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Reset!
di Danilo Lapegna
Il manuale di cambiamento per chi ha le … rotte!
ESTRATTO GRATUITO
Nuova Edizione GEM
Reset!.......................................................................................5
I – Non ho nulla al di fuori di me, e questo è sufficiente .....13
II – Lo specchio della saggezza............................................21
III - 5 fasi di distruzione creativa..........................................32
IV - Istinti di sopravvivenza..................................................38
Fame di dogmi ......................................................................................39
Datemene di più, purché sia lo stesso di prima ...............................43
Il bunker anti-tutto...............................................................................45
Lupo sociale e lupo antisociale...........................................................51
Distruggere la nave di Teseo...............................................................56
V – Esplorare: reset introspettivo e creativo .........................62
Per l’indagine interiore - “Reset introspettivo”................................64
Per l’indagine sul mondo - “Reset creativo”.....................................67
Occhi terapeutici...................................................................................76
VI - Giungere ad Atlantide....................................................80
Un esempio pratico di “Reset Journaling” .......................................93
L’abisso infinito ....................................................................................95
VII – Cesellare l’esistenza....................................................101
Brainstorming degli obiettivi............................................................102
I quattro cassetti .................................................................................105
In una frase sola..................................................................................113
Checklist Zen......................................................................................115
Judo mentale .......................................................................................117
Il mio Kintsugi....................................................................................124
Progress tracker ..................................................................................127
Kaizen ..................................................................................................133
Pillars-based thinking.........................................................................137
Sblocca-risultati...................................................................................146
To-do list “pigra”................................................................................149
Come a Montecarlo............................................................................152
Payoff Matrix......................................................................................166
Non si capisce più nulla.....................................................................172
Grazie!..................................................................................179
Tabelle di lavoro...................................................................180
Ma c’è di più… ....................................................................231
L'autore ...............................................................................238
Bibliografia e approfondimenti...........................................239
Disclaimer ...........................................................................242
Reset!
“I migliori tempi della nostra vista non sono tempi passivi, ricettivi,
rilassanti… i momenti migliori di solito si verificano se il corpo e la mente di
una persona sono spinti ai loro limiti nello sforzo volontario di realizzare
qualcosa di difficile e per cui ne valga la pena.”
(Mihaly Csikszentmihalyi)
Quante volte abbiamo sognato di poter “resettare tutto”, ripartire
da zero, e ricostruire pur sulla base delle nostre amarezze e
inquietudini passate? Eppure quante volte ci siamo ritrovati, nel
tentativo, a fronteggiare sempre gli stessi ostacoli, sempre gli stessi
freni interiori, sempre lo stesso ritornare al punto di partenza senza
aver compiuto alcun avanzamento significativo?
È normale in fondo: per quanto il concetto possa sembrare banale
tendiamo continuamente a dimenticare che cambiare non è affatto
semplice, e spesso ogni rivoluzione, tanto più laddove si presenta
come profonda e radicale, necessita innanzitutto di un sostanziale
“cambio di paradigma”; di un essere disposti a riconsiderare,
magari anche del tutto, gran parte delle cose che abbiamo
considerato scontate fino a quel momento. Ogni vero “reset”
impone un salto quantico, un sacrificio sostanziale, un alzarsi in volo senza
necessariamente potersi assicurare di rimettere i piedi a terra a breve. E
niente di tutto questo sarà mai possibile se non cominciamo ad
adoperarci nell’impegno di abbandonare e riconsiderare
significativamente innanzitutto i paradigmi che abitano il nostro
pensiero.
Il pensiero d’altronde è forse il “primo vero artefice di tutto il resto”,
l’ “attività fondamentale” che incessantemente forma nella nostra
mente idee, concetti, schemi. È il pensiero che attimo dopo attimo
ci porta a definire l’universo che ci circonda. Che ci porta a dare
agli elementi che popolano la nostra vita delle caratteristiche, delle
forme, dei limiti. Così come è esclusivamente il pensiero a definire i
nostri comportamenti: per quante cose o persone possano provare a
influenzarci, convincerci, mostrarci una via, non prenderemo mai
alcuna decisione, né accetteremo alcuna informazione per vera,
senza che sia stata esclusivamente la nostra mente ad averci consentito in
ultimo luogo di farlo.
Fermiamoci un attimo tuttavia: nonostante quanto detto finora sia
tecnicamente vero, non deve scadere assolutamente in due
pericolose derive di “retorica motivazionale”: una, il fatto che
possiamo “controllare” il nostro pensiero come fosse il
movimento di una mano. Troppi “venditori di pillole” lì fuori
continuano a sostenere che basterà “decidere di sostituire il
pensiero negativo con uno positivo” e la nostra vita evolverà come
per magia in un paradiso in terra: no, non è per niente così facile!
Tutte le ultime ricerche sulle neuroscienze sembrerebbero infatti
confermare che il nostro controllo consapevole sui nostri processi
cognitivi è estremamente limitato pur offrendoci comunque,
attenzione, degli spazi di manovra significativi: se difatti un controllo
assoluto e istantaneo della nostra mente è in teoria impraticabile,
sicuramente possiamo allenarci a esplorarne le dinamiche di base per
poi imparare con il giusto tempo e lavoro a gestire diversamente parte di esse,
fino a generare nuove risposte, produrre cognizioni alternative dello stesso
problema e quindi man mano alterare anche i nostri comportamenti istintivi.
È un po’, a voler semplificare, la metafora dell’individuo che deve
deviare il corso di una cascata: sicuramente non riuscirà a invertirne
subito la corrente con la sola forza di volontà, ma con alcuni rudimentali
strumenti potrà deviarne una piccola parte, reindirizzarla dove
desidera, e magari persino sfruttarne l’energia cinetica per i propri
scopi. Poi più tempo avremo per mettere insieme una
strumentazione elaborata e più, pur non potendo ovviamente
modificarne le leggi fisiche alla base, potremo comunque
aumentare la complessità del nostro lavoro: creare nuovi flussi,
indirizzarli dove vogliamo, manipolarne direzione e intensità in
base ai nostri desideri.
Ma un’altra “pericolosa china retorica” che questo libro cercherà
di evitare a tutti i costi è nel concetto che “il nostro pensiero può
sfidare, o peggio plasmare, la realtà completamente da solo”,
come tanti libri-fuffa lì fuori continuano a provare ad affermare.
Sono infatti fermamente convinto che nessun cambiamento sano
è mai stato fatto arroccandosi in un castello intellettivo di
costruzioni immaginarie, ma anzi, queste ultime cose nella storia
non hanno prodotto nient’altro che sofferenza e disastri. Questo libro
invece è per “guerrieri del pragmatismo”, per “sognatori saldi sulla
realtà”; per persone consapevoli che per generare dei veri “reset”
nel mondo si deve innanzitutto allenare il proprio pensiero ad
“accettare” ciò che c’è lì fuori. E da lì porsi l’obiettivo di avere una
mente profondamente aperta, ricettiva e pronta a “giocare” sia con gli
aspetti negoziabili della realtà, che con quelle cose che discutibili non lo sono
per niente.
“Per me, sognare significa soltanto essere pragmatici.”
(Shimon Peres)
Eppure allo stesso modo è importante tenere a mente che
imparare ad accettare la realtà non vuol dire rassegnarsi a ogni sua
conseguenza, sfumatura o implicazione. Non vuol dire piegarsi a quelle
che sono solo opinioni o costrutti sociali. Acquisire il potere di
effettuare un vero “reset” infatti parte innanzitutto da una sorta di
“prurito”, di “inquietudine”, di profonda consapevolezza che,
sebbene in un determinato momento le cose inevitabilmente sono
come devono essere, allo stesso modo può esserci qualcosa di più, può essere
fatto qualcosa di meglio. È la chiara sensazione che il “reset” non solo
sia possibile, ma in qualche modo sia anche necessario; e che perché
esso possa realizzarsi davvero è fondamentale innanzitutto partire
da una “dolorosa” rinuncia a parte dei modi in cui abbiamo
pensato e agito fino a questo momento.
Quello che hai tra le mani insomma è un volume per realizzatori,
sognatori, rivoluzionari, “affamati folli” di Steve-Jobsiana memoria e,
perché no, anche “individui con le scatole rotte”. Un vero e proprio
“manuale di cambiamento”, che ti introdurrà in un percorso
passo-passo attraverso tutte le fasi in cui una vera rivoluzione avviene.
Imparerai a guardare il mondo con occhi completamente nuovi, a
congegnare soluzioni creative inedite, a creare cose forse persino
rivoluzionarie e capirai come combattere con intelligenza e astuzia
tutti quei “nemici naturali” che inevitabilmente incontrerai nel tuo
cammino; e forse la cosa migliore in tutto ciò è che lo farai
maturando un profondo senso di serenità interiore, un naturale
desiderio di “sfidare allegramente” il mondo, un procedere sapendo
di stare ricomponendo i pezzi di un seducente puzzle esistenziale. Il tutto
facendo propria la consapevolezza che sì, la mente potrà spostare
anche le montagne, ma (e ormai dovremmo averlo capito) mai nella
narcisistica ottica secondo cui “il mondo si piegherà ai nostri
pensieri”, bensì nella ben più consapevole prospettiva secondo cui
siamo noi i creatori di noi stessi: siamo noi gli artefici delle nostre
scelte e saranno queste a plasmare sia la nostra persona che,
sempre più indirettamente, l’ambiente che ci circonda. E pertanto
possiamo darci l’obiettivo di affrontare questa esistenza
assumendo il ruolo di protagonisti, di “pragmatici sovversivi”, di
“creatori e creatrici di precedenti straordinari”. E come dico in
gran parte dei miei libri, non posso garantirti che questo percorso
sarà facile, ma posso assolutamente prometterti che ne varrà la
pena.
Ciò detto, non mi resta che augurarti buona lettura e in bocca al lupo di
cuore. Cominciamo!
Nota: questo libro è una riscrittura profonda di un altro mio libro
precedentemente presentato con il titolo di: “Piccola bibbia del
rivoluzionario mentale”. Nonostante il punto di partenza, tuttavia,
lo considero un prodotto completamente nuovo. Ho infatti pensato
che molti dei concetti presentati in quel libro fossero sì validi, ma
fortemente migliorabili sia in virtù di un mondo che è cambiato
profondamente negli ultimi anni, che di quanto intellettualmente
ho rielaborato durante lo stesso arco di tempo. L’impostazione
generale del libro in termini di struttura e capitoli è ancora molto
simile, ma ho voluto renderlo infinitamente più completo e stimolante
per il lettore, in aggiunta ad avere preso in prestito, riadattandoli,
qualche piccola tabella e schema pratico da un altro mio progetto,
quello dei “Quaderni Kintsugi” (unite a tabelle completamente
inedite e pensate per questo volume in particolare); cosa di cui
magari potranno godere più direttamente i possessori di questo
libro in forma cartacea (che tra l’altro avranno in esclusiva delle
tabelle “extra” compilabili a fine libro), ma che comunque ho
voluto donare anche ai possessori del digitale, in maniera tale da
dar loro la possibilità di stamparli o esportarli e usarli come
template su cui lavorare. Non mi è dato sapere se sia riuscito del
tutto nel mio intento di avere confezionato un prodotto valido
ovviamente, ma la mia migliore speranza qui è che il fatto stesso
che questo volume sia il risultato di ormai oltre un decennio di
lavoro profondo lo renda un’esperienza “diversa” rispetto ad altri
manuali simili. Un’esperienza che nel suo “traboccare idee” risulti
estremamente ricca, “nutriente” e soprattutto appagante per tutte
quelle menti che sono alla ricerca dell’input giusto in quanto
creative, sognatrici, “folli” o semplicemente stanche delle banalità
del quotidiano: il mio lavoro è per voi!
E ricorda: se hai dei feedback per noi, proposte, richieste,
suggerimenti, scrivici a info@kintsugiproject.net
III - 5 fasi di distruzione
creativa
“Il vero viaggio dello scoprire non consiste nel vedere paesaggi nuovi ma
nell’avere nuovi occhi.”
(Marcel Proust)
Nelle pagine precedenti abbiamo visto che qualora si voglia
ritrovare la propria serenità interiore, prepararsi fisicamente per
scalare una montagna, acquisire i mezzi per ritrovare la propria
stabilità economica, smettere di fumare o escogitare una
potenziale killer application da lanciare sul mercato, tutto parte
inevitabilmente da un’evoluzione dei propri schemi e modelli di pensiero,
da quelli preesistenti a quelli che conducano la propria mente nello
“stato” adatto perché essa conduca “naturalmente” al
conseguimento del “sogno” di raggiungere la propria vetta
proibita.
E ciò che analizzeremo in questo capitolo è come questo processo
di “evoluzione” del proprio pensiero può essere schematizzato in
cinque fasi-cardine dell’intero “Metodo Reset”, qui brevemente
illustrate e poi nei capitoli successivi approfondite. Si tratta di una
divisione assolutamente non netta, visto che nella realtà dei fatti
queste fasi si sovrapporranno, intrecceranno e susseguiranno in
modi imprevedibili. Ma afferrarne le differenze potrà comunque
aiutarci a comprendere in cosa consiste il percorso che dovremo
affrontare, ma soprattutto di volta in volta quale fase, di preciso, stiamo
attraversando:
1. “Prurito”: questa fase inizia quando proviamo un’esigenza,
magari derivante dalla volontà di risolvere un problema,
alleviare una sofferenza, oppure semplicemente di scatenare un
cambiamento, migliorare le cose, allargare il nostro mondo o la
nostra percezione di esso. Un “prurito” è un’intuizione
creativa, un “dire basta” a qualcosa che ci fa male,
un’improvvisa consapevolezza che la vita può essere molto più
ricca di così. Un “prurito” è tutto ciò che ci ha portati come
specie dalle caverne ai razzi interplanetari; è il nostro “DNA
creatore” che ci “chiama alle armi”.
2. “Dissacramento”: di fronte all’impulso (o all’insieme di
impulsi) della fase precedente, sentiamo anche il bisogno di
riconsiderare qualcosa. Tipicamente, quella che comincia a creparsi
è la presunta solidità degli schemi e dei modelli di pensiero che
fino ad allora ci sembravano insindacabili. Sentiamo l’esigenza
di “sfidare” ciò che prima era “dato per certo” e pertanto ci
predisponiamo per aprire il nostro pensiero, le nostre
emozioni, le nostre conoscenze a orizzonti completamente
nuovi; ma come cosa fondamentale ci apprestiamo a farlo
anche, e soprattutto, laddove ciò sfati, riconsideri, o
“distrugga” tutto ciò che reputiamo “sacro”, “intoccabile”,
“inalienabile”.
3. “Introspezione”: decidiamo di “guardarci dentro” e indagare
più dettagliatamente sulla natura delle nostre scelte e dei nostri
pensieri. Proviamo a guardare nel nostro “Specchio della
saggezza”, e lo facciamo ripetutamente così da a imparare a
osservare, giorno dopo giorno, sempre più consapevolmente,
sinceramente e profondamente. Oppure, se volessimo usare una
metafora un po’ più “battagliera”, impariamo a “conoscere il
nemico onde poterlo sconfiggere”: più infatti ci risulteranno chiari gli
“ingranaggi” dei nostri meccanismi mentali e più efficacemente
li potremo “sfidare”, superare, anche trascendere se necessario.
Questo è un passo che segue naturalmente dalla ripetizione
pratica e continua del 2, si rafforza attraverso pratiche come la
mindfulness e tra qualche capitolo vedremo come approfondirlo
ulteriormente attraverso la tecnica del “Reset journaling”.
4. “Esplorazione”: qui cominciamo a rivolgere attivamente
sforzi, energie, concentrazione, risorse verso tutti quegli aspetti
delle cose, sia nella nostra mente che nel mondo, che normalmente
tenderemmo a non considerare. In questo modo, “nell’atto di
esplorare, ci trasformiamo in esploratori”, sviluppando la
flessibilità, l’apertura mentale, la struttura filosofica e gli
impianti strategici utili non solo a portare a compimento ciò che è
nato con il nostro iniziale “prurito”, ma anche ad affrontare al
meglio tutte le inevitabili sfide che l’esistenza ci porgerà.
5. “Cesellamento”: ossia, lavoriamo per concretizzare tutto
quanto raccolto nelle fasi precedenti finché non giungiamo alla
condizione di “Reset” che ponga le premesse per creare quel
cambiamento che avevamo desiderato nel momento in cui abbiamo
avvertito il nostro primo “prurito”.
Cesellare inoltre è “continuare a lavorare e pensare bene”
anche dopo che il cambiamento iniziale è avvenuto: non
fermare l’esplorazione, tenere traccia dei propri progressi,
revisionare di tanto in tanto ciò che non sembra funzionare e
utilizzare gli strumenti giusti per farlo al meglio; e tutte queste
sono cose che vedremo approfonditamente nell’ultimo capitolo
del libro.
Dalla struttura stessa di queste fasi, e dai concetti cui li abbiamo
accompagnati nei capitoli scorsi, si può naturalmente notare la
natura “costruttivamente conflittuale” dell’intero percorso: è
questione di prendere ciò che non funziona, innanzitutto
all’interno delle nostre routine, e provare a “attaccarlo”,
“smontarlo”, se non addirittura “distruggerlo” attraverso
l’applicazione di qualcosa a esso anche completamente antitetico
se necessario, in maniera tale che da questo processo di
“distruzione” ne nasca uno nuovo, di ricostruzione e ricrescita. È
una via molto “Talebiana” se vogliamo (dal filosofo e scrittore
libanese Nicholas Nassim Taleb, teorizzatore della teoria dei
“sistemi antifragili” che si rafforzano sotto stress), in cui il nostro
sistema di comportamenti e credenze viene sottoposto a tutta la
“forza aggressiva” necessaria perché le parti destinate a “morire”
finiscano, mentre quelle destinate a rafforzarsi seguano il loro
“fato di dominare e prevalere”. In questo modo non solo,
nonostante l’ovvia tensione che ne può scaturire, si crea un nuovo
“sistema” molto più adatto a fronteggiare evoluzioni e
cambiamenti, ma si potrebbe finire per creare una “inattesa
armonia” tra elementi che normalmente avremmo classificato
come in totale contrasto tra loro.
“Uno dei più grandi geni della storia, Albert Einstein, disse: «I problemi che
abbiamo non possono essere risolti allo stesso livello di pensiero che li ha
generati». Ossia, se abbiamo un problema del quale non riusciamo a trovare
la soluzione, continuare a utilizzare gli stessi schemi di pensiero che si sono
rivelati insufficienti a questo scopo non potrà mai sbloccare la situazione. Per
uscire dal problema è necessario vedere qualcosa che ancora non abbiamo visto,
considerare qualcosa che ancora non abbiamo considerato, aprire la mente a
possibilità che ancora non abbiamo esplorato, evolvendo il nostro pensiero da
un livello nel quale non è in grado di risolvere il problema a uno più alto nel
quale è in grado di comprenderne la soluzione.”
(Roberto Re)
D’altronde questo principio del “far crescere attraverso
l’apposizione di parti apparentemente antitetiche” sembra seguire
una sorta di principio di equilibrio presente in diverse forme di
filosofia asiatica: nel Tao per esempio l’apposizione tra parti
antitetiche è semplicemente l’unico modo per giungere alla realtà;
così come in diverse forme d’arte giapponese è principio
fondamentale quello di rendere l’antiestetico parte stessa dell’espressione
della bellezza. Per noi occidentali invece lo stesso concetto potrebbe
risultare incredibilmente controintuitivo, il che probabilmente
deriva da quanto, in gran parte, la logica della nostra civiltà
discende dalla logica aristotelica, basata sui tre principi di identità
(A è A), di contraddizione (A non può essere non-A), e del terzo
escluso (A non può essere nel contempo A e non-A, né tanto
meno A o non-A). Siamo infatti quasi dei fanatici della
categorizzazione netta, della classificazione “assoluta” e della
“risposta definitiva”, tanto che preferiamo l’inutile e infinito
dibattito del “Questo vestito è blu e nero o bianco e oro?” piuttosto che
risolvere il tutto con un elementare “Dipende dalla configurazione del
sistema ottico e mentale di chi guarda”. Siamo in grado di passare ore a
chiederci se una frase come “I soldi fanno la felicità” sia vera o falsa,
piuttosto che ricercare la nostra felicità in un bilanciamento tra
ricchezza materiale e spirituale. Vogliamo sempre una risposta del
tipo “A o non-A”, ma è chiaro che le cose spesso saranno molto
più complesse, multiformi, sfaccettate di così, e pertanto per
essere affrontate potrebbero richiederci anche di trascendere
completamente i paradigmi che abbiamo adottato fino a quel
momento. Ogni vero approccio pragmatico al mondo insomma
forse ci richiede di divenire un po’ più “orientali” in questo senso,
e far quindi nostra la “forma mentis” secondo cui le categorie e le
classificazioni sono approssimazioni della realtà; strumenti
sicuramente spesso utili da adottare in certi contesti, poiché ci
semplificano questa realtà fino a rendercela gestibile, ma
completamente irrilevanti qualora si cerchi di estenderli al di là di
dove servono o peggio, di elevarli a qualcosa di “universale” o
“assoluto”. Avere troppa fede nei propri “modelli” della realtà è
insomma l’equivalente di usare un cucchiaino, tanto funzionale per
mangiare il nostro gelato al cioccolato, per risolvere una crisi
economica o migliorare lo stato di salute di una specie in via di estinzione.
“Contrariamente agli occidentali, che cercano di eliminare radicalmente ogni
bruttezza, gli estremo-orientali ne fanno tesoro e la usano come ingrediente del
bello.”
(Jun’ichiro Tanizaki)
A questo punto diviene ancora una volta fondamentale porre un
accento sui fattori di tensione e stress di cui abbiamo parlato a inizio
capitolo: per quanto alcuni “cambiamenti distruttivi” e alcune
“giustapposizioni disarmoniche” siano l’unica necessaria via per
produrre qualcosa di significativo, è altrettanto vero che non si
potrà mai modificare assolutamente nulla in questo universo senza
prepararsi ad affrontare le naturali resistenze che queste cose
faranno scaturire. Senza fattori di resistenza al cambiamento
d’altronde, nell’universo tutto sarebbe duttile abbastanza da modificarsi
profondamente a ogni minimo stimolo, e pertanto semplicemente non
esisterebbe niente di definibile. E questo principio è facilmente
applicabile anche ai nostri meccanismi cognitivi: se fossimo pronti
ad accettare acriticamente ogni nuova informazione che giunge
alla nostra consapevolezza, saremmo anche incapaci di sviluppare
qualunque forma di personalità.
Proprio per questo diverrà fondamentale nel prossimo capitolo
provare ad analizzare i “principali meccanismi di resistenza” della
nostra mente. Senza maledirli né vederli come avversari o nemici:
una volta compresa sia la loro inevitabilità, che la loro natura,
riusciremo molto più facilmente a eseguire un attivo processo di
“tenere ciò che serve e scartare il resto”, in modo da plasmare così
il nostro “Sistema mentale 2.0” che ci consenta di esprimerci al
massimo del nostro “potere umano potenziale”.
“La mente dell’individuo che si espande con una nuova idea non torna più
alle sue dimensioni originarie”
(Oliver Wendell Holmes)
IV - Istinti di sopravvivenza
“La sopravvivenza di un gene è intimamente connessa alla sopravvivenza dei
corpi che esso contribuisce a fabbricare, perché il gene viaggia al loro interno e
muore con loro.”
(Richard Dawkins)
Quante volte ci è capitato che sapessimo perfettamente cosa dovevamo
fare per sentirci meglio, eppure non l’abbiamo fatto? Uscire di casa e fare
una passeggiata, telefonare a quell’amico che non sentivamo da
tempo, chiuderci nel nostro studio per qualche ora e lavorare
implacabilmente al nostro sogno nel cassetto… si potrebbe quasi
dire che passiamo la maggior parte della nostra esistenza a contemplare
pensieri che sappiamo essere positivi per il nostro stare al mondo,
pur senza mai abbracciarli completamente. Al di là delle volte in
cui ciò deriva da banali limiti di tempo o risorse, qui molti
potrebbero spiegare il tutto con delle bislacche teorie su una sorta
di nostra “naturale tendenza a perpetuare comportamenti
autodistruttivi”: molti fanatici del nichilismo esistenziale e molti
filosofi da social sostenitori del “mai una gioia” infatti
probabilmente non vedono l’ora di trovare una giustificazione
oggettiva al proprio sconforto personale. Inutile dire che la
scienza ci ha già provato che è tutto molto più complesso di così:
banalmente, se fossimo “progettati per l’autodistruzione” non
saremmo sopravvissuti come specie per centinaia di migliaia di
anni. Piuttosto la risposta è in gran parte in quanto visto nelle
pagine precedenti: di base abbiamo dei naturali istinti il cui scopo
primario è la sopravvivenza, la preservazione e l’auto-affermazione, ma la
complessità della realtà e la configurazione della nostra mente spesso ci
rendono estremamente difficile gestirli al meglio per i nostri scopi. E tutto
questo “quadro biologico” dalle infinite variabili si traduce
pertanto inevitabilmente in un naturale “conservativismo” nei
confronti di certe idee, variabile di individuo in individuo e
tipicamente in aumento laddove aumenta l’età biologica.
Conservativismo che, appunto, potrebbe sembrare l’antitesi
assoluta di quanto detto finora relativamente alla necessità di
effettuare quel “dissacramento” di cui parlavamo nel capitolo
precedente; una tendenza a “rimanere saldi su ciò che si fa, pensa e crede
di essere” che sembrerebbe il nemico perfetto di un percorso che ha
come scopo quello di esprimere il meglio delle proprie qualità umane
attraverso lo sviluppo di un “nuovo” livello di complessità di pensiero.
Eppure istinto che, in quanto fondamentalmente radicato nella
nostra genetica, diviene essenziale provare a comprendere almeno
in parte, così da imparare cosa di esso possiamo “tenere” per i
nostri scopi, e cosa invece va ignorato, abbandonato, rielaborato.
Quali sono quindi, di preciso, i fattori psicologici che vanno a
costituire questo “naturale conservativismo” del nostro cervello?
Analizziamoli insieme, con la premessa che la categorizzazione che
segue è stata creata per pura semplicità di trattazione; sarà infatti spesso
possibile notare in più di un’occasione come questi fattori si
completino, intreccino, potenzino a vicenda:
Fame di dogmi
Come già visto quando abbiamo parlato di mindfulness, un
motivo fondamentale per cui facciamo fatica a considerare
qualcosa di “diverso” dai nostri pensieri è nel fatto che vengono
confusi per la realtà, nonché per l’unica realtà possibile. Il che ha le sue
fondamenta evolutive molto solide nell’esempio della “maniglia
che esplode” di poche pagine fa: dovremo sempre necessariamente
considerare, almeno in certi frangenti e contesti, alcuni pensieri come “dati di
fatto assoluti”. Dobbiamo sempre credere almeno in parte ad alcuni
dei concetti che abitano la nostra mente come assolutamente
“validi”, “completi”, se non addirittura “immutabili”, e dobbiamo
farlo senza troppe prove oppure semplicemente l’energia cognitiva
necessaria per riconsiderare tutto continuamente sarebbe insostenibile.
Chiaro che il rovescio della medaglia di tale “fame di dati di fatto”
è sempre dietro l’angolo qualora essa venga portata all’estremo o
all’eccesso: si pensi a quando ciò si traduce in fiducia cieca in principi
irrazionali e disfunzionali, o in incapacità a immaginare o contemplare
aspetti e significati che vadano al di là di ciò che tipicamente siamo abituati a
comprendere, percepire, scegliere. Questo desiderio di attaccarsi a certi
“dati di fatto” infatti per esempio si traduce frequentemente in
una certa incapacità di effettuare previsioni sensate sul futuro; premesso
che fare previsioni è spesso difficile laddove non impossibile,
tuttavia per la mente completamente rinchiusa nella staticità dei
propri stilemi il futuro andrà sempre nello stesso modo in cui è andato il
passato. Persa la flessibilità necessaria anche solo per immaginare
qualcosa di leggermente diverso si finirà con il credere sempre di
“aver già capito tutto”, e quindi ci si rinchiuderà ulteriormente in
un vero e proprio inferno in cui non si osa mai, non si sperimenta
nulla, non ci si mette più in gioco.
“Ognuno ha il diritto di mettere in dubbio qualsiasi cosa tutte le volte che
vuole, e ha il dovere di farlo almeno una volta. Nessun sistema interpretativo
è così sacro da non poter essere discusso, nessuna prassi è così perfetta da non
essere suscettibile di miglioramento. Dovrebbe essere possibile riprendere in
esame anche l’efficienza della ruota.”
(Edward De Bono)
Come possiamo evitare dunque di arrivare a simili estremi? Come
sfidare la nostra “fame di dati di fatto assoluti” qualora si riveli
apertamente dannosa per la nostra crescita?
Una prima buona soluzione per cominciare a “scalfire” l’intero
meccanismo può essere nel provare a guardare al passato per
rendersi conto di quanti dati di fatto in cui credevamo si siano rivelati poi
delle complete stupidaggini. Non ci sono d’altronde schemi di pensiero,
modi di intendere le cose, reazioni, che non abbiamo assorbito
tramite l’esperienza. Ed essendo l’esperienza passata spesso parziale,
limitata, inquinata dalle inevitabili distorsioni della nostra memoria, ecco
che diviene evidente anche quanto l’aura di “dati di fatto” di
alcune cose che diamo per scontate potrebbe essere nulla più che
un inganno creato “ad arte” dalla nostra mente.
Da questa riflessione poi discende direttamente un secondo
principio su cui meditare: ossia la “parzialità” delle informazioni a
nostra disposizione. Che “parziali”, attenzione, non vuol dire
sempre “sbagliate”, ma semplicemente che la realtà potrebbe essere
foriera di molti più aspetti di quelli che stiamo contemplando in un
determinato momento. In fondo è solo negando la perfezione e la
completezza di certe tecniche che le possiamo migliorare. È solo
negando l’ovvietà di certe idee che possiamo renderle ancora più
potenti e penetranti. È solo criticando “distruttivamente” certi
prototipi che possiamo trasformarli in prodotti adatti al mercato.
È questione, come detto alcune pagine fa, di conferire a certi
concetti i “micro-shock di dissacramento” necessari perché ciò
che è destinato a resistere resista, mentre il resto faccia spazio a
ciò che si rivela più adatto; ed è ovvio che non si troverà mai la
volontà di applicare queste forze distruttrici, questa profonda volontà di
dubitare per migliorare, se non ci si concede innanzitutto la possibilità
intellettuale che le cose possano essere “anche di più” di ciò che rivelano in un
primo momento.
Chiaro che, allo stesso tempo, in questo “concedersi la possibilità
di immaginare sempre di più” c’è una terribile trappola cognitiva,
che è quella nel finire per considerare tutto come possibile, passando
per considerare ogni dietrologia e complotto come
potenzialmente validi, fino ad arrivare all’inutile delirio cartesiano
del: “Ma non è che l’universo che viviamo è una semplice creazione di un
genietto maligno di un’altra dimensione?”. Ma qui per fortuna può
intervenire il caro vecchio principio del “rasoio di Occam” già in
parte rivelato qualche pagina fa come soluzione al dilemma della
“maniglia che esplode”: darsi troppe possibilità può rivelarsi a
volte prezioso, ma è spesso completamente anti-economico. E quindi
questo ragionamento ci impone di rimanere nel delicato equilibrio
dell’ancorarci a ciò che abbiamo, lavorare quanto basta per
provare a “dissacrarlo”, prendere ciò che di pragmaticamente utile
emerge da questo processo, e nel contempo accettare la nostra
assoluta ignoranza su tutto il resto, senza che però ciò si traduca in
un’infinita cascata di ipotesi fantasiose che di pragmatico non hanno nulla.
Inevitabile ignoranza “socratica” che, sebbene ad alcuni potrebbe
sembrare inizialmente sconcertante nella sua immensità tuttavia è
anche la nostra più grande benedizione; non solo perché, come
detto, reca con sé una modalità efficiente di approcciare il mondo
(sarebbe impossibile d’altronde pensare di effettuare qualunque
passo se ci imponessimo prima di sapere “tutto” del contesto che
andremo ad affrontare), ma anche perché in essa è insito il fatto
che probabilmente molte delle conclusioni più sgradevoli a cui siamo giunti
non sono che verità parziali. E così diviene estremamente probabile
tutti i vari “non ce la farò mai”, “non potrò mai farlo”, “sono un
fallimento” che ci sussurriamo nei momenti di sconforto, alla fine
siano tutti solo frammenti irrisolti di una realtà che non abbiamo
indagato a fondo; e che quindi probabilmente, non appena questa
indagine evolva anche solo di un “bit” in più, si riveleranno come
nulla più che vuote sciocchezze ed esagerazioni. Chiaro che poi potrebbe
anche non essere così, e potremmo ritrovarci in situazioni in cui
raccogliere delle verità “definitive” che chiariscano queste
questioni “al di fuori di ogni ragionevole dubbio” sia impossibile
(in fondo a volte chi può dirlo veramente se “ce la faremo o
meno”?); ma in contesti del genere ecco che torna fondamentale
riprendere in mano il caro vecchio “passe-partout universale” del
pragmatismo e dirci: “Va bene, data l’assenza di informazioni
sufficienti possiamo anche scegliere di credere che nessuno dei
nostri passi porterà mai a nulla di significativo; ma vista la nostra
necessità di conseguire un obiettivo, quanto ciò ci converrebbe?”. E
nella banale risposta a questa domanda c’è tutto ciò di cui
abbiamo bisogno per andare avanti “nonostante la nostra
ignoranza”.
Traendo quindi spunto dalla natura fortemente sperimentale del
nostro percorso da “dissacra-verità”, ultimo consiglio che mi
sentirei di darti in questa sezione del libro è: prova ad adottare
semplicemente più spesso delle pratiche che sfidino attivamente gli
stilemi che ti sei imposto. Leggi giornali che non avresti mai letto. Parla
con persone con cui non avresti mai pensato di parlare
normalmente. Prova a informarti di argomenti che esulano
completamente dal tuo campo di competenza. Introduci un
calcolato fattore di rischio o casualità nella tua vita, e vedi se il risultato
non finisce per caso per darti qualcosa di inatteso o sorprendente.
“Stacca ragionevolmente la spina” su ciò che normalmente ti
sembra foriero di “assoluto buonsenso”. Costruisciti magari anche
delle vere e proprie “oasi” in cui agire con più spensieratezza,
laddove non persino un po’ di follia. E sia chiaro, nonostante sia
comunque possibile che poche tra le tue sfide ai modelli e alle
strutture del quotidiano risultino in un “rivoluzionario ridefinire
completamente” la tua quotidianità, è altrettanto probabile che un
dieci, cinque se non anche solo due percento dei “micro-shock”
che ti infliggerai ti conferirà anche accesso a quel tipo di
informazioni o risorse tali da rendere pienamente valevole tutto lo
sforzo rimanente. Provare per credere.
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VII – Cesellare l’esistenza
“La vera ricchezza consiste in un sonno privo di turbamenti, in una coscienza
pulita, nella gratitudine reciproca, nell’assenza di invidia, in un buon
appetito, forza muscolare, energia fisica, risate frequenti, pasti in compagnia,
niente palestra, un po’ di lavoro fisico (anche come passatempo), evacuazioni
regolari, niente sale riunioni e qualche sorpresa di tanto in tanto.”
(Nicholas Nassim Taleb)
Nei capitoli precedenti abbiamo esaminato diversi strumenti, per
lo più teorici e psicologici, il cui scopo era essenzialmente quello
di condurci verso una sorta di “risveglio intellettuale”; un maturo
rifiutare l’inevitabile “rumore” di cui l’esistenza inevitabilmente
continua a bersagliarci, “gettare via tutta la spazzatura mentale”
che ne conseguirà e allenare invece costantemente il proprio focus
sulle verità che contano. Ciò che tuttavia rende questo capitolo
almeno in parte diverso dai precedenti è nel fatto che avrà
un’impostazione leggermente più pratica, vertendo per lo più su
tecniche che andranno ad aggiungersi a quelle già affrontate della
mindfulness e del journaling e si presenteranno, si spera, come
ulteriori, preziosi modi con cui applicare nel concreto tutta
l’impostazione filosofica e concettuale vista fino a questo
momento.
Il “Metodo Reset” è un po’ come la composizione di un
allenamento sportivo per tonificare il corpo: prima ci si chiarisce
perché e come allenarsi, poi si identificano gli esercizi precisi con
cui è possibile tonificare braccia gambe e schiena, e infine li si usa
per compilare una “scheda” da seguire in maniera più o meno
flessibile; infine, si cerca di riscrivere in parte la scheda quando
non se ne percepisce più alcun reale beneficio, oppure le proprie
esigenze sono cambiate. Ma visto che abbiamo abbondato con le
premesse, cominciamo ora a entrare nel “vivo” del nostro
“allenamento”:
Brainstorming degli obiettivi
“Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che vedi quando distogli lo sguardo
dalla meta.”
(Henry Ford)
Definire gli obiettivi a cui si lavorerà nella propria successiva fase
di vita è assolutamente fondamentale per chiunque voglia
“produrre dei cambiamenti significativi”: senza degli obiettivi ben
definiti infatti potrebbe risultare molto difficile organizzare al meglio
il proprio tempo, le proprie energie e le proprie risorse nel quotidiano; per
alcuni di noi poi, letteralmente dipendenti dall’idea di avere
“qualcosa di grande” verso cui avanzare, è praticamente
impossibile alzarsi al mattino o dedicarsi seriamente a un lavoro
senza la luce di un “astro” del genere a fare da guida. Siamo
geneticamente “costruiti” per raccogliere sfide nuove in
continuazione, per farlo sognando il successivo orizzonte verso
cui spostarci, e pertanto la definizione di ciò verso cui ci stiamo
dirigendo finisce spesso addirittura con il definire chi siamo e cosa
rappresentiamo in questa società.
Chiaro che tutto quanto detto finora richiede il fondamentale
presupposto di avere maturato una consapevolezza almeno in parte
chiara sul “cosa sentiamo realmente come importante”. Ma dato
per scontato ormai, un po’ per pura semplicità, un po’ per mia
fiducia personale in te, che i tuoi meccanismi cognitivi già siano
stati ripuliti da una quantità sufficiente di “spazzatura mentale” da
rispondere onestamente a questioni del genere, vediamo ora insieme
come possiamo eseguire questa tecnica al meglio:
——
Prendi un qualunque strumento di scrittura (un foglio bianco
magari, come ai vecchi tempi?) e semplicemente per 10 minuti
riporta tutto ciò che reputi essere un obiettivo significativo da realizzare o
un problema rilevante da risolvere. Molti qui avranno già ben chiaro
nella propria mente un disegno preciso sul futuro verso cui
desiderano muoversi, mentre per altri la risposta sarà sicuramente
molto più “vaga” e non ben definita; ed ecco che mentre i primi
potrebbero in teoria già passare direttamente alla definizione
concreta degli obiettivi su cui lavorare, i secondi potrebbero
passare in rassegna la lista di domande che segue (nonostante, sia
chiaro, il mio consiglio principale qui rimane quello di consultare
questa “checklist” indipendentemente dalla fiducia che già si ha
nella propria visione di sé):
✓ Qual è la mia giornata ideale? Che cosa farei, per esempio, la
mattina? E il pomeriggio? E la sera? A cosa dedicherei la mia
nottata? Al sonno? Al riposo? Al lavoro? Ad attività di altro
tipo? Che attività svolgerei durante una giornata così impostata?
Con chi sarei? Dove di preciso mi troverei?
✓ Qual è la mia settimana ideale? Come si svolgerebbe? Cosa
farei durante i vari giorni della settimana? Come amministrerei il
tuo tempo? Su quali attività mi focalizzerei maggiormente?
✓ Qual è il mio “ambiente perfetto”? Dove vorrei vivere? In
una prateria? A ridosso sull’oceano? In centro città? Nel
deserto? Chi vorrei avere attorno a me? Quali oggetti vorrei
arredassero la stanza? Quadri? Statue? Ricordi? E di quali
strumenti vorrei disporre? Pianoforte? Chitarra? Altri strumenti
musicali? Computer? Tablet? Carta? Pennarelli?
✓ Cosa è necessario migliorare? Cosa non funziona? Cosa non
mi soddisfa appieno? Cosa potrebbe funzionare meglio? In me,
nella mia casa, nel mio lavoro, nei miei affetti? Nei miei processi
di lavoro, nel modo in cui organizzo il mio tempo? Qualcosa ha
occupato la mia mente più del necessario? Esiste un problema
che invade “troppo” del mio quotidiano?
✓ Cosa “voglio veramente” dalla mia esistenza? Cosa voglio
realizzare prima di ogni altra cosa? Tra venti, trenta,
quarant’anni, cosa mi pentirei di non aver fatto oggi? Cosa mi
pentirei di non aver fatto tra una settimana o un mese? E cosa
ancora mi pentirei di non avere fatto entro uno o due anni?
Cosa voglio realizzare assolutamente prima di morire?
✓ Cosa servirebbe fare più o meno “urgentemente”? Cosa, se
realizzato e portato a termine, mi farebbe stare meglio? Cosa
voglio realizzare subito? Entro una settimana? Entro un mese?
Entro un anno? Entro 10 anni? E domani? Ho trascurato
qualcosa? Ho posticipato qualcosa troppo a lungo?
✓ Cosa vorrei “comprare”, “ottenere”, “produrre”? Cosa mi
serve? Cosa può migliorare la mia vita? Cosa mi renderebbe
veramente felice?
✓ Dove devo cambiare le mie abitudini? Devo smettere di fare
qualcosa? Cominciare a fare qualcosa? Cominciare un processo
di qualche tipo? Impostare una routine che “produca” qualcosa
che desidero? E quando? Quanto spesso? Le mie attuali
abitudini funzionano già? Devo cambiarne solo una parte? C’è
uno “sforzo necessario” che tuttavia mi rifiuto di fare?
Una regola costruttiva da seguire qui potrebbe essere: in questa
fase non preoccuparti troppo di pensare alla fattibilità di ciò che
riporti. Prova a imbracciare almeno un po’ di ragionevole realismo
nelle tue risposte ma non giudicare né filtrare troppo ciò che ti
passa per la testa. Per esempio: voglio una macchina del tempo con cui
viaggiare a cinquant’anni fa e riabbracciare i miei nonni può essere forse
un po’ “troppo” per i mezzi tecnologici a nostra disposizione
(anche se ovviamente il mio “sogno proibito” è che questo libro
arrivi nelle mani di lettori per cui questa limitazione non esista
più); ma voglio potermi permettere una villa al mare, sebbene ambizioso
per molti, è più che valido nell’ottica di ciò che questa fase si
propone di collezionare. Prova a imbracciare lo spirito di quel
“sognatore coi piedi per terra” di cui parlavamo a inizio libro e
sicuramente capirai da te cosa tenere nella tua lista e cosa no.
Cosa fare ora degli obiettivi riportati? Prima cosa, la risposta con
alcuni di essi potrebbe essere ovvia e immediatamente traducibile in un’azione
da riportare sulla tua agenda o sulle tue app di planning. Azione che può
consistere in un “prossimo passo” concreto da fare, oppure nella
decisione di allocare un’ora allo studio necessario per capire come
impostarne uno. Qualora tuttavia ciò non dovesse risultarti
immediato, prova a continuare a leggere e ad applicare alle tue idee
la tecnica dei “Quattro cassetti”:
I quattro cassetti
“Per cambiare veramente bisogna avere il coraggio di progettare, con calma,
senza fretta, e di lavorare duro, nel tempo. Il cambiamento in quest’epoca è un
atto eversivo, un gesto rivoluzionario e dunque richiede metodo.”
(Anonimo)
La tecnica dei “Quattro cassetti” è un metodo di lavoro con cui
“prendersi opportuna cura” dei propri obiettivi, nel lungo e medio
termine; può trattarsi degli obiettivi che già stiamo perseguendo o
sappiamo di dover perseguire. Oppure dell’insieme di idee
generate dal “brainstorming” della pagina precedente: quasi tutto
qui è valido, purché rispetti dei basilari “criteri di qualità” fondati
su quella “ragionevole idea di realizzabilità” di cui abbiamo parlato
poco fa.
Fatte dunque le premesse necessarie, vediamo ora ciò che serve
per eseguire questa tecnica nel concreto:
• Una matita, una penna cancellabile, una app per cellulare, un
tablet e-ink o qualunque strumento ti consenta di scrivere in
maniera non indelebile e modificabile.
• Un supporto in cui definire i “quattro settori” in cui andrai a
riportare i tuoi obiettivi dopo averli divisi per categoria. Può
essere un singolo foglio di carta diviso in quattro parti, due fogli
divisi in due o anche quattro fogli distinti (quest’ultima
tipicamente la mia soluzione preferita); l’importante è,
banalmente, essere realistici in termini di spazio che ci servirà per la
quantità di idee che andremo a trattare in ogni settore.
Dopodiché, traccia con la tua matita (o altro strumento) ciò che
serve per delimitare graficamente questi quattro “cassetti” e
chiamali:
✓ Howlog. Metti qui tutte le idee di cui ti è chiaro il “cosa” ma
non hai ancora ben definito il “come”. Ad esempio quel: “Dovrò
cominciare a studiare questa lingua prima o poi” senza però avere
ancora idea di se lo farai in una scuola serale, “giocando” con
una app o attraverso un partner di conversazione da incontrare
una volta a settimana.
✓ Bottomlog. Metti qui tutte le idee sulla falsariga del “Cose da
cominciare forse-un giorno”. Qui la distinzione con l’Howlog può
essere abbastanza sottile, e pertanto la decisione su cosa mettere
in questi due settori può non essere sempre lampante; il mio
consiglio tuttavia è di mettere nell’ “Howlog” tutte quelle le cose
che, una volta capito il come, verranno cominciate “abbastanza
rapidamente”. Il “Bottomlog” invece è letteralmente qualcosa che
“in teoria ci interessa ma non a breve” oppure “è abbastanza
stimolante ma per puro senso pratico non conviene affrontare
immediatamente”; esso è la destinazione perfetta per tutto ciò
che non considereremo realmente entro l’anno salvo il cambiare
significativo di alcune condizioni esterne. L’ “Howlog” invece è
la “scatola delle cose che fremono per essere sbloccate dall’idea
giusta”.
I due settori che seguono invece, essendo destinati agli obiettivi
più urgenti o concreti, si differenziano per il fatto che sono divisi
in due colonne (abbastanza autoesplicative) che chiameremo “Idea-
progetto” e “Cosa mi blocca-Prossimo passo”:
✓ Backlog. Riporta qui (nella colonna “Idea-progetto”) le cose
che non comincerai necessariamente nell’arco dei prossimi due
mesi, ma che comunque hanno più importanza, urgenza o
possibilità di realizzazione di quanto hai messo nel
“Bottomlog”.
✓ Hotspot. Scrivi qui (nella colonna “Idea-progetto”) tutte le cose
di massima priorità, urgenza o più immediata realizzabilità; può
trattarsi di tutti quei piani che inizierai sicuramente a elaborare
entro il prossimo mese, ma anche perché no, tutto ciò a cui vuoi
dare priorità perché non vedi l’ora di lavorarci. L’Hotspot è un
po’ il tuo settore del “Qui e ora, o comunque quasi certamente a breve”.
Dopodiché, anche solo per un’ora ogni 1-2 settimane, prova a
dedicarti al seguente esercizio:
• Prova a comprendere di quanto lavoro necessita l’Howlog. Guarda agli
obiettivi che hai inserito in questo settore e chiediti: per alcune
cose una semplice ricerca su Google può sbloccare il tutto?
Devo fare un ulteriore brainstorming sui “come”? Devo leggere
qualcosa a proposito? Devo dedicare un preciso arco di tempo
all’elaborazione di quello che è almeno un ventaglio di soluzioni
possibili? Scegliere o ricercare quella meno “costosa”?
• Riempi la colonna “Cosa mi blocca-Prossimo passo” per ogni attività
nell’Hotspot. Dai insomma a ogni obiettivo un chiaro “passo
successivo”, e a ognuno di questi ultimi una definita
connotazione temporale. Infine, se utile e applicabile, riporta
quanto appena elaborato nella tua agenda, nel tuo calendario
Google o in qualunque altro strumento usi come planner delle
tue attività quotidiane.
Qualora poi questo “prossimo passo” non dovesse essere del
tutto chiaro, prova almeno a capire se puoi pianificare del tempo
dedicato alla sua definizione. E se proprio non ci riesci in un
arco di 15-20 minuti, o in un minimo di due sessioni, allora vuol
dire che c’è un “blocco non superabile nell’immediato” e quindi
che il tuo obiettivo, almeno per ora, va nell’Howlog.
Una volta poi completato quanto suggerito finora, ripeti
esattamente lo stesso processo con gli elementi nel Backlog, ma
concedendoti una minore precisione complessiva sulla definizione dei “come”
e senza necessariamente aggiungere informazioni di natura temporale.
Apporrai ulteriori dettagli solo e unicamente qualora ciò risulti
banale, oppure se più avanti realizzerai che l’obiettivo
considerato si sia “meritato una promozione” nell’Hotspot.
• Verifica se la priorità di alcune cose si è modificata rispetto alla volta
precedente. Se non è la prima volta che esegui questa pratica, è
possibile che alcune delle idee già riportate vadano spostate dal
Backlog al Bottomlog, o dall’Hotspot al Backlog, in quanto
improvvisamente diventate meno urgenti, oppure che sia
accaduto l’esatto opposto, e in maniera ancora più “radicale”:
magari un nuovo trend di mercato ti suggerirà che conviene
cominciare a lavorare subito a quell’idea che era da tempo nel tuo
Bottomlog, il che la farà “schizzare” immediatamente in piena
zona “Hotspot”. Le cose evolvono spesso anche in maniera
rapida e del tutto inattesa, ed è questa l’ulteriore conferma che
questa tecnica, per essere “robusta”, necessita di strumenti di
scrittura non indelebili con cui poter muovere, cancellare,
riscrivere parte di ciò che hai elaborato la volta precedente.
• Una volta appurato che le idee sono nel settore giusto, riordinale per priorità
all’interno dello stesso settore. L’idea è sempre quella, banale ma
preziosa, che non avendo noi ovviamente tempo né risorse
illimitate, dovremo necessariamente focalizzarci su alcune cose
prima di altre e che pertanto l’ordine con cui le riportiamo
rappresenti una preziosa guida in questo senso. Inoltre, il fatto
di dedicarci ai nostri compiti con un ordine strettamente
prioritario, ci concede l’immenso vantaggio che qualora
dovessimo improvvisamente “sospendere il nostro lavoro” a
causa di fattori imprevisti, il sapere di aver dedicato innanzitutto
la dovuta attenzione a ciò che è più importante “limiterà i
danni” dovuti all’interruzione forzata dello stesso; il che ancora
una volta sottolinea la robustezza del metodo in quanto fatto per
reagire opportunamente a tutto ciò che non siamo in grado di prevedere.
Vediamo infine insieme anche degli esempi di tabelle di lavoro con
cui applicare il metodo. La raccomandazione è sempre la stessa:
usale come riferimento, riempile direttamente qui se possiedi
questo volume in forma cartacea, oppure esportale e stampale
qualora tu ne possieda la versione digitale.
In una frase sola
“Tutti noi abbiamo uno scopo spirituale, una missione, che perseguiamo senza
esserne del tutto consapevoli. Nel momento in cui la portiamo completamente
alla coscienza, le nostre vite possono decollare.”
(James Redfield)
Se hai avuto modo di lavorare per definire almeno in parte i tuoi
“principi fondamentali” come visto qualche pagina fa, allora prova
a fare anche l’esercizio di sintetizzarli in una frase sola, sia essa uno
slogan, una frase, un mantra o un poema breve. Prova a comporre
qualcosa di forte e incisivo e che possa essere “rievocato” all’inizio
della giornata, alla sua fine o magari semplicemente quando hai
bisogno di ritrovare un po’ di energia. Fa’ che riassuma tanto la tua
“missione personale” quanto quell’insieme di principi, prospettive
e motivazioni da cui “conviene” farti guidare. Crea qualcosa che
sia intrinsecamente vibrante, energico, pungente, ma anche
personale. Scegli le parole giuste e prova a sostituirle finché non ti
danno l’effetto sperato. Vai per cose come: “Ogni ostacolo anche oggi
sarà risorsa!”, “Oggi sarò meglio di ieri!”, “Voglio attirare il meglio e il
massimo dagli altri, sempre!”. Poi, una volta definito il tuo primo
“prototipo” di frase, raffina ulteriormente l’esercizio:
• Rifinisci e fai evolvere il tuo mantra principale nel tempo: ricordati che
siamo entità dinamiche, e pertanto ciò che valeva anche solo una
settimana fa può non valere più oggi.
Come a Montecarlo
Come visto alcune pagine fa, un possibile approccio filosofico alle
inevitabili imprevedibilità dell’esistenza è quello che consiste nel
darsi lo scopo di mettere insieme, giorno dopo giorno, strategie e
strumenti che possano rivelarsi adatti alle circostanze affrontate
indipendentemente dalla loro prevedibilità o natura. Nell’essere le
querce millenarie che resistono a ogni vento contrario, i mulini che
ne trasformano le correnti in energia, le dune che pur adattando in
parte la propria forma rimangono a caratterizzare il paesaggio per
secoli. Tuttavia esiste un secondo “approccio all’incertezza”,
alternativo e complementare al primo, che è quello che consiste
nel provare invece almeno a valutare un insieme di scenari ragionevoli
su come le cose potrebbero andare, e prendere quindi delle
decisioni a seconda delle caratteristiche di ciò che il futuro
“potrebbe” riservarci.
D’altronde ne abbiamo parlato: che lo vogliamo o meno la nostra
mente, nel cercare di costruirsi certezze laddove non ce ne sono,
finirà anche con l’assemblare un’idea molto chiara di “futuro
possibile” e a spingerci per agire come se questo fosse “l’unico
che si avvererà realmente”. Tuttavia è ovvio che, come al solito, se
volessimo seguire acriticamente il nostro ennesimo “delirio
mentale” dovremmo affrontare anche non pochi problemi. In
particolare:
1. È estremamente difficile che il futuro considerato come più probabile sarà
anche quello che tale è nei fatti. L’abbiamo visto molto chiaramente:
non solo troppo spesso ci ritroviamo in condizioni di
“asimmetria informativa” tali da non avere abbastanza dati da
capire come le cose effettivamente andranno, ma è
estremamente probabile che non ci renderemo conto di tale
asimmetria e che, piuttosto, tenderemo a riempire tali “vuoti
informativi” con tutto ciò che il nostro cervello desidererà
aggiungere. Sarà per esempio estremamente frequente che si
finisca con il considerare “più probabile”, se non “quasi certo”,
il futuro che risulti per noi più suggestivo, quello che convalida
alcune nostre certezze o paure, o magari quello che presenta una
combinazione di elementi più familiari e recenti della nostra
esperienza diretta.
2. Il nostro cervello non amerà l’idea di considerare più futuri possibili.
L’abbiamo visto quando abbiamo parlato della nostra istintiva
“fame di dati di fatto”: almeno a livello subconscio abbiamo in
noi una naturale, “evolutiva” necessità di credere in una almeno
in parte prevedibile idea di futuro, e quando questa prevedibilità
ci viene improvvisamente rimossa da sotto ai piedi, la
sensazione è simile a quella della rimozione del pavimento, o
delle fondamenta che lo reggono.
Il delinearsi insomma sempre un ventaglio di probabili
“prospettive” e provare a razionalizzare sul loro carattere
probabilistico è un esercizio incredibilmente utile nella sua
controintuitività. E potremmo quasi poeticamente dire che ci
consente di “riprenderci il nostro futuro”, rimuovendolo dalle
mani dei nostri bias mentali più testardi e dal loro costante,
tentativo maldestro di predire gli avvenimenti attraverso quelli che
potremmo identificare letteralmente come i peggiori strumenti
possibili per lo scopo. L’equivalente del licenziare finalmente un
medico che ha sempre provato a curare i nostri sintomi lanciando
una monetina, o un tecnico che butta acqua sui componenti del
nostro PC con lo scopo di ottimizzarne la performance. Ciò
premesso, questa pratica può essere svolta attraverso i passi che
seguono:
✓ Presa la situazione che ti interessa, delinea un insieme di scenari “almeno
in teoria possibili”.
✓ Ricordati di aggiungere anche qualcosa di leggermente più improbabile, ma
senza che ciò violi alcuni principi-base di realismo minimo (“Domani
crollano rovinosamente tutti i mercati mondiali nonostante
siamo nel pieno di un boom economico” è improbabile ma
realistico. “Domani un’invasione aliena cancellerà il mondo
come lo conosciamo” potrà anche essere estremamente
probabile per qualcuno lì fuori ma almeno nel momento in cui
sto scrivendo è comunque un’ipotesi troppo poco realistica per
risultare realmente utile in una pianificazione strategica).
✓ Non dimenticare né i “peggiori casi possibili”, né quelli definibili come
“ottimisti”. I primi ti suggeriranno linee-guida utili su come
sopravvivere a essi, mentre i secondi sono assolutamente
fondamentali per evitare le nostre “sindromi da attaccamento
all’ipotesi più drammaticamente suggestiva”.
✓ Fatti domande: Quali sono gli “scenari futuri” più positivi?
Quanto sono probabili? Conviene applicare uno sforzo extra
per favorire il verificarsi di quelli preferibili? Attrezzarsi per
trarne il massimo? Quanto mi costa “puntare” in anticipo sul
fatto che lo scenario positivo accadrà? Mi conviene davvero
investire su di esso? E cosa succede se non andrà come sperato?
Quali sono invece gli “scenari” più negativi? Conviene applicare
uno sforzo aggiuntivo onde evitarne il verificarsi? E se non si
può far nulla, conviene architettare piani per ridurre, limitare,
controbilanciare, ribaltarne gli effetti?
Quali e quante risorse od opportunità posso trarre dai vari
“scenari” indipendentemente dal loro carattere?
E quanto mi costa considerare uno scenario come possibile rispetto
all’impatto effettivo che esso avrà se si dovesse realizzare senza alcun mio
intervento?
In teoria la “versione veloce” della pratica descritta in questo
capitolo finisce qui. Tuttavia, vista l’estrema importanza che il
nostro approccio al rischio e all’incertezza assume nella nostra vita
di tutti i giorni, aggiungiamo qualche strumento di riflessione che
ci aiuti sia a rispondere alle domande della tecnica appena vista
che, si spera, a migliorare il nostro atteggiamento quotidiano nei
confronti di questi fattori:
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L'autore
Danilo Lapegna, classe 1986, e fondatore e CEO del “Kintsugi Project”,
è un professionista, ingegnere e studioso con un'insaziabile passione
per l'apprendimento, la scoperta e il progresso umano. Sin dalla sua
infanzia, ha dimostrato una precoce fascinazione per il massimo
potenziale del cervello umano, divorando libri a tema scientifico, ed
emergendo come un campione di memoria televisivo all'età di soli sei
anni.
Danilo, con la sua formazione accademica da ingegnere informatico,
dirige da anni con successo team internazionali impegnati in progetti
software di grande impatto nel fervente mondo delle start-up del
Regno Unito. Tuttavia, la sua passione più profonda affonda le sue
radici nell'amore per la multidisciplinarietà, e per la capacità di
generare valore attraverso la sintesi e l’integrazione di principi estratti
dalla filosofia, dalla psicologia, dalle neuroscienze, dalla “smart
productivity”; ma soprattutto, attraverso l'armonizzazione di tutto ciò
con un incrollabile desiderio di contribuire al benessere altrui. Da più di
un decennio infatti, attraverso lo pseudonimo di “Yamada Takumi”, ha
sfruttato queste sue passioni scrivendo libri a tema che hanno venduto
oltre 50.000 copie, scalando le classifiche di vendita su Amazon,
aiutando migliaia di persone attraverso il suo blog e ricevendo enorme
attenzione mediatica per il loro successo nel settore dell'auto-
pubblicazione.
E così, “Il Kintsugi Project” rappresenta il tentativo “definitivo”, suo e del
suo staff, di reinventare l’approccio all’evoluzione personale, atto a
decostruire tutta la “fuffa” e i paradigmi obsoleti e disfunzionali di
questo settore, per poi rivolgere la propria scommessa verso sistemi di
autoterapia, benessere psicofisico, “skill development” e “produttività
intelligente” che abbiano radice nella scienza, nella ricerca, e
soprattutto in un ecosistema condiviso che possa favorire una crescita
individuale e "personalizzata", che sia scolpita sui valori e sulle esigenze
di ognuno.
Bibliografia e approfondimenti
Sulla meditazione
“Mindfulness-based stress reduction and health benefits: A meta-
analysis”, di Grossman P, Niemann L, Schmidt S, Walach H.
(2004)
“Can Meditation Slow Rate of Cellular Aging? Cognitive Stress,
Mindfulness, and Telomeres”, di Elissa Epel, Jennifer
Daubenmier, et al. (2009)
“A Wandering Mind Is an Unhappy Mind”, di Matthew A.
Killingsworth, Daniel T. Gilbert (2010)
“Mindfulness Training Improves Working Memory Capacity and
GRE Performance While Reducing Mind Wandering, di Mrazek,
Franklin, Phillips et al. (2013)
“Meditation programs for psychological stress and well-being: A
systematic review and meta-analysis” di Goyal M, Singh S, Sibinga
EMS, et al. (2014)
“Brief, daily meditation enhances attention, memory, mood, and
emotional regulation in non-experienced meditators”, di Julia
C. Basso, Alexandra McHale, Victoria Ende, Douglas
J. Oberlin, Wendy A. Suzuki (2019)
Libro: “Mindfulness: A Practical Guide to Finding Peace in a
Frantic World”, di Mark Williams e Danny Penman (2011)
Sulla felicità e “pensiero positivo”
“The role of positive emotions in positive psychology: The
broaden-and-build theory of positive emotions.” Di Fredrickson1
(2001)
“Pursuing Happiness: The Architecture of Sustainable Change”,
di Lyubomirsky, Sheldon, Schkade (2005)
“The Benefits of Frequent Positive Affect: Does Happiness Lead
to Success?”, di Lyubomirsky, King, Diener (2005)
“Positive Psychology Progress: Empirical Validation of
Interventions.”, di Seligman, Steen, Park et al. (2005)
Altro
“Experimental disclosure and its moderators: A meta-analysis.”, di
Frattaroli (2006)
Libro: “Flow”, di Mihály Csíkszentmihályi (1990)
Libro: “La trappola della felicità”, di Russ Harris (2010)
Libro: “Design your life”, di Bill Burnett (2016)
Libro: “Rischiare grosso”, di Nassim Nicholas Taleb (2017)
Libro: “La psicologia dei soldi”, di Morgan Housel (2021)
Libro: “L’era della dopamina”, di Anna Lembke (2021)
https://moretothat.com/the-meaning-of-life-is-absurd/
https://fs.blog/first-principles/

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  • 1.
  • 2. Reset! di Danilo Lapegna Il manuale di cambiamento per chi ha le … rotte! ESTRATTO GRATUITO Nuova Edizione GEM
  • 3. Reset!.......................................................................................5 I – Non ho nulla al di fuori di me, e questo è sufficiente .....13 II – Lo specchio della saggezza............................................21 III - 5 fasi di distruzione creativa..........................................32 IV - Istinti di sopravvivenza..................................................38 Fame di dogmi ......................................................................................39 Datemene di più, purché sia lo stesso di prima ...............................43 Il bunker anti-tutto...............................................................................45 Lupo sociale e lupo antisociale...........................................................51 Distruggere la nave di Teseo...............................................................56 V – Esplorare: reset introspettivo e creativo .........................62 Per l’indagine interiore - “Reset introspettivo”................................64 Per l’indagine sul mondo - “Reset creativo”.....................................67 Occhi terapeutici...................................................................................76 VI - Giungere ad Atlantide....................................................80 Un esempio pratico di “Reset Journaling” .......................................93 L’abisso infinito ....................................................................................95 VII – Cesellare l’esistenza....................................................101 Brainstorming degli obiettivi............................................................102 I quattro cassetti .................................................................................105 In una frase sola..................................................................................113 Checklist Zen......................................................................................115 Judo mentale .......................................................................................117 Il mio Kintsugi....................................................................................124 Progress tracker ..................................................................................127 Kaizen ..................................................................................................133
  • 4. Pillars-based thinking.........................................................................137 Sblocca-risultati...................................................................................146 To-do list “pigra”................................................................................149 Come a Montecarlo............................................................................152 Payoff Matrix......................................................................................166 Non si capisce più nulla.....................................................................172 Grazie!..................................................................................179 Tabelle di lavoro...................................................................180 Ma c’è di più… ....................................................................231 L'autore ...............................................................................238 Bibliografia e approfondimenti...........................................239 Disclaimer ...........................................................................242
  • 5. Reset! “I migliori tempi della nostra vista non sono tempi passivi, ricettivi, rilassanti… i momenti migliori di solito si verificano se il corpo e la mente di una persona sono spinti ai loro limiti nello sforzo volontario di realizzare qualcosa di difficile e per cui ne valga la pena.” (Mihaly Csikszentmihalyi) Quante volte abbiamo sognato di poter “resettare tutto”, ripartire da zero, e ricostruire pur sulla base delle nostre amarezze e inquietudini passate? Eppure quante volte ci siamo ritrovati, nel tentativo, a fronteggiare sempre gli stessi ostacoli, sempre gli stessi freni interiori, sempre lo stesso ritornare al punto di partenza senza aver compiuto alcun avanzamento significativo? È normale in fondo: per quanto il concetto possa sembrare banale tendiamo continuamente a dimenticare che cambiare non è affatto semplice, e spesso ogni rivoluzione, tanto più laddove si presenta come profonda e radicale, necessita innanzitutto di un sostanziale “cambio di paradigma”; di un essere disposti a riconsiderare, magari anche del tutto, gran parte delle cose che abbiamo considerato scontate fino a quel momento. Ogni vero “reset” impone un salto quantico, un sacrificio sostanziale, un alzarsi in volo senza necessariamente potersi assicurare di rimettere i piedi a terra a breve. E niente di tutto questo sarà mai possibile se non cominciamo ad
  • 6. adoperarci nell’impegno di abbandonare e riconsiderare significativamente innanzitutto i paradigmi che abitano il nostro pensiero. Il pensiero d’altronde è forse il “primo vero artefice di tutto il resto”, l’ “attività fondamentale” che incessantemente forma nella nostra mente idee, concetti, schemi. È il pensiero che attimo dopo attimo ci porta a definire l’universo che ci circonda. Che ci porta a dare agli elementi che popolano la nostra vita delle caratteristiche, delle forme, dei limiti. Così come è esclusivamente il pensiero a definire i nostri comportamenti: per quante cose o persone possano provare a influenzarci, convincerci, mostrarci una via, non prenderemo mai alcuna decisione, né accetteremo alcuna informazione per vera, senza che sia stata esclusivamente la nostra mente ad averci consentito in ultimo luogo di farlo. Fermiamoci un attimo tuttavia: nonostante quanto detto finora sia tecnicamente vero, non deve scadere assolutamente in due pericolose derive di “retorica motivazionale”: una, il fatto che possiamo “controllare” il nostro pensiero come fosse il movimento di una mano. Troppi “venditori di pillole” lì fuori continuano a sostenere che basterà “decidere di sostituire il pensiero negativo con uno positivo” e la nostra vita evolverà come per magia in un paradiso in terra: no, non è per niente così facile! Tutte le ultime ricerche sulle neuroscienze sembrerebbero infatti confermare che il nostro controllo consapevole sui nostri processi cognitivi è estremamente limitato pur offrendoci comunque, attenzione, degli spazi di manovra significativi: se difatti un controllo assoluto e istantaneo della nostra mente è in teoria impraticabile, sicuramente possiamo allenarci a esplorarne le dinamiche di base per poi imparare con il giusto tempo e lavoro a gestire diversamente parte di esse, fino a generare nuove risposte, produrre cognizioni alternative dello stesso problema e quindi man mano alterare anche i nostri comportamenti istintivi. È un po’, a voler semplificare, la metafora dell’individuo che deve deviare il corso di una cascata: sicuramente non riuscirà a invertirne subito la corrente con la sola forza di volontà, ma con alcuni rudimentali strumenti potrà deviarne una piccola parte, reindirizzarla dove desidera, e magari persino sfruttarne l’energia cinetica per i propri scopi. Poi più tempo avremo per mettere insieme una
  • 7. strumentazione elaborata e più, pur non potendo ovviamente modificarne le leggi fisiche alla base, potremo comunque aumentare la complessità del nostro lavoro: creare nuovi flussi, indirizzarli dove vogliamo, manipolarne direzione e intensità in base ai nostri desideri. Ma un’altra “pericolosa china retorica” che questo libro cercherà di evitare a tutti i costi è nel concetto che “il nostro pensiero può sfidare, o peggio plasmare, la realtà completamente da solo”, come tanti libri-fuffa lì fuori continuano a provare ad affermare. Sono infatti fermamente convinto che nessun cambiamento sano è mai stato fatto arroccandosi in un castello intellettivo di costruzioni immaginarie, ma anzi, queste ultime cose nella storia non hanno prodotto nient’altro che sofferenza e disastri. Questo libro invece è per “guerrieri del pragmatismo”, per “sognatori saldi sulla realtà”; per persone consapevoli che per generare dei veri “reset” nel mondo si deve innanzitutto allenare il proprio pensiero ad “accettare” ciò che c’è lì fuori. E da lì porsi l’obiettivo di avere una mente profondamente aperta, ricettiva e pronta a “giocare” sia con gli aspetti negoziabili della realtà, che con quelle cose che discutibili non lo sono per niente. “Per me, sognare significa soltanto essere pragmatici.” (Shimon Peres) Eppure allo stesso modo è importante tenere a mente che imparare ad accettare la realtà non vuol dire rassegnarsi a ogni sua conseguenza, sfumatura o implicazione. Non vuol dire piegarsi a quelle che sono solo opinioni o costrutti sociali. Acquisire il potere di effettuare un vero “reset” infatti parte innanzitutto da una sorta di “prurito”, di “inquietudine”, di profonda consapevolezza che, sebbene in un determinato momento le cose inevitabilmente sono come devono essere, allo stesso modo può esserci qualcosa di più, può essere fatto qualcosa di meglio. È la chiara sensazione che il “reset” non solo sia possibile, ma in qualche modo sia anche necessario; e che perché esso possa realizzarsi davvero è fondamentale innanzitutto partire
  • 8. da una “dolorosa” rinuncia a parte dei modi in cui abbiamo pensato e agito fino a questo momento. Quello che hai tra le mani insomma è un volume per realizzatori, sognatori, rivoluzionari, “affamati folli” di Steve-Jobsiana memoria e, perché no, anche “individui con le scatole rotte”. Un vero e proprio “manuale di cambiamento”, che ti introdurrà in un percorso passo-passo attraverso tutte le fasi in cui una vera rivoluzione avviene. Imparerai a guardare il mondo con occhi completamente nuovi, a congegnare soluzioni creative inedite, a creare cose forse persino rivoluzionarie e capirai come combattere con intelligenza e astuzia tutti quei “nemici naturali” che inevitabilmente incontrerai nel tuo cammino; e forse la cosa migliore in tutto ciò è che lo farai maturando un profondo senso di serenità interiore, un naturale desiderio di “sfidare allegramente” il mondo, un procedere sapendo di stare ricomponendo i pezzi di un seducente puzzle esistenziale. Il tutto facendo propria la consapevolezza che sì, la mente potrà spostare anche le montagne, ma (e ormai dovremmo averlo capito) mai nella narcisistica ottica secondo cui “il mondo si piegherà ai nostri pensieri”, bensì nella ben più consapevole prospettiva secondo cui siamo noi i creatori di noi stessi: siamo noi gli artefici delle nostre scelte e saranno queste a plasmare sia la nostra persona che, sempre più indirettamente, l’ambiente che ci circonda. E pertanto possiamo darci l’obiettivo di affrontare questa esistenza assumendo il ruolo di protagonisti, di “pragmatici sovversivi”, di “creatori e creatrici di precedenti straordinari”. E come dico in gran parte dei miei libri, non posso garantirti che questo percorso sarà facile, ma posso assolutamente prometterti che ne varrà la pena. Ciò detto, non mi resta che augurarti buona lettura e in bocca al lupo di cuore. Cominciamo! Nota: questo libro è una riscrittura profonda di un altro mio libro precedentemente presentato con il titolo di: “Piccola bibbia del rivoluzionario mentale”. Nonostante il punto di partenza, tuttavia, lo considero un prodotto completamente nuovo. Ho infatti pensato che molti dei concetti presentati in quel libro fossero sì validi, ma fortemente migliorabili sia in virtù di un mondo che è cambiato profondamente negli ultimi anni, che di quanto intellettualmente
  • 9. ho rielaborato durante lo stesso arco di tempo. L’impostazione generale del libro in termini di struttura e capitoli è ancora molto simile, ma ho voluto renderlo infinitamente più completo e stimolante per il lettore, in aggiunta ad avere preso in prestito, riadattandoli, qualche piccola tabella e schema pratico da un altro mio progetto, quello dei “Quaderni Kintsugi” (unite a tabelle completamente inedite e pensate per questo volume in particolare); cosa di cui magari potranno godere più direttamente i possessori di questo libro in forma cartacea (che tra l’altro avranno in esclusiva delle tabelle “extra” compilabili a fine libro), ma che comunque ho voluto donare anche ai possessori del digitale, in maniera tale da dar loro la possibilità di stamparli o esportarli e usarli come template su cui lavorare. Non mi è dato sapere se sia riuscito del tutto nel mio intento di avere confezionato un prodotto valido ovviamente, ma la mia migliore speranza qui è che il fatto stesso che questo volume sia il risultato di ormai oltre un decennio di lavoro profondo lo renda un’esperienza “diversa” rispetto ad altri manuali simili. Un’esperienza che nel suo “traboccare idee” risulti estremamente ricca, “nutriente” e soprattutto appagante per tutte quelle menti che sono alla ricerca dell’input giusto in quanto creative, sognatrici, “folli” o semplicemente stanche delle banalità del quotidiano: il mio lavoro è per voi! E ricorda: se hai dei feedback per noi, proposte, richieste, suggerimenti, scrivici a info@kintsugiproject.net
  • 10.
  • 11. III - 5 fasi di distruzione creativa “Il vero viaggio dello scoprire non consiste nel vedere paesaggi nuovi ma nell’avere nuovi occhi.” (Marcel Proust) Nelle pagine precedenti abbiamo visto che qualora si voglia ritrovare la propria serenità interiore, prepararsi fisicamente per scalare una montagna, acquisire i mezzi per ritrovare la propria stabilità economica, smettere di fumare o escogitare una potenziale killer application da lanciare sul mercato, tutto parte inevitabilmente da un’evoluzione dei propri schemi e modelli di pensiero, da quelli preesistenti a quelli che conducano la propria mente nello “stato” adatto perché essa conduca “naturalmente” al conseguimento del “sogno” di raggiungere la propria vetta proibita. E ciò che analizzeremo in questo capitolo è come questo processo di “evoluzione” del proprio pensiero può essere schematizzato in cinque fasi-cardine dell’intero “Metodo Reset”, qui brevemente illustrate e poi nei capitoli successivi approfondite. Si tratta di una divisione assolutamente non netta, visto che nella realtà dei fatti
  • 12. queste fasi si sovrapporranno, intrecceranno e susseguiranno in modi imprevedibili. Ma afferrarne le differenze potrà comunque aiutarci a comprendere in cosa consiste il percorso che dovremo affrontare, ma soprattutto di volta in volta quale fase, di preciso, stiamo attraversando: 1. “Prurito”: questa fase inizia quando proviamo un’esigenza, magari derivante dalla volontà di risolvere un problema, alleviare una sofferenza, oppure semplicemente di scatenare un cambiamento, migliorare le cose, allargare il nostro mondo o la nostra percezione di esso. Un “prurito” è un’intuizione creativa, un “dire basta” a qualcosa che ci fa male, un’improvvisa consapevolezza che la vita può essere molto più ricca di così. Un “prurito” è tutto ciò che ci ha portati come specie dalle caverne ai razzi interplanetari; è il nostro “DNA creatore” che ci “chiama alle armi”. 2. “Dissacramento”: di fronte all’impulso (o all’insieme di impulsi) della fase precedente, sentiamo anche il bisogno di riconsiderare qualcosa. Tipicamente, quella che comincia a creparsi è la presunta solidità degli schemi e dei modelli di pensiero che fino ad allora ci sembravano insindacabili. Sentiamo l’esigenza di “sfidare” ciò che prima era “dato per certo” e pertanto ci predisponiamo per aprire il nostro pensiero, le nostre emozioni, le nostre conoscenze a orizzonti completamente nuovi; ma come cosa fondamentale ci apprestiamo a farlo anche, e soprattutto, laddove ciò sfati, riconsideri, o “distrugga” tutto ciò che reputiamo “sacro”, “intoccabile”, “inalienabile”. 3. “Introspezione”: decidiamo di “guardarci dentro” e indagare più dettagliatamente sulla natura delle nostre scelte e dei nostri pensieri. Proviamo a guardare nel nostro “Specchio della saggezza”, e lo facciamo ripetutamente così da a imparare a osservare, giorno dopo giorno, sempre più consapevolmente, sinceramente e profondamente. Oppure, se volessimo usare una metafora un po’ più “battagliera”, impariamo a “conoscere il nemico onde poterlo sconfiggere”: più infatti ci risulteranno chiari gli “ingranaggi” dei nostri meccanismi mentali e più efficacemente li potremo “sfidare”, superare, anche trascendere se necessario.
  • 13. Questo è un passo che segue naturalmente dalla ripetizione pratica e continua del 2, si rafforza attraverso pratiche come la mindfulness e tra qualche capitolo vedremo come approfondirlo ulteriormente attraverso la tecnica del “Reset journaling”. 4. “Esplorazione”: qui cominciamo a rivolgere attivamente sforzi, energie, concentrazione, risorse verso tutti quegli aspetti delle cose, sia nella nostra mente che nel mondo, che normalmente tenderemmo a non considerare. In questo modo, “nell’atto di esplorare, ci trasformiamo in esploratori”, sviluppando la flessibilità, l’apertura mentale, la struttura filosofica e gli impianti strategici utili non solo a portare a compimento ciò che è nato con il nostro iniziale “prurito”, ma anche ad affrontare al meglio tutte le inevitabili sfide che l’esistenza ci porgerà. 5. “Cesellamento”: ossia, lavoriamo per concretizzare tutto quanto raccolto nelle fasi precedenti finché non giungiamo alla condizione di “Reset” che ponga le premesse per creare quel cambiamento che avevamo desiderato nel momento in cui abbiamo avvertito il nostro primo “prurito”. Cesellare inoltre è “continuare a lavorare e pensare bene” anche dopo che il cambiamento iniziale è avvenuto: non fermare l’esplorazione, tenere traccia dei propri progressi, revisionare di tanto in tanto ciò che non sembra funzionare e utilizzare gli strumenti giusti per farlo al meglio; e tutte queste sono cose che vedremo approfonditamente nell’ultimo capitolo del libro. Dalla struttura stessa di queste fasi, e dai concetti cui li abbiamo accompagnati nei capitoli scorsi, si può naturalmente notare la natura “costruttivamente conflittuale” dell’intero percorso: è questione di prendere ciò che non funziona, innanzitutto all’interno delle nostre routine, e provare a “attaccarlo”, “smontarlo”, se non addirittura “distruggerlo” attraverso l’applicazione di qualcosa a esso anche completamente antitetico se necessario, in maniera tale che da questo processo di “distruzione” ne nasca uno nuovo, di ricostruzione e ricrescita. È una via molto “Talebiana” se vogliamo (dal filosofo e scrittore libanese Nicholas Nassim Taleb, teorizzatore della teoria dei “sistemi antifragili” che si rafforzano sotto stress), in cui il nostro
  • 14. sistema di comportamenti e credenze viene sottoposto a tutta la “forza aggressiva” necessaria perché le parti destinate a “morire” finiscano, mentre quelle destinate a rafforzarsi seguano il loro “fato di dominare e prevalere”. In questo modo non solo, nonostante l’ovvia tensione che ne può scaturire, si crea un nuovo “sistema” molto più adatto a fronteggiare evoluzioni e cambiamenti, ma si potrebbe finire per creare una “inattesa armonia” tra elementi che normalmente avremmo classificato come in totale contrasto tra loro. “Uno dei più grandi geni della storia, Albert Einstein, disse: «I problemi che abbiamo non possono essere risolti allo stesso livello di pensiero che li ha generati». Ossia, se abbiamo un problema del quale non riusciamo a trovare la soluzione, continuare a utilizzare gli stessi schemi di pensiero che si sono rivelati insufficienti a questo scopo non potrà mai sbloccare la situazione. Per uscire dal problema è necessario vedere qualcosa che ancora non abbiamo visto, considerare qualcosa che ancora non abbiamo considerato, aprire la mente a possibilità che ancora non abbiamo esplorato, evolvendo il nostro pensiero da un livello nel quale non è in grado di risolvere il problema a uno più alto nel quale è in grado di comprenderne la soluzione.” (Roberto Re) D’altronde questo principio del “far crescere attraverso l’apposizione di parti apparentemente antitetiche” sembra seguire una sorta di principio di equilibrio presente in diverse forme di filosofia asiatica: nel Tao per esempio l’apposizione tra parti antitetiche è semplicemente l’unico modo per giungere alla realtà; così come in diverse forme d’arte giapponese è principio fondamentale quello di rendere l’antiestetico parte stessa dell’espressione della bellezza. Per noi occidentali invece lo stesso concetto potrebbe risultare incredibilmente controintuitivo, il che probabilmente deriva da quanto, in gran parte, la logica della nostra civiltà discende dalla logica aristotelica, basata sui tre principi di identità (A è A), di contraddizione (A non può essere non-A), e del terzo escluso (A non può essere nel contempo A e non-A, né tanto meno A o non-A). Siamo infatti quasi dei fanatici della
  • 15. categorizzazione netta, della classificazione “assoluta” e della “risposta definitiva”, tanto che preferiamo l’inutile e infinito dibattito del “Questo vestito è blu e nero o bianco e oro?” piuttosto che risolvere il tutto con un elementare “Dipende dalla configurazione del sistema ottico e mentale di chi guarda”. Siamo in grado di passare ore a chiederci se una frase come “I soldi fanno la felicità” sia vera o falsa, piuttosto che ricercare la nostra felicità in un bilanciamento tra ricchezza materiale e spirituale. Vogliamo sempre una risposta del tipo “A o non-A”, ma è chiaro che le cose spesso saranno molto più complesse, multiformi, sfaccettate di così, e pertanto per essere affrontate potrebbero richiederci anche di trascendere completamente i paradigmi che abbiamo adottato fino a quel momento. Ogni vero approccio pragmatico al mondo insomma forse ci richiede di divenire un po’ più “orientali” in questo senso, e far quindi nostra la “forma mentis” secondo cui le categorie e le classificazioni sono approssimazioni della realtà; strumenti sicuramente spesso utili da adottare in certi contesti, poiché ci semplificano questa realtà fino a rendercela gestibile, ma completamente irrilevanti qualora si cerchi di estenderli al di là di dove servono o peggio, di elevarli a qualcosa di “universale” o “assoluto”. Avere troppa fede nei propri “modelli” della realtà è insomma l’equivalente di usare un cucchiaino, tanto funzionale per mangiare il nostro gelato al cioccolato, per risolvere una crisi economica o migliorare lo stato di salute di una specie in via di estinzione. “Contrariamente agli occidentali, che cercano di eliminare radicalmente ogni bruttezza, gli estremo-orientali ne fanno tesoro e la usano come ingrediente del bello.” (Jun’ichiro Tanizaki) A questo punto diviene ancora una volta fondamentale porre un accento sui fattori di tensione e stress di cui abbiamo parlato a inizio capitolo: per quanto alcuni “cambiamenti distruttivi” e alcune “giustapposizioni disarmoniche” siano l’unica necessaria via per produrre qualcosa di significativo, è altrettanto vero che non si potrà mai modificare assolutamente nulla in questo universo senza
  • 16. prepararsi ad affrontare le naturali resistenze che queste cose faranno scaturire. Senza fattori di resistenza al cambiamento d’altronde, nell’universo tutto sarebbe duttile abbastanza da modificarsi profondamente a ogni minimo stimolo, e pertanto semplicemente non esisterebbe niente di definibile. E questo principio è facilmente applicabile anche ai nostri meccanismi cognitivi: se fossimo pronti ad accettare acriticamente ogni nuova informazione che giunge alla nostra consapevolezza, saremmo anche incapaci di sviluppare qualunque forma di personalità. Proprio per questo diverrà fondamentale nel prossimo capitolo provare ad analizzare i “principali meccanismi di resistenza” della nostra mente. Senza maledirli né vederli come avversari o nemici: una volta compresa sia la loro inevitabilità, che la loro natura, riusciremo molto più facilmente a eseguire un attivo processo di “tenere ciò che serve e scartare il resto”, in modo da plasmare così il nostro “Sistema mentale 2.0” che ci consenta di esprimerci al massimo del nostro “potere umano potenziale”. “La mente dell’individuo che si espande con una nuova idea non torna più alle sue dimensioni originarie” (Oliver Wendell Holmes)
  • 17. IV - Istinti di sopravvivenza “La sopravvivenza di un gene è intimamente connessa alla sopravvivenza dei corpi che esso contribuisce a fabbricare, perché il gene viaggia al loro interno e muore con loro.” (Richard Dawkins) Quante volte ci è capitato che sapessimo perfettamente cosa dovevamo fare per sentirci meglio, eppure non l’abbiamo fatto? Uscire di casa e fare una passeggiata, telefonare a quell’amico che non sentivamo da tempo, chiuderci nel nostro studio per qualche ora e lavorare implacabilmente al nostro sogno nel cassetto… si potrebbe quasi dire che passiamo la maggior parte della nostra esistenza a contemplare pensieri che sappiamo essere positivi per il nostro stare al mondo, pur senza mai abbracciarli completamente. Al di là delle volte in cui ciò deriva da banali limiti di tempo o risorse, qui molti potrebbero spiegare il tutto con delle bislacche teorie su una sorta di nostra “naturale tendenza a perpetuare comportamenti autodistruttivi”: molti fanatici del nichilismo esistenziale e molti filosofi da social sostenitori del “mai una gioia” infatti probabilmente non vedono l’ora di trovare una giustificazione oggettiva al proprio sconforto personale. Inutile dire che la scienza ci ha già provato che è tutto molto più complesso di così: banalmente, se fossimo “progettati per l’autodistruzione” non saremmo sopravvissuti come specie per centinaia di migliaia di
  • 18. anni. Piuttosto la risposta è in gran parte in quanto visto nelle pagine precedenti: di base abbiamo dei naturali istinti il cui scopo primario è la sopravvivenza, la preservazione e l’auto-affermazione, ma la complessità della realtà e la configurazione della nostra mente spesso ci rendono estremamente difficile gestirli al meglio per i nostri scopi. E tutto questo “quadro biologico” dalle infinite variabili si traduce pertanto inevitabilmente in un naturale “conservativismo” nei confronti di certe idee, variabile di individuo in individuo e tipicamente in aumento laddove aumenta l’età biologica. Conservativismo che, appunto, potrebbe sembrare l’antitesi assoluta di quanto detto finora relativamente alla necessità di effettuare quel “dissacramento” di cui parlavamo nel capitolo precedente; una tendenza a “rimanere saldi su ciò che si fa, pensa e crede di essere” che sembrerebbe il nemico perfetto di un percorso che ha come scopo quello di esprimere il meglio delle proprie qualità umane attraverso lo sviluppo di un “nuovo” livello di complessità di pensiero. Eppure istinto che, in quanto fondamentalmente radicato nella nostra genetica, diviene essenziale provare a comprendere almeno in parte, così da imparare cosa di esso possiamo “tenere” per i nostri scopi, e cosa invece va ignorato, abbandonato, rielaborato. Quali sono quindi, di preciso, i fattori psicologici che vanno a costituire questo “naturale conservativismo” del nostro cervello? Analizziamoli insieme, con la premessa che la categorizzazione che segue è stata creata per pura semplicità di trattazione; sarà infatti spesso possibile notare in più di un’occasione come questi fattori si completino, intreccino, potenzino a vicenda: Fame di dogmi Come già visto quando abbiamo parlato di mindfulness, un motivo fondamentale per cui facciamo fatica a considerare qualcosa di “diverso” dai nostri pensieri è nel fatto che vengono confusi per la realtà, nonché per l’unica realtà possibile. Il che ha le sue fondamenta evolutive molto solide nell’esempio della “maniglia che esplode” di poche pagine fa: dovremo sempre necessariamente considerare, almeno in certi frangenti e contesti, alcuni pensieri come “dati di fatto assoluti”. Dobbiamo sempre credere almeno in parte ad alcuni
  • 19. dei concetti che abitano la nostra mente come assolutamente “validi”, “completi”, se non addirittura “immutabili”, e dobbiamo farlo senza troppe prove oppure semplicemente l’energia cognitiva necessaria per riconsiderare tutto continuamente sarebbe insostenibile. Chiaro che il rovescio della medaglia di tale “fame di dati di fatto” è sempre dietro l’angolo qualora essa venga portata all’estremo o all’eccesso: si pensi a quando ciò si traduce in fiducia cieca in principi irrazionali e disfunzionali, o in incapacità a immaginare o contemplare aspetti e significati che vadano al di là di ciò che tipicamente siamo abituati a comprendere, percepire, scegliere. Questo desiderio di attaccarsi a certi “dati di fatto” infatti per esempio si traduce frequentemente in una certa incapacità di effettuare previsioni sensate sul futuro; premesso che fare previsioni è spesso difficile laddove non impossibile, tuttavia per la mente completamente rinchiusa nella staticità dei propri stilemi il futuro andrà sempre nello stesso modo in cui è andato il passato. Persa la flessibilità necessaria anche solo per immaginare qualcosa di leggermente diverso si finirà con il credere sempre di “aver già capito tutto”, e quindi ci si rinchiuderà ulteriormente in un vero e proprio inferno in cui non si osa mai, non si sperimenta nulla, non ci si mette più in gioco. “Ognuno ha il diritto di mettere in dubbio qualsiasi cosa tutte le volte che vuole, e ha il dovere di farlo almeno una volta. Nessun sistema interpretativo è così sacro da non poter essere discusso, nessuna prassi è così perfetta da non essere suscettibile di miglioramento. Dovrebbe essere possibile riprendere in esame anche l’efficienza della ruota.” (Edward De Bono) Come possiamo evitare dunque di arrivare a simili estremi? Come sfidare la nostra “fame di dati di fatto assoluti” qualora si riveli apertamente dannosa per la nostra crescita? Una prima buona soluzione per cominciare a “scalfire” l’intero meccanismo può essere nel provare a guardare al passato per rendersi conto di quanti dati di fatto in cui credevamo si siano rivelati poi delle complete stupidaggini. Non ci sono d’altronde schemi di pensiero, modi di intendere le cose, reazioni, che non abbiamo assorbito
  • 20. tramite l’esperienza. Ed essendo l’esperienza passata spesso parziale, limitata, inquinata dalle inevitabili distorsioni della nostra memoria, ecco che diviene evidente anche quanto l’aura di “dati di fatto” di alcune cose che diamo per scontate potrebbe essere nulla più che un inganno creato “ad arte” dalla nostra mente. Da questa riflessione poi discende direttamente un secondo principio su cui meditare: ossia la “parzialità” delle informazioni a nostra disposizione. Che “parziali”, attenzione, non vuol dire sempre “sbagliate”, ma semplicemente che la realtà potrebbe essere foriera di molti più aspetti di quelli che stiamo contemplando in un determinato momento. In fondo è solo negando la perfezione e la completezza di certe tecniche che le possiamo migliorare. È solo negando l’ovvietà di certe idee che possiamo renderle ancora più potenti e penetranti. È solo criticando “distruttivamente” certi prototipi che possiamo trasformarli in prodotti adatti al mercato. È questione, come detto alcune pagine fa, di conferire a certi concetti i “micro-shock di dissacramento” necessari perché ciò che è destinato a resistere resista, mentre il resto faccia spazio a ciò che si rivela più adatto; ed è ovvio che non si troverà mai la volontà di applicare queste forze distruttrici, questa profonda volontà di dubitare per migliorare, se non ci si concede innanzitutto la possibilità intellettuale che le cose possano essere “anche di più” di ciò che rivelano in un primo momento. Chiaro che, allo stesso tempo, in questo “concedersi la possibilità di immaginare sempre di più” c’è una terribile trappola cognitiva, che è quella nel finire per considerare tutto come possibile, passando per considerare ogni dietrologia e complotto come potenzialmente validi, fino ad arrivare all’inutile delirio cartesiano del: “Ma non è che l’universo che viviamo è una semplice creazione di un genietto maligno di un’altra dimensione?”. Ma qui per fortuna può intervenire il caro vecchio principio del “rasoio di Occam” già in parte rivelato qualche pagina fa come soluzione al dilemma della “maniglia che esplode”: darsi troppe possibilità può rivelarsi a volte prezioso, ma è spesso completamente anti-economico. E quindi questo ragionamento ci impone di rimanere nel delicato equilibrio dell’ancorarci a ciò che abbiamo, lavorare quanto basta per provare a “dissacrarlo”, prendere ciò che di pragmaticamente utile
  • 21. emerge da questo processo, e nel contempo accettare la nostra assoluta ignoranza su tutto il resto, senza che però ciò si traduca in un’infinita cascata di ipotesi fantasiose che di pragmatico non hanno nulla. Inevitabile ignoranza “socratica” che, sebbene ad alcuni potrebbe sembrare inizialmente sconcertante nella sua immensità tuttavia è anche la nostra più grande benedizione; non solo perché, come detto, reca con sé una modalità efficiente di approcciare il mondo (sarebbe impossibile d’altronde pensare di effettuare qualunque passo se ci imponessimo prima di sapere “tutto” del contesto che andremo ad affrontare), ma anche perché in essa è insito il fatto che probabilmente molte delle conclusioni più sgradevoli a cui siamo giunti non sono che verità parziali. E così diviene estremamente probabile tutti i vari “non ce la farò mai”, “non potrò mai farlo”, “sono un fallimento” che ci sussurriamo nei momenti di sconforto, alla fine siano tutti solo frammenti irrisolti di una realtà che non abbiamo indagato a fondo; e che quindi probabilmente, non appena questa indagine evolva anche solo di un “bit” in più, si riveleranno come nulla più che vuote sciocchezze ed esagerazioni. Chiaro che poi potrebbe anche non essere così, e potremmo ritrovarci in situazioni in cui raccogliere delle verità “definitive” che chiariscano queste questioni “al di fuori di ogni ragionevole dubbio” sia impossibile (in fondo a volte chi può dirlo veramente se “ce la faremo o meno”?); ma in contesti del genere ecco che torna fondamentale riprendere in mano il caro vecchio “passe-partout universale” del pragmatismo e dirci: “Va bene, data l’assenza di informazioni sufficienti possiamo anche scegliere di credere che nessuno dei nostri passi porterà mai a nulla di significativo; ma vista la nostra necessità di conseguire un obiettivo, quanto ciò ci converrebbe?”. E nella banale risposta a questa domanda c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per andare avanti “nonostante la nostra ignoranza”. Traendo quindi spunto dalla natura fortemente sperimentale del nostro percorso da “dissacra-verità”, ultimo consiglio che mi sentirei di darti in questa sezione del libro è: prova ad adottare semplicemente più spesso delle pratiche che sfidino attivamente gli stilemi che ti sei imposto. Leggi giornali che non avresti mai letto. Parla con persone con cui non avresti mai pensato di parlare
  • 22. normalmente. Prova a informarti di argomenti che esulano completamente dal tuo campo di competenza. Introduci un calcolato fattore di rischio o casualità nella tua vita, e vedi se il risultato non finisce per caso per darti qualcosa di inatteso o sorprendente. “Stacca ragionevolmente la spina” su ciò che normalmente ti sembra foriero di “assoluto buonsenso”. Costruisciti magari anche delle vere e proprie “oasi” in cui agire con più spensieratezza, laddove non persino un po’ di follia. E sia chiaro, nonostante sia comunque possibile che poche tra le tue sfide ai modelli e alle strutture del quotidiano risultino in un “rivoluzionario ridefinire completamente” la tua quotidianità, è altrettanto probabile che un dieci, cinque se non anche solo due percento dei “micro-shock” che ti infliggerai ti conferirà anche accesso a quel tipo di informazioni o risorse tali da rendere pienamente valevole tutto lo sforzo rimanente. Provare per credere. Vuoi continuare a leggere questo capitolo? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito!
  • 23. VII – Cesellare l’esistenza “La vera ricchezza consiste in un sonno privo di turbamenti, in una coscienza pulita, nella gratitudine reciproca, nell’assenza di invidia, in un buon appetito, forza muscolare, energia fisica, risate frequenti, pasti in compagnia, niente palestra, un po’ di lavoro fisico (anche come passatempo), evacuazioni regolari, niente sale riunioni e qualche sorpresa di tanto in tanto.” (Nicholas Nassim Taleb) Nei capitoli precedenti abbiamo esaminato diversi strumenti, per lo più teorici e psicologici, il cui scopo era essenzialmente quello di condurci verso una sorta di “risveglio intellettuale”; un maturo rifiutare l’inevitabile “rumore” di cui l’esistenza inevitabilmente continua a bersagliarci, “gettare via tutta la spazzatura mentale” che ne conseguirà e allenare invece costantemente il proprio focus sulle verità che contano. Ciò che tuttavia rende questo capitolo almeno in parte diverso dai precedenti è nel fatto che avrà un’impostazione leggermente più pratica, vertendo per lo più su tecniche che andranno ad aggiungersi a quelle già affrontate della mindfulness e del journaling e si presenteranno, si spera, come ulteriori, preziosi modi con cui applicare nel concreto tutta l’impostazione filosofica e concettuale vista fino a questo momento.
  • 24. Il “Metodo Reset” è un po’ come la composizione di un allenamento sportivo per tonificare il corpo: prima ci si chiarisce perché e come allenarsi, poi si identificano gli esercizi precisi con cui è possibile tonificare braccia gambe e schiena, e infine li si usa per compilare una “scheda” da seguire in maniera più o meno flessibile; infine, si cerca di riscrivere in parte la scheda quando non se ne percepisce più alcun reale beneficio, oppure le proprie esigenze sono cambiate. Ma visto che abbiamo abbondato con le premesse, cominciamo ora a entrare nel “vivo” del nostro “allenamento”: Brainstorming degli obiettivi “Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che vedi quando distogli lo sguardo dalla meta.” (Henry Ford) Definire gli obiettivi a cui si lavorerà nella propria successiva fase di vita è assolutamente fondamentale per chiunque voglia “produrre dei cambiamenti significativi”: senza degli obiettivi ben definiti infatti potrebbe risultare molto difficile organizzare al meglio il proprio tempo, le proprie energie e le proprie risorse nel quotidiano; per alcuni di noi poi, letteralmente dipendenti dall’idea di avere “qualcosa di grande” verso cui avanzare, è praticamente impossibile alzarsi al mattino o dedicarsi seriamente a un lavoro senza la luce di un “astro” del genere a fare da guida. Siamo geneticamente “costruiti” per raccogliere sfide nuove in continuazione, per farlo sognando il successivo orizzonte verso cui spostarci, e pertanto la definizione di ciò verso cui ci stiamo dirigendo finisce spesso addirittura con il definire chi siamo e cosa rappresentiamo in questa società. Chiaro che tutto quanto detto finora richiede il fondamentale presupposto di avere maturato una consapevolezza almeno in parte chiara sul “cosa sentiamo realmente come importante”. Ma dato per scontato ormai, un po’ per pura semplicità, un po’ per mia fiducia personale in te, che i tuoi meccanismi cognitivi già siano
  • 25. stati ripuliti da una quantità sufficiente di “spazzatura mentale” da rispondere onestamente a questioni del genere, vediamo ora insieme come possiamo eseguire questa tecnica al meglio: —— Prendi un qualunque strumento di scrittura (un foglio bianco magari, come ai vecchi tempi?) e semplicemente per 10 minuti riporta tutto ciò che reputi essere un obiettivo significativo da realizzare o un problema rilevante da risolvere. Molti qui avranno già ben chiaro nella propria mente un disegno preciso sul futuro verso cui desiderano muoversi, mentre per altri la risposta sarà sicuramente molto più “vaga” e non ben definita; ed ecco che mentre i primi potrebbero in teoria già passare direttamente alla definizione concreta degli obiettivi su cui lavorare, i secondi potrebbero passare in rassegna la lista di domande che segue (nonostante, sia chiaro, il mio consiglio principale qui rimane quello di consultare questa “checklist” indipendentemente dalla fiducia che già si ha nella propria visione di sé): ✓ Qual è la mia giornata ideale? Che cosa farei, per esempio, la mattina? E il pomeriggio? E la sera? A cosa dedicherei la mia nottata? Al sonno? Al riposo? Al lavoro? Ad attività di altro tipo? Che attività svolgerei durante una giornata così impostata? Con chi sarei? Dove di preciso mi troverei? ✓ Qual è la mia settimana ideale? Come si svolgerebbe? Cosa farei durante i vari giorni della settimana? Come amministrerei il tuo tempo? Su quali attività mi focalizzerei maggiormente? ✓ Qual è il mio “ambiente perfetto”? Dove vorrei vivere? In una prateria? A ridosso sull’oceano? In centro città? Nel deserto? Chi vorrei avere attorno a me? Quali oggetti vorrei arredassero la stanza? Quadri? Statue? Ricordi? E di quali strumenti vorrei disporre? Pianoforte? Chitarra? Altri strumenti musicali? Computer? Tablet? Carta? Pennarelli?
  • 26. ✓ Cosa è necessario migliorare? Cosa non funziona? Cosa non mi soddisfa appieno? Cosa potrebbe funzionare meglio? In me, nella mia casa, nel mio lavoro, nei miei affetti? Nei miei processi di lavoro, nel modo in cui organizzo il mio tempo? Qualcosa ha occupato la mia mente più del necessario? Esiste un problema che invade “troppo” del mio quotidiano? ✓ Cosa “voglio veramente” dalla mia esistenza? Cosa voglio realizzare prima di ogni altra cosa? Tra venti, trenta, quarant’anni, cosa mi pentirei di non aver fatto oggi? Cosa mi pentirei di non aver fatto tra una settimana o un mese? E cosa ancora mi pentirei di non avere fatto entro uno o due anni? Cosa voglio realizzare assolutamente prima di morire? ✓ Cosa servirebbe fare più o meno “urgentemente”? Cosa, se realizzato e portato a termine, mi farebbe stare meglio? Cosa voglio realizzare subito? Entro una settimana? Entro un mese? Entro un anno? Entro 10 anni? E domani? Ho trascurato qualcosa? Ho posticipato qualcosa troppo a lungo? ✓ Cosa vorrei “comprare”, “ottenere”, “produrre”? Cosa mi serve? Cosa può migliorare la mia vita? Cosa mi renderebbe veramente felice? ✓ Dove devo cambiare le mie abitudini? Devo smettere di fare qualcosa? Cominciare a fare qualcosa? Cominciare un processo di qualche tipo? Impostare una routine che “produca” qualcosa che desidero? E quando? Quanto spesso? Le mie attuali abitudini funzionano già? Devo cambiarne solo una parte? C’è uno “sforzo necessario” che tuttavia mi rifiuto di fare? Una regola costruttiva da seguire qui potrebbe essere: in questa fase non preoccuparti troppo di pensare alla fattibilità di ciò che riporti. Prova a imbracciare almeno un po’ di ragionevole realismo nelle tue risposte ma non giudicare né filtrare troppo ciò che ti passa per la testa. Per esempio: voglio una macchina del tempo con cui viaggiare a cinquant’anni fa e riabbracciare i miei nonni può essere forse un po’ “troppo” per i mezzi tecnologici a nostra disposizione (anche se ovviamente il mio “sogno proibito” è che questo libro
  • 27. arrivi nelle mani di lettori per cui questa limitazione non esista più); ma voglio potermi permettere una villa al mare, sebbene ambizioso per molti, è più che valido nell’ottica di ciò che questa fase si propone di collezionare. Prova a imbracciare lo spirito di quel “sognatore coi piedi per terra” di cui parlavamo a inizio libro e sicuramente capirai da te cosa tenere nella tua lista e cosa no. Cosa fare ora degli obiettivi riportati? Prima cosa, la risposta con alcuni di essi potrebbe essere ovvia e immediatamente traducibile in un’azione da riportare sulla tua agenda o sulle tue app di planning. Azione che può consistere in un “prossimo passo” concreto da fare, oppure nella decisione di allocare un’ora allo studio necessario per capire come impostarne uno. Qualora tuttavia ciò non dovesse risultarti immediato, prova a continuare a leggere e ad applicare alle tue idee la tecnica dei “Quattro cassetti”: I quattro cassetti “Per cambiare veramente bisogna avere il coraggio di progettare, con calma, senza fretta, e di lavorare duro, nel tempo. Il cambiamento in quest’epoca è un atto eversivo, un gesto rivoluzionario e dunque richiede metodo.” (Anonimo) La tecnica dei “Quattro cassetti” è un metodo di lavoro con cui “prendersi opportuna cura” dei propri obiettivi, nel lungo e medio termine; può trattarsi degli obiettivi che già stiamo perseguendo o sappiamo di dover perseguire. Oppure dell’insieme di idee generate dal “brainstorming” della pagina precedente: quasi tutto qui è valido, purché rispetti dei basilari “criteri di qualità” fondati su quella “ragionevole idea di realizzabilità” di cui abbiamo parlato poco fa. Fatte dunque le premesse necessarie, vediamo ora ciò che serve per eseguire questa tecnica nel concreto: • Una matita, una penna cancellabile, una app per cellulare, un tablet e-ink o qualunque strumento ti consenta di scrivere in maniera non indelebile e modificabile.
  • 28. • Un supporto in cui definire i “quattro settori” in cui andrai a riportare i tuoi obiettivi dopo averli divisi per categoria. Può essere un singolo foglio di carta diviso in quattro parti, due fogli divisi in due o anche quattro fogli distinti (quest’ultima tipicamente la mia soluzione preferita); l’importante è, banalmente, essere realistici in termini di spazio che ci servirà per la quantità di idee che andremo a trattare in ogni settore. Dopodiché, traccia con la tua matita (o altro strumento) ciò che serve per delimitare graficamente questi quattro “cassetti” e chiamali: ✓ Howlog. Metti qui tutte le idee di cui ti è chiaro il “cosa” ma non hai ancora ben definito il “come”. Ad esempio quel: “Dovrò cominciare a studiare questa lingua prima o poi” senza però avere ancora idea di se lo farai in una scuola serale, “giocando” con una app o attraverso un partner di conversazione da incontrare una volta a settimana. ✓ Bottomlog. Metti qui tutte le idee sulla falsariga del “Cose da cominciare forse-un giorno”. Qui la distinzione con l’Howlog può essere abbastanza sottile, e pertanto la decisione su cosa mettere in questi due settori può non essere sempre lampante; il mio consiglio tuttavia è di mettere nell’ “Howlog” tutte quelle le cose che, una volta capito il come, verranno cominciate “abbastanza rapidamente”. Il “Bottomlog” invece è letteralmente qualcosa che “in teoria ci interessa ma non a breve” oppure “è abbastanza stimolante ma per puro senso pratico non conviene affrontare immediatamente”; esso è la destinazione perfetta per tutto ciò che non considereremo realmente entro l’anno salvo il cambiare significativo di alcune condizioni esterne. L’ “Howlog” invece è la “scatola delle cose che fremono per essere sbloccate dall’idea giusta”. I due settori che seguono invece, essendo destinati agli obiettivi più urgenti o concreti, si differenziano per il fatto che sono divisi in due colonne (abbastanza autoesplicative) che chiameremo “Idea- progetto” e “Cosa mi blocca-Prossimo passo”:
  • 29. ✓ Backlog. Riporta qui (nella colonna “Idea-progetto”) le cose che non comincerai necessariamente nell’arco dei prossimi due mesi, ma che comunque hanno più importanza, urgenza o possibilità di realizzazione di quanto hai messo nel “Bottomlog”. ✓ Hotspot. Scrivi qui (nella colonna “Idea-progetto”) tutte le cose di massima priorità, urgenza o più immediata realizzabilità; può trattarsi di tutti quei piani che inizierai sicuramente a elaborare entro il prossimo mese, ma anche perché no, tutto ciò a cui vuoi dare priorità perché non vedi l’ora di lavorarci. L’Hotspot è un po’ il tuo settore del “Qui e ora, o comunque quasi certamente a breve”. Dopodiché, anche solo per un’ora ogni 1-2 settimane, prova a dedicarti al seguente esercizio: • Prova a comprendere di quanto lavoro necessita l’Howlog. Guarda agli obiettivi che hai inserito in questo settore e chiediti: per alcune cose una semplice ricerca su Google può sbloccare il tutto? Devo fare un ulteriore brainstorming sui “come”? Devo leggere qualcosa a proposito? Devo dedicare un preciso arco di tempo all’elaborazione di quello che è almeno un ventaglio di soluzioni possibili? Scegliere o ricercare quella meno “costosa”? • Riempi la colonna “Cosa mi blocca-Prossimo passo” per ogni attività nell’Hotspot. Dai insomma a ogni obiettivo un chiaro “passo successivo”, e a ognuno di questi ultimi una definita connotazione temporale. Infine, se utile e applicabile, riporta quanto appena elaborato nella tua agenda, nel tuo calendario Google o in qualunque altro strumento usi come planner delle tue attività quotidiane. Qualora poi questo “prossimo passo” non dovesse essere del tutto chiaro, prova almeno a capire se puoi pianificare del tempo dedicato alla sua definizione. E se proprio non ci riesci in un arco di 15-20 minuti, o in un minimo di due sessioni, allora vuol dire che c’è un “blocco non superabile nell’immediato” e quindi che il tuo obiettivo, almeno per ora, va nell’Howlog. Una volta poi completato quanto suggerito finora, ripeti esattamente lo stesso processo con gli elementi nel Backlog, ma concedendoti una minore precisione complessiva sulla definizione dei “come”
  • 30. e senza necessariamente aggiungere informazioni di natura temporale. Apporrai ulteriori dettagli solo e unicamente qualora ciò risulti banale, oppure se più avanti realizzerai che l’obiettivo considerato si sia “meritato una promozione” nell’Hotspot. • Verifica se la priorità di alcune cose si è modificata rispetto alla volta precedente. Se non è la prima volta che esegui questa pratica, è possibile che alcune delle idee già riportate vadano spostate dal Backlog al Bottomlog, o dall’Hotspot al Backlog, in quanto improvvisamente diventate meno urgenti, oppure che sia accaduto l’esatto opposto, e in maniera ancora più “radicale”: magari un nuovo trend di mercato ti suggerirà che conviene cominciare a lavorare subito a quell’idea che era da tempo nel tuo Bottomlog, il che la farà “schizzare” immediatamente in piena zona “Hotspot”. Le cose evolvono spesso anche in maniera rapida e del tutto inattesa, ed è questa l’ulteriore conferma che questa tecnica, per essere “robusta”, necessita di strumenti di scrittura non indelebili con cui poter muovere, cancellare, riscrivere parte di ciò che hai elaborato la volta precedente. • Una volta appurato che le idee sono nel settore giusto, riordinale per priorità all’interno dello stesso settore. L’idea è sempre quella, banale ma preziosa, che non avendo noi ovviamente tempo né risorse illimitate, dovremo necessariamente focalizzarci su alcune cose prima di altre e che pertanto l’ordine con cui le riportiamo rappresenti una preziosa guida in questo senso. Inoltre, il fatto di dedicarci ai nostri compiti con un ordine strettamente prioritario, ci concede l’immenso vantaggio che qualora dovessimo improvvisamente “sospendere il nostro lavoro” a causa di fattori imprevisti, il sapere di aver dedicato innanzitutto la dovuta attenzione a ciò che è più importante “limiterà i danni” dovuti all’interruzione forzata dello stesso; il che ancora una volta sottolinea la robustezza del metodo in quanto fatto per reagire opportunamente a tutto ciò che non siamo in grado di prevedere. Vediamo infine insieme anche degli esempi di tabelle di lavoro con cui applicare il metodo. La raccomandazione è sempre la stessa: usale come riferimento, riempile direttamente qui se possiedi questo volume in forma cartacea, oppure esportale e stampale qualora tu ne possieda la versione digitale.
  • 31.
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  • 35. In una frase sola “Tutti noi abbiamo uno scopo spirituale, una missione, che perseguiamo senza esserne del tutto consapevoli. Nel momento in cui la portiamo completamente alla coscienza, le nostre vite possono decollare.” (James Redfield) Se hai avuto modo di lavorare per definire almeno in parte i tuoi “principi fondamentali” come visto qualche pagina fa, allora prova a fare anche l’esercizio di sintetizzarli in una frase sola, sia essa uno slogan, una frase, un mantra o un poema breve. Prova a comporre qualcosa di forte e incisivo e che possa essere “rievocato” all’inizio della giornata, alla sua fine o magari semplicemente quando hai bisogno di ritrovare un po’ di energia. Fa’ che riassuma tanto la tua “missione personale” quanto quell’insieme di principi, prospettive e motivazioni da cui “conviene” farti guidare. Crea qualcosa che sia intrinsecamente vibrante, energico, pungente, ma anche personale. Scegli le parole giuste e prova a sostituirle finché non ti danno l’effetto sperato. Vai per cose come: “Ogni ostacolo anche oggi sarà risorsa!”, “Oggi sarò meglio di ieri!”, “Voglio attirare il meglio e il massimo dagli altri, sempre!”. Poi, una volta definito il tuo primo “prototipo” di frase, raffina ulteriormente l’esercizio: • Rifinisci e fai evolvere il tuo mantra principale nel tempo: ricordati che siamo entità dinamiche, e pertanto ciò che valeva anche solo una settimana fa può non valere più oggi. Come a Montecarlo Come visto alcune pagine fa, un possibile approccio filosofico alle inevitabili imprevedibilità dell’esistenza è quello che consiste nel darsi lo scopo di mettere insieme, giorno dopo giorno, strategie e strumenti che possano rivelarsi adatti alle circostanze affrontate indipendentemente dalla loro prevedibilità o natura. Nell’essere le querce millenarie che resistono a ogni vento contrario, i mulini che ne trasformano le correnti in energia, le dune che pur adattando in parte la propria forma rimangono a caratterizzare il paesaggio per secoli. Tuttavia esiste un secondo “approccio all’incertezza”,
  • 36. alternativo e complementare al primo, che è quello che consiste nel provare invece almeno a valutare un insieme di scenari ragionevoli su come le cose potrebbero andare, e prendere quindi delle decisioni a seconda delle caratteristiche di ciò che il futuro “potrebbe” riservarci. D’altronde ne abbiamo parlato: che lo vogliamo o meno la nostra mente, nel cercare di costruirsi certezze laddove non ce ne sono, finirà anche con l’assemblare un’idea molto chiara di “futuro possibile” e a spingerci per agire come se questo fosse “l’unico che si avvererà realmente”. Tuttavia è ovvio che, come al solito, se volessimo seguire acriticamente il nostro ennesimo “delirio mentale” dovremmo affrontare anche non pochi problemi. In particolare: 1. È estremamente difficile che il futuro considerato come più probabile sarà anche quello che tale è nei fatti. L’abbiamo visto molto chiaramente: non solo troppo spesso ci ritroviamo in condizioni di “asimmetria informativa” tali da non avere abbastanza dati da capire come le cose effettivamente andranno, ma è estremamente probabile che non ci renderemo conto di tale asimmetria e che, piuttosto, tenderemo a riempire tali “vuoti informativi” con tutto ciò che il nostro cervello desidererà aggiungere. Sarà per esempio estremamente frequente che si finisca con il considerare “più probabile”, se non “quasi certo”, il futuro che risulti per noi più suggestivo, quello che convalida alcune nostre certezze o paure, o magari quello che presenta una combinazione di elementi più familiari e recenti della nostra esperienza diretta. 2. Il nostro cervello non amerà l’idea di considerare più futuri possibili. L’abbiamo visto quando abbiamo parlato della nostra istintiva “fame di dati di fatto”: almeno a livello subconscio abbiamo in noi una naturale, “evolutiva” necessità di credere in una almeno in parte prevedibile idea di futuro, e quando questa prevedibilità ci viene improvvisamente rimossa da sotto ai piedi, la sensazione è simile a quella della rimozione del pavimento, o delle fondamenta che lo reggono.
  • 37. Il delinearsi insomma sempre un ventaglio di probabili “prospettive” e provare a razionalizzare sul loro carattere probabilistico è un esercizio incredibilmente utile nella sua controintuitività. E potremmo quasi poeticamente dire che ci consente di “riprenderci il nostro futuro”, rimuovendolo dalle mani dei nostri bias mentali più testardi e dal loro costante, tentativo maldestro di predire gli avvenimenti attraverso quelli che potremmo identificare letteralmente come i peggiori strumenti possibili per lo scopo. L’equivalente del licenziare finalmente un medico che ha sempre provato a curare i nostri sintomi lanciando una monetina, o un tecnico che butta acqua sui componenti del nostro PC con lo scopo di ottimizzarne la performance. Ciò premesso, questa pratica può essere svolta attraverso i passi che seguono: ✓ Presa la situazione che ti interessa, delinea un insieme di scenari “almeno in teoria possibili”. ✓ Ricordati di aggiungere anche qualcosa di leggermente più improbabile, ma senza che ciò violi alcuni principi-base di realismo minimo (“Domani crollano rovinosamente tutti i mercati mondiali nonostante siamo nel pieno di un boom economico” è improbabile ma realistico. “Domani un’invasione aliena cancellerà il mondo come lo conosciamo” potrà anche essere estremamente probabile per qualcuno lì fuori ma almeno nel momento in cui sto scrivendo è comunque un’ipotesi troppo poco realistica per risultare realmente utile in una pianificazione strategica). ✓ Non dimenticare né i “peggiori casi possibili”, né quelli definibili come “ottimisti”. I primi ti suggeriranno linee-guida utili su come sopravvivere a essi, mentre i secondi sono assolutamente fondamentali per evitare le nostre “sindromi da attaccamento all’ipotesi più drammaticamente suggestiva”. ✓ Fatti domande: Quali sono gli “scenari futuri” più positivi? Quanto sono probabili? Conviene applicare uno sforzo extra per favorire il verificarsi di quelli preferibili? Attrezzarsi per trarne il massimo? Quanto mi costa “puntare” in anticipo sul fatto che lo scenario positivo accadrà? Mi conviene davvero investire su di esso? E cosa succede se non andrà come sperato?
  • 38. Quali sono invece gli “scenari” più negativi? Conviene applicare uno sforzo aggiuntivo onde evitarne il verificarsi? E se non si può far nulla, conviene architettare piani per ridurre, limitare, controbilanciare, ribaltarne gli effetti? Quali e quante risorse od opportunità posso trarre dai vari “scenari” indipendentemente dal loro carattere? E quanto mi costa considerare uno scenario come possibile rispetto all’impatto effettivo che esso avrà se si dovesse realizzare senza alcun mio intervento? In teoria la “versione veloce” della pratica descritta in questo capitolo finisce qui. Tuttavia, vista l’estrema importanza che il nostro approccio al rischio e all’incertezza assume nella nostra vita di tutti i giorni, aggiungiamo qualche strumento di riflessione che ci aiuti sia a rispondere alle domande della tecnica appena vista che, si spera, a migliorare il nostro atteggiamento quotidiano nei confronti di questi fattori: Vuoi continuare a leggere questo capitolo? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito!
  • 39. Ti è piaciuto questo estratto? Dai un’occhiata all’ultima offerta per il libro completo sul nostro sito!
  • 40. L'autore Danilo Lapegna, classe 1986, e fondatore e CEO del “Kintsugi Project”, è un professionista, ingegnere e studioso con un'insaziabile passione per l'apprendimento, la scoperta e il progresso umano. Sin dalla sua infanzia, ha dimostrato una precoce fascinazione per il massimo potenziale del cervello umano, divorando libri a tema scientifico, ed emergendo come un campione di memoria televisivo all'età di soli sei anni. Danilo, con la sua formazione accademica da ingegnere informatico, dirige da anni con successo team internazionali impegnati in progetti software di grande impatto nel fervente mondo delle start-up del Regno Unito. Tuttavia, la sua passione più profonda affonda le sue radici nell'amore per la multidisciplinarietà, e per la capacità di generare valore attraverso la sintesi e l’integrazione di principi estratti dalla filosofia, dalla psicologia, dalle neuroscienze, dalla “smart productivity”; ma soprattutto, attraverso l'armonizzazione di tutto ciò con un incrollabile desiderio di contribuire al benessere altrui. Da più di un decennio infatti, attraverso lo pseudonimo di “Yamada Takumi”, ha sfruttato queste sue passioni scrivendo libri a tema che hanno venduto oltre 50.000 copie, scalando le classifiche di vendita su Amazon, aiutando migliaia di persone attraverso il suo blog e ricevendo enorme attenzione mediatica per il loro successo nel settore dell'auto- pubblicazione. E così, “Il Kintsugi Project” rappresenta il tentativo “definitivo”, suo e del suo staff, di reinventare l’approccio all’evoluzione personale, atto a decostruire tutta la “fuffa” e i paradigmi obsoleti e disfunzionali di questo settore, per poi rivolgere la propria scommessa verso sistemi di autoterapia, benessere psicofisico, “skill development” e “produttività intelligente” che abbiano radice nella scienza, nella ricerca, e soprattutto in un ecosistema condiviso che possa favorire una crescita individuale e "personalizzata", che sia scolpita sui valori e sulle esigenze di ognuno.
  • 41. Bibliografia e approfondimenti Sulla meditazione “Mindfulness-based stress reduction and health benefits: A meta- analysis”, di Grossman P, Niemann L, Schmidt S, Walach H. (2004) “Can Meditation Slow Rate of Cellular Aging? Cognitive Stress, Mindfulness, and Telomeres”, di Elissa Epel, Jennifer Daubenmier, et al. (2009) “A Wandering Mind Is an Unhappy Mind”, di Matthew A. Killingsworth, Daniel T. Gilbert (2010) “Mindfulness Training Improves Working Memory Capacity and GRE Performance While Reducing Mind Wandering, di Mrazek, Franklin, Phillips et al. (2013) “Meditation programs for psychological stress and well-being: A systematic review and meta-analysis” di Goyal M, Singh S, Sibinga EMS, et al. (2014) “Brief, daily meditation enhances attention, memory, mood, and emotional regulation in non-experienced meditators”, di Julia C. Basso, Alexandra McHale, Victoria Ende, Douglas J. Oberlin, Wendy A. Suzuki (2019) Libro: “Mindfulness: A Practical Guide to Finding Peace in a Frantic World”, di Mark Williams e Danny Penman (2011) Sulla felicità e “pensiero positivo” “The role of positive emotions in positive psychology: The broaden-and-build theory of positive emotions.” Di Fredrickson1 (2001) “Pursuing Happiness: The Architecture of Sustainable Change”, di Lyubomirsky, Sheldon, Schkade (2005)
  • 42. “The Benefits of Frequent Positive Affect: Does Happiness Lead to Success?”, di Lyubomirsky, King, Diener (2005) “Positive Psychology Progress: Empirical Validation of Interventions.”, di Seligman, Steen, Park et al. (2005) Altro “Experimental disclosure and its moderators: A meta-analysis.”, di Frattaroli (2006) Libro: “Flow”, di Mihály Csíkszentmihályi (1990) Libro: “La trappola della felicità”, di Russ Harris (2010) Libro: “Design your life”, di Bill Burnett (2016) Libro: “Rischiare grosso”, di Nassim Nicholas Taleb (2017) Libro: “La psicologia dei soldi”, di Morgan Housel (2021) Libro: “L’era della dopamina”, di Anna Lembke (2021) https://moretothat.com/the-meaning-of-life-is-absurd/ https://fs.blog/first-principles/