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CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI
AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti
Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia
che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni
sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei,
privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità?
Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia
e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su
presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante,
considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di
pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il
fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche,
anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e,
adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia.
E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’
Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà
cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi
di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani
ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si
sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo
successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado sempre per
mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni
inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda
il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a
illustrarla.
In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima
del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione
siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio
legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento
giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata
costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al
fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del
procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui
provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di
un funzionario e non di un dirigente.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di
legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile
da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un
comitato di affari.
E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte
civile?
E’ Cannova non sa nulla di questa storia?
Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano.
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In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre
antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse
semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a
scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due
dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo
- Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’
Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano,
è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti.
Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a
questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le
regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il
presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati
e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i
cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno.
Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la
magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono
avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per
gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché,
a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia.
Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia
provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i
rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a
restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome.
Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i
beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non
coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un
peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel
Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi
dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro
un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati
e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle
aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli
avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i
politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica!
Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I
cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di
essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive
ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una
società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del
miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI , affidati a soggetti
dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla.
Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato
senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto
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che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato.
Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello
Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la
magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai
prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della
legalità.
La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti
ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano.
Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già
nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo
strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in
pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria
Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse
applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi.
Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione
regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa
amministrazione regionale!
Entrambi in palese conflitto di interessi.
Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi
questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità
competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del
senatore Lumia.
Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore
della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di
decomposizione politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha
centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia
Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro
(€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( SENT. N.
401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del
dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal
Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del
decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal
presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli
Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché
sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione
di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro).
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles,
sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati
all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori
commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali,
mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi
pubblici non sovrapponibili.
Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare
fondi regionali erogati illegittimamente.
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Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a
monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per
definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La
Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi
regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della
formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del
Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con
le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la
stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa
finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di
un’irregolarità ai danni di se stessa.
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema
di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi
giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che
gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto
‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani.
Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero
essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e
ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i
privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è
perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di
rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia,
destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo
Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac
- società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa,
dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà
pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico
verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta
nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata.
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani.
Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la
Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio,
sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2
per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo
di privati.
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di
Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della
Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società
aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte
commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per
Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio
per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà.
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe
Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di
Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione
dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina
l’ambiente.
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Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non
possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte.
Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno
via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra
finita.
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di
legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per
il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua
pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi
che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei
Paesi dell’Unione europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle
‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo
spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi
di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio
‘intollerabile’…
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è
un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della
burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra
più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si
scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari.
http://www.lavocedinewyork.com/Ascesa-e-declino-dell-Antimafia-degli-affari-che-non-si-
possono-rifiutare-/d/9843/
MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE
DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE
17 FEBBRAIO 2015
Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio,
infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra
categoria.
Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella
dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che
si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei
giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo
Paese.
Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di
Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi
che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi.
Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria
Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o
verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di
evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania.
Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma
soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire,
mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi,
come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a
dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale
mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado.
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Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del
“caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi
acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini
(a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per
raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi
interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me
difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio
(si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) .
E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle
varianti possibili in quel della provincia nissena.
Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza.
Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini
(spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla
Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”.
In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi
eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla.
E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la
sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in
casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e
fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei
tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena
erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto
bianco e dall’anima nera.
Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle
che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet – che in questi anni, ogni
qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa
all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a
me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il
primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una
reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete
dubito.
Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una
ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle
menti raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste che fino a quel momento non
potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e che addirittura sfociava in denunce in sede penale
degli affamatori aguzzini. Che succede? si saranno chiesti pupi e pupari.
La ragione pratica è che uccidere chi si opponeva a Cosa nostra tra gli imprenditori era difficile: le
scorte, che talvolta sono messe a protezione degli inutili, questa volta erano messe a disposizione di
qualcuno utile alla causa di civiltà sociale ed economica.
Bisognava fare, dunque, troppo rumore. Meglio lanciare la scia lunghissima e distillata della
delegittimazione.
Volete due-esempi-due dell’escalation diffamatoria e delegittimante di questi anni? Quando
l’imprenditore che opera nel settore dell’ambiente Giuseppe Catanzaro, attuale numero 2 di
Confindustria Sicilia, denunciò ad Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro – si badi
bene – le sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre che lo avvolgevano. Quella scia
non si è ancora spenta.
Lo schema – mutatis mutandis – si ripropose con Ivanhoe Lo Bello, attuale vicepresidente
nazionale di Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di omertà e ipocrisia che gravava (e
grava oggi più di ieri) su Catania, scoperchiò anche con un’intervista al Corriere della Sera il
maleodorante pentolone delle aree industriali, del movimento terra, dei trasporti e dell’edilizia. A
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Palermo ci furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e striscioni contro colui il quale voleva
contribuire a cambiare, con i fatti, le cose. E i fatti (non le chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a
mettere nero su bianco una frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione delle mafie)
nella nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale della sicurezza svolto a Caltanissetta il
21 ottobre 2013 finita nelle mani del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un
settore nel quale oggi sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non lo cito
per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo della Giustizia) Lo Bello scrisse
testualmente e Montante controfirmò, che «il territorio della provincia di Catania ha un ruolo
ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra lavorano congiuntamente e
regolano il mercato a livello nazionale». Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non
si è ancora spenta.
Credo che la delegittimazione (l’ho scritto mille volte su questo umile e umido blog con
riferimento a tante altre vicende inquietanti) sia la culla della morte. Più della morte fisica la
delegittimazione è in grado di uccidere, perché colpisce il luogo di una vita: la purezza
dell’anima.
Ma attenzione: quando la delegittimazione fallisce dopo aver usato, nella sua escalation, armi
estreme e radicali, quando non riesce nel proprio intento e quando la corsa non si può arrestare, non
resta che la morte. Quella fisica. Quella che uccide un uomo per educare un popolo come, in Sicilia
e nel Sud, è stato troppo spesso educato.
Non sono solo io a pensarlo. A meno che nella genia dei soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia
non rientri anche il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio lui, Salvatore
Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno giudiziario, ad affermare: «…in tal senso, da
parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali
siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito
mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari
protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe
tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei
quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero,
ndr)».
Arrestate Montante, indagate Lo Bello, braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per
tornaconto con loro o fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma, vi prego,
fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza Giustizia rapida, ci scapperà il morto. Il
primo nome è già sulla lista. Per educare un popolo.
r.galullo@ilsole24ore.com
si legga anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/13/antonello-montante-battaglie-ignorate-denunce-dimenticate-di-ministri-e-magistrati-e-parole-calate-dei-pentiti/
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/17/montante-confindustria-e-la-fine-innaturale-e-mortale-della-lunga-corsa-alla-delegittimazione/
ANTONELLO MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE
(DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI E PAROLE (CALATE) DEI
PENTITI
13 FEBBRAIO 2015
Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di Confindustria nazionale sui temi della
legalità Antonello Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino a
mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati.
Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e Catania che starebbero indagando) farà il suo
corso (sul quale non mi permetto di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di
giudicare il lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei pentiti (in
generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando ne ho trattato me ne sono dovuto
pentire giurando a me stesso che si fottessero tutti, ricordato che nessuno come i siciliani e i
calabresi è specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che non compete a
me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti non le prendo perché lo fa da solo e/o con i
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suoi avvocati), sottolineato che fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio,
parola e informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in faccia a
nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog, un mero contributo di riflessioni
ad una vicenda nelle mani sacrosante della magistratura.
1) Complimenti vivissimi alle menti raffinatissime che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe
di notizie sulla (o sulle) indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti di Montante. Gli
ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza scrupoli e contravvenendo ai principi costituzionali
e a quelli scritti sulla Carta europea dei diritti dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione
(avete letto bene, con pene che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno liberamente conto di
procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece rapidissimi nell’allungare la manina (a chi
vogliono) con informazioni a orologeria a qualcuno congeniali. Perché vedete, sia che si tratti di
una bufala accusatoria montata ad arte (dai pentiti suddetti che ovviamente rappresenterebbero il
braccio e non certo la mente), sia che si tratti di un filone propizio per fare luce su presunti legami
impropri tra mafia e antimafia, queste fughe di notizie su indagini definite dai giornali blindatissime
(come? Blindatissime? Pensa te se non lo erano…) sono state studiate a tavolino. Sono mesi, infatti,
che si assiste ad un “distillato” di voci e sussurri su Montante.
2) Un risultato immediato, le menti raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere
un colpo durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei fatti e dei gesti.
Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli
imprenditori vessati dalle mafie continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della
stessa Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi anche in questo
caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la mafia, perché è “merda”. Non solo
quella fatta da picciotti e capibastone ma, soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del
male. Chi denuncia è sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e
Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità.
3) Ricordo che Francesco Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca
Orlando Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da immunità
parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione televisiva con Giuliano Ferrara, più di
20 anni or sono, spiegò che nella prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli
anni ’70, firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel 1982, il padre
dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio), celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra
la politici ed ambienti salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si
mischiassero.
Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva mai al doppio cognome (Orlando
Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non
concesso che fossero nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da
un elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è diventato Presidente della
Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo
giudico dal momento e nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività
amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel presente e per il futuro,
coerenza con i principi e i valori nei quali io personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai
miei due figli. Se quei valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità,
rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di passato, presente e futuro.
Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi si oppone alla mafia tra gli imprenditori che
(è il caso di Montante) ricoprono anche fondamentali ruoli associazionistici.
Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la battaglia confindustriale per l’etica
d’impresa e la rivolta alla mafia prima proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i
comportamenti e il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura opposizione
all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi nelle varie stanze dei bottoni di una
classe dirigente sempre più corrotta. Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare
che è proprio la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli atti sì: le
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espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i commissariamenti mai osati prima
di alcune Confindustrie locali (do you remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e
rivisti per renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di rinnovamento nelle
associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle frutto di comparaggio?), l’obbligo di
white list negli appalti pubblici, le zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province
palermitane e nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di legalità per le
imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il sostegno a quella magistratura che
finalmente ha deciso di usare il lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di
Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei processi per mafia e la
durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei centri di potere massonico deviato/mafioso che
erano le aree di sviluppo industriale.
Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare le azioni di Montante per il fatto che
quando aveva 17 anni un suo testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì, da
incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà poi suicida in carcere
nel 1992. Chi è senza peccato, scagli il primo testimone.
4) C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle
presunte dichiarazioni (da riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti
(1, 5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo nella inutile (finora)
Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’ perché il movimento antimafia si è sempre
spaccato su tutto in Sicilia e dunque è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’
perché chi troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a Roma ormai
lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre si giocava (ma si gioca tuttora)
la partita per occupare la poltrona di capo della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti
troppo potenti in tutti i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno
dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale, quando non sono d’accordo).
Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente, riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una
coincidenza.
Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area
di sviluppo industriale di Caltanissetta prestava lavoro.
Bene. Leggete quel che denunciarono il 5 giugno 2014 anche (e sottolineo anche) in Commissione
parlamentare antimafia Montante e Ivanhoe Lo Bello (vicepresidente nazionale di Confindustria) a
proposito delle Asi siciliane e non solo: «…ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che
riguarda – voglio portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di
sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di presenza capillare e
diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei
consorzi Asi, oggi Irsap, è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un
aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti soggetti con minacce
significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della Commissione antimafia. Mi riservo anche
di fare arrivare alla Commissione antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo
industriale, tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema
mafioso» (Lo Bello).
«Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare
rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti
indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio
Asi si conosceva, ma non era emerso.…
…Ha parlato il mio collega dei consorzi Asi, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi,
come le indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un’anomalia
tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano cose pazzesche.
Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale,
presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag.
17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri
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luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere
l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza
dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì.
Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente appaltante in
contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del consorzio Asi c’erano un presidente, un
direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto
grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due
diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei consorzi ASI c’erano insediate anche
30 aziende e il consiglio d’ammissione dello stesso consorzio era di 70 unità.
In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un totale di 800 persone,
con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato modello
nazionale virtuoso. In realtà, lo ha fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un
gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800
persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato.
Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree industriali: dei
condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un’azienda in un’area a destinazione
industriale e si chiede l’autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il
giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate.
I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di
inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di
nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni
con la mafia.
Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono
attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo,
naturalmente, sempre della Sicilia.
L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi
procuratori hanno sentito l’esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica.
Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera.
Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano
con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle
telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie.
Queste sono le cose più grosse, poi ce sono si minori.
È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci
sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare
i nervi. Oggi quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il
pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato.
Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un’associazione antiracket, ma
che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un
sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo
venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o la sequestra la mafia o ti
ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale,
presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora
forse aspettare» (Montante).
5) Il 24 gennaio 2015 il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, in
apertura di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che impartiscono ordini dal carcere e che
continuano a mantenere e ad esercitare il loro antico potere. Il periodo preso in esame, è stato
caratterizzato da intimidazioni, minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati,
funzionari pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo
dell’antimafia e della lotta all’illegalità.
Si tratta di segnali che sembrano manifestare un parziale cambiamento della strategia fin qui
perseguita del cosiddetto “inabissamento” a favore della scelta di una maggiore visibilità anche
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mediatica dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di contrasto che tuttora è condotta
dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni protagonisti di un’imprenditoria libera e illuminata.
In tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici
confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e
del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro
vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che
potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”,
uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap».
La domanda sorge spontanea: è impazzito il procuratore generale che parla di «imprenditoria libera
e illuminata…di intimidazioni, minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi subdoli e discrediti
mediatici» in corso nei confronti anche dei vertici confindustriali nisseni e siciliani oppure i pentiti?
Non dico tanto ma se avessi ricevuto io la soffiata sulle presunte indagini su Montante (a quando Lo
Bello?) questa domanda me la sarei fatta e quantomeno avrei tenuto acceso il falò del dubbio.
6) Già perché, guardate voi come è corta la memoria, il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una
riunione straordinaria del Comitato nazionale per l’ordine pubblico per fronteggiare il rischio di
nuovi attentati di cui nessuno, i questi giorni, si è ricordato. Senz’altro le menti raffinatissime hanno
sperato nell’oblio.
Mai come in quei mesi, le speranze di cambiamento, descritte sui media di tutto il mondo dopo la
decisione – di Confindustria Sicilia prima e Confindustria nazionale poi – di mettere all’angolo gli
imprenditori che non denunciavano pizzo e mafie, apparivano lontane, sotto assedio e a rischio.
«A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale
antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro
dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra
alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il
ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si
sono ribellati al racket».
7) Ma attenzione ora ad un’altra data: il 17 settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme
(Siena) mise sul proprio sito istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi di mafia del ’92
che si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle Terme e passato sotto drammatico silenzio
a livello nazionale. Anch’esso passato nel dimenticatoio della stampa e dalla speranza di oblio delle
menti raffinatissime. «È in corso una campagna di delegittimazione da parte di centri di poteri
occulti – dichiarò in quell’occasione il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari – che mirano a
screditare chi in Sicilia combatte con i fatti malaffare e mafia. Ci sono centri di potere, collegati
sicuramente con le organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi mezzi di comunicazione come
blog, social network o fantomatici giornali online e gettano sospetti e fango su chi l’antimafia la fa
davvero, ovvero con i fatti. Hanno avviato una campagna di delegittimazione, oltre a proseguire con
gli avvertimenti. Continuano ad arrivare buste con proiettili, croci ed altri messaggi inquietanti».
8) Dunque eravamo a settembre 2013 e Lari, vale a dire il capo della Procura che ora con quella di
Catania starebbe indagando su Montante, un anno e mezzo fa parlava di centri di potere che
ordiscono campagne di delegittimazione e discriminazione utilizzando ogni mezzo possibile e
immaginabile. Certo, non c’erano nomi e cognomi maLari, un mese dopo quelle frasi, a ottobre,
sarà alla riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, con un ministro dell’Interno che
invece fece i nomi di coloro che si erano ribellati al racket, a partire (i nomi li ha fatti Alfano, non io
o voi) da Lo Bello eMontante. E poche settimane fa, un procuratore generale, Cardinale, metterà in
fila gli avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora quattro?
Di questo incontro a Chianciano Terme, a parte le cronache locali toscane e siciliane, la grande
stampa si disinteressò, perché un annuncio di morte non è una notizia. Quelle che sgorgano dalle
menti raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno – si.
Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla.
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Tifo, come sempre, per la Giustizia e spero, nel nome dell’Italia onesta nella quale senza se e senza
ma mi riconosco, di sapere prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno. Ne usciranno
rafforzati.
r.galullo@ilsole24ore.com
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/13/antonello-montante-battaglie-ignorate-denunce-dimenticate-di-ministri-e-magistrati-e-parole-calate-dei-pentiti/
A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE
http://tutelaariaregionesicilia.blogspot.it/2015/02/blog-post_17.html
CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI
AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti
Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia
che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni
sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei,
privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità?
Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia
e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su
presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante,
considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di
pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il
fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche,
anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e,
adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia.
E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’
Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà
cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi
di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani
ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si
sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo
successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado sempre per
mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni
inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda
il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a
illustrarla.
In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima
del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione
siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio
legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento
giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata
costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al
fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del
procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui
provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di
un funzionario e non di un dirigente.
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Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di
legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile
da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un
comitato di affari.
E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte
civile?
E’ Cannova non sa nulla di questa storia?
Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano.
In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre
antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse
semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a
scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due
dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo
- Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’
Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano,
è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti.
Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a
questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le
regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il
presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati
e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i
cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno.
Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la
magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono
avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per
gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché,
a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia.
Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia
provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i
rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a
restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome.
Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i
beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non
coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un
peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel
Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi
dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro
un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati
e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle
aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli
avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i
politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica!
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Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I
cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di
essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive
ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una
società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del
miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI , affidati a soggetti
dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla.
Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato
senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto
che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato.
Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello
Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la
magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai
prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della
legalità.
La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti
ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano.
Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già
nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo
strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in
pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria
Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse
applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi.
Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione
regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa
amministrazione regionale!
Entrambi in palese conflitto di interessi.
Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi
questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità
competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del
senatore Lumia.
Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore
della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di
decomposizione politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha
centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia
Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro
(€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( SENT. N.
401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del
dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal
Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del
decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal
presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli
Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché
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sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione
di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro).
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles,
sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati
all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori
commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali,
mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi
pubblici non sovrapponibili.
Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare
fondi regionali erogati illegittimamente.
Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a
monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per
definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La
Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi
regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della
formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del
Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con
le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la
stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa
finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di
un’irregolarità ai danni di se stessa.
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema
di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi
giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che
gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto
‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani.
Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero
essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e
ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i
privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è
perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di
rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia,
destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo
Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac
- società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa,
dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà
pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico
verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta
nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata.
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani.
Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la
Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio,
sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2
per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo
di privati.
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di
Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della
Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società
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aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte
commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per
Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio
per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà.
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe
Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di
Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione
dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina
l’ambiente.
Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non
possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte.
Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno
via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra
finita.
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di
legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per
il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua
pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi
che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei
Paesi dell’Unione europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle
‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo
spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi
di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio
‘intollerabile’…
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è
un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della
burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra
più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si
scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari.
http://www.lavocedinewyork.com/Ascesa-e-declino-dell-Antimafia-degli-affari-che-non-si-
possono-rifiutare-/d/9843/
BATOSTA PER IL GOVERNO CROCETTA DECRETO-ACCREDITAMENTI
ANNULLATO
Venerdì 30 Gennaio 2015 - 17:27 di Accursio Sabella
I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso di decine di enti tra cui l'Anfe e lo Ial. Il decreto
dell'assessore Scilabra che stabiliva i requisiti per ottenere i finanziamenti pubblici è illegittimo:
doveva essere deliberato dalla giunta e firmato dal governatore.
PALERMO - Nuova “bacchettata” del Tar al governo Crocetta. Una bocciatura che rischia di far
esplodere il mondo della Formazione. I giudici amministrativi hanno dato ragione a una quarantina
tra enti e associazioni che avevano presentato un ricorso contro il decreto che disciplina gli
accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. In particolare, nei confronti del passaggio in cui si
prevede la revoca dell'accreditamento in caso di presenza di contenziosi tra l'ente e la pubblica
amministrazione. Un provvedimento che era apparso fin da subito contrario persino alle regole del
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buon senso. Ma i giudici amministrativi sono andati oltre. Bocciando, di fatto, l'intero
provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e sono stati tolti gli accreditamenti
agli enti. E il motivo è quasi grottesco: quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva
invece – stando allo Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone
clamoroso.
Già alla fine del 2013, il Tar aveva accolto la richiesta di sospensiva avanzata da queste
associazioni. Con due distinti ricorsi: uno dell'Anfe Sicilia e di altre associazioni e uno di un nutrito
gruppo di enti. Enti che, come detto, si erano opposti contro le norme contenute nel decreto
assessoriale del 23 luglio 2013. Si tratta, del provvedimento che elenca i nuovi requisiti per
l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione dei contributi pubblici per
lo svolgimento dei corsi di Formazione.
In quell’atto, firmato come detto dall'allora assessore Nelli Scilabra, fra le altre cose, si inibiva
l'accreditamento a quegli enti che avessero in corso "liti" e contenziosi con l'amministrazione
regionale. Ma un primo e più grave vizio di quel decreto sta proprio nel “firmatario”. Quelle
disposizioni, infatti, precisano i giudici “hanno la caratteristica della novità, introducendo
condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel
momento esistenti l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo
status: in altri termini quelle di cui si discute si atteggiano quali vere e proprie norme di carattere
secondario rispetto la disciplina primaria”. Veri e propri regolamenti, quindi, che, stando allo
Statuto siciliano “devono essere deliberati dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del
Decreto Presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di proporre
l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel caso di specie – si legge - il
decreto oggetto di impugnazione non risulta adottato in conformità al quadro normativo appena
richiamato. Conseguentemente lo stesso decreto risulta illegittimo”.
I ricorsi accolti sono due: uno è stato proposto da Asef e Anfop, associazioni che raccolgono diversi
enti, assistite dal legale Carlo Comandé. "L'aspetto importante - sottolineano dallo studio Comandé
- è che è stato annullato l'intero decreto per effetto di una contestazione preliminare fatta da noi: non
doveva essere un decreto assessoriale, ma un decreto del presidente della Regione. Il
provvedimento doveva dunque passare da un ok del Cga". L'altro è stato proposto dall'Anfe, dallo
Ial e da un'altra ventina di enti (tra questi l'Interefop, il Cufti, l'Anapia, l'Ecap di Agrigento) difesi
dagli avvocati Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio.
Oltre a una causa di illegittimità legata al mancato rispetto delle norme sul soggetto che ha la
potestà di emanare regolamenti, poi, ecco che i giudici entrano nel merito di quel passaggio relativo
all'eventuale lite pendente (od anche sopravvenuta) che, spiegano i giudici amministrativi, “non è di
per sé indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa (con
riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre, - si legge nella sentenza - è sintomatico della non
necessaria finalizzazione alla selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame
individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle passate”. Una norma non solo
incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche inutile. Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio
all'attività amministrativa: “Una simile previsione – si legge infatti - non ha alcuna proiezione sul
terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed univoca finalità di
penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di difesa (principale interesse antagonista a
quello dell’amministrazione), di cui all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto
ostativo rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in relazione a
vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. Agli enti, stando a quel passaggio indicato dal
governatore, in quei giorni, quasi come un segno della “moralizzazione” in atto nel mondo della
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Formazione, non sarebbe stato garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la
conseguenza sarebbe stata quella dell'immediata estromissione dai finanziamenti pubblici. Un
ingiustizia. E due errori in uno. La Regione scivola ancora una volta e clamorosamente. Sul terreno
insidioso della Formazione siciliana.
http://livesicilia.it/2015/01/30/formazione-nuova-batosta-per-il-governo-crocetta-il-tar-annulla-il-
decreto-sugli-accreditamenti_592101/
L'INCHIESTA SUL FLOP-DAY, ANNA ROSA CORSELLO: "AI MAGISTRATI HO
CONSEGNATO LE CARTE E SPIEGATO TUTTO"
GIUSEPPE MESSINA 10 OTTOBRE 2014
FORMAZIONE E LAVORO – La documentazione fornita dall'ex dirigente generale dei
dipartimenti formazione e lavoro della regione siciliana e' adesso al vaglio della procura della
repubblica di palermo
Ci sono volute cinque ore per fare luce sulla gestione dei tirocini formativi finanziati con le risorse
del Piano Giovani e sul flop day dello scorso 5 agosto.
La dottoressa Anna Rosa Corsello, ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione
professionale ha esaminato, davanti ai magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Palermo, tutti gli aspetti inerenti l'attuazione del Piano Giovani e, in particolare, i tirocini
formativi 'appaltati' senza gara ad Italia Lavoro, la società del Ministero del lavoro che in Sicilia
sembra aver trovato l' 'America'.
Nel lunghissimo interrogatorio di oggi, i magistrati hanno focalizzato l'attenzione su alcuni aspetti
della vicenda che la dottoressa Corsello ha puntualmente spiegato nei minimi particolari, supportata
dall'ampia documentazione depositata. Dall'affidamento diretto alle ragioni della scelta di Italia
lavoro e delle altre società esterne alla Regione: Formez, Ett e Sviluppo Italia Sicilia. Atti
amministrativi effettuati dall'Amministrazione regionale sulla base di un'apposita delibera adottata
dalla Giunta regionale di Rosario Crocetta.
Inoltre, l'ex dirigente generale ha chiarito ai magistrati i problemi generati dall'utilizzo del sistema
informatico che, inceppatosi lo scorso 5 agosto, ha estromesso dalla candidatura e dall'incrocio con
le aziende decine di migliaia di giovani.
In particolare, la dottoressa Corsello si è soffermata sugli affidamenti diretti inerenti al sistema
informatico Silav creato per gestire le adesioni dei giovani entro i 25 anni al Piano della Garanzia
Giovani Sicilia e che hanno riguardato il collegamento con il sistema dei Centri per l'impiego. A tal
riguardo, la relazione tra i tirocini e i Centri per l'impiego è strato oggetto di confronto nel corso del
citato interrogatorio.
Lo strumento del tirocinio formativo, lo ricordiamo, è destinato ai giovani tra i 18 ed e 35 anni che
possono usufruire di un periodo di lavoro presso le aziende che ne fanno richiesta, percependo una
somma pari a 500 euro al mese per complessivi 6 mesi. All'azienda è riconosciuto un rimborso di
250 euro al mese al quale aggiungere un BONUS finale nel caso di assunzione a tempo
determinato che aumenta se il contratto è subordinato.
Sono 2000 i tirocini messi a bando in Sicilia non ancora assegnati per l'insipienza del Governo
regionale. Anche per questo - e non solo per aver lasciato senza stipendio oltre 8 mila lavoratori
della Formazione professionale - l'assessore Scilabra sarà oggetto di una mozione di censura da
parte dell'Ars.
Il flop-day dello scorso 5 agosto ha paralizzato l'attività amministrativa. L'Amministrazione
regionale sta ancora valutando se validare il click-day dello scorso 5 agosto e aprire una nuova
finestra per garantire l'accesso ai giovani.
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Dalle ultime notizie, pare che 'appatteranno le carte' assegnando i mille e 600 tirocini ai 'fortunati'
che sono riusciti a collegarsi al discusso sito, in barba ad altre decine di migliaia di giovani che non
sono riusciti a collegarsi. Così avrebbero deciso i soliti Azzeccagarbugli.
Tornando all'interrogatorio, in una nota pervenuta in redazione, Salvatore Modica, uno dei legali
della dottoressa Anna Rosa Corsello riferisce che l'interrogatorio, richiesto dall'ex dirigente
generale dei dipartimenti Lavoro Formazione professionale si è svolto in un clima di assoluta
serenità e di massima collaborazione, senza che venissero mosse specifiche accuse.
La dottoressa Corsello, prosegue la nota, ha fornito ampie e dettagliate spiegazioni in ordine agli
articolati passaggi tecnici che connotano le vicende oggetto di indagine, inchiesta condotta da
magistrati attenti e rigorosi sui quali l'ex dirigente generale ripone massima stima e fiducia farà il
proprio corso.
"Ho avuto ieri pomeriggio alle 15,30 l'incontro da me richiesto e mi sono presentata accompagnata
dai miei legali - racconta al giornale la dottoressa Corsello -. L'incontro si è svolto all'insegna della
massima collaborazione e cordialità - aggiunge - ho fornito i chiarimenti per i quali avevo chiesto di
essere sentita ed ho depositato gli atti inerenti la procedura amministrativa".
"Nulla mi è stato contestato o addebitato - ci dice l'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e
Formazione professionale - e non ho mosso accuse nei confronti di alcuno, limitandomi a spiegare
gli atti che producevo".
"Ci sono volute cinque per consentire ai magistrati di verbalizzare i chiarimenti - sottolinea l'ex
dirigente generale dei dipartimenti Formazione e Lavoro - esclusivamente inerenti le procedure
amministrative che hanno riguardato il mio operato".
"Sono serena - conclude la dottoressa Corsello - e mi rimetto alle valutazioni dei magistrati che mi
hanno seguita con molta attenzione".
http://palermo.meridionews.it/articolo/28627/linchiesta-sul-flop-day-anna-rosa-corsello-ai-
magistrati-ho-consegnato-le-carte-e-spiegato-tutto/
L'AMARO/ LUMIA COME SCHOPENHAUER: IL MONDO È COME LO VEDI
BRASIL 24 SETTEMBRE 2013
POLITICA – Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? non è che con la fretta di giudicarli quali
ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio? il dubbio irrompe all'improvviso. A
generarlo sono le parole pronunciate da beppe lumia, senatore del pd a roma, promotore de il
megafono in sicilia, nonché regista del governo crocetta insieme con la lobby dei "professionisti
dell'antimafia" di confindustria sicilia, nel corso della direzione regionale del pd, ancora in corso al
san paolo palace di palermo.
Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? Non è che con la fretta di giudicarli quali ascari,
tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio? Il dubbio irrompe all'improvviso. A generarlo
sono le parole pronunciate da Beppe Lumia, Senatore del Pd a Roma, promotore de il Megafono in
Sicilia, nonché regista del Governo Crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia"
di Confindustria Sicilia, nel corso della direzione regionale del Pd, ancora in corso al San Paolo
Palace di Palermo.
Il Senatore, con la sua capacità oratoria, ha ricordato a tutti un grandissimo filosofo: Arthur
Schopenhauer e la sua opera somma: "Il mondo come volontà e rappresentazione". Di che si
tratta? Detto in maniera molto rozza (non abbiamo la saggezza degli esponenti del Megafono), in
questo capolavoro dell'intelletto umano, il filosofo tedesco sostiene che ognuno di noi percepisce la
realtà che vuole. E, in effetti, Lumia, nel suo intervento parla di cose che, evidentemente, percepisce
solo lui:
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"Questo e' un partito che si isola dalla stampa nazionale e mondiale, che vede con simpatia un
Presidente per la prima volta davvero in grado di rompere col passato. I cittadini siciliani, i
giornali, l'opinione pubblica, la classe dirigente nazionale del partito vedono il presidente Crocetta
come una grande risorsa"ha detto dinnanzi ad una platea inferocita che ha votato il documento del
segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, che propone l'abbandono della Giunta Crocetta.
Ma che giornali legge Lumia? Di quale opinione pubblica parla? E, soprattutto, dove vive? In
Sicilia, a quanto ci risulta, si parla di un Governo che si era presentato come rivoluzionario, e che
invece si è piegato ai diktati di quattro affaristi, peraltro non eletti, e si è inchinato dinnanzi a quelli
degli apparati ministeriali romani legati alle oligarchie finanziarie dell'Ue. Altro che popolo
Siciliano...
Forse, il Senatore dal doppio partito, non ha letto la seconda parte dell'opera del filosofo tedesco.
Dove spiega che vero è che la realtà fenomenica è come c'è la rappresentiamo ma che tra noi e la
vera realtà è come se vi fosse uno schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è
veramente: il velo di Maya di cui parla la filosofia indiana, alla quale Schopenhauer spesso si rifà.
Il 21 Settembre scorso, ricorreva l'anniversario della morte del filosofo tedesco, datata 1860. Non è
da escludere che il suo spirito stia vagando proprio in questi giorni nell'Universo, e che magari, si
è fermato anche al San Paolo Palace hotel. Ma solo per pochi secondi.
www.glialtrionline.it/2012/03/05/il-nuovismo-e-le-sue-lobby-in-sicilia-vince-il-
partito-pro-lombardo/
12 luglio 2013 - 20:29
Nuova puntata sul gruppo di Potere Crocetta-Lumia-Lo Bello-Montante che domina in Sicilia. Nel
silenzio della stampa. E mentre Fontanarossa, in mano a Confindustria, rischia di essere svenduta a
imprenditori amici, la zona industriale di Catania, retta sempre da Confindustria, va in malora. Nella
giunta Bianco, è stato Giuseppe Lumia a convincere l’ing. Luigi Bosco, ad accettare l’incarico
assessoriale in giunta. Bosco, si è notato subito, ha differenze di vedute con il sindaco su Corso dei
Martiri, una megaoperazione immobiliare al centro di Catania, che potrebbe cambiare il volto
della città per i prossimi decenni. Senza dimenticare l’Irsap che significa zone industriali, uno dei
numerosi obiettivi nel mirino della «lobby dei quattro» che continua, grazie al decisivo ruolo del
governatore di Sicilia, a tessere le fila di un’occupazione militare di posti e luoghi determinanti per
le sorti dell’Isola, di Marco Benanti
PENTITI CONTRO LEADER DI CONFINDUSTRIA: MONTANTE INDAGATO PER
MAFIA
A suo carico, secondo il quotidiano la Repubblica, vi sarebbero un’inchiesta della
procura di Caltanissetta e una dell’ufficio inquirente di Catania. Originario di
Serradifalco, l’imprenditore e’ titolare dell’omonima fabbrica di biciclette fondata negli
anni ’20 del secolo scorso, e’ presidente della Camera di Commercio nissena e il 20
gennaio scorso è stato designato – su proposta del ministero dell’Interno –
componente dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati
di Giuseppe Pipitone
È il delegato per la Legalità di Confindustria, e ha guidato gli imprenditori siciliani nella
rivoluzione contro il racket e contro Costa Nostra. Risulta però coinvolto anche in
un’indagine di mafia della procura di Caltanissetta. Un vero e proprio paradosso,
quello di Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, che, secondo
l’edizione odierna di Repubblica,sarebbe sotto inchiesta per reati di mafia da parte
della Procura nissena. Un’inchiesta top secret quella su Montante, indicato pochi
giorni fa dal ministero dell’Interno come componente dell’Agenzia dei beni confiscati,
che gestisce le proprietà immobiliari confiscati ai boss di Cosa Nostra.
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A suo carico, sempre secondo il quotidiano diretto da Ezio Mauro, ci sarebbero le
dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Uno è Salvatore Dario Di
Francesco, mafioso di Serradifalco, lo stesso paese di Montante. Arrestato un anno fa
dalla Squadra Mobile , Di Francesco ha iniziato a raccontare di appalti pilotati nella
zona e in particolare al Consorzio Asi, l’area di sviluppo industriale, dal ’99 al 2004. Di
Francesco è stato definito ‘’il collettore tra esponenti di Cosa nostra e i colletti
bianchi della provincia’’. Il pentito è “compare” del mafioso di Serradifalco Vincenzo
Arnone (il padre di quest’ultimo, Paolino Arnone era un boss di Cosa nostra e si
suicidò nel carcere nisseno di Malaspina nell’autunno del ’92 dopo una retata), che è
stato compare di nozze di Montante.
Una notizia già resa pubblica lo scorso anno dalla rivista I Siciliani Giovani: in rete
venne diffusa una foto di Montante insieme a Vincenzo Arnone nella sede di
Assindustria nissena, scattata negli anni Ottanta, ma anche il certificato di nozze di un
giovanissimo Montante – aveva solo 17 anni – insieme ai quattro testimoni. Due erano
proprio Paolino e Vincenzo Arnone. Anche queste lontane conoscenze, a quanto
pare, sono confluite nell’indagine, rappresentata soprattutto dalle dichiarazioni del
pentito Di Francesco. Il leader di Confindustria ha spiegato che le sue frequentazioni
con Arnone, altro non erano che legami dovuti alla comune origine paesana legata
a Serradifalco.
È dalla piccola cittadina in provincia di Caltanissetta che parte la scalata
imprenditoriale dei Montante, attivi già dagli anni venti con una fabbrica di biciclette.
Un marchio storico rilanciato da Antonello Montante, che è anche fondatore della
Msa, Mediterr Shock Absorbers spa, un’azienda di ammortizzatori per veicoli
industriali con sedi in tutto il mondo. Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi
anche in Confindustria: nel 2008, insieme al suo predecessore Ivan Lo Bello, è stato
tra gli artefici del codice etico e della svolta anti racket degli industriali siciliani. Un
“nuovo corso” che molti hanno definito come la “rivoluzione antimafia” dell’Isola, dato
che parallelamente alle denunce contro il pizzo, gli industriali emarginarono alcuni ex
leader di Confindustria considerati vicini ai clan: primo tra tutti Pietro Di Vincenzo,
condannato in via definitiva a nove anni per estorsione.
“No comment, altro non posso aggiungere”. E’ quanto si è limitato a dire all’Adnkronos
il Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, interpellato sull’inchiesta per mafia a
carico del Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante. L’industriale sotto
indagine è considerato vicino a molti magistrati delle procure siciliane che in questi
ultimi anni hanno creduto alla ‘’rivolta antimafia’’ dell’imprenditoria siciliana, e la sua
‘’cordata’’ ha avuto un ruolo importante nell’elezione di Rosario Crocetta a Palazzo
d’Orleans. Proprio per questo l’indagine a suo carico suscita un notevole scalpore
negli ambienti politici e finanziari dell’Isola. Ora che alcuni pentiti parlano delle sue
‘’pericolose frequentazioni’’, come scrive La Repubblica, i casi sono due: o qualcuno ha
voluto ordire una trama per infangare il simbolo di una Sicilia che vuole cambiare,
oppure è arrivato il momento di riflettere sui possibili ‘’travestimenti dell’Antimafia’’.
http://www.loraquotidiano.it/2015/02/09/pentiti-contro-leader-di-confindustria-
montante-indagato-per-mafia_24680/
NICOLÒ MARINO: LA MIA LOTTA CONTRO L’AFFAIRE “MONNEZZA”
Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza
rifiuti, prende posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta
zitto. Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico:
“Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”. E Crocetta? “Cambiò discorso”. Ma perchè
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l’ha nominata assessore? “Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale
ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse
controllarmi”
di Luciano Mirone
11 novembre 2014
Dopo sette mesi dal suo siluramento punta il dito contro il governatore Rosario Crocetta, contro i
vertici di Confindustria Sicilia – ovvero il vice presidente Giuseppe Catanzaro e il
presidente Antonello Montante –, contro il vice presidente di Confindustria nazionale Ivan Lo
Bello, contro il senatore del Pd Giuseppe Lumia, contro alcuni funzionari regionali che avrebbero
“firmato atti palesemente illegittimi”. Tante le accuse: dal rilascio delle autorizzazioni alle
“manovre messe in atto per evitare la realizzazione delle piattaforme pubbliche per favorire le
discariche private, specie quella di Siculiana (Agrigento), gestita dal vice presidente di
Confindustria Sicilia”.
Detto e sottoscritto da Nicolò Marino, ex assessore del Governo Crocetta con delega ai Rifiuti,
all’Acqua e all’Energia, dal 12 dicembre 2012 al 14 aprile scorso.
Oggi Marino rompe un lungo silenzio e in questa intervista spiega molti retroscena legati allo
scandalo della spazzatura nell’isola. “Non sappiamo cosa c’è dentro le nostre discariche e nel nostro
sottosuolo, potrebbero anche esserci rifiuti pericolosi: in questi anni non è stato controllato nulla né
dall’Arpa, né dalle Province. Un affare gigantesco come questo non poteva lasciare indifferente la
criminalità organizzata, che a Mazzarrà Sant’Andrea, per esempio, ha scaricato l’immondizia della
Campania”.
È un fiume in piena l’ex magistrato. “Non voglio che passi il messaggio (come il presidente
Crocetta ha cercato di fare anche in questi giorni) di essermi occupato, durante il mio mandato, solo
della discarica di Siculiana per un pregiudizio nei confronti di Giuseppe Catanzaro, trascurando
quelle di Mazzarrà Sant’Andrea (nei giorni scorsi sottoposta a sequestro preventivo) e di Motta
Sant’Anastasia (anche questa formalmente chiusa)”. Un’accusa che Marino respinge al mittente
proprio nei giorni in cui – con le inchieste della magistratura e della Commissione nazionale
antimafia – i nodi dell’“affaire spazzatura” stanno venendo al pettine.
“La verità – dice Marino – è che mi sono occupato a trecentosessanta gradi del ciclo dei rifiuti,
cercando delle soluzioni finalizzate al risparmio e al bene comune”.
A difendere l’ex assessore scendono in campo i sindaci di Furnari, Mario Foti, e di Misterbianco,
Nino Di Guardo, che da anni lottano per la chiusura degli impianti di Mazzarrà e di Motta:
“Crocetta – dichiarano all’unisono – ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando
avanti una seria azione di rinnovamento e di trasparenza”.
“Va ricordato al presidente Crocetta – afferma Marino – che una delle più grosse autorizzazioni
rilasciate (3 milioni di metri cubi di volume) è stata concessa nel 2009 a favore della discarica del
vice presidente di Confindustria Sicilia”.
E poi: “Catanzaro è il primo imprenditore dell’isola a sferrare l’attacco più grave al governo
Crocetta. Quando? Quando ottenemmo il decreto legge dal governo Monti per l’emergenza rifiuti.
Al momento della conversione in legge, Catanzaro scrive, in qualità di vice presidente di
Confindustria Sicilia, al presidente della Commissione ambiente del Senato, Marinello, sostenendo
che non bisognava convertire in legge la parte di rifiuti relativa all’impiantistica, cioè alle
discariche, in quanto le esperienze del passato avevano dimostrato che l’emergenza era stata la
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breccia tramite la quale erano entrati gli interessi mafiosi. Il problema è che Catanzaro aveva avuto
un’autorizzazione illegittima, e si era inserito nella gestione della discarica di Siculiana
approfittando di quell’emergenza rifiuti che lui stesso aveva stigmatizzato. In pratica Catanzaro ha
sferrato un attacco al Governo Crocetta, ma è stato protetto dallo stesso Crocetta con dichiarazioni
pubbliche anche a mio danno”.
Perché Crocetta difende Catanzaro e attacca Marino?
“Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare
europeo e come presidente della Regione siciliana. Il governatore non vive bene la presenza di
personaggi che oscurano la sua immagine. Mantenendo la mia autonomia l’ho messo in crisi”.
Perché, dottor Marino, lei accusa anche il presidente di Confindustria?
“Mentre sono ancora assessore mi chiama il senatore del Pd Beppe Lumia, e mi dice: ‘
Quando vieni a Palermo?’.
‘Domani’.
‘Assolutamente no, ci dobbiamo vedere stasera’.
‘Beppe, sono a Catania, non posso’.
‘Allora veniamo noi: io, Antonello Montante e Ivan lo Bello’.
L’incontro avviene all’hotel Excelsior di Catania. Montante esordisce così:
‘Se vuoi fare la guerra a colpi di dossier io sono pronto, la devi smettere di mandare in giro
Ferdinando Buceti (mio capo di Gabinetto ed ex vice Questore della Polizia di Stato, nonché
appartenente alla Dia di Caltanissetta) ad acquisire informazioni sul mio conto’.
Gli rispondo: ‘Sei veramente fuori di testa. Non ho bisogno di mandare persone in giro per saperne
di più su di te, sono sufficientemente informato. Non ti permettere di fare insinuazioni di questo
tipo’.
Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza
rifiuti, prende posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta
zitto.
Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico:
‘Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”.
E Crocetta?
“Cambiò discorso”.
Cosa avvenne a seguito della sua inchiesta?
“Il direttore generale del dipartimento Territorio e Ambiente, dott. Gaetano Gullo, scrisse che la
situazione di Siculiana e di Motta era regolare. La cosa assurda è che questo signore, che ritengo
assolutamente incapace e inadeguato per svolgere le funzioni conferitegli, rimanga ancora al suo
posto nonostante le mie sollecitazioni a Crocetta di sollevarlo dall’incarico”.
Qual è il ruolo del senatore Lumia?
“Ha sempre sponsorizzato Catanzaro, anzi, direi che Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa
cosa”.
Perché Crocetta la nomina assessore?
“Me lo chiedo anch’io. Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero
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in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse
controllarmi”.
Un’operazione di facciata?
“Alla luce di questi fatti, direi proprio di sì”.
http://www.loraquotidiano.it/2014/11/11/nicolo-marino-la-mia-lotta-contro-l-affaire-
monnezza_12086/
12 novembre 2014
RIFIUTI, MONTANTE E LO BELLO QUERELANO NICOLÒ MARINO
Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione industriale “hanno
dato mandato ai loro legali di denunciare il dottor Marino, in relazione alle interviste”
apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia
di Luciano Mirone
È guerra aperta fra i vertici di Confindustria e l’ex assessore ai Rifiuti del Governo
Crocetta, Nicolò Marino. Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale
dell’organizzazione industriale, rispettivamente Ivan Lo Bello e Antonello
Montante, “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dott. Marino, in
relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia,
“rinvenendosi nelle stesse contenuti gravemente diffamatori e minacciosi, oltre che
riferimenti a fatti e circostanze fantasiosamente ricostruite e completamente destituite
di ogni fondamento”.
La nota diffusa dall’ufficio stampa di Confindustria Sicilia fa riferimento a
un’intervista apparsa nei due quotidiani, in cui l’ex assessore regionale ai Rifiuti,
all’Acqua e all’Energia accusava soprattutto il vice presidente di Confindustria
Sicilia, Giuseppe Catanzaro di essere stato destinatario, secondo l’ex magistrato, “di
una serie di autorizzazioni illegittime per la discarica di Siculiana (3 milioni di metri
cubi di volume), che lo stesso Catanzaro gestisce”.
A parere di Marino, sarebbero state messe in atto delle “vere e proprie manovre per
evitare la realizzazione delle piattaforme pubbliche (specie quella prevista a Gela) per
favorire la discarica di Siculiana, che perderebbe buona parte del suo fatturato
attuale”. Marino nell’intervista tira in ballo il governatore della Sicilia Rosario
Crocetta, “protettore di Catanzaro”, ma anche il senatore del Pd Beppe Lumia (“ha
sempre sponsorizzato Catanzaro”), nonché i vertici di Confindustria Lo
Bello e Montante, sostenendo che “Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa
cosa”. Motivo? “Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di
Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana”.
Un’intervista durissima quella rilasciata ieri da Marino, dopo sette mesi di “guerra
fredda” fra lui e il presidente della Regione, dopo il siluramento subito dall’ex
magistrato da uno degli assessorati più delicati di Palazzo d’Orleans. A difendere
l’operato dell’ex assessore ai Rifiuti, in questi giorni sono scesi in campo il sindaco di
Misterbianco, Nino Di Guardo, e di Furnari, Mario Foti, che da anni lottano per la
chiusura delle discariche di Motta Sant’Anastasia e di Mazzarrà Sant’Andrea: “Crocetta
ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria azione di
rinnovamento e di trasparenza”.
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  • 1. 1 CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE" Giulio Ambrosetti Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei, privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità? Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia. E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a illustrarla. In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un funzionario e non di un dirigente. Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato di affari. E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte civile? E’ Cannova non sa nulla di questa storia? Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano.
  • 2. 2 In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’ Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti. Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno. Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia. Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome. Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura? Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica! Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI , affidati a soggetti dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla. Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto
  • 3. 3 che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della legalità. La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano. Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa amministrazione regionale! Entrambi in palese conflitto di interessi. Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia. Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro (€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( SENT. N. 401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html ) Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro). Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili. Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente.
  • 4. 4 Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di un’irregolarità ai danni di se stessa. Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di rappresentare! L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata. Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo di privati. Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta… Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà. Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina l’ambiente.
  • 5. 5 Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita. Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione europea. La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’… Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari. http://www.lavocedinewyork.com/Ascesa-e-declino-dell-Antimafia-degli-affari-che-non-si- possono-rifiutare-/d/9843/ MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE 17 FEBBRAIO 2015 Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio, infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra categoria. Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo Paese. Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi. Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania. Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire, mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi, come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado.
  • 6. 6 Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del “caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini (a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia). Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio (si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) . E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle varianti possibili in quel della provincia nissena. Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza. Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini (spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”. In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla. E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto bianco e dall’anima nera. Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet – che in questi anni, ogni qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete dubito. Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle menti raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste che fino a quel momento non potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e che addirittura sfociava in denunce in sede penale degli affamatori aguzzini. Che succede? si saranno chiesti pupi e pupari. La ragione pratica è che uccidere chi si opponeva a Cosa nostra tra gli imprenditori era difficile: le scorte, che talvolta sono messe a protezione degli inutili, questa volta erano messe a disposizione di qualcuno utile alla causa di civiltà sociale ed economica. Bisognava fare, dunque, troppo rumore. Meglio lanciare la scia lunghissima e distillata della delegittimazione. Volete due-esempi-due dell’escalation diffamatoria e delegittimante di questi anni? Quando l’imprenditore che opera nel settore dell’ambiente Giuseppe Catanzaro, attuale numero 2 di Confindustria Sicilia, denunciò ad Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro – si badi bene – le sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre che lo avvolgevano. Quella scia non si è ancora spenta. Lo schema – mutatis mutandis – si ripropose con Ivanhoe Lo Bello, attuale vicepresidente nazionale di Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di omertà e ipocrisia che gravava (e grava oggi più di ieri) su Catania, scoperchiò anche con un’intervista al Corriere della Sera il maleodorante pentolone delle aree industriali, del movimento terra, dei trasporti e dell’edilizia. A
  • 7. 7 Palermo ci furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e striscioni contro colui il quale voleva contribuire a cambiare, con i fatti, le cose. E i fatti (non le chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a mettere nero su bianco una frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione delle mafie) nella nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale della sicurezza svolto a Caltanissetta il 21 ottobre 2013 finita nelle mani del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un settore nel quale oggi sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non lo cito per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo della Giustizia) Lo Bello scrisse testualmente e Montante controfirmò, che «il territorio della provincia di Catania ha un ruolo ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra lavorano congiuntamente e regolano il mercato a livello nazionale». Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non si è ancora spenta. Credo che la delegittimazione (l’ho scritto mille volte su questo umile e umido blog con riferimento a tante altre vicende inquietanti) sia la culla della morte. Più della morte fisica la delegittimazione è in grado di uccidere, perché colpisce il luogo di una vita: la purezza dell’anima. Ma attenzione: quando la delegittimazione fallisce dopo aver usato, nella sua escalation, armi estreme e radicali, quando non riesce nel proprio intento e quando la corsa non si può arrestare, non resta che la morte. Quella fisica. Quella che uccide un uomo per educare un popolo come, in Sicilia e nel Sud, è stato troppo spesso educato. Non sono solo io a pensarlo. A meno che nella genia dei soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia non rientri anche il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio lui, Salvatore Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno giudiziario, ad affermare: «…in tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero, ndr)». Arrestate Montante, indagate Lo Bello, braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per tornaconto con loro o fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma, vi prego, fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza Giustizia rapida, ci scapperà il morto. Il primo nome è già sulla lista. Per educare un popolo. r.galullo@ilsole24ore.com si legga anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/13/antonello-montante-battaglie-ignorate-denunce-dimenticate-di-ministri-e-magistrati-e-parole-calate-dei-pentiti/ http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/17/montante-confindustria-e-la-fine-innaturale-e-mortale-della-lunga-corsa-alla-delegittimazione/ ANTONELLO MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE (DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI E PAROLE (CALATE) DEI PENTITI 13 FEBBRAIO 2015 Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di Confindustria nazionale sui temi della legalità Antonello Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino a mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati. Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e Catania che starebbero indagando) farà il suo corso (sul quale non mi permetto di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di giudicare il lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei pentiti (in generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando ne ho trattato me ne sono dovuto pentire giurando a me stesso che si fottessero tutti, ricordato che nessuno come i siciliani e i calabresi è specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che non compete a me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti non le prendo perché lo fa da solo e/o con i
  • 8. 8 suoi avvocati), sottolineato che fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio, parola e informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in faccia a nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog, un mero contributo di riflessioni ad una vicenda nelle mani sacrosante della magistratura. 1) Complimenti vivissimi alle menti raffinatissime che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe di notizie sulla (o sulle) indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti di Montante. Gli ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza scrupoli e contravvenendo ai principi costituzionali e a quelli scritti sulla Carta europea dei diritti dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione (avete letto bene, con pene che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno liberamente conto di procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece rapidissimi nell’allungare la manina (a chi vogliono) con informazioni a orologeria a qualcuno congeniali. Perché vedete, sia che si tratti di una bufala accusatoria montata ad arte (dai pentiti suddetti che ovviamente rappresenterebbero il braccio e non certo la mente), sia che si tratti di un filone propizio per fare luce su presunti legami impropri tra mafia e antimafia, queste fughe di notizie su indagini definite dai giornali blindatissime (come? Blindatissime? Pensa te se non lo erano…) sono state studiate a tavolino. Sono mesi, infatti, che si assiste ad un “distillato” di voci e sussurri su Montante. 2) Un risultato immediato, le menti raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere un colpo durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei fatti e dei gesti. Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli imprenditori vessati dalle mafie continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della stessa Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi anche in questo caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la mafia, perché è “merda”. Non solo quella fatta da picciotti e capibastone ma, soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del male. Chi denuncia è sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità. 3) Ricordo che Francesco Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca Orlando Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da immunità parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione televisiva con Giuliano Ferrara, più di 20 anni or sono, spiegò che nella prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli anni ’70, firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel 1982, il padre dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio), celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra la politici ed ambienti salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si mischiassero. Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva mai al doppio cognome (Orlando Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non concesso che fossero nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da un elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è diventato Presidente della Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo giudico dal momento e nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel presente e per il futuro, coerenza con i principi e i valori nei quali io personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai miei due figli. Se quei valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità, rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di passato, presente e futuro. Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi si oppone alla mafia tra gli imprenditori che (è il caso di Montante) ricoprono anche fondamentali ruoli associazionistici. Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la battaglia confindustriale per l’etica d’impresa e la rivolta alla mafia prima proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i comportamenti e il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura opposizione all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi nelle varie stanze dei bottoni di una classe dirigente sempre più corrotta. Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare che è proprio la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli atti sì: le
  • 9. 9 espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i commissariamenti mai osati prima di alcune Confindustrie locali (do you remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e rivisti per renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di rinnovamento nelle associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle frutto di comparaggio?), l’obbligo di white list negli appalti pubblici, le zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province palermitane e nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di legalità per le imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il sostegno a quella magistratura che finalmente ha deciso di usare il lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei processi per mafia e la durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei centri di potere massonico deviato/mafioso che erano le aree di sviluppo industriale. Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare le azioni di Montante per il fatto che quando aveva 17 anni un suo testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì, da incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà poi suicida in carcere nel 1992. Chi è senza peccato, scagli il primo testimone. 4) C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle presunte dichiarazioni (da riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti (1, 5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo nella inutile (finora) Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’ perché il movimento antimafia si è sempre spaccato su tutto in Sicilia e dunque è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’ perché chi troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a Roma ormai lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre si giocava (ma si gioca tuttora) la partita per occupare la poltrona di capo della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti troppo potenti in tutti i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale, quando non sono d’accordo). Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente, riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una coincidenza. Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area di sviluppo industriale di Caltanissetta prestava lavoro. Bene. Leggete quel che denunciarono il 5 giugno 2014 anche (e sottolineo anche) in Commissione parlamentare antimafia Montante e Ivanhoe Lo Bello (vicepresidente nazionale di Confindustria) a proposito delle Asi siciliane e non solo: «…ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che riguarda – voglio portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di presenza capillare e diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei consorzi Asi, oggi Irsap, è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti soggetti con minacce significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della Commissione antimafia. Mi riservo anche di fare arrivare alla Commissione antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo industriale, tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema mafioso» (Lo Bello). «Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio Asi si conosceva, ma non era emerso.… …Ha parlato il mio collega dei consorzi Asi, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi, come le indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un’anomalia tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano cose pazzesche. Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale, presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag. 17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri
  • 10. 10 luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì. Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente appaltante in contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del consorzio Asi c’erano un presidente, un direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei consorzi ASI c’erano insediate anche 30 aziende e il consiglio d’ammissione dello stesso consorzio era di 70 unità. In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un totale di 800 persone, con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato modello nazionale virtuoso. In realtà, lo ha fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800 persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato. Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree industriali: dei condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un’azienda in un’area a destinazione industriale e si chiede l’autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate. I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni con la mafia. Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo, naturalmente, sempre della Sicilia. L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi procuratori hanno sentito l’esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica. Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera. Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie. Queste sono le cose più grosse, poi ce sono si minori. È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare i nervi. Oggi quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato. Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un’associazione antiracket, ma che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o la sequestra la mafia o ti ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale, presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora forse aspettare» (Montante). 5) Il 24 gennaio 2015 il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, in apertura di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che impartiscono ordini dal carcere e che continuano a mantenere e ad esercitare il loro antico potere. Il periodo preso in esame, è stato caratterizzato da intimidazioni, minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati, funzionari pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo dell’antimafia e della lotta all’illegalità. Si tratta di segnali che sembrano manifestare un parziale cambiamento della strategia fin qui perseguita del cosiddetto “inabissamento” a favore della scelta di una maggiore visibilità anche
  • 11. 11 mediatica dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di contrasto che tuttora è condotta dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni protagonisti di un’imprenditoria libera e illuminata. In tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap». La domanda sorge spontanea: è impazzito il procuratore generale che parla di «imprenditoria libera e illuminata…di intimidazioni, minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi subdoli e discrediti mediatici» in corso nei confronti anche dei vertici confindustriali nisseni e siciliani oppure i pentiti? Non dico tanto ma se avessi ricevuto io la soffiata sulle presunte indagini su Montante (a quando Lo Bello?) questa domanda me la sarei fatta e quantomeno avrei tenuto acceso il falò del dubbio. 6) Già perché, guardate voi come è corta la memoria, il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una riunione straordinaria del Comitato nazionale per l’ordine pubblico per fronteggiare il rischio di nuovi attentati di cui nessuno, i questi giorni, si è ricordato. Senz’altro le menti raffinatissime hanno sperato nell’oblio. Mai come in quei mesi, le speranze di cambiamento, descritte sui media di tutto il mondo dopo la decisione – di Confindustria Sicilia prima e Confindustria nazionale poi – di mettere all’angolo gli imprenditori che non denunciavano pizzo e mafie, apparivano lontane, sotto assedio e a rischio. «A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si sono ribellati al racket». 7) Ma attenzione ora ad un’altra data: il 17 settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme (Siena) mise sul proprio sito istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi di mafia del ’92 che si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle Terme e passato sotto drammatico silenzio a livello nazionale. Anch’esso passato nel dimenticatoio della stampa e dalla speranza di oblio delle menti raffinatissime. «È in corso una campagna di delegittimazione da parte di centri di poteri occulti – dichiarò in quell’occasione il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari – che mirano a screditare chi in Sicilia combatte con i fatti malaffare e mafia. Ci sono centri di potere, collegati sicuramente con le organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi mezzi di comunicazione come blog, social network o fantomatici giornali online e gettano sospetti e fango su chi l’antimafia la fa davvero, ovvero con i fatti. Hanno avviato una campagna di delegittimazione, oltre a proseguire con gli avvertimenti. Continuano ad arrivare buste con proiettili, croci ed altri messaggi inquietanti». 8) Dunque eravamo a settembre 2013 e Lari, vale a dire il capo della Procura che ora con quella di Catania starebbe indagando su Montante, un anno e mezzo fa parlava di centri di potere che ordiscono campagne di delegittimazione e discriminazione utilizzando ogni mezzo possibile e immaginabile. Certo, non c’erano nomi e cognomi maLari, un mese dopo quelle frasi, a ottobre, sarà alla riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, con un ministro dell’Interno che invece fece i nomi di coloro che si erano ribellati al racket, a partire (i nomi li ha fatti Alfano, non io o voi) da Lo Bello eMontante. E poche settimane fa, un procuratore generale, Cardinale, metterà in fila gli avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora quattro? Di questo incontro a Chianciano Terme, a parte le cronache locali toscane e siciliane, la grande stampa si disinteressò, perché un annuncio di morte non è una notizia. Quelle che sgorgano dalle menti raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno – si. Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla.
  • 12. 12 Tifo, come sempre, per la Giustizia e spero, nel nome dell’Italia onesta nella quale senza se e senza ma mi riconosco, di sapere prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno. Ne usciranno rafforzati. r.galullo@ilsole24ore.com http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/13/antonello-montante-battaglie-ignorate-denunce-dimenticate-di-ministri-e-magistrati-e-parole-calate-dei-pentiti/ A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE http://tutelaariaregionesicilia.blogspot.it/2015/02/blog-post_17.html CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE" Giulio Ambrosetti Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei, privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità? Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia. E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a illustrarla. In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un funzionario e non di un dirigente.
  • 13. 13 Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato di affari. E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte civile? E’ Cannova non sa nulla di questa storia? Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano. In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’ Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti. Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno. Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia. Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome. Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura? Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica!
  • 14. 14 Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI , affidati a soggetti dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla. Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della legalità. La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano. Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa amministrazione regionale! Entrambi in palese conflitto di interessi. Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia. Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro (€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( SENT. N. 401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html ) Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché
  • 15. 15 sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro). Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili. Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente. Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di un’irregolarità ai danni di se stessa. Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di rappresentare! L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata. Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo di privati. Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società
  • 16. 16 aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta… Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà. Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina l’ambiente. Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita. Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione europea. La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’… Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari. http://www.lavocedinewyork.com/Ascesa-e-declino-dell-Antimafia-degli-affari-che-non-si- possono-rifiutare-/d/9843/ BATOSTA PER IL GOVERNO CROCETTA DECRETO-ACCREDITAMENTI ANNULLATO Venerdì 30 Gennaio 2015 - 17:27 di Accursio Sabella I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso di decine di enti tra cui l'Anfe e lo Ial. Il decreto dell'assessore Scilabra che stabiliva i requisiti per ottenere i finanziamenti pubblici è illegittimo: doveva essere deliberato dalla giunta e firmato dal governatore. PALERMO - Nuova “bacchettata” del Tar al governo Crocetta. Una bocciatura che rischia di far esplodere il mondo della Formazione. I giudici amministrativi hanno dato ragione a una quarantina tra enti e associazioni che avevano presentato un ricorso contro il decreto che disciplina gli accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. In particolare, nei confronti del passaggio in cui si prevede la revoca dell'accreditamento in caso di presenza di contenziosi tra l'ente e la pubblica amministrazione. Un provvedimento che era apparso fin da subito contrario persino alle regole del
  • 17. 17 buon senso. Ma i giudici amministrativi sono andati oltre. Bocciando, di fatto, l'intero provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e sono stati tolti gli accreditamenti agli enti. E il motivo è quasi grottesco: quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva invece – stando allo Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone clamoroso. Già alla fine del 2013, il Tar aveva accolto la richiesta di sospensiva avanzata da queste associazioni. Con due distinti ricorsi: uno dell'Anfe Sicilia e di altre associazioni e uno di un nutrito gruppo di enti. Enti che, come detto, si erano opposti contro le norme contenute nel decreto assessoriale del 23 luglio 2013. Si tratta, del provvedimento che elenca i nuovi requisiti per l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione dei contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di Formazione. In quell’atto, firmato come detto dall'allora assessore Nelli Scilabra, fra le altre cose, si inibiva l'accreditamento a quegli enti che avessero in corso "liti" e contenziosi con l'amministrazione regionale. Ma un primo e più grave vizio di quel decreto sta proprio nel “firmatario”. Quelle disposizioni, infatti, precisano i giudici “hanno la caratteristica della novità, introducendo condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo status: in altri termini quelle di cui si discute si atteggiano quali vere e proprie norme di carattere secondario rispetto la disciplina primaria”. Veri e propri regolamenti, quindi, che, stando allo Statuto siciliano “devono essere deliberati dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del Decreto Presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di proporre l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel caso di specie – si legge - il decreto oggetto di impugnazione non risulta adottato in conformità al quadro normativo appena richiamato. Conseguentemente lo stesso decreto risulta illegittimo”. I ricorsi accolti sono due: uno è stato proposto da Asef e Anfop, associazioni che raccolgono diversi enti, assistite dal legale Carlo Comandé. "L'aspetto importante - sottolineano dallo studio Comandé - è che è stato annullato l'intero decreto per effetto di una contestazione preliminare fatta da noi: non doveva essere un decreto assessoriale, ma un decreto del presidente della Regione. Il provvedimento doveva dunque passare da un ok del Cga". L'altro è stato proposto dall'Anfe, dallo Ial e da un'altra ventina di enti (tra questi l'Interefop, il Cufti, l'Anapia, l'Ecap di Agrigento) difesi dagli avvocati Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio. Oltre a una causa di illegittimità legata al mancato rispetto delle norme sul soggetto che ha la potestà di emanare regolamenti, poi, ecco che i giudici entrano nel merito di quel passaggio relativo all'eventuale lite pendente (od anche sopravvenuta) che, spiegano i giudici amministrativi, “non è di per sé indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre, - si legge nella sentenza - è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle passate”. Una norma non solo incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche inutile. Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio all'attività amministrativa: “Una simile previsione – si legge infatti - non ha alcuna proiezione sul terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di difesa (principale interesse antagonista a quello dell’amministrazione), di cui all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. Agli enti, stando a quel passaggio indicato dal governatore, in quei giorni, quasi come un segno della “moralizzazione” in atto nel mondo della
  • 18. 18 Formazione, non sarebbe stato garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la conseguenza sarebbe stata quella dell'immediata estromissione dai finanziamenti pubblici. Un ingiustizia. E due errori in uno. La Regione scivola ancora una volta e clamorosamente. Sul terreno insidioso della Formazione siciliana. http://livesicilia.it/2015/01/30/formazione-nuova-batosta-per-il-governo-crocetta-il-tar-annulla-il- decreto-sugli-accreditamenti_592101/ L'INCHIESTA SUL FLOP-DAY, ANNA ROSA CORSELLO: "AI MAGISTRATI HO CONSEGNATO LE CARTE E SPIEGATO TUTTO" GIUSEPPE MESSINA 10 OTTOBRE 2014 FORMAZIONE E LAVORO – La documentazione fornita dall'ex dirigente generale dei dipartimenti formazione e lavoro della regione siciliana e' adesso al vaglio della procura della repubblica di palermo Ci sono volute cinque ore per fare luce sulla gestione dei tirocini formativi finanziati con le risorse del Piano Giovani e sul flop day dello scorso 5 agosto. La dottoressa Anna Rosa Corsello, ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale ha esaminato, davanti ai magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, tutti gli aspetti inerenti l'attuazione del Piano Giovani e, in particolare, i tirocini formativi 'appaltati' senza gara ad Italia Lavoro, la società del Ministero del lavoro che in Sicilia sembra aver trovato l' 'America'. Nel lunghissimo interrogatorio di oggi, i magistrati hanno focalizzato l'attenzione su alcuni aspetti della vicenda che la dottoressa Corsello ha puntualmente spiegato nei minimi particolari, supportata dall'ampia documentazione depositata. Dall'affidamento diretto alle ragioni della scelta di Italia lavoro e delle altre società esterne alla Regione: Formez, Ett e Sviluppo Italia Sicilia. Atti amministrativi effettuati dall'Amministrazione regionale sulla base di un'apposita delibera adottata dalla Giunta regionale di Rosario Crocetta. Inoltre, l'ex dirigente generale ha chiarito ai magistrati i problemi generati dall'utilizzo del sistema informatico che, inceppatosi lo scorso 5 agosto, ha estromesso dalla candidatura e dall'incrocio con le aziende decine di migliaia di giovani. In particolare, la dottoressa Corsello si è soffermata sugli affidamenti diretti inerenti al sistema informatico Silav creato per gestire le adesioni dei giovani entro i 25 anni al Piano della Garanzia Giovani Sicilia e che hanno riguardato il collegamento con il sistema dei Centri per l'impiego. A tal riguardo, la relazione tra i tirocini e i Centri per l'impiego è strato oggetto di confronto nel corso del citato interrogatorio. Lo strumento del tirocinio formativo, lo ricordiamo, è destinato ai giovani tra i 18 ed e 35 anni che possono usufruire di un periodo di lavoro presso le aziende che ne fanno richiesta, percependo una somma pari a 500 euro al mese per complessivi 6 mesi. All'azienda è riconosciuto un rimborso di 250 euro al mese al quale aggiungere un BONUS finale nel caso di assunzione a tempo determinato che aumenta se il contratto è subordinato. Sono 2000 i tirocini messi a bando in Sicilia non ancora assegnati per l'insipienza del Governo regionale. Anche per questo - e non solo per aver lasciato senza stipendio oltre 8 mila lavoratori della Formazione professionale - l'assessore Scilabra sarà oggetto di una mozione di censura da parte dell'Ars. Il flop-day dello scorso 5 agosto ha paralizzato l'attività amministrativa. L'Amministrazione regionale sta ancora valutando se validare il click-day dello scorso 5 agosto e aprire una nuova finestra per garantire l'accesso ai giovani.
  • 19. 19 Dalle ultime notizie, pare che 'appatteranno le carte' assegnando i mille e 600 tirocini ai 'fortunati' che sono riusciti a collegarsi al discusso sito, in barba ad altre decine di migliaia di giovani che non sono riusciti a collegarsi. Così avrebbero deciso i soliti Azzeccagarbugli. Tornando all'interrogatorio, in una nota pervenuta in redazione, Salvatore Modica, uno dei legali della dottoressa Anna Rosa Corsello riferisce che l'interrogatorio, richiesto dall'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro Formazione professionale si è svolto in un clima di assoluta serenità e di massima collaborazione, senza che venissero mosse specifiche accuse. La dottoressa Corsello, prosegue la nota, ha fornito ampie e dettagliate spiegazioni in ordine agli articolati passaggi tecnici che connotano le vicende oggetto di indagine, inchiesta condotta da magistrati attenti e rigorosi sui quali l'ex dirigente generale ripone massima stima e fiducia farà il proprio corso. "Ho avuto ieri pomeriggio alle 15,30 l'incontro da me richiesto e mi sono presentata accompagnata dai miei legali - racconta al giornale la dottoressa Corsello -. L'incontro si è svolto all'insegna della massima collaborazione e cordialità - aggiunge - ho fornito i chiarimenti per i quali avevo chiesto di essere sentita ed ho depositato gli atti inerenti la procedura amministrativa". "Nulla mi è stato contestato o addebitato - ci dice l'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale - e non ho mosso accuse nei confronti di alcuno, limitandomi a spiegare gli atti che producevo". "Ci sono volute cinque per consentire ai magistrati di verbalizzare i chiarimenti - sottolinea l'ex dirigente generale dei dipartimenti Formazione e Lavoro - esclusivamente inerenti le procedure amministrative che hanno riguardato il mio operato". "Sono serena - conclude la dottoressa Corsello - e mi rimetto alle valutazioni dei magistrati che mi hanno seguita con molta attenzione". http://palermo.meridionews.it/articolo/28627/linchiesta-sul-flop-day-anna-rosa-corsello-ai- magistrati-ho-consegnato-le-carte-e-spiegato-tutto/ L'AMARO/ LUMIA COME SCHOPENHAUER: IL MONDO È COME LO VEDI BRASIL 24 SETTEMBRE 2013 POLITICA – Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio? il dubbio irrompe all'improvviso. A generarlo sono le parole pronunciate da beppe lumia, senatore del pd a roma, promotore de il megafono in sicilia, nonché regista del governo crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di confindustria sicilia, nel corso della direzione regionale del pd, ancora in corso al san paolo palace di palermo. Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? Non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio? Il dubbio irrompe all'improvviso. A generarlo sono le parole pronunciate da Beppe Lumia, Senatore del Pd a Roma, promotore de il Megafono in Sicilia, nonché regista del Governo Crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di Confindustria Sicilia, nel corso della direzione regionale del Pd, ancora in corso al San Paolo Palace di Palermo. Il Senatore, con la sua capacità oratoria, ha ricordato a tutti un grandissimo filosofo: Arthur Schopenhauer e la sua opera somma: "Il mondo come volontà e rappresentazione". Di che si tratta? Detto in maniera molto rozza (non abbiamo la saggezza degli esponenti del Megafono), in questo capolavoro dell'intelletto umano, il filosofo tedesco sostiene che ognuno di noi percepisce la realtà che vuole. E, in effetti, Lumia, nel suo intervento parla di cose che, evidentemente, percepisce solo lui:
  • 20. 20 "Questo e' un partito che si isola dalla stampa nazionale e mondiale, che vede con simpatia un Presidente per la prima volta davvero in grado di rompere col passato. I cittadini siciliani, i giornali, l'opinione pubblica, la classe dirigente nazionale del partito vedono il presidente Crocetta come una grande risorsa"ha detto dinnanzi ad una platea inferocita che ha votato il documento del segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, che propone l'abbandono della Giunta Crocetta. Ma che giornali legge Lumia? Di quale opinione pubblica parla? E, soprattutto, dove vive? In Sicilia, a quanto ci risulta, si parla di un Governo che si era presentato come rivoluzionario, e che invece si è piegato ai diktati di quattro affaristi, peraltro non eletti, e si è inchinato dinnanzi a quelli degli apparati ministeriali romani legati alle oligarchie finanziarie dell'Ue. Altro che popolo Siciliano... Forse, il Senatore dal doppio partito, non ha letto la seconda parte dell'opera del filosofo tedesco. Dove spiega che vero è che la realtà fenomenica è come c'è la rappresentiamo ma che tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il velo di Maya di cui parla la filosofia indiana, alla quale Schopenhauer spesso si rifà. Il 21 Settembre scorso, ricorreva l'anniversario della morte del filosofo tedesco, datata 1860. Non è da escludere che il suo spirito stia vagando proprio in questi giorni nell'Universo, e che magari, si è fermato anche al San Paolo Palace hotel. Ma solo per pochi secondi. www.glialtrionline.it/2012/03/05/il-nuovismo-e-le-sue-lobby-in-sicilia-vince-il- partito-pro-lombardo/ 12 luglio 2013 - 20:29 Nuova puntata sul gruppo di Potere Crocetta-Lumia-Lo Bello-Montante che domina in Sicilia. Nel silenzio della stampa. E mentre Fontanarossa, in mano a Confindustria, rischia di essere svenduta a imprenditori amici, la zona industriale di Catania, retta sempre da Confindustria, va in malora. Nella giunta Bianco, è stato Giuseppe Lumia a convincere l’ing. Luigi Bosco, ad accettare l’incarico assessoriale in giunta. Bosco, si è notato subito, ha differenze di vedute con il sindaco su Corso dei Martiri, una megaoperazione immobiliare al centro di Catania, che potrebbe cambiare il volto della città per i prossimi decenni. Senza dimenticare l’Irsap che significa zone industriali, uno dei numerosi obiettivi nel mirino della «lobby dei quattro» che continua, grazie al decisivo ruolo del governatore di Sicilia, a tessere le fila di un’occupazione militare di posti e luoghi determinanti per le sorti dell’Isola, di Marco Benanti PENTITI CONTRO LEADER DI CONFINDUSTRIA: MONTANTE INDAGATO PER MAFIA A suo carico, secondo il quotidiano la Repubblica, vi sarebbero un’inchiesta della procura di Caltanissetta e una dell’ufficio inquirente di Catania. Originario di Serradifalco, l’imprenditore e’ titolare dell’omonima fabbrica di biciclette fondata negli anni ’20 del secolo scorso, e’ presidente della Camera di Commercio nissena e il 20 gennaio scorso è stato designato – su proposta del ministero dell’Interno – componente dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati di Giuseppe Pipitone È il delegato per la Legalità di Confindustria, e ha guidato gli imprenditori siciliani nella rivoluzione contro il racket e contro Costa Nostra. Risulta però coinvolto anche in un’indagine di mafia della procura di Caltanissetta. Un vero e proprio paradosso, quello di Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, che, secondo l’edizione odierna di Repubblica,sarebbe sotto inchiesta per reati di mafia da parte della Procura nissena. Un’inchiesta top secret quella su Montante, indicato pochi giorni fa dal ministero dell’Interno come componente dell’Agenzia dei beni confiscati, che gestisce le proprietà immobiliari confiscati ai boss di Cosa Nostra.
  • 21. 21 A suo carico, sempre secondo il quotidiano diretto da Ezio Mauro, ci sarebbero le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Uno è Salvatore Dario Di Francesco, mafioso di Serradifalco, lo stesso paese di Montante. Arrestato un anno fa dalla Squadra Mobile , Di Francesco ha iniziato a raccontare di appalti pilotati nella zona e in particolare al Consorzio Asi, l’area di sviluppo industriale, dal ’99 al 2004. Di Francesco è stato definito ‘’il collettore tra esponenti di Cosa nostra e i colletti bianchi della provincia’’. Il pentito è “compare” del mafioso di Serradifalco Vincenzo Arnone (il padre di quest’ultimo, Paolino Arnone era un boss di Cosa nostra e si suicidò nel carcere nisseno di Malaspina nell’autunno del ’92 dopo una retata), che è stato compare di nozze di Montante. Una notizia già resa pubblica lo scorso anno dalla rivista I Siciliani Giovani: in rete venne diffusa una foto di Montante insieme a Vincenzo Arnone nella sede di Assindustria nissena, scattata negli anni Ottanta, ma anche il certificato di nozze di un giovanissimo Montante – aveva solo 17 anni – insieme ai quattro testimoni. Due erano proprio Paolino e Vincenzo Arnone. Anche queste lontane conoscenze, a quanto pare, sono confluite nell’indagine, rappresentata soprattutto dalle dichiarazioni del pentito Di Francesco. Il leader di Confindustria ha spiegato che le sue frequentazioni con Arnone, altro non erano che legami dovuti alla comune origine paesana legata a Serradifalco. È dalla piccola cittadina in provincia di Caltanissetta che parte la scalata imprenditoriale dei Montante, attivi già dagli anni venti con una fabbrica di biciclette. Un marchio storico rilanciato da Antonello Montante, che è anche fondatore della Msa, Mediterr Shock Absorbers spa, un’azienda di ammortizzatori per veicoli industriali con sedi in tutto il mondo. Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi anche in Confindustria: nel 2008, insieme al suo predecessore Ivan Lo Bello, è stato tra gli artefici del codice etico e della svolta anti racket degli industriali siciliani. Un “nuovo corso” che molti hanno definito come la “rivoluzione antimafia” dell’Isola, dato che parallelamente alle denunce contro il pizzo, gli industriali emarginarono alcuni ex leader di Confindustria considerati vicini ai clan: primo tra tutti Pietro Di Vincenzo, condannato in via definitiva a nove anni per estorsione. “No comment, altro non posso aggiungere”. E’ quanto si è limitato a dire all’Adnkronos il Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, interpellato sull’inchiesta per mafia a carico del Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante. L’industriale sotto indagine è considerato vicino a molti magistrati delle procure siciliane che in questi ultimi anni hanno creduto alla ‘’rivolta antimafia’’ dell’imprenditoria siciliana, e la sua ‘’cordata’’ ha avuto un ruolo importante nell’elezione di Rosario Crocetta a Palazzo d’Orleans. Proprio per questo l’indagine a suo carico suscita un notevole scalpore negli ambienti politici e finanziari dell’Isola. Ora che alcuni pentiti parlano delle sue ‘’pericolose frequentazioni’’, come scrive La Repubblica, i casi sono due: o qualcuno ha voluto ordire una trama per infangare il simbolo di una Sicilia che vuole cambiare, oppure è arrivato il momento di riflettere sui possibili ‘’travestimenti dell’Antimafia’’. http://www.loraquotidiano.it/2015/02/09/pentiti-contro-leader-di-confindustria- montante-indagato-per-mafia_24680/ NICOLÒ MARINO: LA MIA LOTTA CONTRO L’AFFAIRE “MONNEZZA” Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto. Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico: “Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”. E Crocetta? “Cambiò discorso”. Ma perchè
  • 22. 22 l’ha nominata assessore? “Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi” di Luciano Mirone 11 novembre 2014 Dopo sette mesi dal suo siluramento punta il dito contro il governatore Rosario Crocetta, contro i vertici di Confindustria Sicilia – ovvero il vice presidente Giuseppe Catanzaro e il presidente Antonello Montante –, contro il vice presidente di Confindustria nazionale Ivan Lo Bello, contro il senatore del Pd Giuseppe Lumia, contro alcuni funzionari regionali che avrebbero “firmato atti palesemente illegittimi”. Tante le accuse: dal rilascio delle autorizzazioni alle “manovre messe in atto per evitare la realizzazione delle piattaforme pubbliche per favorire le discariche private, specie quella di Siculiana (Agrigento), gestita dal vice presidente di Confindustria Sicilia”. Detto e sottoscritto da Nicolò Marino, ex assessore del Governo Crocetta con delega ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia, dal 12 dicembre 2012 al 14 aprile scorso. Oggi Marino rompe un lungo silenzio e in questa intervista spiega molti retroscena legati allo scandalo della spazzatura nell’isola. “Non sappiamo cosa c’è dentro le nostre discariche e nel nostro sottosuolo, potrebbero anche esserci rifiuti pericolosi: in questi anni non è stato controllato nulla né dall’Arpa, né dalle Province. Un affare gigantesco come questo non poteva lasciare indifferente la criminalità organizzata, che a Mazzarrà Sant’Andrea, per esempio, ha scaricato l’immondizia della Campania”. È un fiume in piena l’ex magistrato. “Non voglio che passi il messaggio (come il presidente Crocetta ha cercato di fare anche in questi giorni) di essermi occupato, durante il mio mandato, solo della discarica di Siculiana per un pregiudizio nei confronti di Giuseppe Catanzaro, trascurando quelle di Mazzarrà Sant’Andrea (nei giorni scorsi sottoposta a sequestro preventivo) e di Motta Sant’Anastasia (anche questa formalmente chiusa)”. Un’accusa che Marino respinge al mittente proprio nei giorni in cui – con le inchieste della magistratura e della Commissione nazionale antimafia – i nodi dell’“affaire spazzatura” stanno venendo al pettine. “La verità – dice Marino – è che mi sono occupato a trecentosessanta gradi del ciclo dei rifiuti, cercando delle soluzioni finalizzate al risparmio e al bene comune”. A difendere l’ex assessore scendono in campo i sindaci di Furnari, Mario Foti, e di Misterbianco, Nino Di Guardo, che da anni lottano per la chiusura degli impianti di Mazzarrà e di Motta: “Crocetta – dichiarano all’unisono – ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di trasparenza”. “Va ricordato al presidente Crocetta – afferma Marino – che una delle più grosse autorizzazioni rilasciate (3 milioni di metri cubi di volume) è stata concessa nel 2009 a favore della discarica del vice presidente di Confindustria Sicilia”. E poi: “Catanzaro è il primo imprenditore dell’isola a sferrare l’attacco più grave al governo Crocetta. Quando? Quando ottenemmo il decreto legge dal governo Monti per l’emergenza rifiuti. Al momento della conversione in legge, Catanzaro scrive, in qualità di vice presidente di Confindustria Sicilia, al presidente della Commissione ambiente del Senato, Marinello, sostenendo che non bisognava convertire in legge la parte di rifiuti relativa all’impiantistica, cioè alle discariche, in quanto le esperienze del passato avevano dimostrato che l’emergenza era stata la
  • 23. 23 breccia tramite la quale erano entrati gli interessi mafiosi. Il problema è che Catanzaro aveva avuto un’autorizzazione illegittima, e si era inserito nella gestione della discarica di Siculiana approfittando di quell’emergenza rifiuti che lui stesso aveva stigmatizzato. In pratica Catanzaro ha sferrato un attacco al Governo Crocetta, ma è stato protetto dallo stesso Crocetta con dichiarazioni pubbliche anche a mio danno”. Perché Crocetta difende Catanzaro e attacca Marino? “Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana. Il governatore non vive bene la presenza di personaggi che oscurano la sua immagine. Mantenendo la mia autonomia l’ho messo in crisi”. Perché, dottor Marino, lei accusa anche il presidente di Confindustria? “Mentre sono ancora assessore mi chiama il senatore del Pd Beppe Lumia, e mi dice: ‘ Quando vieni a Palermo?’. ‘Domani’. ‘Assolutamente no, ci dobbiamo vedere stasera’. ‘Beppe, sono a Catania, non posso’. ‘Allora veniamo noi: io, Antonello Montante e Ivan lo Bello’. L’incontro avviene all’hotel Excelsior di Catania. Montante esordisce così: ‘Se vuoi fare la guerra a colpi di dossier io sono pronto, la devi smettere di mandare in giro Ferdinando Buceti (mio capo di Gabinetto ed ex vice Questore della Polizia di Stato, nonché appartenente alla Dia di Caltanissetta) ad acquisire informazioni sul mio conto’. Gli rispondo: ‘Sei veramente fuori di testa. Non ho bisogno di mandare persone in giro per saperne di più su di te, sono sufficientemente informato. Non ti permettere di fare insinuazioni di questo tipo’. Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto. Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico: ‘Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”. E Crocetta? “Cambiò discorso”. Cosa avvenne a seguito della sua inchiesta? “Il direttore generale del dipartimento Territorio e Ambiente, dott. Gaetano Gullo, scrisse che la situazione di Siculiana e di Motta era regolare. La cosa assurda è che questo signore, che ritengo assolutamente incapace e inadeguato per svolgere le funzioni conferitegli, rimanga ancora al suo posto nonostante le mie sollecitazioni a Crocetta di sollevarlo dall’incarico”. Qual è il ruolo del senatore Lumia? “Ha sempre sponsorizzato Catanzaro, anzi, direi che Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”. Perché Crocetta la nomina assessore? “Me lo chiedo anch’io. Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero
  • 24. 24 in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi”. Un’operazione di facciata? “Alla luce di questi fatti, direi proprio di sì”. http://www.loraquotidiano.it/2014/11/11/nicolo-marino-la-mia-lotta-contro-l-affaire- monnezza_12086/ 12 novembre 2014 RIFIUTI, MONTANTE E LO BELLO QUERELANO NICOLÒ MARINO Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione industriale “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dottor Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia di Luciano Mirone È guerra aperta fra i vertici di Confindustria e l’ex assessore ai Rifiuti del Governo Crocetta, Nicolò Marino. Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione industriale, rispettivamente Ivan Lo Bello e Antonello Montante, “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dott. Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia, “rinvenendosi nelle stesse contenuti gravemente diffamatori e minacciosi, oltre che riferimenti a fatti e circostanze fantasiosamente ricostruite e completamente destituite di ogni fondamento”. La nota diffusa dall’ufficio stampa di Confindustria Sicilia fa riferimento a un’intervista apparsa nei due quotidiani, in cui l’ex assessore regionale ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia accusava soprattutto il vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro di essere stato destinatario, secondo l’ex magistrato, “di una serie di autorizzazioni illegittime per la discarica di Siculiana (3 milioni di metri cubi di volume), che lo stesso Catanzaro gestisce”. A parere di Marino, sarebbero state messe in atto delle “vere e proprie manovre per evitare la realizzazione delle piattaforme pubbliche (specie quella prevista a Gela) per favorire la discarica di Siculiana, che perderebbe buona parte del suo fatturato attuale”. Marino nell’intervista tira in ballo il governatore della Sicilia Rosario Crocetta, “protettore di Catanzaro”, ma anche il senatore del Pd Beppe Lumia (“ha sempre sponsorizzato Catanzaro”), nonché i vertici di Confindustria Lo Bello e Montante, sostenendo che “Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”. Motivo? “Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana”. Un’intervista durissima quella rilasciata ieri da Marino, dopo sette mesi di “guerra fredda” fra lui e il presidente della Regione, dopo il siluramento subito dall’ex magistrato da uno degli assessorati più delicati di Palazzo d’Orleans. A difendere l’operato dell’ex assessore ai Rifiuti, in questi giorni sono scesi in campo il sindaco di Misterbianco, Nino Di Guardo, e di Furnari, Mario Foti, che da anni lottano per la chiusura delle discariche di Motta Sant’Anastasia e di Mazzarrà Sant’Andrea: “Crocetta ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di trasparenza”.