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LE TANGENTI NON SONO ALLARME SOCIALE? IL PROCURATORE AGUECI:
“NON HO PAROLE”
Questo il commento del magistrato alla notizia del parere dell’Avvocatura e alla conseguente
mancata costituzione di parte civile della Regione al processo contro un proprio dipendente
accusato di corruzione
di Alberto Samonà
“Non ho parole”. Questo il commento del procuratore aggiunto Leonardo Agueci alla notizia della
mancata costituzione di parte civile della Regione siciliana al processo contro un proprio dipendente
infedele accusato di corruzione. Mancata costituzione dovuta a un parere dell’Avvocatura
distrettuale dello Stato. “Non ho proprio parole – ha detto il magistrato – proprio
perché l’Avvocatura dello Stato di Palermo è sempre stata sensibile su questi temi. Ho sperimentato
la sensibilità dimostrata in altre occasioni, ecco perché questa notizia mi ha lasciato di stucco. Devo
leggere le motivazioni”.
Eppure, in tal caso la sensibilità non si è tradotta in un orientamento conseguente. La vicenda è
quella relativa al procedimento penale a carico del funzionario dell’assessorato al
Territorio,Gianfranco Cannova, arrestato mesi fa con l’accusa di avere intascato tangenti e usufruito
di soggiorni in lussuosi alberghi, per “oliare” una pratica nel settore dello smaltimento dei rifiuti e
delle discariche.
Il dipendente regionale è attualmente alla sbarra davanti al tribunale di Palermo ma, male che gli
vada, potrà incassare una condanna penale, mentre non vi sarà alcuna provvisionale, alcun
risarcimento in favore della Regione, in quanto questa non si è costituita parte civile.
Un dietro-front, dovuto al fatto che l’Avvocatura distrettuale dello Stato, investita della questione,
ha spiegato che se il danno provocato all’ente pubblico non è eccessivo, allora non è il caso che
questo si costituisca parte civile. Una decisione, motivata con parole che lasciano di stucco,
soprattutto nella parte in cui viene definita «inopportuna» l’eventualità della Regione di costituirsi
al processo per far valere il proprio ruolo di parte offesa. La stessa Avvocatura aveva motivato il
proprio orientamento con «l’esiguità del danno provocato dal singolo caso al patrimonio pubblico»
e per il «non particolare allarme sociale connesso alle fattispecie concrete contestate».
Tanto è bastato per convincere la Regione Siciliana a non costituirsi in giudizio quale parte offesa.
http://www.loraquotidiano.it/2015/02/06/le-tangenti-non-sono-allarme-sociale-il-procuratore-agueci-
non-ho-parole_24348/
Le mazzette? “Non provocano allarme sociale” E la Regione siciliana non si
costituisce parte civile
Le mazzette “non sono un fattore di particolare allarme sociale” dice l’Avvocatura
distrettuale dello Stato in un parere consegnato alla Regione siciliana. E questo è bastato
all’amministrazione regionale per decidere di non costituirsi parte civile nel processo per
corruzione a un proprio funzionario.
Il processo è cominciato lo scorso 19 gennaio nei confronti di Gianfranco Cannova,
dipendente dell’assessorato al Territorio, che ha ammesso di aver preso tangenti (denaro
e soggiorni gratis in alberghi di lusso), in cambio di autorizzazioni ad alcuni imprenditori
titolari di discariche. La notizia è stata pubblicata da Repubblica. Eppure, dopo l’arresto di
Cannova, avvenuto lo scorso luglio, il governatore Rosario Crocetta tuonò contro la nuova
tangentopoli.
Ma l’Avvocatura ha giudicato “inopportuna” la costituzione di parte civile, “attesa la
esiguità del danno e il non particolare allarme sociale connesso alle fattispecie concrete
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contestate”. Secondo l’Avvocatura, la Regione può esimersi dal chiedere un risarcimento
“perché è sufficiente l’impulso accusatorio del pubblico ministero”, si legge in una nota del
10 novembre scorso, firmata dall’avvocato distrettuale Massimo Dell’Aira e dall’incaricato
Pierfrancesco La Spina.
L’assessore regionale al Territorio, Maurizio Croce, spiega di aver saputo dai giornali della
mancata costituzione come parte civile: “È grave la nostra posizione – dice – e vergognosa
la motivazione fornita dall’Avvocatura”. E Crocetta aggiunge: “Non so cosa sia successo.
Disporrò un’inchiesta interna”.
5 febbraio 2015
http://www.si24.it/2015/02/05/regione-sicilia-processo-gianfranco-cannova-mazzette-allarme-
sociale/79361/
CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI
AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti
Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia
che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni
sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei,
privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità?
Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia
e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su
presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante,
considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di
pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il
fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche,
anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e,
adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia.
E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’
Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà
cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi
di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani
ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si
sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo
successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado sempre per
mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni
inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda
il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a
illustrarla.
In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima
del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione
siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio
legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento
giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata
costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al
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fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del
procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui
provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di
un funzionario e non di un dirigente.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di
legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile
da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un
comitato di affari.
E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte
civile?
E’ Cannova non sa nulla di questa storia?
Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano.
In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre
antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse
semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a
scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due
dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo
- Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’
Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano,
è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti.
Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a
questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le
regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il
presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati
e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i
cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno.
Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la
magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono
avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per
gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché,
a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia.
Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia
provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i
rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a
restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome.
Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i
beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non
coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un
peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel
Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi
dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro
un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati
e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle
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aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli
avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i
politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica!
Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I
cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di
essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive
ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una
società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del
miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI , affidati a soggetti
dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla.
Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato
senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto
che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato.
Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello
Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la
magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai
prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della
legalità.
La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti
ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano.
Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già
nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo
strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in
pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria
Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse
applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi.
Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione
regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa
amministrazione regionale!
Entrambi in palese conflitto di interessi.
Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi
questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità
competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del
senatore Lumia.
Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore
della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di
decomposizione politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha
centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia
Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro
(€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( SENT. N.
401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del
dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal
Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del
decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal
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presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli
Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché
sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione
di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro).
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles,
sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati
all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori
commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali,
mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi
pubblici non sovrapponibili.
Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare
fondi regionali erogati illegittimamente.
Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a
monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per
definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La
Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi
regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della
formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del
Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con
le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la
stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa
finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di
un’irregolarità ai danni di se stessa.
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema
di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi
giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che
gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto
‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani.
Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero
essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e
ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i
privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è
perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di
rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia,
destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo
Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac
- società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa,
dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà
pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico
verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta
nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata.
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani.
Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la
Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio,
sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2
per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo
di privati.
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di
Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della
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Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società
aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte
commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per
Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio
per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà.
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe
Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di
Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione
dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina
l’ambiente.
Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non
possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte.
Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno
via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra
finita.
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di
legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per
il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua
pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi
che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei
Paesi dell’Unione europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle
‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo
spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi
di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio
‘intollerabile’…
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è
un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della
burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra
più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si
scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari.
http://www.lavocedinewyork.com/Ascesa-e-declino-dell-Antimafia-degli-affari-che-non-si-
possono-rifiutare-/d/9843/
IL GRANDE INGANNO DELL'ANTIMAFIA SICILIANA: COSÌ L'EROE DELLA LEGALITÀ
METTE LE MANI SULL'EXPO
Montante, indagato assieme all'ex governatore Lombardo, condannato, sono i creatori di
Caltanissetta "zona franca" anti-pizzo. Tra collusioni e fiumi di soldi, tutti i paradossi di
un'impostura politica dietro la dittatura degli affari
dai nostri inviati ATTILIO BOLZONI E EMANUELE LAURIA
CALTANISSETTA - Lo sapevate che esiste una "zona franca della legalità" dove ci sono gli
abitanti più buoni e più onesti d'Italia? E lo sapevate che l'hanno fortemente voluta un governatore
condannato per mafia e un imprenditore indagato per mafia? Per capirne di più bisogna andare a
Caltanissetta, quella che è diventata la capitale dell'impostura siciliana.
Nella città dove è iniziata l'irresistibile ascesa del cavaliere Antonio Calogero Montante detto
Antonello, presidente di Confindustria Sicilia, presidente della locale Camera di commercio,
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presidente di tutte le Camere di commercio dell'isola, consigliere per Banca d'Italia, delegato
nazionale di Confindustria (per la legalità, naturalmente) e membro dell'Agenzia nazionale dei beni
confiscati (unica carica dalla quale si è al momento autosospeso per un'indagine a suo carico per
concorso esterno), si può scoprire come in nome di una assai incerta antimafia si è instaurata una
sorta di dittatura degli affari. Un califfato che si estende in tutta la Sicilia ma che è nato qui, a
Caltanissetta, dove commistioni - e in alcuni casi connivenze - fra imprese e politica, impresa e
stampa, imprese e forze di polizia, imprese e magistratura, hanno ammorbato l'aria e fatto calare
una cappa irrespirabile sulla città.
UNA FINZIONE SOFFOCANTE
In Sicilia tutto si fonda su due parole magiche: legalità e antimafia. È una "legalità" costruita a
tavolino e un'"antimafia padronale" che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di
interesse. Dopo la felice stagione iniziata con la "rivolta degli imprenditori" del 2007 guidata da
Ivan Lo Bello contro il racket, trasformismo e ingordigia hanno snaturato l'iniziale esperienza e una
consorteria si è impadronita di tutto.
La "zona franca" l'ha pretesa la Confindustria siciliana di Montante, l'unico "partito" che nel
governo regionale siede ininterrottamente da sei anni con un proprio rappresentante. Quando
governatore era Raffaele Lombardo - il 2 maggio del 2012 - fu istituita con un atto ufficiale la
Provincia di Caltanissetta fu riconosciuta come "zona franca della legalità". L'obiettivo era quello di
concedere benefici fiscali alle aziende che "si oppongono alle richieste estorsive della criminalità
organizzata". Previsione di spesa: 50 milioni di euro.
Lombardo, che al momento della firma era già indagato per reati di mafia, due mesi più tardi si è
dimesso e un anno dopo è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. Un (presunto) amico
dei boss che concede agevolazioni a chi si batte contro il racket su richiesta di chi - Montante - è
oggi a sua volta chiamato in causa da cinque pentiti per legami con le "famiglie". Trame di potere in
una Sicilia che non ha mai temuto il paradosso.
SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO
La Confindustria di Montante ormai è ovunque. Guida l'Irsap, l'istituto che gestisce le aree
industriali siciliane, ha un peso decisivo nel business dei rifiuti e ora ha messo le mani sull'Expo.
Pochi giorni fa, l'assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, il rappresentante di
Confindustria nella giunta di Rosario Crocetta, ha siglato una convenzione che assegna a
Unioncamere un pacchetto di interventi per due milioni di euro. Chi guida Unioncamere in Sicilia?
Antonello Montante. Sarà lui, malgrado l'inchiesta per concorso esterno, a decidere quali
"eccellenze" siciliane del settore agro-alimentare dovranno figurare nella vetrina di Milano e in
undici stand fra porti e aeroporti dell'isola. Materia d'indagine per almeno due procure (Palermo e
Caltanissetta) e per Raffaele Cantone, il presidente dell'Authority contro la corruzione che, appena
il 16 gennaio scorso, ha annunciato che su Expo è stato avviato "il più grande controllo antimafia di
tutti i tempi".
MARKETING DI IMMAGINE
Una rete di interessi così fitta è protetta anche da una stampa a volte troppo compiacente con
Montante e i suoi amici. Al punto da proporre (l'ha fatto La Sicilia in un lungo articolo) la notizia di
una laurea honoris causa in Economia e Commercio riconosciuta dall'Università "La Sapienza"
all'imprenditore. L'ateneo ha smentito il giorno dopo. Era falso.
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Nelle sue molteplici vesti istituzionali Montante ha spesso offerto un "sostegno" a mezzi
d'informazione e singoli giornalisti. Da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta ha
erogato una pioggia di contributi, sotto la voce "azione di marketing territoriale". Ne hanno
beneficiato cronisti-scrittori, ancora prima della pubblicazione dei loro libri e testate web. Una
settimana fa Il Fatto Nisseno, uno dei siti favoriti, ha cancellato un'intervista di Michele Costa (il
figlio del procuratore ucciso a Palermo nel 1980) che manifestava perplessità sull'opportunità che
Montante - sott'inchiesta - mantenesse le sue cariche.
L'intervista è sparita nella notte "dopo devastanti pressioni". Un altro clamoroso caso riguarda un
contratto di collaborazione per due anni - 1.300 euro al mese - che Confindustria Centro Sicilia
(sempre Montante presidente) ha firmato con il responsabile delle pagine di Caltanissetta de Il
Giornale di Sicilia. Tutti episodi, quelli citati, che hanno spinto l'Ordine dei giornalisti ad aprire
un'indagine conoscitiva.
UN ALTRO PALADINO
Oltre ad Antonello Montante, c'è un altro campione dell'antimafia a Caltanissetta. Si chiama
Massimo Romano, socio e amico del Cavaliere, è il proprietario di 34 supermercati sparsi per la
Sicilia e, qualche anno fa, era già finito nelle pieghe di un'indagine sui "pizzini" di Bernardo
Provenzano molto interessato alla grande distribuzione. Romano da molto tempo siede a tavoli
istituzionali con questori e prefetti, è il presidente del Confidi (un consorzio che cede prestiti a
piccole e medie imprese) e il suo nome è scivolato in un'operazione antimafia dove il fratello
Vincenzo - secondo il giudizio dei magistrati - l'avrebbe tenuto fuori dalla faccenda delle
estorsioni "per preservarlo da possibili negative conseguenze sia di immagine che di carattere
giudiziario". Il doppio volto di Caltanissetta zona franca per la legalità.
L'IMPASTO
C'è promiscuità fra investigatori e magistrati e l'indagato di mafia Montante. A Roma e in Sicilia. A
Caltanissetta - visti i suoi rapporti intensi con Angelino Alfano che poi l'ha designato anche
all'Agenzia dei beni confiscati - Antonello Montante è riuscito, il 21 ottobre del 2013, a far
presiedere al ministro dell'Interno il comitato nazionale per l'ordine pubblico e sicurezza. Un
organismo che, solo in casi straordinari, si riunisce lontano da Roma. In Sicilia non accadeva dai
tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. Perché la scelta di Caltanissetta? Per farla diventare
quella che non è mai stata, cioè una roccaforte dell'antimafia.
In Sicilia e a Caltanissetta c'è una vicinanza molesta fra imprenditori e rappresentanti dello Stato (si
racconta di questori che si trasformano in tappetini al cospetto di Montante, di prefetti che hanno
ricevuto esagerate regalie), ci sono investigatori che si fanno assumere parenti e amiche dalla
cordata (è il caso di un ufficiale della Dia e di un maggiore della Finanza), ci sono uomini dei
servizi segreti che sguazzano allegramente nell'ambiente "antimafioso", c'è una prossimità
imbarazzante con molte toghe. Tanto evidente che ha portato il nuovo presidente dell'Associazione
nazionale magistrati Fernando Asaro a invitare i suoi colleghi "a una ineludibile concreta distanza
da centri di potere economici ". Più chiaro di così.
http://www.repubblica.it/cronaca/2015/02/23/news/il_grande_inganno_dell_antimafia_siciliana_cos
_l_eroe_della_legalit_mette_le_mani_sull_expo-107966853/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_23-02-
2015
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17 FEBBRAIO 2015
La provocazione di Montante: "Burocrazia peggio della mafia, il pizzo si paga con un conto in
nero"
Le immagini si riferiscono all'incontro del 25 febbraio 2014 a Catania tra Confindustria e la giunta
comunale di Enzo Bianco nel corso del quale il presidente dell'associazione siciliana degli
industriali Antonello Montante – attualmente indagato per presunti contatti con i boss - parla a
lungo di mafia e burocrazia, asserendo che quest'ultima è più dannosa della mafia. E che il pizzo si
può pagare con un conto in nero (Immagini di Angelo Capuano)
LEGGI SU PALERMO.REPUBBLICA.IT
Soldi da Montante ai giornalisti, indaga l'Ordine
Montante coinvolto in due inchieste per mafia lascia i Beni confiscati
Montante, il paladino antimafia sotto inchiesta per contatti con i boss
COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I
BENI CONFISCATI
Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende
dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a
Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA
Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una
decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il
presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale
dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di
due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante
sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco
(Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".
Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta
dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco
Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la
sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in
attesa di sviluppi giudiziari.
Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da
magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa,
seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".
Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale
dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola
della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al
sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia,
Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.
Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di
consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe
dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione,
pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a
dimettersi per legge".
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In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista
avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta
dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso
stamattina.
"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo
anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni
durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla
propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e
che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a
protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni
durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle
aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai
fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a
Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".
Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in
causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma
Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in
documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e
la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo
minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione
innanzitutto culturale"
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/13/news/coinvolto_in_due_inchieste_per_mafia_montante_lascia_l_agenzia_per_i_beni
_confiscati-107198186/
MONTANTE, L'INDUSTRIALE PALADINO DELL'ANTIMAFIA SOTTO INCHIESTA IN
SICILIA PER MAFIA
Leader in ascesa, presidente degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria
Ora però tre pentiti lo accusano. E dal suo passato spuntano fuori amicizie compromettenti
di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO
C'È UN pezzo grosso dell'Antimafia dell'ultima ora che è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei
volti nuovi dell'Italia che combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti
prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la "legalità" di Confindustria. Ci
sono alcuni pentiti che parlano di lui e delle sue "pericolose frequentazioni". Come si chiuderà
questa vicenda - se c'è solo fumo o anche molto arrosto - nessuno ancora lo può dire, di sicuro
però Antonello Montante, uno dei cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo
recenti, maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della repubblica di
Caltanissetta. All'anagrafe è registrato come Antonio Calogero Montante, ha 52 anni, è un siciliano
di Serradifalco, provincia di Caltanissetta - dove è anche presidente della locale Camera di
Commercio - ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato negli
anni '20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore della "Msa", Mediterr Shock
Absorbers Spa, azienda di progettazione e produzione di ammortizzatori per veicoli industriali
presente in tutto il mondo.
Su di lui c'è l'inchiesta di Caltanissetta e poi ce n'è un'altra a Catania, su una denuncia presentata nei
mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il "peso" del personaggio coinvolto sia per gli effetti che
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le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo - su
proposta del ministero dell'Interno - ha designato Montante componente dell'Agenzia dei beni
confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro.
L'inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma
fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un'antimafia di fresca nascita - con
patenti rilasciate con assai disinvoltura - e il paradosso tutto italiano di come si possa
tranquillamente navigare da una sponda all'altra senza incertezze e contraccolpi.
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/09/news/montante_l_industriale_paladino_dell_antima
fia_sotto_inchiesta_in_sicilia_per_mafia-106867246/
COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA
PER I BENI CONFISCATI
Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo
le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA
Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una
decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il
presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale
dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di
due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante
sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco
(Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".
Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta
dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco
Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la
sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in
attesa di sviluppi giudiziari.
Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da
magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa,
seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".
Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale
dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola
della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al
sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia,
Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.
Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di
consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe
dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione,
pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a
dimettersi per legge".
In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista
avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta
dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso
stamattina.
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"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo
anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni
durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla
propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e
che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a
protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni
durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle
aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai
fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a
Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".
Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in
causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma
Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in
documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e
la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo
minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione
innanzitutto culturale"
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/13/news/coinvolto_in_due_inchieste_per_mafia_mont
ante_lascia_l_agenzia_per_i_beni_confiscati-107198186/
MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE
DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE
17 FEBBRAIO 2015
Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio,
infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra
categoria.
Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella
dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che
si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei
giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo
Paese.
Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di
Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi
che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi.
Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria
Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o
verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di
evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania.
Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma
soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire,
mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi,
come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a
dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale
mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado.
Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del
“caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi
acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini
(a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per
raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
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Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi
interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me
difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio
(si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) .
E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle
varianti possibili in quel della provincia nissena.
Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza.
Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini
(spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla
Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”.
In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi
eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla.
E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la
sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in
casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e
fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei
tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena
erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto
bianco e dall’anima nera.
Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle
che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet – che in questi anni, ogni
qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa
all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a
me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il
primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una
reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete
dubito.
Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una
ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle
menti raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste che fino a quel momento non
potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e che addirittura sfociava in denunce in sede penale
degli affamatori aguzzini. Che succede? si saranno chiesti pupi e pupari.
La ragione pratica è che uccidere chi si opponeva a Cosa nostra tra gli imprenditori era difficile: le
scorte, che talvolta sono messe a protezione degli inutili, questa volta erano messe a disposizione di
qualcuno utile alla causa di civiltà sociale ed economica.
Bisognava fare, dunque, troppo rumore. Meglio lanciare la scia lunghissima e distillata della
delegittimazione.
Volete due-esempi-due dell’escalation diffamatoria e delegittimante di questi anni? Quando
l’imprenditore che opera nel settore dell’ambiente Giuseppe Catanzaro, attuale numero 2 di
Confindustria Sicilia, denunciò ad Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro – si badi
bene – le sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre che lo avvolgevano. Quella scia
non si è ancora spenta.
Lo schema – mutatis mutandis – si ripropose con Ivanhoe Lo Bello, attuale vicepresidente
nazionale di Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di omertà e ipocrisia che gravava (e
grava oggi più di ieri) su Catania, scoperchiò anche con un’intervista al Corriere della Sera il
maleodorante pentolone delle aree industriali, del movimento terra, dei trasporti e dell’edilizia. A
Palermo ci furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e striscioni contro colui il quale voleva
contribuire a cambiare, con i fatti, le cose. E i fatti (non le chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a
mettere nero su bianco una frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione delle mafie)
nella nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale della sicurezza svolto a Caltanissetta il
21 ottobre 2013 finita nelle mani del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un
settore nel quale oggi sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non lo cito
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per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo della Giustizia) Lo Bello scrisse
testualmente e Montante controfirmò, che «il territorio della provincia di Catania ha un ruolo
ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra lavorano congiuntamente e
regolano il mercato a livello nazionale». Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non
si è ancora spenta.
Credo che la delegittimazione (l’ho scritto mille volte su questo umile e umido blog con
riferimento a tante altre vicende inquietanti) sia la culla della morte. Più della morte fisica la
delegittimazione è in grado di uccidere, perché colpisce il luogo di una vita: la purezza
dell’anima.
Ma attenzione: quando la delegittimazione fallisce dopo aver usato, nella sua escalation, armi
estreme e radicali, quando non riesce nel proprio intento e quando la corsa non si può arrestare, non
resta che la morte. Quella fisica. Quella che uccide un uomo per educare un popolo come, in Sicilia
e nel Sud, è stato troppo spesso educato.
Non sono solo io a pensarlo. A meno che nella genia dei soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia
non rientri anche il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio lui, Salvatore
Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno giudiziario, ad affermare: «…in tal senso, da
parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali
siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito
mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari
protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe
tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei
quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero,
ndr)».
Arrestate Montante, indagate Lo Bello, braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per
tornaconto con loro o fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma, vi prego,
fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza Giustizia rapida, ci scapperà il morto. Il
primo nome è già sulla lista. Per educare un popolo.
r.galullo@ilsole24ore.com
si legga anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/13/antonello-montante-battaglie-ignorate-denunce-dimenticate-di-ministri-e-magistrati-e-parole-calate-dei-pentiti/
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/17/montante-confindustria-e-la-fine-innaturale-e-mortale-della-lunga-corsa-alla-delegittimazione/
IL GRANDE INGANNO DELL'ANTIMAFIA SICILIANA: COSÌ L'EROE DELLA LEGALITÀ
METTE LE MANI SULL'EXPO
Montante, indagato assieme all'ex governatore Lombardo, condannato, sono i creatori di
Caltanissetta "zona franca" anti-pizzo. Tra collusioni e fiumi di soldi, tutti i paradossi di
un'impostura politica dietro la dittatura degli affari
dai nostri inviati ATTILIO BOLZONI E EMANUELE LAURIA
CALTANISSETTA - Lo sapevate che esiste una "zona franca della legalità" dove ci sono gli
abitanti più buoni e più onesti d'Italia? E lo sapevate che l'hanno fortemente voluta un governatore
condannato per mafia e un imprenditore indagato per mafia? Per capirne di più bisogna andare a
Caltanissetta, quella che è diventata la capitale dell'impostura siciliana.
Nella città dove è iniziata l'irresistibile ascesa del cavaliere Antonio Calogero Montante detto
Antonello, presidente di Confindustria Sicilia, presidente della locale Camera di commercio,
presidente di tutte le Camere di commercio dell'isola, consigliere per Banca d'Italia, delegato
nazionale di Confindustria (per la legalità, naturalmente) e membro dell'Agenzia nazionale dei beni
confiscati (unica carica dalla quale si è al momento autosospeso per un'indagine a suo carico per
concorso esterno), si può scoprire come in nome di una assai incerta antimafia si è instaurata una
sorta di dittatura degli affari. Un califfato che si estende in tutta la Sicilia ma che è nato qui, a
Caltanissetta, dove commistioni - e in alcuni casi connivenze - fra imprese e politica, impresa e
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stampa, imprese e forze di polizia, imprese e magistratura, hanno ammorbato l'aria e fatto calare
una cappa irrespirabile sulla città.
UNA FINZIONE SOFFOCANTE
In Sicilia tutto si fonda su due parole magiche: legalità e antimafia. È una "legalità" costruita a
tavolino e un'"antimafia padronale" che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di
interesse. Dopo la felice stagione iniziata con la "rivolta degli imprenditori" del 2007 guidata da
Ivan Lo Bello contro il racket, trasformismo e ingordigia hanno snaturato l'iniziale esperienza e una
consorteria si è impadronita di tutto.
La "zona franca" l'ha pretesa la Confindustria siciliana di Montante, l'unico "partito" che nel
governo regionale siede ininterrottamente da sei anni con un proprio rappresentante. Quando
governatore era Raffaele Lombardo - il 2 maggio del 2012 - fu istituita con un atto ufficiale la
Provincia di Caltanissetta fu riconosciuta come "zona franca della legalità". L'obiettivo era quello di
concedere benefici fiscali alle aziende che "si oppongono alle richieste estorsive della criminalità
organizzata". Previsione di spesa: 50 milioni di euro.
Lombardo, che al momento della firma era già indagato per reati di mafia, due mesi più tardi si è
dimesso e un anno dopo è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. Un (presunto) amico
dei boss che concede agevolazioni a chi si batte contro il racket su richiesta di chi - Montante - è
oggi a sua volta chiamato in causa da cinque pentiti per legami con le "famiglie". Trame di potere in
una Sicilia che non ha mai temuto il paradosso.
SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO
La Confindustria di Montante ormai è ovunque. Guida l'Irsap, l'istituto che gestisce le aree
industriali siciliane, ha un peso decisivo nel business dei rifiuti e ora ha messo le mani sull'Expo.
Pochi giorni fa, l'assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, il rappresentante di
Confindustria nella giunta di Rosario Crocetta, ha siglato una convenzione che assegna a
Unioncamere un pacchetto di interventi per due milioni di euro. Chi guida Unioncamere in Sicilia?
Antonello Montante. Sarà lui, malgrado l'inchiesta per concorso esterno, a decidere quali
"eccellenze" siciliane del settore agro-alimentare dovranno figurare nella vetrina di Milano e in
undici stand fra porti e aeroporti dell'isola. Materia d'indagine per almeno due procure (Palermo e
Caltanissetta) e per Raffaele Cantone, il presidente dell'Authority contro la corruzione che, appena
il 16 gennaio scorso, ha annunciato che su Expo è stato avviato "il più grande controllo antimafia di
tutti i tempi".
MARKETING DI IMMAGINE
Una rete di interessi così fitta è protetta anche da una stampa a volte troppo compiacente con
Montante e i suoi amici. Al punto da proporre (l'ha fatto La Sicilia in un lungo articolo) la notizia di
una laurea honoris causa in Economia e Commercio riconosciuta dall'Università "La Sapienza"
all'imprenditore. L'ateneo ha smentito il giorno dopo. Era falso.
Nelle sue molteplici vesti istituzionali Montante ha spesso offerto un "sostegno" a mezzi
d'informazione e singoli giornalisti. Da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta ha
erogato una pioggia di contributi, sotto la voce "azione di marketing territoriale". Ne hanno
beneficiato cronisti-scrittori, ancora prima della pubblicazione dei loro libri e testate web. Una
settimana fa Il Fatto Nisseno, uno dei siti favoriti, ha cancellato un'intervista di Michele Costa (il
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figlio del procuratore ucciso a Palermo nel 1980) che manifestava perplessità sull'opportunità che
Montante - sott'inchiesta - mantenesse le sue cariche.
L'intervista è sparita nella notte "dopo devastanti pressioni". Un altro clamoroso caso riguarda un
contratto di collaborazione per due anni - 1.300 euro al mese - che Confindustria Centro Sicilia
(sempre Montante presidente) ha firmato con il responsabile delle pagine di Caltanissetta de Il
Giornale di Sicilia. Tutti episodi, quelli citati, che hanno spinto l'Ordine dei giornalisti ad aprire
un'indagine conoscitiva.
UN ALTRO PALADINO
Oltre ad Antonello Montante, c'è un altro campione dell'antimafia a Caltanissetta. Si chiama
Massimo Romano, socio e amico del Cavaliere, è il proprietario di 34 supermercati sparsi per la
Sicilia e, qualche anno fa, era già finito nelle pieghe di un'indagine sui "pizzini" di Bernardo
Provenzano molto interessato alla grande distribuzione. Romano da molto tempo siede a tavoli
istituzionali con questori e prefetti, è il presidente del Confidi (un consorzio che cede prestiti a
piccole e medie imprese) e il suo nome è scivolato in un'operazione antimafia dove il fratello
Vincenzo - secondo il giudizio dei magistrati - l'avrebbe tenuto fuori dalla faccenda delle
estorsioni "per preservarlo da possibili negative conseguenze sia di immagine che di carattere
giudiziario". Il doppio volto di Caltanissetta zona franca per la legalità.
L'IMPASTO
C'è promiscuità fra investigatori e magistrati e l'indagato di mafia Montante. A Roma e in Sicilia. A
Caltanissetta - visti i suoi rapporti intensi con Angelino Alfano che poi l'ha designato anche
all'Agenzia dei beni confiscati - Antonello Montante è riuscito, il 21 ottobre del 2013, a far
presiedere al ministro dell'Interno il comitato nazionale per l'ordine pubblico e sicurezza. Un
organismo che, solo in casi straordinari, si riunisce lontano da Roma. In Sicilia non accadeva dai
tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. Perché la scelta di Caltanissetta? Per farla diventare
quella che non è mai stata, cioè una roccaforte dell'antimafia.
In Sicilia e a Caltanissetta c'è una vicinanza molesta fra imprenditori e rappresentanti dello Stato (si
racconta di questori che si trasformano in tappetini al cospetto di Montante, di prefetti che hanno
ricevuto esagerate regalie), ci sono investigatori che si fanno assumere parenti e amiche dalla
cordata (è il caso di un ufficiale della Dia e di un maggiore della Finanza), ci sono uomini dei
servizi segreti che sguazzano allegramente nell'ambiente "antimafioso", c'è una prossimità
imbarazzante con molte toghe. Tanto evidente che ha portato il nuovo presidente dell'Associazione
nazionale magistrati Fernando Asaro a invitare i suoi colleghi "a una ineludibile concreta distanza
da centri di potere economici ". Più chiaro di così.
http://www.repubblica.it/cronaca/2015/02/23/news/il_grande_inganno_dell_antimafia_siciliana_cos
_l_eroe_della_legalit_mette_le_mani_sull_expo-107966853/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_23-02-
2015
17 FEBBRAIO 2015
La provocazione di Montante: "Burocrazia peggio della mafia, il pizzo si paga con un conto in
nero"
Le immagini si riferiscono all'incontro del 25 febbraio 2014 a Catania tra Confindustria e la giunta
comunale di Enzo Bianco nel corso del quale il presidente dell'associazione siciliana degli
industriali Antonello Montante – attualmente indagato per presunti contatti con i boss - parla a
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lungo di mafia e burocrazia, asserendo che quest'ultima è più dannosa della mafia. E che il pizzo si
può pagare con un conto in nero (Immagini di Angelo Capuano)
LEGGI SU PALERMO.REPUBBLICA.IT
Soldi da Montante ai giornalisti, indaga l'Ordine
Montante coinvolto in due inchieste per mafia lascia i Beni confiscati
Montante, il paladino antimafia sotto inchiesta per contatti con i boss
COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I
BENI CONFISCATI
Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende
dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a
Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA
Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una
decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il
presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale
dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di
due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante
sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco
(Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".
Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta
dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco
Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la
sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in
attesa di sviluppi giudiziari.
Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da
magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa,
seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".
Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale
dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola
della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al
sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia,
Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.
Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di
consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe
dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione,
pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a
dimettersi per legge".
In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista
avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta
dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso
stamattina.
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"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo
anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni
durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla
propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e
che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a
protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni
durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle
aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai
fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a
Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".
Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in
causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma
Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in
documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e
la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo
minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione
innanzitutto culturale"
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/13/news/coinvolto_in_due_inchieste_per_mafia_montante_lascia_l_agenzia_per_i_beni
_confiscati-107198186/
MONTANTE, L'INDUSTRIALE PALADINO DELL'ANTIMAFIA SOTTO INCHIESTA IN
SICILIA PER MAFIA
Leader in ascesa, presidente degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria
Ora però tre pentiti lo accusano. E dal suo passato spuntano fuori amicizie compromettenti
di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO
C'È UN pezzo grosso dell'Antimafia dell'ultima ora che è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei
volti nuovi dell'Italia che combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti
prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la "legalità" di Confindustria. Ci
sono alcuni pentiti che parlano di lui e delle sue "pericolose frequentazioni". Come si chiuderà
questa vicenda - se c'è solo fumo o anche molto arrosto - nessuno ancora lo può dire, di sicuro
però Antonello Montante, uno dei cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo
recenti, maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della repubblica di
Caltanissetta. All'anagrafe è registrato come Antonio Calogero Montante, ha 52 anni, è un siciliano
di Serradifalco, provincia di Caltanissetta - dove è anche presidente della locale Camera di
Commercio - ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato negli
anni '20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore della "Msa", Mediterr Shock
Absorbers Spa, azienda di progettazione e produzione di ammortizzatori per veicoli industriali
presente in tutto il mondo.
Su di lui c'è l'inchiesta di Caltanissetta e poi ce n'è un'altra a Catania, su una denuncia presentata nei
mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il "peso" del personaggio coinvolto sia per gli effetti che
le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo - su
proposta del ministero dell'Interno - ha designato Montante componente dell'Agenzia dei beni
confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro.
L'inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma
fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un'antimafia di fresca nascita - con
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patenti rilasciate con assai disinvoltura - e il paradosso tutto italiano di come si possa
tranquillamente navigare da una sponda all'altra senza incertezze e contraccolpi.
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/09/news/montante_l_industriale_paladino_dell_antima
fia_sotto_inchiesta_in_sicilia_per_mafia-106867246/
COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA
PER I BENI CONFISCATI
Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo
le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA
Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una
decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il
presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale
dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di
due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante
sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco
(Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".
Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta
dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco
Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la
sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in
attesa di sviluppi giudiziari.
Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da
magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa,
seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".
Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale
dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola
della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al
sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia,
Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.
Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di
consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe
dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione,
pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a
dimettersi per legge".
In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista
avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta
dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso
stamattina.
"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo
anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni
durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla
propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e
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che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a
protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni
durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle
aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai
fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a
Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".
Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in
causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma
Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in
documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e
la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo
minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione
innanzitutto culturale"
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/13/news/coinvolto_in_due_inchieste_per_mafia_mont
ante_lascia_l_agenzia_per_i_beni_confiscati-107198186/
http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2015/02/il-grande-inganno-dellantimafia.html
ANTONELLO MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE
(DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI E PAROLE (CALATE) DEI
PENTITI
13 FEBBRAIO 2015
Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di Confindustria nazionale sui temi della
legalità Antonello Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino a
mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati.
Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e Catania che starebbero indagando) farà il suo
corso (sul quale non mi permetto di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di
giudicare il lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei pentiti (in
generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando ne ho trattato me ne sono dovuto
pentire giurando a me stesso che si fottessero tutti, ricordato che nessuno come i siciliani e i
calabresi è specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che non compete a
me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti non le prendo perché lo fa da solo e/o con i
suoi avvocati), sottolineato che fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio,
parola e informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in faccia a
nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog, un mero contributo di riflessioni
ad una vicenda nelle mani sacrosante della magistratura.
1) Complimenti vivissimi alle menti raffinatissime che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe
di notizie sulla (o sulle) indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti di Montante. Gli
ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza scrupoli e contravvenendo ai principi costituzionali
e a quelli scritti sulla Carta europea dei diritti dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione
(avete letto bene, con pene che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno liberamente conto di
procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece rapidissimi nell’allungare la manina (a chi
vogliono) con informazioni a orologeria a qualcuno congeniali. Perché vedete, sia che si tratti di
una bufala accusatoria montata ad arte (dai pentiti suddetti che ovviamente rappresenterebbero il
braccio e non certo la mente), sia che si tratti di un filone propizio per fare luce su presunti legami
impropri tra mafia e antimafia, queste fughe di notizie su indagini definite dai giornali blindatissime
(come? Blindatissime? Pensa te se non lo erano…) sono state studiate a tavolino. Sono mesi, infatti,
che si assiste ad un “distillato” di voci e sussurri su Montante.
2) Un risultato immediato, le menti raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere
un colpo durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei fatti e dei gesti.
Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli
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imprenditori vessati dalle mafie continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della
stessa Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi anche in questo
caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la mafia, perché è “merda”. Non solo
quella fatta da picciotti e capibastone ma, soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del
male. Chi denuncia è sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e
Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità.
3) Ricordo che Francesco Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca
Orlando Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da immunità
parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione televisiva con Giuliano Ferrara, più di
20 anni or sono, spiegò che nella prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli
anni ’70, firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel 1982, il padre
dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio), celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra
la politici ed ambienti salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si
mischiassero.
Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva mai al doppio cognome (Orlando
Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non
concesso che fossero nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da
un elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è diventato Presidente della
Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo
giudico dal momento e nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività
amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel presente e per il futuro,
coerenza con i principi e i valori nei quali io personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai
miei due figli. Se quei valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità,
rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di passato, presente e futuro.
Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi si oppone alla mafia tra gli imprenditori che
(è il caso di Montante) ricoprono anche fondamentali ruoli associazionistici.
Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la battaglia confindustriale per l’etica
d’impresa e la rivolta alla mafia prima proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i
comportamenti e il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura opposizione
all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi nelle varie stanze dei bottoni di una
classe dirigente sempre più corrotta. Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare
che è proprio la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli atti sì: le
espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i commissariamenti mai osati prima
di alcune Confindustrie locali (do you remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e
rivisti per renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di rinnovamento nelle
associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle frutto di comparaggio?), l’obbligo di
white list negli appalti pubblici, le zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province
palermitane e nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di legalità per le
imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il sostegno a quella magistratura che
finalmente ha deciso di usare il lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di
Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei processi per mafia e la
durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei centri di potere massonico deviato/mafioso che
erano le aree di sviluppo industriale.
Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare le azioni di Montante per il fatto che
quando aveva 17 anni un suo testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì, da
incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà poi suicida in carcere
nel 1992. Chi è senza peccato, scagli il primo testimone.
4) C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle
presunte dichiarazioni (da riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti
(1, 5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo nella inutile (finora)
Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’ perché il movimento antimafia si è sempre
spaccato su tutto in Sicilia e dunque è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’
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perché chi troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a Roma ormai
lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre si giocava (ma si gioca tuttora)
la partita per occupare la poltrona di capo della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti
troppo potenti in tutti i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno
dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale, quando non sono d’accordo).
Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente, riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una
coincidenza.
Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area
di sviluppo industriale di Caltanissetta prestava lavoro.
Bene. Leggete quel che denunciarono il 5 giugno 2014 anche (e sottolineo anche) in Commissione
parlamentare antimafia Montante e Ivanhoe Lo Bello (vicepresidente nazionale di Confindustria) a
proposito delle Asi siciliane e non solo: «…ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che
riguarda – voglio portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di
sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di presenza capillare e
diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei
consorzi Asi, oggi Irsap, è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un
aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti soggetti con minacce
significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della Commissione antimafia. Mi riservo anche
di fare arrivare alla Commissione antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo
industriale, tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema
mafioso» (Lo Bello).
«Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare
rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti
indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio
Asi si conosceva, ma non era emerso.…
…Ha parlato il mio collega dei consorzi Asi, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi,
come le indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un’anomalia
tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano cose pazzesche.
Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale,
presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag.
17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri
luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere
l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza
dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì.
Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente appaltante in
contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del consorzio Asi c’erano un presidente, un
direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto
grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due
diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei consorzi ASI c’erano insediate anche
30 aziende e il consiglio d’ammissione dello stesso consorzio era di 70 unità.
In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un totale di 800 persone,
con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato modello
nazionale virtuoso. In realtà, lo ha fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un
gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800
persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato.
Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree industriali: dei
condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un’azienda in un’area a destinazione
industriale e si chiede l’autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il
giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate.
I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di
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inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di
nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni
con la mafia.
Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono
attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo,
naturalmente, sempre della Sicilia.
L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi
procuratori hanno sentito l’esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica.
Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera.
Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano
con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle
telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie.
Queste sono le cose più grosse, poi ce sono si minori.
È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci
sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare
i nervi. Oggi quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il
pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato.
Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un’associazione antiracket, ma
che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un
sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo
venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o la sequestra la mafia o ti
ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale,
presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora
forse aspettare» (Montante).
5) Il 24 gennaio 2015 il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, in
apertura di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che impartiscono ordini dal carcere e che
continuano a mantenere e ad esercitare il loro antico potere. Il periodo preso in esame, è stato
caratterizzato da intimidazioni, minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati,
funzionari pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo
dell’antimafia e della lotta all’illegalità.
Si tratta di segnali che sembrano manifestare un parziale cambiamento della strategia fin qui
perseguita del cosiddetto “inabissamento” a favore della scelta di una maggiore visibilità anche
mediatica dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di contrasto che tuttora è condotta
dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni protagonisti di un’imprenditoria libera e illuminata.
In tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici
confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e
del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro
vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che
potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”,
uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap».
La domanda sorge spontanea: è impazzito il procuratore generale che parla di «imprenditoria libera
e illuminata…di intimidazioni, minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi subdoli e discrediti
mediatici» in corso nei confronti anche dei vertici confindustriali nisseni e siciliani oppure i pentiti?
Non dico tanto ma se avessi ricevuto io la soffiata sulle presunte indagini su Montante (a quando Lo
Bello?) questa domanda me la sarei fatta e quantomeno avrei tenuto acceso il falò del dubbio.
6) Già perché, guardate voi come è corta la memoria, il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una
riunione straordinaria del Comitato nazionale per l’ordine pubblico per fronteggiare il rischio di
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nuovi attentati di cui nessuno, i questi giorni, si è ricordato. Senz’altro le menti raffinatissime hanno
sperato nell’oblio.
Mai come in quei mesi, le speranze di cambiamento, descritte sui media di tutto il mondo dopo la
decisione – di Confindustria Sicilia prima e Confindustria nazionale poi – di mettere all’angolo gli
imprenditori che non denunciavano pizzo e mafie, apparivano lontane, sotto assedio e a rischio.
«A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale
antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro
dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra
alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il
ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si
sono ribellati al racket».
7) Ma attenzione ora ad un’altra data: il 17 settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme
(Siena) mise sul proprio sito istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi di mafia del ’92
che si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle Terme e passato sotto drammatico silenzio
a livello nazionale. Anch’esso passato nel dimenticatoio della stampa e dalla speranza di oblio delle
menti raffinatissime. «È in corso una campagna di delegittimazione da parte di centri di poteri
occulti – dichiarò in quell’occasione il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari – che mirano a
screditare chi in Sicilia combatte con i fatti malaffare e mafia. Ci sono centri di potere, collegati
sicuramente con le organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi mezzi di comunicazione come
blog, social network o fantomatici giornali online e gettano sospetti e fango su chi l’antimafia la fa
davvero, ovvero con i fatti. Hanno avviato una campagna di delegittimazione, oltre a proseguire con
gli avvertimenti. Continuano ad arrivare buste con proiettili, croci ed altri messaggi inquietanti».
8) Dunque eravamo a settembre 2013 e Lari, vale a dire il capo della Procura che ora con quella di
Catania starebbe indagando su Montante, un anno e mezzo fa parlava di centri di potere che
ordiscono campagne di delegittimazione e discriminazione utilizzando ogni mezzo possibile e
immaginabile. Certo, non c’erano nomi e cognomi maLari, un mese dopo quelle frasi, a ottobre,
sarà alla riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, con un ministro dell’Interno che
invece fece i nomi di coloro che si erano ribellati al racket, a partire (i nomi li ha fatti Alfano, non io
o voi) da Lo Bello eMontante. E poche settimane fa, un procuratore generale, Cardinale, metterà in
fila gli avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora quattro?
Di questo incontro a Chianciano Terme, a parte le cronache locali toscane e siciliane, la grande
stampa si disinteressò, perché un annuncio di morte non è una notizia. Quelle che sgorgano dalle
menti raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno – si.
Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla.
Tifo, come sempre, per la Giustizia e spero, nel nome dell’Italia onesta nella quale senza se e senza
ma mi riconosco, di sapere prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno. Ne usciranno
rafforzati.
r.galullo@ilsole24ore.com
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/13/antonello-montante-battaglie-ignorate-denunce-dimenticate-di-ministri-e-magistrati-e-parole-calate-dei-pentiti/
A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE
http://tutelaariaregionesicilia.blogspot.it/2015/02/blog-post_17.html
MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE
DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE
17 FEBBRAIO 2015
Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio,
infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra
categoria.
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Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella
dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che
si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei
giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo
Paese.
Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di
Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi
che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi.
Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria
Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o
verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di
evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania.
Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma
soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire,
mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi,
come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a
dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale
mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado.
Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del
“caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi
acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini
(a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per
raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi
interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me
difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio
(si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) .
E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle
varianti possibili in quel della provincia nissena.
Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza.
Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini
(spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla
Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”.
In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi
eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla.
E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la
sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in
casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e
fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei
tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena
erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto
bianco e dall’anima nera.
Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle
che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet – che in questi anni, ogni
qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa
all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a
me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il
primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una
reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete
dubito.
Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una
ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle
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Cannova gianfranco tangenti e rifiuti la regione nel processo grande assente (7)

  • 1. 1 LE TANGENTI NON SONO ALLARME SOCIALE? IL PROCURATORE AGUECI: “NON HO PAROLE” Questo il commento del magistrato alla notizia del parere dell’Avvocatura e alla conseguente mancata costituzione di parte civile della Regione al processo contro un proprio dipendente accusato di corruzione di Alberto Samonà “Non ho parole”. Questo il commento del procuratore aggiunto Leonardo Agueci alla notizia della mancata costituzione di parte civile della Regione siciliana al processo contro un proprio dipendente infedele accusato di corruzione. Mancata costituzione dovuta a un parere dell’Avvocatura distrettuale dello Stato. “Non ho proprio parole – ha detto il magistrato – proprio perché l’Avvocatura dello Stato di Palermo è sempre stata sensibile su questi temi. Ho sperimentato la sensibilità dimostrata in altre occasioni, ecco perché questa notizia mi ha lasciato di stucco. Devo leggere le motivazioni”. Eppure, in tal caso la sensibilità non si è tradotta in un orientamento conseguente. La vicenda è quella relativa al procedimento penale a carico del funzionario dell’assessorato al Territorio,Gianfranco Cannova, arrestato mesi fa con l’accusa di avere intascato tangenti e usufruito di soggiorni in lussuosi alberghi, per “oliare” una pratica nel settore dello smaltimento dei rifiuti e delle discariche. Il dipendente regionale è attualmente alla sbarra davanti al tribunale di Palermo ma, male che gli vada, potrà incassare una condanna penale, mentre non vi sarà alcuna provvisionale, alcun risarcimento in favore della Regione, in quanto questa non si è costituita parte civile. Un dietro-front, dovuto al fatto che l’Avvocatura distrettuale dello Stato, investita della questione, ha spiegato che se il danno provocato all’ente pubblico non è eccessivo, allora non è il caso che questo si costituisca parte civile. Una decisione, motivata con parole che lasciano di stucco, soprattutto nella parte in cui viene definita «inopportuna» l’eventualità della Regione di costituirsi al processo per far valere il proprio ruolo di parte offesa. La stessa Avvocatura aveva motivato il proprio orientamento con «l’esiguità del danno provocato dal singolo caso al patrimonio pubblico» e per il «non particolare allarme sociale connesso alle fattispecie concrete contestate». Tanto è bastato per convincere la Regione Siciliana a non costituirsi in giudizio quale parte offesa. http://www.loraquotidiano.it/2015/02/06/le-tangenti-non-sono-allarme-sociale-il-procuratore-agueci- non-ho-parole_24348/ Le mazzette? “Non provocano allarme sociale” E la Regione siciliana non si costituisce parte civile Le mazzette “non sono un fattore di particolare allarme sociale” dice l’Avvocatura distrettuale dello Stato in un parere consegnato alla Regione siciliana. E questo è bastato all’amministrazione regionale per decidere di non costituirsi parte civile nel processo per corruzione a un proprio funzionario. Il processo è cominciato lo scorso 19 gennaio nei confronti di Gianfranco Cannova, dipendente dell’assessorato al Territorio, che ha ammesso di aver preso tangenti (denaro e soggiorni gratis in alberghi di lusso), in cambio di autorizzazioni ad alcuni imprenditori titolari di discariche. La notizia è stata pubblicata da Repubblica. Eppure, dopo l’arresto di Cannova, avvenuto lo scorso luglio, il governatore Rosario Crocetta tuonò contro la nuova tangentopoli. Ma l’Avvocatura ha giudicato “inopportuna” la costituzione di parte civile, “attesa la esiguità del danno e il non particolare allarme sociale connesso alle fattispecie concrete
  • 2. 2 contestate”. Secondo l’Avvocatura, la Regione può esimersi dal chiedere un risarcimento “perché è sufficiente l’impulso accusatorio del pubblico ministero”, si legge in una nota del 10 novembre scorso, firmata dall’avvocato distrettuale Massimo Dell’Aira e dall’incaricato Pierfrancesco La Spina. L’assessore regionale al Territorio, Maurizio Croce, spiega di aver saputo dai giornali della mancata costituzione come parte civile: “È grave la nostra posizione – dice – e vergognosa la motivazione fornita dall’Avvocatura”. E Crocetta aggiunge: “Non so cosa sia successo. Disporrò un’inchiesta interna”. 5 febbraio 2015 http://www.si24.it/2015/02/05/regione-sicilia-processo-gianfranco-cannova-mazzette-allarme- sociale/79361/ CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE" Giulio Ambrosetti Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei, privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità? Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia. E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a illustrarla. In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al
  • 3. 3 fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un funzionario e non di un dirigente. Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato di affari. E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte civile? E’ Cannova non sa nulla di questa storia? Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano. In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’ Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti. Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno. Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia. Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome. Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura? Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle
  • 4. 4 aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica! Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI , affidati a soggetti dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla. Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della legalità. La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano. Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa amministrazione regionale! Entrambi in palese conflitto di interessi. Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia. Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro (€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( SENT. N. 401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html ) Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal
  • 5. 5 presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro). Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili. Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente. Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di un’irregolarità ai danni di se stessa. Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di rappresentare! L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata. Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo di privati. Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della
  • 6. 6 Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta… Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà. Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina l’ambiente. Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita. Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione europea. La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’… Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari. http://www.lavocedinewyork.com/Ascesa-e-declino-dell-Antimafia-degli-affari-che-non-si- possono-rifiutare-/d/9843/ IL GRANDE INGANNO DELL'ANTIMAFIA SICILIANA: COSÌ L'EROE DELLA LEGALITÀ METTE LE MANI SULL'EXPO Montante, indagato assieme all'ex governatore Lombardo, condannato, sono i creatori di Caltanissetta "zona franca" anti-pizzo. Tra collusioni e fiumi di soldi, tutti i paradossi di un'impostura politica dietro la dittatura degli affari dai nostri inviati ATTILIO BOLZONI E EMANUELE LAURIA CALTANISSETTA - Lo sapevate che esiste una "zona franca della legalità" dove ci sono gli abitanti più buoni e più onesti d'Italia? E lo sapevate che l'hanno fortemente voluta un governatore condannato per mafia e un imprenditore indagato per mafia? Per capirne di più bisogna andare a Caltanissetta, quella che è diventata la capitale dell'impostura siciliana. Nella città dove è iniziata l'irresistibile ascesa del cavaliere Antonio Calogero Montante detto Antonello, presidente di Confindustria Sicilia, presidente della locale Camera di commercio,
  • 7. 7 presidente di tutte le Camere di commercio dell'isola, consigliere per Banca d'Italia, delegato nazionale di Confindustria (per la legalità, naturalmente) e membro dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati (unica carica dalla quale si è al momento autosospeso per un'indagine a suo carico per concorso esterno), si può scoprire come in nome di una assai incerta antimafia si è instaurata una sorta di dittatura degli affari. Un califfato che si estende in tutta la Sicilia ma che è nato qui, a Caltanissetta, dove commistioni - e in alcuni casi connivenze - fra imprese e politica, impresa e stampa, imprese e forze di polizia, imprese e magistratura, hanno ammorbato l'aria e fatto calare una cappa irrespirabile sulla città. UNA FINZIONE SOFFOCANTE In Sicilia tutto si fonda su due parole magiche: legalità e antimafia. È una "legalità" costruita a tavolino e un'"antimafia padronale" che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di interesse. Dopo la felice stagione iniziata con la "rivolta degli imprenditori" del 2007 guidata da Ivan Lo Bello contro il racket, trasformismo e ingordigia hanno snaturato l'iniziale esperienza e una consorteria si è impadronita di tutto. La "zona franca" l'ha pretesa la Confindustria siciliana di Montante, l'unico "partito" che nel governo regionale siede ininterrottamente da sei anni con un proprio rappresentante. Quando governatore era Raffaele Lombardo - il 2 maggio del 2012 - fu istituita con un atto ufficiale la Provincia di Caltanissetta fu riconosciuta come "zona franca della legalità". L'obiettivo era quello di concedere benefici fiscali alle aziende che "si oppongono alle richieste estorsive della criminalità organizzata". Previsione di spesa: 50 milioni di euro. Lombardo, che al momento della firma era già indagato per reati di mafia, due mesi più tardi si è dimesso e un anno dopo è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. Un (presunto) amico dei boss che concede agevolazioni a chi si batte contro il racket su richiesta di chi - Montante - è oggi a sua volta chiamato in causa da cinque pentiti per legami con le "famiglie". Trame di potere in una Sicilia che non ha mai temuto il paradosso. SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO La Confindustria di Montante ormai è ovunque. Guida l'Irsap, l'istituto che gestisce le aree industriali siciliane, ha un peso decisivo nel business dei rifiuti e ora ha messo le mani sull'Expo. Pochi giorni fa, l'assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, il rappresentante di Confindustria nella giunta di Rosario Crocetta, ha siglato una convenzione che assegna a Unioncamere un pacchetto di interventi per due milioni di euro. Chi guida Unioncamere in Sicilia? Antonello Montante. Sarà lui, malgrado l'inchiesta per concorso esterno, a decidere quali "eccellenze" siciliane del settore agro-alimentare dovranno figurare nella vetrina di Milano e in undici stand fra porti e aeroporti dell'isola. Materia d'indagine per almeno due procure (Palermo e Caltanissetta) e per Raffaele Cantone, il presidente dell'Authority contro la corruzione che, appena il 16 gennaio scorso, ha annunciato che su Expo è stato avviato "il più grande controllo antimafia di tutti i tempi". MARKETING DI IMMAGINE Una rete di interessi così fitta è protetta anche da una stampa a volte troppo compiacente con Montante e i suoi amici. Al punto da proporre (l'ha fatto La Sicilia in un lungo articolo) la notizia di una laurea honoris causa in Economia e Commercio riconosciuta dall'Università "La Sapienza" all'imprenditore. L'ateneo ha smentito il giorno dopo. Era falso.
  • 8. 8 Nelle sue molteplici vesti istituzionali Montante ha spesso offerto un "sostegno" a mezzi d'informazione e singoli giornalisti. Da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta ha erogato una pioggia di contributi, sotto la voce "azione di marketing territoriale". Ne hanno beneficiato cronisti-scrittori, ancora prima della pubblicazione dei loro libri e testate web. Una settimana fa Il Fatto Nisseno, uno dei siti favoriti, ha cancellato un'intervista di Michele Costa (il figlio del procuratore ucciso a Palermo nel 1980) che manifestava perplessità sull'opportunità che Montante - sott'inchiesta - mantenesse le sue cariche. L'intervista è sparita nella notte "dopo devastanti pressioni". Un altro clamoroso caso riguarda un contratto di collaborazione per due anni - 1.300 euro al mese - che Confindustria Centro Sicilia (sempre Montante presidente) ha firmato con il responsabile delle pagine di Caltanissetta de Il Giornale di Sicilia. Tutti episodi, quelli citati, che hanno spinto l'Ordine dei giornalisti ad aprire un'indagine conoscitiva. UN ALTRO PALADINO Oltre ad Antonello Montante, c'è un altro campione dell'antimafia a Caltanissetta. Si chiama Massimo Romano, socio e amico del Cavaliere, è il proprietario di 34 supermercati sparsi per la Sicilia e, qualche anno fa, era già finito nelle pieghe di un'indagine sui "pizzini" di Bernardo Provenzano molto interessato alla grande distribuzione. Romano da molto tempo siede a tavoli istituzionali con questori e prefetti, è il presidente del Confidi (un consorzio che cede prestiti a piccole e medie imprese) e il suo nome è scivolato in un'operazione antimafia dove il fratello Vincenzo - secondo il giudizio dei magistrati - l'avrebbe tenuto fuori dalla faccenda delle estorsioni "per preservarlo da possibili negative conseguenze sia di immagine che di carattere giudiziario". Il doppio volto di Caltanissetta zona franca per la legalità. L'IMPASTO C'è promiscuità fra investigatori e magistrati e l'indagato di mafia Montante. A Roma e in Sicilia. A Caltanissetta - visti i suoi rapporti intensi con Angelino Alfano che poi l'ha designato anche all'Agenzia dei beni confiscati - Antonello Montante è riuscito, il 21 ottobre del 2013, a far presiedere al ministro dell'Interno il comitato nazionale per l'ordine pubblico e sicurezza. Un organismo che, solo in casi straordinari, si riunisce lontano da Roma. In Sicilia non accadeva dai tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. Perché la scelta di Caltanissetta? Per farla diventare quella che non è mai stata, cioè una roccaforte dell'antimafia. In Sicilia e a Caltanissetta c'è una vicinanza molesta fra imprenditori e rappresentanti dello Stato (si racconta di questori che si trasformano in tappetini al cospetto di Montante, di prefetti che hanno ricevuto esagerate regalie), ci sono investigatori che si fanno assumere parenti e amiche dalla cordata (è il caso di un ufficiale della Dia e di un maggiore della Finanza), ci sono uomini dei servizi segreti che sguazzano allegramente nell'ambiente "antimafioso", c'è una prossimità imbarazzante con molte toghe. Tanto evidente che ha portato il nuovo presidente dell'Associazione nazionale magistrati Fernando Asaro a invitare i suoi colleghi "a una ineludibile concreta distanza da centri di potere economici ". Più chiaro di così. http://www.repubblica.it/cronaca/2015/02/23/news/il_grande_inganno_dell_antimafia_siciliana_cos _l_eroe_della_legalit_mette_le_mani_sull_expo-107966853/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_23-02- 2015
  • 9. 9 17 FEBBRAIO 2015 La provocazione di Montante: "Burocrazia peggio della mafia, il pizzo si paga con un conto in nero" Le immagini si riferiscono all'incontro del 25 febbraio 2014 a Catania tra Confindustria e la giunta comunale di Enzo Bianco nel corso del quale il presidente dell'associazione siciliana degli industriali Antonello Montante – attualmente indagato per presunti contatti con i boss - parla a lungo di mafia e burocrazia, asserendo che quest'ultima è più dannosa della mafia. E che il pizzo si può pagare con un conto in nero (Immagini di Angelo Capuano) LEGGI SU PALERMO.REPUBBLICA.IT Soldi da Montante ai giornalisti, indaga l'Ordine Montante coinvolto in due inchieste per mafia lascia i Beni confiscati Montante, il paladino antimafia sotto inchiesta per contatti con i boss COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania. di EMANUELE LAURIA Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie". Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari. Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia". Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola. Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge".
  • 10. 10 In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina. "Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata". Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale" http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/13/news/coinvolto_in_due_inchieste_per_mafia_montante_lascia_l_agenzia_per_i_beni _confiscati-107198186/ MONTANTE, L'INDUSTRIALE PALADINO DELL'ANTIMAFIA SOTTO INCHIESTA IN SICILIA PER MAFIA Leader in ascesa, presidente degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria Ora però tre pentiti lo accusano. E dal suo passato spuntano fuori amicizie compromettenti di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO C'È UN pezzo grosso dell'Antimafia dell'ultima ora che è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei volti nuovi dell'Italia che combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la "legalità" di Confindustria. Ci sono alcuni pentiti che parlano di lui e delle sue "pericolose frequentazioni". Come si chiuderà questa vicenda - se c'è solo fumo o anche molto arrosto - nessuno ancora lo può dire, di sicuro però Antonello Montante, uno dei cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo recenti, maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della repubblica di Caltanissetta. All'anagrafe è registrato come Antonio Calogero Montante, ha 52 anni, è un siciliano di Serradifalco, provincia di Caltanissetta - dove è anche presidente della locale Camera di Commercio - ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato negli anni '20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore della "Msa", Mediterr Shock Absorbers Spa, azienda di progettazione e produzione di ammortizzatori per veicoli industriali presente in tutto il mondo. Su di lui c'è l'inchiesta di Caltanissetta e poi ce n'è un'altra a Catania, su una denuncia presentata nei mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il "peso" del personaggio coinvolto sia per gli effetti che
  • 11. 11 le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo - su proposta del ministero dell'Interno - ha designato Montante componente dell'Agenzia dei beni confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro. L'inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un'antimafia di fresca nascita - con patenti rilasciate con assai disinvoltura - e il paradosso tutto italiano di come si possa tranquillamente navigare da una sponda all'altra senza incertezze e contraccolpi. http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/09/news/montante_l_industriale_paladino_dell_antima fia_sotto_inchiesta_in_sicilia_per_mafia-106867246/ COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania. di EMANUELE LAURIA Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie". Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari. Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia". Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola. Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.
  • 12. 12 "Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata". Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale" http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/13/news/coinvolto_in_due_inchieste_per_mafia_mont ante_lascia_l_agenzia_per_i_beni_confiscati-107198186/ MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE 17 FEBBRAIO 2015 Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio, infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra categoria. Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo Paese. Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi. Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania. Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire, mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi, come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado. Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del “caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini (a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
  • 13. 13 Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio (si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) . E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle varianti possibili in quel della provincia nissena. Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza. Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini (spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”. In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla. E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto bianco e dall’anima nera. Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet – che in questi anni, ogni qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete dubito. Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle menti raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste che fino a quel momento non potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e che addirittura sfociava in denunce in sede penale degli affamatori aguzzini. Che succede? si saranno chiesti pupi e pupari. La ragione pratica è che uccidere chi si opponeva a Cosa nostra tra gli imprenditori era difficile: le scorte, che talvolta sono messe a protezione degli inutili, questa volta erano messe a disposizione di qualcuno utile alla causa di civiltà sociale ed economica. Bisognava fare, dunque, troppo rumore. Meglio lanciare la scia lunghissima e distillata della delegittimazione. Volete due-esempi-due dell’escalation diffamatoria e delegittimante di questi anni? Quando l’imprenditore che opera nel settore dell’ambiente Giuseppe Catanzaro, attuale numero 2 di Confindustria Sicilia, denunciò ad Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro – si badi bene – le sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre che lo avvolgevano. Quella scia non si è ancora spenta. Lo schema – mutatis mutandis – si ripropose con Ivanhoe Lo Bello, attuale vicepresidente nazionale di Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di omertà e ipocrisia che gravava (e grava oggi più di ieri) su Catania, scoperchiò anche con un’intervista al Corriere della Sera il maleodorante pentolone delle aree industriali, del movimento terra, dei trasporti e dell’edilizia. A Palermo ci furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e striscioni contro colui il quale voleva contribuire a cambiare, con i fatti, le cose. E i fatti (non le chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a mettere nero su bianco una frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione delle mafie) nella nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale della sicurezza svolto a Caltanissetta il 21 ottobre 2013 finita nelle mani del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un settore nel quale oggi sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non lo cito
  • 14. 14 per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo della Giustizia) Lo Bello scrisse testualmente e Montante controfirmò, che «il territorio della provincia di Catania ha un ruolo ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra lavorano congiuntamente e regolano il mercato a livello nazionale». Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non si è ancora spenta. Credo che la delegittimazione (l’ho scritto mille volte su questo umile e umido blog con riferimento a tante altre vicende inquietanti) sia la culla della morte. Più della morte fisica la delegittimazione è in grado di uccidere, perché colpisce il luogo di una vita: la purezza dell’anima. Ma attenzione: quando la delegittimazione fallisce dopo aver usato, nella sua escalation, armi estreme e radicali, quando non riesce nel proprio intento e quando la corsa non si può arrestare, non resta che la morte. Quella fisica. Quella che uccide un uomo per educare un popolo come, in Sicilia e nel Sud, è stato troppo spesso educato. Non sono solo io a pensarlo. A meno che nella genia dei soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia non rientri anche il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio lui, Salvatore Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno giudiziario, ad affermare: «…in tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero, ndr)». Arrestate Montante, indagate Lo Bello, braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per tornaconto con loro o fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma, vi prego, fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza Giustizia rapida, ci scapperà il morto. Il primo nome è già sulla lista. Per educare un popolo. r.galullo@ilsole24ore.com si legga anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/13/antonello-montante-battaglie-ignorate-denunce-dimenticate-di-ministri-e-magistrati-e-parole-calate-dei-pentiti/ http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/17/montante-confindustria-e-la-fine-innaturale-e-mortale-della-lunga-corsa-alla-delegittimazione/ IL GRANDE INGANNO DELL'ANTIMAFIA SICILIANA: COSÌ L'EROE DELLA LEGALITÀ METTE LE MANI SULL'EXPO Montante, indagato assieme all'ex governatore Lombardo, condannato, sono i creatori di Caltanissetta "zona franca" anti-pizzo. Tra collusioni e fiumi di soldi, tutti i paradossi di un'impostura politica dietro la dittatura degli affari dai nostri inviati ATTILIO BOLZONI E EMANUELE LAURIA CALTANISSETTA - Lo sapevate che esiste una "zona franca della legalità" dove ci sono gli abitanti più buoni e più onesti d'Italia? E lo sapevate che l'hanno fortemente voluta un governatore condannato per mafia e un imprenditore indagato per mafia? Per capirne di più bisogna andare a Caltanissetta, quella che è diventata la capitale dell'impostura siciliana. Nella città dove è iniziata l'irresistibile ascesa del cavaliere Antonio Calogero Montante detto Antonello, presidente di Confindustria Sicilia, presidente della locale Camera di commercio, presidente di tutte le Camere di commercio dell'isola, consigliere per Banca d'Italia, delegato nazionale di Confindustria (per la legalità, naturalmente) e membro dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati (unica carica dalla quale si è al momento autosospeso per un'indagine a suo carico per concorso esterno), si può scoprire come in nome di una assai incerta antimafia si è instaurata una sorta di dittatura degli affari. Un califfato che si estende in tutta la Sicilia ma che è nato qui, a Caltanissetta, dove commistioni - e in alcuni casi connivenze - fra imprese e politica, impresa e
  • 15. 15 stampa, imprese e forze di polizia, imprese e magistratura, hanno ammorbato l'aria e fatto calare una cappa irrespirabile sulla città. UNA FINZIONE SOFFOCANTE In Sicilia tutto si fonda su due parole magiche: legalità e antimafia. È una "legalità" costruita a tavolino e un'"antimafia padronale" che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di interesse. Dopo la felice stagione iniziata con la "rivolta degli imprenditori" del 2007 guidata da Ivan Lo Bello contro il racket, trasformismo e ingordigia hanno snaturato l'iniziale esperienza e una consorteria si è impadronita di tutto. La "zona franca" l'ha pretesa la Confindustria siciliana di Montante, l'unico "partito" che nel governo regionale siede ininterrottamente da sei anni con un proprio rappresentante. Quando governatore era Raffaele Lombardo - il 2 maggio del 2012 - fu istituita con un atto ufficiale la Provincia di Caltanissetta fu riconosciuta come "zona franca della legalità". L'obiettivo era quello di concedere benefici fiscali alle aziende che "si oppongono alle richieste estorsive della criminalità organizzata". Previsione di spesa: 50 milioni di euro. Lombardo, che al momento della firma era già indagato per reati di mafia, due mesi più tardi si è dimesso e un anno dopo è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. Un (presunto) amico dei boss che concede agevolazioni a chi si batte contro il racket su richiesta di chi - Montante - è oggi a sua volta chiamato in causa da cinque pentiti per legami con le "famiglie". Trame di potere in una Sicilia che non ha mai temuto il paradosso. SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO La Confindustria di Montante ormai è ovunque. Guida l'Irsap, l'istituto che gestisce le aree industriali siciliane, ha un peso decisivo nel business dei rifiuti e ora ha messo le mani sull'Expo. Pochi giorni fa, l'assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, il rappresentante di Confindustria nella giunta di Rosario Crocetta, ha siglato una convenzione che assegna a Unioncamere un pacchetto di interventi per due milioni di euro. Chi guida Unioncamere in Sicilia? Antonello Montante. Sarà lui, malgrado l'inchiesta per concorso esterno, a decidere quali "eccellenze" siciliane del settore agro-alimentare dovranno figurare nella vetrina di Milano e in undici stand fra porti e aeroporti dell'isola. Materia d'indagine per almeno due procure (Palermo e Caltanissetta) e per Raffaele Cantone, il presidente dell'Authority contro la corruzione che, appena il 16 gennaio scorso, ha annunciato che su Expo è stato avviato "il più grande controllo antimafia di tutti i tempi". MARKETING DI IMMAGINE Una rete di interessi così fitta è protetta anche da una stampa a volte troppo compiacente con Montante e i suoi amici. Al punto da proporre (l'ha fatto La Sicilia in un lungo articolo) la notizia di una laurea honoris causa in Economia e Commercio riconosciuta dall'Università "La Sapienza" all'imprenditore. L'ateneo ha smentito il giorno dopo. Era falso. Nelle sue molteplici vesti istituzionali Montante ha spesso offerto un "sostegno" a mezzi d'informazione e singoli giornalisti. Da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta ha erogato una pioggia di contributi, sotto la voce "azione di marketing territoriale". Ne hanno beneficiato cronisti-scrittori, ancora prima della pubblicazione dei loro libri e testate web. Una settimana fa Il Fatto Nisseno, uno dei siti favoriti, ha cancellato un'intervista di Michele Costa (il
  • 16. 16 figlio del procuratore ucciso a Palermo nel 1980) che manifestava perplessità sull'opportunità che Montante - sott'inchiesta - mantenesse le sue cariche. L'intervista è sparita nella notte "dopo devastanti pressioni". Un altro clamoroso caso riguarda un contratto di collaborazione per due anni - 1.300 euro al mese - che Confindustria Centro Sicilia (sempre Montante presidente) ha firmato con il responsabile delle pagine di Caltanissetta de Il Giornale di Sicilia. Tutti episodi, quelli citati, che hanno spinto l'Ordine dei giornalisti ad aprire un'indagine conoscitiva. UN ALTRO PALADINO Oltre ad Antonello Montante, c'è un altro campione dell'antimafia a Caltanissetta. Si chiama Massimo Romano, socio e amico del Cavaliere, è il proprietario di 34 supermercati sparsi per la Sicilia e, qualche anno fa, era già finito nelle pieghe di un'indagine sui "pizzini" di Bernardo Provenzano molto interessato alla grande distribuzione. Romano da molto tempo siede a tavoli istituzionali con questori e prefetti, è il presidente del Confidi (un consorzio che cede prestiti a piccole e medie imprese) e il suo nome è scivolato in un'operazione antimafia dove il fratello Vincenzo - secondo il giudizio dei magistrati - l'avrebbe tenuto fuori dalla faccenda delle estorsioni "per preservarlo da possibili negative conseguenze sia di immagine che di carattere giudiziario". Il doppio volto di Caltanissetta zona franca per la legalità. L'IMPASTO C'è promiscuità fra investigatori e magistrati e l'indagato di mafia Montante. A Roma e in Sicilia. A Caltanissetta - visti i suoi rapporti intensi con Angelino Alfano che poi l'ha designato anche all'Agenzia dei beni confiscati - Antonello Montante è riuscito, il 21 ottobre del 2013, a far presiedere al ministro dell'Interno il comitato nazionale per l'ordine pubblico e sicurezza. Un organismo che, solo in casi straordinari, si riunisce lontano da Roma. In Sicilia non accadeva dai tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. Perché la scelta di Caltanissetta? Per farla diventare quella che non è mai stata, cioè una roccaforte dell'antimafia. In Sicilia e a Caltanissetta c'è una vicinanza molesta fra imprenditori e rappresentanti dello Stato (si racconta di questori che si trasformano in tappetini al cospetto di Montante, di prefetti che hanno ricevuto esagerate regalie), ci sono investigatori che si fanno assumere parenti e amiche dalla cordata (è il caso di un ufficiale della Dia e di un maggiore della Finanza), ci sono uomini dei servizi segreti che sguazzano allegramente nell'ambiente "antimafioso", c'è una prossimità imbarazzante con molte toghe. Tanto evidente che ha portato il nuovo presidente dell'Associazione nazionale magistrati Fernando Asaro a invitare i suoi colleghi "a una ineludibile concreta distanza da centri di potere economici ". Più chiaro di così. http://www.repubblica.it/cronaca/2015/02/23/news/il_grande_inganno_dell_antimafia_siciliana_cos _l_eroe_della_legalit_mette_le_mani_sull_expo-107966853/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_23-02- 2015 17 FEBBRAIO 2015 La provocazione di Montante: "Burocrazia peggio della mafia, il pizzo si paga con un conto in nero" Le immagini si riferiscono all'incontro del 25 febbraio 2014 a Catania tra Confindustria e la giunta comunale di Enzo Bianco nel corso del quale il presidente dell'associazione siciliana degli industriali Antonello Montante – attualmente indagato per presunti contatti con i boss - parla a
  • 17. 17 lungo di mafia e burocrazia, asserendo che quest'ultima è più dannosa della mafia. E che il pizzo si può pagare con un conto in nero (Immagini di Angelo Capuano) LEGGI SU PALERMO.REPUBBLICA.IT Soldi da Montante ai giornalisti, indaga l'Ordine Montante coinvolto in due inchieste per mafia lascia i Beni confiscati Montante, il paladino antimafia sotto inchiesta per contatti con i boss COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania. di EMANUELE LAURIA Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie". Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari. Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia". Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola. Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.
  • 18. 18 "Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata". Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale" http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/13/news/coinvolto_in_due_inchieste_per_mafia_montante_lascia_l_agenzia_per_i_beni _confiscati-107198186/ MONTANTE, L'INDUSTRIALE PALADINO DELL'ANTIMAFIA SOTTO INCHIESTA IN SICILIA PER MAFIA Leader in ascesa, presidente degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria Ora però tre pentiti lo accusano. E dal suo passato spuntano fuori amicizie compromettenti di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO C'È UN pezzo grosso dell'Antimafia dell'ultima ora che è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei volti nuovi dell'Italia che combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la "legalità" di Confindustria. Ci sono alcuni pentiti che parlano di lui e delle sue "pericolose frequentazioni". Come si chiuderà questa vicenda - se c'è solo fumo o anche molto arrosto - nessuno ancora lo può dire, di sicuro però Antonello Montante, uno dei cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo recenti, maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della repubblica di Caltanissetta. All'anagrafe è registrato come Antonio Calogero Montante, ha 52 anni, è un siciliano di Serradifalco, provincia di Caltanissetta - dove è anche presidente della locale Camera di Commercio - ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato negli anni '20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore della "Msa", Mediterr Shock Absorbers Spa, azienda di progettazione e produzione di ammortizzatori per veicoli industriali presente in tutto il mondo. Su di lui c'è l'inchiesta di Caltanissetta e poi ce n'è un'altra a Catania, su una denuncia presentata nei mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il "peso" del personaggio coinvolto sia per gli effetti che le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo - su proposta del ministero dell'Interno - ha designato Montante componente dell'Agenzia dei beni confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro. L'inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un'antimafia di fresca nascita - con
  • 19. 19 patenti rilasciate con assai disinvoltura - e il paradosso tutto italiano di come si possa tranquillamente navigare da una sponda all'altra senza incertezze e contraccolpi. http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/09/news/montante_l_industriale_paladino_dell_antima fia_sotto_inchiesta_in_sicilia_per_mafia-106867246/ COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania. di EMANUELE LAURIA Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie". Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari. Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia". Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola. Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina. "Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e
  • 20. 20 che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata". Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale" http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/13/news/coinvolto_in_due_inchieste_per_mafia_mont ante_lascia_l_agenzia_per_i_beni_confiscati-107198186/ http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2015/02/il-grande-inganno-dellantimafia.html ANTONELLO MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE (DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI E PAROLE (CALATE) DEI PENTITI 13 FEBBRAIO 2015 Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di Confindustria nazionale sui temi della legalità Antonello Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino a mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati. Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e Catania che starebbero indagando) farà il suo corso (sul quale non mi permetto di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di giudicare il lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei pentiti (in generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando ne ho trattato me ne sono dovuto pentire giurando a me stesso che si fottessero tutti, ricordato che nessuno come i siciliani e i calabresi è specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che non compete a me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti non le prendo perché lo fa da solo e/o con i suoi avvocati), sottolineato che fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio, parola e informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in faccia a nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog, un mero contributo di riflessioni ad una vicenda nelle mani sacrosante della magistratura. 1) Complimenti vivissimi alle menti raffinatissime che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe di notizie sulla (o sulle) indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti di Montante. Gli ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza scrupoli e contravvenendo ai principi costituzionali e a quelli scritti sulla Carta europea dei diritti dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione (avete letto bene, con pene che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno liberamente conto di procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece rapidissimi nell’allungare la manina (a chi vogliono) con informazioni a orologeria a qualcuno congeniali. Perché vedete, sia che si tratti di una bufala accusatoria montata ad arte (dai pentiti suddetti che ovviamente rappresenterebbero il braccio e non certo la mente), sia che si tratti di un filone propizio per fare luce su presunti legami impropri tra mafia e antimafia, queste fughe di notizie su indagini definite dai giornali blindatissime (come? Blindatissime? Pensa te se non lo erano…) sono state studiate a tavolino. Sono mesi, infatti, che si assiste ad un “distillato” di voci e sussurri su Montante. 2) Un risultato immediato, le menti raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere un colpo durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei fatti e dei gesti. Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli
  • 21. 21 imprenditori vessati dalle mafie continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della stessa Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi anche in questo caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la mafia, perché è “merda”. Non solo quella fatta da picciotti e capibastone ma, soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del male. Chi denuncia è sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità. 3) Ricordo che Francesco Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca Orlando Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da immunità parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione televisiva con Giuliano Ferrara, più di 20 anni or sono, spiegò che nella prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli anni ’70, firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel 1982, il padre dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio), celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra la politici ed ambienti salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si mischiassero. Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva mai al doppio cognome (Orlando Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non concesso che fossero nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da un elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è diventato Presidente della Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo giudico dal momento e nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel presente e per il futuro, coerenza con i principi e i valori nei quali io personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai miei due figli. Se quei valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità, rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di passato, presente e futuro. Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi si oppone alla mafia tra gli imprenditori che (è il caso di Montante) ricoprono anche fondamentali ruoli associazionistici. Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la battaglia confindustriale per l’etica d’impresa e la rivolta alla mafia prima proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i comportamenti e il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura opposizione all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi nelle varie stanze dei bottoni di una classe dirigente sempre più corrotta. Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare che è proprio la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli atti sì: le espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i commissariamenti mai osati prima di alcune Confindustrie locali (do you remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e rivisti per renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di rinnovamento nelle associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle frutto di comparaggio?), l’obbligo di white list negli appalti pubblici, le zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province palermitane e nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di legalità per le imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il sostegno a quella magistratura che finalmente ha deciso di usare il lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei processi per mafia e la durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei centri di potere massonico deviato/mafioso che erano le aree di sviluppo industriale. Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare le azioni di Montante per il fatto che quando aveva 17 anni un suo testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì, da incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà poi suicida in carcere nel 1992. Chi è senza peccato, scagli il primo testimone. 4) C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle presunte dichiarazioni (da riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti (1, 5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo nella inutile (finora) Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’ perché il movimento antimafia si è sempre spaccato su tutto in Sicilia e dunque è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’
  • 22. 22 perché chi troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a Roma ormai lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre si giocava (ma si gioca tuttora) la partita per occupare la poltrona di capo della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti troppo potenti in tutti i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale, quando non sono d’accordo). Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente, riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una coincidenza. Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area di sviluppo industriale di Caltanissetta prestava lavoro. Bene. Leggete quel che denunciarono il 5 giugno 2014 anche (e sottolineo anche) in Commissione parlamentare antimafia Montante e Ivanhoe Lo Bello (vicepresidente nazionale di Confindustria) a proposito delle Asi siciliane e non solo: «…ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che riguarda – voglio portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di presenza capillare e diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei consorzi Asi, oggi Irsap, è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti soggetti con minacce significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della Commissione antimafia. Mi riservo anche di fare arrivare alla Commissione antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo industriale, tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema mafioso» (Lo Bello). «Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio Asi si conosceva, ma non era emerso.… …Ha parlato il mio collega dei consorzi Asi, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi, come le indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un’anomalia tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano cose pazzesche. Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale, presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag. 17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì. Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente appaltante in contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del consorzio Asi c’erano un presidente, un direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei consorzi ASI c’erano insediate anche 30 aziende e il consiglio d’ammissione dello stesso consorzio era di 70 unità. In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un totale di 800 persone, con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato modello nazionale virtuoso. In realtà, lo ha fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800 persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato. Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree industriali: dei condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un’azienda in un’area a destinazione industriale e si chiede l’autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate. I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di
  • 23. 23 inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni con la mafia. Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo, naturalmente, sempre della Sicilia. L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi procuratori hanno sentito l’esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica. Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera. Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie. Queste sono le cose più grosse, poi ce sono si minori. È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare i nervi. Oggi quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato. Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un’associazione antiracket, ma che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o la sequestra la mafia o ti ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale, presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora forse aspettare» (Montante). 5) Il 24 gennaio 2015 il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, in apertura di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che impartiscono ordini dal carcere e che continuano a mantenere e ad esercitare il loro antico potere. Il periodo preso in esame, è stato caratterizzato da intimidazioni, minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati, funzionari pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo dell’antimafia e della lotta all’illegalità. Si tratta di segnali che sembrano manifestare un parziale cambiamento della strategia fin qui perseguita del cosiddetto “inabissamento” a favore della scelta di una maggiore visibilità anche mediatica dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di contrasto che tuttora è condotta dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni protagonisti di un’imprenditoria libera e illuminata. In tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap». La domanda sorge spontanea: è impazzito il procuratore generale che parla di «imprenditoria libera e illuminata…di intimidazioni, minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi subdoli e discrediti mediatici» in corso nei confronti anche dei vertici confindustriali nisseni e siciliani oppure i pentiti? Non dico tanto ma se avessi ricevuto io la soffiata sulle presunte indagini su Montante (a quando Lo Bello?) questa domanda me la sarei fatta e quantomeno avrei tenuto acceso il falò del dubbio. 6) Già perché, guardate voi come è corta la memoria, il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una riunione straordinaria del Comitato nazionale per l’ordine pubblico per fronteggiare il rischio di
  • 24. 24 nuovi attentati di cui nessuno, i questi giorni, si è ricordato. Senz’altro le menti raffinatissime hanno sperato nell’oblio. Mai come in quei mesi, le speranze di cambiamento, descritte sui media di tutto il mondo dopo la decisione – di Confindustria Sicilia prima e Confindustria nazionale poi – di mettere all’angolo gli imprenditori che non denunciavano pizzo e mafie, apparivano lontane, sotto assedio e a rischio. «A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si sono ribellati al racket». 7) Ma attenzione ora ad un’altra data: il 17 settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme (Siena) mise sul proprio sito istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi di mafia del ’92 che si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle Terme e passato sotto drammatico silenzio a livello nazionale. Anch’esso passato nel dimenticatoio della stampa e dalla speranza di oblio delle menti raffinatissime. «È in corso una campagna di delegittimazione da parte di centri di poteri occulti – dichiarò in quell’occasione il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari – che mirano a screditare chi in Sicilia combatte con i fatti malaffare e mafia. Ci sono centri di potere, collegati sicuramente con le organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi mezzi di comunicazione come blog, social network o fantomatici giornali online e gettano sospetti e fango su chi l’antimafia la fa davvero, ovvero con i fatti. Hanno avviato una campagna di delegittimazione, oltre a proseguire con gli avvertimenti. Continuano ad arrivare buste con proiettili, croci ed altri messaggi inquietanti». 8) Dunque eravamo a settembre 2013 e Lari, vale a dire il capo della Procura che ora con quella di Catania starebbe indagando su Montante, un anno e mezzo fa parlava di centri di potere che ordiscono campagne di delegittimazione e discriminazione utilizzando ogni mezzo possibile e immaginabile. Certo, non c’erano nomi e cognomi maLari, un mese dopo quelle frasi, a ottobre, sarà alla riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, con un ministro dell’Interno che invece fece i nomi di coloro che si erano ribellati al racket, a partire (i nomi li ha fatti Alfano, non io o voi) da Lo Bello eMontante. E poche settimane fa, un procuratore generale, Cardinale, metterà in fila gli avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora quattro? Di questo incontro a Chianciano Terme, a parte le cronache locali toscane e siciliane, la grande stampa si disinteressò, perché un annuncio di morte non è una notizia. Quelle che sgorgano dalle menti raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno – si. Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla. Tifo, come sempre, per la Giustizia e spero, nel nome dell’Italia onesta nella quale senza se e senza ma mi riconosco, di sapere prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno. Ne usciranno rafforzati. r.galullo@ilsole24ore.com http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/13/antonello-montante-battaglie-ignorate-denunce-dimenticate-di-ministri-e-magistrati-e-parole-calate-dei-pentiti/ A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE http://tutelaariaregionesicilia.blogspot.it/2015/02/blog-post_17.html MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE 17 FEBBRAIO 2015 Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio, infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra categoria.
  • 25. 25 Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo Paese. Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi. Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania. Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire, mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi, come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado. Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del “caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini (a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia). Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio (si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) . E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle varianti possibili in quel della provincia nissena. Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza. Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini (spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”. In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla. E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto bianco e dall’anima nera. Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet – che in questi anni, ogni qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete dubito. Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle