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Come essere
felici in un
mondo di merda
di Danilo Lapegna
Manuale di sopravvivenza spirituale nel mondo moderno
ESTRATTO GRATUITO
Nuova edizione GEM
Come essere felici in un mondo di merda..........................................1
I - 5 principi essenziali per sopravvivere in un “mondo di…”...........7
Riconosci i pattern..............................................................................................................8
Accetta la sofferenza.........................................................................................................11
Non sentirti solo, o sola, nella tua sofferenza o nella tua paura ................................15
Lavora verso il distacco e la “disidentificazione”.........................................................17
Siamo sistemi complessi, che necessitano di un approccio “panarmonico” ...........19
II - Negozia “efficacemente” con i tuoi limiti .................................21
Negoziare con i “gravity problems” ..............................................................................25
Usare i limiti come “mattoni” su cui edificare..............................................................26
Distingui tra limiti oggettivi e limiti mentali .................................................................28
Applica il modello delle sei forze....................................................................................30
Non posso… ma posso…...............................................................................................32
III – Neurosfide................................................................................35
IV - Le chiavi fondamentali dell’autoterapia....................................39
Sconfiggere l’entropia.......................................................................................................41
Rifiutare l’autoperpetuazione ..........................................................................................47
“Zittire felicemente” i propri problemi.........................................................................50
Meditare, meditare, meditare...........................................................................................53
V - Strategie di “pensiero evolutivo” ................................................57
VI - Altre “medicine” per il cervello.................................................64
“Riscrivere" lo stress.........................................................................................................65
Se puoi, ridine....................................................................................................................68
Dialogare con le proprie “personalità multiple” ..........................................................69
Corri!...................................................................................................................................72
Impara il “Judo mentale" .................................................................................................74
Ristrutturazione verbale...................................................................................................76
Corso di regia cognitiva....................................................................................................78
Ricomparare.......................................................................................................................81
Pillole di gratitudine..........................................................................................................83
Dormi! ................................................................................................................................86
Respira “meglio” ...............................................................................................................89
Mantra.................................................................................................................................91
Dal problema, alla soluzione...........................................................................................92
Costruiamoci un “framework autoterapeutico”...........................................................96
VII – Strategie per acquisire un “coraggio illimitato”....................100
Dubita delle tue capacità predittive..............................................................................102
La legge di Murphy è una cavolata...............................................................................105
Ristabilisci un “rapporto sano” con l’incertezza........................................................106
“Sfidati” con ciò che temi di più ..................................................................................111
Sii un po’ più clemente...................................................................................................112
Prova ad adottare una mentalità “samurai” ................................................................114
Usa il framework “E.R.I.O.M.” ....................................................................................116
VIII - Naviga consapevolmente lo “Zeitgeist digitale”..................121
Information overloading................................................................................................122
Invadenza del digitale.....................................................................................................125
Parenti e amici incollati ai propri schermi...................................................................127
Come vivere in una società “attenziocentrica”...........................................................128
IX - Esercizi di “equilibrata autostima”.........................................132
Esercizio - Deflagellazione............................................................................................134
Esercizio - “In fondo non faccio così schifo!”...........................................................136
Esercizio - Iniezione dopaminica.................................................................................137
X - Quella “difficilissima armonia con gli altri”.............................141
Toolkit I: Strumenti anti-ego.........................................................................................145
Toolkit II: Gestione efficace dei conflitti....................................................................152
Ego-douléia: servire sì, ma sé stessi innanzitutto.......................................................160
XI - Tornare “al di là del tempo”....................................................164
Il presente, non come attimo né come flusso, ma come “campo”.........................167
Una “scienza dei tempi felici”.......................................................................................170
Il presente come “rottura” ............................................................................................175
Ritualità e “reincanto del mondo”................................................................................179
XII - Sfuggire alla trappola del senso..............................................182
Grazie per la tua lettura!..................................................................187
Ma c’è di più…................................................................................188
L'autore ...........................................................................................195
Bibliografia e approfondimenti.......................................................196
Disclaimer.......................................................................................203
Come essere felici in un
mondo di merda
“Un discepolo di poco valore utilizza l’influenza dell’insegnante. Un
discepolo mediocre ammira la bontà di un insegnante. Un buon discepolo
diventa forte sotto la disciplina di un insegnante.”
(Detto Zen)
“Che mondo di merda”, “che tempi di merda”. Quante volte hai
sentito o pronunciato questa frase? Basta una “terribile”
notizia di giornale, un evento sfortunato, un attacco
terroristico, un qualche incidente catastrofico, ed ecco che
partono gli insulti al mondo in cui viviamo, ai mali insanabili
della nostra società e…
… fermati! Fermati un secondo! D’accordo, il nostro mondo
è tutto fuorché perfetto, e come specie dobbiamo ancora fare
molti passi avanti prima di riuscire a capire come vivere in
piena armonia con noi stessi, ma… siamo sicuri che inveire
rabbiosamente contro il mondo e la società sia ciò che più ci
serve per stare meglio?
1
Perché nonostante il nostro cammino su questo pianeta come
specie sia ancora piuttosto incerto, non si possono neanche
troppo negare gli enormi progressi fatti negli ultimi secoli in
termine di riduzione della mortalità infantile, velocizzazione
di trasporti e comunicazioni, allungamento della vita media,
istituzione del concetto di diritti umani e debellamento di
malattie devastanti. Ma, soprattutto, al di là dei nostri “giudizi
su come va il mondo” (sui quali potremmo discutere per
giorni senza mai giungere a una soluzione definitiva), la verità
è che abbiamo un controllo minimo, se non nullo, sull’andamento delle
cose sul nostro pianeta. E da questa verità apparentemente
sconfortante se ne può trarre in realtà un’altra, magari banale,
ma preziosissima: l’unica cosa sensata che possiamo fare
come individui che puntano a ritagliarsi un’esistenza migliore
è quella di pensarci un po’ meno, al mondo. È quella di imparare
a “spostare la prevalenza della nostra attenzione verso l’interno”, verso
tutto quanto concerne i nostri personali equilibri, la salute del
nostro universo interiore, lo stato di benessere del nostro
corpo e del nostro cervello.
E con questo non voglio dire che tu debba smettere di
combattere le tue battaglie, né di provare a migliorare il tuo
angolo di pianeta. Tuttavia, anche un atteggiamento
profondamente attivo e orientato alla risoluzione dei
problemi parte da lì: dal fare attenzione prima di tutto al
proprio benessere, dall’affinare innanzitutto il proprio pensiero,
dal capire come gestire efficacemente le proprie emozioni; ma
soprattutto, dall’imparare a coltivare uno spirito sereno e
resiliente in qualunque circostanza, così da mantenere sempre,
come si suol dire, una “gestione ottimale del gioco”.
Perché no, nessun individuo sulla terra potrà mai smettere di
soffrire, di provare paura, di incontrare ostacoli o di avere la
sua dose di “cacca” dal mondo. Però c’è chi di fronte a questa
realtà si lascia conformare e distruggere, e chi invece la sfrutta
per crescere, maturare e fortificarsi. C’è chi la rende un peso da
trascinare in eterno e chi la tramuta in esperienza, in
strumenti, in intuizioni per il futuro. Perché sì, possiamo
sempre lavorare per migliorare la nostra condizione ma, allo
2
stesso tempo, incolpare il mondo sarà sempre la cosa più
semplice e deresponsabilizzante da fare. E quindi la vera sfida
per un’esistenza migliore è sempre tutta lì, nel rifiutare la
risposta più istintiva, nell’ (citando il maestro Yoda) “imparare
a disimparare”, nel mettere in discussione i paradigmi stessi
con cui quotidianamente pensiamo, elaboriamo esperienze,
risolviamo problemi.
Nella cosiddetta “società occidentale” poi, nonostante le
nostre condizioni di vita medie siano molto migliori di quelle
del resto del globo (prendete gli indicatori di benessere che
volete, il risultato sarà sempre quello), siamo dei veri e propri
fanatici del “mondo di merda”. Siamo quelli che vivono
meglio e, nella maggioranza dei casi, anche i più insoddisfatti. Il
che è probabilmente dovuto a diversi fattori, tra cui il modo
in cui la nostra biologia reagisce a certi presupposti sociali e
culturali. Uno tra tutti: il benessere stesso in cui viviamo ci ha
“drogati di piacere” e, in parallelo (o di conseguenza?), ci ha
man mano condizionati a ritenere i dolori, i problemi, le
sofferenze non più come parte dell’ordine naturale delle cose,
ma come fallimenti da evitare. E così il risultato di questo
“imprinting culturale”, al di là delle ovvie considerazioni su
come influenza il nostro modo di presentarci in società, è che ci
rende molto meno resilienti rispetto a quanto non accadrebbe,
ad esempio, in civiltà che più quotidianamente convivono con
piaghe come guerra, fame o povertà diffusa.
Ma non devo continuare, probabilmente, a spiegare a lungo le
radici di questo o quel “malessere umano”; se hai deciso di
dare un’opportunità a questo libro, è probabile che tu sappia
molto meglio di me cosa non va, e le ragioni per cui serve un
approccio inedito alle complessità della vita. Passerò quindi ad
esporti la mia “doverosa promessa”: quello che ho preparato
per te nelle pagine successive è un vero e proprio vademecum
per la felicità tra i più completi che potrai mai avere; un volume
che racchiude tutto il meglio della psicologia, delle filosofie
occidentali e orientali, e dei ritrovati della neuroscienza
recente (per i cui approfondimenti ti rimando alla bibliografia a
fine testo), al fine di fornire gli strumenti più efficaci con cui
3
migliorare la gestione delle tue emozioni, affinare il tuo
equilibrio mente-corpo, “navigare virtuosamente” un mondo
complesso come il nostro, e finanche rivoluzionare il modo
stesso con cui affronterai i problemi nel tuo quotidiano.
Il tutto, con lo scopo di coltivare quella che definisco come
una “esistenza di qualità”; non certo in quanto perfetta, ma in
quanto consapevolmente vissuta, armoniosamente gestita. Una
vita in cui benessere e autodeterminazione non sono solo
vaghi ideali di cui ricordarsi di tanto in tanto, ma vere e
proprie filosofie di vita da incorporare quotidianamente nel
proprio pensiero e nelle proprie azioni. Trovo d’altro canto,
almeno personalmente, che non possa esserci una definizione
migliore di felicità; ma soprattutto ho fiducia che questa stessa
interpretazione, nel suo essere minimale, dinamica, adattabile
alla natura e alle predisposizioni di ognuno, possa
rappresentare anche la “materia grezza” attraverso cui tu
possa costruire la tua, di idea di felicità.
Ciò detto, non mi resta che augurarti che questa lettura ti
arricchisca, ti rassereni, migliori la tua vita, renda la tua
quotidianità un costante esercizio delle tue più elevate qualità.
Da parte mia quindi, un sincero in bocca al lupo! E ricorda: se
hai dei feedback per noi, proposte, richieste, suggerimenti di
qualunque tipo, scrivici a info@kintsugiproject.net
Danilo Lapegna
4
II - Negozia
“ef
fi
cacemente” con i tuoi
limiti
“Se non puoi esser pino in cima la collina,
sii pruno nella valle;
Se non puoi esser albero, sii cespuglio
- ma sii sempre il più bel cespuglietto accanto al ruscello.
Se non puoi esser cespuglio,
sii dell’erba e abbellisci come puoi la strada maestra;
se non puoi esser muschio,
sii alga, ma l’alga più graziosa del laghetto.”
(Douglas Malloch)
Uno dei fattori più significativi di infelicità e frustrazione
umana è indubbiamente nella “discrepanza mentale” tra ciò
che gli individui desiderano e ciò che possiedono; tra ciò a cui
pensano di ambire e ciò su cui effettivamente riescono a
mettere le mani; nell’inevitabile “dislivello” tra aspettativa e
realtà su noi stessi, sui nostri risultati, sulle cose del mondo.
E sebbene sia probabile che il funzionamento di un simile
meccanismo psicologico sia “dolorosamente” intuitivo per
chiunque, può risultare comunque estremamente interessante
5
analizzarne le dinamiche neuroscientifiche, in gran parte
legate al funzionamento del sistema di ricompensa del
cervello, e in particolare al ruolo della dopamina. La dopamina
è infatti un neuromodulatore che gioca un ruolo cruciale nello
gestire le nostre aspettative e la nostra percezione della
ricompensa. Uno studio del professor Wolfram Schultz et al.
del 1997 (“A neural substrate of prediction and reward”) è stato tra
i primi a spiegare che quando le nostre aspettative sono
“ragionevolmente elevate”, cominciamo a secernere un
consistente flusso di dopamina che crea in noi un senso di
anticipazione o eccitazione. Tuttavia, se queste stesse
aspettative per qualunque motivo vengono tradite, il nostro
livello di dopamina subisce un calo ben al di sotto del livello
iniziale, proiettandoci quindi in uno stato emozionale di
insoddisfazione e frustrazione ben peggiore rispetto al caso in
cui questa aspettativa non si fosse mai manifestata.
Questo, pertanto, ci comunica in maniera abbastanza
“ineludibile” quella che è una verità biologica incredibilmente
potente: la nostra energia, il nostro umore, la nostra capacità
di relazionarci in modo sano con il mondo discende in gran
parte dal modo in cui gestiamo i nostri limiti e le nostre
aspettative; il che, attenzione però, non deve essere mai inteso
come un doversi rassegnare a una vita modesta e priva di
sogni o ambizioni, ma piuttosto si basa sull’afferrare un
maggiore senso della realtà ogniqualvolta ciò si riveli
funzionale; sull’imparare a convivere maggiormente con
quelle inevitabili fallibilità e imperfezioni della propria
condizione umana. Convivenza che, sebbene sia
inevitabilmente problematica per molti di noi, è probabile che
si trasformi improvvisamente in qualcosa di “perfettamente
sostenibile” nel momento in cui faremo nostro il concetto
che, “alla fine della storia”, nonostante questo insieme di
mancanze e difettosità, potremo comunque ambire a tanto, a
stare bene, a vivere delle vite di qualità; a essere anche
incredibilmente felici.
Da tutto ciò si può pertanto capire abbastanza
immediatamente l’incredibile valore propulsivo e
6
autoterapeutico di una maggiore autocomprensione e
autocompassione, del darci una “pacca sulla spalla” in più
ogni tanto, del trattarci un po’ meno duramente; del provare a
far nostro il principio secondo cui, come ogni altra persona su
questa terra, comprese quelle che reputiamo più capaci,
“geniali” e “di successo” (che sì, sebbene tendiamo a
dimenticarcelo, quotidianamente anche soffrono, sbagliano e
fanno sciocchezze di ogni genere, pur facendolo spesso
“lontano dai nostri riflettori”), non siamo perfetti e non
potremo assolutamente mai pensare di ambire al risultato
perfetto, alla previsione impeccabile, né alla possibilità di fare
tutto con facilità in qualunque situazione. Non c’è infatti
probabilmente nulla di più “liberatorio” del concederci che il
nostro percorso possa essere costellato anche di difficoltà, di
“asimmetrie informative” e dati di fatto immodificabili di
ogni genere. Non c’è nulla di più rasserenante del puntare a
fare sì, del proprio meglio e il proprio massimo con ciò che è
nella propria “sfera di controllo”, ma nulla più di questo. Questo
è molto, molto importante: va bene ambire al proprio 100%,
ma deve essere altrettanto chiaro che in certi contesti, casi,
situazioni, non potremo mai pretendere dal nostro cervello, o
dal nostro corpo, nulla di più di ciò che “sul momento” ci
verrà concesso. E più faremo nostra questa consapevolezza,
imparando a riconoscere e accettare un po’ di più i nostri
limiti, le nostre imperfezioni e la nostra inevitabile fallibilità, e
più il nostro cervello starà meglio, la sua capacità di rilasciare
ormoni e neurotrasmettitori si farà più sana, più equilibrata;
un simile stato mentale ci renderà infatti molto più obiettivi e
distaccati, consentendoci di fare l’unica cosa sensata e
razionale qualora qualcosa “vada male”, ossia: evitare tutti i
sensi di colpa eccessivi o le “autodistruzioni di stima di sé” del caso,
raccogliere il feedback datoci dalla realtà e andare avanti.
Certo, qui può valere la pena ribadire che è più che normale
“sentirsi in colpa” dopo avere vissuto uno o più momenti di
frustrazione di cui ci si sente in parte responsabili. Il contrario
vorrebbe dire non avere una sensibilità, un cervello, un
sistema nervoso, una percezione sana di sé; tuttavia, è sempre
questione di mantenere una prospettiva obiettiva e razionale
7
tale da identificare i problemi per ciò che sono, apprendere il
più che si può e andare avanti.
Il vero problema non è mai nel desiderare che si sia fatto di
più, o che si possa fare di più in futuro, ma in quando
sensazione diventa pervasiva, invalidante e ci “congela”
completamente ogni prospettiva di crescita futura. Ma
soprattutto, una vera criticità emerge quando si cade in quel
“bias”, di cui si parlava qualche pagina fa, secondo cui
finiamo con il credere di essere gli unici a fronteggiare
difficoltà simili, facendoci precipitare nel pericolosissimo
“loop” secondo cui saremmo rotti, sbagliati, “incurabili”. Uno
stato dal quale diviene spesso difficile uscire se non si
razionalizza che “non possiamo essere responsabili di tutto”,
e magari è stata la realtà a essere “fuori posto”, o il nostro
comportamento a esserlo, più che noi (e le due cose vanno
necessariamente distaccate, separate).
E poi, andrebbe sempre presa piena consapevolezza dello
“svarione”, del fallimento, della “sberla”, come si dice nel
campo dell’ingegneria del software, a mo’ di feature anziché di
bug. Come necessaria, ossia, caratteristica del sistema che, se
rimossa, ne causerebbe probabilmente il collasso. Non solo
infatti limiti e asimmetrie informative sono letteralmente
connaturati alla nostra realtà fisica e biologica, ma è
altrettanto da considerare come l’esplorazione, la conoscenza
di questa realtà, il costruirvi qualcosa di migliore deve
inevitabilmente passare per uno scontrarsi con le sue
incognite, con le sue limitazioni, con le sue criticità.
L’errore pertanto, proprio come accade nel metodo
scientifico, non va più visto come l’evenienza sfortunata su
cui costruire “spalmandovi su” un po’ di pensiero positivo a
posteriori; ma, piuttosto, esso è il “nucleo vitale” di ogni
avanzamento, l’infrastruttura senza cui la costruzione stessa
non potrebbe mai avvenire. Tutti questi discorsi poi avranno
le loro estensioni, i loro “ma”, le loro ramificazioni nelle
pagine che seguono; tuttavia, fin da adesso potremmo
estrarne uno dei principi più preziosi per un rapporto sano ed
equilibrato con la nostra persona: quel momento in cui le
8
cose non sono andate come volevamo, quel senso di
frustrazione che proviamo nel non riuscire a raggiungere
qualcosa che desideriamo, they’re all features, not bugs. Con tutti i
pro, contro, gli inevitabili “ma”, nonché le inevitabili “storture
di naso” che sicuramente qualcuno di noi potrebbe provare di
fronte a un’affermazione del genere.
Vuoi continuare a leggere questo capitolo?
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9
V - Strategie di “pensiero
evolutivo”
“La felicità non è la mancanza di problemi, è la capacità di affrontarli.
Un edificio non può stare in piedi senza una fondazione solida, e l’uomo
non può prosperare senza la resilienza. La resilienza è l’abilità di
trasformare le avversità in trampolini verso il successo.”
(Jack Ma, co-fondatore di Alibaba)
Ciò che faremo in questo capitolo è cercare di capire come
applicare l’arte del cosiddetto “pensiero positivo”, sebbene
non adori questa accezione. Quando si parla di “pensiero
positivo” spesso si tende infatti a immaginare un ottuso,
ingenuo e forzoso “edulcorante” di ogni circostanza. Tuttavia
è ovvio che il nostro scopo qui sarà quello di puntare a
qualcosa di molto più sofisticato e complesso; a qualcosa che
di certo non può negare la presenza dei lati “oscuri” e
problematici della realtà, ma si basa sulla “saggia
consapevolezza” che un ottimo modo per gestirli
efficacemente è proprio nel riconoscerli come modo per
“rinarrarli” in qualcosa di più positivo, costruttivo, utile. Il che
va a costituire un tipo di processo cognitivo che, per un
10
motivo che vedremo a fine capitolo, preferisco chiamare
“pensiero evolutivo”.
Sembrerebbe inoltre, secondo una parte della letteratura
scientifica, che una simile metodologia di interpretazione del
mondo sia fortemente correlata a una vita felice, gratificante,
e persino al minor rischio di alcune malattie come quelle
cardiache o cardiovascolari; certo, immagino che gran parte di
questa letteratura lasci il tempo che trova, visto quanto sia
probabile che questa correlazione non implichi necessariamente
una causazione (ad esempio, è probabile che le persone più in
salute tendano istintivamente a utilizzare questa modalità di
pensiero più spesso). Tuttavia, a mio avviso, dovrebbe essere
comunque possibile estrarre, dalle evidenze scientifiche in
nostro possesso, qualche prova di questi effetti fisiologici: se
per esempio, diamo per buono quanto visto poco fa sul fatto
che la “rinarrazione” di alcuni eventi innesca una reazione
fisiologica “diversa e più gestibile” allo stress, è altrettanto
probabile che una simile modalità possa mitigare tutto quel
logorante affaticamento psicofisico indotto dalle proprie
quotidiane difficoltà.
Ma anche se non volessimo prendere in considerazione
l’impatto fisiologico del pensiero “evolutivo”, è chiaro che la
sua utilità pragmatica, quando non è un “ignoro questo
problema”, ma un “non mi aggrappo troppo a come le cose sarebbero
dovute andare, e piuttosto cerco di estrarre l’opportunità proprio perché
c’è il problema”, è praticamente infinita; non per nulla tale
attitudine viene considerata un tratto essenziale della
leadership e dell’innovazione, caratteristiche umane che non
possono emergere se non “navigando efficacemente” le forze
contrarie che si presentano.
Poi sia chiaro, prima di far propria questa attitudine sarà
probabilmente necessario superare un po’ di ostacoli, culturali
e, non a caso, evolutivi: molto spesso, per esempio non saremo
in grado di scorgere opportunità nelle difficoltà per necessità
di “eccessivo attaccamento” alle nostre emozioni
problematiche (vedasi caso appena illustrato, o capitolo
precedente). Altre volte invece, come suggerito a inizio
11
capitolo, tenderemo non solo a identificare un simile
atteggiamento come arrendevole o passivo, ma anche a
identificare quello opposto (il “pessimista cronico”) come
furbo, esperto, “realista”. Tuttavia, come sostenuto anche da
Morgan Housel nel suo bellissimo “The Psychology of Money”,
questo “pessimismo a tutti i costi” sì, sarà sempre dotato di
un enorme potere seduttivo; tuttavia, imbracciarlo a
prescindere e senza sforzarsi di adottare un’ottica più
complessa sulla realtà, vuol dire anche auto-accecarsi di fronte
alle opportunità, limitare la propria immaginazione e
arrendersi al non poter migliorare le cose.
Quali potrebbero essere, quindi, le “chiavi fondamentali” per
far propria tale arte?
La prima è probabilmente nel provare a riconoscere la
sostanziale limitazione nella propria percezione; rifarsi a quel
principio secondo cui “Ogni problema pone le basi per un
beneficio ben superiore rispetto a ciò che inizialmente il
cervello può suggerire”. E sebbene tale beneficio possa
risultare sì, davvero difficile da scorgere, a volte basta sfidarsi
con un semplice cambio “narrativo” di prospettiva per
individuarlo: un rifiuto in amore può essere l’unica buona
occasione per comprendere di avere perso tempo con la
persona sbagliata. Una gamba rotta l’unica buona occasione
per fermarsi qualche giorno a riflettere sulla propria vita. Un
problema mai affrontato prima un modo per coltivare doti
mai sfruttate prima. Una persona che ci surclassa in una
competizione diretta un’occasione per imparare un
insegnamento importante. Chiaro che, come suggerito
qualche pagina fa, può dover essere necessario un lavoro di
“mitigazione” e “distacco” prima di raggiungere tale
consapevolezza; lavoro che si farà tanto più complicato
laddove si ha a che fare con eventi particolarmente impattanti
dal punto di vista emotivo, identitario, valoriale. Tuttavia,
appuriamo che in questo punto della lettura il concetto sia
chiaro e passiamo avanti.
Se vogliamo, possiamo anche rafforzare quanto visto finora
con un concetto che spesso amo prendere, estratto dalla
12
filosofia cinese, ossia quello secondo cui ogni cosa
“compiuta” coltiva in sé almeno un germe per trasformarsi
nel proprio opposto. Come diceva Sun Pin, continuatore di
Sun Tzu qualche secolo più tardi, è proprio “quando un
nemico è concentrato che può essere distratto, quando è forte
che può essere indebolito, quando è rapido che può essere
rallentato, quando è fresco e vivace che può essere sfinito”.
Nel principio dello Yin e Yang, oltre il punto massimo di
ciascuno, non vi è altro spazio se non per il mutamento nel
suo contrario. Allo stesso modo, potremmo dire: una volta
che un problema, una sofferenza, un ostacolo si è rivelato per
ciò che è, una volta che si è espresso al massimo del suo
“potere”, tutto ciò che possiamo fare è aguzzare sensi,
ingegno e creatività per cogliere la natura di questo “germe” e
favorire così questa sua “trasformazione nel suo opposto”
verso il proprio compiersi. Non nell’ottica “delirante”
secondo cui possiamo effettivamente trasformare qualcosa
nel suo opposto, ma nel senso di “aprire gli spazi” per
un’impostazione concettuale che ce ne fornisca una nuova
prospettiva, “contraria” rispetto a quella iniziale, più
distruttiva o drammatica.
“Secondo il pensiero negativo del mio collaboratore, era impossibile
vendere perché non avevano raccolti da cinque anni. Ma io sapevo che
avrebbero comprato le polizze proprio perché non raccoglievano prodotti
agricoli da cinque anni. E questo si chiama pensare in senso positivo.”
(W. Clement Stone)
Oppure, se qualcuno di voi preferisce navigare in mari
“leggermente” più scientifici, proviamo a estrarre qualche
concetto da lì. Per esempio, dal concetto di potenziale. Nella
termodinamica, il potenziale energetico si riferisce alla
capacità di un sistema di compiere lavoro a causa della sua
posizione o configurazione. Analogamente, ogni elemento
nell’ambiente circostante può essere visto come un sistema
con un potenziale innato - una capacità di compiere “lavoro”,
13
o in termini più ampi, di produrre cambiamenti o risultati
qualora qualcosa venga spostato, rielaborato, modificato.
Capisco l’obiezione qualora qualcuno di voi stia pensando che
questa connessione è un po’ “forzata”, ma proviamo a
rimanere pragmatici, a proporre dei “modelli interpretativi” e
a vedere quanto ci possono essere utili; se poi la risposta
dovesse essere “zero”, semplicemente diamoci la libertà di
scartarli.
Nel nostro mondo un “sistema” di qualunque genere può
sempre possedere energia potenziale non manifestata: è
nascosta, pronta a essere rilasciata sotto condizioni che,
tuttavia, possono non essere immediatamente evidenti. E così
questo potenziale può nascondersi oltre l’ovvio, oltre
l’immediato, oltre l’apparente. Può essere celato in un angolo
nascosto, dietro un velo di polvere, sotto la punta di un
iceberg, in un particolare trascurato, dove nessuno si sarebbe
aspettato di trovarlo. Può richiedere un tentativo extra, lo
sforzo di adottare un punto di vista completamente nuovo o
di sperimentare strategie mai provate prima. Ma, come
dimostrato da tutti quei momenti “eureka” in cui
“improvvisamente” abbiamo trovato una risorsa
“sorprendente” laddove non avremmo mai immaginato, esso
può essere comunque lì. E anche se non riusciamo a maturare
alcuna fiducia nei confronti di questa possibilità, possiamo
essere sempre certi almeno di una cosa: se stiamo attraversando
un brutto momento, è estremamente probabile, se non certo, che ne
sottostimeremo la presenza, l’efficacia, l’impatto.
Il rifiuto emotivo di riconoscere il potenziale di ciò che ci
circonda, l’ascolto privilegiato di tutte quelle voci interne che
spingono all’accettazione della peggiore interpretazione di un
problema, non farà altro che dare allo stesso tutto il potere
necessario per “prevalere”. Perché, dunque, credervi
acriticamente? Perché accettare di essere la fonte prima di
energia e risorse di qualcosa che può danneggiarci? Perché,
invece, non accettare la sfida e usarla per crescere, per
costruire, per sfruttare al meglio tutto quell’immenso
14
potenziale che, nonostante tutto, ancora può divenire il
principio di qualcosa di significativo?
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15
VIII - Naviga
consapevolmente lo
“Zeitgeist digitale”
“Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un
sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il
mondo dei sogni da quello della realtà?.”
(Morpheus)
Tra tutti coloro che sono vintage abbastanza da ricordarlo, è
opinione comune che fino a “pochissimo tempo” fa, epoca in
cui il web viaggiava su linee analogiche instabili, lentissime e
rumorose, una simile evoluzione del legame tra digitale e
uomo era praticamente impensabile: tra e-commerce,
smartphone, web 2.0 e 3.0 e social network, non c’è quasi più
attività umana che non abbia un profondo legame con il
mondo informatico ed elettronico. Con l’arrivo poi dei
cosiddetti metaversi stanno cominciando a formarsi sempre più
dilemmi e questioni complesse sulla natura della nostra
identità digitale, e su un suo possibile relazionarsi “sano” con
quella biologica e fisica.
16
Ma al di là dei tantissimi vantaggi pratici apportati da questa
ondata di tecnologizzazione iper-rapida, è innegabile che
questa fusione tra vita reale e informatica sia avvenuta così
rapidamente da non avere dato sufficiente tempo alla nostra
specie di preparare le proprie naturali difese contro i suoi
potenziali “rovesci della medaglia.” Se poi si ripensa che già
questa stessa specie stava fronteggiando quotidianamente la
sua buona dose di difficoltà dovute all’avere un cervello
“antico”, ecco che si può cominciare ad afferrare l’entità del
problema. Da tutto ciò, pertanto, a mio avviso emerge
l’importanza di avere a propria disposizione almeno un
sistema di regole, un quadro di riferimento che ci consenta di
orientarci in un “mondo inimmaginabile”, almeno rispetto a
tutto ciò per cui l’evoluzione ci aveva preparati.
Ma quali sono questi rovesci della medaglia che più
“attentano” alla nostra felicità individuale? Vediamoli insieme,
in unione con alcune, possibili strategie per provare ad
arginarli:
Come vivere in una società “attenziocentrica”
L’idea di attrarre interesse e attenzione non è certo nata con i
social media; è fin dall’alba della specie infatti che il richiedere
attenzioni, lo “spiccare” è stato associato a valori evolutivi
come maggiori probabilità di accoppiarsi col partner più in
salute, ottenere più risorse od ottenere maggiore protezione
dal gruppo. Ed è altrettanto vero che, man mano che la nostra
specie ha generato diversi sistemi valoriali attraverso le
epoche, sono cambiati solo modi, cause e pretesti con cui
chiunque venisse considerato “élite” dovesse spiccare rispetto
alla “non-élite”, al “resto”; il meccanismo, tuttavia, è
sostanzialmente rimasto identico.
In quest’ottica sarebbe quindi pericolosissimo affermare
stupidaggini retoriche del tipo “La società è rovinata perché
misuriamo il nostro valore attraverso i like”: ciò che oggi è
rappresentato dai like ieri erano gli ascolti televisivi, e ancora
prima il numero di carri e di cavalli con cui si entrava dopo un
17
grande trionfo in battaglia. Si potrebbe persino obiettare che
una certa “democratizzazione dei mezzi” con cui richiedere
attenzione e spiccare non è necessariamente un male. Ma
dov’è il problema, allora (ammesso che ce ne sia uno)?
La risposta qui in realtà è abbastanza coerente con alcune
delle dinamiche analizzate qualche pagina fa, e va ritrovata nel
fatto che il digitale amplifica dinamiche di per sé già complesse, fino a
renderle molto difficili, se non a volte impossibili, da gestire e sostenere.
Pensiamo per esempio alla tendenza, non più invertibile, di un
certo tipo di adolescenza nativa digitale, di misurare valore,
popolarità e modelli umani in base alla loro capacità di
generare interazioni sui social media; se infatti questa
dinamica è sempre esistita pur se in forme differenti, è
altrettanto vero che la pervasività dei mezzi tecnologici
contemporanei, e pertanto la scala su cui essi agiscono, può
amplificare di molto la tendenza a sacrificare le proprie più
autentiche convinzioni, interessi e valori, in virtù del “dogma”
dell’attrarre più attenzione possibile. Oppure, il che forse è
persino peggio, può divenire molto più facile avvertire
sensazioni violente e pervasive di inutilità e impotenza
ogniqualvolta si fallisca un intento comunicativo, o magari si
rinunci anche consapevolmente a dire qualcosa (diritto a “non
dire niente” la cui preservazione rimane a mio avviso molto
più importante di qualsivoglia “obbligo a dire la cosa giusta al
momento giusto”, in voga nel “clima di terrore” di certi
ambienti social). Ancora una volta: non è questione di
rinnegare la consistenza, o legittimità di un valore come
quello di saper comunicare o attrarre attenzione: in quanto
animali sociali dobbiamo assolutamente fare anche questo se
vogliamo apportare valore alla società; è questione, tuttavia, di
scala, di importanza, di quanto altri valori devono divenire “a
tutti i costi” costretti a subordinarsi a questo principio.
Un primo suggerimento quindi, banale ma prezioso, per
orientarsi in questo “Zeitgeist”, potrebbe essere quello di
riprendere tutto quanto abbiamo visto finora in questo libro
in termini di pratiche utili alla cura di sé, come la meditazione,
un “Diario della gratitudine”, l’adozione di una mentalità
18
“samurai”, o un approccio sano ai propri limiti attraverso il
“Non posso… ma posso”. Tutto quanto infatti rappresenta
un prendersi cura di qualcosa (inclusa la propria persona),
aiuta a ridare importanza valoriale alla capacità di generare
benessere, di fare cose buone, di produrre valore aggiunto, sia
anche solo per sé stessi, e anche senza urla o annunci
clamorosi di fondo.
E infine, un ultimo consiglio che mi sentirei di dare in questo
contesto può essere quello di riscoprire una certa forma di
“umiltà autoterapeutica”, non come forma per svilire o
depotenziare sé stessi, ma per distaccarsi almeno in parte da
questa necessità ansiogena, infinitamente stressante, di essere
sempre a cavallo dell’ultimo trend, di esprimersi sull’ultimo
fenomeno, di dire qualcosa sempre e comunque. Un
riconoscere che non ogni singola parte, non ogni singolo
aspetto, non ogni singola espressione di noi stessi deve essere
a tutti i costi speciale, importante o significativa, e va bene così;
va bene essere, almeno ogni tanto, qualcosa di meno. Viviamo in un
mondo di risorse limitate, siamo noi stessi un insieme di
risorse limitate e pertanto se la smettiamo di autoimporci
questo “Grande Fratello digitale” in cui si è sempre o al
massimo o non si è nulla, impareremo anche a utilizzare
queste risorse in maniera consapevole, anziché approcciarle
con la stessa “saggezza” con cui un incendio divorerebbe una
foresta; le sfrutteremo quando conta, se conta, e se ciò
apporterà un vero valore aggiunto a noi stessi e al mondo. Il
che è l’assoluto opposto del depotenziarsi: è infatti, piuttosto,
il modo migliore con cui rifiutarsi di essere solo un ulteriore
“bit” nell’infinito rumore digitale della società
contemporanea, per scegliere di diventare così dei veri e
propri “emettitori di segnale” significativi, potenti,
arricchenti; dei punti di riferimento reali su cui contare.
19
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20
XI - Tornare “al di là del
tempo”
“Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi
trascina, ma io sono il fiume”
(Swami Vivekananda)
Sono moltissimi gli spunti all’interno dell’umana cultura ed
esperienza che parlano del tempo come qualcosa di percepito
più che reale, od oggettivo. Un modello che prendiamo per
buono, visto il modo in cui può spiegare una quantità
innumerevole di fenomeni, ma che può essere anche
completamente trasceso nel momento in cui incontriamo dei
“sistemi nuovi”, che ne sfidano premesse e
concettualizzazioni. Per esempio Einstein ha dimostrato,
ormai già da diversi decenni, quanto esso sia relativo e
dipendente unicamente dalla presenza e dalle caratteristiche di
un osservatore, o il modello della fisica quantistica ha rivelato
un mondo in cui il concetto di tempo sembra perdere la sua
univocità lineare; se poi guardiamo alla nostra storia è chiaro
che qualche intuizione “sfidante” sul tempo già risuonava
nell’umana cultura diversi secoli fa. Parmenide, per esempio,
21
sosteneva già nel V secolo a.C. che il cambiamento fosse
un’illusione, e che l’universo fosse in realtà in uno stato eterno
e immutabile. Oppure, Plotino nel III secolo d.C. parlava di
“un’esistenza nel tempo come esistenza imperfetta”.
La scienza contemporanea d’altronde, e in particolare la
psicologia e la neurobiologia, si stanno impegnando
quotidianamente con mezzi sempre più sofisticati per provare
a capire come il nostro cervello percepisca e gestisca il
concetto del tempo, arrivando alla conclusione parziale, ma
più o meno concorde, secondo cui l’esperienza umana di tale
dimensione non è affatto uno “scorrimento” costante, ma è
piuttosto un esperienza estremamente complessa, e
influenzata da fattori come l’attenzione, l’emozione, la
memoria, i cosiddetti “ritmi circadiani” e, nondimeno, il
background culturale; background culturale di cui si può
vedere tutto l’impatto se si pensa ad alcune popolazioni, come
ad esempio quella aborigena che, essendo abituate a un
costante contatto con la natura, non contemplano affatto tale
parola nel loro linguaggio d’origine. Per alcuni di loro non ci
sono “frecce” del tempo, né scadenze da rispettare, c’è solo
una sorta di “eterno presente” soggetto a dei cicli universali
atti a rappresentare un (teoricamente) eterno avvicendarsi
degli eventi.
“L’uomo bianco non sogna
Lui va lungo un’altra strada
L’uomo bianco va in maniera diversa
La sua strada appartiene solo a lui.”
(Detto Aborigeno)
Ma anche la cultura indiana antica ha offerto punti di vista
simili. Nel sanscrito classico, il termine “kala” si riferisce sia al
tempo che alla morte, sottolineando il legame tra la
percezione del tempo e l’esperienza umana di cambiamento e
decadenza. Il Bhagavad Gita, un antico testo sacro indiano,
infatti afferma: “Coloro che vedono con occhi di conoscenza l'intero
22
universo in sé stesso e se stessi in tutto l'universo, non sono mai
allontanati da esso”, suggerendo che un livello più profondo di
consapevolezza può trascendere le normali restrizioni
temporali.
Trovo pertanto abbastanza affascinante questo “modello
narrativo” secondo cui l’umanità in qualche modo percepisca
e soffra da sempre proprio questa “separazione dall’eternità”,
questo “essere stato gettata nel tempo”, per poi ricercare,
anche inconsapevolmente, il contatto con una realtà atemporale
come soluzione alle proprie ansie esistenziali. Come tutti i
modelli narrativi, è lungi dall’essere scientifico o
potenzialmente descrittivo di ogni fenomeno, ma se lo
prendiamo per il “gioco”, seppur fondato che è, può avere
senza dubbio le sue connotazioni interessanti: potremmo
pensare per esempio che è proprio questo che l’umanità
ricerca, e spesso può trovare, in tutti quei “fenomeni
trascendenti” che alterano in parte il proprio stato di
coscienza, quasi consentendole di “congelare” il tempo
attorno a sé; si pensi all’amore romantico, al sesso, occasionali
ritorni al contatto con la natura, alla meditazione mindfulness, al
processo creativo, la fruizione di alcuni tipi di musica, cinema;
ma anche a fenomeni più astratti come la contemplazione
della fantasia e del sogno. Tramite tutte queste pratiche infatti
l’umanità può provare a ritornare “in terre mitiche, lontane, che
risiedono al di là del tempo”; in luoghi dove quindi non c’è spazio
né per lo stress delle faccende quotidiane, né per l’angoscia
della propria (o altrui) finitezza e mortalità.
Ne consegue, da tutti questi principi, e dal modo in cui la
nostra “negoziazione con il tempo” emerge in ogni luogo e
momento attraverso i millenni, la verità secondo cui forse
possiamo ritrovare un consistente “strumento di felicità” nel
darci i giusti strumenti per affrontare questa negoziazione al
nostro meglio; in un particolare, mi sentirei di dire, per
migliorare il nostro rapporto con l’ora, con il momento stesso
in cui adesso stiamo vivendo, respirando, leggendo queste
parole. E così, oltre a fare magari tesoro di quanto appena
detto sulla meditazione mindfulness, sulla contemplazione
23
della natura o sull’implementazione di processi creativi (per i
cui elementi comunque esiste già una, seppur parziale,
letteratura neuroscientifica che parrebbe offrire dei primi
risultati sull’effettivo “rallentamento temporale” che
producono), vediamo di quali strumenti potremo beneficiare,
se non per “fuggire completamente dalla freccia del tempo",
per renderne almeno un po’ meno invadenti e intrusive le
implicazioni più “soggioganti”:
Il presente, non come attimo né come
fl
usso, ma come
“campo”
Può sembrare banale, eppure la tua mente non ne è mai
consapevole del tutto: solo nel presente realmente ci sei, pensi,
percepisci, esprimi volontà e realizzi. Il nostro ora pertanto, se
volessimo provare a fare un piccolo “volo intellettuale”, può
tranquillamente essere considerato anche come il nostro
“sempre”. Anche quando arriverà domani, o dopodomani, o
il momento di una lotta, o dell’amore, o della felicità, o della
morte, sarà sempre e solo il nostro ora a farvici assistere. È
una percezione da cui “non possiamo scendere” e pertanto da
come decideremo di viverla dipenderà semplicemente ogni altra
cosa; chiaro che non diventa, per questo, razionale pensare di
prepararci, psicologicamente o praticamente, fin da subito a ogni
evenienza. Ciò che conta, tuttavia, è provare a cominciare a
usare questi spunti per capire l’importanza dell’esserci
pienamente, nel tanto caro a diverse filosofie buddiste, “qui e
ora”.
Ecco tuttavia che potrebbe sorgere una prima, giustissima
obiezione, ossia che il presente è “solo un istante”. Un istante
per definizione, è anche la più piccola frazione di tempo
immaginabile e, in quanto tale, smette a tutti gli effetti di
esistere nel momento stesso in cui la concepiamo. Anche solo
quando guardiamo a un orologio infatti, è probabile che sia
“già scattato il secondo successivo” e, pertanto, l’idea di
afferrare l’attimo, di “esserci” in qualcosa di infinitesimale,
può sembrare nulla più che un “delirio new age”, privo di
24
qualunque significato concreto. Tuttavia, proprio facendo
riferimento a quest’ultima immagine, mi sentirei di porre un
accento ulteriore sulla profonda differenza tra strumenti di
misurazione del tempo, e tempo per come il nostro cervello lo
percepisce: i primi non fanno altro che scandire intervalli
regolari all’interno dell’evoluzione di un fenomeno. Il
secondo invece, può trovare sicuramente sensato e ragionevole il
modello del primo, e applicarlo nella propria elaborazione
dello stesso fenomeno. Tuttavia c’è un chiaro rischio nel
“pensare al tempo come farebbe un orologio”, ed è quello di
semplificare enormemente sia la realtà del fenomeno stesso, che
quella della nostra percezione biologica del tempo. Quest’ultima è
infatti in realtà basata su complesse interazioni tra diverse reti
neurali, è profondamente diversa dallo “scandire” di un
qualunque orologio meccanico, ed è influenzata dal nostro
stato di coscienza, dal nostro stato neurochimico e dal nostro
modo di percepire il mondo; il tutto, con modalità e dettagli
che vedremo tra qualche pagina.
È chiaro che poi può avere senso, da un punto di vista
pratico, produttivo, ragionare in termini di “scorrere” e
imporsi, pertanto, delle scadenze; tuttavia questo comincerà a
diventare un problema enorme nel momento in cui
cominciamo a “vivere a scadenze continue”, con una mente
eternamente proiettata sulla preoccupazione per ciò che verrà
dopo, anche quando ciò non ha alcuno scopo funzionale.
Se prendiamo, pertanto, ancora una volta per buono il fatto
che le nostre narrazioni possono influenzare anche parte dei
nostri processi cerebrali, proviamo a fare un semplice
esercizio, e a “sfidarci” con una prospettiva differente: “Il
presente non è un istante; lo scorrere del tempo dettato da un orologio
non è che l’approssimazione monodimensionale (e qui immaginatevi il
“tentativo forzoso” di costringere un cubo enorme all’interno
di un filo di cotone) di una realtà molto più larga e complessa. Il
presente è un campo, una distesa attiva di cui siamo una parte viva e
integrante.”
Questo concetto eredita molti presupposti dallo Zen e dalla
Mindfulness, ed è un cambiamento di prospettiva che può
25
essere tanto potente quanto straordinariamente liberatorio.
Pensa per esempio a quando ti immergi in un’attività che
cattura tutta la tua attenzione, sia essa un hobby, l’ascolto di
una musica straordinariamente rilassante, o una passeggiata
immersiva nella natura. In quei momenti, il tempo sembra
dilatarsi, ci si dimentica totalmente del passato e del futuro, e
si vive davvero, totalmente, nel “qui e ora”. Spesso queste
attività vengono definite come effettuate in uno stato di
“flow”, flusso, anche se la “debolezza” principale dell’idea
stessa di flusso, a mio avviso, è nel fatto che essa contiene
comunque in sé una connotazione dinamica, direzionale,
ancorata al movimento temporale. Invece, pensare al presente
come un campo lo libera completamente da questa dinamicità
forzata, lo spoglia da qualunque desiderio o necessità di avere
delle “deadline”, e lo rende piuttosto un luogo “vivo”,
vibrante di possibilità. Un tipo di percezione essenziale, che
vive solo dell’attenzione “assoluta” nei confronti di ciò che
c’è, percepiamo, viviamo; il che dovrebbe in teoria consentirci
anche di distaccarci, almeno in parte, sia dagli “spettri” di
tutto ciò che è già avvenuto, che dai timori di ciò che ancora
deve arrivare.
26
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27
L'autore
Danilo Lapegna, classe 1986, e fondatore e CEO del “Kintsugi
Project”, è un professionista, ingegnere e studioso con
un'insaziabile passione per l'apprendimento, la scoperta e il
progresso umano. Sin dalla sua infanzia, ha dimostrato una
precoce fascinazione per il massimo potenziale del cervello
umano, divorando libri a tema scienti
fi
co, ed emergendo come un
campione di memoria televisivo all'età di soli sei anni.
Danilo, con la sua formazione accademica da ingegnere
informatico, dirige da anni con successo team internazionali
impegnati in progetti software di grande impatto nel fervente
mondo delle start-up del Regno Unito. Tuttavia, la sua passione più
profonda affonda le sue radici nell'amore per la
multidisciplinarietà, e per la capacità di generare valore attraverso
la sintesi e l’integrazione di principi estratti dalla
fi
loso
fi
a, dalla
psicologia, dalle neuroscienze, dalla “smart productivity”; ma
soprattutto, attraverso l'armonizzazione di tutto ciò con un
incrollabile desiderio di contribuire al benessere altrui. Da più di
un decennio infatti, attraverso lo pseudonimo di “Yamada Takumi”,
ha sfruttato queste sue passioni scrivendo libri a tema che hanno
venduto oltre 50.000 copie, scalando le classi
fi
che di vendita su
Amazon, aiutando migliaia di persone attraverso il suo blog e
ricevendo enorme attenzione mediatica per il loro successo nel
settore dell'auto-pubblicazione.
E così, “Il Kintsugi Project” rappresenta il tentativo “de
fi
nitivo”, suo
e del suo staff, di reinventare l’approccio all’evoluzione personale,
atto a decostruire tutta la “fuffa” e i paradigmi obsoleti e
disfunzionali di questo settore, per poi rivolgere la propria
scommessa verso sistemi di autoterapia, benessere psico
fi
sico,
“skill development” e “produttività intelligente” che abbiano radice
nella scienza, nella ricerca, e soprattutto in un ecosistema
condiviso che possa favorire una crescita individuale e
"personalizzata", che sia scolpita sui valori e sulle esigenze di
ognuno.
28
Bibliogra
fi
a e
approfondimenti
Sulla meditazione
“Mindfulness-based stress reduction and health benefits: A
meta-analysis”, di Grossman P, Niemann L, Schmidt S,
Walach H. (2004)
“Can Meditation Slow Rate of Cellular Aging? Cognitive
Stress, Mindfulness, and Telomeres”, di Elissa Epel, Jennifer
Daubenmier, et al. (2009)
“A Wandering Mind Is an Unhappy Mind”, di Matthew A.
Killingsworth, Daniel T. Gilbert (2010)
“Mindfulness Training Improves Working Memory Capacity
and GRE Performance While Reducing Mind Wandering, di
Mrazek, Franklin, Phillips et al. (2013)
“Meditation programs for psychological stress and well-being:
A systematic review and meta-analysis” di Goyal M, Singh S,
Sibinga EMS, et al. (2014)
“Brief, daily meditation enhances attention, memory, mood,
and emotional regulation in non-experienced meditators”, di
Julia C. Basso, Alexandra McHale, Victoria Ende, Douglas J.
Oberlin, Wendy A. Suzuki (2019)
Libro: “Mindfulness: A Practical Guide to Finding Peace in a
Frantic World”, di Mark Williams e Danny Penman (2011)
Su rilassamento, stress e gestione emotiva
“Coping as a mediator of emotion.”, di Folkman, Lazarus
(1988)
29
“Assessing coping strategies: A theoretically based approach.”,
di Carver, Scheier, Weintraub (1989)
“Coping: Pitfalls and Promise”, di Folkman, Moskowitz
(2004)
“Why do beliefs about intelligence influence learning success?
A social cognitive neuroscience model”, di Jennifer A.
Mangels, Brady Butterfield, Justin Lamb, Catherine Good,
Carol S. Dweck (2006)
“Psychological Stress and Disease”, di Cohen, Janicki-
Deverts, Miller (2007)
“Relaxation training for anxiety: a ten-years systematic review
with meta-analysis”, di Manzoni, Pagnini, Castelnuovo (2008)
“Rethinking stress: The role of mindsets in determining the
stress response.”, di Crum, Alia J. Salovey, Peter Achor,
Shawn (2013)
“The short-term stress response - Mother nature's
mechanism for enhancing protection and performance under
conditions of threat, challenge, and opportunity”, di Firdaus
S Dhabhar (2018)
“Meta-analytic evaluation of stress reduction interventions
for undergraduate and graduate students.”, di Yusufov,
Nicoloro-SantaBarbara, Grey et al. (2019)
“Acute Stress Improves Concentration Performance”, di
Cathy Degroote, Adrian Schwaninger, Nadja Heimgartner,
Patrik Hedinger, Ulrike Ehlert, and Petra H. Wirtz (2020)
“The effect of pursed
‐
lip breathing combined with number
counting on blood pressure and heart rate in hypertensive
urgency patients: A randomized controlled trial”, di
Thapanawong Mitsungnern, Nipa Srimookda, Supap Imoun
et al. (2021)
“A synergistic mindsets intervention protects adolescents
from stress”, di David S. Yeager, Christopher J. Brya et al.
(2022)
30
“Brief structured respiration practices enhance mood and
reduce physiological arousal”, di Melis Yilmaz Balban, Eric
Neri, Manuela M. Kogon, et al. (2023)
Sull’esercizio
fi
sico
“Health benefits of physical activity: the evidence”, di
Warburton, Nicol, Bredin (2006)
“Aerobic Exercise and Neurocognitive Performance: A Meta-
Analytic Review of Randomized Controlled Trials”, di Smith,
Blumenthal, Hoffman (2010)
Sulla dopamina
“Predictive Reward Signal of Dopamine Neurons”, di Schultz
(1998)
“Multiple Dopamine Functions at Different Time Courses”,
di Schultz (2007)
“The Mysterious Motivational Functions of Mesolimbic
Dopamine”, di John D. Salamone, Mercè Correa (2012)
Sulla neuroplasticità
“The Plastic Human Brain Cortex”, di Pascual-Leone, Amedi,
Fregni et al. 2005
“Training induces changes in white-matter architecture”, di
Scholz, Klein, Behrens, et al. (2009)
“Plasticity in gray and white: neuroimaging changes in brain
structure during learning”, di Zatorre, Fields, Johansen-Berg
(2012)
31
Sulla felicità e “pensiero positivo”
“The role of positive emotions in positive psychology: The
broaden-and-build theory of positive emotions”, di
Fredrickson (2001)
“Pursuing Happiness: The Architecture of Sustainable
Change”, di Lyubomirsky, Sheldon, Schkade (2005)
“The Benefits of Frequent Positive Affect: Does Happiness
Lead to Success?”, di Lyubomirsky, King, Diener (2005)
“Positive Psychology Progress: Empirical Validation of
Interventions.”, di Seligman, Steen, Park et al. (2005)
Sulla percezione temporale
“What makes us tick? Functional and neural mechanisms of
interval timing”, di Buhusi, Meck (2005)
“Neural network involve in time perception: An fMRI study
comparing long and short interval estimation”, di Pouthas,
George, Poline et al. (2005)
“Human time perception and its illusions”, di Eagleman
(2008)
Libro: “Your Brain Is a Time Machine: The Neuroscience
and Physics of Time”, di Dean Buonomano (2017)
Sulla visualizzazione e sulle “simulazioni mentali”
“Visual mental imagery and visual perception: Structural
equivalence revealed by scanning processes”, di Gregoire
Borst & Stephen M. Kosslyn (2008)
“Best practice for motor imagery: a systematic literature
review on motor imagery training elements in five different
disciplines”, di Corina Schuster, Roger Hilfiker, et al. (2011)
32
“Using motor imagery practice for improving motor
performance – A review”, di Aija Marie Ladda, Florent
Lebon, Martin Lotze (2021)
“Chapter 15 - Aphantasia: The science of visual imagery
extremes”, di Rebecca Keogh, Joel Pearson, Adam Zeman
(2021)
“Acquisition and consolidation processes following motor
imagery practice”, di Célia Ruffino, Charlène Truong, et al.
(2021)
“Motor Imagery Combined With Physical Training Improves
Response Inhibition in the Stop Signal Task”, di Sung Min
Son, Seong Ho Yun, Jung Won Kwon (2022)
“Mental practice modulates functional connectivity between
the cerebellum and the primary motor cortex”, di Dylan
Rannaud Monany, Florent Lebon, et al. (2022)
Altro
“Written emotional expression: Effect sizes, outcome types,
and moderating variables.”, di Smyth (1998)
“The grateful disposition: A conceptual and empirical
topography.”, di McCullough, Emmons, Tsang (2002)
“Counting blessings versus burdens: An experimental
investigation of gratitude and subjective well-being in daily
life.”, di Emmons, McCullough (2003)
“A Multidimensional Meta-Analysis of Psychotherapy for
PTSD”, di Bradley, Greene, Russ et al. (2005)
“Experimental disclosure and its moderators: A meta-
analysis.”, di Frattaroli (2006)
“Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk”, di
Evstigneev, Bahsoun, Taksar et al. (2013)
Libro: “Flow”, di Mihály Csíkszentmihályi (1990)
33
Libro: “L’arte della felicità”, di Tenzin Gyatso, Howard
Cutler (1998)
Libro: “La trappola della felicità”, di Russ Harris (2010)
Libro: “La scomparsa dei riti. Una topologia del presente”, di
Byung-Chul Han (2021)
https://hubermanlab.com/
Per approfondimenti aggiuntivi si consiglia di ricercare gli studi
direttamente citati nel testo.
34

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Come essere felici in un mondo di merda.pdf

  • 1.
  • 2. Come essere felici in un mondo di merda di Danilo Lapegna Manuale di sopravvivenza spirituale nel mondo moderno ESTRATTO GRATUITO Nuova edizione GEM
  • 3. Come essere felici in un mondo di merda..........................................1 I - 5 principi essenziali per sopravvivere in un “mondo di…”...........7 Riconosci i pattern..............................................................................................................8 Accetta la sofferenza.........................................................................................................11 Non sentirti solo, o sola, nella tua sofferenza o nella tua paura ................................15 Lavora verso il distacco e la “disidentificazione”.........................................................17 Siamo sistemi complessi, che necessitano di un approccio “panarmonico” ...........19 II - Negozia “efficacemente” con i tuoi limiti .................................21 Negoziare con i “gravity problems” ..............................................................................25 Usare i limiti come “mattoni” su cui edificare..............................................................26 Distingui tra limiti oggettivi e limiti mentali .................................................................28 Applica il modello delle sei forze....................................................................................30 Non posso… ma posso…...............................................................................................32 III – Neurosfide................................................................................35 IV - Le chiavi fondamentali dell’autoterapia....................................39 Sconfiggere l’entropia.......................................................................................................41 Rifiutare l’autoperpetuazione ..........................................................................................47 “Zittire felicemente” i propri problemi.........................................................................50 Meditare, meditare, meditare...........................................................................................53 V - Strategie di “pensiero evolutivo” ................................................57 VI - Altre “medicine” per il cervello.................................................64 “Riscrivere" lo stress.........................................................................................................65 Se puoi, ridine....................................................................................................................68 Dialogare con le proprie “personalità multiple” ..........................................................69 Corri!...................................................................................................................................72 Impara il “Judo mentale" .................................................................................................74 Ristrutturazione verbale...................................................................................................76 Corso di regia cognitiva....................................................................................................78 Ricomparare.......................................................................................................................81 Pillole di gratitudine..........................................................................................................83 Dormi! ................................................................................................................................86
  • 4. Respira “meglio” ...............................................................................................................89 Mantra.................................................................................................................................91 Dal problema, alla soluzione...........................................................................................92 Costruiamoci un “framework autoterapeutico”...........................................................96 VII – Strategie per acquisire un “coraggio illimitato”....................100 Dubita delle tue capacità predittive..............................................................................102 La legge di Murphy è una cavolata...............................................................................105 Ristabilisci un “rapporto sano” con l’incertezza........................................................106 “Sfidati” con ciò che temi di più ..................................................................................111 Sii un po’ più clemente...................................................................................................112 Prova ad adottare una mentalità “samurai” ................................................................114 Usa il framework “E.R.I.O.M.” ....................................................................................116 VIII - Naviga consapevolmente lo “Zeitgeist digitale”..................121 Information overloading................................................................................................122 Invadenza del digitale.....................................................................................................125 Parenti e amici incollati ai propri schermi...................................................................127 Come vivere in una società “attenziocentrica”...........................................................128 IX - Esercizi di “equilibrata autostima”.........................................132 Esercizio - Deflagellazione............................................................................................134 Esercizio - “In fondo non faccio così schifo!”...........................................................136 Esercizio - Iniezione dopaminica.................................................................................137 X - Quella “difficilissima armonia con gli altri”.............................141 Toolkit I: Strumenti anti-ego.........................................................................................145 Toolkit II: Gestione efficace dei conflitti....................................................................152 Ego-douléia: servire sì, ma sé stessi innanzitutto.......................................................160 XI - Tornare “al di là del tempo”....................................................164 Il presente, non come attimo né come flusso, ma come “campo”.........................167 Una “scienza dei tempi felici”.......................................................................................170 Il presente come “rottura” ............................................................................................175 Ritualità e “reincanto del mondo”................................................................................179 XII - Sfuggire alla trappola del senso..............................................182
  • 5. Grazie per la tua lettura!..................................................................187 Ma c’è di più…................................................................................188 L'autore ...........................................................................................195 Bibliografia e approfondimenti.......................................................196 Disclaimer.......................................................................................203
  • 6. Come essere felici in un mondo di merda “Un discepolo di poco valore utilizza l’influenza dell’insegnante. Un discepolo mediocre ammira la bontà di un insegnante. Un buon discepolo diventa forte sotto la disciplina di un insegnante.” (Detto Zen) “Che mondo di merda”, “che tempi di merda”. Quante volte hai sentito o pronunciato questa frase? Basta una “terribile” notizia di giornale, un evento sfortunato, un attacco terroristico, un qualche incidente catastrofico, ed ecco che partono gli insulti al mondo in cui viviamo, ai mali insanabili della nostra società e… … fermati! Fermati un secondo! D’accordo, il nostro mondo è tutto fuorché perfetto, e come specie dobbiamo ancora fare molti passi avanti prima di riuscire a capire come vivere in piena armonia con noi stessi, ma… siamo sicuri che inveire rabbiosamente contro il mondo e la società sia ciò che più ci serve per stare meglio? 1
  • 7. Perché nonostante il nostro cammino su questo pianeta come specie sia ancora piuttosto incerto, non si possono neanche troppo negare gli enormi progressi fatti negli ultimi secoli in termine di riduzione della mortalità infantile, velocizzazione di trasporti e comunicazioni, allungamento della vita media, istituzione del concetto di diritti umani e debellamento di malattie devastanti. Ma, soprattutto, al di là dei nostri “giudizi su come va il mondo” (sui quali potremmo discutere per giorni senza mai giungere a una soluzione definitiva), la verità è che abbiamo un controllo minimo, se non nullo, sull’andamento delle cose sul nostro pianeta. E da questa verità apparentemente sconfortante se ne può trarre in realtà un’altra, magari banale, ma preziosissima: l’unica cosa sensata che possiamo fare come individui che puntano a ritagliarsi un’esistenza migliore è quella di pensarci un po’ meno, al mondo. È quella di imparare a “spostare la prevalenza della nostra attenzione verso l’interno”, verso tutto quanto concerne i nostri personali equilibri, la salute del nostro universo interiore, lo stato di benessere del nostro corpo e del nostro cervello. E con questo non voglio dire che tu debba smettere di combattere le tue battaglie, né di provare a migliorare il tuo angolo di pianeta. Tuttavia, anche un atteggiamento profondamente attivo e orientato alla risoluzione dei problemi parte da lì: dal fare attenzione prima di tutto al proprio benessere, dall’affinare innanzitutto il proprio pensiero, dal capire come gestire efficacemente le proprie emozioni; ma soprattutto, dall’imparare a coltivare uno spirito sereno e resiliente in qualunque circostanza, così da mantenere sempre, come si suol dire, una “gestione ottimale del gioco”. Perché no, nessun individuo sulla terra potrà mai smettere di soffrire, di provare paura, di incontrare ostacoli o di avere la sua dose di “cacca” dal mondo. Però c’è chi di fronte a questa realtà si lascia conformare e distruggere, e chi invece la sfrutta per crescere, maturare e fortificarsi. C’è chi la rende un peso da trascinare in eterno e chi la tramuta in esperienza, in strumenti, in intuizioni per il futuro. Perché sì, possiamo sempre lavorare per migliorare la nostra condizione ma, allo 2
  • 8. stesso tempo, incolpare il mondo sarà sempre la cosa più semplice e deresponsabilizzante da fare. E quindi la vera sfida per un’esistenza migliore è sempre tutta lì, nel rifiutare la risposta più istintiva, nell’ (citando il maestro Yoda) “imparare a disimparare”, nel mettere in discussione i paradigmi stessi con cui quotidianamente pensiamo, elaboriamo esperienze, risolviamo problemi. Nella cosiddetta “società occidentale” poi, nonostante le nostre condizioni di vita medie siano molto migliori di quelle del resto del globo (prendete gli indicatori di benessere che volete, il risultato sarà sempre quello), siamo dei veri e propri fanatici del “mondo di merda”. Siamo quelli che vivono meglio e, nella maggioranza dei casi, anche i più insoddisfatti. Il che è probabilmente dovuto a diversi fattori, tra cui il modo in cui la nostra biologia reagisce a certi presupposti sociali e culturali. Uno tra tutti: il benessere stesso in cui viviamo ci ha “drogati di piacere” e, in parallelo (o di conseguenza?), ci ha man mano condizionati a ritenere i dolori, i problemi, le sofferenze non più come parte dell’ordine naturale delle cose, ma come fallimenti da evitare. E così il risultato di questo “imprinting culturale”, al di là delle ovvie considerazioni su come influenza il nostro modo di presentarci in società, è che ci rende molto meno resilienti rispetto a quanto non accadrebbe, ad esempio, in civiltà che più quotidianamente convivono con piaghe come guerra, fame o povertà diffusa. Ma non devo continuare, probabilmente, a spiegare a lungo le radici di questo o quel “malessere umano”; se hai deciso di dare un’opportunità a questo libro, è probabile che tu sappia molto meglio di me cosa non va, e le ragioni per cui serve un approccio inedito alle complessità della vita. Passerò quindi ad esporti la mia “doverosa promessa”: quello che ho preparato per te nelle pagine successive è un vero e proprio vademecum per la felicità tra i più completi che potrai mai avere; un volume che racchiude tutto il meglio della psicologia, delle filosofie occidentali e orientali, e dei ritrovati della neuroscienza recente (per i cui approfondimenti ti rimando alla bibliografia a fine testo), al fine di fornire gli strumenti più efficaci con cui 3
  • 9. migliorare la gestione delle tue emozioni, affinare il tuo equilibrio mente-corpo, “navigare virtuosamente” un mondo complesso come il nostro, e finanche rivoluzionare il modo stesso con cui affronterai i problemi nel tuo quotidiano. Il tutto, con lo scopo di coltivare quella che definisco come una “esistenza di qualità”; non certo in quanto perfetta, ma in quanto consapevolmente vissuta, armoniosamente gestita. Una vita in cui benessere e autodeterminazione non sono solo vaghi ideali di cui ricordarsi di tanto in tanto, ma vere e proprie filosofie di vita da incorporare quotidianamente nel proprio pensiero e nelle proprie azioni. Trovo d’altro canto, almeno personalmente, che non possa esserci una definizione migliore di felicità; ma soprattutto ho fiducia che questa stessa interpretazione, nel suo essere minimale, dinamica, adattabile alla natura e alle predisposizioni di ognuno, possa rappresentare anche la “materia grezza” attraverso cui tu possa costruire la tua, di idea di felicità. Ciò detto, non mi resta che augurarti che questa lettura ti arricchisca, ti rassereni, migliori la tua vita, renda la tua quotidianità un costante esercizio delle tue più elevate qualità. Da parte mia quindi, un sincero in bocca al lupo! E ricorda: se hai dei feedback per noi, proposte, richieste, suggerimenti di qualunque tipo, scrivici a info@kintsugiproject.net Danilo Lapegna 4
  • 10. II - Negozia “ef fi cacemente” con i tuoi limiti “Se non puoi esser pino in cima la collina, sii pruno nella valle; Se non puoi esser albero, sii cespuglio - ma sii sempre il più bel cespuglietto accanto al ruscello. Se non puoi esser cespuglio, sii dell’erba e abbellisci come puoi la strada maestra; se non puoi esser muschio, sii alga, ma l’alga più graziosa del laghetto.” (Douglas Malloch) Uno dei fattori più significativi di infelicità e frustrazione umana è indubbiamente nella “discrepanza mentale” tra ciò che gli individui desiderano e ciò che possiedono; tra ciò a cui pensano di ambire e ciò su cui effettivamente riescono a mettere le mani; nell’inevitabile “dislivello” tra aspettativa e realtà su noi stessi, sui nostri risultati, sulle cose del mondo. E sebbene sia probabile che il funzionamento di un simile meccanismo psicologico sia “dolorosamente” intuitivo per chiunque, può risultare comunque estremamente interessante 5
  • 11. analizzarne le dinamiche neuroscientifiche, in gran parte legate al funzionamento del sistema di ricompensa del cervello, e in particolare al ruolo della dopamina. La dopamina è infatti un neuromodulatore che gioca un ruolo cruciale nello gestire le nostre aspettative e la nostra percezione della ricompensa. Uno studio del professor Wolfram Schultz et al. del 1997 (“A neural substrate of prediction and reward”) è stato tra i primi a spiegare che quando le nostre aspettative sono “ragionevolmente elevate”, cominciamo a secernere un consistente flusso di dopamina che crea in noi un senso di anticipazione o eccitazione. Tuttavia, se queste stesse aspettative per qualunque motivo vengono tradite, il nostro livello di dopamina subisce un calo ben al di sotto del livello iniziale, proiettandoci quindi in uno stato emozionale di insoddisfazione e frustrazione ben peggiore rispetto al caso in cui questa aspettativa non si fosse mai manifestata. Questo, pertanto, ci comunica in maniera abbastanza “ineludibile” quella che è una verità biologica incredibilmente potente: la nostra energia, il nostro umore, la nostra capacità di relazionarci in modo sano con il mondo discende in gran parte dal modo in cui gestiamo i nostri limiti e le nostre aspettative; il che, attenzione però, non deve essere mai inteso come un doversi rassegnare a una vita modesta e priva di sogni o ambizioni, ma piuttosto si basa sull’afferrare un maggiore senso della realtà ogniqualvolta ciò si riveli funzionale; sull’imparare a convivere maggiormente con quelle inevitabili fallibilità e imperfezioni della propria condizione umana. Convivenza che, sebbene sia inevitabilmente problematica per molti di noi, è probabile che si trasformi improvvisamente in qualcosa di “perfettamente sostenibile” nel momento in cui faremo nostro il concetto che, “alla fine della storia”, nonostante questo insieme di mancanze e difettosità, potremo comunque ambire a tanto, a stare bene, a vivere delle vite di qualità; a essere anche incredibilmente felici. Da tutto ciò si può pertanto capire abbastanza immediatamente l’incredibile valore propulsivo e 6
  • 12. autoterapeutico di una maggiore autocomprensione e autocompassione, del darci una “pacca sulla spalla” in più ogni tanto, del trattarci un po’ meno duramente; del provare a far nostro il principio secondo cui, come ogni altra persona su questa terra, comprese quelle che reputiamo più capaci, “geniali” e “di successo” (che sì, sebbene tendiamo a dimenticarcelo, quotidianamente anche soffrono, sbagliano e fanno sciocchezze di ogni genere, pur facendolo spesso “lontano dai nostri riflettori”), non siamo perfetti e non potremo assolutamente mai pensare di ambire al risultato perfetto, alla previsione impeccabile, né alla possibilità di fare tutto con facilità in qualunque situazione. Non c’è infatti probabilmente nulla di più “liberatorio” del concederci che il nostro percorso possa essere costellato anche di difficoltà, di “asimmetrie informative” e dati di fatto immodificabili di ogni genere. Non c’è nulla di più rasserenante del puntare a fare sì, del proprio meglio e il proprio massimo con ciò che è nella propria “sfera di controllo”, ma nulla più di questo. Questo è molto, molto importante: va bene ambire al proprio 100%, ma deve essere altrettanto chiaro che in certi contesti, casi, situazioni, non potremo mai pretendere dal nostro cervello, o dal nostro corpo, nulla di più di ciò che “sul momento” ci verrà concesso. E più faremo nostra questa consapevolezza, imparando a riconoscere e accettare un po’ di più i nostri limiti, le nostre imperfezioni e la nostra inevitabile fallibilità, e più il nostro cervello starà meglio, la sua capacità di rilasciare ormoni e neurotrasmettitori si farà più sana, più equilibrata; un simile stato mentale ci renderà infatti molto più obiettivi e distaccati, consentendoci di fare l’unica cosa sensata e razionale qualora qualcosa “vada male”, ossia: evitare tutti i sensi di colpa eccessivi o le “autodistruzioni di stima di sé” del caso, raccogliere il feedback datoci dalla realtà e andare avanti. Certo, qui può valere la pena ribadire che è più che normale “sentirsi in colpa” dopo avere vissuto uno o più momenti di frustrazione di cui ci si sente in parte responsabili. Il contrario vorrebbe dire non avere una sensibilità, un cervello, un sistema nervoso, una percezione sana di sé; tuttavia, è sempre questione di mantenere una prospettiva obiettiva e razionale 7
  • 13. tale da identificare i problemi per ciò che sono, apprendere il più che si può e andare avanti. Il vero problema non è mai nel desiderare che si sia fatto di più, o che si possa fare di più in futuro, ma in quando sensazione diventa pervasiva, invalidante e ci “congela” completamente ogni prospettiva di crescita futura. Ma soprattutto, una vera criticità emerge quando si cade in quel “bias”, di cui si parlava qualche pagina fa, secondo cui finiamo con il credere di essere gli unici a fronteggiare difficoltà simili, facendoci precipitare nel pericolosissimo “loop” secondo cui saremmo rotti, sbagliati, “incurabili”. Uno stato dal quale diviene spesso difficile uscire se non si razionalizza che “non possiamo essere responsabili di tutto”, e magari è stata la realtà a essere “fuori posto”, o il nostro comportamento a esserlo, più che noi (e le due cose vanno necessariamente distaccate, separate). E poi, andrebbe sempre presa piena consapevolezza dello “svarione”, del fallimento, della “sberla”, come si dice nel campo dell’ingegneria del software, a mo’ di feature anziché di bug. Come necessaria, ossia, caratteristica del sistema che, se rimossa, ne causerebbe probabilmente il collasso. Non solo infatti limiti e asimmetrie informative sono letteralmente connaturati alla nostra realtà fisica e biologica, ma è altrettanto da considerare come l’esplorazione, la conoscenza di questa realtà, il costruirvi qualcosa di migliore deve inevitabilmente passare per uno scontrarsi con le sue incognite, con le sue limitazioni, con le sue criticità. L’errore pertanto, proprio come accade nel metodo scientifico, non va più visto come l’evenienza sfortunata su cui costruire “spalmandovi su” un po’ di pensiero positivo a posteriori; ma, piuttosto, esso è il “nucleo vitale” di ogni avanzamento, l’infrastruttura senza cui la costruzione stessa non potrebbe mai avvenire. Tutti questi discorsi poi avranno le loro estensioni, i loro “ma”, le loro ramificazioni nelle pagine che seguono; tuttavia, fin da adesso potremmo estrarne uno dei principi più preziosi per un rapporto sano ed equilibrato con la nostra persona: quel momento in cui le 8
  • 14. cose non sono andate come volevamo, quel senso di frustrazione che proviamo nel non riuscire a raggiungere qualcosa che desideriamo, they’re all features, not bugs. Con tutti i pro, contro, gli inevitabili “ma”, nonché le inevitabili “storture di naso” che sicuramente qualcuno di noi potrebbe provare di fronte a un’affermazione del genere. Vuoi continuare a leggere questo capitolo? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito! 9
  • 15. V - Strategie di “pensiero evolutivo” “La felicità non è la mancanza di problemi, è la capacità di affrontarli. Un edificio non può stare in piedi senza una fondazione solida, e l’uomo non può prosperare senza la resilienza. La resilienza è l’abilità di trasformare le avversità in trampolini verso il successo.” (Jack Ma, co-fondatore di Alibaba) Ciò che faremo in questo capitolo è cercare di capire come applicare l’arte del cosiddetto “pensiero positivo”, sebbene non adori questa accezione. Quando si parla di “pensiero positivo” spesso si tende infatti a immaginare un ottuso, ingenuo e forzoso “edulcorante” di ogni circostanza. Tuttavia è ovvio che il nostro scopo qui sarà quello di puntare a qualcosa di molto più sofisticato e complesso; a qualcosa che di certo non può negare la presenza dei lati “oscuri” e problematici della realtà, ma si basa sulla “saggia consapevolezza” che un ottimo modo per gestirli efficacemente è proprio nel riconoscerli come modo per “rinarrarli” in qualcosa di più positivo, costruttivo, utile. Il che va a costituire un tipo di processo cognitivo che, per un 10
  • 16. motivo che vedremo a fine capitolo, preferisco chiamare “pensiero evolutivo”. Sembrerebbe inoltre, secondo una parte della letteratura scientifica, che una simile metodologia di interpretazione del mondo sia fortemente correlata a una vita felice, gratificante, e persino al minor rischio di alcune malattie come quelle cardiache o cardiovascolari; certo, immagino che gran parte di questa letteratura lasci il tempo che trova, visto quanto sia probabile che questa correlazione non implichi necessariamente una causazione (ad esempio, è probabile che le persone più in salute tendano istintivamente a utilizzare questa modalità di pensiero più spesso). Tuttavia, a mio avviso, dovrebbe essere comunque possibile estrarre, dalle evidenze scientifiche in nostro possesso, qualche prova di questi effetti fisiologici: se per esempio, diamo per buono quanto visto poco fa sul fatto che la “rinarrazione” di alcuni eventi innesca una reazione fisiologica “diversa e più gestibile” allo stress, è altrettanto probabile che una simile modalità possa mitigare tutto quel logorante affaticamento psicofisico indotto dalle proprie quotidiane difficoltà. Ma anche se non volessimo prendere in considerazione l’impatto fisiologico del pensiero “evolutivo”, è chiaro che la sua utilità pragmatica, quando non è un “ignoro questo problema”, ma un “non mi aggrappo troppo a come le cose sarebbero dovute andare, e piuttosto cerco di estrarre l’opportunità proprio perché c’è il problema”, è praticamente infinita; non per nulla tale attitudine viene considerata un tratto essenziale della leadership e dell’innovazione, caratteristiche umane che non possono emergere se non “navigando efficacemente” le forze contrarie che si presentano. Poi sia chiaro, prima di far propria questa attitudine sarà probabilmente necessario superare un po’ di ostacoli, culturali e, non a caso, evolutivi: molto spesso, per esempio non saremo in grado di scorgere opportunità nelle difficoltà per necessità di “eccessivo attaccamento” alle nostre emozioni problematiche (vedasi caso appena illustrato, o capitolo precedente). Altre volte invece, come suggerito a inizio 11
  • 17. capitolo, tenderemo non solo a identificare un simile atteggiamento come arrendevole o passivo, ma anche a identificare quello opposto (il “pessimista cronico”) come furbo, esperto, “realista”. Tuttavia, come sostenuto anche da Morgan Housel nel suo bellissimo “The Psychology of Money”, questo “pessimismo a tutti i costi” sì, sarà sempre dotato di un enorme potere seduttivo; tuttavia, imbracciarlo a prescindere e senza sforzarsi di adottare un’ottica più complessa sulla realtà, vuol dire anche auto-accecarsi di fronte alle opportunità, limitare la propria immaginazione e arrendersi al non poter migliorare le cose. Quali potrebbero essere, quindi, le “chiavi fondamentali” per far propria tale arte? La prima è probabilmente nel provare a riconoscere la sostanziale limitazione nella propria percezione; rifarsi a quel principio secondo cui “Ogni problema pone le basi per un beneficio ben superiore rispetto a ciò che inizialmente il cervello può suggerire”. E sebbene tale beneficio possa risultare sì, davvero difficile da scorgere, a volte basta sfidarsi con un semplice cambio “narrativo” di prospettiva per individuarlo: un rifiuto in amore può essere l’unica buona occasione per comprendere di avere perso tempo con la persona sbagliata. Una gamba rotta l’unica buona occasione per fermarsi qualche giorno a riflettere sulla propria vita. Un problema mai affrontato prima un modo per coltivare doti mai sfruttate prima. Una persona che ci surclassa in una competizione diretta un’occasione per imparare un insegnamento importante. Chiaro che, come suggerito qualche pagina fa, può dover essere necessario un lavoro di “mitigazione” e “distacco” prima di raggiungere tale consapevolezza; lavoro che si farà tanto più complicato laddove si ha a che fare con eventi particolarmente impattanti dal punto di vista emotivo, identitario, valoriale. Tuttavia, appuriamo che in questo punto della lettura il concetto sia chiaro e passiamo avanti. Se vogliamo, possiamo anche rafforzare quanto visto finora con un concetto che spesso amo prendere, estratto dalla 12
  • 18. filosofia cinese, ossia quello secondo cui ogni cosa “compiuta” coltiva in sé almeno un germe per trasformarsi nel proprio opposto. Come diceva Sun Pin, continuatore di Sun Tzu qualche secolo più tardi, è proprio “quando un nemico è concentrato che può essere distratto, quando è forte che può essere indebolito, quando è rapido che può essere rallentato, quando è fresco e vivace che può essere sfinito”. Nel principio dello Yin e Yang, oltre il punto massimo di ciascuno, non vi è altro spazio se non per il mutamento nel suo contrario. Allo stesso modo, potremmo dire: una volta che un problema, una sofferenza, un ostacolo si è rivelato per ciò che è, una volta che si è espresso al massimo del suo “potere”, tutto ciò che possiamo fare è aguzzare sensi, ingegno e creatività per cogliere la natura di questo “germe” e favorire così questa sua “trasformazione nel suo opposto” verso il proprio compiersi. Non nell’ottica “delirante” secondo cui possiamo effettivamente trasformare qualcosa nel suo opposto, ma nel senso di “aprire gli spazi” per un’impostazione concettuale che ce ne fornisca una nuova prospettiva, “contraria” rispetto a quella iniziale, più distruttiva o drammatica. “Secondo il pensiero negativo del mio collaboratore, era impossibile vendere perché non avevano raccolti da cinque anni. Ma io sapevo che avrebbero comprato le polizze proprio perché non raccoglievano prodotti agricoli da cinque anni. E questo si chiama pensare in senso positivo.” (W. Clement Stone) Oppure, se qualcuno di voi preferisce navigare in mari “leggermente” più scientifici, proviamo a estrarre qualche concetto da lì. Per esempio, dal concetto di potenziale. Nella termodinamica, il potenziale energetico si riferisce alla capacità di un sistema di compiere lavoro a causa della sua posizione o configurazione. Analogamente, ogni elemento nell’ambiente circostante può essere visto come un sistema con un potenziale innato - una capacità di compiere “lavoro”, 13
  • 19. o in termini più ampi, di produrre cambiamenti o risultati qualora qualcosa venga spostato, rielaborato, modificato. Capisco l’obiezione qualora qualcuno di voi stia pensando che questa connessione è un po’ “forzata”, ma proviamo a rimanere pragmatici, a proporre dei “modelli interpretativi” e a vedere quanto ci possono essere utili; se poi la risposta dovesse essere “zero”, semplicemente diamoci la libertà di scartarli. Nel nostro mondo un “sistema” di qualunque genere può sempre possedere energia potenziale non manifestata: è nascosta, pronta a essere rilasciata sotto condizioni che, tuttavia, possono non essere immediatamente evidenti. E così questo potenziale può nascondersi oltre l’ovvio, oltre l’immediato, oltre l’apparente. Può essere celato in un angolo nascosto, dietro un velo di polvere, sotto la punta di un iceberg, in un particolare trascurato, dove nessuno si sarebbe aspettato di trovarlo. Può richiedere un tentativo extra, lo sforzo di adottare un punto di vista completamente nuovo o di sperimentare strategie mai provate prima. Ma, come dimostrato da tutti quei momenti “eureka” in cui “improvvisamente” abbiamo trovato una risorsa “sorprendente” laddove non avremmo mai immaginato, esso può essere comunque lì. E anche se non riusciamo a maturare alcuna fiducia nei confronti di questa possibilità, possiamo essere sempre certi almeno di una cosa: se stiamo attraversando un brutto momento, è estremamente probabile, se non certo, che ne sottostimeremo la presenza, l’efficacia, l’impatto. Il rifiuto emotivo di riconoscere il potenziale di ciò che ci circonda, l’ascolto privilegiato di tutte quelle voci interne che spingono all’accettazione della peggiore interpretazione di un problema, non farà altro che dare allo stesso tutto il potere necessario per “prevalere”. Perché, dunque, credervi acriticamente? Perché accettare di essere la fonte prima di energia e risorse di qualcosa che può danneggiarci? Perché, invece, non accettare la sfida e usarla per crescere, per costruire, per sfruttare al meglio tutto quell’immenso 14
  • 20. potenziale che, nonostante tutto, ancora può divenire il principio di qualcosa di significativo? Vuoi continuare a leggere questo capitolo? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito! 15
  • 21. VIII - Naviga consapevolmente lo “Zeitgeist digitale” “Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?.” (Morpheus) Tra tutti coloro che sono vintage abbastanza da ricordarlo, è opinione comune che fino a “pochissimo tempo” fa, epoca in cui il web viaggiava su linee analogiche instabili, lentissime e rumorose, una simile evoluzione del legame tra digitale e uomo era praticamente impensabile: tra e-commerce, smartphone, web 2.0 e 3.0 e social network, non c’è quasi più attività umana che non abbia un profondo legame con il mondo informatico ed elettronico. Con l’arrivo poi dei cosiddetti metaversi stanno cominciando a formarsi sempre più dilemmi e questioni complesse sulla natura della nostra identità digitale, e su un suo possibile relazionarsi “sano” con quella biologica e fisica. 16
  • 22. Ma al di là dei tantissimi vantaggi pratici apportati da questa ondata di tecnologizzazione iper-rapida, è innegabile che questa fusione tra vita reale e informatica sia avvenuta così rapidamente da non avere dato sufficiente tempo alla nostra specie di preparare le proprie naturali difese contro i suoi potenziali “rovesci della medaglia.” Se poi si ripensa che già questa stessa specie stava fronteggiando quotidianamente la sua buona dose di difficoltà dovute all’avere un cervello “antico”, ecco che si può cominciare ad afferrare l’entità del problema. Da tutto ciò, pertanto, a mio avviso emerge l’importanza di avere a propria disposizione almeno un sistema di regole, un quadro di riferimento che ci consenta di orientarci in un “mondo inimmaginabile”, almeno rispetto a tutto ciò per cui l’evoluzione ci aveva preparati. Ma quali sono questi rovesci della medaglia che più “attentano” alla nostra felicità individuale? Vediamoli insieme, in unione con alcune, possibili strategie per provare ad arginarli: Come vivere in una società “attenziocentrica” L’idea di attrarre interesse e attenzione non è certo nata con i social media; è fin dall’alba della specie infatti che il richiedere attenzioni, lo “spiccare” è stato associato a valori evolutivi come maggiori probabilità di accoppiarsi col partner più in salute, ottenere più risorse od ottenere maggiore protezione dal gruppo. Ed è altrettanto vero che, man mano che la nostra specie ha generato diversi sistemi valoriali attraverso le epoche, sono cambiati solo modi, cause e pretesti con cui chiunque venisse considerato “élite” dovesse spiccare rispetto alla “non-élite”, al “resto”; il meccanismo, tuttavia, è sostanzialmente rimasto identico. In quest’ottica sarebbe quindi pericolosissimo affermare stupidaggini retoriche del tipo “La società è rovinata perché misuriamo il nostro valore attraverso i like”: ciò che oggi è rappresentato dai like ieri erano gli ascolti televisivi, e ancora prima il numero di carri e di cavalli con cui si entrava dopo un 17
  • 23. grande trionfo in battaglia. Si potrebbe persino obiettare che una certa “democratizzazione dei mezzi” con cui richiedere attenzione e spiccare non è necessariamente un male. Ma dov’è il problema, allora (ammesso che ce ne sia uno)? La risposta qui in realtà è abbastanza coerente con alcune delle dinamiche analizzate qualche pagina fa, e va ritrovata nel fatto che il digitale amplifica dinamiche di per sé già complesse, fino a renderle molto difficili, se non a volte impossibili, da gestire e sostenere. Pensiamo per esempio alla tendenza, non più invertibile, di un certo tipo di adolescenza nativa digitale, di misurare valore, popolarità e modelli umani in base alla loro capacità di generare interazioni sui social media; se infatti questa dinamica è sempre esistita pur se in forme differenti, è altrettanto vero che la pervasività dei mezzi tecnologici contemporanei, e pertanto la scala su cui essi agiscono, può amplificare di molto la tendenza a sacrificare le proprie più autentiche convinzioni, interessi e valori, in virtù del “dogma” dell’attrarre più attenzione possibile. Oppure, il che forse è persino peggio, può divenire molto più facile avvertire sensazioni violente e pervasive di inutilità e impotenza ogniqualvolta si fallisca un intento comunicativo, o magari si rinunci anche consapevolmente a dire qualcosa (diritto a “non dire niente” la cui preservazione rimane a mio avviso molto più importante di qualsivoglia “obbligo a dire la cosa giusta al momento giusto”, in voga nel “clima di terrore” di certi ambienti social). Ancora una volta: non è questione di rinnegare la consistenza, o legittimità di un valore come quello di saper comunicare o attrarre attenzione: in quanto animali sociali dobbiamo assolutamente fare anche questo se vogliamo apportare valore alla società; è questione, tuttavia, di scala, di importanza, di quanto altri valori devono divenire “a tutti i costi” costretti a subordinarsi a questo principio. Un primo suggerimento quindi, banale ma prezioso, per orientarsi in questo “Zeitgeist”, potrebbe essere quello di riprendere tutto quanto abbiamo visto finora in questo libro in termini di pratiche utili alla cura di sé, come la meditazione, un “Diario della gratitudine”, l’adozione di una mentalità 18
  • 24. “samurai”, o un approccio sano ai propri limiti attraverso il “Non posso… ma posso”. Tutto quanto infatti rappresenta un prendersi cura di qualcosa (inclusa la propria persona), aiuta a ridare importanza valoriale alla capacità di generare benessere, di fare cose buone, di produrre valore aggiunto, sia anche solo per sé stessi, e anche senza urla o annunci clamorosi di fondo. E infine, un ultimo consiglio che mi sentirei di dare in questo contesto può essere quello di riscoprire una certa forma di “umiltà autoterapeutica”, non come forma per svilire o depotenziare sé stessi, ma per distaccarsi almeno in parte da questa necessità ansiogena, infinitamente stressante, di essere sempre a cavallo dell’ultimo trend, di esprimersi sull’ultimo fenomeno, di dire qualcosa sempre e comunque. Un riconoscere che non ogni singola parte, non ogni singolo aspetto, non ogni singola espressione di noi stessi deve essere a tutti i costi speciale, importante o significativa, e va bene così; va bene essere, almeno ogni tanto, qualcosa di meno. Viviamo in un mondo di risorse limitate, siamo noi stessi un insieme di risorse limitate e pertanto se la smettiamo di autoimporci questo “Grande Fratello digitale” in cui si è sempre o al massimo o non si è nulla, impareremo anche a utilizzare queste risorse in maniera consapevole, anziché approcciarle con la stessa “saggezza” con cui un incendio divorerebbe una foresta; le sfrutteremo quando conta, se conta, e se ciò apporterà un vero valore aggiunto a noi stessi e al mondo. Il che è l’assoluto opposto del depotenziarsi: è infatti, piuttosto, il modo migliore con cui rifiutarsi di essere solo un ulteriore “bit” nell’infinito rumore digitale della società contemporanea, per scegliere di diventare così dei veri e propri “emettitori di segnale” significativi, potenti, arricchenti; dei punti di riferimento reali su cui contare. 19
  • 25. Vuoi continuare a leggere questo capitolo? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito! 20
  • 26. XI - Tornare “al di là del tempo” “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume” (Swami Vivekananda) Sono moltissimi gli spunti all’interno dell’umana cultura ed esperienza che parlano del tempo come qualcosa di percepito più che reale, od oggettivo. Un modello che prendiamo per buono, visto il modo in cui può spiegare una quantità innumerevole di fenomeni, ma che può essere anche completamente trasceso nel momento in cui incontriamo dei “sistemi nuovi”, che ne sfidano premesse e concettualizzazioni. Per esempio Einstein ha dimostrato, ormai già da diversi decenni, quanto esso sia relativo e dipendente unicamente dalla presenza e dalle caratteristiche di un osservatore, o il modello della fisica quantistica ha rivelato un mondo in cui il concetto di tempo sembra perdere la sua univocità lineare; se poi guardiamo alla nostra storia è chiaro che qualche intuizione “sfidante” sul tempo già risuonava nell’umana cultura diversi secoli fa. Parmenide, per esempio, 21
  • 27. sosteneva già nel V secolo a.C. che il cambiamento fosse un’illusione, e che l’universo fosse in realtà in uno stato eterno e immutabile. Oppure, Plotino nel III secolo d.C. parlava di “un’esistenza nel tempo come esistenza imperfetta”. La scienza contemporanea d’altronde, e in particolare la psicologia e la neurobiologia, si stanno impegnando quotidianamente con mezzi sempre più sofisticati per provare a capire come il nostro cervello percepisca e gestisca il concetto del tempo, arrivando alla conclusione parziale, ma più o meno concorde, secondo cui l’esperienza umana di tale dimensione non è affatto uno “scorrimento” costante, ma è piuttosto un esperienza estremamente complessa, e influenzata da fattori come l’attenzione, l’emozione, la memoria, i cosiddetti “ritmi circadiani” e, nondimeno, il background culturale; background culturale di cui si può vedere tutto l’impatto se si pensa ad alcune popolazioni, come ad esempio quella aborigena che, essendo abituate a un costante contatto con la natura, non contemplano affatto tale parola nel loro linguaggio d’origine. Per alcuni di loro non ci sono “frecce” del tempo, né scadenze da rispettare, c’è solo una sorta di “eterno presente” soggetto a dei cicli universali atti a rappresentare un (teoricamente) eterno avvicendarsi degli eventi. “L’uomo bianco non sogna Lui va lungo un’altra strada L’uomo bianco va in maniera diversa La sua strada appartiene solo a lui.” (Detto Aborigeno) Ma anche la cultura indiana antica ha offerto punti di vista simili. Nel sanscrito classico, il termine “kala” si riferisce sia al tempo che alla morte, sottolineando il legame tra la percezione del tempo e l’esperienza umana di cambiamento e decadenza. Il Bhagavad Gita, un antico testo sacro indiano, infatti afferma: “Coloro che vedono con occhi di conoscenza l'intero 22
  • 28. universo in sé stesso e se stessi in tutto l'universo, non sono mai allontanati da esso”, suggerendo che un livello più profondo di consapevolezza può trascendere le normali restrizioni temporali. Trovo pertanto abbastanza affascinante questo “modello narrativo” secondo cui l’umanità in qualche modo percepisca e soffra da sempre proprio questa “separazione dall’eternità”, questo “essere stato gettata nel tempo”, per poi ricercare, anche inconsapevolmente, il contatto con una realtà atemporale come soluzione alle proprie ansie esistenziali. Come tutti i modelli narrativi, è lungi dall’essere scientifico o potenzialmente descrittivo di ogni fenomeno, ma se lo prendiamo per il “gioco”, seppur fondato che è, può avere senza dubbio le sue connotazioni interessanti: potremmo pensare per esempio che è proprio questo che l’umanità ricerca, e spesso può trovare, in tutti quei “fenomeni trascendenti” che alterano in parte il proprio stato di coscienza, quasi consentendole di “congelare” il tempo attorno a sé; si pensi all’amore romantico, al sesso, occasionali ritorni al contatto con la natura, alla meditazione mindfulness, al processo creativo, la fruizione di alcuni tipi di musica, cinema; ma anche a fenomeni più astratti come la contemplazione della fantasia e del sogno. Tramite tutte queste pratiche infatti l’umanità può provare a ritornare “in terre mitiche, lontane, che risiedono al di là del tempo”; in luoghi dove quindi non c’è spazio né per lo stress delle faccende quotidiane, né per l’angoscia della propria (o altrui) finitezza e mortalità. Ne consegue, da tutti questi principi, e dal modo in cui la nostra “negoziazione con il tempo” emerge in ogni luogo e momento attraverso i millenni, la verità secondo cui forse possiamo ritrovare un consistente “strumento di felicità” nel darci i giusti strumenti per affrontare questa negoziazione al nostro meglio; in un particolare, mi sentirei di dire, per migliorare il nostro rapporto con l’ora, con il momento stesso in cui adesso stiamo vivendo, respirando, leggendo queste parole. E così, oltre a fare magari tesoro di quanto appena detto sulla meditazione mindfulness, sulla contemplazione 23
  • 29. della natura o sull’implementazione di processi creativi (per i cui elementi comunque esiste già una, seppur parziale, letteratura neuroscientifica che parrebbe offrire dei primi risultati sull’effettivo “rallentamento temporale” che producono), vediamo di quali strumenti potremo beneficiare, se non per “fuggire completamente dalla freccia del tempo", per renderne almeno un po’ meno invadenti e intrusive le implicazioni più “soggioganti”: Il presente, non come attimo né come fl usso, ma come “campo” Può sembrare banale, eppure la tua mente non ne è mai consapevole del tutto: solo nel presente realmente ci sei, pensi, percepisci, esprimi volontà e realizzi. Il nostro ora pertanto, se volessimo provare a fare un piccolo “volo intellettuale”, può tranquillamente essere considerato anche come il nostro “sempre”. Anche quando arriverà domani, o dopodomani, o il momento di una lotta, o dell’amore, o della felicità, o della morte, sarà sempre e solo il nostro ora a farvici assistere. È una percezione da cui “non possiamo scendere” e pertanto da come decideremo di viverla dipenderà semplicemente ogni altra cosa; chiaro che non diventa, per questo, razionale pensare di prepararci, psicologicamente o praticamente, fin da subito a ogni evenienza. Ciò che conta, tuttavia, è provare a cominciare a usare questi spunti per capire l’importanza dell’esserci pienamente, nel tanto caro a diverse filosofie buddiste, “qui e ora”. Ecco tuttavia che potrebbe sorgere una prima, giustissima obiezione, ossia che il presente è “solo un istante”. Un istante per definizione, è anche la più piccola frazione di tempo immaginabile e, in quanto tale, smette a tutti gli effetti di esistere nel momento stesso in cui la concepiamo. Anche solo quando guardiamo a un orologio infatti, è probabile che sia “già scattato il secondo successivo” e, pertanto, l’idea di afferrare l’attimo, di “esserci” in qualcosa di infinitesimale, può sembrare nulla più che un “delirio new age”, privo di 24
  • 30. qualunque significato concreto. Tuttavia, proprio facendo riferimento a quest’ultima immagine, mi sentirei di porre un accento ulteriore sulla profonda differenza tra strumenti di misurazione del tempo, e tempo per come il nostro cervello lo percepisce: i primi non fanno altro che scandire intervalli regolari all’interno dell’evoluzione di un fenomeno. Il secondo invece, può trovare sicuramente sensato e ragionevole il modello del primo, e applicarlo nella propria elaborazione dello stesso fenomeno. Tuttavia c’è un chiaro rischio nel “pensare al tempo come farebbe un orologio”, ed è quello di semplificare enormemente sia la realtà del fenomeno stesso, che quella della nostra percezione biologica del tempo. Quest’ultima è infatti in realtà basata su complesse interazioni tra diverse reti neurali, è profondamente diversa dallo “scandire” di un qualunque orologio meccanico, ed è influenzata dal nostro stato di coscienza, dal nostro stato neurochimico e dal nostro modo di percepire il mondo; il tutto, con modalità e dettagli che vedremo tra qualche pagina. È chiaro che poi può avere senso, da un punto di vista pratico, produttivo, ragionare in termini di “scorrere” e imporsi, pertanto, delle scadenze; tuttavia questo comincerà a diventare un problema enorme nel momento in cui cominciamo a “vivere a scadenze continue”, con una mente eternamente proiettata sulla preoccupazione per ciò che verrà dopo, anche quando ciò non ha alcuno scopo funzionale. Se prendiamo, pertanto, ancora una volta per buono il fatto che le nostre narrazioni possono influenzare anche parte dei nostri processi cerebrali, proviamo a fare un semplice esercizio, e a “sfidarci” con una prospettiva differente: “Il presente non è un istante; lo scorrere del tempo dettato da un orologio non è che l’approssimazione monodimensionale (e qui immaginatevi il “tentativo forzoso” di costringere un cubo enorme all’interno di un filo di cotone) di una realtà molto più larga e complessa. Il presente è un campo, una distesa attiva di cui siamo una parte viva e integrante.” Questo concetto eredita molti presupposti dallo Zen e dalla Mindfulness, ed è un cambiamento di prospettiva che può 25
  • 31. essere tanto potente quanto straordinariamente liberatorio. Pensa per esempio a quando ti immergi in un’attività che cattura tutta la tua attenzione, sia essa un hobby, l’ascolto di una musica straordinariamente rilassante, o una passeggiata immersiva nella natura. In quei momenti, il tempo sembra dilatarsi, ci si dimentica totalmente del passato e del futuro, e si vive davvero, totalmente, nel “qui e ora”. Spesso queste attività vengono definite come effettuate in uno stato di “flow”, flusso, anche se la “debolezza” principale dell’idea stessa di flusso, a mio avviso, è nel fatto che essa contiene comunque in sé una connotazione dinamica, direzionale, ancorata al movimento temporale. Invece, pensare al presente come un campo lo libera completamente da questa dinamicità forzata, lo spoglia da qualunque desiderio o necessità di avere delle “deadline”, e lo rende piuttosto un luogo “vivo”, vibrante di possibilità. Un tipo di percezione essenziale, che vive solo dell’attenzione “assoluta” nei confronti di ciò che c’è, percepiamo, viviamo; il che dovrebbe in teoria consentirci anche di distaccarci, almeno in parte, sia dagli “spettri” di tutto ciò che è già avvenuto, che dai timori di ciò che ancora deve arrivare. 26
  • 32. Ti è piaciuto questo estratto? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito! 27
  • 33. L'autore Danilo Lapegna, classe 1986, e fondatore e CEO del “Kintsugi Project”, è un professionista, ingegnere e studioso con un'insaziabile passione per l'apprendimento, la scoperta e il progresso umano. Sin dalla sua infanzia, ha dimostrato una precoce fascinazione per il massimo potenziale del cervello umano, divorando libri a tema scienti fi co, ed emergendo come un campione di memoria televisivo all'età di soli sei anni. Danilo, con la sua formazione accademica da ingegnere informatico, dirige da anni con successo team internazionali impegnati in progetti software di grande impatto nel fervente mondo delle start-up del Regno Unito. Tuttavia, la sua passione più profonda affonda le sue radici nell'amore per la multidisciplinarietà, e per la capacità di generare valore attraverso la sintesi e l’integrazione di principi estratti dalla fi loso fi a, dalla psicologia, dalle neuroscienze, dalla “smart productivity”; ma soprattutto, attraverso l'armonizzazione di tutto ciò con un incrollabile desiderio di contribuire al benessere altrui. Da più di un decennio infatti, attraverso lo pseudonimo di “Yamada Takumi”, ha sfruttato queste sue passioni scrivendo libri a tema che hanno venduto oltre 50.000 copie, scalando le classi fi che di vendita su Amazon, aiutando migliaia di persone attraverso il suo blog e ricevendo enorme attenzione mediatica per il loro successo nel settore dell'auto-pubblicazione. E così, “Il Kintsugi Project” rappresenta il tentativo “de fi nitivo”, suo e del suo staff, di reinventare l’approccio all’evoluzione personale, atto a decostruire tutta la “fuffa” e i paradigmi obsoleti e disfunzionali di questo settore, per poi rivolgere la propria scommessa verso sistemi di autoterapia, benessere psico fi sico, “skill development” e “produttività intelligente” che abbiano radice nella scienza, nella ricerca, e soprattutto in un ecosistema condiviso che possa favorire una crescita individuale e "personalizzata", che sia scolpita sui valori e sulle esigenze di ognuno. 28
  • 34. Bibliogra fi a e approfondimenti Sulla meditazione “Mindfulness-based stress reduction and health benefits: A meta-analysis”, di Grossman P, Niemann L, Schmidt S, Walach H. (2004) “Can Meditation Slow Rate of Cellular Aging? Cognitive Stress, Mindfulness, and Telomeres”, di Elissa Epel, Jennifer Daubenmier, et al. (2009) “A Wandering Mind Is an Unhappy Mind”, di Matthew A. Killingsworth, Daniel T. Gilbert (2010) “Mindfulness Training Improves Working Memory Capacity and GRE Performance While Reducing Mind Wandering, di Mrazek, Franklin, Phillips et al. (2013) “Meditation programs for psychological stress and well-being: A systematic review and meta-analysis” di Goyal M, Singh S, Sibinga EMS, et al. (2014) “Brief, daily meditation enhances attention, memory, mood, and emotional regulation in non-experienced meditators”, di Julia C. Basso, Alexandra McHale, Victoria Ende, Douglas J. Oberlin, Wendy A. Suzuki (2019) Libro: “Mindfulness: A Practical Guide to Finding Peace in a Frantic World”, di Mark Williams e Danny Penman (2011) Su rilassamento, stress e gestione emotiva “Coping as a mediator of emotion.”, di Folkman, Lazarus (1988) 29
  • 35. “Assessing coping strategies: A theoretically based approach.”, di Carver, Scheier, Weintraub (1989) “Coping: Pitfalls and Promise”, di Folkman, Moskowitz (2004) “Why do beliefs about intelligence influence learning success? A social cognitive neuroscience model”, di Jennifer A. Mangels, Brady Butterfield, Justin Lamb, Catherine Good, Carol S. Dweck (2006) “Psychological Stress and Disease”, di Cohen, Janicki- Deverts, Miller (2007) “Relaxation training for anxiety: a ten-years systematic review with meta-analysis”, di Manzoni, Pagnini, Castelnuovo (2008) “Rethinking stress: The role of mindsets in determining the stress response.”, di Crum, Alia J. Salovey, Peter Achor, Shawn (2013) “The short-term stress response - Mother nature's mechanism for enhancing protection and performance under conditions of threat, challenge, and opportunity”, di Firdaus S Dhabhar (2018) “Meta-analytic evaluation of stress reduction interventions for undergraduate and graduate students.”, di Yusufov, Nicoloro-SantaBarbara, Grey et al. (2019) “Acute Stress Improves Concentration Performance”, di Cathy Degroote, Adrian Schwaninger, Nadja Heimgartner, Patrik Hedinger, Ulrike Ehlert, and Petra H. Wirtz (2020) “The effect of pursed ‐ lip breathing combined with number counting on blood pressure and heart rate in hypertensive urgency patients: A randomized controlled trial”, di Thapanawong Mitsungnern, Nipa Srimookda, Supap Imoun et al. (2021) “A synergistic mindsets intervention protects adolescents from stress”, di David S. Yeager, Christopher J. Brya et al. (2022) 30
  • 36. “Brief structured respiration practices enhance mood and reduce physiological arousal”, di Melis Yilmaz Balban, Eric Neri, Manuela M. Kogon, et al. (2023) Sull’esercizio fi sico “Health benefits of physical activity: the evidence”, di Warburton, Nicol, Bredin (2006) “Aerobic Exercise and Neurocognitive Performance: A Meta- Analytic Review of Randomized Controlled Trials”, di Smith, Blumenthal, Hoffman (2010) Sulla dopamina “Predictive Reward Signal of Dopamine Neurons”, di Schultz (1998) “Multiple Dopamine Functions at Different Time Courses”, di Schultz (2007) “The Mysterious Motivational Functions of Mesolimbic Dopamine”, di John D. Salamone, Mercè Correa (2012) Sulla neuroplasticità “The Plastic Human Brain Cortex”, di Pascual-Leone, Amedi, Fregni et al. 2005 “Training induces changes in white-matter architecture”, di Scholz, Klein, Behrens, et al. (2009) “Plasticity in gray and white: neuroimaging changes in brain structure during learning”, di Zatorre, Fields, Johansen-Berg (2012) 31
  • 37. Sulla felicità e “pensiero positivo” “The role of positive emotions in positive psychology: The broaden-and-build theory of positive emotions”, di Fredrickson (2001) “Pursuing Happiness: The Architecture of Sustainable Change”, di Lyubomirsky, Sheldon, Schkade (2005) “The Benefits of Frequent Positive Affect: Does Happiness Lead to Success?”, di Lyubomirsky, King, Diener (2005) “Positive Psychology Progress: Empirical Validation of Interventions.”, di Seligman, Steen, Park et al. (2005) Sulla percezione temporale “What makes us tick? Functional and neural mechanisms of interval timing”, di Buhusi, Meck (2005) “Neural network involve in time perception: An fMRI study comparing long and short interval estimation”, di Pouthas, George, Poline et al. (2005) “Human time perception and its illusions”, di Eagleman (2008) Libro: “Your Brain Is a Time Machine: The Neuroscience and Physics of Time”, di Dean Buonomano (2017) Sulla visualizzazione e sulle “simulazioni mentali” “Visual mental imagery and visual perception: Structural equivalence revealed by scanning processes”, di Gregoire Borst & Stephen M. Kosslyn (2008) “Best practice for motor imagery: a systematic literature review on motor imagery training elements in five different disciplines”, di Corina Schuster, Roger Hilfiker, et al. (2011) 32
  • 38. “Using motor imagery practice for improving motor performance – A review”, di Aija Marie Ladda, Florent Lebon, Martin Lotze (2021) “Chapter 15 - Aphantasia: The science of visual imagery extremes”, di Rebecca Keogh, Joel Pearson, Adam Zeman (2021) “Acquisition and consolidation processes following motor imagery practice”, di Célia Ruffino, Charlène Truong, et al. (2021) “Motor Imagery Combined With Physical Training Improves Response Inhibition in the Stop Signal Task”, di Sung Min Son, Seong Ho Yun, Jung Won Kwon (2022) “Mental practice modulates functional connectivity between the cerebellum and the primary motor cortex”, di Dylan Rannaud Monany, Florent Lebon, et al. (2022) Altro “Written emotional expression: Effect sizes, outcome types, and moderating variables.”, di Smyth (1998) “The grateful disposition: A conceptual and empirical topography.”, di McCullough, Emmons, Tsang (2002) “Counting blessings versus burdens: An experimental investigation of gratitude and subjective well-being in daily life.”, di Emmons, McCullough (2003) “A Multidimensional Meta-Analysis of Psychotherapy for PTSD”, di Bradley, Greene, Russ et al. (2005) “Experimental disclosure and its moderators: A meta- analysis.”, di Frattaroli (2006) “Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk”, di Evstigneev, Bahsoun, Taksar et al. (2013) Libro: “Flow”, di Mihály Csíkszentmihályi (1990) 33
  • 39. Libro: “L’arte della felicità”, di Tenzin Gyatso, Howard Cutler (1998) Libro: “La trappola della felicità”, di Russ Harris (2010) Libro: “La scomparsa dei riti. Una topologia del presente”, di Byung-Chul Han (2021) https://hubermanlab.com/ Per approfondimenti aggiuntivi si consiglia di ricercare gli studi direttamente citati nel testo. 34