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Come si vuole che sia sentita l'Europa? 
Ci rivolgiamo con la presente alle Massime Autorità Europee, per denunciare una situazione che nel 
nostro Paese è diventata insostenibile, e mina alla base il senso di appartenenza all'Europa. 
I nostri Governi che si sono succeduti negli ultimi tempi, hanno sempre più provocato il degrado del 
mondo della cultura, della ricerca, e dell'istruzione in Italia. 
In questo periodo, ormai lungo, di crisi economica, l'Europa è stata sistematicamente evocata dai nostri 
politici a giustificazione di scelte draconiane, di nuove tasse, di restrizioni di ogni tipo al welfare. Noi 
saremmo buoni, ma non abbiamo scelta: “ce lo chiede l'Europa”. A fronte di ciò, è socialmente 
fisiologico che si formino, e prosperino, movimenti xenofobi, entieuropeisti ed etnocentrici; specie, 
come emerge chiaramente da una attenta analisi dell'ultimo voto europeo, prendendo in considerazione 
il livello di istruzione dei votanti, nelle frange meno acculturate della popolazione. 
Ma l'Europa ci dice anche che siamo il Paese con la percentuale minima di laureati; il Paese che spende 
meno, in proporzione al PIL, per l'istruzione; il Paese che più trascura uno dei più ingenti patrimoni 
culturali del mondo. 
Il blocco del turn over, ormai storico, impedisce il ricambio generazionale nel mondo della docenza, e, 
quel che è peggio, interrompe la catena della trasmissione del sapere. Il sistema della docenza si basa 
ormai sul precariato e sullo sfruttamento dei giovani; per i quali battiamo ogni record di disoccupazione 
e di sotto-occupazione. 
Molti nostri politici fanno proclami che pongono l'istruzione al centro della ripresa e dei loro obiettivi; 
ma mentono spudoratamente, e smantellano, distruggono, attaccano nei fatti, con assiduità e costanza, 
il mondo della cultura. L'università è un sistema allo sfascio, sempre più sottofinanziato e 
sottodimensionato rispetto ai bisogni reali del Paese, alla sua storia, alla sua vocazione intrinseca, alle 
sue intime radici. Troppo lungo sarebbe mettere qui in risalto i guasti, dall'aumento esponenziale di 
pratiche burocratiche assillanti, all'adozione di un sistema di misurazione del merito tragicomico, al 
protervo dirigismo dei provvedimenti, entro i quali una ristretta casta di persone, che storicamente, per 
qualche ragione, quasi mai per meriti scientifici, si trova ora in una situazione di privilegio, 
spadroneggia in un sistema impermeabile alla ragione e alle esigenze della ricerca e della cultura. 
L'Europa ci dice che abbiamo un debito pubblico elevato? Bene, ascoltiamo l'Europa! L'Europa ci dice 
anche, però, che abbiamo il minor numero di laureati del continente. Bene, ma questo possiamo 
tranquillamente ignorarlo. Ecco il paradosso, ed ecco perché ci rivolgiamo a Voi, Massime Autorità 
Europee: volete che anche la comunità scientifica, che il mondo della scuola, il mondo dei giovani 
scienziati cominci a propendere verso le ragioni centrifughe, localistiche, anti-europee? Perché se 
l'Europa in questo caso tace, allora anche dalla comunità scientifica è sentita come chi sia tuo socio ed 
amico quando c'è profitto, e ti ignori quando c'è perdita. 
Malgrado l'Europa ci dica che siamo il Paese con il minor numero di laureati, uno dei massimi 
esponenti del nostro Ministero dell'Istruzione, nel confermare l'adozione del numero chiuso, che 
ostacola ovviamente in modo pesante l'accesso dei giovali all'istruzione superiore, ha recentemente 
sostenuto che: 
“di fatto non è possibile rispondere alle esigenze di oltre 80 mila aspiranti studenti universitari, non si 
può immaginare una crescita di spesa pubblica per soddisfare il fabbisogno della popolazione giovanile
a cui consentire l’accesso all’università pubblica”. 
L'Europa, questa grande, storica realtà, che si vanta della sua plurimillenaria “cultural heritage”, quella 
stessa Europa che ha tanto da chiedere al poveraccio che si vede ogni giorno decurtare lo stipendio in 
nome della sacertà dei conti, non ha nulla da chiedere a questo signore, che non molto tempo fa, in 
qualità di rettore, tuonava contro il numero chiuso? O l'ubi consistam dell'Europa si risolve nel compito 
dell'esattoria ragionieristica? 
Sia ben chiaro: la nostra intenzione non è quella di chiedere finanziamenti, malgrado i livelli italiani 
sfiorino ormai il ridicolo: lo 0,7% del PIL per la ricerca, un terzo della media europea. Al di là di questo 
nodo, che l'Italia sarebbe bene in grado di risolvere da sé, sol che volesse, ci sono molte soluzion, 
pronte da tempo fin nei dettagli, che la comunità scientifica condivide, e che non inciderebbero sugli 
aspetti economici, o avrebbero effetti marginali. Si prenda ad esempio l'adozione del Ruolo Unico della 
docenza universitaria, che spazzzerebbe di colpo il malaffare delle baronie accademiche: praticamente 
tutte le organizzazioni dei docenti lo vanno chiedendo da tempo; in poco tempo, riproponendo la 
vexata questio, abbiamo contato più di 1.700 adesioni, che Vi alleghiamo. Ma questo non è il nodo, 
vuole essere solo un esempio. Il messeggio di sostanza è: se vogliamo fare anche gli Europei, e non 
solo l'Europa, dall'istruzione, dalla scuola, dall'incremento e dalla condivisione della ricerca bisogna 
cominciare. 
Perché l'Europa, così attenta valutatrice delle cose italiane in campo economico, in questo non ha 
niente da dire? 
Angelo D'AMBRISI Università di Firenze 
Andrea ABATE Università di Salerno 
Emma BUONDONNO Università Federico II 
Adriana BRANCACCIO II Università di Napoli 
Sergio BRASINI Università di Bologna 
Petronia CARILLO II Università di Napoli 
Armando CARRAVETTA Università Federico II 
Calogero Massimo CAMMALLERI Università di Palermo 
Marco COSENTINO Università dell'Insubria 
Brunello MANTELLI Università della Calabria 
Maurizio MATTEUZZI Università di Bologna 
Valeria MILITELLO Università di Palermo 
Enrico NAPOLI Università di Palermo 
Ugo OLIVIERI Università Federico II 
Giorgio PASTORE Università di Trieste 
Delia PICONE Università Federico II 
Giorgio TASSINARI Università di Bologna

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  • 1. Come si vuole che sia sentita l'Europa? Ci rivolgiamo con la presente alle Massime Autorità Europee, per denunciare una situazione che nel nostro Paese è diventata insostenibile, e mina alla base il senso di appartenenza all'Europa. I nostri Governi che si sono succeduti negli ultimi tempi, hanno sempre più provocato il degrado del mondo della cultura, della ricerca, e dell'istruzione in Italia. In questo periodo, ormai lungo, di crisi economica, l'Europa è stata sistematicamente evocata dai nostri politici a giustificazione di scelte draconiane, di nuove tasse, di restrizioni di ogni tipo al welfare. Noi saremmo buoni, ma non abbiamo scelta: “ce lo chiede l'Europa”. A fronte di ciò, è socialmente fisiologico che si formino, e prosperino, movimenti xenofobi, entieuropeisti ed etnocentrici; specie, come emerge chiaramente da una attenta analisi dell'ultimo voto europeo, prendendo in considerazione il livello di istruzione dei votanti, nelle frange meno acculturate della popolazione. Ma l'Europa ci dice anche che siamo il Paese con la percentuale minima di laureati; il Paese che spende meno, in proporzione al PIL, per l'istruzione; il Paese che più trascura uno dei più ingenti patrimoni culturali del mondo. Il blocco del turn over, ormai storico, impedisce il ricambio generazionale nel mondo della docenza, e, quel che è peggio, interrompe la catena della trasmissione del sapere. Il sistema della docenza si basa ormai sul precariato e sullo sfruttamento dei giovani; per i quali battiamo ogni record di disoccupazione e di sotto-occupazione. Molti nostri politici fanno proclami che pongono l'istruzione al centro della ripresa e dei loro obiettivi; ma mentono spudoratamente, e smantellano, distruggono, attaccano nei fatti, con assiduità e costanza, il mondo della cultura. L'università è un sistema allo sfascio, sempre più sottofinanziato e sottodimensionato rispetto ai bisogni reali del Paese, alla sua storia, alla sua vocazione intrinseca, alle sue intime radici. Troppo lungo sarebbe mettere qui in risalto i guasti, dall'aumento esponenziale di pratiche burocratiche assillanti, all'adozione di un sistema di misurazione del merito tragicomico, al protervo dirigismo dei provvedimenti, entro i quali una ristretta casta di persone, che storicamente, per qualche ragione, quasi mai per meriti scientifici, si trova ora in una situazione di privilegio, spadroneggia in un sistema impermeabile alla ragione e alle esigenze della ricerca e della cultura. L'Europa ci dice che abbiamo un debito pubblico elevato? Bene, ascoltiamo l'Europa! L'Europa ci dice anche, però, che abbiamo il minor numero di laureati del continente. Bene, ma questo possiamo tranquillamente ignorarlo. Ecco il paradosso, ed ecco perché ci rivolgiamo a Voi, Massime Autorità Europee: volete che anche la comunità scientifica, che il mondo della scuola, il mondo dei giovani scienziati cominci a propendere verso le ragioni centrifughe, localistiche, anti-europee? Perché se l'Europa in questo caso tace, allora anche dalla comunità scientifica è sentita come chi sia tuo socio ed amico quando c'è profitto, e ti ignori quando c'è perdita. Malgrado l'Europa ci dica che siamo il Paese con il minor numero di laureati, uno dei massimi esponenti del nostro Ministero dell'Istruzione, nel confermare l'adozione del numero chiuso, che ostacola ovviamente in modo pesante l'accesso dei giovali all'istruzione superiore, ha recentemente sostenuto che: “di fatto non è possibile rispondere alle esigenze di oltre 80 mila aspiranti studenti universitari, non si può immaginare una crescita di spesa pubblica per soddisfare il fabbisogno della popolazione giovanile
  • 2. a cui consentire l’accesso all’università pubblica”. L'Europa, questa grande, storica realtà, che si vanta della sua plurimillenaria “cultural heritage”, quella stessa Europa che ha tanto da chiedere al poveraccio che si vede ogni giorno decurtare lo stipendio in nome della sacertà dei conti, non ha nulla da chiedere a questo signore, che non molto tempo fa, in qualità di rettore, tuonava contro il numero chiuso? O l'ubi consistam dell'Europa si risolve nel compito dell'esattoria ragionieristica? Sia ben chiaro: la nostra intenzione non è quella di chiedere finanziamenti, malgrado i livelli italiani sfiorino ormai il ridicolo: lo 0,7% del PIL per la ricerca, un terzo della media europea. Al di là di questo nodo, che l'Italia sarebbe bene in grado di risolvere da sé, sol che volesse, ci sono molte soluzion, pronte da tempo fin nei dettagli, che la comunità scientifica condivide, e che non inciderebbero sugli aspetti economici, o avrebbero effetti marginali. Si prenda ad esempio l'adozione del Ruolo Unico della docenza universitaria, che spazzzerebbe di colpo il malaffare delle baronie accademiche: praticamente tutte le organizzazioni dei docenti lo vanno chiedendo da tempo; in poco tempo, riproponendo la vexata questio, abbiamo contato più di 1.700 adesioni, che Vi alleghiamo. Ma questo non è il nodo, vuole essere solo un esempio. Il messeggio di sostanza è: se vogliamo fare anche gli Europei, e non solo l'Europa, dall'istruzione, dalla scuola, dall'incremento e dalla condivisione della ricerca bisogna cominciare. Perché l'Europa, così attenta valutatrice delle cose italiane in campo economico, in questo non ha niente da dire? Angelo D'AMBRISI Università di Firenze Andrea ABATE Università di Salerno Emma BUONDONNO Università Federico II Adriana BRANCACCIO II Università di Napoli Sergio BRASINI Università di Bologna Petronia CARILLO II Università di Napoli Armando CARRAVETTA Università Federico II Calogero Massimo CAMMALLERI Università di Palermo Marco COSENTINO Università dell'Insubria Brunello MANTELLI Università della Calabria Maurizio MATTEUZZI Università di Bologna Valeria MILITELLO Università di Palermo Enrico NAPOLI Università di Palermo Ugo OLIVIERI Università Federico II Giorgio PASTORE Università di Trieste Delia PICONE Università Federico II Giorgio TASSINARI Università di Bologna