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“Signore, dammi di quest’acqua” (Gv 4,15)
Un “primo annuncio” realizzato da Gesù
Sr. Maria Ko
In sintonia con la Strenna 2018 del Rettor Maggiore a tutta la Famiglia Salesiana, ci soffermiamo a meditare
oggi sull’incontro di Gesù con la Samaritana, descritto con molta freschezza e vivacità da Giovanni. Siamo di
fronte ad una delle scene più suggestive del quarto Vangelo. La contempliamo dalla prospettiva del “primo
annuncio”. Qui è Gesù stesso che, con arte e saggezza, suscita l’interesse, affascina, fa nascere e fa
germinare una fede iniziale carica di promessa. Le condizioni sono sfavorevoli: una donna “lontana”, una
zona “periferica” e inospitale, un tempo pesante sotto il sole cocente di mezzogiorno, un’atmosfera di
stanchezza e di fatica. Tutte circostanze apparentemente casuali… Ma, ecco, un evento di fecondità
insospettata!
Tre itinerari di fede guidati da Gesù
Gustiamo maggiormente la bellezza del brano se lo consideriamo inquadrato nella sezione dei cap.3-4, in cui
l’evangelista abilmente accosta tre incontri di Gesù con tre personaggi singolari:
 Nicodemo (2,23-3,36)
 La Samaritana (4,1-42)
 Il funzionario del re (4,43-54)
Sono tre personaggi molto diversi tra loro per sesso, etnia, provenienza, posizione sociale, cultura e
tradizione, atteggiamento religioso, orientamento di vita. Hanno attese e disposizioni interiori differenti. E
Gesù li avvia a tre itinerari di fede distinti, personalizzati. Anche il tempo (notte, mezzogiorno, un’ora dopo
mezzogiorno) e l’ambiente dell’incontro (in casa, vicino al pozzo, sulla via) sono diversificati. Sotto la penna
di Giovanni i tre personaggi rappresentano tre tipologie di persone ritrovabili in ogni tempo e tre cammini di
fede attuabili anche oggi.
Diversa da Nicodemo - fariseo, colto, radicato nella tradizione, che cerca un confronto con Gesù
immaginando, forse, di poter discutere da pari a pari; diversa anche dal funzionario del re - il quale va da
Gesù spinto da un bisogno urgente; la Samaritana emerge dalla quotidianità, in cui si muove la maggior parte
degli esseri umani, che non hanno né un ruolo né un nome tali da dover essere ricordati. È intelligente e
sensibile, ma superficiale: non ha né grandi ideali né profondi desideri nella vita.
Al pozzo
A mezzogiorno, sotto un sole cocente, Gesù, stanco e assetato, siede presso un pozzo (Gv 4,5-42). Il pozzo. In
ogni cultura è qualcosa che ha un forte legame con la vita: custodisce l’acqua fresca che sgorga dal cuore
della terra, parla di dono umile, gratuito e generoso, evoca la fatica del perforare e dell’attingere, allude alla
tranquilla dimora dell’acqua nelle profondità misteriose.
Il pozzo scavato dagli antenati benefica i figli di generazione in generazione. È un’eredità dinamica, vitale.
Collega le generazioni. Nello scorrere del tempo il pozzo rimane lo stesso, ma l’acqua che vi nasce dentro è
sempre nuova, capace di dissetare i padri e i figli e i figli dei figli. Il pozzo unisce la memoria del passato e i
sogni del futuro, parla di gratitudine, di responsabilità e di speranza.
Il pozzo, nodo vitale della gente, è anche un luogo d’incontro: luogo dove le vite s’intrecciano, dove l’acqua
viene richiesta e donata, dove si instaurano rapporti interpersonali inattesi, dove gli stranieri diventano amici.
Il pozzo è un luogo particolarmente caro alla donna. Mentre per gli uomini la piazza pubblica e la porta della
città rappresentano i tipici punti di ritrovo, per le donne il tacito appuntamento è sempre al pozzo. Il pozzo
2
offre loro la possibilità di vita sociale, di scambio di notizie e di esperienze, di partecipazione e di solidarietà,
di condivisione delle piccole vicende del quotidiano: gioie, dolori, problemi, preoccupazioni, desideri, sogni,
curiosità. Al pozzo lo spazio è libero per poter coniugare il privato con il pubblico, la vita personale con quella
della comunità, il lavoro con l’ozio. Nell’Antico Testamento troviamo varie icone di donne al pozzo e parecchi
incontri sono avvenuti presso un pozzo: fra il servo di Abramo e Rebecca (Gen 24, 11-14), fra Giacobbe e
Rachele (Gen 29,9-11), tra Mosè e le figlie di Ietro, sacerdote di Madian (Es 2,15-22) ecc.
Il dialogo
Il dialogo tra Gesù e la donna (4,7-26) non solo è denso dal punto di vista teologico e antropologico, ma è
anche di una bellezza letteraria singolare. In un crescendo d’intensità e di profondità, si svolge in modo del
tutto lineare: i due interlocutori semplicemente si alternano. Può essere suddiviso in due sequenze (7-15, 16-
26). Ogni sequenza è composta da 3 battute per ciascuno dei due interlocutori.
Gesù: «Dammi da bere».
9
La donna: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? »
10
Gesù: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed
egli ti avrebbe dato acqua viva».
11
La donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva?
12
Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo
bestiame?».
13
Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14
ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà
più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita
eterna».
15
La donna: «Signore, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad
attingere acqua».
16
Gesù: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui».
17
La donna: «Io non ho marito».
Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18
Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo
marito; in questo hai detto il vero».
------------
19
La donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20
I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece
dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
21
Gesù: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22
Voi
adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23
Ma
viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre
vuole che siano quelli che lo adorano. 24
Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e
verità».
------------
25
La donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa».
26
Gesù: «Sono io, che parlo con te».
Un trampolino di lancio
Al primo impatto, Gesù scende sempre al livello del suo interlocutore, lo stimola gradualmente a riflettere,
gli pone delle domande, suscita in lui desideri, lo induce alla ricerca e gli fa delle proposte. Così agisce con la
samaritana servendosi del simbolo dell’acqua. Nel dialogo Egli normalmente non adotta una strategia
3
prefissata, ma lascia che lo spazio si apra alla novità, al dinamismo dell’incontro di due libertà. Per questa
ragione all’inizio è spesso frainteso; tuttavia, man mano che il dialogo procede, con i suoi intrecci di parole e
di silenzi, di simboli ed immagini, di reazioni interiori e di espressioni esteriori, di sorpresa e di attese, il
fraintendimento si risolve e l’interlocutore compie un salto di qualità verso il piano superiore cui Gesù lo
guida. Così capita alla samaritana.
“Dammi da bere!” È Gesù che prende l’iniziativa del dialogo. La richiesta denota il suo desiderio di entrare in
relazione. Egli elimina il sospetto, rompe le barriere tra uomo e donna, tra Giudei e Samaritani e fa respirare
l’aria libera di relazioni autentiche. Ne nasce un dialogo (“tu … a me”) e un incontro personale.
“Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere! Tu stessa gliene avresti chiesto ed egli
ti avrebbe dato acqua viva” (v.10). Con fine intuito psicologico Gesù fa passare la donna di meraviglia in
meraviglia. Ne sposta l’interesse dal pozzo materiale all’uomo, che ora si presenta come colui che può dare.
Insinua un possibile capovolgimento della situazione.
La donna all’inizio è piena di domande: “Come mai, tu che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una
donna samaritana?” (v.9); Come può questo sconosciuto darle dell’acqua non avendo modo di attingere al
pozzo? Come osa Egli pretendere, promettendole acqua viva, di essere più grande dei patriarchi che avevano
dovuto scavare un pozzo? (cf. vv.11-12). Gradualmente, però, si lascia coinvolgere da Gesù, modifica il suo
sguardo su di lui, cambia, quindi, il modo di chiamarlo: prima lo definisce “un giudeo” (v.9) poi lo interpella
“Signore” (v.11), cioè persona straordinaria, forse “più grande di Giacobbe” (v.12). Anche il discorso di Gesù a
poco a poco si stacca dalla situazione circoscritta e si fa universale (“Chiunque beve di quest’acqua”), aperto
al futuro (“l’acqua che io gli darò”) e ad un orizzonte sempre più ampio (“Diventerà in lui sorgente di acqua
che zampilla per la vita eterna”).
È a questo punto che il trampolino di lancio ha compiuto la sua funzione. Ora è la donna che compie un salto
in alto ed esplicita la sua richiesta: “Dammi di quest’acqua”. Sebbene non abbia ancora una chiara
comprensione di che cosa sia realmente quest’acqua, si lascia attrarre da Gesù, si fida di lui ed è certa che
quell’acqua che egli le offre è un dono immensamente più grande dell’acqua del pozzo.
La verità di sé e la verità di Dio
Ma la meraviglia della donna è destinata ad aumentare. Gesù le dice: “Va a chiamare tuo marito e poi ritorna
qui” (v. 16). La svolta del dialogo è imprevista; l’imperativo è diretto, esplicito e preciso. L’intento è di
portare questa donna alla verità su se stessa, preparandola ad accogliere la verità di Gesù. La verità di sé e la
verità di Dio si rivelano congiuntamente. Bisogna partire riconoscendo sinceramente i propri limiti. La
samaritana qui ammette: “Non ho marito”.
A Cana, la madre di Gesù si rivolge al figlio dicendo: “Non hanno vino” (Gv 2,3). E il paralitico alla piscina di
Betzatà dirà di non poter guarire perché “Non ho nessuno …” (Gv 5,7).
In modo del tutto inaspettato la donna sente scavare all’interno della sua vita. Inizialmente pone ancora
qualche resistenza, tenta di nascondersi e di fuggire da se stessa, dalla propria storia e da Gesù, cerca di
trasferire il discorso su questioni ampie e vaghe, su un terreno comune di discussione in cui tutti possono
dire qualcosa senza serie responsabilità (“I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è
a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare” (v. 19), in modo da non essere lei al centro dell’attenzione.
Ma Gesù, con delicatezza, la libera dalle sue maschere e dalle sue paure.
Dio ama rivelarsi rivelando l’uomo a se stesso. Quando Egli irrompe nella vita e penetra nel cuore, l’uomo
non può non provare i sentimenti del salmista che confessa: “Signore, tu mi scruti e mi conosci … dove
andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza?” (Sal 139). È da un simile stato d’animo che
scaturisce l’esclamazione di sorpresa della donna samaritana: “Signore, vedo che sei un profeta”.
4
La scoperta, però, non è finita. C’è qualcosa di ancora più grande in questo uomo seduto al pozzo. Egli è in
grado di liberarla dai vecchi dilemmi in cui cerca di rifugiarsi, attirando la sua attenzione sulla novità che
irrompe nel presente: “Credimi, donna, è giunto il momento, … ed è questo”. Poi le rivela chi sia il Padre, il
quale “cerca” con amore i suoi “veri adoratori”. Gesù vuol trasmettere alla Samaritana questo messaggio:
“Non sei tu che cerchi Dio, ma è Dio che ti cerca, ti conosce e ti ama. Tu sei stata trovata da Dio”.
Il salto è forte. La donna non trova immediatamente il livello giusto in cui collocarsi. Oscilla tra il passato
fossilizzato e un futuro ancora vago: “So che deve venire il Messia: quando egli verrà, ci annunzierà ogni
cosa”. A questo punto avviene l’autorivelazione esplicita di Gesù che aiuta la sua interlocutrice a fare il balzo
decisivo: “Sono io che ti parlo”. La Samaritana diventa, così, la prima destinataria dell’ “Io sono” che
risuonerà per molte altre volte nel Vangelo di Giovanni.
Ricapitolando questo incontro di “primo annuncio”: l’evento si apre con una richiesta semplice e si conclude
con una solenne affermazione dello stesso Gesù : «sono io, che ti parlo». All’inizio Gesù è seduto al pozzo e
chiede l’acqua, alla fine scava nel pozzo segreto del cuore della donna e ne fa nascere una sorgente che
zampilla vita.
Va con una brocca e ritorna con una sorgente
Concluso l’incontro, la donna dimentica la sua brocca e corre in città per annunciare Gesù agli altri.
Abbandona quella che era la sua unica preoccupazione: ora ha trovato di meglio. Come per Andrea e Filippo,
l’incontro con Gesù aveva avuto come conseguenza una corsa dal fratello o dall’amico, così è per la
Samaritana: una corsa dai suoi compaesani con una testimonianza personale (v. 29: “Mi ha detto tutto quello
che ho fatto”) e un interrogativo (“Che sia lui il Messia?). Non si tratta di un annuncio obbligante, ma di una
domanda che stimola, provoca, attira e apre lo spazio alla ricerca di una risposta (v.42: “Questi è veramente
il salvatore del mondo”).
Non solo la donna dimentica la sua brocca, ma anche Gesù dimentica la sua stanchezza, il suo bisogno di
acqua e di cibo. Anche lui ha trovato di meglio. La sua vera sete, quella di comunicare la salvezza, è stata
lenita, la sua fame, quella di nutrirsi della volontà del Padre e compiere la sua opera, è stata soddisfatta.
Richiami alla spiritualità salesiana
Il pozzo di Giacobbe e la pompa di Valdocco. A Valdocco, al tempo di don Bosco, c’era una fontana, o meglio,
una pompa d’acqua. Dopo un secolo e mezzo, nonostante tutti i restauri e i cambiamenti, la pompa è ancora
lì, sopravvissuta. Se cerchiamo con attenzione nel primo cortile di Valdocco, addossata ad uno dei pilastri che
formano il portico davanti alla cappella Pinardi, scopriamo qualcosa che ci parla di quei tempi, ed ancor oggi
possiamo dissetarci a quell’acqua salesiana.
Don Bosco considerava quella pompa un luogo di eccezionale importanza strategica per la sua educazione.
Ce lo conferma don Giuseppe Vespignani, sacerdote originario di Ravenna che, poco più che ventenne, era
giunto a Valdocco nel 1876 per farsi salesiano. Subito accolto da don Bosco, il buon don Giuseppe non fu
certo lasciato con le mani in mano: divenne segretario di don Rua e gli fu affidata una “piccola” classe di
catechismo, di circa120 ragazzi sui 12 anni! Possiamo immaginare lo spavento del povero don Vespignani!
La prima domenica, espose la sua lezione coscienziosamente preparata in tre punti, come gli avevano
insegnato in seminario, ma fu un vero disastro: chiasso e schiamazzi, una baraonda incontenibile. Passata la
tempesta don Giuseppe corse da Don Rua, che lo rincuorò invitandolo a riprovare la domenica successiva.
Nuovo fallimento totale! A questo punto per don Giuseppe restava una cosa sola da fare: salire le scale e
bussare alla porta dello studio di don Bosco, per chiedere consiglio al buon padre. Sentiamo direttamente il
racconto del giovane salesiano:
5
Ricorsi dunque a Don Bosco, esponendogli le due disfatte e manifestandogli il dubbio sulla mia inettitudine a
compiere gli uffici principali del Salesiano, come il catechizzare i ragazzi e fare scuola. Don Bosco, sorridendo,
mi chiese come mai io fossi così pauroso da spaventarmi d'un centinaio di ragazzi, ben disposti e desiderosi di
ascoltarmi e d'imparare; tutta la difficoltà stava nel non conoscerci reciprocamente.
— E come farò io a conoscerli e a farmi conoscere?
— Oh, bella! Mettendosi con loro, trattandoli familiarmente, portandosi come uno di essi.
— Ma dove, ma quando mettermi con loro? Io non sono fatto per giocare, correre, ridere in loro compagnia; i
miei malanni, la debolezza del petto me l'impediscono.
— Ebbene, vada alla pompa. Là all’ora di colazione troverà tanti giovani riuniti per bere, che discorrono degli
studi, della scuola, dei giochi, di tutto. S’intrometta anche Lei, si faccia amico di tutti, e poi andrà alla rivincita,
e ci riuscirà.
Il suggerimento mi ridonò la vita, ancorché non ne comprendessi lì per lì tutta l’importanza. Risolvetti di fare
proprio come Don Bosco mi aveva consigliato. E venuta l’ora della colazione, mi appostai vicino alla pompa
dell’antico pozzo presso la casa Pinardi, pompa che tuttora esiste, ancorché oggi metta acqua potabile scesa
dall’alto e non più tirata su di sotterra.
In quei tempi la colazione consisteva nella famosa «pagnotta», distribuita ai giovani nell’uscire dalla chiesa.
Essi, ricevutala, correvano presso la pompa dell’acqua a divorarla; indi si spargevano, chi prima chi dopo, per
il cortile, dandosi ai loro giuochi. Là, vicino a quel convegno, era il punto strategico indicatomi da Don Bosco.
Eccomi dunque al mio posto di osservazione, direi quasi al mio pozzo di Giacobbe. Passeggio lento lento sotto
il porticato senza perder di vista la pompa e i suoi avventori, che vi volano a stormi con la loro pagnotta in
mano. Mentre gli uni bevono, altri conversano di lezioni, di compiti, dei voti di condotta, delle materie
scolastiche. Chi dice delle difficoltà incontrate nel tema, chi parla delle sue aspirazioni senza far mistero
nemmeno della propria vocazione. Io mi accosto, attacco discorso, faccio domande su cose scolastiche del
giorno, chiedo chi riesce meglio nella tale o tal altra materia, mi spingo financo a interrogare sul conto che si
fa del catechismo, e vedo stringermisi attorno a poco a poco uno sciame di quei birichinetti che tanta
molestia mi cagionavano in classe, e tutti mi rispondono a tono. Presa confidenza, chiedo il perché di quel
chiasso durante la lezione di catechismo. Le spiegazioni sono parecchie, dalle quali però capisco che non ci
conoscevamo e quindi non ci potevamo intendere. Ritornato alcune mattine di seguito al medesimo convegno,
me li vedeva attorno con certa libertà, che ne attestava le ottime disposizioni.
(Tratto da: G. VESPASIANO, Un anno alla scuola del Beato Don Bosco (1876-1877), Torino, SEI 1930, 68-69).
L’icona dell’incontro di Gesù con la Samaritana per Madre Mazzarello
La figura della Samaritana è molto cara a madre Mazzarello. Esortando le suore a prepararsi con gioia a
ricevere la comunione, dice: “Dobbiamo figurarci di essere come la Samaritana al pozzo di Giacobbe e
domandare a Gesù quell’acqua viva per cui non si ha più sete in eterno” (Maccono II, 86), e ancora: “Noi
dobbiamo pensare che Gesù ci aspetti come aspettò la Samaritana al pozzo di Giacobbe: Egli ci aspetta
perché vuol venire in noi e darci le sue grazie, e noi dobbiamo affrettare il suo arrivo coi più vivi desideri del
nostro cuore” (Maccono II, 136). L’icona di Gesù, seduto a pozzo, in attesa di offrire la sua acqua viva, doveva
essere tanto affascinante per Madre Mazzarello. Quest’icona continua ad affascinare le FMA di generazione
in generazione.
Il pozzo di Sicar e il pozzo di Mornese
Nell’ambiente di Madre Mazzarello due sono i pozzi carichi di significato simbolico.
Il primo è quello della cascina Valponasca in fondo alla vallata, dove la giovane Maria Domenica si recava
quotidianamente ad attingere l'acqua necessaria per la giornata. È il simbolo dell’unione tra contemplazione
e diligente lavoro quotidiano che caratterizza Maria Domenica fin dalla giovinezza.
6
Il secondo si trova al centro della casa-madre dell'Istituto FMA, il "Collegio" di Mornese. È il pozzo da dove
attingeva l’acqua, la prima comunità che viveva con Madre Mazzarello. È il testimone di una comunità
semplice, dove la povertà era vissuta con gioia, le relazioni erano aperte e trasparenti, il lavoro portato
avanti con responsabilità condivisa. È luogo dell’accompagnamento educativo, della fecondità apostolica e
dello slancio missionario.
Oggi, abbellito e restaurato, rimane il simbolo dello spirito mornesino. Ogni anno molti gruppi di FMA, da
diverse parti del mondo, arrivano per la prima volta oppure ritornano per sostare presso questo pozzo e per
attingere, a quest'acqua inesauribile, lo spirito che abitava la loro Madre.
Il pozzo di Mornese viene riprodotto anche materialmente in molte case delle FMA nei cinque continenti. È
segno che il dono dell’acqua è diventato una sorgente feconda che zampilla per la vita eterna (cf. Gv 4,14).
Alcuni pensieri tratti dalla Strenna 2018 proposta dal Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime:
“Signore, dammi da quest’acqua”. Coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare
 L’incontro avviene in un luogo profano e “all’aperto”, un pozzo in mezzo alla campagna, che si
trasformerà in luogo di incontro don Dio.
 Gesù, vero protagonista e soggetto primo dell’incontro, dell’ascolto e del dialogo iniziale, “disegna”
la strategia di questo incontro, incominciando con l’ascolto dell’altra persona e della situazione, che
Egli intuisce.
 A volte, questi incontri e queste conversazioni casuali possono “aprire porte” verso un cammino più
profondo e di crescita … Così è accaduto durante l’incontro di Gesù con la donna, che si era recata al
pozzo semplicemente per attingere acqua.
 Gesù fa capire all’anonima samaritana che Egli comprende la sua situazione più di quanto ella possa
immaginare, e che intuisce il dolore e la sofferenza che, in certo modo, deve aver sopportato… le fa
sperimentare un’empatia compassionevole.
 Gesù non accusa, ma dialoga e propone… Nel dialogo con la donna di Samaria procede con calma,
senza la fretta di presentarsi come colui che può cambiare la sua vita, risvegliando in lei poco a poco
l’interesse dell’accesso a una sorgente d’acqua che promette una vita speciale, diversa, migliore.
 Gesù non offre un allargamento della loro conoscenza e del loro sapere a coloro con i quali si
incontra, come in questo caso con la Samaritana, ma piuttosto consegna loro una proposta per
crescere e cambiare la vita.
 La conclusione dell’incontro va oltre quello che ci si attenderebbe in un finale normale, cioè che la
donna ritorni alla sua vita ordinaria con l’anfora piena d’acqua. Al contrario, l’anfora, che la donna
abbandona vuota per andare a chiamare i suoi, ci parla di un guadagno e non di una perdita.

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La Samaritana

  • 1. 1 “Signore, dammi di quest’acqua” (Gv 4,15) Un “primo annuncio” realizzato da Gesù Sr. Maria Ko In sintonia con la Strenna 2018 del Rettor Maggiore a tutta la Famiglia Salesiana, ci soffermiamo a meditare oggi sull’incontro di Gesù con la Samaritana, descritto con molta freschezza e vivacità da Giovanni. Siamo di fronte ad una delle scene più suggestive del quarto Vangelo. La contempliamo dalla prospettiva del “primo annuncio”. Qui è Gesù stesso che, con arte e saggezza, suscita l’interesse, affascina, fa nascere e fa germinare una fede iniziale carica di promessa. Le condizioni sono sfavorevoli: una donna “lontana”, una zona “periferica” e inospitale, un tempo pesante sotto il sole cocente di mezzogiorno, un’atmosfera di stanchezza e di fatica. Tutte circostanze apparentemente casuali… Ma, ecco, un evento di fecondità insospettata! Tre itinerari di fede guidati da Gesù Gustiamo maggiormente la bellezza del brano se lo consideriamo inquadrato nella sezione dei cap.3-4, in cui l’evangelista abilmente accosta tre incontri di Gesù con tre personaggi singolari:  Nicodemo (2,23-3,36)  La Samaritana (4,1-42)  Il funzionario del re (4,43-54) Sono tre personaggi molto diversi tra loro per sesso, etnia, provenienza, posizione sociale, cultura e tradizione, atteggiamento religioso, orientamento di vita. Hanno attese e disposizioni interiori differenti. E Gesù li avvia a tre itinerari di fede distinti, personalizzati. Anche il tempo (notte, mezzogiorno, un’ora dopo mezzogiorno) e l’ambiente dell’incontro (in casa, vicino al pozzo, sulla via) sono diversificati. Sotto la penna di Giovanni i tre personaggi rappresentano tre tipologie di persone ritrovabili in ogni tempo e tre cammini di fede attuabili anche oggi. Diversa da Nicodemo - fariseo, colto, radicato nella tradizione, che cerca un confronto con Gesù immaginando, forse, di poter discutere da pari a pari; diversa anche dal funzionario del re - il quale va da Gesù spinto da un bisogno urgente; la Samaritana emerge dalla quotidianità, in cui si muove la maggior parte degli esseri umani, che non hanno né un ruolo né un nome tali da dover essere ricordati. È intelligente e sensibile, ma superficiale: non ha né grandi ideali né profondi desideri nella vita. Al pozzo A mezzogiorno, sotto un sole cocente, Gesù, stanco e assetato, siede presso un pozzo (Gv 4,5-42). Il pozzo. In ogni cultura è qualcosa che ha un forte legame con la vita: custodisce l’acqua fresca che sgorga dal cuore della terra, parla di dono umile, gratuito e generoso, evoca la fatica del perforare e dell’attingere, allude alla tranquilla dimora dell’acqua nelle profondità misteriose. Il pozzo scavato dagli antenati benefica i figli di generazione in generazione. È un’eredità dinamica, vitale. Collega le generazioni. Nello scorrere del tempo il pozzo rimane lo stesso, ma l’acqua che vi nasce dentro è sempre nuova, capace di dissetare i padri e i figli e i figli dei figli. Il pozzo unisce la memoria del passato e i sogni del futuro, parla di gratitudine, di responsabilità e di speranza. Il pozzo, nodo vitale della gente, è anche un luogo d’incontro: luogo dove le vite s’intrecciano, dove l’acqua viene richiesta e donata, dove si instaurano rapporti interpersonali inattesi, dove gli stranieri diventano amici. Il pozzo è un luogo particolarmente caro alla donna. Mentre per gli uomini la piazza pubblica e la porta della città rappresentano i tipici punti di ritrovo, per le donne il tacito appuntamento è sempre al pozzo. Il pozzo
  • 2. 2 offre loro la possibilità di vita sociale, di scambio di notizie e di esperienze, di partecipazione e di solidarietà, di condivisione delle piccole vicende del quotidiano: gioie, dolori, problemi, preoccupazioni, desideri, sogni, curiosità. Al pozzo lo spazio è libero per poter coniugare il privato con il pubblico, la vita personale con quella della comunità, il lavoro con l’ozio. Nell’Antico Testamento troviamo varie icone di donne al pozzo e parecchi incontri sono avvenuti presso un pozzo: fra il servo di Abramo e Rebecca (Gen 24, 11-14), fra Giacobbe e Rachele (Gen 29,9-11), tra Mosè e le figlie di Ietro, sacerdote di Madian (Es 2,15-22) ecc. Il dialogo Il dialogo tra Gesù e la donna (4,7-26) non solo è denso dal punto di vista teologico e antropologico, ma è anche di una bellezza letteraria singolare. In un crescendo d’intensità e di profondità, si svolge in modo del tutto lineare: i due interlocutori semplicemente si alternano. Può essere suddiviso in due sequenze (7-15, 16- 26). Ogni sequenza è composta da 3 battute per ciascuno dei due interlocutori. Gesù: «Dammi da bere». 9 La donna: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? » 10 Gesù: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11 La donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13 Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15 La donna: «Signore, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16 Gesù: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17 La donna: «Io non ho marito». Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18 Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». ------------ 19 La donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20 I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21 Gesù: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». ------------ 25 La donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26 Gesù: «Sono io, che parlo con te». Un trampolino di lancio Al primo impatto, Gesù scende sempre al livello del suo interlocutore, lo stimola gradualmente a riflettere, gli pone delle domande, suscita in lui desideri, lo induce alla ricerca e gli fa delle proposte. Così agisce con la samaritana servendosi del simbolo dell’acqua. Nel dialogo Egli normalmente non adotta una strategia
  • 3. 3 prefissata, ma lascia che lo spazio si apra alla novità, al dinamismo dell’incontro di due libertà. Per questa ragione all’inizio è spesso frainteso; tuttavia, man mano che il dialogo procede, con i suoi intrecci di parole e di silenzi, di simboli ed immagini, di reazioni interiori e di espressioni esteriori, di sorpresa e di attese, il fraintendimento si risolve e l’interlocutore compie un salto di qualità verso il piano superiore cui Gesù lo guida. Così capita alla samaritana. “Dammi da bere!” È Gesù che prende l’iniziativa del dialogo. La richiesta denota il suo desiderio di entrare in relazione. Egli elimina il sospetto, rompe le barriere tra uomo e donna, tra Giudei e Samaritani e fa respirare l’aria libera di relazioni autentiche. Ne nasce un dialogo (“tu … a me”) e un incontro personale. “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere! Tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva” (v.10). Con fine intuito psicologico Gesù fa passare la donna di meraviglia in meraviglia. Ne sposta l’interesse dal pozzo materiale all’uomo, che ora si presenta come colui che può dare. Insinua un possibile capovolgimento della situazione. La donna all’inizio è piena di domande: “Come mai, tu che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” (v.9); Come può questo sconosciuto darle dell’acqua non avendo modo di attingere al pozzo? Come osa Egli pretendere, promettendole acqua viva, di essere più grande dei patriarchi che avevano dovuto scavare un pozzo? (cf. vv.11-12). Gradualmente, però, si lascia coinvolgere da Gesù, modifica il suo sguardo su di lui, cambia, quindi, il modo di chiamarlo: prima lo definisce “un giudeo” (v.9) poi lo interpella “Signore” (v.11), cioè persona straordinaria, forse “più grande di Giacobbe” (v.12). Anche il discorso di Gesù a poco a poco si stacca dalla situazione circoscritta e si fa universale (“Chiunque beve di quest’acqua”), aperto al futuro (“l’acqua che io gli darò”) e ad un orizzonte sempre più ampio (“Diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”). È a questo punto che il trampolino di lancio ha compiuto la sua funzione. Ora è la donna che compie un salto in alto ed esplicita la sua richiesta: “Dammi di quest’acqua”. Sebbene non abbia ancora una chiara comprensione di che cosa sia realmente quest’acqua, si lascia attrarre da Gesù, si fida di lui ed è certa che quell’acqua che egli le offre è un dono immensamente più grande dell’acqua del pozzo. La verità di sé e la verità di Dio Ma la meraviglia della donna è destinata ad aumentare. Gesù le dice: “Va a chiamare tuo marito e poi ritorna qui” (v. 16). La svolta del dialogo è imprevista; l’imperativo è diretto, esplicito e preciso. L’intento è di portare questa donna alla verità su se stessa, preparandola ad accogliere la verità di Gesù. La verità di sé e la verità di Dio si rivelano congiuntamente. Bisogna partire riconoscendo sinceramente i propri limiti. La samaritana qui ammette: “Non ho marito”. A Cana, la madre di Gesù si rivolge al figlio dicendo: “Non hanno vino” (Gv 2,3). E il paralitico alla piscina di Betzatà dirà di non poter guarire perché “Non ho nessuno …” (Gv 5,7). In modo del tutto inaspettato la donna sente scavare all’interno della sua vita. Inizialmente pone ancora qualche resistenza, tenta di nascondersi e di fuggire da se stessa, dalla propria storia e da Gesù, cerca di trasferire il discorso su questioni ampie e vaghe, su un terreno comune di discussione in cui tutti possono dire qualcosa senza serie responsabilità (“I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare” (v. 19), in modo da non essere lei al centro dell’attenzione. Ma Gesù, con delicatezza, la libera dalle sue maschere e dalle sue paure. Dio ama rivelarsi rivelando l’uomo a se stesso. Quando Egli irrompe nella vita e penetra nel cuore, l’uomo non può non provare i sentimenti del salmista che confessa: “Signore, tu mi scruti e mi conosci … dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza?” (Sal 139). È da un simile stato d’animo che scaturisce l’esclamazione di sorpresa della donna samaritana: “Signore, vedo che sei un profeta”.
  • 4. 4 La scoperta, però, non è finita. C’è qualcosa di ancora più grande in questo uomo seduto al pozzo. Egli è in grado di liberarla dai vecchi dilemmi in cui cerca di rifugiarsi, attirando la sua attenzione sulla novità che irrompe nel presente: “Credimi, donna, è giunto il momento, … ed è questo”. Poi le rivela chi sia il Padre, il quale “cerca” con amore i suoi “veri adoratori”. Gesù vuol trasmettere alla Samaritana questo messaggio: “Non sei tu che cerchi Dio, ma è Dio che ti cerca, ti conosce e ti ama. Tu sei stata trovata da Dio”. Il salto è forte. La donna non trova immediatamente il livello giusto in cui collocarsi. Oscilla tra il passato fossilizzato e un futuro ancora vago: “So che deve venire il Messia: quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. A questo punto avviene l’autorivelazione esplicita di Gesù che aiuta la sua interlocutrice a fare il balzo decisivo: “Sono io che ti parlo”. La Samaritana diventa, così, la prima destinataria dell’ “Io sono” che risuonerà per molte altre volte nel Vangelo di Giovanni. Ricapitolando questo incontro di “primo annuncio”: l’evento si apre con una richiesta semplice e si conclude con una solenne affermazione dello stesso Gesù : «sono io, che ti parlo». All’inizio Gesù è seduto al pozzo e chiede l’acqua, alla fine scava nel pozzo segreto del cuore della donna e ne fa nascere una sorgente che zampilla vita. Va con una brocca e ritorna con una sorgente Concluso l’incontro, la donna dimentica la sua brocca e corre in città per annunciare Gesù agli altri. Abbandona quella che era la sua unica preoccupazione: ora ha trovato di meglio. Come per Andrea e Filippo, l’incontro con Gesù aveva avuto come conseguenza una corsa dal fratello o dall’amico, così è per la Samaritana: una corsa dai suoi compaesani con una testimonianza personale (v. 29: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”) e un interrogativo (“Che sia lui il Messia?). Non si tratta di un annuncio obbligante, ma di una domanda che stimola, provoca, attira e apre lo spazio alla ricerca di una risposta (v.42: “Questi è veramente il salvatore del mondo”). Non solo la donna dimentica la sua brocca, ma anche Gesù dimentica la sua stanchezza, il suo bisogno di acqua e di cibo. Anche lui ha trovato di meglio. La sua vera sete, quella di comunicare la salvezza, è stata lenita, la sua fame, quella di nutrirsi della volontà del Padre e compiere la sua opera, è stata soddisfatta. Richiami alla spiritualità salesiana Il pozzo di Giacobbe e la pompa di Valdocco. A Valdocco, al tempo di don Bosco, c’era una fontana, o meglio, una pompa d’acqua. Dopo un secolo e mezzo, nonostante tutti i restauri e i cambiamenti, la pompa è ancora lì, sopravvissuta. Se cerchiamo con attenzione nel primo cortile di Valdocco, addossata ad uno dei pilastri che formano il portico davanti alla cappella Pinardi, scopriamo qualcosa che ci parla di quei tempi, ed ancor oggi possiamo dissetarci a quell’acqua salesiana. Don Bosco considerava quella pompa un luogo di eccezionale importanza strategica per la sua educazione. Ce lo conferma don Giuseppe Vespignani, sacerdote originario di Ravenna che, poco più che ventenne, era giunto a Valdocco nel 1876 per farsi salesiano. Subito accolto da don Bosco, il buon don Giuseppe non fu certo lasciato con le mani in mano: divenne segretario di don Rua e gli fu affidata una “piccola” classe di catechismo, di circa120 ragazzi sui 12 anni! Possiamo immaginare lo spavento del povero don Vespignani! La prima domenica, espose la sua lezione coscienziosamente preparata in tre punti, come gli avevano insegnato in seminario, ma fu un vero disastro: chiasso e schiamazzi, una baraonda incontenibile. Passata la tempesta don Giuseppe corse da Don Rua, che lo rincuorò invitandolo a riprovare la domenica successiva. Nuovo fallimento totale! A questo punto per don Giuseppe restava una cosa sola da fare: salire le scale e bussare alla porta dello studio di don Bosco, per chiedere consiglio al buon padre. Sentiamo direttamente il racconto del giovane salesiano:
  • 5. 5 Ricorsi dunque a Don Bosco, esponendogli le due disfatte e manifestandogli il dubbio sulla mia inettitudine a compiere gli uffici principali del Salesiano, come il catechizzare i ragazzi e fare scuola. Don Bosco, sorridendo, mi chiese come mai io fossi così pauroso da spaventarmi d'un centinaio di ragazzi, ben disposti e desiderosi di ascoltarmi e d'imparare; tutta la difficoltà stava nel non conoscerci reciprocamente. — E come farò io a conoscerli e a farmi conoscere? — Oh, bella! Mettendosi con loro, trattandoli familiarmente, portandosi come uno di essi. — Ma dove, ma quando mettermi con loro? Io non sono fatto per giocare, correre, ridere in loro compagnia; i miei malanni, la debolezza del petto me l'impediscono. — Ebbene, vada alla pompa. Là all’ora di colazione troverà tanti giovani riuniti per bere, che discorrono degli studi, della scuola, dei giochi, di tutto. S’intrometta anche Lei, si faccia amico di tutti, e poi andrà alla rivincita, e ci riuscirà. Il suggerimento mi ridonò la vita, ancorché non ne comprendessi lì per lì tutta l’importanza. Risolvetti di fare proprio come Don Bosco mi aveva consigliato. E venuta l’ora della colazione, mi appostai vicino alla pompa dell’antico pozzo presso la casa Pinardi, pompa che tuttora esiste, ancorché oggi metta acqua potabile scesa dall’alto e non più tirata su di sotterra. In quei tempi la colazione consisteva nella famosa «pagnotta», distribuita ai giovani nell’uscire dalla chiesa. Essi, ricevutala, correvano presso la pompa dell’acqua a divorarla; indi si spargevano, chi prima chi dopo, per il cortile, dandosi ai loro giuochi. Là, vicino a quel convegno, era il punto strategico indicatomi da Don Bosco. Eccomi dunque al mio posto di osservazione, direi quasi al mio pozzo di Giacobbe. Passeggio lento lento sotto il porticato senza perder di vista la pompa e i suoi avventori, che vi volano a stormi con la loro pagnotta in mano. Mentre gli uni bevono, altri conversano di lezioni, di compiti, dei voti di condotta, delle materie scolastiche. Chi dice delle difficoltà incontrate nel tema, chi parla delle sue aspirazioni senza far mistero nemmeno della propria vocazione. Io mi accosto, attacco discorso, faccio domande su cose scolastiche del giorno, chiedo chi riesce meglio nella tale o tal altra materia, mi spingo financo a interrogare sul conto che si fa del catechismo, e vedo stringermisi attorno a poco a poco uno sciame di quei birichinetti che tanta molestia mi cagionavano in classe, e tutti mi rispondono a tono. Presa confidenza, chiedo il perché di quel chiasso durante la lezione di catechismo. Le spiegazioni sono parecchie, dalle quali però capisco che non ci conoscevamo e quindi non ci potevamo intendere. Ritornato alcune mattine di seguito al medesimo convegno, me li vedeva attorno con certa libertà, che ne attestava le ottime disposizioni. (Tratto da: G. VESPASIANO, Un anno alla scuola del Beato Don Bosco (1876-1877), Torino, SEI 1930, 68-69). L’icona dell’incontro di Gesù con la Samaritana per Madre Mazzarello La figura della Samaritana è molto cara a madre Mazzarello. Esortando le suore a prepararsi con gioia a ricevere la comunione, dice: “Dobbiamo figurarci di essere come la Samaritana al pozzo di Giacobbe e domandare a Gesù quell’acqua viva per cui non si ha più sete in eterno” (Maccono II, 86), e ancora: “Noi dobbiamo pensare che Gesù ci aspetti come aspettò la Samaritana al pozzo di Giacobbe: Egli ci aspetta perché vuol venire in noi e darci le sue grazie, e noi dobbiamo affrettare il suo arrivo coi più vivi desideri del nostro cuore” (Maccono II, 136). L’icona di Gesù, seduto a pozzo, in attesa di offrire la sua acqua viva, doveva essere tanto affascinante per Madre Mazzarello. Quest’icona continua ad affascinare le FMA di generazione in generazione. Il pozzo di Sicar e il pozzo di Mornese Nell’ambiente di Madre Mazzarello due sono i pozzi carichi di significato simbolico. Il primo è quello della cascina Valponasca in fondo alla vallata, dove la giovane Maria Domenica si recava quotidianamente ad attingere l'acqua necessaria per la giornata. È il simbolo dell’unione tra contemplazione e diligente lavoro quotidiano che caratterizza Maria Domenica fin dalla giovinezza.
  • 6. 6 Il secondo si trova al centro della casa-madre dell'Istituto FMA, il "Collegio" di Mornese. È il pozzo da dove attingeva l’acqua, la prima comunità che viveva con Madre Mazzarello. È il testimone di una comunità semplice, dove la povertà era vissuta con gioia, le relazioni erano aperte e trasparenti, il lavoro portato avanti con responsabilità condivisa. È luogo dell’accompagnamento educativo, della fecondità apostolica e dello slancio missionario. Oggi, abbellito e restaurato, rimane il simbolo dello spirito mornesino. Ogni anno molti gruppi di FMA, da diverse parti del mondo, arrivano per la prima volta oppure ritornano per sostare presso questo pozzo e per attingere, a quest'acqua inesauribile, lo spirito che abitava la loro Madre. Il pozzo di Mornese viene riprodotto anche materialmente in molte case delle FMA nei cinque continenti. È segno che il dono dell’acqua è diventato una sorgente feconda che zampilla per la vita eterna (cf. Gv 4,14). Alcuni pensieri tratti dalla Strenna 2018 proposta dal Rettor Maggiore, Don Ángel Fernández Artime: “Signore, dammi da quest’acqua”. Coltiviamo l’arte di ascoltare e di accompagnare  L’incontro avviene in un luogo profano e “all’aperto”, un pozzo in mezzo alla campagna, che si trasformerà in luogo di incontro don Dio.  Gesù, vero protagonista e soggetto primo dell’incontro, dell’ascolto e del dialogo iniziale, “disegna” la strategia di questo incontro, incominciando con l’ascolto dell’altra persona e della situazione, che Egli intuisce.  A volte, questi incontri e queste conversazioni casuali possono “aprire porte” verso un cammino più profondo e di crescita … Così è accaduto durante l’incontro di Gesù con la donna, che si era recata al pozzo semplicemente per attingere acqua.  Gesù fa capire all’anonima samaritana che Egli comprende la sua situazione più di quanto ella possa immaginare, e che intuisce il dolore e la sofferenza che, in certo modo, deve aver sopportato… le fa sperimentare un’empatia compassionevole.  Gesù non accusa, ma dialoga e propone… Nel dialogo con la donna di Samaria procede con calma, senza la fretta di presentarsi come colui che può cambiare la sua vita, risvegliando in lei poco a poco l’interesse dell’accesso a una sorgente d’acqua che promette una vita speciale, diversa, migliore.  Gesù non offre un allargamento della loro conoscenza e del loro sapere a coloro con i quali si incontra, come in questo caso con la Samaritana, ma piuttosto consegna loro una proposta per crescere e cambiare la vita.  La conclusione dell’incontro va oltre quello che ci si attenderebbe in un finale normale, cioè che la donna ritorni alla sua vita ordinaria con l’anfora piena d’acqua. Al contrario, l’anfora, che la donna abbandona vuota per andare a chiamare i suoi, ci parla di un guadagno e non di una perdita.