragilità di questo
meccanismo. Chiaro che non è pensabile l’idea svegliarsi un
giorno e cercare di “rimuovere chirurgicamente” dal proprio
cervello i propri bias e distorsioni. Tuttavia, cominciare a
classificarli come tali, a mio avviso, è già un ottimo primo passo
per provare a mitigarli e debellarli.
Ecco, d’altronde dove una giusta consapevolezza dei concetti di
familiare ed estraneo si rivela fondamentale; perché questi termini sì,
in realtà, sono solo costruzioni mentali, prodotti della nostra
percezione e interpretazione del mondo. La verità, però, è che
ogni cosa, ogni esperienza, ogni sfida può diventare “più
familiare” se ci impegniamo a interagire con essa, a conoscerla, a
esplorarla (naturalmente, sempre nel rispetto delle necessarie
precauzioni in caso di pericoli reali).
Immaginati questo processo di “riscrittura delle tue classificazioni
mentali” come un vero e proprio gioco, un gioco di flessibilità
mentale e adattabilità. Una sfida in cui il campo da gioco è la tua
mente, e le regole sono fatte per essere riscritte. In questo gioco, ci
liberiamo di ogni aspettativa “preconfezionata” sulla situazione e
su noi stessi. Ci apriamo all’ignoto, all’estraneo, all’inusuale, e lo
facciamo con tutta la curiosità e apertura necessaria.
E il premio “da un milione di dollari” a questo gioco è lì: nello
scoprire quanto bene e velocemente possiamo adattarci alle novità
che si presentano alla nostra attenzione. Scoprire che possiamo
trasformare l’estraneo in familiare, l’ignoto in conosciuto. Scoprire
che possiamo espandere i confini della nostra comfort zone,
rendendo il nostro mondo un po’ più grande, un po’ più ricco, un
po’ più affascinante. In questo processo, scopriamo anche noi
stessi, la nostra resilienza, la nostra capacità di adattamento, la
nostra forza interiore; e quale premio, in fondo, potrebbe mai
essere più prezioso di questo?
Guarda solo al “danger index”
Quanto detto nel precedente punto dovrebbe averti già aiutato a
capire che esiste spesso un profondo divario tra il pericolo percepito
e il pericolo effettivo in una situazione. Se il pericolo infatti fosse
effettivamente misurabile attraverso un “Danger Index”, un vero e
proprio numero, che data la situazione “rischiosa” ne valuti l’entità
del danno e la probabilità con cui questo danno si verifichi, la
nostra paura sarebbe tutto ciò che moltiplica ai nostri occhi tale
indice anche di migliaia di volte, specialmente laddove:
• Il pericolo percepito sia più suggestivo.
• Il pericolo percepito vada a toccare una corda più intima della
nostra sensibilità.
Poco dopo un attentato terroristico per esempio si scatena nella
maggioranza delle persone una vera e propria “psicosi da
terrorismo”. Treni, aerei, metropolitane, ogni mezzo pubblico
diventa un potenziale bersaglio di un attacco e si vive letteralmente
nel terrore di esserne le potenziali vittime. E così magari la
decisione più comune è quella di prendere l’automobile, mezzo
che secondo un rapporto dell’OMS del 2022, ha ucciso 1.3 milioni
di persone all’anno. Come reagiremmo se nel mondo occidentale
ci fosse un gruppo armato che ogni anno fa fuori quasi un milione
e mezzo di persone, scegliendole completamente a caso, in giro
per il mondo? Perché non c’è in giro alcuna “psicosi da
automobile” se l’automobile uccide più della più spietata
organizzazione terroristica mai esistita?
Tutto sta insomma nel cercare di recuperare un senso della realtà,
nel non cadere nel tranello del prestare attenzione solo alle ipotesi
più suggestive e personali; ma soprattutto, laddove una situazione
presenta dei pericoli effettivi, il “segreto” è nel cercare di
riconoscere quelle oggettivamente più probabili e dannose, e di farlo
tanto più qualora esse suscitino magari meno attenzione e clamore di
quelle più improbabili.
Fagli vedere chi sei. Ma a chi?
Questo è nulla più che un “piccolo gioco mentale”, che tuttavia
sono sicuro possa risultare estremamente efficace per alcuni di
voi: prova a pensare alla tua vita, al tuo passato, e prova a fare una
raccolta mentale dei momenti più belli. Sono sicuro che tra essi
avrai annoverato quelli in cui hai percepito l’adrenalina scorrere
nell’affrontare una tua paura e superare, per questo, una
limitazione che credevi insuperabile. Prova ad affidarti dunque
proprio a questo: al tuo orgoglio, alla tua volontà di eccitazione, di
adrenalina, di realizzazione. Non consentire alla paura di farti
essere e ottenere meno di quanto potresti. Non consentire alla
paura di farti essere e ottenere meno degli altri. Non consentire ai
limiti dettati dall’emozione di diventare le tue prigioni. E poi sai
quante manipolazioni nel mondo contemporaneo si basano
esattamente sul diffondere paura, impotenza e insicurezza? Vuoi
davvero accettare queste manipolazioni senza fare nulla? Oppure,
ammettiamo anche di scartare l’ipotesi “manipolazioni” qualora ad
alcuni di voi suoni, a ragione, eccessivamente complottista, e
ragioniamo in termini di “what if”: se qualcuno, in stile “The
Truman Show” stesse lavorando nell’ombra per coltivare e
amplificare ogni tua insicurezza perché ne ottiene beneficio,
vorresti continuare a essere un ingranaggio in questo macchinario?
Vorresti continuare a essere un attore inconsapevole in uno
spettacolo che non hai scelto di recitare?
Prova, pertanto, a riflettere proprio su questo: ogni volta che cedi
alle paure irrazionali, ogni volta che permetti a un’insicurezza di
limitare le tue azioni, stai rinunciando a una parte di te stesso. Stai
rinunciando alla tua libertà di scegliere, alla tua libertà di agire, alla
tua libertà di essere te stesso. E, così facendo, stai consentendo al
“governo ombra” nella tua mente di continuare a dettare le sue
regole, a plasmare la tua realtà, a definire i tuoi limiti.
Zittisci le “voci”
Spesso le paure che più compromettono le nostre giornate sono il
risultato di una forma, a volte lieve a volte più grave, di nevrosi
ossessiva. Ossia, una condizione in cui i nostri schemi mentali sono
talmente calamitati da un’idea paurosa, che la stessa si auto-
alimenta, inducendoci a rimuginare continuamente su altri pensieri
che la confermino e la tengano “viva”. La paura di prendere un
aereo, per esempio, costringe la mente a dipingere mille nuove
scene in cui ogni passaggio dall’arrivo in aeroporto all’atterraggio,
passando per l’attraversamento del metal-detector, si fa pieno di
particolari oscuri e terrorizzanti. In questo senso, una volta che si
sono prese le cautele necessarie e quindi non si ha più a che fare
con una paura di un pericolo reale, diviene necessario spezzare
questo meccanismo stesso, magari “togliendo energia” al pensiero
primario, ossia:
• Osservando le “voci”. Quando le “voci” dei nostri pensieri arrivano
alla nostra consapevolezza spesso le subiamo e basta. Se invece
ci sforziamo di fare un passo in senso “laterale” e di osservarle
con maggiore distacco e con la consapevolezza che esse “non
sono la realtà” possiamo già ridurre in parte il “fascino” che
esercitano su di noi.
• Sforzandoci di non dare loro retta. Fai “silenzio” mentale se riesci,
dedicati a fare qualcosa di particolarmente coinvolgente,
focalizza completamente la tua attenzione su un’attività che sia
“calamitante” abbastanza da permetterti di spezzare il
meccanismo. Oppure dedicati alla ripetizione, mentale o vocale
che sia, di un mantra. Semplicemente renditi conto di essere
“l’alimentatore” di tale circolo vizioso nel momento in cui gli
presti attenzione; e quindi, che il miglior modo per indebolire
questo loop fino a romperlo potrebbe risiedere in una sana
“noncuranza” nei confronti delle sue fonti di energia.
• “Chissenefrega”. Si dice che “Il samurai che sa già di esser morto
non può avere alcuna paura di morire”. Se è vero infatti che la
paura spesso non è nell’oggetto che temiamo ma nel nostro
considerarlo un tabù, è altrettanto probabile che a volte, per
sfatare questo tabù, non dovremo far altro che “saltare”, anche
solo mentalmente, al confronto diretto con lo stesso. Fermati
pertanto un secondo e immagina di vivere la peggiore delle
conseguenze, la peggiore delle possibilità, la peggiore delle tue
paure. Dopodiché urla un: “Chissenefrega, non sono lo schiavo mentale
di questa cosa!”. Ciò non solo potrebbe privare il tuo tabù di gran
parte del suo fascino negativo ma sarà la tua “dichiarazione di
libertà” dall’oggetto della paura stessa e da tutti i pensieri che,
nel loro perpetuarsi, in realtà non fanno altro che ridurre il tuo
senso di autodeterminazione.
• Rimuovendo ogni altra scelta. Questa altro non è che una variante
“concreta” della tecnica precedente. Spesso i pensieri auto-
perpetuanti più invasivi sono infatti quelli che, di fronte al
rischio, ruotano attorno al dubbio di fronteggiarlo o meno.
Torniamo per esempio alla super-comune paura di prendere un
aereo: il rimanere in aeroporto con l’idea di avere la possibilità di
gettare via il biglietto e scappare via può essere incredibilmente
oppressivo, in quanto aggravato dall’idea di essere i potenziali
responsabili di una scelta di vita o morte. In questi contesti
pertanto l’impatto emotivo delle nostre paure irrazionali può
essere mitigato nel momento in cui rimuoviamo qualunque scelta
alternativa all’affrontarla direttamente. Nel quale ci gettiamo nel
mezzo della “sfida” che temiamo senza possibilità di tornare
indietro. In questo modo ogni dubbio è rimosso, e ogni
pensiero del tipo “vado o non vado”, “lo faccio o non lo faccio”
viene completamente silenziato, concedendoci di redirezionare
le nostre energie cognitive verso le sfide reali ed effettive che la
circostanza comporta.
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Sfidare il mondo di m…
Sir Nicholas Winton, una storia di “necessario coraggio”
Sir Nicholas Winton era un uomo d'affari britannico nato nel 1909. Nel 1938,
durante una visita a Praga, fu testimone delle terribili condizioni in cui vivevano
i rifugiati ebrei che erano fuggiti dalla Germania e dai territori sudeti annessi al
Terzo Reich.
In un atto di vero coraggio e di profonda umanità, Winton decise di fare
qualcosa. Organizzò otto treni per trasportare 669 bambini, per lo più ebrei,
dalla Cecoslovacchia al Regno Unito, salvandoli così dall'Olocausto.
Quest'operazione venne poi denominata "Kindertransport".
Winton dovette confrontarsi con una serie di ostacoli burocratici per riuscire a
far uscire i bambini dal paese. Ma non si arrese. Creò documenti falsi per i
bambini, in un'epoca in cui le pene per la falsificazione di documenti erano
estremamente severe. Inoltre, dovette convincere le famiglie dei bambini a
lasciarli andare, un compito di per sé tremendo.
Il coraggio di Winton non si fermò alla fine del viaggio. Una volta che i bambini
erano arrivati in Inghilterra, si assicurò che fossero affidati a famiglie affidabili.
E fece tutto questo senza cercare riconoscimenti o premi. Infatti, per oltre
cinquanta anni, la sua storia rimase un segreto.
Winton morì nel 2015 all'età di 106 anni. Prima della sua morte, ebbe
l'opportunità di incontrare alcuni dei bambini che aveva salvato, ormai adulti.
Nel 2003, la regina Elisabetta II lo nominò cavaliere per i suoi servizi
all'umanità.
La storia di Sir Nicholas Winton è un esempio stupefacente di coraggio umano,
di altruismo e di determinazione. Il suo impegno a salvare queste vite,
nonostante i rischi e le difficoltà, dimostra quanto imbracciare la propria
capacità di affrontare consapevolmente il rischio possa avere un impatto
duraturo non solo su di sé, ma sulla storia di migliaia di persone.
La “provocazione”
Identifica una paura che ti affligge, e che sai far parte di
quelle che classificheresti come tue “debolezze”.
Immagina di non affrontarla mai, e ripetiti che “va bene
così”. Come ti fa sentire questa cosa?
VII - Imbraccia “il potere nel
tuo DNA”
“Molte persone hanno un talento innato, e probabilmente io sono una di
quelle, ma ciò che ha realmente fatto la differenza in tutta la mia vita è il
fatto che non troverai nessuno più competitivo di me. Non accetto di arrivare
secondo in niente.”
(Michael Jordan)
Piccolo capitolo che fa quasi da appendice al precedente: a volte
possiamo far bruciare la nostra volontà semplicemente stuzzicando
il nostro spirito competitivo. Siamo esseri competitivi per natura, e nel
nostro stesso DNA è biologicamente scolpita la capacità
potenziale di performare al massimo quando opposti a qualcuno
che possa compromettere la nostra posizione in società, la nostra
capacità di procurarci risorse, o anche solo il nostro orgoglio. È, se
non altro, ciò che ha tenuto insieme per millenni il tessuto sociale
per i nostri progenitori, che dovevano dimostrarsi in grado di
difendere e preservare le comunità di cui facevano parte.
Certo, la preistoria è finita da un bel pezzo, e basta guardare anche
solo per un secondo a cosa accade ogni giorno su questo mondo
per renderci conto del fatto che la competitività è un sentimento
che, se portato all’estremo e venerato irrazionalmente, può
facilmente giustificare aggressività, egocentrismo, sopraffazioni e
violenze di ogni genere.
Tuttavia, a mio avviso, confondere il sentimento competitivo per
le sue derive peggiori è un gravissimo errore, e provare a eliminare
dall’equazione sociale o individuale ogni forma di competizione
non può che essere devastante; i rapporti di forze, le disparità di
competenze o risorse infatti non spariranno mai magicamente e,
come giustamente evidenziato da autori ben più saggi di me, ogni
tentativo autoritario di eliminare alcuni rapporti di forze non finirà
che riplasmarli in un modo che avvantaggino chi ne decide le
regole. Rimanere pertanto all’interno una competitività costruttiva,
funzionale, finalizzata all’automiglioramento e alla costruzione,
anziché all’appagamento di compulsività o emozioni violente può
rappresentare un fantastico carburante per spronarci a crescere,
apprendere, maturare e a conseguire risultati a volte anche
eccezionali; questo tanto a un livello individuale quanto sociale,
comunitario, naturalmente volto al conseguimento di obiettivi
“ben più grandi”.
Ma, tornando su un piano più squisitamente individuale: come di
preciso potremmo sfruttare questo naturale istinto a nostro
vantaggio? Vediamo insieme delle semplicissime strategie mentali
che potrebbero risultarci utili allo scopo:
Inizia un “gioco di auto-competizione”. Vedilo come “trucco
mentale” con cui sfidare continuamente le tue paure e i tuoi limiti.
Ossia, fai uno sforzo di immaginazione e prova a sfidare il tuo
“io” pigro, il tuo io passivo, il tuo io timoroso. Non consentire
loro di tenerti lontano dalla tua felicità, proprio come non lo
consentiresti a un nemico che ti ostacola.
Oppure, vuoi uno spunto leggermente differente? Prova ad
adottare una filosofia simile a quella giapponese del kaizen, e a
sfidare il tuo “io” del giorno prima. Siamo fatti per apprendere,
migliorare, crescere mentalmente al di là di quelli che sono i nostri
limiti fisici e biologici, e possiamo quindi vedere nella nostra
versione del giorno prima un punto di riferimento da superare,
delle fondamenta solide su cui costruire; oppure, un vero e
proprio “maestro” per cui provare rispetto, ma che possiamo
anche puntare a sfidare, superare, sconfiggere. Non conta cosa
eravamo ieri: oggi siamo diversi e quindi possiamo non avere più
quelle paure, possiamo non farci più influenzare dagli stessi
preconcetti, possiamo non considerare più tali gli stessi limiti.
Oppure, se finiremo per cadere nelle stesse “trappole”, potremo
comunque provare a fare ancora di meglio domani; basterà, e qui
mi perdonerete per la frase un po’ retorica, non alzare troppo presto
bandiera bianca. Perché sì, nessun percorso di crescita può
prescindere dalla profonda consapevolezza che possiamo essere
migliori!
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Sfidare il mondo di m…
Dara Torres, una storia di “competitività infinita”
Dara Torres è una nuotatrice olimpica statunitense, ma la sua carriera è tutto
fuorché ordinaria. Ha partecipato a ben cinque edizioni dei giochi olimpici:
1984, 1988, 1992, 2000 e 2008. In totale, ha vinto 12 medaglie, tra cui quattro
ori. Ma ciò che rende la sua storia veramente unica è la sua incredibile longevità
atletica e il suo spirito competitivo.
Dara ha conquistato la sua prima medaglia olimpica d'argento all'età di 17 anni
a Los Angeles nel 1984. È tornata per vincere medaglie d'oro a Seoul nel 1988,
e a Barcellona nel 1992. Dopo quest'ultima olimpiade però, Torres si ritira dal
nuoto competitivo.
Tuttavia, la sua passione per la competizione è troppo forte. Nel 1999, a 33
anni, Dara decide di tornare alle competizioni e si qualifica per i giochi olimpici
di Sydney del 2000. E lì non solo compete, ma vince cinque medaglie, tra cui due
ori.
A seguito di Sydney, Dara si ritira nuovamente, ma la sua ossessione per la
competizione non sembra svanire. A 41 anni, dopo aver dato alla luce una figlia,
Dara decide di tentare un ritorno alle competizioni. Nonostante le sfide fisiche
legate all'età e alla maternità, Dara si allena con un'intensità pari, se non
superiore, a quella dei suoi anni di gioventù.
Nel 2008, a 41 anni, Dara Torres diventa la nuotatrice più anziana a qualificarsi
per i giochi olimpici. A Pechino, vince tre medaglie d'argento, mancando l'oro
per un centesimo di secondo nei 50 metri stile libero.
La storia di Dara Torres è un testamento al potere della cosiddetta “ossessione
competitiva”, quando generata dal sentimento del perfezionamento di sé e
volta al sempre “nobile” obiettivo dello sport. Così veicolando questo impulso
infatti la Torres ha spinto i limiti di ciò che era considerato possibile nel nuoto
competitivo e si può dire abbia aggiunto la propria “piccola nota indelebile” alla
preesistente definizione di cosa significhi essere atleti.
La “provocazione”
E se abbandonassi completamente ogni desiderio di
competere?
IX – Imbraccia una “fede
razionale”
“Mentre la fede irrazionale si fonda sulla sottomissione a un potere forte,
irresistibile e onnisciente, e nell’abdicazione del proprio potere e della propria
forza, la fede razionale si fonda su principi opposti. Abbiamo fede nella
potenzialità degli altri, in noi stessi e nella specie umana perché abbiamo
sperimentato lo sviluppo della nostra potenzialità, la forza del nostro potere di
ragione e d’amore.”
(Erich Fromm)
Possiamo ritrovare e costituire un “daimon” altamente motivante,
possiamo promettere a noi stessi di impegnarci a fare giorno per
giorno tutti i passi necessari per vivere in virtù dello stesso,
possiamo instaurare tutte le abitudini e i processi che vogliamo,
ma in realtà tutto ciò servirà veramente poco senza una sana dose
di fiducia che il percorso scelto abbia quantomeno una ragionevole
possibilità che ci porti dove vorremmo.
Qui infatti il problema può sorgere naturale: come riporre fiducia
in qualcosa se a conti fatti magari crediamo realmente che nel mondo
ci sia solo… cacca? Come sapere che il nostro sforzo varrà la
pena, tanto peggio se magari siamo delusi, amareggiati e
sconfortati da vicende che hanno messo a dura prova la nostra
capacità di sperare che le circostanze possano essere “gentili” con
noi?
Tutte domande legittime. Proviamo tuttavia a risponderci
riflettendo sui principi che seguono:
La mente è scema
Per quanto possiamo avere un’idea chiara della situazione in cui
decidiamo di andare ad avventurarci, la verità è che la nostra
mente... è scema! Sì, perché nella sua limitatezza sarà sempre e
comunque in grado di contemplare e intendere molte meno
possibilità, prospettive, sfumature rispetto a quelle reali. E quindi la prima
buona ragione per non sottomettersi alla paura o allo
scoraggiamento che possiamo provare di fronte al futuro, o ai suoi
potenziali ostacoli, è che molto probabilmente esistono molte più
soluzioni, opportunità, risorse di quelle che il nostro cervello inizialmente può
suggerirci.
Da un lato ciò accade perché molto probabilmente siamo più
ignoranti di quello che crediamo: la realtà infatti raggiunge livelli di
complessità e varietà molto superiori a quelli che la nostra mente può intendere
e classificare. L’abbiamo accennato quando abbiamo parlato
dell’importanza di affidarsi saltuariamente al caso, d’altronde:
Fleming non si aspettava di scoprire la penicillina in quella coltura
contaminata e Colombo non si aspettava di scoprire le Americhe
avventurandosi su quella rotta.
Ma dall’altro lato, ciò avviene perché, come anche visto nel
Capitolo IV, tutti quei sentimenti “genuinamente inquinanti” della
fiducia nel futuro, come la paura dell'ignoto, o la paura di fallire,
hanno un profondo carattere sia enfatizzante che auto-perpetuante.
Ossia, tendono letteralmente a distorcere la prospettiva oggettiva
delle cose in modo tale da “nutrire” sé stessi e continuare a
esistere. Si tratta di un condizionamento evolutivo, dopotutto: se i
nostri progenitori si fossero gettati senza problemi da una rupe, o
in un nido di predatori la nostra specie non sarebbe sopravvissuta
a lungo.
La “cura” a tutto ciò è tuttavia semplice: prova a capire che il tuo
punto di vista, in quanto limitato e condizionato, può essere
allargato, modificato, migliorato. Basta lo sforzo di “staccarti”
dalle tue pulsioni più immediate; staccarti da quella volontà
subconscia di perpetuare lo star male e capire che le prospettive
più lesive sono sempre e comunque solo prospettive.
È infatti proprio questa la chiave: nell’allenarsi a distinguere la
propria prospettiva, limitata, dall’evidenza reale delle cose, spesso molto
più complessa e ricca di verità utili; pensare, per esempio, che quella
persona ci rifiuterà perché siamo brutti, “sfigati”, o perché così è
già accaduto una volta, è solo assecondare una costruzione
mentale. Credere che avremo una chance è dare alla realtà la
“dovuta” possibilità che qualcosa possa andare anche meglio di
ciò che crediamo, che ci sia una risorsa anche dove non l’avremmo
mai trovata, che si possa trovare un'opportunità dove non ne
avevamo idea.
Quindi, sempre provare ad aprire la propria mente a ogni
possibilità e sempre puntare, attraverso meditazione, ricerca e
lavoro di scoperta, a uno o più di quei momenti illuminanti che
probabilmente hai vissuto anche in passato; uno di quei: “Ehi,
effettivamente questa cosa positiva funziona, questa cosa esiste, questa cosa
può aiutarmi, e all'inizio non ci avevo assolutamente pensato”. E qualora in
un qualunque istante questa fiducia venga tradita, semplicemente
sempre migliorare le proprie strategie e tentare ancora.
E sebbene ciò indubbiamente non sia facile a volte, puoi provare a
“sfidare” la limitatezza delle tue prospettive con un solo, semplice
principio: ricordandoti che se non ci sono reali, oggettive evidenze che tu
non possa farlo, allora molto probabilmente puoi almeno cominciare ad
“aprirti gli spazi” con cui capire come potresti farlo.
Fidati del tuo “contrattacco”
Anche se non puoi avere fiducia totale in ciò che accadrà, abbi
almeno fiducia nel modo in cui potrai reagirvi. Già, perché è ovvia
verità di buonsenso quella secondo cui non potrai mai procedere
con il 100% di certezza che le cose andranno come previsto, o che
le tue azioni avranno l’effetto sperato. Anzi, molto spesso la vita ti
metterà davanti a rifiuti, ostacoli imprevisti e fasi di “improvviso
arresto” anche quando avrai dato il massimo.
Ciò nonostante, ricorda sempre che è il tuo pensiero a decidere quale
senso, peso e valore dare a ogni esperienza, e che saranno sempre e comunque
le tue scelte a decretare come reagirvi di conseguenza. Quando per esempio
ti tiri indietro perché le difficoltà sembrano insostenibili, non sono
le difficoltà a farti tirare indietro, sei tu che scegli di tirarti indietro
di fronte a esse, anziché scegliere di combatterle con più vigore e
nuove strategie. Quando scegli di fare quello che ti viene detto da
qualcun altro, anziché pensare un istante in più e scegliere, agire
diversamente, non è l’altro a comandare le tue azioni, ma sei tu che
scegli di fare ciò che l’altro dice. Ricordi d’altronde quanto detto a
inizio libro sulle scelte, no?
Potrai però avanzare nel tuo percorso senza troppo timore degli
imprevisti proprio nel momento in cui sceglierai di rimanere ben
consapevole del fatto che un calo in qualunque campo è
fisiologico; proprio quando farai tua l’idea che un arretramento
non equivale necessariamente a “crollo definitivo”, proprio
quando sceglierai di provare a ricercare il guadagno nascosto
dietro ogni evento spiacevole. O come amo dire, quando ti
impegnerai ad adottare la filosofia che per ogni imprevisto che ti faccia
arretrare di un metro effettuerai una scelta che ci faccia avanzare di cento
metri.
“Le persone di grande successo sono quelle che affrontano qualsiasi circostanza
con la fiducia di riuscire a far andare le cose nel verso desiderato e non una
volta ogni tanto, ma sempre. Esse sanno che possono contare su se stesse.”
(Charles Garfield)
D’altronde non conta tanto davvero ciò che ci viene dato ma
come “alla fine” riusciamo a sfruttarlo. Pete Strudwick, nato senza
mani né piedi, è riuscito a diventare un maratoneta e ha percorso
finora oltre quarantamila chilometri. I Beatles furono rifiutati da
importanti case di produzione con la risposta che “Il tempo della
musica con la chitarra stava finendo”. Michael Jordan fu rifiutato
dalla sua squadra di basket liceale. A Thomas Edison fu dato del
“ritardato mentale”. A Henry Ford fu detto che un motore a otto
cilindri era tecnicamente impossibile da realizzare, prima che lo
facesse. E le loro storie, proprio come quelle di tutti coloro che
durante la propria esistenza sono riusciti a costruire qualcosa di
rilevante, dimostrano che non si realizza certo prendendo meno
batoste o incontrando meno ostacoli degli altri; ma anzi, spesso
dovendo masticare anche molti più bocconi amari, per poi
semplicemente imparare a resistere, guardare avanti, reagire,
recuperare. Verità magari incredibilmente ovvia quando la
leggiamo tra le pagine di un libro, ma troppo spesso dimenticata
quando siamo noi a dovere ingoiare uno di questi bocconi, cadendo
così improvvisamente preda delle “stupidissime” distorsioni del
“questo definirà tutto il mio percorso”. Non crederci, non caderci,
ricorda sempre che il tuo cervello è “scemo”.
Il potere della frustrazione
“Non contrastare le forze, usale.”
(Buckminster Fuller)
Il ripetuto presentarsi di ostacoli e imprevisti può farsi a volte
veramente noioso, tedioso, frustrante, e persino doloroso ma in realtà,
come ormai dovremmo sapere bene, questo è un principio-chiave
alla base di ogni percorso di crescita: visto che nessun percorso di vita
potrà mai andare completamente liscio, la chiave per farcela è nel provare
sempre a scorgere l’opportunità nascosta dietro ogni ostacolo, nello sforzarsi
di chiedersi sempre come trasformare l’impedimento in risorsa, e
nel farlo mantenendo saldi almeno i propri principi essenziali.
Ma questa è una verità tanto ovvia quanto già ripetuta tante volte
nel corso di questo volume. Proviamo quindi ad aggiungere un
ulteriore “livello di lettura” e “sfidiamoci” a tenere a mente che,
proprio se incontriamo ostacoli durante il nostro percorso, allora ci
stiamo molto probabilmente muovendo nella direzione giusta. Perché
i risultati veramente significativi e duraturi possono nascere solo a
partire dal momento in cui decidiamo di affrontare e vincere una
resistenza, alla pari di come il muscolo, in palestra, può diventare
straordinariamente forte unicamente superando la resistenza del
peso che deve sollevare. E, proprio come accade per il muscolo,
maggiore è l’avversità vinta, e maggiori saranno la qualità, l’importanza
e l’efficacia del risultato ottenuto. Perché in teoria dei giochi la strategia
coraggiosa, sprezzante, “laterale” spesso tende a premiare il
partecipante che la mette in pratica. Perché nel vincerle ci saremo
concessi di sviluppare idee, qualità, risorse e conoscenze di valore
elevatissimo. D’altronde in fondo, la capacità di superare ostacoli e
ottenerne crescita, forza, lezioni, informazioni nuove è talmente
scolpita nella nostra biologia che quella di imbracciare sempre e
continuamente questo principio può essere una delle “banalità”
più potenti a nostra disposizione. E se proprio ciò che abbiamo
incontrato ci secca in un modo che troviamo frustrante al punto
da risultarci ingestibile, ecco che potremmo provare a
“provocarci” con la domanda: “Cosa, di positivo, posso realizzare
SOLO ORA che la crisi, l’ostacolo, l’impedimento si è manifestato?”. C’è
un’enorme potere oggettivo, strategico, biologico, nella nostra
capacità di gestire la frustrazione!
“Le organizzazioni che hanno bisogno di maggiore innovazione sono proprio
quelle che fanno di tutto per impedire che la si attui.”
(Seth Godin)
“Se gli ostacoli e le difficoltà scoraggiano un uomo mediocre, al contrario al
genio sono necessari, e quasi lo alimentano.”
(Theodore Gericault)
“La vera misura di un uomo non si vede nei suoi momenti di comodità e
convenienza, bensì tutte quelle volte in cui affronta le controversie e le sfide.”
(Martin Luther King)
Pigmalione 2.0
In una soleggiata regione della California, lo psicologo Robert
Rosenthal intraprese un esperimento che avrebbe sfidato le
convenzioni su come percepiamo le capacità umane. Selezionò un
gruppo di studenti e istruì gli insegnanti a elogiarne
continuamente solo una parte per la loro intelligenza e il loro
potenziale. La reazione? Come Rosenthal aveva ipotizzato, questi
studenti migliorarono notevolmente le proprie performance
scolastiche; questo fenomeno venne poi battezzato come “Effetto
Pigmalione”, un riferimento al mitico scultore cipriota che,
secondo la leggenda, si innamorò talmente della sua creazione da
darle vita.
Ma come accade spesso nella scienza, la comprensione profonda
di un fenomeno richiede tempo e ulteriori dati. Gli studi “Praise for
intelligence can undermine children’s motivation and performance” del 1998
e “Why do beliefs about intelligence influence learning success? A social
cognitive neuroscience model” del 2006 hanno sfidato la convenzionale
saggezza di Rosenthal. Essi infatti hanno suggerito che, anche se
ci può sembrare intuitivamente ragionevole elogiare qualcuno
come “intelligente” o “capace”, in un simile approccio ci possono
essere diverse insidie inattese. Quando etichettiamo qualcuno
come “intelligente”, potremmo infatti involontariamente suggerire
che il loro successo è dovuto a una qualità innata e immutabile,
piuttosto che ai loro sforzi o al loro desiderio di crescita. Questo
può portare a una vera e propria mentalità “fissa”, dove gli
individui evitano sfide per paura di fallire e perdere la loro
“preziosa etichetta”; oppure, sfruttano tutti i trucchi a propria
disposizione (mentire, perseguire sfide appositamente facili, falsare
i risultati) pur di confermarle a tutti i costi. In contrasto, come
rivelato dagli studi appena citati, coloro che vengono elogiati per
la loro tenacia o la loro capacità di lavorare duro e affrontare le sfide che si
presentano, spesso mostrano una maggiore resilienza di fronte alle
avversità e sono più propensi a intraprendere sfide rischiose.
Ecco le riflessioni cruciali che quindi si potrebbero estrarre da
quanto detto finora:
1. La biologia stessa dell’essere umano si fonda sulla sua capacità
di crescere, adattarsi e cambiare. Ridurre una persona a
un’etichetta, anche positiva come “intelligente”, potrebbe
dunque anche soffocare del tutto questa intrinseca dinamicità.
È pertanto fondamentale che celebriamo la nostra (e altrui)
capacità di svilupparci, imparare dagli errori e crescere,
piuttosto che confinare chiunque in una categoria statica.
2. Siamo infinitamente più complessi di ciò che le etichette
possono suggerire; quando pertanto parliamo di noi stessi o
degli altri, sarà molto più costruttivo concentrarsi, nello
specifico, sui comportamenti e sul potenziale, più che sul
tentativo di ridurre la natura di qualcuno a pochi termini
semplici. Elogiare qualcuno (o noi stessi) per il suo “eccellente
impegno” o per “aver affrontato nobilmente una sfida” è molto
più potente e motivante che elogiare una qualità innata. Questo
infatti sposta l’enfasi dalla semplice esistenza di un talento
all’uso attivo di quel talento; inoltre, evita le trappole correlate a
un vero e proprio senso di “compromissione della propria
identità” nel momento in cui si dovesse improvvisamente avere
a che fare con uno “svarione” di qualunque genere.
Questo discorso poi, in realtà, può anche essere facilmente
integrato con quanto abbiamo visto poco fa a proposito degli
equilibri tra meccanismi biologici e psicologici. Come molti di voi
avranno già avuto modo di notare, la propria percezione di sé
dipende in gran parte dai livelli di energia del proprio corpo: una
giusta scarica di adrenalina può farci sentire come delle letterali
“divinità in terra”, così come un momento di calo energetico può
portarci a “demolire” completamente in pochi attimi tutto ciò che
di buono abbiamo mai pensato su noi stessi; chiaro che queste
sono estremizzazioni che, ancora una volta, dipendono in gran
parte anche dai propri valori e convinzioni, ma proviamo a
prenderle per buone. In quest’ottica, possiamo scatenare un ciclo
virtuoso riprendendo alcune delle tecniche viste qualche pagina fa:
freddo, caffeina, esercizio fisico, stress convogliato e controllato,
cura della propria salute generale, sono tutte cose che possono
“magicamente” e improvvisamente aumentare il nostro senso
“biologico” di autostima, che possiamo poi rafforzare con delle
etichette “ragionevolmente costruite” e con le conferme che
scaturiranno dal nostro agire con determinazione e intelligenza.
Punta a un “costante accumulo energetico”
Passiamo a un po’ di fisica, ti va? Giuro che sarò breve.
Prendiamo in esame, in particolare, la legge della conservazione
dell’energia, che almeno nella sua forma più colloquiale e intuitiva
recita che in natura “l’energia può essere trasferita ma non creata né
distrutta”; oppure, come disse Richard Feynman, “è solo un fatto
un po’ strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando
finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e
ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato”. Proviamo
ora a partire da questo principio, e se la connessione con il nostro
discorso vi dovesse sembrare forzata, sentitevi liberi di scartarla.
Data per “buona” infatti la legge appena menzionata, ogni nostra
azione riverserà inevitabilmente sulla realtà delle energie, intese
proprio come capacità di svolgere un lavoro, e quindi potenzialità per
avere un impatto e apportare un cambiamento all’ambiente circostante. E
pertanto ogni nostro timore non può che rimanere infondato di
fronte alla realtà fisica e oggettiva che queste energie, un lavoro,
devono svolgerlo per forza. Può trattarsi di un lavoro irrilevante, può
trattarsi dell’equivalente del lanciare una pallina contro un muro di
gomma, ma anche lì ricorda che pur nell’atto stesso di far rimbalzare la
pallina indietro, il muro di gomma dovrà comunque alterare in parte il
proprio stato.
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Sfidare il mondo di m…
Spencer Silver e Arthur Fry, una storia di “fiducia nella soluzione
senza problema”
Nel 1968, Spencer Silver, un chimico che lavorava per la 3M (una nota
multinazionale di prodotti industriali), stava cercando di sviluppare un nuovo
tipo di adesivo super forte. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi, il risultato fu
esattamente l’opposto; Silver creò infatti un adesivo che non risultava
particolarmente potente, ma aveva la peculiarità di essere riutilizzabile e non
lasciava residui sulla superficie a cui era attaccato. Era un risultato di per sé
interessante, ma Silver faticò a trovare un'applicazione commerciale per la sua
scoperta. Tuttavia, mantenne la fiducia nella possibilità di “riutilizzare
costruttivamente quel fallimento parziale” e continuò a promuovere la sua
invenzione all'interno dell'azienda.
Sei anni più tardi, nel 1974, un collega di Spencer Silver di nome Arthur Fry
stava affrontando un problema che avrebbe potuto finalmente richiedere
l’invenzione di Silver stesso. Fry infatti era un corista nella sua chiesa locale e
usava spesso dei segnalibri per tenere il posto nel suo libro di canti. Tuttavia, i
segnalibri avevano la tendenza a cadere, causando a Fry non pochi problemi.
Durante un seminario interno della 3M, Fry sentì pertanto parlare dell'adesivo
di Silver ed ebbe un’idea: quel tipo di adesivo poteva essere proprio la soluzione
al suo problema!
Fry sviluppò dei segnalibri con l'adesivo di Silver e li trovò molto utili. Ma la sua
visione non si fermò lì. Realizzò che i segnalibri potevano essere utilizzati non
solo nei libri di canti, ma in una varietà di contesti dove era necessario lasciare
note temporanee. Fry e Silver così lavorarono insieme per sviluppare il
prodotto che oggi conosciamo come Post-it.
Lanciato nel 1980, il Post-it fu un successo enorme, e oggi si caratterizza per
essere uno di quei “prodotti analogici” ancora largamente usati nonostante i
nuovi livelli di note-taking offerti dall’ “era digitale”. E così, questa storia rimane
un esempio perfetto di come la fiducia nel fatto che “prima o poi” si possa
riutilizzare anche un apparente fallimento può generare opportunità
straordinarie. Banale magari, ma quante volte siamo troppo occupati a “leccarci
le ferite” per scorgere tutte le potenzialità nascoste in situazioni del genere?
La “provocazione”
Se smettessimo di credere a una cosa in particolare,
qualcosa a cui teniamo molto, quanto ciò potrebbe
risultarci liberatorio?
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L'autore
Danilo Lapegna, classe 1986, e fondatore e CEO del “Kintsugi Project”,
è un professionista, ingegnere e studioso con un'insaziabile passione
per l'apprendimento, la scoperta e il progresso umano. Sin dalla sua
infanzia, ha dimostrato una precoce fascinazione per il massimo
potenziale del cervello umano, divorando libri a tema scientifico, ed
emergendo come un campione di memoria televisivo all'età di soli sei
anni.
Danilo, con la sua formazione accademica da ingegnere informatico,
dirige da anni con successo team internazionali impegnati in progetti
software di grande impatto nel fervente mondo delle start-up del
Regno Unito. Tuttavia, la sua passione più profonda affonda le sue
radici nell'amore per la multidisciplinarietà, e per la capacità di
generare valore attraverso la sintesi e l’integrazione di principi estratti
dalla filosofia, dalla psicologia, dalle neuroscienze, dalla “smart
productivity”; ma soprattutto, attraverso l'armonizzazione di tutto ciò
con un incrollabile desiderio di contribuire al benessere altrui. Da più di
un decennio infatti, attraverso lo pseudonimo di “Yamada Takumi”, ha
sfruttato queste sue passioni scrivendo libri a tema che hanno venduto
oltre 50.000 copie, scalando le classifiche di vendita su Amazon,
aiutando migliaia di persone attraverso il suo blog e ricevendo enorme
attenzione mediatica per il loro successo nel settore dell'auto-
pubblicazione.
E così, “Il Kintsugi Project” rappresenta il tentativo “definitivo”, suo e del
suo staff, di reinventare l’approccio all’evoluzione personale, atto a
decostruire tutta la “fuffa” e i paradigmi obsoleti e disfunzionali di
questo settore, per poi rivolgere la propria scommessa verso sistemi di
autoterapia, benessere psicofisico, “skill development” e “produttività
intelligente” che abbiano radice nella scienza, nella ricerca, e
soprattutto in un ecosistema condiviso che possa favorire una crescita
individuale e "personalizzata", che sia scolpita sui valori e sulle esigenze
di ognuno.
Bibliografia e
approfondimenti
Sulla dopamina
“Predictive Reward Signal of Dopamine Neurons”, di Schultz
(1998)
“Multiple Dopamine Functions at Different Time Courses”, di
Schultz (2007)
“The Mysterious Motivational Functions of Mesolimbic
Dopamine”, di John D. Salamone, Mercè Correa (2012)
“Dopamine, Updated: Reward Prediction Error and Beyond”, di
Talia N. Lerner, Ashley L. Holloway, Jillian L. Seiler (2021)
Libro: “Dopamine Nation: Finding Balance in the Age of
Indulgence”, di Dr. Anna Lembke. (2021)
Libro: “The Molecule of More: How a Single Chemical in Your
Brain Drives Love, Sex, and Creativity - And Will Determine the
Fate of the Human Race”, di Daniel Z. Lieberman MD, Michael
E. Long. (2018)
Libro: “Habits of a Happy Brain: Retrain Your Brain to Boost
Your Serotonin, Dopamine, Oxytocin, & Endorphin Levels”, di
Loretta Graziano Breuning. (2015)
Sulla visualizzazione e sulle “simulazioni mentali”
“Visual mental imagery and visual perception: Structural
equivalence revealed by scanning processes”, di Gregoire Borst &
Stephen M. Kosslyn (2008)
“Best practice for motor imagery: a systematic literature review on
motor imagery training elements in five different disciplines”, di
Corina Schuster, Roger Hilfiker, et al. (2011)
“Using motor imagery practice for improving motor performance
– A review”, di Aija Marie Ladda, Florent Lebon, Martin Lotze
(2021)
“Chapter 15 - Aphantasia: The science of visual imagery
extremes”, di Rebecca Keogh, Joel Pearson, Adam Zeman (2021)
“Acquisition and consolidation processes following motor imagery
practice”, di Célia Ruffino, Charlène Truong, et al. (2021)
“Motor Imagery Combined With Physical Training Improves
Response Inhibition in the Stop Signal Task”, di Sung Min Son,
Seong Ho Yun, Jung Won Kwon (2022)
“Mental practice modulates functional connectivity between the
cerebellum and the primary motor cortex”, di Dylan Rannaud
Monany, Florent Lebon, et al. (2022)
Sull’esercizio fisico
“Health benefits of physical activity: the evidence”, di Warburton,
Nicol, Bredin (2006)
“Aerobic Exercise and Neurocognitive Performance: A Meta-
Analytic Review of Randomized Controlled Trials”, di Smith,
Blumenthal, Hoffman (2010)
Su motivazione, ricompensa, abitudini, e altri argomenti.
“Self-regulation and depletion of limited resources: Does self-
control resemble a muscle?”, di Muraven, Baumeister (2000)
“High Self-Control Predicts Goo adjustment, Less Pathology,
Better Grades, and Interpersonal Success”, di Tangney,
Baumeister, Boone (2004)
“Separate Neural Systems Value Immediate and Delayed
Monetary Rewards”, di McClure, Laibson, Loewenstein et al.
(2004)
“Grit: Perseverance and passion for long-term goals.”, di
Duckworth, Peterson, Matthews et al. (2007)
“Dispositional optimism and physical health: A Long Look Back,
A Quick Look Forward”, di Carver, Scheier (2014)
“Psychology of Habit”, di Wendy Wood, Dennis Ringer (2015)

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Come realizzare cose meravigliose in un mondo di merda.pdf

  • 1.
  • 2. Come realizzare cose meravigliose… in un mondo di merda di Danilo Lapegna Metodi pratici per crescere, realizzare, cambiare le cose... ... anche quando tutto il mondo ci rema contro! ESTRATTO GRATUITO Nuova edizione GEM
  • 3. Come realizzare cose meravigliose… ..............................................1 I - Imbraccia il tuo “superpotere fondamentale”............................8 II - “Muovi i pezzi” prima degli altri .............................................16 III - Carpe diem.............................................................................22 IV - Esprimi un “coraggio senza limiti” .......................................30 Nutriti del “boost fisiologico” ...................................................................................31 Temi… il tuo pranzo!..................................................................................................32 Guarda solo al “danger index”...................................................................................33 Fagli vedere chi sei. Ma a chi? ....................................................................................34 Zittisci le “voci” ...........................................................................................................35 Deresponsabilizzati......................................................................................................37 Un tuffo nella zona di “gestibile panico”.................................................................38 Esponiti a più “docce gelate”?...................................................................................39 V - Fai il pieno del tuo “carburante ideale”...................................43 Conosciti meglio...........................................................................................................44 Prova a riscoprire dei “link” emotivi.........................................................................47 Non scegliere a ca… volo...........................................................................................48 Intervieni sul tuo stato fisiologico.............................................................................49 Prova a identificare qualche dubbio..........................................................................50 A fa****o la motivazione!...........................................................................................51 VI - Ispeziona la “dubbio-bibbia”.................................................56 Ho paura degli ostacoli e dei problemi che si stagliano davanti?..........................57 La situazione nella quale mi sto muovendo ha troppe incognite?........................59 Non credo davvero nel mio obiettivo?.....................................................................62 C’è una tentazione nelle alternative o, peggio, nelle scappatoie?..........................63 Credo di stare puntando a “troppo”? .......................................................................65 Ho paura di “espormi”?..............................................................................................66
  • 4. Mi è chiaro almeno a grandi linee cosa voglio, ma non come realizzarlo?..........67 VII - Imbraccia “il potere nel tuo DNA”.......................................72 VIII - Lasciati animare dal tuo “demone” ....................................79 IX – Imbraccia una “fede razionale”.............................................92 La mente è scema.........................................................................................................93 Fidati del tuo “contrattacco”......................................................................................94 Il potere della frustrazione..........................................................................................96 Pigmalione 2.0 ..............................................................................................................98 Punta a un “costante accumulo energetico”..........................................................100 X - Resisti e procedi .....................................................................105 Non sottovalutare la tua sensibilità .........................................................................107 Non smarrirti nei “settori vuoti”.............................................................................108 Impara..........................................................................................................................110 Avvicinati al “momento di fioritura”......................................................................111 XI - Attacca, anche se con la spada spezzata...............................116 XII - Punta a una mentalità “limitless” .......................................122 Ripulire i “circuiti neurali” dal passato ...................................................................125 Osserva e prendi in giro............................................................................................126 Avvia un’indagine “scientifica”................................................................................127 Cara vecchia visualizzazione, ci sei sempre quando ho bisogno di te! ..............129 Diventa quella realtà..................................................................................................130 XIII - Riscopri la “bellezza nell’autodisciplina”..........................133 Ottimizzazione energetica........................................................................................135 Un kit contro le “brutte abitudini” .........................................................................137 Autodisciplina… perpetua?......................................................................................147 XIV – I tre “segreti” dell’efficacia................................................151 XV - Ora, vai a fare… “cose meravigliose”!.................................157
  • 5. CAPITOLO BONUS - Tecniche di produttività “insolite”.........162 Grazie per la tua lettura! ...............................................................167 Ma c’è di più… .............................................................................168 L'autore ........................................................................................175 Bibliografia e approfondimenti....................................................177 Disclaimer.....................................................................................181
  • 6. Come realizzare cose meravigliose… “Dovete possedere totale risolutezza. Il peggior avversario in cui può capitare di imbattervi è uno il cui proposito è diventato un’ossessione. Ad esempio, se un uomo ha deciso di dovervi staccare il naso con un morso, non importa cosa gli succeda nel corso dello scontro, con ogni probabilità egli ci riuscirà. Potrà anche essere picchiato selvaggiamente, ma ciò non gli impedirà di raggiungere il suo scopo. Questo è il vero combattente.” (Bruce Lee) Se sei qui vuol dire che probabilmente il titolo, almeno in parte, ha attirato la tua attenzione o curiosità. E magari, ipotizzo, che lo abbia fatto proprio quell’espressione “colorita” sull’essenza del mondo. Che vuol dire che siamo in un “mondo di merda”? Lo siamo davvero? Rispetto a quale altro “mondo” o idea dello stesso?
  • 7. Immagino che queste domande, se fatte a ognuno di voi, rivelerebbero risposte ogni volta profondamente diverse. Cerchiamo però di farci strada nella nebbia delle mille possibili opinioni sul mondo e chiariamo una cosa: Chi ha già letto il mio altro libro “Come essere felici in un mondo di merda” sa bene infatti che questa espressione… altro non è che una provocazione. Viviamo certamente in un’epoca piena di difficoltà, ingiustizie e diseguaglianze, ma non intendo neppure sottolineare quanto la nostra sia comunque una società dotata nel complesso di molto più benessere e coesione rispetto anche a solo 100 anni fa, perché non sarebbe quello il punto; ciò che qui conta, infatti, è che questo libro vuole provare a insegnare un metodo di crescita e realizzazione che sia universale, e in quanto tale funzioni in ogni tipo di epoca, sia essa di crisi, crescita, recessione, paradiso terrestre o post-apocalisse. Se è vero d’altronde che la nostra specie è l’unica in grado di fare cose terribilmente idiote, allo stesso tempo sarebbe da folli negare l’altro lato della medaglia, ossia come siamo anche gli unici grado di creare arte, scienza, cultura, progresso tecnologico e di farlo anche nelle epoche più disastrose. Perché la verità oggettiva è che nella nostra spontanea curiosità, nel nostro intimo desiderio di raggiungere nuovi orizzonti, nella nostra capacità di evolverci e apprendere, è scolpita una “miracolosa” capacità di creare cose nuove e, con esse, modificare profondamente l’ambiente che ci circonda, indipendentemente dall’avversità delle condizioni iniziali. Il libro che avete tra le mani pertanto proverà proprio a indagare l’essenza di questa “forza umana” straordinaria: come possiamo appropriarcene come individui e imbracciarla al suo massimo potenziale? Come possiamo sfruttare al massimo e al meglio quello stesso potere che ci ha portati, nonostante tutto, a conquistare i mari, esplorare nuove terre, comprendere i misteri della genetica e dell’atomo, e finanche a sondare i misteri dello spazio-tempo? Non ti nasconderò fin d’ora che nel “metodo” che troverai illustrato in questo volume non ci saranno “segreti” o “trucchetti” di alcun tipo. È tutta una questione di imparare a non incolpare mai il
  • 8. mondo o l’epoca che si sta vivendo e piuttosto responsabilizzarsi, lavorare intelligentemente, e sviluppare tutta la capacità decisionale necessaria per “navigare nel caos”. Complici gli insegnamenti di maestri e filosofi ben più autorevoli di me, tutta la ricerca scientifica che abbiamo a disposizione sull’argomento, nonché le storie di grandi artisti, intellettuali, atleti e imprenditori che hanno fatto la differenza, in questo prezioso volumetto troverai un insieme di “semplici appunti” con cui allenare e sviluppare queste doti nella tua quotidianità; con cui modellare giorno dopo giorno il tuo “io in grado di fare cose meravigliose anche nel peggiore dei mondi”; quell’ “io a pieno potenziale” che proprio come ogni opera d’arte di michelangiolesca memoria, non fa che attendere, dormiente, di essere scolpito fuori dal marmo. E che potrai usare... per scrivere finalmente il tuo libro? Ottenere finalmente quell’aumento a lavoro? Realizzare una volta e per tutte il sogno di comprare una casa sulla spiaggia? Il cassetto con i tuoi sogni è lì, e non posso sapere cosa ci hai riposto. E, ti dirò, non posso prometterti in alcun modo che il percorso sarà semplice, o che ti porterà esattamente dove volevi, ma posso garantirti che ne varrà la pena. Ma soprattutto, ti garantisco che questo manuale proverà a indicarti la strada nel pieno spirito che anima il Kintsugi Project da oltre dieci anni: ovvero, fornendoti solo principi saldamente radicati in ciò che la ricerca scientifica ha rivelato (come evidenziato anche nella ricca bihliografia a fine testo), unito alla nostra instancabile costruzione di una filosofia di crescita sana e compassionevole. Ogni manuale per noi rimane l’occasione per offrire il testo più “denso di segnale” sull’argomento possibile; un’occasione eccellente per farsi strada nell’infinito rumore che spesso pervade le nostre vite e, ancor più, il mondo del self-help e della crescita personale. Prima di concludere, quindi, ti presento le novità: in questa nuovissima edizione, oltre a una sostanziale “rinfrescata” dei contenuti, ho pensato di aggiungere due sezioni fondamentali alla fine di ogni capitolo: • Una è “Sfidare il mondo di m…”, ossia un piccolo racconto, una storia vera che aiuti a dimostrare che tutti i principi illustrati fino a quel momento sono ben più che un insieme di “vaghe
  • 9. astrazioni” e che, anzi, possono risultare veramente potenti se applicati nel modo giusto. • La seconda invece è stata aggiunta per “metterti un po’ più in crisi”, è chiamata “La provocazione”, e ti lascerà con un piccolo spunto con cui sfidare attivamente la validità dei contenuti letti fino a quel momento. L’intento da parte mia, ovviamente, non è quello di “affermare tutto e il contrario di tutto”, ma di ravvivare al massimo il tuo intuito e senso critico. Potresti usare quella “provocazione”, per esempio, per confermare ulteriormente la validità di quanto letto. Potresti usarla per riformulare i principi appena visti sulla base della tua natura, del tuo carattere. Oppure sì, potresti finire anche con lo smontarli completamente, se è lì che le tue conclusioni ti conducono. Nonostante infatti creda fermamente nell’importanza dei concetti illustrati nei vari capitoli, credo molto anche nella straordinaria forza intellettuale del paradosso, dell’apparente contraddizione, della sfida del far convivere due principi apparentemente contrapposti. Un po’ come accade in quei racconti Zen che si concludono all’improvviso con un’affermazione paradossale, credo che questa modalità rappresenti l’equivalente dello scoccare una freccia diretta al “nucleo” della nostra consapevolezza; un vero e proprio “attacco concettuale” che all’impatto accenda qualcosa e ci invogli a riflettere in modi inediti. E così, senza certo vantare la pretesa di raggiungere il livello di brillantezza di un racconto Zen, non mi resta che sperare che da questo libro tu sappia estrarre il massimo valore possibile. Ma ora ti auguro il mio più sincero “in bocca al lupo”, e ricorda: se hai dei feedback per noi, proposte, richieste, suggerimenti di qualunque tipo, scrivici a info@kintsugiproject.net Danilo Lapegna
  • 10. IV - Esprimi un “coraggio senza limiti” “Il coraggio è sapere cosa non temere” (Platone) Parte dei limiti che ci vengono imposti nella nostra vita è scaturita da vincoli oggettivi, fisici, temporali; da costanti di fronte alle quali non possiamo letteralmente fare nulla. Il tempo che scorre, la nostra mortalità, i limiti cellulari del nostro corpo. Il problema però, tuttavia, è nel fatto che invece un’altra, enorme parte dei limiti che ci imponiamo derivano da ciò che la paura ci fa evitare. Tra quintali di letteratura scritta e cinematografica su di lei, tra montagne di studi psicologici e psichiatrici che cercano di afferrarne la natura, tra milioni di scelte fatte e non fatte a causa sua, probabilmente la paura è infatti una delle emozioni più suggestive dello spettro umano. Una sensazione antica e primordiale, scolpita nella nostra natura per difenderci dai più terrificanti pericoli, ma che tuttavia, con l’aumentare della complessità dei nostri pensieri e del nostro mondo, è finita per diventare troppo spesso uno strenuo alleato delle nostre più autolesioniste pi**e mentali.
  • 11. Già, perché il più delle volte, quando avvertiamo quei tremori, quei brividi gelati, quel cuore che sussulta di fronte all’idea di entrare in un aereo, di chiedere a quella ragazza o a quel ragazzo di uscire, o di dover tenere un discorso davanti a una platea, non facciamo altro che elevare alla stregua di pericoli mortali dei semplici frutti della nostra immaginazione. E lasciando così un “eccessivo potere” a questi impulsi, lasciando che si impossessino dei nostri schemi cognitivi e riconoscendo agli stessi più potere e affidabilità di quanto meriterebbero, riempiamo la nostra vita di muraglie, strade evitate, eterne procrastinazioni; il che può finire con l’avere una “perdita di interesse composto”, sul lungo termine, assolutamente devastante. Vediamo quindi assieme le “regole d’oro” da seguire per puntare a una migliore gestione emotiva delle nostre paure, e fare così un ulteriore passo verso un’espressione “ottimale” del nostro potenziale umano: Nutriti del “boost fisiologico” Principio base di qualunque arte strategica: accettare “il nemico” per ciò che è e quindi ricordarsi che la paura è una sensazione perfettamente normale, di natura evolutiva e che in quanto tale nasce per essere adattiva. Senza la capacità di provare paura, infatti, non potremmo mai renderci conto di alcun pericolo, sia esso esterno o annidatosi dentro di noi. La paura, l’orrore, e finanche il disgusto, sono tutte cose che ci ricordano che esistiamo, che siamo vivi e che vogliamo tenerci al riparo da ciò che potrebbe danneggiarci fisicamente o psicologicamente. Senza contare che tutte le reazioni fisiologiche che ne conseguono, come l’aumento della pressione sanguigna o della tensione mentale e muscolare, sono indispensabili alleati che potranno aiutarci a programmare la migliore reazione possibile a tale pericolo. Pertanto non “demonizzare”, reprimere, rigettare mai la sensazione in sé, perché non faresti altro che inasprirne e peggiorarne la reazione fisiologica. Punta piuttosto a trasformarla in una “finestra privilegiata” sul tuo io e sulle cose che ti circondano, in una risorsa. In un’occasione per beneficiare di quella “attivazione neurale aumentata” che non fa che migliorare l’afflusso del tuo
  • 12. sangue al cervello, l’ossigenazione delle tue cellule e la circolazione di sostanze nutritive nel corpo. Si dice per esempio che Bruce Springsteen, per fronteggiare la propria iniziale paura di esibirsi in pubblico, sfruttasse tali reazioni fisiologiche definendole una normale “eccitazione” dovuta alla sfida del proprio confronto con la platea. E che grazie a questa semplice fase di accettazione e “ridefinizione” delle proprie reazioni, le abbia così pian piano domate e sconfitte. Può sembrare una sciocchezza priva di senso, eppure è qualcosa di solido, scientificamente comprovato, scolpito a fondo nei nostri meccanismi fisiologici: le nostre reazioni non sono solo le “nostre reazioni”, ma anche le narrazioni che vi ricamiamo intorno; e a diverse narrazioni, il nostro cervello attiva connessioni neurali differenti, proiettandoci così in stati d’animo completamente diversi. Provare per credere! Temi… il tuo pranzo! Il tuo timore di qualcosa è spesso non paura della “cosa in sé”, ma del tuo averne fatto un involucro per le tue insicurezze. Già, un involucro e nulla più, perché è assai probabile che tu possa subire cose peggiori qui, adesso, mentre siedi comodamente sul tuo divano, mangiando un panino al prosciutto che ti potrebbe strozzare, che mentre sei lì fuori su un deltaplano o a fare bungee jumping. Può sembrare un concetto estremo nel suo cinismo ma è proprio così che funziona il nostro cervello: tutto ciò che ci risulta in qualche modo familiare, fosse anche una sfida estrema ma consueta, ci darà molta più sicurezza rispetto a qualcosa di magari meno rischioso, ma estraneo (ciò, d’altronde, è stato ampiamente confermato da gran parte della letteratura scientifica e psicologica a tema, come lo studio Fear-relevant selective associations and covariation bias del 1989). Molto quindi qui del “segreto per non farsi fregare” sta nel provare a comprendere la “stupidità” e fragilità di questo meccanismo. Chiaro che non è pensabile l’idea svegliarsi un giorno e cercare di “rimuovere chirurgicamente” dal proprio cervello i propri bias e distorsioni. Tuttavia, cominciare a
  • 13. classificarli come tali, a mio avviso, è già un ottimo primo passo per provare a mitigarli e debellarli. Ecco, d’altronde dove una giusta consapevolezza dei concetti di familiare ed estraneo si rivela fondamentale; perché questi termini sì, in realtà, sono solo costruzioni mentali, prodotti della nostra percezione e interpretazione del mondo. La verità, però, è che ogni cosa, ogni esperienza, ogni sfida può diventare “più familiare” se ci impegniamo a interagire con essa, a conoscerla, a esplorarla (naturalmente, sempre nel rispetto delle necessarie precauzioni in caso di pericoli reali). Immaginati questo processo di “riscrittura delle tue classificazioni mentali” come un vero e proprio gioco, un gioco di flessibilità mentale e adattabilità. Una sfida in cui il campo da gioco è la tua mente, e le regole sono fatte per essere riscritte. In questo gioco, ci liberiamo di ogni aspettativa “preconfezionata” sulla situazione e su noi stessi. Ci apriamo all’ignoto, all’estraneo, all’inusuale, e lo facciamo con tutta la curiosità e apertura necessaria. E il premio “da un milione di dollari” a questo gioco è lì: nello scoprire quanto bene e velocemente possiamo adattarci alle novità che si presentano alla nostra attenzione. Scoprire che possiamo trasformare l’estraneo in familiare, l’ignoto in conosciuto. Scoprire che possiamo espandere i confini della nostra comfort zone, rendendo il nostro mondo un po’ più grande, un po’ più ricco, un po’ più affascinante. In questo processo, scopriamo anche noi stessi, la nostra resilienza, la nostra capacità di adattamento, la nostra forza interiore; e quale premio, in fondo, potrebbe mai essere più prezioso di questo? Guarda solo al “danger index” Quanto detto nel precedente punto dovrebbe averti già aiutato a capire che esiste spesso un profondo divario tra il pericolo percepito e il pericolo effettivo in una situazione. Se il pericolo infatti fosse effettivamente misurabile attraverso un “Danger Index”, un vero e proprio numero, che data la situazione “rischiosa” ne valuti l’entità del danno e la probabilità con cui questo danno si verifichi, la
  • 14. nostra paura sarebbe tutto ciò che moltiplica ai nostri occhi tale indice anche di migliaia di volte, specialmente laddove: • Il pericolo percepito sia più suggestivo. • Il pericolo percepito vada a toccare una corda più intima della nostra sensibilità. Poco dopo un attentato terroristico per esempio si scatena nella maggioranza delle persone una vera e propria “psicosi da terrorismo”. Treni, aerei, metropolitane, ogni mezzo pubblico diventa un potenziale bersaglio di un attacco e si vive letteralmente nel terrore di esserne le potenziali vittime. E così magari la decisione più comune è quella di prendere l’automobile, mezzo che secondo un rapporto dell’OMS del 2022, ha ucciso 1.3 milioni di persone all’anno. Come reagiremmo se nel mondo occidentale ci fosse un gruppo armato che ogni anno fa fuori quasi un milione e mezzo di persone, scegliendole completamente a caso, in giro per il mondo? Perché non c’è in giro alcuna “psicosi da automobile” se l’automobile uccide più della più spietata organizzazione terroristica mai esistita? Tutto sta insomma nel cercare di recuperare un senso della realtà, nel non cadere nel tranello del prestare attenzione solo alle ipotesi più suggestive e personali; ma soprattutto, laddove una situazione presenta dei pericoli effettivi, il “segreto” è nel cercare di riconoscere quelle oggettivamente più probabili e dannose, e di farlo tanto più qualora esse suscitino magari meno attenzione e clamore di quelle più improbabili. Fagli vedere chi sei. Ma a chi? Questo è nulla più che un “piccolo gioco mentale”, che tuttavia sono sicuro possa risultare estremamente efficace per alcuni di voi: prova a pensare alla tua vita, al tuo passato, e prova a fare una raccolta mentale dei momenti più belli. Sono sicuro che tra essi avrai annoverato quelli in cui hai percepito l’adrenalina scorrere nell’affrontare una tua paura e superare, per questo, una limitazione che credevi insuperabile. Prova ad affidarti dunque proprio a questo: al tuo orgoglio, alla tua volontà di eccitazione, di
  • 15. adrenalina, di realizzazione. Non consentire alla paura di farti essere e ottenere meno di quanto potresti. Non consentire alla paura di farti essere e ottenere meno degli altri. Non consentire ai limiti dettati dall’emozione di diventare le tue prigioni. E poi sai quante manipolazioni nel mondo contemporaneo si basano esattamente sul diffondere paura, impotenza e insicurezza? Vuoi davvero accettare queste manipolazioni senza fare nulla? Oppure, ammettiamo anche di scartare l’ipotesi “manipolazioni” qualora ad alcuni di voi suoni, a ragione, eccessivamente complottista, e ragioniamo in termini di “what if”: se qualcuno, in stile “The Truman Show” stesse lavorando nell’ombra per coltivare e amplificare ogni tua insicurezza perché ne ottiene beneficio, vorresti continuare a essere un ingranaggio in questo macchinario? Vorresti continuare a essere un attore inconsapevole in uno spettacolo che non hai scelto di recitare? Prova, pertanto, a riflettere proprio su questo: ogni volta che cedi alle paure irrazionali, ogni volta che permetti a un’insicurezza di limitare le tue azioni, stai rinunciando a una parte di te stesso. Stai rinunciando alla tua libertà di scegliere, alla tua libertà di agire, alla tua libertà di essere te stesso. E, così facendo, stai consentendo al “governo ombra” nella tua mente di continuare a dettare le sue regole, a plasmare la tua realtà, a definire i tuoi limiti. Zittisci le “voci” Spesso le paure che più compromettono le nostre giornate sono il risultato di una forma, a volte lieve a volte più grave, di nevrosi ossessiva. Ossia, una condizione in cui i nostri schemi mentali sono talmente calamitati da un’idea paurosa, che la stessa si auto- alimenta, inducendoci a rimuginare continuamente su altri pensieri che la confermino e la tengano “viva”. La paura di prendere un aereo, per esempio, costringe la mente a dipingere mille nuove scene in cui ogni passaggio dall’arrivo in aeroporto all’atterraggio, passando per l’attraversamento del metal-detector, si fa pieno di particolari oscuri e terrorizzanti. In questo senso, una volta che si sono prese le cautele necessarie e quindi non si ha più a che fare con una paura di un pericolo reale, diviene necessario spezzare
  • 16. questo meccanismo stesso, magari “togliendo energia” al pensiero primario, ossia: • Osservando le “voci”. Quando le “voci” dei nostri pensieri arrivano alla nostra consapevolezza spesso le subiamo e basta. Se invece ci sforziamo di fare un passo in senso “laterale” e di osservarle con maggiore distacco e con la consapevolezza che esse “non sono la realtà” possiamo già ridurre in parte il “fascino” che esercitano su di noi. • Sforzandoci di non dare loro retta. Fai “silenzio” mentale se riesci, dedicati a fare qualcosa di particolarmente coinvolgente, focalizza completamente la tua attenzione su un’attività che sia “calamitante” abbastanza da permetterti di spezzare il meccanismo. Oppure dedicati alla ripetizione, mentale o vocale che sia, di un mantra. Semplicemente renditi conto di essere “l’alimentatore” di tale circolo vizioso nel momento in cui gli presti attenzione; e quindi, che il miglior modo per indebolire questo loop fino a romperlo potrebbe risiedere in una sana “noncuranza” nei confronti delle sue fonti di energia. • “Chissenefrega”. Si dice che “Il samurai che sa già di esser morto non può avere alcuna paura di morire”. Se è vero infatti che la paura spesso non è nell’oggetto che temiamo ma nel nostro considerarlo un tabù, è altrettanto probabile che a volte, per sfatare questo tabù, non dovremo far altro che “saltare”, anche solo mentalmente, al confronto diretto con lo stesso. Fermati pertanto un secondo e immagina di vivere la peggiore delle conseguenze, la peggiore delle possibilità, la peggiore delle tue paure. Dopodiché urla un: “Chissenefrega, non sono lo schiavo mentale di questa cosa!”. Ciò non solo potrebbe privare il tuo tabù di gran parte del suo fascino negativo ma sarà la tua “dichiarazione di libertà” dall’oggetto della paura stessa e da tutti i pensieri che, nel loro perpetuarsi, in realtà non fanno altro che ridurre il tuo senso di autodeterminazione. • Rimuovendo ogni altra scelta. Questa altro non è che una variante “concreta” della tecnica precedente. Spesso i pensieri auto- perpetuanti più invasivi sono infatti quelli che, di fronte al rischio, ruotano attorno al dubbio di fronteggiarlo o meno.
  • 17. Torniamo per esempio alla super-comune paura di prendere un aereo: il rimanere in aeroporto con l’idea di avere la possibilità di gettare via il biglietto e scappare via può essere incredibilmente oppressivo, in quanto aggravato dall’idea di essere i potenziali responsabili di una scelta di vita o morte. In questi contesti pertanto l’impatto emotivo delle nostre paure irrazionali può essere mitigato nel momento in cui rimuoviamo qualunque scelta alternativa all’affrontarla direttamente. Nel quale ci gettiamo nel mezzo della “sfida” che temiamo senza possibilità di tornare indietro. In questo modo ogni dubbio è rimosso, e ogni pensiero del tipo “vado o non vado”, “lo faccio o non lo faccio” viene completamente silenziato, concedendoci di redirezionare le nostre energie cognitive verso le sfide reali ed effettive che la circostanza comporta. Vuoi continuare a leggere questo capitolo? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito!
  • 18. Sfidare il mondo di m… Sir Nicholas Winton, una storia di “necessario coraggio” Sir Nicholas Winton era un uomo d'affari britannico nato nel 1909. Nel 1938, durante una visita a Praga, fu testimone delle terribili condizioni in cui vivevano i rifugiati ebrei che erano fuggiti dalla Germania e dai territori sudeti annessi al Terzo Reich. In un atto di vero coraggio e di profonda umanità, Winton decise di fare qualcosa. Organizzò otto treni per trasportare 669 bambini, per lo più ebrei, dalla Cecoslovacchia al Regno Unito, salvandoli così dall'Olocausto. Quest'operazione venne poi denominata "Kindertransport". Winton dovette confrontarsi con una serie di ostacoli burocratici per riuscire a far uscire i bambini dal paese. Ma non si arrese. Creò documenti falsi per i bambini, in un'epoca in cui le pene per la falsificazione di documenti erano estremamente severe. Inoltre, dovette convincere le famiglie dei bambini a lasciarli andare, un compito di per sé tremendo. Il coraggio di Winton non si fermò alla fine del viaggio. Una volta che i bambini erano arrivati in Inghilterra, si assicurò che fossero affidati a famiglie affidabili. E fece tutto questo senza cercare riconoscimenti o premi. Infatti, per oltre cinquanta anni, la sua storia rimase un segreto. Winton morì nel 2015 all'età di 106 anni. Prima della sua morte, ebbe l'opportunità di incontrare alcuni dei bambini che aveva salvato, ormai adulti. Nel 2003, la regina Elisabetta II lo nominò cavaliere per i suoi servizi all'umanità. La storia di Sir Nicholas Winton è un esempio stupefacente di coraggio umano, di altruismo e di determinazione. Il suo impegno a salvare queste vite, nonostante i rischi e le difficoltà, dimostra quanto imbracciare la propria capacità di affrontare consapevolmente il rischio possa avere un impatto duraturo non solo su di sé, ma sulla storia di migliaia di persone.
  • 19. La “provocazione” Identifica una paura che ti affligge, e che sai far parte di quelle che classificheresti come tue “debolezze”. Immagina di non affrontarla mai, e ripetiti che “va bene così”. Come ti fa sentire questa cosa?
  • 20. VII - Imbraccia “il potere nel tuo DNA” “Molte persone hanno un talento innato, e probabilmente io sono una di quelle, ma ciò che ha realmente fatto la differenza in tutta la mia vita è il fatto che non troverai nessuno più competitivo di me. Non accetto di arrivare secondo in niente.” (Michael Jordan) Piccolo capitolo che fa quasi da appendice al precedente: a volte possiamo far bruciare la nostra volontà semplicemente stuzzicando il nostro spirito competitivo. Siamo esseri competitivi per natura, e nel nostro stesso DNA è biologicamente scolpita la capacità potenziale di performare al massimo quando opposti a qualcuno che possa compromettere la nostra posizione in società, la nostra capacità di procurarci risorse, o anche solo il nostro orgoglio. È, se non altro, ciò che ha tenuto insieme per millenni il tessuto sociale per i nostri progenitori, che dovevano dimostrarsi in grado di difendere e preservare le comunità di cui facevano parte. Certo, la preistoria è finita da un bel pezzo, e basta guardare anche solo per un secondo a cosa accade ogni giorno su questo mondo per renderci conto del fatto che la competitività è un sentimento
  • 21. che, se portato all’estremo e venerato irrazionalmente, può facilmente giustificare aggressività, egocentrismo, sopraffazioni e violenze di ogni genere. Tuttavia, a mio avviso, confondere il sentimento competitivo per le sue derive peggiori è un gravissimo errore, e provare a eliminare dall’equazione sociale o individuale ogni forma di competizione non può che essere devastante; i rapporti di forze, le disparità di competenze o risorse infatti non spariranno mai magicamente e, come giustamente evidenziato da autori ben più saggi di me, ogni tentativo autoritario di eliminare alcuni rapporti di forze non finirà che riplasmarli in un modo che avvantaggino chi ne decide le regole. Rimanere pertanto all’interno una competitività costruttiva, funzionale, finalizzata all’automiglioramento e alla costruzione, anziché all’appagamento di compulsività o emozioni violente può rappresentare un fantastico carburante per spronarci a crescere, apprendere, maturare e a conseguire risultati a volte anche eccezionali; questo tanto a un livello individuale quanto sociale, comunitario, naturalmente volto al conseguimento di obiettivi “ben più grandi”. Ma, tornando su un piano più squisitamente individuale: come di preciso potremmo sfruttare questo naturale istinto a nostro vantaggio? Vediamo insieme delle semplicissime strategie mentali che potrebbero risultarci utili allo scopo: Inizia un “gioco di auto-competizione”. Vedilo come “trucco mentale” con cui sfidare continuamente le tue paure e i tuoi limiti. Ossia, fai uno sforzo di immaginazione e prova a sfidare il tuo “io” pigro, il tuo io passivo, il tuo io timoroso. Non consentire loro di tenerti lontano dalla tua felicità, proprio come non lo consentiresti a un nemico che ti ostacola. Oppure, vuoi uno spunto leggermente differente? Prova ad adottare una filosofia simile a quella giapponese del kaizen, e a sfidare il tuo “io” del giorno prima. Siamo fatti per apprendere, migliorare, crescere mentalmente al di là di quelli che sono i nostri limiti fisici e biologici, e possiamo quindi vedere nella nostra versione del giorno prima un punto di riferimento da superare, delle fondamenta solide su cui costruire; oppure, un vero e
  • 22. proprio “maestro” per cui provare rispetto, ma che possiamo anche puntare a sfidare, superare, sconfiggere. Non conta cosa eravamo ieri: oggi siamo diversi e quindi possiamo non avere più quelle paure, possiamo non farci più influenzare dagli stessi preconcetti, possiamo non considerare più tali gli stessi limiti. Oppure, se finiremo per cadere nelle stesse “trappole”, potremo comunque provare a fare ancora di meglio domani; basterà, e qui mi perdonerete per la frase un po’ retorica, non alzare troppo presto bandiera bianca. Perché sì, nessun percorso di crescita può prescindere dalla profonda consapevolezza che possiamo essere migliori! Vuoi continuare a leggere questo capitolo? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito!
  • 23. Sfidare il mondo di m… Dara Torres, una storia di “competitività infinita” Dara Torres è una nuotatrice olimpica statunitense, ma la sua carriera è tutto fuorché ordinaria. Ha partecipato a ben cinque edizioni dei giochi olimpici: 1984, 1988, 1992, 2000 e 2008. In totale, ha vinto 12 medaglie, tra cui quattro ori. Ma ciò che rende la sua storia veramente unica è la sua incredibile longevità atletica e il suo spirito competitivo. Dara ha conquistato la sua prima medaglia olimpica d'argento all'età di 17 anni a Los Angeles nel 1984. È tornata per vincere medaglie d'oro a Seoul nel 1988, e a Barcellona nel 1992. Dopo quest'ultima olimpiade però, Torres si ritira dal nuoto competitivo. Tuttavia, la sua passione per la competizione è troppo forte. Nel 1999, a 33 anni, Dara decide di tornare alle competizioni e si qualifica per i giochi olimpici di Sydney del 2000. E lì non solo compete, ma vince cinque medaglie, tra cui due ori. A seguito di Sydney, Dara si ritira nuovamente, ma la sua ossessione per la competizione non sembra svanire. A 41 anni, dopo aver dato alla luce una figlia, Dara decide di tentare un ritorno alle competizioni. Nonostante le sfide fisiche legate all'età e alla maternità, Dara si allena con un'intensità pari, se non superiore, a quella dei suoi anni di gioventù. Nel 2008, a 41 anni, Dara Torres diventa la nuotatrice più anziana a qualificarsi per i giochi olimpici. A Pechino, vince tre medaglie d'argento, mancando l'oro per un centesimo di secondo nei 50 metri stile libero. La storia di Dara Torres è un testamento al potere della cosiddetta “ossessione competitiva”, quando generata dal sentimento del perfezionamento di sé e volta al sempre “nobile” obiettivo dello sport. Così veicolando questo impulso infatti la Torres ha spinto i limiti di ciò che era considerato possibile nel nuoto competitivo e si può dire abbia aggiunto la propria “piccola nota indelebile” alla preesistente definizione di cosa significhi essere atleti.
  • 24. La “provocazione” E se abbandonassi completamente ogni desiderio di competere?
  • 25. IX – Imbraccia una “fede razionale” “Mentre la fede irrazionale si fonda sulla sottomissione a un potere forte, irresistibile e onnisciente, e nell’abdicazione del proprio potere e della propria forza, la fede razionale si fonda su principi opposti. Abbiamo fede nella potenzialità degli altri, in noi stessi e nella specie umana perché abbiamo sperimentato lo sviluppo della nostra potenzialità, la forza del nostro potere di ragione e d’amore.” (Erich Fromm) Possiamo ritrovare e costituire un “daimon” altamente motivante, possiamo promettere a noi stessi di impegnarci a fare giorno per giorno tutti i passi necessari per vivere in virtù dello stesso, possiamo instaurare tutte le abitudini e i processi che vogliamo, ma in realtà tutto ciò servirà veramente poco senza una sana dose di fiducia che il percorso scelto abbia quantomeno una ragionevole possibilità che ci porti dove vorremmo. Qui infatti il problema può sorgere naturale: come riporre fiducia in qualcosa se a conti fatti magari crediamo realmente che nel mondo ci sia solo… cacca? Come sapere che il nostro sforzo varrà la pena, tanto peggio se magari siamo delusi, amareggiati e
  • 26. sconfortati da vicende che hanno messo a dura prova la nostra capacità di sperare che le circostanze possano essere “gentili” con noi? Tutte domande legittime. Proviamo tuttavia a risponderci riflettendo sui principi che seguono: La mente è scema Per quanto possiamo avere un’idea chiara della situazione in cui decidiamo di andare ad avventurarci, la verità è che la nostra mente... è scema! Sì, perché nella sua limitatezza sarà sempre e comunque in grado di contemplare e intendere molte meno possibilità, prospettive, sfumature rispetto a quelle reali. E quindi la prima buona ragione per non sottomettersi alla paura o allo scoraggiamento che possiamo provare di fronte al futuro, o ai suoi potenziali ostacoli, è che molto probabilmente esistono molte più soluzioni, opportunità, risorse di quelle che il nostro cervello inizialmente può suggerirci. Da un lato ciò accade perché molto probabilmente siamo più ignoranti di quello che crediamo: la realtà infatti raggiunge livelli di complessità e varietà molto superiori a quelli che la nostra mente può intendere e classificare. L’abbiamo accennato quando abbiamo parlato dell’importanza di affidarsi saltuariamente al caso, d’altronde: Fleming non si aspettava di scoprire la penicillina in quella coltura contaminata e Colombo non si aspettava di scoprire le Americhe avventurandosi su quella rotta. Ma dall’altro lato, ciò avviene perché, come anche visto nel Capitolo IV, tutti quei sentimenti “genuinamente inquinanti” della fiducia nel futuro, come la paura dell'ignoto, o la paura di fallire, hanno un profondo carattere sia enfatizzante che auto-perpetuante. Ossia, tendono letteralmente a distorcere la prospettiva oggettiva delle cose in modo tale da “nutrire” sé stessi e continuare a esistere. Si tratta di un condizionamento evolutivo, dopotutto: se i nostri progenitori si fossero gettati senza problemi da una rupe, o in un nido di predatori la nostra specie non sarebbe sopravvissuta a lungo.
  • 27. La “cura” a tutto ciò è tuttavia semplice: prova a capire che il tuo punto di vista, in quanto limitato e condizionato, può essere allargato, modificato, migliorato. Basta lo sforzo di “staccarti” dalle tue pulsioni più immediate; staccarti da quella volontà subconscia di perpetuare lo star male e capire che le prospettive più lesive sono sempre e comunque solo prospettive. È infatti proprio questa la chiave: nell’allenarsi a distinguere la propria prospettiva, limitata, dall’evidenza reale delle cose, spesso molto più complessa e ricca di verità utili; pensare, per esempio, che quella persona ci rifiuterà perché siamo brutti, “sfigati”, o perché così è già accaduto una volta, è solo assecondare una costruzione mentale. Credere che avremo una chance è dare alla realtà la “dovuta” possibilità che qualcosa possa andare anche meglio di ciò che crediamo, che ci sia una risorsa anche dove non l’avremmo mai trovata, che si possa trovare un'opportunità dove non ne avevamo idea. Quindi, sempre provare ad aprire la propria mente a ogni possibilità e sempre puntare, attraverso meditazione, ricerca e lavoro di scoperta, a uno o più di quei momenti illuminanti che probabilmente hai vissuto anche in passato; uno di quei: “Ehi, effettivamente questa cosa positiva funziona, questa cosa esiste, questa cosa può aiutarmi, e all'inizio non ci avevo assolutamente pensato”. E qualora in un qualunque istante questa fiducia venga tradita, semplicemente sempre migliorare le proprie strategie e tentare ancora. E sebbene ciò indubbiamente non sia facile a volte, puoi provare a “sfidare” la limitatezza delle tue prospettive con un solo, semplice principio: ricordandoti che se non ci sono reali, oggettive evidenze che tu non possa farlo, allora molto probabilmente puoi almeno cominciare ad “aprirti gli spazi” con cui capire come potresti farlo. Fidati del tuo “contrattacco” Anche se non puoi avere fiducia totale in ciò che accadrà, abbi almeno fiducia nel modo in cui potrai reagirvi. Già, perché è ovvia verità di buonsenso quella secondo cui non potrai mai procedere con il 100% di certezza che le cose andranno come previsto, o che
  • 28. le tue azioni avranno l’effetto sperato. Anzi, molto spesso la vita ti metterà davanti a rifiuti, ostacoli imprevisti e fasi di “improvviso arresto” anche quando avrai dato il massimo. Ciò nonostante, ricorda sempre che è il tuo pensiero a decidere quale senso, peso e valore dare a ogni esperienza, e che saranno sempre e comunque le tue scelte a decretare come reagirvi di conseguenza. Quando per esempio ti tiri indietro perché le difficoltà sembrano insostenibili, non sono le difficoltà a farti tirare indietro, sei tu che scegli di tirarti indietro di fronte a esse, anziché scegliere di combatterle con più vigore e nuove strategie. Quando scegli di fare quello che ti viene detto da qualcun altro, anziché pensare un istante in più e scegliere, agire diversamente, non è l’altro a comandare le tue azioni, ma sei tu che scegli di fare ciò che l’altro dice. Ricordi d’altronde quanto detto a inizio libro sulle scelte, no? Potrai però avanzare nel tuo percorso senza troppo timore degli imprevisti proprio nel momento in cui sceglierai di rimanere ben consapevole del fatto che un calo in qualunque campo è fisiologico; proprio quando farai tua l’idea che un arretramento non equivale necessariamente a “crollo definitivo”, proprio quando sceglierai di provare a ricercare il guadagno nascosto dietro ogni evento spiacevole. O come amo dire, quando ti impegnerai ad adottare la filosofia che per ogni imprevisto che ti faccia arretrare di un metro effettuerai una scelta che ci faccia avanzare di cento metri. “Le persone di grande successo sono quelle che affrontano qualsiasi circostanza con la fiducia di riuscire a far andare le cose nel verso desiderato e non una volta ogni tanto, ma sempre. Esse sanno che possono contare su se stesse.” (Charles Garfield) D’altronde non conta tanto davvero ciò che ci viene dato ma come “alla fine” riusciamo a sfruttarlo. Pete Strudwick, nato senza mani né piedi, è riuscito a diventare un maratoneta e ha percorso finora oltre quarantamila chilometri. I Beatles furono rifiutati da importanti case di produzione con la risposta che “Il tempo della musica con la chitarra stava finendo”. Michael Jordan fu rifiutato
  • 29. dalla sua squadra di basket liceale. A Thomas Edison fu dato del “ritardato mentale”. A Henry Ford fu detto che un motore a otto cilindri era tecnicamente impossibile da realizzare, prima che lo facesse. E le loro storie, proprio come quelle di tutti coloro che durante la propria esistenza sono riusciti a costruire qualcosa di rilevante, dimostrano che non si realizza certo prendendo meno batoste o incontrando meno ostacoli degli altri; ma anzi, spesso dovendo masticare anche molti più bocconi amari, per poi semplicemente imparare a resistere, guardare avanti, reagire, recuperare. Verità magari incredibilmente ovvia quando la leggiamo tra le pagine di un libro, ma troppo spesso dimenticata quando siamo noi a dovere ingoiare uno di questi bocconi, cadendo così improvvisamente preda delle “stupidissime” distorsioni del “questo definirà tutto il mio percorso”. Non crederci, non caderci, ricorda sempre che il tuo cervello è “scemo”. Il potere della frustrazione “Non contrastare le forze, usale.” (Buckminster Fuller) Il ripetuto presentarsi di ostacoli e imprevisti può farsi a volte veramente noioso, tedioso, frustrante, e persino doloroso ma in realtà, come ormai dovremmo sapere bene, questo è un principio-chiave alla base di ogni percorso di crescita: visto che nessun percorso di vita potrà mai andare completamente liscio, la chiave per farcela è nel provare sempre a scorgere l’opportunità nascosta dietro ogni ostacolo, nello sforzarsi di chiedersi sempre come trasformare l’impedimento in risorsa, e nel farlo mantenendo saldi almeno i propri principi essenziali. Ma questa è una verità tanto ovvia quanto già ripetuta tante volte nel corso di questo volume. Proviamo quindi ad aggiungere un ulteriore “livello di lettura” e “sfidiamoci” a tenere a mente che, proprio se incontriamo ostacoli durante il nostro percorso, allora ci stiamo molto probabilmente muovendo nella direzione giusta. Perché i risultati veramente significativi e duraturi possono nascere solo a partire dal momento in cui decidiamo di affrontare e vincere una
  • 30. resistenza, alla pari di come il muscolo, in palestra, può diventare straordinariamente forte unicamente superando la resistenza del peso che deve sollevare. E, proprio come accade per il muscolo, maggiore è l’avversità vinta, e maggiori saranno la qualità, l’importanza e l’efficacia del risultato ottenuto. Perché in teoria dei giochi la strategia coraggiosa, sprezzante, “laterale” spesso tende a premiare il partecipante che la mette in pratica. Perché nel vincerle ci saremo concessi di sviluppare idee, qualità, risorse e conoscenze di valore elevatissimo. D’altronde in fondo, la capacità di superare ostacoli e ottenerne crescita, forza, lezioni, informazioni nuove è talmente scolpita nella nostra biologia che quella di imbracciare sempre e continuamente questo principio può essere una delle “banalità” più potenti a nostra disposizione. E se proprio ciò che abbiamo incontrato ci secca in un modo che troviamo frustrante al punto da risultarci ingestibile, ecco che potremmo provare a “provocarci” con la domanda: “Cosa, di positivo, posso realizzare SOLO ORA che la crisi, l’ostacolo, l’impedimento si è manifestato?”. C’è un’enorme potere oggettivo, strategico, biologico, nella nostra capacità di gestire la frustrazione! “Le organizzazioni che hanno bisogno di maggiore innovazione sono proprio quelle che fanno di tutto per impedire che la si attui.” (Seth Godin) “Se gli ostacoli e le difficoltà scoraggiano un uomo mediocre, al contrario al genio sono necessari, e quasi lo alimentano.” (Theodore Gericault) “La vera misura di un uomo non si vede nei suoi momenti di comodità e convenienza, bensì tutte quelle volte in cui affronta le controversie e le sfide.” (Martin Luther King)
  • 31. Pigmalione 2.0 In una soleggiata regione della California, lo psicologo Robert Rosenthal intraprese un esperimento che avrebbe sfidato le convenzioni su come percepiamo le capacità umane. Selezionò un gruppo di studenti e istruì gli insegnanti a elogiarne continuamente solo una parte per la loro intelligenza e il loro potenziale. La reazione? Come Rosenthal aveva ipotizzato, questi studenti migliorarono notevolmente le proprie performance scolastiche; questo fenomeno venne poi battezzato come “Effetto Pigmalione”, un riferimento al mitico scultore cipriota che, secondo la leggenda, si innamorò talmente della sua creazione da darle vita. Ma come accade spesso nella scienza, la comprensione profonda di un fenomeno richiede tempo e ulteriori dati. Gli studi “Praise for intelligence can undermine children’s motivation and performance” del 1998 e “Why do beliefs about intelligence influence learning success? A social cognitive neuroscience model” del 2006 hanno sfidato la convenzionale saggezza di Rosenthal. Essi infatti hanno suggerito che, anche se ci può sembrare intuitivamente ragionevole elogiare qualcuno come “intelligente” o “capace”, in un simile approccio ci possono essere diverse insidie inattese. Quando etichettiamo qualcuno come “intelligente”, potremmo infatti involontariamente suggerire che il loro successo è dovuto a una qualità innata e immutabile, piuttosto che ai loro sforzi o al loro desiderio di crescita. Questo può portare a una vera e propria mentalità “fissa”, dove gli individui evitano sfide per paura di fallire e perdere la loro “preziosa etichetta”; oppure, sfruttano tutti i trucchi a propria disposizione (mentire, perseguire sfide appositamente facili, falsare i risultati) pur di confermarle a tutti i costi. In contrasto, come rivelato dagli studi appena citati, coloro che vengono elogiati per la loro tenacia o la loro capacità di lavorare duro e affrontare le sfide che si presentano, spesso mostrano una maggiore resilienza di fronte alle avversità e sono più propensi a intraprendere sfide rischiose. Ecco le riflessioni cruciali che quindi si potrebbero estrarre da quanto detto finora:
  • 32. 1. La biologia stessa dell’essere umano si fonda sulla sua capacità di crescere, adattarsi e cambiare. Ridurre una persona a un’etichetta, anche positiva come “intelligente”, potrebbe dunque anche soffocare del tutto questa intrinseca dinamicità. È pertanto fondamentale che celebriamo la nostra (e altrui) capacità di svilupparci, imparare dagli errori e crescere, piuttosto che confinare chiunque in una categoria statica. 2. Siamo infinitamente più complessi di ciò che le etichette possono suggerire; quando pertanto parliamo di noi stessi o degli altri, sarà molto più costruttivo concentrarsi, nello specifico, sui comportamenti e sul potenziale, più che sul tentativo di ridurre la natura di qualcuno a pochi termini semplici. Elogiare qualcuno (o noi stessi) per il suo “eccellente impegno” o per “aver affrontato nobilmente una sfida” è molto più potente e motivante che elogiare una qualità innata. Questo infatti sposta l’enfasi dalla semplice esistenza di un talento all’uso attivo di quel talento; inoltre, evita le trappole correlate a un vero e proprio senso di “compromissione della propria identità” nel momento in cui si dovesse improvvisamente avere a che fare con uno “svarione” di qualunque genere. Questo discorso poi, in realtà, può anche essere facilmente integrato con quanto abbiamo visto poco fa a proposito degli equilibri tra meccanismi biologici e psicologici. Come molti di voi avranno già avuto modo di notare, la propria percezione di sé dipende in gran parte dai livelli di energia del proprio corpo: una giusta scarica di adrenalina può farci sentire come delle letterali “divinità in terra”, così come un momento di calo energetico può portarci a “demolire” completamente in pochi attimi tutto ciò che di buono abbiamo mai pensato su noi stessi; chiaro che queste sono estremizzazioni che, ancora una volta, dipendono in gran parte anche dai propri valori e convinzioni, ma proviamo a prenderle per buone. In quest’ottica, possiamo scatenare un ciclo virtuoso riprendendo alcune delle tecniche viste qualche pagina fa: freddo, caffeina, esercizio fisico, stress convogliato e controllato, cura della propria salute generale, sono tutte cose che possono “magicamente” e improvvisamente aumentare il nostro senso “biologico” di autostima, che possiamo poi rafforzare con delle
  • 33. etichette “ragionevolmente costruite” e con le conferme che scaturiranno dal nostro agire con determinazione e intelligenza. Punta a un “costante accumulo energetico” Passiamo a un po’ di fisica, ti va? Giuro che sarò breve. Prendiamo in esame, in particolare, la legge della conservazione dell’energia, che almeno nella sua forma più colloquiale e intuitiva recita che in natura “l’energia può essere trasferita ma non creata né distrutta”; oppure, come disse Richard Feynman, “è solo un fatto un po’ strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato”. Proviamo ora a partire da questo principio, e se la connessione con il nostro discorso vi dovesse sembrare forzata, sentitevi liberi di scartarla. Data per “buona” infatti la legge appena menzionata, ogni nostra azione riverserà inevitabilmente sulla realtà delle energie, intese proprio come capacità di svolgere un lavoro, e quindi potenzialità per avere un impatto e apportare un cambiamento all’ambiente circostante. E pertanto ogni nostro timore non può che rimanere infondato di fronte alla realtà fisica e oggettiva che queste energie, un lavoro, devono svolgerlo per forza. Può trattarsi di un lavoro irrilevante, può trattarsi dell’equivalente del lanciare una pallina contro un muro di gomma, ma anche lì ricorda che pur nell’atto stesso di far rimbalzare la pallina indietro, il muro di gomma dovrà comunque alterare in parte il proprio stato. Vuoi continuare a leggere questo capitolo? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito!
  • 34. Sfidare il mondo di m… Spencer Silver e Arthur Fry, una storia di “fiducia nella soluzione senza problema” Nel 1968, Spencer Silver, un chimico che lavorava per la 3M (una nota multinazionale di prodotti industriali), stava cercando di sviluppare un nuovo tipo di adesivo super forte. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi, il risultato fu esattamente l’opposto; Silver creò infatti un adesivo che non risultava particolarmente potente, ma aveva la peculiarità di essere riutilizzabile e non lasciava residui sulla superficie a cui era attaccato. Era un risultato di per sé interessante, ma Silver faticò a trovare un'applicazione commerciale per la sua scoperta. Tuttavia, mantenne la fiducia nella possibilità di “riutilizzare costruttivamente quel fallimento parziale” e continuò a promuovere la sua invenzione all'interno dell'azienda. Sei anni più tardi, nel 1974, un collega di Spencer Silver di nome Arthur Fry stava affrontando un problema che avrebbe potuto finalmente richiedere l’invenzione di Silver stesso. Fry infatti era un corista nella sua chiesa locale e usava spesso dei segnalibri per tenere il posto nel suo libro di canti. Tuttavia, i segnalibri avevano la tendenza a cadere, causando a Fry non pochi problemi. Durante un seminario interno della 3M, Fry sentì pertanto parlare dell'adesivo di Silver ed ebbe un’idea: quel tipo di adesivo poteva essere proprio la soluzione al suo problema! Fry sviluppò dei segnalibri con l'adesivo di Silver e li trovò molto utili. Ma la sua visione non si fermò lì. Realizzò che i segnalibri potevano essere utilizzati non solo nei libri di canti, ma in una varietà di contesti dove era necessario lasciare note temporanee. Fry e Silver così lavorarono insieme per sviluppare il prodotto che oggi conosciamo come Post-it. Lanciato nel 1980, il Post-it fu un successo enorme, e oggi si caratterizza per essere uno di quei “prodotti analogici” ancora largamente usati nonostante i nuovi livelli di note-taking offerti dall’ “era digitale”. E così, questa storia rimane un esempio perfetto di come la fiducia nel fatto che “prima o poi” si possa riutilizzare anche un apparente fallimento può generare opportunità straordinarie. Banale magari, ma quante volte siamo troppo occupati a “leccarci le ferite” per scorgere tutte le potenzialità nascoste in situazioni del genere?
  • 35. La “provocazione” Se smettessimo di credere a una cosa in particolare, qualcosa a cui teniamo molto, quanto ciò potrebbe risultarci liberatorio?
  • 36. Ti è piaciuto questo estratto? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito!
  • 37. L'autore Danilo Lapegna, classe 1986, e fondatore e CEO del “Kintsugi Project”, è un professionista, ingegnere e studioso con un'insaziabile passione per l'apprendimento, la scoperta e il progresso umano. Sin dalla sua infanzia, ha dimostrato una precoce fascinazione per il massimo potenziale del cervello umano, divorando libri a tema scientifico, ed emergendo come un campione di memoria televisivo all'età di soli sei anni. Danilo, con la sua formazione accademica da ingegnere informatico, dirige da anni con successo team internazionali impegnati in progetti software di grande impatto nel fervente mondo delle start-up del Regno Unito. Tuttavia, la sua passione più profonda affonda le sue radici nell'amore per la multidisciplinarietà, e per la capacità di generare valore attraverso la sintesi e l’integrazione di principi estratti dalla filosofia, dalla psicologia, dalle neuroscienze, dalla “smart productivity”; ma soprattutto, attraverso l'armonizzazione di tutto ciò con un incrollabile desiderio di contribuire al benessere altrui. Da più di un decennio infatti, attraverso lo pseudonimo di “Yamada Takumi”, ha sfruttato queste sue passioni scrivendo libri a tema che hanno venduto oltre 50.000 copie, scalando le classifiche di vendita su Amazon, aiutando migliaia di persone attraverso il suo blog e ricevendo enorme attenzione mediatica per il loro successo nel settore dell'auto- pubblicazione. E così, “Il Kintsugi Project” rappresenta il tentativo “definitivo”, suo e del suo staff, di reinventare l’approccio all’evoluzione personale, atto a decostruire tutta la “fuffa” e i paradigmi obsoleti e disfunzionali di questo settore, per poi rivolgere la propria scommessa verso sistemi di autoterapia, benessere psicofisico, “skill development” e “produttività intelligente” che abbiano radice nella scienza, nella ricerca, e soprattutto in un ecosistema condiviso che possa favorire una crescita individuale e "personalizzata", che sia scolpita sui valori e sulle esigenze di ognuno.
  • 38. Bibliografia e approfondimenti Sulla dopamina “Predictive Reward Signal of Dopamine Neurons”, di Schultz (1998) “Multiple Dopamine Functions at Different Time Courses”, di Schultz (2007) “The Mysterious Motivational Functions of Mesolimbic Dopamine”, di John D. Salamone, Mercè Correa (2012) “Dopamine, Updated: Reward Prediction Error and Beyond”, di Talia N. Lerner, Ashley L. Holloway, Jillian L. Seiler (2021) Libro: “Dopamine Nation: Finding Balance in the Age of Indulgence”, di Dr. Anna Lembke. (2021) Libro: “The Molecule of More: How a Single Chemical in Your Brain Drives Love, Sex, and Creativity - And Will Determine the Fate of the Human Race”, di Daniel Z. Lieberman MD, Michael E. Long. (2018) Libro: “Habits of a Happy Brain: Retrain Your Brain to Boost Your Serotonin, Dopamine, Oxytocin, & Endorphin Levels”, di Loretta Graziano Breuning. (2015) Sulla visualizzazione e sulle “simulazioni mentali” “Visual mental imagery and visual perception: Structural equivalence revealed by scanning processes”, di Gregoire Borst & Stephen M. Kosslyn (2008) “Best practice for motor imagery: a systematic literature review on motor imagery training elements in five different disciplines”, di Corina Schuster, Roger Hilfiker, et al. (2011)
  • 39. “Using motor imagery practice for improving motor performance – A review”, di Aija Marie Ladda, Florent Lebon, Martin Lotze (2021) “Chapter 15 - Aphantasia: The science of visual imagery extremes”, di Rebecca Keogh, Joel Pearson, Adam Zeman (2021) “Acquisition and consolidation processes following motor imagery practice”, di Célia Ruffino, Charlène Truong, et al. (2021) “Motor Imagery Combined With Physical Training Improves Response Inhibition in the Stop Signal Task”, di Sung Min Son, Seong Ho Yun, Jung Won Kwon (2022) “Mental practice modulates functional connectivity between the cerebellum and the primary motor cortex”, di Dylan Rannaud Monany, Florent Lebon, et al. (2022) Sull’esercizio fisico “Health benefits of physical activity: the evidence”, di Warburton, Nicol, Bredin (2006) “Aerobic Exercise and Neurocognitive Performance: A Meta- Analytic Review of Randomized Controlled Trials”, di Smith, Blumenthal, Hoffman (2010) Su motivazione, ricompensa, abitudini, e altri argomenti. “Self-regulation and depletion of limited resources: Does self- control resemble a muscle?”, di Muraven, Baumeister (2000) “High Self-Control Predicts Goo adjustment, Less Pathology, Better Grades, and Interpersonal Success”, di Tangney, Baumeister, Boone (2004) “Separate Neural Systems Value Immediate and Delayed Monetary Rewards”, di McClure, Laibson, Loewenstein et al. (2004) “Grit: Perseverance and passion for long-term goals.”, di Duckworth, Peterson, Matthews et al. (2007)
  • 40. “Dispositional optimism and physical health: A Long Look Back, A Quick Look Forward”, di Carver, Scheier (2014) “Psychology of Habit”, di Wendy Wood, Dennis Ringer (2015)