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CORSO DI LAUREA IN
COMUNICAZIONE E SOCIETÀ
IL CAMPO DISCORSIVO
DEL CALCIO DI RIGORE
Elaborato finale di: Pietro Moneta
Relatore: Prof. Federico Boni
Anno Accademico 2013/2014
INDICE
Introduzione p.1
1. Il sentire comune
1.1 Il linguaggio del calcio e i suoi segni p.3
1.2 L’istituzione del calcio di rigore p.5
1.3 Il mito del calcio di rigore p.7
1.4 Analisi del discorso p.10
2. Il discorso scientifico
2.1 La scientifizzazione del gioco p.14
2.2 L'applicazione della teoria dei giochi al calcio di rigore p.18
2.3 Analisi del discorso p.20
Conclusioni p.25
Bibliografia e altre fonti p.26
1
Introduzione
Il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein è uno dei testi filosofici più
importanti del Novecento. La prima delle sette asserzioni principali proposte dal
padre della filosofia analitica recita «il mondo è tutto ciò che accade»1
. A partire da
questa considerazione, ritengo che tutto – o quasi tutto – debba essere trattato
seriamente e che considerare il mondo secondo ragione voglia innanzitutto dire
essere trattato dallo stesso con altrettanta considerazione.
Nemmeno il calcio sfugge a tale logica e la serietà si impone anche in questo caso
perché, con i suoi poeti e prosatori, è assimilabile a un vero e proprio linguaggio,
composto da un sistema di segni universali. Pasolini negli anni Settanta definì il
calcio «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo»2
, riprendendo un concetto
già espresso da Barthes nel breve saggio “Lo sport e gli uomini”3
.
Con il passare del tempo anche l’analisi scientifica è entrata nei campi di calcio con
la statistica, che ha fornito – e continua a fornire, in modo sempre più dettagliato –
preziose indicazioni per tutti coloro che si vogliono approcciare a questa disciplina e
che ha contribuito, con la sua sistematicità, a sfatare alcune illogiche consuetudini.
Il presente lavoro di ricerca propone un’analisi del discorso con l'obbiettivo di fornire
una serie di felici riflessioni sul momento più drammatico di una partita di calcio,
capace di turbare gli animi di milioni di persone e di creare, in alcuni casi, dei veri e
propri drammi collettivi: il calcio di rigore.
La prospettiva teorica e metodologica entro la quale tracciamo il percorso della
nostra ricerca è quella dell’analisi del discorso. Tale metodologia qualitativa poggia
sui capisaldi della linguistica e ci consente di valutare il discorso come pratica
sociale. In questo particolare contesto teorico in cui il legame circolare tra
metodologia e teoria è sfumato, il corpus di testi al quale abbiamo applicato gli
strumenti più comuni dell’analisi del discorso, si compone di manufatti di origine
giornalistica e saggistica selezionati badando all'armonia del rapporto tra oggetto e
sguardo analitico per comporre un insieme completo ed organico di pratiche
discorsive sul calcio di rigore.
1
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino, 1964, p. 5
2
J. Foot, Calcio. 1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia, BUR, Milano, 2010, p. 362
3
Cfr. R. Barthes, Lo sport e gli uomini, Einaudi, Torino, 2007
2
Nel primo capitolo di questa tesi valuteremo dapprima il ruolo del gioco nella
competizione calcistica attraverso l’analisi dei segni e del linguaggio del gioco del
calcio e, successivamente, guarderemo in particolare al calcio di rigore e alla sua
narratologia. Al fine di verificare l’esistenza e l’efficacia di tali pratiche discorsive,
sottoporremo alcuni testi all’analisi del discorso identificando gli elementi che le
costruiscono.
Nel secondo capitolo, invece, l’attenzione sarà rivolta al processo di scientifizzazione
del gioco del calcio – e specificamente del calcio di rigore – come fondamento
sorgivo di nuove pratiche discorsive. Passando attraverso le prospettive scientifiche
più recenti, analizzeremo infine un diverso corpus di testi al fine di esaltare le
differenze dianoetiche tra i diversi discorsi.
3
1. Il sentire comune
1.1 Il linguaggio del calcio e i suoi segni
Il calcio ha da tempo smesso di rappresentare soltanto un gioco. La dimensione
planetaria del fenomeno e lo stretto legame con altri sistemi – la comunicazione,
l’economia, la politica – lo hanno reso una pratica sociale identitaria e universale: «la
patria, la bandiera, la nazione, lo spettacolo, l’autorità, le regole, il clan, la tribù, i
simboli religiosi, i conflitti sono tutti elementi che fanno del football uno strumento
di identificazione»4
. La sua portata è tale da coinvolgere, direttamente o
indirettamente, la quasi totalità della popolazione terrestre: l’ente che governa il
mondo calcistico, la Fédération Internationale de Football Association o FIFA, può
contare su un numero di nazioni aderenti superiore a quello l’ONU5
. L’integrazione
del calcio nella realtà quotidiana è tale che alcuni pensatori hanno addirittura tentato
di dimostrare, con discreto successo, l’esistenza di un rapporto diretto tra i metodi di
gioco e i sistemi produttivi del Novecento6
e l’influenza del gioco nella struttura
sociale e politica delle comunità, accompagnando, alimentando e scandendo il ritmo
di rivoluzioni e dittature7
.
In quanto pratica sociale altamente ritualizzata, il calcio è stato oggetto di attenzione
da parte della sociologia, in particolare degli studi di Elias e della Scuola
configurazionale britannica8
. La dimensione rituale e codificata del calcio, in grado
di canalizzare la violenza nella competizione sportiva e di fungere da elemento
catartico di concentrazione e scarico emotivo, divenne infatti un tema rilevante nella
produzione del sociologo tedesco9
. Il processo di civilizzazione di Elias va letto alla
luce del processo di sportivizzazione in atto in Inghilterra alla fine del XIX secolo: è
in questo periodo, infatti, che vengono stabilite delle regole condivise da giocatori e
spettatori. Il calcio di fine Ottocento è una pratica molto regolata, organizzata e
narrativizzata. Dal punto di vista semiotico, siamo agli albori della creazione di un
vero e proprio linguaggio, che ha nei giocatori i suoi poeti e prosatori e nell’arbitro e
nei suoi assistenti i custodi della sua grammatica.
4
D. Camilli, Contropiede, nottetempo, Roma, 2007, pp. 21-22
5
Cfr. N. Porro, Sociologia del calcio, Carocci editore, Roma, 2008, pp. 9-10
6
Cfr. D. Camilli, op. cit.
7
Si veda ad esempio: F. Foer, Come il calcio spiega il mondo, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2007
ma anche S. Kuper, Calcio e potere, Isbn Edizioni, Milano, 2008 e L. Zacchetti, Social football,
Affari Italiani Editore, Milano, 2012
8
Cfr. S. Martelli, Sport, media e intrattenimento, FrancoAngeli, Milano, 2011, pp. 13-16
9
Cfr. N. Elias, E. Dunning, Sport e aggressività, Il Mulino, Bologna, 2001
4
In uno dei più celebri saggi di Pasolini10
, che oltre ad essere un intellettuale e uno
scrittore straordinario fu anche un profondissimo semiologo, ritroviamo le tracce di
questo discorso: egli analizza le forme del gioco del calcio come traduzioni di stili di
scrittura, contrapponendo lo stile geometrico “in prosa” europeo, basato su un gioco
di squadra regolato da posizioni fisse, e quello “poetico” sudamericano11
, la cui
specificità è quella di permettere a chiunque, da qualunque posizione, di puntare alla
porta avversaria. L’artificio usato da Pasolini per introdurre tale concetto richiama le
basi stesse della linguistica: se le parole del linguaggio del calcio si formano come le
parole del linguaggio scritto e parlato, allora esse si formano a partire da una “doppia
articolazione”, ossia attraverso le innumerevoli combinazioni dei fonemi.
Dopo aver definito l’unità minima della lingua del calcio – un “podema”, nel lessico
pasoliniano – come “un uomo che usa i piedi per calciare un pallone”, ad esso si
possono applicare le regole classiche della linguistica: le combinazioni di “podemi”
andranno dunque a formare delle “parole calcistiche” e l’insieme di queste ultime
andrà a costituire un vero e proprio “discorso calcistico”, che troverà la propria
espressione sintattica migliore nella partita. In particolare, Pasolini individua nel
dribbling il momento magico dell’agone calcistico, perché produce uno scarto
semantico che fa saltare la sintassi e consente il passaggio dalla prosa alla poesia12
.
Allargando il discorso alla filosofia del linguaggio e all’ermeneutica, la concezione
pasoliniana del calcio è affine a quella di Wittgenstein: il gioco è proprio di coloro i
quali, applicando un sistema di regole, si muovono nella grammatica dei giochi
linguistici. Una curiosa circostanza vuole che Wittgenstein, secondo quanto è
riportato dal suo allievo Malcolm, fu colpito dall’idea che con il linguaggio si
facciano dei giochi linguistici proprio «passando accanto ad un campo sportivo dove
era in corso una partita di calcio»13
.
Le azioni non sono semplicemente un mezzo ma un modo di essere dei giocatori,
proprio come il linguaggio non è un mezzo ma un modo di essere degli uomini. In
Verità e Metodo14
, Gadamer propone invece una diversa prospettiva: il gioco si
10
Cfr. P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti, S. De Laude, Mondadori,
Milano, 1999, pp. 2545-2551
11
Si veda anche P. Demuru, Lo stile, il gioco, la storia. Piccola semiotica (culturale) del calcio
brasiliano, in Mitologie dello sport. 40 saggi brevi, a cura di P. Cervelli, L. Romei, F. Sedda, Edizioni
Nuova Cultura, Roma, 2010, pp. 151-160
12
Cfr. D. Pessach, Semiotica del calcio in tv, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni, 2013, p. 26
13
N. Malcolm, A Memoir, Oxford University Press, Oxford, 2001, p. 55
14
Cfr. H. G. Gadamer, Verità e metodo, tr.it. a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano, 1995, p. 138
5
produce attraverso i giocatori che ne partecipano, tanto che ogni giocare è al tempo
stesso un essere-giocato. A differenza di Wittgenstein, in Gadamer esiste dunque un
primato del gioco che supera la coscienza di chi gioca, e la prospettiva dei parlanti è
superata dalla prospettiva comune del gioco15
.
Il linguaggio del calcio prevede pertanto un’intima relazione tra i cifratori di questo
linguaggio, i calciatori, e i suoi decifratori, gli spettatori. A ben vedere, a differenza
di altre pratiche sociali paragonabili per certi versi alla fruizione di una partita di
calcio, nella competizione calcistica lo spettatore non è solamente osservatore ma è
anche attore: egli partecipa allo spettacolo e ne costituisce allo stesso tempo una
parte integrante16
. Il calcio è, a tutti gli effetti, un contesto nel quale guardare diventa
fare, sia per il rapporto tra il giocatore e il gioco, sia per l’intensità emotiva che
comporta, come testimoniano molti libri di narrativa sportiva17
.
Nel corso dell’ultimo secolo, il calcio professionistico ha visto rafforzarsi il suo
rapporto con l’entertainment18
e per sua natura necessita ora della presenza di un
ulteriore giocatore, il pubblico, che, lo ricordiamo, nella concezione ermeneutica
gadameriana è il solo ad avere la facoltà di cogliere la vera natura del gioco, una
possibilità che va oltre a quella dei contendenti. Se il campo è lo spazio della
rappresentazione e della performanza, gli spalti rappresentano pertanto uno spazio
scopico-cognitivo.
Proprio da qui vogliamo attingere per la nostra analisi del discorso, dallo sguardo
sapiente del pubblico, o meglio, dalle analisi scritte di alcuni suoi membri
privilegiati: i giornalisti sportivi. In particolare, ci concentreremo sul calcio di rigore
come massima espressione del conflitto, simbolico, che si realizza nella
competizione calcistica.
1.2 L’istituzione del calcio di rigore
Prima di addentrarci nella nostra analisi, riteniamo necessario dare uno sguardo alla
storia e alle motivazioni che hanno portato all’introduzione del calcio di rigore, al
fine di svelare ciò che avrebbe dovuto essere il calcio di rigore nelle intenzioni di chi
lo ha introdotto.
15
Cfr. G. Desiderio, Il divino pallone, Vallecchi, Firenze, 2010, pp. 88-90
16
Cfr. R. Barthes, op. cit., p. 47
17
Uno su tutti: N. Hornby, Febbre a 90’, Guanda, Parma, 1997
18
Cfr. S. Martelli, op. cit, pp. 7-50
6
A differenza di quanto si possa pensare, il primo ideatore del calcio di rigore fu un
portiere irlandese, al secolo William McCrum19
. In un’epoca nella quale il calcio si
vantava di non essere afflitto dal professionismo, egli era direttore di un’industria
tessile e membro attivo del Direttivo della Federcalcio irlandese. Fino a quel
momento, i falli commessi nei pressi della porta venivano sanzionati con una
punizione battuta da dove si era verificata l’infrazione ma, poiché persino nelle
partite amatoriali i difensori adottavano misure sempre più irruente per evitare che
gli avversari segnassero, McCrum suggerì di concedere un tiro diretto dalla distanza
di 12 yard. Il fondamento ideologico alla base di questa innovazione era quello di
difendere il fair play del gioco e di limitare le scorrettezze fra gentlemen.
Quest’ultimo aspetto creò però forti tensioni all’interno del movimento calcistico: il
calcio di rigore suscitò molta indignazione tra gli sportivi dell’epoca. Gli oppositori
della proposta di McCrum sostenevano infatti che sarebbe stato offensivo introdurre
una norma che presupponeva che dei gentlemen adottassero volutamente un
comportamento disonesto. In una prima fase, la norma fu introdotta a livello locale e
la maggior parte dei rigoristi si rifiutò di calciare o fallirono intenzionalmente e molti
portieri lasciarono vuota la porta. Cercando di entrare nello spirito del gioco del
tempo, il calcio di rigore porta all’acutizzarsi del confine tra collettivismo ed
individualismo: viene dunque da chiedersi se sia corretto – e fino a che punto –
affidarsi all’abilità di un singolo in uno sport di squadra.
Nonostante l’iniziale reticenza dell’International Football Association Board, l’ente
preposto a valutare qualsiasi modifica ed innovazione delle regole del gioco del
calcio, il rigore fu istituito ufficialmente a Glasgow il 2 giugno del 189120
. Da allora,
gli oppositori del calcio di rigore dimostrarono di essere dei veri e propri gentlemen,
perché mutarono il proprio orientamento in virtù dell’istituzione della norma,
riconoscendo dunque alla regolamentazione un valore morale superiore rispetto al
sentimento che fino ad allora li aveva accompagnati.
Dalla sua istituzione, numerose sono state le innovazioni che hanno riguardato il
calcio di rigore: in particolare, ebbe una notevole influenza sul gioco l’introduzione
nel 1929 del divieto per il portiere di allontanarsi dalla riga di porta prima che la
palla fosse calciata. Fino ad allora, infatti, al portiere era consentito avanzare fino a
raggiungere una linea posta a cinque metri e mezzo da quella di porta: tale facoltà
19
Cfr. J. Wilson, Il portiere, Isbn Edizioni, Milano, 2013, pp. 347-348
20
Cfr. C. Miller, He Always Puts It to the Right, Victor Gollancz, London, 1998, pp. 11-27
7
rendeva tuttavia così complicato il compito del rigorista che molte squadre
praticavano volutamente un gioco scorretto per raggiungere ad ogni costo la vittoria,
preferendo concedere all’avversario un calcio di rigore di difficile realizzazione
piuttosto che consentirgli una facile marcatura. Con la modifica del Regolamento del
Giuoco del Calcio21
del 1929, l’IFAB utilizzò dunque nuovamente il calcio di rigore
come strumento per disciplinare il comportamento scorretto dei giocatori, tutelò
l’amore vittoriano dei fondatori del gioco per la sportività e pose le basi normative
per la versione attuale del calcio di rigore.
A partire da questa breve digressione, è a nostro avviso possibile guardare con
maggiore chiarezza ai discorsi che oggi lo riguardano. Il nostro intento è inoltre
quello di avere fornito al lettore al contempo gli elementi necessari per apprezzare lo
scarto tra la concezione originaria del calcio di rigore e quella più recente, aprendo
uno spiraglio nel quale egli possa intravedere l’evoluzione del discorso che andremo
ora ad approfondire.
1.3 Il mito del calcio di rigore
Nella semiologia del linguaggio barthesiana, il mito «è un sistema di comunicazione,
un linguaggio»22
. Più specificamente, in Barthes il mito si edifica sulla base di un
sistema semiologico secondo: il segno, vale a dire il totale associativo di un
significante primario e di un significato primario, diviene mito nella maggiorazione
portata da un significato secondo. Il semiologo distingue dunque fra due livelli di
significazione e attribuisce ad essi delle caratteristiche differenti: la significazione
primaria, che è propria della lingua, produce un linguaggio-oggetto, mentre la
significazione secondaria, mitica, corrisponde ad una seconda lingua nella quale si
parla della prima e dunque si tratta, a tutti gli effetti, di un metalinguaggio.
Sfruttando questo articolato sistema di significazione, il mito si presenta a noi come
un’accumulazione culturale nella quale si vanno a sommare i significati. I valori si
trasformano in stereotipi indiscussi, il culturale in naturale, e la chiarezza che ne
deriva non è quella della spiegazione, ma quella della constatazione23
.
21
Disponibile online all’indirizzo: http://www.aia-figc.it/download/regolamenti/reg_2013.pdf
22
R. Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1994, p. 191
23
Id., ibidem, pp. 233-234
8
Se una partita di calcio è in grado di esaltare la classica trilogia aristotelica, in quanto
possiede unità di luogo, di tempo e di azione, questo paradigma viene esaltato in
modo particolare dal calcio di rigore: che si tratti di un episodio al quale assistiamo
in prima persona o di un evento mediato, generalmente dal mezzo televisivo24
, esso
incarna uno dei momenti di massima catalizzazione emotiva. Il calcio di rigore
rappresenta infatti la sintesi estrema di quel conflitto simbolico in grado di esaltare
gli elementi di arcaicità e di tribalismo insiti nella competizione calcistica. Il calcio
viene ridotto ai suoi elementi essenziali (palla, porta, attaccante, portiere) che, in
quanto tali, sommano l’attenzione degli aspetti tecnici e di quelli psicologici.
Il calcio di rigore è dunque un momento fortemente patemico, per i giocatori ma
anche per chi assiste perché, come abbiamo già sottolineato, nel calcio guardare è
anche fare. Le caratteristiche sopra elencate, proprie dei calci di rigore, sembrano
dunque impeccabilmente adatte ad aderire ed esaltare l’immaginario collettivo, tanto
che alcuni di essi si proiettano direttamente dal mito alla leggenda25
. Nella
semiosfera26
calcistica, il tema si presta pertanto felicemente alla mitopoiesi27
così
come all’evocazione di un capro espiatorio28
.
Un importante elemento che partecipa alla costruzione del mito del calcio di rigore è
la natura dinamica e trasformativa di quest’ultimo. Secondo la prospettiva platonica,
infatti, il calcio di rigore è la possibilità di trasformare il tiro dal dischetto in gol. Il
passaggio da potenza ad atto, il raggiungimento di un esito certo – sia esso un rigore
segnato o un rigore sbagliato – si compie tramite il calciatore, che possiede le
caratteristiche di un’entelechia in quanto ha la capacità di muovere senza essere
mosso. La componente aleatoria si poggia dunque su questo processo trasformativo e
modifica la sostanza originaria del calcio di rigore, attribuendole una forma nuova.
Quando ciò avviene e il calcio di rigore viene svestito del simbolismo della sua
natura conflittuale e rivestito di fatalismo, assume le sembianze di un mito
barthesiano. Nella narratologia del calcio di rigore, l’interazione e l’incontro tra il
24
Cfr. S. Martelli, Sport, media e intrattenimento, FrancoAngeli, Milano, 2011, pp. 67-109
25
Fra i tanti, alcuni fra gli esempi più recenti a livello nazionale legati all’immaginario collettivo sono
le serie di rigori delle finali della Coppa del Mondo FIFA 1994 e 2006
26
Cfr J. Lotman, La semiosfera, Marsilio Editori, Venezia, 1985
27
Per un’ampia, seppur parziale, raccolta di calci di rigore che hanno alimentato l’immaginario
collettivo rimandiamo a: J. Wilson, op. cit., pp. 336-371
28
Si veda ad esempio: G. Bianconi, A. Salerno, L’ultima partita, Fandango Libri, Roma, 2010, nel
quale viene raccontata la tragica storia di Agostino Di Bartolomei, morto suicida nel 1994,
esattamente a dieci anni di distanza dalla finale di Coppa Campioni giocata a Roma nella quale, da
capitano della AS Roma, sbagliò un decisivo calcio di rigore
9
soggetto e l’anti-soggetto, in bilico tra l’irripetibilità e la precarietà del momento,
lasciano il posto ad un’entità astratta ma dalle conseguenze reali: il fato. Questa
pratica è così comune da essere diventata a tutti gli effetti un vero e proprio discorso
sociale.
Secondo Pessach29
, la narratologia del calcio utilizza strumentalmente la fortuna al
fine di esorcizzarla e di presentarla negativamente come fattore esterno all’ordine. La
fortuna, il fato, sono fattori minacciosi in quanto anti-borghesi. Welte30
, dal canto
suo, spiega invece il fascino dei giochi di fortuna ricorrendo ad una spiegazione
filosofica e valutandoli come elemento simbolico della vita umana, con la quale
giochiamo e dalla quale siamo giocati. In Callois, ancora, «ciò che si esprime nei
giochi non è diverso da quanto esprime una cultura. La motivazione profonda
coincide»31
. Secondo il sociologo francese, la fatalità costituisce – assieme
all’agonismo, al mascheramento e al rischio – uno dei quattro impulsi essenziali del
rapporto tra uomo e gioco. Il mito del calcio di rigore sembra avere a tutti gli effetti
le caratteristiche barthesiane di una constatazione basata sul senso comune, su una
verità che si attesta nell’ordine arbitrario di chi la racconta.
Più in generale, qualsiasi sia l’ideologia che porta ad associare il mito del calcio di
rigore al fato, è importante sottolineare quanto questa pratica sia ormai intrisa di
senso comune. È una pratica condivisa, basata su un fondo comune di conoscenza
pregiudiziale che tutti dovrebbero accettare in quanto attingibile dall’esperienza
ordinaria, senza il bisogno di competenze specifiche. Per fare un esempio di queste
evidenze immediate e spesso illusorie, basti pensare alle innumerevoli volte in cui
abbiamo sentito parlare in modo imprecisato dei calci di rigore come di una “lotteria”
o in cui sono retoricamente associati ad una “roulette russa”. Il limite del senso
comune, tuttavia, è quello di presentarsi come uno spazio concettuale sfumato, non
definibile se non a sommi tratti. Pur riconoscendone una funzione pratica di utilità, la
sua vaghezza e imprecisione ne motivano una giusta contrapposizione con gli ambiti
propri della conoscenza32
.
29
Cfr. D. Pessach, Semiotica del calcio in tv, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni, 2013, pp. 49-50
30
Cfr. B. Welte, Filosofia del calcio, Editrice Morcelliana, Brescia, 2010, pp. 45-64
31
R. Caillois, I giochi e gli uomini, Bompiani, Milano, 2010, p. 83
32
Cfr. L. Montecucco, Il senso comune come “teoria” e come “limite”, in Valore e limiti del senso
comune, a cura di E. Agazzi, FrancoAngeli, Milano, 2004, pp. 57-72
10
Andremo ora a verificare, nei testi presi in esame, la presenza di elementi tipici e
ricorrenti tali da giustificare le teorie sinora esposte sulla mitologia del calcio di
rigore.
1.4 Analisi del discorso
Il materiale preso in esame in questa analisi del discorso è scritto e appartiene alla
categoria della stampa quotidiana. Come qualsiasi lavoro che voglia avere una
vocazione scientifica, la presente ricerca tende alla generalizzazione. Per questo
motivo, al fine di dimostrare l’esistenza e il perdurare del mito del calcio di rigore,
sono stati scelti dei testi che si collocano nell’arco temporale degli ultimi due
decenni. I testi sono stati selezionati, secondo la tradizione dell’analisi del discorso,
sulla base di un interesse strumentale, al fine di evidenziare il precipitato delle
pratiche discorsive che li producono33
. In particolare, ci soffermeremo sulla
titolazione come elemento chiave nella tematizzazione e nella selezione degli aspetti
che, agli occhi dell’emittente, vale la pena sottolineare.
Tabella 1
Corriere della Sera La Stampa La Gazzetta dello Sport
Titolo “Abbiamo meritato, La scommessa Gigi vince alla lotteria
Dio l’ha voluto” 34
dei rigori35
“Non c’è rispetto per me”36
Il primo articolo sul quale ci soffermiamo in questa analisi è apparso sul Corriere
della Sera a cura di Perrone, il giorno successivo alla Finale del Campionato
Mondiale di Calcio 1994. La gara terminò ai calci di rigore e vide l’affermazione
della Nazionale brasiliana sulla compagine azzurra. La titolazione, che riporta una
dichiarazione del rigorista brasiliano Bebeto, recita: «Abbiamo meritato, Dio l’ha
voluto». La titolazione, nella quale viene riportato il discorso diretto al fine di
avvicinare lettore ed enunciatore, funge da elemento di framing, facilita
l’interpretazione del lettore e la porta in un campo comune a quello dell’emittente.
Dal punto di vista rappresentativo, nel discorso diretto riportato da Perrone il
33
Per un approfondimento: D. Anselmi, Il discorso dei media, Carocci editore, Roma, 2009, pp. 7-16
34
R. Perrone, “Abbiamo meritato, Dio l’ha voluto”, Corriere della Sera, 18 luglio 1994, p. 39
35
R. Beccantini, La scommessa dei rigori, La Stampa, 29 maggio 2003, p. 1
36
M. Cecchini, Gigi vince alla lotteria “Non c’è rispetto per me”, La Gazzetta dello Sport, 1 luglio
2013, p. 3
11
soggetto tematico dell’atto enunciativo è, seppur implicitamente, la Nazionale
brasiliana. Siamo in presenza di un processo relazionale37
, dell’essere, che vede
coinvolti due partecipanti: la Nazionale brasiliana e Dio. Tale processo può essere
ricondotto, per estensione, all’intera genìa di coloro i quali vengono premiati dalla
benevolenza divina sulla base di un merito che, proprio in quanto legato ad una
componente mistica, non necessita di alcuna spiegazione. Il processo, rafforzato dal
modale “volere”, instaura una relazione logica tra le due entità e vuole esprimere,
sinteticamente, il legame tra una logica meritocratica autoreferenziale e borghese e la
fatale, generosa, volontà divina. Ad ulteriore supporto di questa tesi, citiamo un
estratto particolarmente significativo dell’articolo:
È il titolo di Bebeto, è il titolo di Senna “perché ho mio figlio appena nato nel cuore, ma
la Coppa è di Ayrton che sta nel cielo insieme con il Signore e che adesso, da dove si
trova, starà sorridendo”.38
Anche in questo caso il riferimento al divino è esplicito. Bebeto si spinge addirittura
oltre, menzionando l’indimenticabile pilota sportivo brasiliano Ayrton Senna ed
introducendo dunque nel discorso un riferimento extra-testuale attraverso il quale
viene espressa una relazione parergonale39
tra il discorso sulla divinità e il discorso
sul merito. La vittoria e la sua celebrazione vengono infatti presentate come un
premio, destinato a compensare la tragica e prematura scomparsa di Senna. Perrone
sfrutta il meccanismo della ripetizione anaforica per porre sullo stesso piano
enunciativo i due sportivi e crea dunque il presupposto logico che guida il lettore ad
una più facile comprensione dell’enunciato allusivo di Bebeto.
Il secondo articolo della nostra analisi è l’editoriale tratto da La Stampa il giorno
successivo alla Finale di Champions League 2002/2003. Nella titolazione è presente
una nominalizzazione in posizione tematica che rimanda ad un processo, ma non alle
circostanze dello stesso. Beccantini utilizza sapientemente il processo di
nominalizzazione: attraverso questa strumento, egli è in grado di condensare e dare
valore generale all’informazione e, allo stesso tempo, di cancellare il ruolo di coloro i
37
Per un approfondimento si veda: M. Halliday, An Introduction to Functional Grammar, Edward
Arnold, London, 1985
38
R. Perrone, op. cit., p. 39
39
Cfr. L. Berta, Oltre la mise en abyme. Teoria della metatestualità in letteratura e filosofia,
FrancoAngeli, Milano, 2006, pp. 94-110
12
quali hanno preso parte alla sfida ai calci di rigore. Inoltre la nominalizzazione,
essendo una tecnica che non prevede modalità, crea impersonalità e occulta la
posizione del giornalista rispetto alla proposizione. La pratica discorsiva che accosta
il calcio di rigore alla fatalità viene attuata dunque ad un livello meno visibile e, per
questo motivo, più profondo, attribuendo una spiegazione causale al termine
“scommessa”.
Il lessico, inoltre, diviene un utile strumento di categorizzazione al servizio
dell’autore, che tenta di indurre il ricevente ad una interpretazione degli eventi che
attribuisce ogni responsabilità all’esiziale componente aleatoria. Nel testo, infine,
l’autore non manca inoltre di riferirsi ai rigori come eventi “fatali”, parte di una
“lotteria” cieca, ricordandocene l’inesorabilità e l’impossibilità per l’uomo di
opporvisi. Anche in questo caso, riteniamo opportuno offrire un ulteriore spunto di
analisi a conferma delle osservazioni fatte sinora sul presente articolo, riportando
l’enunciato iniziale e finale dell’editoriale:
Quarant'anni dopo Cesare Maldini, è il figlio Paolo ad alzare al cielo la Champions
League […]. Carlo Ancelotti non è più secondo a nessuno. Ha battuto Lippi senza
batterlo, c’est la vie.40
Beccantini costruisce il framing dell’articolo menzionando una ricorrenza storica
attraverso la quale il lettore dovrà decifrare l’intero editoriale. Le circostanze entro le
quali si svolge la competizione sportiva, celate nella titolazione, vengono dunque
delineate al principio dell’articolo alludendo ad una ciclicità inevitabile, ad una
condizione entro la quale i partecipanti non possono agire liberamente, come se
fossero vincolati ad un destino già scritto. Al termine dell’editoriale, tuttavia,
Beccantini non manca di fornire al lettore la propria opinione sul tema: l’enunciato si
concentra sui due allenatori – referenti metonimici per le due squadre in
competizione – e li sottopone ad una comparazione nella quale lo scarto tra i due non
viene ricondotto al merito bensì alla fortuna, sminuendo il valore della vittoria.
L’asserzione viene rafforzata dall’uso dal dispositivo stereotipante “c’est la vie”,
attraverso la quale l’autore contribuisce alla costruzione mitologica del calcio di
rigore astraendolo dalla contingenza, come se fosse un fenomeno determinato da altri
40
R. Beccantini, op. cit., p. 1
13
e a priori, che non comporta meriti ma solamente una fortunata combinazione di
eventi di fronte ai quali l’uomo è inerte spettatore.
Il terzo articolo che prendiamo in esame è tratto da La Gazzetta dello Sport, a cura di
Cecchini, e si riferisce alla Finale per il 3°/4° posto della Confederations Cup che ha
visto la Nazionale italiana grande protagonista. In questo caso l’appellativo “Gigi” è
in una posizione tematica forte e sottolinea l’intenzione dell’enunciatore di mettere in
primo piano l’attore principale dell’enunciazione. Cecchini sceglie inoltre il
diminutivo come forma espressiva volta ad appagare la vicinanza emotiva del lettore
verso il proprio beniamino e, tramite questo artificio, ci informa del proprio
atteggiamento41
verso l’attante. In questo modo, seppure per conquistare la simpatia
del lettore, Cecchini tradisce in parte il proprio mandato giornalistico, minando
l’obiettività della propria retorica. Ciò nonostante, l’utilizzo del presente storico
rafforza la posizione di Cecchini rispetto all’enunciazione.
La meta-funzione interpersonale, come suggerisce la collocazione dei partecipanti –
“Gigi” e la “lotteria” – all’interno del titolo, mette in relazione l’attante e l’oggetto
agito e sembra suggerire, anche grazie all’utilizzo della forma verbale attiva, una
preminenza del primo su quest’ultimo. L’enunciazione, tramite l’utilizzo del verbo
implicativo “vincere”, esprime un atto linguistico42
e sottende, dunque, ad un
processo trasformazionale. Tale relazione delinea infatti un processo fisico e prevede
un’azione dell’attante sull’agito, che Greimas definirebbe come la fase della
performanza43
. Infine, chi guarda il testo secondo uno sguardo semiotico noterà che
la titolazione dell’articolo di Cecchini richiama la funzione referenziale del
linguaggio44
in quanto presuppone l’aderenza culturale, da parte del lettore, ad un
sistema di conoscenze comuni, nelle quali il calcio di rigore viene associato alla
fatalità con una naturalezza tale da assumere la chiarezza di una constatazione.
41
Cfr. G. Mantovani, Analisi del discorso e contesto sociale, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 44-49
42
Cfr. J. L. Austin, Come fare cose con le parole, Marietti Editore, Genova, 2000
43
Cfr. A. J. Greimas, Del senso, Bompiani, Milano, 2001
44
Cfr. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1966, pp. 185-186
14
2. Il discorso scientifico
2.1 La scientifizzazione del gioco
Parallelamente all’interpretazione semiotica del gioco del calcio, si è andato
affermando un genere discorsivo più recente ed in continua evoluzione: quello della
scienza del calcio.
Le prime tracce di questa disciplina a livello giornalistico e popolare risalgono in
Italia all’inizio del Novecento, con la pubblicazione di almanacchi e annuari sportivi
e, successivamente, con il settimanale Il Calcio Illustrato, sulle colonne del quale
vengono pubblicate le statistiche delle partite45
. A partire da inizio secolo, la
statistica viene introdotta come metodo di analisi quantitativo dell’evento sportivo ed
entra a fare parte dello storytelling calcistico. La svolta arriva però a partire dagli
anni Cinquanta, quando a questo ambito interdisciplinare di studio viene riconosciuta
un’adeguata dignità scientifica e si insinua l’idea che gli atleti stessi possano trarre
beneficio dai risultati delle ricerche46
. Da allora, lo sguardo analitico della scienza
del calcio è diventato uno strumento innovativo ed essenziale nel miglioramento dei
singoli gesti tecnici, dell’atteggiamento tattico complessivo e della preparazione
atletica. Sebbene inizialmente l’ambito di studio della scienza dello sport sia la
cinesica, con il proliferare del mezzo televisivo le potenzialità di questa nuova
disciplina crescono esponenzialmente e coinvolgono ogni aspetto della competizione
calcistica, favorendone una maggiore comprensione e creando lo spazio per nuove
metodologie di allenamento.
Simulare un totale controllo delle informazioni, quantificando il gioco del calcio,
parcellizzandolo e misurandolo, non ha portato però solamente grandi opportunità
ma anche – paradossalmente – maggiori incertezze: l’approfondimento scientifico
comporta infatti un grado di complessità che in precedenza non era neanche
immaginabile. Se, come sosteneva Lord Kelvin, «misurare è conoscere»47
, diventa
dunque importante comprendere che cosa misurare e come farlo e, inoltre, imparare a
45
Cfr. P. Mugnai, La Coppa del Duce, Libreria Sportiva Eraclea, Roma, 2011, pp. 17-85
46
Cfr. K. Bray, How to score, Granta Publications, London, 2006 (trad. it. Perché l’Italia vinse ai
rigori con l’Olanda e Beckham tira punizioni imparabili?, Sonzogno Editore, Milano, 2006, pp. 127-
167)
47
V. Mayer-Schönberger, K. Cukier, Big data, Garzanti, Milano, 2013, p. 52
15
correlare i dati reinterpretando le logiche esistenti se non, addirittura, seguendone di
nuove48
.
Uno dei casi più celebri49
coinvolge il primo vero football analyst della storia:
Charles Reep. Dopo aver raccolto dati per quasi vent’anni, nel 1968 pubblica Skill
and Chance in Association Football50
assieme a Bernard Benjamin. L’impatto del
suo lavoro fu notevole, perché dimostrò per la prima volta l’esistenza di modelli
numerici ricorrenti in diversi aspetti del gioco. Il calcio letto attraverso i numeri di
Reep è però ancora un processo stocastico, di difficile interpretazione, ma che lascia
intravedere le grandi potenzialità del metodo analitico. I risultati dei suoi studi lo
fecero diventare il padre teorico del gioco a palla lunga degli inglesi, il cosiddetto
“kick and rush”51
.
Storicamente, quando la scientifizzazione del gioco del calcio è stata portata alle sue
estreme conseguenze, i risultati sono stati notevoli, sebbene la natura della
competizione sportiva si fosse spostata significativamente dai piedi dei calciatori alle
capacità dei tecnocrati. È noto52
, ad esempio, che Valeri Lobanovskij, il più grande
allenatore sovietico del dopoguerra, misurasse le capacità dei propri giocatori
attraverso un elaborato programma informatico53
al fine di selezionare gli atleti
migliori e di integrarli in un collettivo vincente. Secondo Lobanovskij, l’unica
strategia adatta per giocare un calcio rapido ed efficace era quella di ridurre al
minimo gli errori: per farlo era necessario che i calciatori fossero programmati ad
agire istintivamente sulla base di schemi studiati a tavolino54
.
A nostro avviso, non è ipotizzabile l’idea di un agire prestabilito, informatizzato e
totalmente dipendente da logiche matematiche; se così fosse, ci troveremmo immersi
in una realtà altamente performante, efficiente, ma totalmente inumana. Al di là del
tema etico introdotto dall’applicazione della tecnologia, la cui analisi esula dagli
48
Cfr. F. Soriano, Il pallone non entra mai per caso, Vallardi, Milano, 2012, pp. 223-259
49
Cfr. C. Anderson, D. Sally, The numbers game, Penguin Group, London, 2013, pp. 15-21
50
C. Reep, B. Benjamin, Skill and Chance in Association Football, in Journal of the Royal Statistical
Society, vol.131, 1968, pp. 581-585
51
In particolare, gli studi di Reep hanno dimostrato che solamente due gol su nove vengono realizzati
dopo tre o più passaggi e che viene segnato un gol ogni nove tiri. Per questo motivo, i suoi lavori
furono presi a paradigma per teorizzare l’efficienza del calcio a palla lunga degli inglesi
52
Cfr. S. Kuper, op. cit., pp. 85-101
53
La selezione degli atleti veniva effettuata misurando precisi parametri: reattività, autocontrollo,
equilibrio, resistenza, memoria, coordinazione
54
Cfr. J. Wilson, Inverting the pyramid, Orion, London, 2008 (trad. it. La piramide rovesciata,
Edizioni Libreria dello Sport, Milano, 2012, pp. 349-374)
16
obbiettivi di questa tesi, ciò che ci preme sottolineare è il potere dei dati di cambiare
il rapporto con il gioco.
Se all’inizio alla scienza dello sport bastava una relazione numerica per spiegare il
gioco del calcio, al momento il contributo più significativo viene dall’applicazione
dei big data. Così come in altri ambiti della vita moderna, anche nel calcio si sta
infatti cercando di gestire la datizzazione della vita. Il primo emblematico episodio di
applicazione dei big data allo sport viene dal baseball: come viene raccontato nel
caso editoriale Moneyball: the Art of Winning an Unfair Game55
, quando le
percezioni istintive hanno lasciato il posto ad un’analitica sofisticata gli addetti ai
lavori sono stati relegati in secondo piano dagli statistici56
.
Durante lo svolgimento di una partita di calcio professionistico, ogni azione viene
scomposta in categorie misurabili: secondo Faccendini57
, manager per l’Italia di
Opta58
, ogni partita genera in media tra i 1.600 e i 2.000 eventi. Di fronte a una tale
mole di dati, la capacità degli analisti di scoprire nuove correlazioni e di interpretare i
risultati rappresenta la sfida più affascinante nel panorama odierno della scienza del
calcio59
. La capacità dei big data di rompere la tradizione e di farci ripensare le
logiche, sostituendo la casualità alla logica causale, è una delle scommesse più
avvincenti nel futuro del gioco più bello del mondo60
.
Come per molti altri aspetti della competizione calcistica, anche il rigore è stato
analizzato dal punto di vista scientifico. Le interpretazioni principali, fino alla più
moderna applicazione della teoria dei giochi, hanno coinvolto principalmente la
prossemica, la psicologia degli attori coinvolti e lo studio dei tempi di reazione del
portiere in relazione alla potenza e direzione del tiro.
Per lungo tempo, la cinesica è stata l’unico ambito di studio della scienza dei calci di
rigore. A nostro avviso, tuttavia, essendo il calcio di rigore una situazione
comunicativa dialogica tra rigorista e portiere, ci sembra più appropriato declinare la
55
Cfr. M. Lewis, Moneyball: the Art of Winning an Unfair Game, W.W.Norton, New York, 2003
56
Nel caso trattato da Moneyball, il Direttore Generale degli Oakland Athletics, Billy Bean, costruì
coraggiosamente nel 2002 una squadra di valore utilizzando un budget molto limitato rispetto ai
propri competitors. Tramite una nuova forma di calcolo statistico, Bean riuscì infatti ad individuare
dei giocatori sottovalutati dal mercato ma che, dati alla mano, non erano da meno rispetto ai loro
avversari. Nello stesso anno, dopo aver ricostruito l’architettura della squadra, gli Oakland Athletics
stabilirono un nuovo record vincendo venti partite consecutive
57
Cfr. D. Manusia, La partita perfetta, in IL, numero 60, maggio 2014, pp. 50-54
58
Una delle principali società che raccolgono e vendono dati sportivi
59
Fra i testi più acclamati, ricordiamo: P. Tomkins, G. Riley, G. Fulcher, Pay As You Play, GPRF
Publishing, Leicester, 2010
60
Cfr. C. Anderson, D. Sally, op. cit., pp. 113-318
17
cinesica in prossemica. Verso la fine degli anni Ottanta, un gruppo di studiosi
dimostrò che in quasi l’80% dei casi la direzione del tiro poteva essere prevista dalla
direzione e dall’angolo di corsa del rigorista61
. Introducendo come variabile il
linguaggio del corpo, in particolare in relazione alla gamba di appoggio, la
percentuale sale fino al 98%. Tuttavia, in quest’ultimo caso la valutazione può essere
effettuata solamente ex-post, perché la velocità di esecuzione impedisce al portiere di
raggiungere la palla. In tali condizioni limitanti, il portiere può tuttavia tentare di
decodificare il linguaggio posturale del tiratore facendo riferimento a quello che gli
epistemologi definirebbero come un “carico di teoria”, ovvero la storia di tutti i rigori
calciati di cui è a conoscenza e la storia specifica dei rigori calciati dal proprio
avversario.
Più recentemente, alcuni studi hanno dimostrato che la dimensione psicologica
assume un’importanza tale da essere spesso determinante in una partita che termina
con una serie di calci di rigore: a differenza di quanto potrebbe sembrare, chi calcia
per primo vince nel 56% dei casi e, nel caso in cui segni il primo rigore, questa
percentuale sale addirittura al 63%62
. Senza aver calciato il primo rigore, per l’altra
squadra le possibilità di vincere la serie di rigori sono scese al 37%. Questa
differenza è stata spiegata63
dalla pressione psicologica in chi calcia per secondo e
che si trova dunque costretto a segnare per tenere il passo degli avversari. Ad
ulteriore supporto di questa tesi, alcuni ricercatori hanno comprovato64
che i
calciatori sottoposti alla situazione di stress tipica del calcio di rigore sono molto più
propensi a dirigere la propria attenzione verso il centro della porta e a fissare il
portiere, diminuendo significativamente la precisione e minimizzando, di
conseguenza, la propria capacità di angolare il tiro. La capacità del singolo calciatore
di gestire la pressione psicologica sembra dunque a tutti gli effetti determinante
nell’evitare una prestazione sub-ottimale.
Un ultimo fattore che viene spesso menzionato in letteratura65
è l’esistenza per il
rigorista di una zona, la cosiddetta “zona imparabile”, all’interno della quale il tiro
finisce inevitabilmente alle spalle del portiere. Il fattore determinante in questa
61
Cfr. C. Miller, op. cit., pp. 149-174
62
Cfr. R. Jovanovic, Moving the Goalposts, Pitch Publishing, Durrington, 2012, pp. 149-155
63
Cfr. S. Kuper, S. Szymanski, Soccernomics, Nation Books, New York, 2009 (trad. it. Calcionomica,
Isbn Edizioni, Milano, 2010, pp. 105-125)
64
Cfr. M. Wilson, J. Wood, S. Vine, Anxiety, Attentional Control, and Performance Impairment in
Penalty Kicks, in Journal of Sport & Exercise Psychology, vol.31, 2009, pp. 761-775
65
Cfr. K. Bray, op. cit., pp. 254-265
18
analisi è il tempo di reazione del portiere in relazione alla velocità della palla
calciata. Ammettendo, come da regolamento, che il portiere non superi la linea di
porta fino al momento dell’impatto del rigorista col pallone, la biomeccanica del
calcio ci suggerisce che l’area entro la quale il tiro diventa imparabile corrisponde a
circa il 28% dell’area di porta. Alla luce di questa analisi, si può affermare che
qualsiasi calciatore dotato dell’abilità tecnica necessaria e in grado di gestire
adeguatamente la pressione del momento sia in grado, anche suggerendo al portiere
la direzione nella quale calcerà, di segnare la quasi totalità dei calci di rigore.
In generale, dal punto di vista epistemologico, gli scienziati del calcio ridefiniscono
l’identità stessa degli attori classicamente definiti nel momento del calcio di rigore –
portiere e attaccante – introducendo un livello superiore di conoscenza del gioco.
Questa visione empirista ci porta a vedere i protagonisti non più solamente come due
uomini, bensì in parte come degli strumenti in mano agli analisti. Pur rimanendo
presente la componente umana dell’esperienza del calciatore, legata alla pressione
psicologica e all’eventuale stanchezza, essi subiscono ai nostri occhi un’evidente
ridefinizione funzionalistica e oggettivante.
Tuttavia, per quanto degli algidi analisti possano tentare di scomporre, misurare e
quantificare il gioco, rimarrà sempre una componente di casualità a stravolgere i
pronostici. Il calcio è un gioco degli uomini per gli uomini: il caso è
imprescindibilmente, tautologicamente, intrinseco ad esso.
2.2 L’applicazione della teoria dei giochi al calcio di rigore
La teoria dei giochi è quella disciplina scientifica che permette di modellare il
processo decisionale di agenti razionali in condizioni di interdipendenza strategica
con strumenti logico-matematici. Nelle parole di Odifreddi, la teoria dei giochi
consente di agire «in situazioni di conoscenza imperfetta della situazione, del
comportamento altrui e degli effetti delle varie scelte»66
.
Partendo dal presupposto che lo scopo delle due parti in causa è quello di
massimizzare il proprio payoff, nel caso dei calci di rigore siamo in presenza di un
gioco a somma zero67
, vale a dire di un gioco antagonistico con interessi
antagonistici. In un tale contesto, la conoscenza delle abitudini dell’avversario e, più
66
P. Odifreddi, Giochi pericolosi, Università di Torino, Torino, 1995, p. 1
67
Per un approfondimento, si veda: F. Patrone, Decisori (razionali) interagenti, Edizioni Plus, Pisa,
2006, pp. 62-67
19
in generale, la capacità di trarre informazioni dalla comunicazione non verbale, sono
dunque strumenti determinanti nella competizione, perché consentono di acquisire un
notevole vantaggio competitivo. In un avvenimento autoreferenziale come quello del
calcio di rigore, la teoria dei giochi rappresenta un esempio perfetto di un contesto
nel quale tentare di ridurre la complessità del mondo alla rigidità del formalismo
matematico.
Attualmente, nel calcio moderno l’indagine sui rigoristi è considerata quasi
imprescindibile. Come riporta Wilson68
, ma si potrebbero fare molti altri esempi,
prima di ciascuno dei rigori dei quarti di finale della Coppa del Mondo 2006 tra
Germania e Argentina il portiere tedesco Lehmann estrasse dal calzettone un foglio
sul quale erano riportate le indicazioni fornite dagli analisti sui rigoristi avversari. Le
previsioni si verificarono e la squadra tedesca riuscì a superare il turno.
È noto che tutti i giocatori hanno un “lato naturale”: quasi tutti, infatti, esprimono
maggiore potenza quando calciano la palla con il collo del piede, il che significa che
per i destri è più facile tirare a sinistra e per i mancini a destra. Tuttavia, il rigorista
non calcerà sempre sul suo lato naturale perché il portiere, conoscendo questa
informazione, potrà anticipare la sua mossa. Il tiratore deve pertanto controbilanciare
calciando dalla parte opposta, nella speranza di ingannare il portiere. A sua volta
quest’ultimo, essendo a conoscenza di questa possibilità, valuterà dunque se
scegliere il lato naturale del tiratore o viceversa. Lo spazio di strategia del portiere
consiste in un posizionamento equidistante dai pali della porta, per evitare di favorire
l’avversario. Poiché, una volta fatta la sua scelta, il portiere non avrà tempo di
modificarla sensibilmente, egli cercherà nei limiti del possibile di scegliere la
direzione corretta nella quale buttarsi per anticipare la mossa del rigorista. Si instaura
dunque un gioco senza fine di anticipazioni reciproche.
Come in tutti i giochi non cooperativi, i calci di rigore non prevedono una strategia
pura69
, ovvero una situazione nella quale il rigorista o il portiere scelgono di
compiere sempre la stessa azione. Se così fosse, sarebbe fin troppo facile anticipare
la mossa dell’avversario. Per questo motivo, si ricorre all’applicazione del metodo
minimax per individuare, in strategie miste, la probabilità che rende indifferente uno
68
Cfr. J. Wilson, op. cit., pp. 343-344
69
Cfr. P. Chiappori, S. Levitt, T. Groseclose, Testing Mixed-Strategy Equilibria When Players Are
Heterogeneous: The Case of Penalty Kicks in Soccer, in American Economic Review, vol.92, 2002,
pp. 1138-1151
20
dei due giocatori alle scelte dell’altro. Questo metodo, valido solamente per i giochi a
somma zero, consente infatti di minimizzare la massima perdita possibile o di
massimizzare il minimo guadagno. Lo studioso che prima di tutti ha applicato questo
metodo ai calci di rigore è l’economista spagnolo Ignacio Palacios-Huerta. Dopo
avere esaminato 1417 rigori70
, battuti nei maggiori campionati europei tra settembre
1995 e giugno 2000, Palacios-Huerta ha elaborato la seguente matrice dei payoff per
spiegare le possibilità di successo del rigorista:
Tabella 2
Portiere
Lato destro Lato sinistro
Rigorista Lato destro 70,3 93,7
Lato sinistro 95,5 58,42
Il matematico spagnolo è quindi giunto alla conclusione che per massimizzare la
percentuale realizzativa, il rigorista dovrebbe scegliere il proprio lato naturale nel
61,5% dei casi, mentre per il portiere la strategia ideale migliore consiste nel tuffarsi
verso il lato naturale del rigorista nel 58% dei casi.
Inoltre, in seguito ad un attento esame statistico, Palacios-Huerta è riuscito a
dimostrare che, curiosamente, in più del 95% dei casi le scelte dei giocatori non si
discostano dalle scelte ottimali suggerite dall’applicazione di strategie miste e che,
dunque, i giocatori di calcio applicano intuitivamente e in modo inconsapevole le
strategie suggerite da una corretta applicazione della teoria dei giochi.
2.3 Analisi del discorso
I testi che trattano i calci di rigore dal punto di vista scientifico provengono
principalmente dall’ambiente saggistico e della letteratura accademica. Sebbene la
scienza dello calcio trovi ampio spazio su quotidiani e riviste di taglio popolare, il
suo utilizzo è spesso dozzinale o, nel migliore dei casi, marginale rispetto alla
trattazione discorsiva. Per questo motivo, confidando in un maggiore livello di
dettaglio qualitativo, abbiamo scelto di prendere in esame degli stralci tratti
dall’ambiente della letteratura sportiva. Il risultato è una raccolta di testi, accomunati
70
Cfr. I. Palacios-Huerta, Professionals Play Minimax, in Review of Economic Studies, vol.70, 2003,
pp. 395-415
21
da un framing di tipo scientifico nei quali il calcio di rigore viene presentato secondo
prospettive molto diverse, al fine di effettuare un’analisi il più possibile ampia delle
pratiche discorsive ad esso rivolte.
Il primo testo al quale applichiamo la nostra analisi del discorso si colloca all’interno
di un saggio che descrive il percorso che ha portato all’istituzione del calcio di
rigore, i meccanismi psicologici che coinvolgono portiere e rigorista e, infine, offre
un panorama sui contributi scientifici che lo riguardano.
Nel 1988, W.Kuhn realizzò un articolo scientifico dal titolo Penalty Kick Strategies for
Shooters and Goalkeepers71
. In questo articolo, Kuhn descrisse ogni tiro più veloce dei
75 km/h come veloce, e qualsiasi altro sotto quella soglia da lento a mediamente veloce.
Kuhn dimostrò che un tiro mediamente veloce (20,83 millimetri al secondo) impiega
600 millisecondi per raggiungere la porta. Un tiro molto veloce – 27,77 millimetri al
secondo – impiega 400 millisecondi per raggiungere la porta. Kuhn dimostrò che il
portiere che voglia salvare un attacco alla porta a più di 20,83 millimetri al secondo
deve iniziare il proprio movimento al momento dell’impatto tra piede e palla o prima.72
Ad una prima lettura, il testo vuole fornire un consiglio pratico a colui il quale voglia
tentare di parare un calcio di rigore. Per raggiungere il suo obbiettivo, come
vedremo, l’autore fissa il proprio sguardo sulla palla, l’essere agito, piuttosto che
sugli attanti. Il naturale processo trasformativo del calcio di rigore viene stravolto e
presentato come deterministicamente causato. Nel discorso sviluppato dall’autore,
infatti, siamo in presenza di un processo di performanza che si realizza
perfettamente. L’azione del calciare viene presentata come un essere a sé stante: si
menziona l’effetto dell’azione – il movimento del pallone – senza fare alcun
riferimento a colui il quale l’ha prodotta, il rigorista. Modificare l’ontologia del tiro
distoglie l’attenzione dalla componente umana del fenomeno e consente
all’enunciatore di identificare l’esperienza del calcio di rigore come un fenomeno
prettamente fisico e matematico nel quale sono i numeri a fare la differenza.
Come richiede il discorso scientifico73
, l’enunciatore è completamente assente dal
discorso e Miller, quasi a voler ulteriormente mitigare la propria posizione rispetto
71
In corsivo nel testo originale
72
C. Miller, op. cit., p. 164
73
Cfr. E. Agazzi, Il significato dell’oggettività nel discorso scientifico, in L’oggettività della
conoscenza scientifica, a cura di F. Minazzi, FrancoAngeli, Milano, 1996, pp. 19-35
22
all’enunciato in favore di una maggiore oggettività, arriva a citare il lavoro di un
altro esperto fornendoci un buon esempio di polifonia bachtiniana74
. Infine, l’autore
sfrutta una proprietà del tiro, la velocità, per ricondurre l’intera situazione
comunicativa tra portiere e rigorista alla rapidità di esecuzione del gesto tecnico
(l’atto di calciare e l’atto di parare), svuotando ancora una volta completamente il
discorso della sua dimensione relazionale e applicando un facile riduzionismo.
Il secondo testo che prendiamo in esame è stato scelto come tipico esempio di
discorso scientifico applicato al calcio di rigore: come vedremo, infatti, gli strumenti
analitici occupano una posizione predominante rispetto ai partecipanti e, anche in
questo caso, l’attenzione è posta più sui processi conativi che sugli attanti.
Per costruire un modello del tuffo compiuto dal portiere, David Kerwin e io
esaminammo dettagliate immagini video di numerosi tentativi di parata in condizioni di
gioco reale e le integrammo con misurazioni parallele delle complesse forze di reazione
sul terreno relative al tuffo del portiere, effettuate su una pedana di contatto fornita di
apposita strumentazione. Dando per scontato che le telecamere digitali siano in grado di
fornire immagini stereoscopiche dell’azione, è stato possibile ottenere le coordinate
tridimensionali dei movimenti del portiere e registrarne l’istante esatto in cui il pallone
varcava la linea di porta.75
Nella sua enunciazione, Bray utilizza una consistente ridondanza lessicale per creare
nel lettore i presupposti circa la razionalità del proprio lavoro: le immagini sono
“dettagliate”, la strumentazione è “apposita”, l’istante oggetto della misurazione è
“esatto”. Questo meccanismo produce una sorta di incantamento che ha un effetto
tautologico, assiomatico, volto a guidare il processo di decodificazione del lettore
favorendo l’accettazione del concetto proposto dall’autore. Lo stesso codice con il
quale Bray descrive la metodologia utilizzata dimostra un livello di specificità che, se
da un lato vuole fornire al lettore gli strumenti per una più completa comprensione
del discorso, dall’altro accresce l’autorevolezza dell’enunciato e la sua efficacia
argomentativa.
La scomposizione del calcio di rigore in unità di analisi supera la classica interazione
fra i tre attori in gioco – pallone, portiere e rigorista – e la fa scomparire sotto
74
Cfr. M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino, 2002
75
K. Bray, op. cit., p. 258
23
l’occhio constativo di Bray, come mostra l’assenza nell’enunciazione degli elementi
tipici della meta-funzione interpersonale (deittici, embrayeurs, pronomi). Il discorso
sviluppato da Bray limita il campo discorsivo del calcio di rigore agli strumenti
utilizzati per analizzarlo, con il risultato di oggettivarlo: modificando il percorso
generativo del senso, Bray trasforma il discorso, per dirla con le parole di
Wittgenstein, in uno dei «fatti del mondo»76
.
Infine, il terzo ed ultimo testo al quale facciamo riferimento è tratto dall’opus
magnum di Kuper e Szymanski che, sulla scia dell’entusiasmo suscitato da
Moneyball, sono stati fra i primi a pubblicare un saggio econometrico sul mondo del
calcio.
Se un calciatore sa quante sono le sue possibilità di segnare per i due lati della porta,
anche rispetto alla direzione in cui si tuffa il portiere, può stabilire quali percentuale di
rigori indirizzare sul suo lato naturale per massimizzare la possibilità di fare gol. Un
giocatore destro non piazzerà il 100% dei propri tiri alla destra del portiere, il suo lato
naturale, perché in questo modo diventerebbe prevedibile; gli basterà anche solo una
minima variazione, persino calciare a destra solo nel 99% dei casi, per aumentare le
probabilità di successo, insinuando il dubbio nella mente del portiere avversario.77
Il testo richiama la dialettica interattiva tipica del calcio di rigore analizzato
con gli strumenti della teoria dei giochi. Il discorso è infatti incentrato, a
differenza dei due casi proposti in precedenza, sugli attanti e, solo
secondariamente, sull’impersonale gesto tecnico che porta all’eventuale
trasformazione del calcio di rigore. All’attento lettore non sfuggirà di certo la
scelta lessicale di utilizzare termini afferenti al linguaggio matematico come
elementi di categorizzazione volti a rafforzare l’oggettività dell’enunciato.
A differenza dei testi precedenti, in questo caso l’enunciatore mette in primo
piano il processo decisionale dei partecipanti e, dunque, lascia intravedere al
lettore uno spiraglio nel quale le scelte individuali dei singoli attori
acquisiscono un ruolo predominante rispetto alla mera dimensione dell’analisi
scientifica. L’autore non vuole portare il lettore all’assunzione di una verità
dogmatica basata su calcoli matematici, bensì propone un’interpretazione del
76
F. Crespi, Sociologia del linguaggio, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 45
77
S. Kuper, S. Szymanski, op. cit., p. 122
24
fenomeno basata sulla coerenza logica. Il fenomeno descritto è però molto
dinamico: la preminenza dei partecipanti e le circostanze non sono definite una
volta per tutte ma variano, e vanno dunque valutate caso per caso. Partendo dal
presupposto che il giocatore non calcerà sempre sul proprio lato forte,
l’enunciatore introduce l’asserzione tautologica “in questo modo diventerebbe
prevedibile” per arrivare ad una conclusione che, per quanto logicamente
corretta, non aggiunge nulla al piano del contenuto informativo ma tradisce la
volontà di significazione78
dell’enunciatore.
78
Cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1984, pp. 30-32
25
Conclusioni
In questo lavoro di analisi abbiamo cercato di fornire un resoconto delle pratiche in
atto nel campo discorsivo del calcio di rigore. In particolare, nella prima parte della
presente ricerca l’attenzione è stata rivolta al ruolo del caso e della fatalità nella
costruzione mitica di significato. Nella seconda parte, invece, siamo partiti dal
processo di scientifizzazione del gioco del calcio per giungere alle pratiche
discorsive che lo riguardano e abbiamo analizzato la semiotica narrativa tipica del
discorso scientifico.
L’attenta analisi dei testi presi in esame, analizzati come oggetti culturali, ci ha
permesso di rilevare le pratiche discorsive che sottendono alle due diverse visioni del
calcio di rigore. Nel primo caso, i discorsi si basano sul senso comune come
strumento per marcare la componente aleatoria e creare una mitologia del calcio di
rigore. L’uomo è messo in secondo piano rispetto alla fatalità e ad essa deve piegarsi.
In questa visione l’improvvisazione, l’estro, l’ispirazione, il merito, sono tutte
possibili chiavi di lettura al servizio di colui il quale contempli il mistero sfuggente
dell’imprevedibilità del mondo. Ciò che emerge dal discorso scientifico, invece, è
una costruzione di senso basata su constatazioni empiriche nella quale la causalità si
sostituisce alla casualità e l’uomo, con il suo strumenti, può decifrare l’amorfo del
contingente per tramutarlo in realtà. L’esperienza individuale scompare, a favore
della logica della replicabilità. Il discorso oggettivato, impersonale, trascende rispetto
alla figura umana: se, da un lato, questa caratteristica nobilita l’autorevolezza del
discorso, dall’altro lo astrae e lo riconduce ad una visione del mondo che sottostima
la dimensione relazionale del calcio di rigore. Questa componente viene invece
esaltata dall’applicazione della teoria dei giochi che, a nostro avviso, sembra essere
una felice sintesi dei due punti di vista: formale e analitica, ma anche attenta alle
proprietà dell’individuo. Dal nostro punto di vista, il campo discorsivo del calcio di
rigore è abbastanza ampio perché i due discorsi possano coesistere – o escludersi, a
seconda del punto vista dell’osservatore. Ci sentiamo inoltre di ipotizzare una loro
futura contaminazione: la natura di qualsiasi gioco che abbia come strumento una
sfera e come attori degli uomini non può escludere la casualità, e le intuizioni
scientifiche, portandoci ad una comprensione più profonda dei fenomeni, ci
consentiranno un piacere ancora maggiore.
26
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Il campo discorsivo del calcio di rigore

  • 1. CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE E SOCIETÀ IL CAMPO DISCORSIVO DEL CALCIO DI RIGORE Elaborato finale di: Pietro Moneta Relatore: Prof. Federico Boni Anno Accademico 2013/2014
  • 2. INDICE Introduzione p.1 1. Il sentire comune 1.1 Il linguaggio del calcio e i suoi segni p.3 1.2 L’istituzione del calcio di rigore p.5 1.3 Il mito del calcio di rigore p.7 1.4 Analisi del discorso p.10 2. Il discorso scientifico 2.1 La scientifizzazione del gioco p.14 2.2 L'applicazione della teoria dei giochi al calcio di rigore p.18 2.3 Analisi del discorso p.20 Conclusioni p.25 Bibliografia e altre fonti p.26
  • 3. 1 Introduzione Il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein è uno dei testi filosofici più importanti del Novecento. La prima delle sette asserzioni principali proposte dal padre della filosofia analitica recita «il mondo è tutto ciò che accade»1 . A partire da questa considerazione, ritengo che tutto – o quasi tutto – debba essere trattato seriamente e che considerare il mondo secondo ragione voglia innanzitutto dire essere trattato dallo stesso con altrettanta considerazione. Nemmeno il calcio sfugge a tale logica e la serietà si impone anche in questo caso perché, con i suoi poeti e prosatori, è assimilabile a un vero e proprio linguaggio, composto da un sistema di segni universali. Pasolini negli anni Settanta definì il calcio «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo»2 , riprendendo un concetto già espresso da Barthes nel breve saggio “Lo sport e gli uomini”3 . Con il passare del tempo anche l’analisi scientifica è entrata nei campi di calcio con la statistica, che ha fornito – e continua a fornire, in modo sempre più dettagliato – preziose indicazioni per tutti coloro che si vogliono approcciare a questa disciplina e che ha contribuito, con la sua sistematicità, a sfatare alcune illogiche consuetudini. Il presente lavoro di ricerca propone un’analisi del discorso con l'obbiettivo di fornire una serie di felici riflessioni sul momento più drammatico di una partita di calcio, capace di turbare gli animi di milioni di persone e di creare, in alcuni casi, dei veri e propri drammi collettivi: il calcio di rigore. La prospettiva teorica e metodologica entro la quale tracciamo il percorso della nostra ricerca è quella dell’analisi del discorso. Tale metodologia qualitativa poggia sui capisaldi della linguistica e ci consente di valutare il discorso come pratica sociale. In questo particolare contesto teorico in cui il legame circolare tra metodologia e teoria è sfumato, il corpus di testi al quale abbiamo applicato gli strumenti più comuni dell’analisi del discorso, si compone di manufatti di origine giornalistica e saggistica selezionati badando all'armonia del rapporto tra oggetto e sguardo analitico per comporre un insieme completo ed organico di pratiche discorsive sul calcio di rigore. 1 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino, 1964, p. 5 2 J. Foot, Calcio. 1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia, BUR, Milano, 2010, p. 362 3 Cfr. R. Barthes, Lo sport e gli uomini, Einaudi, Torino, 2007
  • 4. 2 Nel primo capitolo di questa tesi valuteremo dapprima il ruolo del gioco nella competizione calcistica attraverso l’analisi dei segni e del linguaggio del gioco del calcio e, successivamente, guarderemo in particolare al calcio di rigore e alla sua narratologia. Al fine di verificare l’esistenza e l’efficacia di tali pratiche discorsive, sottoporremo alcuni testi all’analisi del discorso identificando gli elementi che le costruiscono. Nel secondo capitolo, invece, l’attenzione sarà rivolta al processo di scientifizzazione del gioco del calcio – e specificamente del calcio di rigore – come fondamento sorgivo di nuove pratiche discorsive. Passando attraverso le prospettive scientifiche più recenti, analizzeremo infine un diverso corpus di testi al fine di esaltare le differenze dianoetiche tra i diversi discorsi.
  • 5. 3 1. Il sentire comune 1.1 Il linguaggio del calcio e i suoi segni Il calcio ha da tempo smesso di rappresentare soltanto un gioco. La dimensione planetaria del fenomeno e lo stretto legame con altri sistemi – la comunicazione, l’economia, la politica – lo hanno reso una pratica sociale identitaria e universale: «la patria, la bandiera, la nazione, lo spettacolo, l’autorità, le regole, il clan, la tribù, i simboli religiosi, i conflitti sono tutti elementi che fanno del football uno strumento di identificazione»4 . La sua portata è tale da coinvolgere, direttamente o indirettamente, la quasi totalità della popolazione terrestre: l’ente che governa il mondo calcistico, la Fédération Internationale de Football Association o FIFA, può contare su un numero di nazioni aderenti superiore a quello l’ONU5 . L’integrazione del calcio nella realtà quotidiana è tale che alcuni pensatori hanno addirittura tentato di dimostrare, con discreto successo, l’esistenza di un rapporto diretto tra i metodi di gioco e i sistemi produttivi del Novecento6 e l’influenza del gioco nella struttura sociale e politica delle comunità, accompagnando, alimentando e scandendo il ritmo di rivoluzioni e dittature7 . In quanto pratica sociale altamente ritualizzata, il calcio è stato oggetto di attenzione da parte della sociologia, in particolare degli studi di Elias e della Scuola configurazionale britannica8 . La dimensione rituale e codificata del calcio, in grado di canalizzare la violenza nella competizione sportiva e di fungere da elemento catartico di concentrazione e scarico emotivo, divenne infatti un tema rilevante nella produzione del sociologo tedesco9 . Il processo di civilizzazione di Elias va letto alla luce del processo di sportivizzazione in atto in Inghilterra alla fine del XIX secolo: è in questo periodo, infatti, che vengono stabilite delle regole condivise da giocatori e spettatori. Il calcio di fine Ottocento è una pratica molto regolata, organizzata e narrativizzata. Dal punto di vista semiotico, siamo agli albori della creazione di un vero e proprio linguaggio, che ha nei giocatori i suoi poeti e prosatori e nell’arbitro e nei suoi assistenti i custodi della sua grammatica. 4 D. Camilli, Contropiede, nottetempo, Roma, 2007, pp. 21-22 5 Cfr. N. Porro, Sociologia del calcio, Carocci editore, Roma, 2008, pp. 9-10 6 Cfr. D. Camilli, op. cit. 7 Si veda ad esempio: F. Foer, Come il calcio spiega il mondo, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2007 ma anche S. Kuper, Calcio e potere, Isbn Edizioni, Milano, 2008 e L. Zacchetti, Social football, Affari Italiani Editore, Milano, 2012 8 Cfr. S. Martelli, Sport, media e intrattenimento, FrancoAngeli, Milano, 2011, pp. 13-16 9 Cfr. N. Elias, E. Dunning, Sport e aggressività, Il Mulino, Bologna, 2001
  • 6. 4 In uno dei più celebri saggi di Pasolini10 , che oltre ad essere un intellettuale e uno scrittore straordinario fu anche un profondissimo semiologo, ritroviamo le tracce di questo discorso: egli analizza le forme del gioco del calcio come traduzioni di stili di scrittura, contrapponendo lo stile geometrico “in prosa” europeo, basato su un gioco di squadra regolato da posizioni fisse, e quello “poetico” sudamericano11 , la cui specificità è quella di permettere a chiunque, da qualunque posizione, di puntare alla porta avversaria. L’artificio usato da Pasolini per introdurre tale concetto richiama le basi stesse della linguistica: se le parole del linguaggio del calcio si formano come le parole del linguaggio scritto e parlato, allora esse si formano a partire da una “doppia articolazione”, ossia attraverso le innumerevoli combinazioni dei fonemi. Dopo aver definito l’unità minima della lingua del calcio – un “podema”, nel lessico pasoliniano – come “un uomo che usa i piedi per calciare un pallone”, ad esso si possono applicare le regole classiche della linguistica: le combinazioni di “podemi” andranno dunque a formare delle “parole calcistiche” e l’insieme di queste ultime andrà a costituire un vero e proprio “discorso calcistico”, che troverà la propria espressione sintattica migliore nella partita. In particolare, Pasolini individua nel dribbling il momento magico dell’agone calcistico, perché produce uno scarto semantico che fa saltare la sintassi e consente il passaggio dalla prosa alla poesia12 . Allargando il discorso alla filosofia del linguaggio e all’ermeneutica, la concezione pasoliniana del calcio è affine a quella di Wittgenstein: il gioco è proprio di coloro i quali, applicando un sistema di regole, si muovono nella grammatica dei giochi linguistici. Una curiosa circostanza vuole che Wittgenstein, secondo quanto è riportato dal suo allievo Malcolm, fu colpito dall’idea che con il linguaggio si facciano dei giochi linguistici proprio «passando accanto ad un campo sportivo dove era in corso una partita di calcio»13 . Le azioni non sono semplicemente un mezzo ma un modo di essere dei giocatori, proprio come il linguaggio non è un mezzo ma un modo di essere degli uomini. In Verità e Metodo14 , Gadamer propone invece una diversa prospettiva: il gioco si 10 Cfr. P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti, S. De Laude, Mondadori, Milano, 1999, pp. 2545-2551 11 Si veda anche P. Demuru, Lo stile, il gioco, la storia. Piccola semiotica (culturale) del calcio brasiliano, in Mitologie dello sport. 40 saggi brevi, a cura di P. Cervelli, L. Romei, F. Sedda, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2010, pp. 151-160 12 Cfr. D. Pessach, Semiotica del calcio in tv, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni, 2013, p. 26 13 N. Malcolm, A Memoir, Oxford University Press, Oxford, 2001, p. 55 14 Cfr. H. G. Gadamer, Verità e metodo, tr.it. a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano, 1995, p. 138
  • 7. 5 produce attraverso i giocatori che ne partecipano, tanto che ogni giocare è al tempo stesso un essere-giocato. A differenza di Wittgenstein, in Gadamer esiste dunque un primato del gioco che supera la coscienza di chi gioca, e la prospettiva dei parlanti è superata dalla prospettiva comune del gioco15 . Il linguaggio del calcio prevede pertanto un’intima relazione tra i cifratori di questo linguaggio, i calciatori, e i suoi decifratori, gli spettatori. A ben vedere, a differenza di altre pratiche sociali paragonabili per certi versi alla fruizione di una partita di calcio, nella competizione calcistica lo spettatore non è solamente osservatore ma è anche attore: egli partecipa allo spettacolo e ne costituisce allo stesso tempo una parte integrante16 . Il calcio è, a tutti gli effetti, un contesto nel quale guardare diventa fare, sia per il rapporto tra il giocatore e il gioco, sia per l’intensità emotiva che comporta, come testimoniano molti libri di narrativa sportiva17 . Nel corso dell’ultimo secolo, il calcio professionistico ha visto rafforzarsi il suo rapporto con l’entertainment18 e per sua natura necessita ora della presenza di un ulteriore giocatore, il pubblico, che, lo ricordiamo, nella concezione ermeneutica gadameriana è il solo ad avere la facoltà di cogliere la vera natura del gioco, una possibilità che va oltre a quella dei contendenti. Se il campo è lo spazio della rappresentazione e della performanza, gli spalti rappresentano pertanto uno spazio scopico-cognitivo. Proprio da qui vogliamo attingere per la nostra analisi del discorso, dallo sguardo sapiente del pubblico, o meglio, dalle analisi scritte di alcuni suoi membri privilegiati: i giornalisti sportivi. In particolare, ci concentreremo sul calcio di rigore come massima espressione del conflitto, simbolico, che si realizza nella competizione calcistica. 1.2 L’istituzione del calcio di rigore Prima di addentrarci nella nostra analisi, riteniamo necessario dare uno sguardo alla storia e alle motivazioni che hanno portato all’introduzione del calcio di rigore, al fine di svelare ciò che avrebbe dovuto essere il calcio di rigore nelle intenzioni di chi lo ha introdotto. 15 Cfr. G. Desiderio, Il divino pallone, Vallecchi, Firenze, 2010, pp. 88-90 16 Cfr. R. Barthes, op. cit., p. 47 17 Uno su tutti: N. Hornby, Febbre a 90’, Guanda, Parma, 1997 18 Cfr. S. Martelli, op. cit, pp. 7-50
  • 8. 6 A differenza di quanto si possa pensare, il primo ideatore del calcio di rigore fu un portiere irlandese, al secolo William McCrum19 . In un’epoca nella quale il calcio si vantava di non essere afflitto dal professionismo, egli era direttore di un’industria tessile e membro attivo del Direttivo della Federcalcio irlandese. Fino a quel momento, i falli commessi nei pressi della porta venivano sanzionati con una punizione battuta da dove si era verificata l’infrazione ma, poiché persino nelle partite amatoriali i difensori adottavano misure sempre più irruente per evitare che gli avversari segnassero, McCrum suggerì di concedere un tiro diretto dalla distanza di 12 yard. Il fondamento ideologico alla base di questa innovazione era quello di difendere il fair play del gioco e di limitare le scorrettezze fra gentlemen. Quest’ultimo aspetto creò però forti tensioni all’interno del movimento calcistico: il calcio di rigore suscitò molta indignazione tra gli sportivi dell’epoca. Gli oppositori della proposta di McCrum sostenevano infatti che sarebbe stato offensivo introdurre una norma che presupponeva che dei gentlemen adottassero volutamente un comportamento disonesto. In una prima fase, la norma fu introdotta a livello locale e la maggior parte dei rigoristi si rifiutò di calciare o fallirono intenzionalmente e molti portieri lasciarono vuota la porta. Cercando di entrare nello spirito del gioco del tempo, il calcio di rigore porta all’acutizzarsi del confine tra collettivismo ed individualismo: viene dunque da chiedersi se sia corretto – e fino a che punto – affidarsi all’abilità di un singolo in uno sport di squadra. Nonostante l’iniziale reticenza dell’International Football Association Board, l’ente preposto a valutare qualsiasi modifica ed innovazione delle regole del gioco del calcio, il rigore fu istituito ufficialmente a Glasgow il 2 giugno del 189120 . Da allora, gli oppositori del calcio di rigore dimostrarono di essere dei veri e propri gentlemen, perché mutarono il proprio orientamento in virtù dell’istituzione della norma, riconoscendo dunque alla regolamentazione un valore morale superiore rispetto al sentimento che fino ad allora li aveva accompagnati. Dalla sua istituzione, numerose sono state le innovazioni che hanno riguardato il calcio di rigore: in particolare, ebbe una notevole influenza sul gioco l’introduzione nel 1929 del divieto per il portiere di allontanarsi dalla riga di porta prima che la palla fosse calciata. Fino ad allora, infatti, al portiere era consentito avanzare fino a raggiungere una linea posta a cinque metri e mezzo da quella di porta: tale facoltà 19 Cfr. J. Wilson, Il portiere, Isbn Edizioni, Milano, 2013, pp. 347-348 20 Cfr. C. Miller, He Always Puts It to the Right, Victor Gollancz, London, 1998, pp. 11-27
  • 9. 7 rendeva tuttavia così complicato il compito del rigorista che molte squadre praticavano volutamente un gioco scorretto per raggiungere ad ogni costo la vittoria, preferendo concedere all’avversario un calcio di rigore di difficile realizzazione piuttosto che consentirgli una facile marcatura. Con la modifica del Regolamento del Giuoco del Calcio21 del 1929, l’IFAB utilizzò dunque nuovamente il calcio di rigore come strumento per disciplinare il comportamento scorretto dei giocatori, tutelò l’amore vittoriano dei fondatori del gioco per la sportività e pose le basi normative per la versione attuale del calcio di rigore. A partire da questa breve digressione, è a nostro avviso possibile guardare con maggiore chiarezza ai discorsi che oggi lo riguardano. Il nostro intento è inoltre quello di avere fornito al lettore al contempo gli elementi necessari per apprezzare lo scarto tra la concezione originaria del calcio di rigore e quella più recente, aprendo uno spiraglio nel quale egli possa intravedere l’evoluzione del discorso che andremo ora ad approfondire. 1.3 Il mito del calcio di rigore Nella semiologia del linguaggio barthesiana, il mito «è un sistema di comunicazione, un linguaggio»22 . Più specificamente, in Barthes il mito si edifica sulla base di un sistema semiologico secondo: il segno, vale a dire il totale associativo di un significante primario e di un significato primario, diviene mito nella maggiorazione portata da un significato secondo. Il semiologo distingue dunque fra due livelli di significazione e attribuisce ad essi delle caratteristiche differenti: la significazione primaria, che è propria della lingua, produce un linguaggio-oggetto, mentre la significazione secondaria, mitica, corrisponde ad una seconda lingua nella quale si parla della prima e dunque si tratta, a tutti gli effetti, di un metalinguaggio. Sfruttando questo articolato sistema di significazione, il mito si presenta a noi come un’accumulazione culturale nella quale si vanno a sommare i significati. I valori si trasformano in stereotipi indiscussi, il culturale in naturale, e la chiarezza che ne deriva non è quella della spiegazione, ma quella della constatazione23 . 21 Disponibile online all’indirizzo: http://www.aia-figc.it/download/regolamenti/reg_2013.pdf 22 R. Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1994, p. 191 23 Id., ibidem, pp. 233-234
  • 10. 8 Se una partita di calcio è in grado di esaltare la classica trilogia aristotelica, in quanto possiede unità di luogo, di tempo e di azione, questo paradigma viene esaltato in modo particolare dal calcio di rigore: che si tratti di un episodio al quale assistiamo in prima persona o di un evento mediato, generalmente dal mezzo televisivo24 , esso incarna uno dei momenti di massima catalizzazione emotiva. Il calcio di rigore rappresenta infatti la sintesi estrema di quel conflitto simbolico in grado di esaltare gli elementi di arcaicità e di tribalismo insiti nella competizione calcistica. Il calcio viene ridotto ai suoi elementi essenziali (palla, porta, attaccante, portiere) che, in quanto tali, sommano l’attenzione degli aspetti tecnici e di quelli psicologici. Il calcio di rigore è dunque un momento fortemente patemico, per i giocatori ma anche per chi assiste perché, come abbiamo già sottolineato, nel calcio guardare è anche fare. Le caratteristiche sopra elencate, proprie dei calci di rigore, sembrano dunque impeccabilmente adatte ad aderire ed esaltare l’immaginario collettivo, tanto che alcuni di essi si proiettano direttamente dal mito alla leggenda25 . Nella semiosfera26 calcistica, il tema si presta pertanto felicemente alla mitopoiesi27 così come all’evocazione di un capro espiatorio28 . Un importante elemento che partecipa alla costruzione del mito del calcio di rigore è la natura dinamica e trasformativa di quest’ultimo. Secondo la prospettiva platonica, infatti, il calcio di rigore è la possibilità di trasformare il tiro dal dischetto in gol. Il passaggio da potenza ad atto, il raggiungimento di un esito certo – sia esso un rigore segnato o un rigore sbagliato – si compie tramite il calciatore, che possiede le caratteristiche di un’entelechia in quanto ha la capacità di muovere senza essere mosso. La componente aleatoria si poggia dunque su questo processo trasformativo e modifica la sostanza originaria del calcio di rigore, attribuendole una forma nuova. Quando ciò avviene e il calcio di rigore viene svestito del simbolismo della sua natura conflittuale e rivestito di fatalismo, assume le sembianze di un mito barthesiano. Nella narratologia del calcio di rigore, l’interazione e l’incontro tra il 24 Cfr. S. Martelli, Sport, media e intrattenimento, FrancoAngeli, Milano, 2011, pp. 67-109 25 Fra i tanti, alcuni fra gli esempi più recenti a livello nazionale legati all’immaginario collettivo sono le serie di rigori delle finali della Coppa del Mondo FIFA 1994 e 2006 26 Cfr J. Lotman, La semiosfera, Marsilio Editori, Venezia, 1985 27 Per un’ampia, seppur parziale, raccolta di calci di rigore che hanno alimentato l’immaginario collettivo rimandiamo a: J. Wilson, op. cit., pp. 336-371 28 Si veda ad esempio: G. Bianconi, A. Salerno, L’ultima partita, Fandango Libri, Roma, 2010, nel quale viene raccontata la tragica storia di Agostino Di Bartolomei, morto suicida nel 1994, esattamente a dieci anni di distanza dalla finale di Coppa Campioni giocata a Roma nella quale, da capitano della AS Roma, sbagliò un decisivo calcio di rigore
  • 11. 9 soggetto e l’anti-soggetto, in bilico tra l’irripetibilità e la precarietà del momento, lasciano il posto ad un’entità astratta ma dalle conseguenze reali: il fato. Questa pratica è così comune da essere diventata a tutti gli effetti un vero e proprio discorso sociale. Secondo Pessach29 , la narratologia del calcio utilizza strumentalmente la fortuna al fine di esorcizzarla e di presentarla negativamente come fattore esterno all’ordine. La fortuna, il fato, sono fattori minacciosi in quanto anti-borghesi. Welte30 , dal canto suo, spiega invece il fascino dei giochi di fortuna ricorrendo ad una spiegazione filosofica e valutandoli come elemento simbolico della vita umana, con la quale giochiamo e dalla quale siamo giocati. In Callois, ancora, «ciò che si esprime nei giochi non è diverso da quanto esprime una cultura. La motivazione profonda coincide»31 . Secondo il sociologo francese, la fatalità costituisce – assieme all’agonismo, al mascheramento e al rischio – uno dei quattro impulsi essenziali del rapporto tra uomo e gioco. Il mito del calcio di rigore sembra avere a tutti gli effetti le caratteristiche barthesiane di una constatazione basata sul senso comune, su una verità che si attesta nell’ordine arbitrario di chi la racconta. Più in generale, qualsiasi sia l’ideologia che porta ad associare il mito del calcio di rigore al fato, è importante sottolineare quanto questa pratica sia ormai intrisa di senso comune. È una pratica condivisa, basata su un fondo comune di conoscenza pregiudiziale che tutti dovrebbero accettare in quanto attingibile dall’esperienza ordinaria, senza il bisogno di competenze specifiche. Per fare un esempio di queste evidenze immediate e spesso illusorie, basti pensare alle innumerevoli volte in cui abbiamo sentito parlare in modo imprecisato dei calci di rigore come di una “lotteria” o in cui sono retoricamente associati ad una “roulette russa”. Il limite del senso comune, tuttavia, è quello di presentarsi come uno spazio concettuale sfumato, non definibile se non a sommi tratti. Pur riconoscendone una funzione pratica di utilità, la sua vaghezza e imprecisione ne motivano una giusta contrapposizione con gli ambiti propri della conoscenza32 . 29 Cfr. D. Pessach, Semiotica del calcio in tv, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni, 2013, pp. 49-50 30 Cfr. B. Welte, Filosofia del calcio, Editrice Morcelliana, Brescia, 2010, pp. 45-64 31 R. Caillois, I giochi e gli uomini, Bompiani, Milano, 2010, p. 83 32 Cfr. L. Montecucco, Il senso comune come “teoria” e come “limite”, in Valore e limiti del senso comune, a cura di E. Agazzi, FrancoAngeli, Milano, 2004, pp. 57-72
  • 12. 10 Andremo ora a verificare, nei testi presi in esame, la presenza di elementi tipici e ricorrenti tali da giustificare le teorie sinora esposte sulla mitologia del calcio di rigore. 1.4 Analisi del discorso Il materiale preso in esame in questa analisi del discorso è scritto e appartiene alla categoria della stampa quotidiana. Come qualsiasi lavoro che voglia avere una vocazione scientifica, la presente ricerca tende alla generalizzazione. Per questo motivo, al fine di dimostrare l’esistenza e il perdurare del mito del calcio di rigore, sono stati scelti dei testi che si collocano nell’arco temporale degli ultimi due decenni. I testi sono stati selezionati, secondo la tradizione dell’analisi del discorso, sulla base di un interesse strumentale, al fine di evidenziare il precipitato delle pratiche discorsive che li producono33 . In particolare, ci soffermeremo sulla titolazione come elemento chiave nella tematizzazione e nella selezione degli aspetti che, agli occhi dell’emittente, vale la pena sottolineare. Tabella 1 Corriere della Sera La Stampa La Gazzetta dello Sport Titolo “Abbiamo meritato, La scommessa Gigi vince alla lotteria Dio l’ha voluto” 34 dei rigori35 “Non c’è rispetto per me”36 Il primo articolo sul quale ci soffermiamo in questa analisi è apparso sul Corriere della Sera a cura di Perrone, il giorno successivo alla Finale del Campionato Mondiale di Calcio 1994. La gara terminò ai calci di rigore e vide l’affermazione della Nazionale brasiliana sulla compagine azzurra. La titolazione, che riporta una dichiarazione del rigorista brasiliano Bebeto, recita: «Abbiamo meritato, Dio l’ha voluto». La titolazione, nella quale viene riportato il discorso diretto al fine di avvicinare lettore ed enunciatore, funge da elemento di framing, facilita l’interpretazione del lettore e la porta in un campo comune a quello dell’emittente. Dal punto di vista rappresentativo, nel discorso diretto riportato da Perrone il 33 Per un approfondimento: D. Anselmi, Il discorso dei media, Carocci editore, Roma, 2009, pp. 7-16 34 R. Perrone, “Abbiamo meritato, Dio l’ha voluto”, Corriere della Sera, 18 luglio 1994, p. 39 35 R. Beccantini, La scommessa dei rigori, La Stampa, 29 maggio 2003, p. 1 36 M. Cecchini, Gigi vince alla lotteria “Non c’è rispetto per me”, La Gazzetta dello Sport, 1 luglio 2013, p. 3
  • 13. 11 soggetto tematico dell’atto enunciativo è, seppur implicitamente, la Nazionale brasiliana. Siamo in presenza di un processo relazionale37 , dell’essere, che vede coinvolti due partecipanti: la Nazionale brasiliana e Dio. Tale processo può essere ricondotto, per estensione, all’intera genìa di coloro i quali vengono premiati dalla benevolenza divina sulla base di un merito che, proprio in quanto legato ad una componente mistica, non necessita di alcuna spiegazione. Il processo, rafforzato dal modale “volere”, instaura una relazione logica tra le due entità e vuole esprimere, sinteticamente, il legame tra una logica meritocratica autoreferenziale e borghese e la fatale, generosa, volontà divina. Ad ulteriore supporto di questa tesi, citiamo un estratto particolarmente significativo dell’articolo: È il titolo di Bebeto, è il titolo di Senna “perché ho mio figlio appena nato nel cuore, ma la Coppa è di Ayrton che sta nel cielo insieme con il Signore e che adesso, da dove si trova, starà sorridendo”.38 Anche in questo caso il riferimento al divino è esplicito. Bebeto si spinge addirittura oltre, menzionando l’indimenticabile pilota sportivo brasiliano Ayrton Senna ed introducendo dunque nel discorso un riferimento extra-testuale attraverso il quale viene espressa una relazione parergonale39 tra il discorso sulla divinità e il discorso sul merito. La vittoria e la sua celebrazione vengono infatti presentate come un premio, destinato a compensare la tragica e prematura scomparsa di Senna. Perrone sfrutta il meccanismo della ripetizione anaforica per porre sullo stesso piano enunciativo i due sportivi e crea dunque il presupposto logico che guida il lettore ad una più facile comprensione dell’enunciato allusivo di Bebeto. Il secondo articolo della nostra analisi è l’editoriale tratto da La Stampa il giorno successivo alla Finale di Champions League 2002/2003. Nella titolazione è presente una nominalizzazione in posizione tematica che rimanda ad un processo, ma non alle circostanze dello stesso. Beccantini utilizza sapientemente il processo di nominalizzazione: attraverso questa strumento, egli è in grado di condensare e dare valore generale all’informazione e, allo stesso tempo, di cancellare il ruolo di coloro i 37 Per un approfondimento si veda: M. Halliday, An Introduction to Functional Grammar, Edward Arnold, London, 1985 38 R. Perrone, op. cit., p. 39 39 Cfr. L. Berta, Oltre la mise en abyme. Teoria della metatestualità in letteratura e filosofia, FrancoAngeli, Milano, 2006, pp. 94-110
  • 14. 12 quali hanno preso parte alla sfida ai calci di rigore. Inoltre la nominalizzazione, essendo una tecnica che non prevede modalità, crea impersonalità e occulta la posizione del giornalista rispetto alla proposizione. La pratica discorsiva che accosta il calcio di rigore alla fatalità viene attuata dunque ad un livello meno visibile e, per questo motivo, più profondo, attribuendo una spiegazione causale al termine “scommessa”. Il lessico, inoltre, diviene un utile strumento di categorizzazione al servizio dell’autore, che tenta di indurre il ricevente ad una interpretazione degli eventi che attribuisce ogni responsabilità all’esiziale componente aleatoria. Nel testo, infine, l’autore non manca inoltre di riferirsi ai rigori come eventi “fatali”, parte di una “lotteria” cieca, ricordandocene l’inesorabilità e l’impossibilità per l’uomo di opporvisi. Anche in questo caso, riteniamo opportuno offrire un ulteriore spunto di analisi a conferma delle osservazioni fatte sinora sul presente articolo, riportando l’enunciato iniziale e finale dell’editoriale: Quarant'anni dopo Cesare Maldini, è il figlio Paolo ad alzare al cielo la Champions League […]. Carlo Ancelotti non è più secondo a nessuno. Ha battuto Lippi senza batterlo, c’est la vie.40 Beccantini costruisce il framing dell’articolo menzionando una ricorrenza storica attraverso la quale il lettore dovrà decifrare l’intero editoriale. Le circostanze entro le quali si svolge la competizione sportiva, celate nella titolazione, vengono dunque delineate al principio dell’articolo alludendo ad una ciclicità inevitabile, ad una condizione entro la quale i partecipanti non possono agire liberamente, come se fossero vincolati ad un destino già scritto. Al termine dell’editoriale, tuttavia, Beccantini non manca di fornire al lettore la propria opinione sul tema: l’enunciato si concentra sui due allenatori – referenti metonimici per le due squadre in competizione – e li sottopone ad una comparazione nella quale lo scarto tra i due non viene ricondotto al merito bensì alla fortuna, sminuendo il valore della vittoria. L’asserzione viene rafforzata dall’uso dal dispositivo stereotipante “c’est la vie”, attraverso la quale l’autore contribuisce alla costruzione mitologica del calcio di rigore astraendolo dalla contingenza, come se fosse un fenomeno determinato da altri 40 R. Beccantini, op. cit., p. 1
  • 15. 13 e a priori, che non comporta meriti ma solamente una fortunata combinazione di eventi di fronte ai quali l’uomo è inerte spettatore. Il terzo articolo che prendiamo in esame è tratto da La Gazzetta dello Sport, a cura di Cecchini, e si riferisce alla Finale per il 3°/4° posto della Confederations Cup che ha visto la Nazionale italiana grande protagonista. In questo caso l’appellativo “Gigi” è in una posizione tematica forte e sottolinea l’intenzione dell’enunciatore di mettere in primo piano l’attore principale dell’enunciazione. Cecchini sceglie inoltre il diminutivo come forma espressiva volta ad appagare la vicinanza emotiva del lettore verso il proprio beniamino e, tramite questo artificio, ci informa del proprio atteggiamento41 verso l’attante. In questo modo, seppure per conquistare la simpatia del lettore, Cecchini tradisce in parte il proprio mandato giornalistico, minando l’obiettività della propria retorica. Ciò nonostante, l’utilizzo del presente storico rafforza la posizione di Cecchini rispetto all’enunciazione. La meta-funzione interpersonale, come suggerisce la collocazione dei partecipanti – “Gigi” e la “lotteria” – all’interno del titolo, mette in relazione l’attante e l’oggetto agito e sembra suggerire, anche grazie all’utilizzo della forma verbale attiva, una preminenza del primo su quest’ultimo. L’enunciazione, tramite l’utilizzo del verbo implicativo “vincere”, esprime un atto linguistico42 e sottende, dunque, ad un processo trasformazionale. Tale relazione delinea infatti un processo fisico e prevede un’azione dell’attante sull’agito, che Greimas definirebbe come la fase della performanza43 . Infine, chi guarda il testo secondo uno sguardo semiotico noterà che la titolazione dell’articolo di Cecchini richiama la funzione referenziale del linguaggio44 in quanto presuppone l’aderenza culturale, da parte del lettore, ad un sistema di conoscenze comuni, nelle quali il calcio di rigore viene associato alla fatalità con una naturalezza tale da assumere la chiarezza di una constatazione. 41 Cfr. G. Mantovani, Analisi del discorso e contesto sociale, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 44-49 42 Cfr. J. L. Austin, Come fare cose con le parole, Marietti Editore, Genova, 2000 43 Cfr. A. J. Greimas, Del senso, Bompiani, Milano, 2001 44 Cfr. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1966, pp. 185-186
  • 16. 14 2. Il discorso scientifico 2.1 La scientifizzazione del gioco Parallelamente all’interpretazione semiotica del gioco del calcio, si è andato affermando un genere discorsivo più recente ed in continua evoluzione: quello della scienza del calcio. Le prime tracce di questa disciplina a livello giornalistico e popolare risalgono in Italia all’inizio del Novecento, con la pubblicazione di almanacchi e annuari sportivi e, successivamente, con il settimanale Il Calcio Illustrato, sulle colonne del quale vengono pubblicate le statistiche delle partite45 . A partire da inizio secolo, la statistica viene introdotta come metodo di analisi quantitativo dell’evento sportivo ed entra a fare parte dello storytelling calcistico. La svolta arriva però a partire dagli anni Cinquanta, quando a questo ambito interdisciplinare di studio viene riconosciuta un’adeguata dignità scientifica e si insinua l’idea che gli atleti stessi possano trarre beneficio dai risultati delle ricerche46 . Da allora, lo sguardo analitico della scienza del calcio è diventato uno strumento innovativo ed essenziale nel miglioramento dei singoli gesti tecnici, dell’atteggiamento tattico complessivo e della preparazione atletica. Sebbene inizialmente l’ambito di studio della scienza dello sport sia la cinesica, con il proliferare del mezzo televisivo le potenzialità di questa nuova disciplina crescono esponenzialmente e coinvolgono ogni aspetto della competizione calcistica, favorendone una maggiore comprensione e creando lo spazio per nuove metodologie di allenamento. Simulare un totale controllo delle informazioni, quantificando il gioco del calcio, parcellizzandolo e misurandolo, non ha portato però solamente grandi opportunità ma anche – paradossalmente – maggiori incertezze: l’approfondimento scientifico comporta infatti un grado di complessità che in precedenza non era neanche immaginabile. Se, come sosteneva Lord Kelvin, «misurare è conoscere»47 , diventa dunque importante comprendere che cosa misurare e come farlo e, inoltre, imparare a 45 Cfr. P. Mugnai, La Coppa del Duce, Libreria Sportiva Eraclea, Roma, 2011, pp. 17-85 46 Cfr. K. Bray, How to score, Granta Publications, London, 2006 (trad. it. Perché l’Italia vinse ai rigori con l’Olanda e Beckham tira punizioni imparabili?, Sonzogno Editore, Milano, 2006, pp. 127- 167) 47 V. Mayer-Schönberger, K. Cukier, Big data, Garzanti, Milano, 2013, p. 52
  • 17. 15 correlare i dati reinterpretando le logiche esistenti se non, addirittura, seguendone di nuove48 . Uno dei casi più celebri49 coinvolge il primo vero football analyst della storia: Charles Reep. Dopo aver raccolto dati per quasi vent’anni, nel 1968 pubblica Skill and Chance in Association Football50 assieme a Bernard Benjamin. L’impatto del suo lavoro fu notevole, perché dimostrò per la prima volta l’esistenza di modelli numerici ricorrenti in diversi aspetti del gioco. Il calcio letto attraverso i numeri di Reep è però ancora un processo stocastico, di difficile interpretazione, ma che lascia intravedere le grandi potenzialità del metodo analitico. I risultati dei suoi studi lo fecero diventare il padre teorico del gioco a palla lunga degli inglesi, il cosiddetto “kick and rush”51 . Storicamente, quando la scientifizzazione del gioco del calcio è stata portata alle sue estreme conseguenze, i risultati sono stati notevoli, sebbene la natura della competizione sportiva si fosse spostata significativamente dai piedi dei calciatori alle capacità dei tecnocrati. È noto52 , ad esempio, che Valeri Lobanovskij, il più grande allenatore sovietico del dopoguerra, misurasse le capacità dei propri giocatori attraverso un elaborato programma informatico53 al fine di selezionare gli atleti migliori e di integrarli in un collettivo vincente. Secondo Lobanovskij, l’unica strategia adatta per giocare un calcio rapido ed efficace era quella di ridurre al minimo gli errori: per farlo era necessario che i calciatori fossero programmati ad agire istintivamente sulla base di schemi studiati a tavolino54 . A nostro avviso, non è ipotizzabile l’idea di un agire prestabilito, informatizzato e totalmente dipendente da logiche matematiche; se così fosse, ci troveremmo immersi in una realtà altamente performante, efficiente, ma totalmente inumana. Al di là del tema etico introdotto dall’applicazione della tecnologia, la cui analisi esula dagli 48 Cfr. F. Soriano, Il pallone non entra mai per caso, Vallardi, Milano, 2012, pp. 223-259 49 Cfr. C. Anderson, D. Sally, The numbers game, Penguin Group, London, 2013, pp. 15-21 50 C. Reep, B. Benjamin, Skill and Chance in Association Football, in Journal of the Royal Statistical Society, vol.131, 1968, pp. 581-585 51 In particolare, gli studi di Reep hanno dimostrato che solamente due gol su nove vengono realizzati dopo tre o più passaggi e che viene segnato un gol ogni nove tiri. Per questo motivo, i suoi lavori furono presi a paradigma per teorizzare l’efficienza del calcio a palla lunga degli inglesi 52 Cfr. S. Kuper, op. cit., pp. 85-101 53 La selezione degli atleti veniva effettuata misurando precisi parametri: reattività, autocontrollo, equilibrio, resistenza, memoria, coordinazione 54 Cfr. J. Wilson, Inverting the pyramid, Orion, London, 2008 (trad. it. La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, Milano, 2012, pp. 349-374)
  • 18. 16 obbiettivi di questa tesi, ciò che ci preme sottolineare è il potere dei dati di cambiare il rapporto con il gioco. Se all’inizio alla scienza dello sport bastava una relazione numerica per spiegare il gioco del calcio, al momento il contributo più significativo viene dall’applicazione dei big data. Così come in altri ambiti della vita moderna, anche nel calcio si sta infatti cercando di gestire la datizzazione della vita. Il primo emblematico episodio di applicazione dei big data allo sport viene dal baseball: come viene raccontato nel caso editoriale Moneyball: the Art of Winning an Unfair Game55 , quando le percezioni istintive hanno lasciato il posto ad un’analitica sofisticata gli addetti ai lavori sono stati relegati in secondo piano dagli statistici56 . Durante lo svolgimento di una partita di calcio professionistico, ogni azione viene scomposta in categorie misurabili: secondo Faccendini57 , manager per l’Italia di Opta58 , ogni partita genera in media tra i 1.600 e i 2.000 eventi. Di fronte a una tale mole di dati, la capacità degli analisti di scoprire nuove correlazioni e di interpretare i risultati rappresenta la sfida più affascinante nel panorama odierno della scienza del calcio59 . La capacità dei big data di rompere la tradizione e di farci ripensare le logiche, sostituendo la casualità alla logica causale, è una delle scommesse più avvincenti nel futuro del gioco più bello del mondo60 . Come per molti altri aspetti della competizione calcistica, anche il rigore è stato analizzato dal punto di vista scientifico. Le interpretazioni principali, fino alla più moderna applicazione della teoria dei giochi, hanno coinvolto principalmente la prossemica, la psicologia degli attori coinvolti e lo studio dei tempi di reazione del portiere in relazione alla potenza e direzione del tiro. Per lungo tempo, la cinesica è stata l’unico ambito di studio della scienza dei calci di rigore. A nostro avviso, tuttavia, essendo il calcio di rigore una situazione comunicativa dialogica tra rigorista e portiere, ci sembra più appropriato declinare la 55 Cfr. M. Lewis, Moneyball: the Art of Winning an Unfair Game, W.W.Norton, New York, 2003 56 Nel caso trattato da Moneyball, il Direttore Generale degli Oakland Athletics, Billy Bean, costruì coraggiosamente nel 2002 una squadra di valore utilizzando un budget molto limitato rispetto ai propri competitors. Tramite una nuova forma di calcolo statistico, Bean riuscì infatti ad individuare dei giocatori sottovalutati dal mercato ma che, dati alla mano, non erano da meno rispetto ai loro avversari. Nello stesso anno, dopo aver ricostruito l’architettura della squadra, gli Oakland Athletics stabilirono un nuovo record vincendo venti partite consecutive 57 Cfr. D. Manusia, La partita perfetta, in IL, numero 60, maggio 2014, pp. 50-54 58 Una delle principali società che raccolgono e vendono dati sportivi 59 Fra i testi più acclamati, ricordiamo: P. Tomkins, G. Riley, G. Fulcher, Pay As You Play, GPRF Publishing, Leicester, 2010 60 Cfr. C. Anderson, D. Sally, op. cit., pp. 113-318
  • 19. 17 cinesica in prossemica. Verso la fine degli anni Ottanta, un gruppo di studiosi dimostrò che in quasi l’80% dei casi la direzione del tiro poteva essere prevista dalla direzione e dall’angolo di corsa del rigorista61 . Introducendo come variabile il linguaggio del corpo, in particolare in relazione alla gamba di appoggio, la percentuale sale fino al 98%. Tuttavia, in quest’ultimo caso la valutazione può essere effettuata solamente ex-post, perché la velocità di esecuzione impedisce al portiere di raggiungere la palla. In tali condizioni limitanti, il portiere può tuttavia tentare di decodificare il linguaggio posturale del tiratore facendo riferimento a quello che gli epistemologi definirebbero come un “carico di teoria”, ovvero la storia di tutti i rigori calciati di cui è a conoscenza e la storia specifica dei rigori calciati dal proprio avversario. Più recentemente, alcuni studi hanno dimostrato che la dimensione psicologica assume un’importanza tale da essere spesso determinante in una partita che termina con una serie di calci di rigore: a differenza di quanto potrebbe sembrare, chi calcia per primo vince nel 56% dei casi e, nel caso in cui segni il primo rigore, questa percentuale sale addirittura al 63%62 . Senza aver calciato il primo rigore, per l’altra squadra le possibilità di vincere la serie di rigori sono scese al 37%. Questa differenza è stata spiegata63 dalla pressione psicologica in chi calcia per secondo e che si trova dunque costretto a segnare per tenere il passo degli avversari. Ad ulteriore supporto di questa tesi, alcuni ricercatori hanno comprovato64 che i calciatori sottoposti alla situazione di stress tipica del calcio di rigore sono molto più propensi a dirigere la propria attenzione verso il centro della porta e a fissare il portiere, diminuendo significativamente la precisione e minimizzando, di conseguenza, la propria capacità di angolare il tiro. La capacità del singolo calciatore di gestire la pressione psicologica sembra dunque a tutti gli effetti determinante nell’evitare una prestazione sub-ottimale. Un ultimo fattore che viene spesso menzionato in letteratura65 è l’esistenza per il rigorista di una zona, la cosiddetta “zona imparabile”, all’interno della quale il tiro finisce inevitabilmente alle spalle del portiere. Il fattore determinante in questa 61 Cfr. C. Miller, op. cit., pp. 149-174 62 Cfr. R. Jovanovic, Moving the Goalposts, Pitch Publishing, Durrington, 2012, pp. 149-155 63 Cfr. S. Kuper, S. Szymanski, Soccernomics, Nation Books, New York, 2009 (trad. it. Calcionomica, Isbn Edizioni, Milano, 2010, pp. 105-125) 64 Cfr. M. Wilson, J. Wood, S. Vine, Anxiety, Attentional Control, and Performance Impairment in Penalty Kicks, in Journal of Sport & Exercise Psychology, vol.31, 2009, pp. 761-775 65 Cfr. K. Bray, op. cit., pp. 254-265
  • 20. 18 analisi è il tempo di reazione del portiere in relazione alla velocità della palla calciata. Ammettendo, come da regolamento, che il portiere non superi la linea di porta fino al momento dell’impatto del rigorista col pallone, la biomeccanica del calcio ci suggerisce che l’area entro la quale il tiro diventa imparabile corrisponde a circa il 28% dell’area di porta. Alla luce di questa analisi, si può affermare che qualsiasi calciatore dotato dell’abilità tecnica necessaria e in grado di gestire adeguatamente la pressione del momento sia in grado, anche suggerendo al portiere la direzione nella quale calcerà, di segnare la quasi totalità dei calci di rigore. In generale, dal punto di vista epistemologico, gli scienziati del calcio ridefiniscono l’identità stessa degli attori classicamente definiti nel momento del calcio di rigore – portiere e attaccante – introducendo un livello superiore di conoscenza del gioco. Questa visione empirista ci porta a vedere i protagonisti non più solamente come due uomini, bensì in parte come degli strumenti in mano agli analisti. Pur rimanendo presente la componente umana dell’esperienza del calciatore, legata alla pressione psicologica e all’eventuale stanchezza, essi subiscono ai nostri occhi un’evidente ridefinizione funzionalistica e oggettivante. Tuttavia, per quanto degli algidi analisti possano tentare di scomporre, misurare e quantificare il gioco, rimarrà sempre una componente di casualità a stravolgere i pronostici. Il calcio è un gioco degli uomini per gli uomini: il caso è imprescindibilmente, tautologicamente, intrinseco ad esso. 2.2 L’applicazione della teoria dei giochi al calcio di rigore La teoria dei giochi è quella disciplina scientifica che permette di modellare il processo decisionale di agenti razionali in condizioni di interdipendenza strategica con strumenti logico-matematici. Nelle parole di Odifreddi, la teoria dei giochi consente di agire «in situazioni di conoscenza imperfetta della situazione, del comportamento altrui e degli effetti delle varie scelte»66 . Partendo dal presupposto che lo scopo delle due parti in causa è quello di massimizzare il proprio payoff, nel caso dei calci di rigore siamo in presenza di un gioco a somma zero67 , vale a dire di un gioco antagonistico con interessi antagonistici. In un tale contesto, la conoscenza delle abitudini dell’avversario e, più 66 P. Odifreddi, Giochi pericolosi, Università di Torino, Torino, 1995, p. 1 67 Per un approfondimento, si veda: F. Patrone, Decisori (razionali) interagenti, Edizioni Plus, Pisa, 2006, pp. 62-67
  • 21. 19 in generale, la capacità di trarre informazioni dalla comunicazione non verbale, sono dunque strumenti determinanti nella competizione, perché consentono di acquisire un notevole vantaggio competitivo. In un avvenimento autoreferenziale come quello del calcio di rigore, la teoria dei giochi rappresenta un esempio perfetto di un contesto nel quale tentare di ridurre la complessità del mondo alla rigidità del formalismo matematico. Attualmente, nel calcio moderno l’indagine sui rigoristi è considerata quasi imprescindibile. Come riporta Wilson68 , ma si potrebbero fare molti altri esempi, prima di ciascuno dei rigori dei quarti di finale della Coppa del Mondo 2006 tra Germania e Argentina il portiere tedesco Lehmann estrasse dal calzettone un foglio sul quale erano riportate le indicazioni fornite dagli analisti sui rigoristi avversari. Le previsioni si verificarono e la squadra tedesca riuscì a superare il turno. È noto che tutti i giocatori hanno un “lato naturale”: quasi tutti, infatti, esprimono maggiore potenza quando calciano la palla con il collo del piede, il che significa che per i destri è più facile tirare a sinistra e per i mancini a destra. Tuttavia, il rigorista non calcerà sempre sul suo lato naturale perché il portiere, conoscendo questa informazione, potrà anticipare la sua mossa. Il tiratore deve pertanto controbilanciare calciando dalla parte opposta, nella speranza di ingannare il portiere. A sua volta quest’ultimo, essendo a conoscenza di questa possibilità, valuterà dunque se scegliere il lato naturale del tiratore o viceversa. Lo spazio di strategia del portiere consiste in un posizionamento equidistante dai pali della porta, per evitare di favorire l’avversario. Poiché, una volta fatta la sua scelta, il portiere non avrà tempo di modificarla sensibilmente, egli cercherà nei limiti del possibile di scegliere la direzione corretta nella quale buttarsi per anticipare la mossa del rigorista. Si instaura dunque un gioco senza fine di anticipazioni reciproche. Come in tutti i giochi non cooperativi, i calci di rigore non prevedono una strategia pura69 , ovvero una situazione nella quale il rigorista o il portiere scelgono di compiere sempre la stessa azione. Se così fosse, sarebbe fin troppo facile anticipare la mossa dell’avversario. Per questo motivo, si ricorre all’applicazione del metodo minimax per individuare, in strategie miste, la probabilità che rende indifferente uno 68 Cfr. J. Wilson, op. cit., pp. 343-344 69 Cfr. P. Chiappori, S. Levitt, T. Groseclose, Testing Mixed-Strategy Equilibria When Players Are Heterogeneous: The Case of Penalty Kicks in Soccer, in American Economic Review, vol.92, 2002, pp. 1138-1151
  • 22. 20 dei due giocatori alle scelte dell’altro. Questo metodo, valido solamente per i giochi a somma zero, consente infatti di minimizzare la massima perdita possibile o di massimizzare il minimo guadagno. Lo studioso che prima di tutti ha applicato questo metodo ai calci di rigore è l’economista spagnolo Ignacio Palacios-Huerta. Dopo avere esaminato 1417 rigori70 , battuti nei maggiori campionati europei tra settembre 1995 e giugno 2000, Palacios-Huerta ha elaborato la seguente matrice dei payoff per spiegare le possibilità di successo del rigorista: Tabella 2 Portiere Lato destro Lato sinistro Rigorista Lato destro 70,3 93,7 Lato sinistro 95,5 58,42 Il matematico spagnolo è quindi giunto alla conclusione che per massimizzare la percentuale realizzativa, il rigorista dovrebbe scegliere il proprio lato naturale nel 61,5% dei casi, mentre per il portiere la strategia ideale migliore consiste nel tuffarsi verso il lato naturale del rigorista nel 58% dei casi. Inoltre, in seguito ad un attento esame statistico, Palacios-Huerta è riuscito a dimostrare che, curiosamente, in più del 95% dei casi le scelte dei giocatori non si discostano dalle scelte ottimali suggerite dall’applicazione di strategie miste e che, dunque, i giocatori di calcio applicano intuitivamente e in modo inconsapevole le strategie suggerite da una corretta applicazione della teoria dei giochi. 2.3 Analisi del discorso I testi che trattano i calci di rigore dal punto di vista scientifico provengono principalmente dall’ambiente saggistico e della letteratura accademica. Sebbene la scienza dello calcio trovi ampio spazio su quotidiani e riviste di taglio popolare, il suo utilizzo è spesso dozzinale o, nel migliore dei casi, marginale rispetto alla trattazione discorsiva. Per questo motivo, confidando in un maggiore livello di dettaglio qualitativo, abbiamo scelto di prendere in esame degli stralci tratti dall’ambiente della letteratura sportiva. Il risultato è una raccolta di testi, accomunati 70 Cfr. I. Palacios-Huerta, Professionals Play Minimax, in Review of Economic Studies, vol.70, 2003, pp. 395-415
  • 23. 21 da un framing di tipo scientifico nei quali il calcio di rigore viene presentato secondo prospettive molto diverse, al fine di effettuare un’analisi il più possibile ampia delle pratiche discorsive ad esso rivolte. Il primo testo al quale applichiamo la nostra analisi del discorso si colloca all’interno di un saggio che descrive il percorso che ha portato all’istituzione del calcio di rigore, i meccanismi psicologici che coinvolgono portiere e rigorista e, infine, offre un panorama sui contributi scientifici che lo riguardano. Nel 1988, W.Kuhn realizzò un articolo scientifico dal titolo Penalty Kick Strategies for Shooters and Goalkeepers71 . In questo articolo, Kuhn descrisse ogni tiro più veloce dei 75 km/h come veloce, e qualsiasi altro sotto quella soglia da lento a mediamente veloce. Kuhn dimostrò che un tiro mediamente veloce (20,83 millimetri al secondo) impiega 600 millisecondi per raggiungere la porta. Un tiro molto veloce – 27,77 millimetri al secondo – impiega 400 millisecondi per raggiungere la porta. Kuhn dimostrò che il portiere che voglia salvare un attacco alla porta a più di 20,83 millimetri al secondo deve iniziare il proprio movimento al momento dell’impatto tra piede e palla o prima.72 Ad una prima lettura, il testo vuole fornire un consiglio pratico a colui il quale voglia tentare di parare un calcio di rigore. Per raggiungere il suo obbiettivo, come vedremo, l’autore fissa il proprio sguardo sulla palla, l’essere agito, piuttosto che sugli attanti. Il naturale processo trasformativo del calcio di rigore viene stravolto e presentato come deterministicamente causato. Nel discorso sviluppato dall’autore, infatti, siamo in presenza di un processo di performanza che si realizza perfettamente. L’azione del calciare viene presentata come un essere a sé stante: si menziona l’effetto dell’azione – il movimento del pallone – senza fare alcun riferimento a colui il quale l’ha prodotta, il rigorista. Modificare l’ontologia del tiro distoglie l’attenzione dalla componente umana del fenomeno e consente all’enunciatore di identificare l’esperienza del calcio di rigore come un fenomeno prettamente fisico e matematico nel quale sono i numeri a fare la differenza. Come richiede il discorso scientifico73 , l’enunciatore è completamente assente dal discorso e Miller, quasi a voler ulteriormente mitigare la propria posizione rispetto 71 In corsivo nel testo originale 72 C. Miller, op. cit., p. 164 73 Cfr. E. Agazzi, Il significato dell’oggettività nel discorso scientifico, in L’oggettività della conoscenza scientifica, a cura di F. Minazzi, FrancoAngeli, Milano, 1996, pp. 19-35
  • 24. 22 all’enunciato in favore di una maggiore oggettività, arriva a citare il lavoro di un altro esperto fornendoci un buon esempio di polifonia bachtiniana74 . Infine, l’autore sfrutta una proprietà del tiro, la velocità, per ricondurre l’intera situazione comunicativa tra portiere e rigorista alla rapidità di esecuzione del gesto tecnico (l’atto di calciare e l’atto di parare), svuotando ancora una volta completamente il discorso della sua dimensione relazionale e applicando un facile riduzionismo. Il secondo testo che prendiamo in esame è stato scelto come tipico esempio di discorso scientifico applicato al calcio di rigore: come vedremo, infatti, gli strumenti analitici occupano una posizione predominante rispetto ai partecipanti e, anche in questo caso, l’attenzione è posta più sui processi conativi che sugli attanti. Per costruire un modello del tuffo compiuto dal portiere, David Kerwin e io esaminammo dettagliate immagini video di numerosi tentativi di parata in condizioni di gioco reale e le integrammo con misurazioni parallele delle complesse forze di reazione sul terreno relative al tuffo del portiere, effettuate su una pedana di contatto fornita di apposita strumentazione. Dando per scontato che le telecamere digitali siano in grado di fornire immagini stereoscopiche dell’azione, è stato possibile ottenere le coordinate tridimensionali dei movimenti del portiere e registrarne l’istante esatto in cui il pallone varcava la linea di porta.75 Nella sua enunciazione, Bray utilizza una consistente ridondanza lessicale per creare nel lettore i presupposti circa la razionalità del proprio lavoro: le immagini sono “dettagliate”, la strumentazione è “apposita”, l’istante oggetto della misurazione è “esatto”. Questo meccanismo produce una sorta di incantamento che ha un effetto tautologico, assiomatico, volto a guidare il processo di decodificazione del lettore favorendo l’accettazione del concetto proposto dall’autore. Lo stesso codice con il quale Bray descrive la metodologia utilizzata dimostra un livello di specificità che, se da un lato vuole fornire al lettore gli strumenti per una più completa comprensione del discorso, dall’altro accresce l’autorevolezza dell’enunciato e la sua efficacia argomentativa. La scomposizione del calcio di rigore in unità di analisi supera la classica interazione fra i tre attori in gioco – pallone, portiere e rigorista – e la fa scomparire sotto 74 Cfr. M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino, 2002 75 K. Bray, op. cit., p. 258
  • 25. 23 l’occhio constativo di Bray, come mostra l’assenza nell’enunciazione degli elementi tipici della meta-funzione interpersonale (deittici, embrayeurs, pronomi). Il discorso sviluppato da Bray limita il campo discorsivo del calcio di rigore agli strumenti utilizzati per analizzarlo, con il risultato di oggettivarlo: modificando il percorso generativo del senso, Bray trasforma il discorso, per dirla con le parole di Wittgenstein, in uno dei «fatti del mondo»76 . Infine, il terzo ed ultimo testo al quale facciamo riferimento è tratto dall’opus magnum di Kuper e Szymanski che, sulla scia dell’entusiasmo suscitato da Moneyball, sono stati fra i primi a pubblicare un saggio econometrico sul mondo del calcio. Se un calciatore sa quante sono le sue possibilità di segnare per i due lati della porta, anche rispetto alla direzione in cui si tuffa il portiere, può stabilire quali percentuale di rigori indirizzare sul suo lato naturale per massimizzare la possibilità di fare gol. Un giocatore destro non piazzerà il 100% dei propri tiri alla destra del portiere, il suo lato naturale, perché in questo modo diventerebbe prevedibile; gli basterà anche solo una minima variazione, persino calciare a destra solo nel 99% dei casi, per aumentare le probabilità di successo, insinuando il dubbio nella mente del portiere avversario.77 Il testo richiama la dialettica interattiva tipica del calcio di rigore analizzato con gli strumenti della teoria dei giochi. Il discorso è infatti incentrato, a differenza dei due casi proposti in precedenza, sugli attanti e, solo secondariamente, sull’impersonale gesto tecnico che porta all’eventuale trasformazione del calcio di rigore. All’attento lettore non sfuggirà di certo la scelta lessicale di utilizzare termini afferenti al linguaggio matematico come elementi di categorizzazione volti a rafforzare l’oggettività dell’enunciato. A differenza dei testi precedenti, in questo caso l’enunciatore mette in primo piano il processo decisionale dei partecipanti e, dunque, lascia intravedere al lettore uno spiraglio nel quale le scelte individuali dei singoli attori acquisiscono un ruolo predominante rispetto alla mera dimensione dell’analisi scientifica. L’autore non vuole portare il lettore all’assunzione di una verità dogmatica basata su calcoli matematici, bensì propone un’interpretazione del 76 F. Crespi, Sociologia del linguaggio, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 45 77 S. Kuper, S. Szymanski, op. cit., p. 122
  • 26. 24 fenomeno basata sulla coerenza logica. Il fenomeno descritto è però molto dinamico: la preminenza dei partecipanti e le circostanze non sono definite una volta per tutte ma variano, e vanno dunque valutate caso per caso. Partendo dal presupposto che il giocatore non calcerà sempre sul proprio lato forte, l’enunciatore introduce l’asserzione tautologica “in questo modo diventerebbe prevedibile” per arrivare ad una conclusione che, per quanto logicamente corretta, non aggiunge nulla al piano del contenuto informativo ma tradisce la volontà di significazione78 dell’enunciatore. 78 Cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1984, pp. 30-32
  • 27. 25 Conclusioni In questo lavoro di analisi abbiamo cercato di fornire un resoconto delle pratiche in atto nel campo discorsivo del calcio di rigore. In particolare, nella prima parte della presente ricerca l’attenzione è stata rivolta al ruolo del caso e della fatalità nella costruzione mitica di significato. Nella seconda parte, invece, siamo partiti dal processo di scientifizzazione del gioco del calcio per giungere alle pratiche discorsive che lo riguardano e abbiamo analizzato la semiotica narrativa tipica del discorso scientifico. L’attenta analisi dei testi presi in esame, analizzati come oggetti culturali, ci ha permesso di rilevare le pratiche discorsive che sottendono alle due diverse visioni del calcio di rigore. Nel primo caso, i discorsi si basano sul senso comune come strumento per marcare la componente aleatoria e creare una mitologia del calcio di rigore. L’uomo è messo in secondo piano rispetto alla fatalità e ad essa deve piegarsi. In questa visione l’improvvisazione, l’estro, l’ispirazione, il merito, sono tutte possibili chiavi di lettura al servizio di colui il quale contempli il mistero sfuggente dell’imprevedibilità del mondo. Ciò che emerge dal discorso scientifico, invece, è una costruzione di senso basata su constatazioni empiriche nella quale la causalità si sostituisce alla casualità e l’uomo, con il suo strumenti, può decifrare l’amorfo del contingente per tramutarlo in realtà. L’esperienza individuale scompare, a favore della logica della replicabilità. Il discorso oggettivato, impersonale, trascende rispetto alla figura umana: se, da un lato, questa caratteristica nobilita l’autorevolezza del discorso, dall’altro lo astrae e lo riconduce ad una visione del mondo che sottostima la dimensione relazionale del calcio di rigore. Questa componente viene invece esaltata dall’applicazione della teoria dei giochi che, a nostro avviso, sembra essere una felice sintesi dei due punti di vista: formale e analitica, ma anche attenta alle proprietà dell’individuo. Dal nostro punto di vista, il campo discorsivo del calcio di rigore è abbastanza ampio perché i due discorsi possano coesistere – o escludersi, a seconda del punto vista dell’osservatore. Ci sentiamo inoltre di ipotizzare una loro futura contaminazione: la natura di qualsiasi gioco che abbia come strumento una sfera e come attori degli uomini non può escludere la casualità, e le intuizioni scientifiche, portandoci ad una comprensione più profonda dei fenomeni, ci consentiranno un piacere ancora maggiore.
  • 28. 26 Bibliografia e altre fonti Agazzi E., Il significato dell’oggettività nel discorso scientifico, in L’oggettività della conoscenza scientifica, a cura di Minazzi F., FrancoAngeli, Milano, 1996 Anderson C., Sally D., The numbers game, Penguin Group, London, 2013 Anselmi D., Il discorso dei media, Carocci editore, Roma, 2009 Austin J. L., Come fare cose con le parole, Marietti Editore, Genova, 2000 Bachtin M., Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino, 2002 Barthes R., Lo sport e gli uomini, Einaudi, Torino, 2007 Barthes R., Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1994 Beccantini R., La scommessa dei rigori, La Stampa, 29 maggio 2003 Berta L., Oltre la mise en abyme. Teoria della metatestualità in letteratura e filosofia, FrancoAngeli, Milano, 2006 Bianconi G., Salerno A., L’ultima partita, Fandango Libri, Roma, 2010 Bray K., Perché l’Italia vinse ai rigori con l’Olanda e Beckham tira punizioni imparabili?, Sonzogno Editore, Milano, 2006 Camilli D., Contropiede, nottetempo, Roma, 2007 Caillois R., I giochi e gli uomini, Bompiani, Milano, 2010 Cecchini M., Gigi vince alla lotteria “Non c’è rispetto per me”, La Gazzetta dello Sport, 1 luglio 2013
  • 29. 27 Chiappori P., Levitt S., Groseclose T., Testing Mixed-Strategy Equilibria When Players Are Heterogeneous: The Case of Penalty Kicks in Soccer, in American Economic Review, vol.92, 2002 Crespi F., Sociologia del linguaggio, Laterza, Roma-Bari, 2005 Demuru P., Lo stile, il gioco, la storia. Piccola semiotica (culturale) del calcio brasiliano, in Mitologie dello sport. 40 saggi brevi, a cura di Cervelli P., Romei L., Sedda F., Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2010 Desiderio G., Il divino pallone, Vallecchi, Firenze, 2010 Eco U., Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1984 Foer F., Come il calcio spiega il mondo, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2007 Foot J., Calcio. 1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia, BUR, Milano, 2010 Elias N., Dunning E., Sport e aggressività, Il Mulino, Bologna, 2001 Gadamer H. G., Verità e metodo, tr.it. a cura di Vattimo G., Bompiani, Milano, 1995 Greimas A. J., Del senso, Bompiani, Milano, 2001 Halliday M., An Introduction to Functional Grammar, Edward Arnold, London, 1985 Hornby N., Febbre a 90’, Guanda, Parma, 1997 Jakobson R., Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1966
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