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Prof. Dott. Riccardo Simoni
Medico Chirurgo
Psichiatra
Psicoterapeuta
Specialista in Cefalea e Emicrania
Professore a Contratto Università degli Studi di FIRENZE
Professore a Contratto Università degli Studi di CHIETI

Socio Accademia Italiana di Posturologia A.I.P.
Che cos’è la Psicologia?
• La psicologia è:
Lo studio scientifico dell'attività psichica individuale e sociale
in rapporto all'ambiente in cui essa si manifesta;
L’oggetto di studio quindi sono sia il comportamento o
linguaggio che è espressa dalla la personalità (intesa come
unità psico-fisica). OGGETTO della Psicologia. sono i
processi psichici (sensazioni, percezioni, rappresentazioni,
pensiero, sentimento...).
• La Psicologia studia anche la formazione delle proprietà
psichiche dell'uomo (esigenze, interessi, attitudini,
capacità, abitudini, temperamento, carattere,
personalità...). Ciò in quanto gli aspetti somato-psichici
sono considerati inscindibili.
Che cos’è la Psicologia?
• Etimologia
Il termine psicologia ha origini nel greco antico :
essa infatti deriva dalla parola psyché (ψυχή),
che significa spirito, anima e da logos (λόγος),
che significa discorso, parola.
Da qui si evince che la psicologia è lo studio dello
spirito e dell'animo umano e ha anche la variante
di "scienza della mente". Questo termine sarebbe
stato utilizzato per la prima volta nel lontano
1520 da Filippo Melantone.
Che cos’è la Psicologia?
L'attività psichica è sempre un riflesso della realtà
oggettiva (ambientale, cioè naturale e sociale), ma è
anche condizione indispensabile dell'azione del
soggetto sulla stessa realtà oggettiva. Ovvero,
attraverso l'azione psichica l'uomo può trasformare la
realtà e, trasformandola, trasforma
contemporaneamente se stesso. Ad es. un ragazzo può
diventare tossicodipendente se gli amici già lo sono, se
la sua famiglia è in crisi, se la scuola o la società non lo
soddisfano ("coscienza passiva"), ma anche in presenza
di questa "dipendenza" (frutto di un "disagio") egli può
acquisire, se aiutato o autonomamente, la
consapevolezza di come le cose (il "disagio") possono
cambiare e, cominciando a cambiarle, egli può superare
col tempo la propria "dipendenza" ("coscienza attiva").
Naturalmente si può parlare di "azione dell'uomo"
significativa quando essa è cosciente. Al di fuori
della riflessione cosciente non può esserci
nemmeno l'attività specificamente umana.
La presenza della coscienza nell'attività umana è
ciò che distingue la psicologia dalla biologia e
dalla fisiologia. Si parla quindi di coscienza attiva,
che si esprime nelle scienze, nelle tecniche e
nelle arti.
(A ciò -come noto- si oppone la psicanalisi, specie
quella freudiana, che attribuisce all'inconscio un
valore superiore a quello della coscienza).
Che cos’è la Psicologia?
• In sintesi: compito della Psicologia è la conoscenza
delle leggi dell'attività psichica, dello sviluppo della
coscienza dell'uomo, della formazione delle qualità
psichiche dell'individuo.
• Fino al 1870-80 la Psicologia è esistita come unica
disciplina priva di sezioni ben definite; in seguito si
sono formate le seguenti sezioni:
• p. generale,
• p. dell'infanzia o evolutiva,
• p. pedagogica, p. del lavoro, p. dell'arte, p. dello sport,
p. delle anomalie (sordomuti, ecc.), p. patologica
(nevrosi/psicosi), p. spaziale, ecc.
Che cos’è la Psicologia GENERALE?
•

•

•

La psicologia generale, spesso anche chiamata psicologia sperimentale,
rappresenta la corrente principale della ricerca scientifica sulle funzioni
psicologiche di base, e si prefigge di studiare con metodologia
sperimentale la mente e il comportamento.
Utilizzando tuttora metodiche classiche della psicologia sperimentale,
come le metodologie di derivazione comportamentista, la misurazione
dei tempi di reazione o le tecniche psicometriche, la psicologia generale
si focalizza notevolmente sui processi cognitivi, e quindi rappresenta il
contesto epistemico principale per gli studi di psicologia cognitiva di tipo
sperimentale.
La psicologia generale è inoltre in parte influenzata dai progressi delle
neuroscienze, e spesso la ricerca in questo settore non è disgiunta
dall'utilizzo di metodiche non originariamente psicologiche, come le
tecniche elettrofisiologiche (ad esempio gli ERPs, nello studio dei processi
cognitivi), o le tecniche di neuroimmagine, sempre allo stesso scopo.
Queste ultime però sono utilizzate maggiormente in neuropsicologia.
Una recente tendenza della psicologia sperimentale vede la diffusione
della simulazione dei processi cognitivi al computer.
Che cos’è la Psicologia?
• La psicologia generale non è assolutamente una
sorta di "riassunto" di tutti i settori della
psicologia. Essa rappresenta invece un ben
specifico ambito di studio, con una specifica
metodologia ed un quadro epistemologico di
riferimento; si deve quindi distinguere la
"psicologia generale" dalla "psicologia in
generale".
• I classici manuali di psicologia generale trattano
quindi gli argomenti specifici di tale settore di
ricerca, e non sono solitamente "trattazioni
esaustive" di tutti gli ambiti psicologici.
Un altro criterio di classificazione delle varie psicologie è
il seguente:
• A) Psicologia generale (comprende quella umana e
comparata, oggi ulteriormente suddivisa in psicologia
"dell'età evolutiva", "dell'età media" e "dell'età
senile"). Gli argomenti della psicologia generale sono:
percezione, apprendimento, memoria, linguaggio,
pensiero, motivazione, personalità, comportamento
sociale, emotività, affettività.
B) Psicologia differenziale (comprende settori quali:
differenze/somiglianze tra individui di diversa età,
sesso, classe sociale, caratteristiche fisiche, ecc.).
C) Psicologia applicata (comprende la psicologia
scolastica, del lavoro, medica, dei mass-media, ecc.).
CHE COS’E’ la Psicologia Clinica

• La psicologia clinica è una delle principali branche
teorico-applicative della psicologia
• La psicologia clinica è una delle principali branche
teorico-applicative della psicologia.
• Comprende lo studio scientifico e le applicazioni della
psicologia in merito alla comprensione, prevenzione ed
intervento nelle problematiche psicologiche e
relazionali individuali, famigliari e gruppali, compresa
la gestione di molte forme di psicopatologia.
• Il termine "clinico" non si esaurisce appunto, come
erroneamente a volte si ritiene, nella pratica
psicoterapeutica. Esso deriva dal greco clinè (letto), e
nella prospettiva medica stava ad indicare la cura
fornita al capezzale del malato.
La Psicologia Clinica
Il termine "clinico" in medicina è diventato
sinonimo di intervento terapeutico e quindi
viene riferito alla patologia: in psicologia il
termine conserva l'originario significato di cura
individuale e viene applicato indipendentemente
da un'eventuale patologia del soggetto. Esso
corrisponde al "prendersi cura di" (to care)
piuttosto che al "curare" (to heal) e quindi è
applicato anche nelle situazioni di normalità, per
migliorare il soggetto. Il doppio significato del
termine, nella medicina rispetto alla psicologia,
ha dato origine a non pochi equivoci sul ruolo
della Psicologia Clinica stessa nelle sue
applicazioni
La Psicologia Clinica

• Oggetto e metodi
• Assetti centrali della sua pratica sono la psicodiagnostica e
l'intervento psicoterapeutico, che ne rappresenta uno
sviluppo specialistico rivolto soprattutto alla presa in carico
delle situazioni ove è presente una psicopatologia
strutturata. In un senso più ampio, l'operato dello psicologo
clinico si rivolge alla prevenzione primaria delle condizioni
di disagio personale e relazionale; all'identificazione
precoce delle problematiche o patologie; al corretto
inquadramento dei fattori psicologici, personologici,
famigliari, relazionali e contestuali che generano e
mantengono il disturbo; alla gestione clinica, tramite
colloqui e tecniche di sostegno psicologico, delle principali
tipologie di difficoltà; all'abilitazione/riabilitazione nelle
problematiche non integralmente risolvibili; al sostegno
all'uscita da una crisi di decisionalità da parte del paziente.
La Psicologia Clinica
• Comprende lo studio scientifico e le
applicazioni della psicologia in merito alla
comprensione, prevenzione ed intervento
nelle problematiche psicologiche e relazionali
individuali, famigliari e gruppali, compresa la
gestione di molte forme di psicopatologia.
La Psicologia Clinica
• La psicologia clinica è caratterizzata, altresì,
non solo dai suoi possibili ambiti di
applicazione, ma anche dall'assunzione di un
particolare vertice esplorativo, e di una
specifica metodologia conoscitiva e
d'intervento. In particolare essa può essere
connotata come scienza idiografica, quindi
volta allo studio di ogni singolo caso nella sua
unicità.
La Psicologia Clinica
• La cornice epistemologica psicologico-clinica
sottolinea:
• La stretta interrelazione individuo-contesto, che vede
l'oggetto d'analisi come incomprensibile senza
considerare la rete relazionale ed ambientale nel quale
è inserito;
• La centralità della relazione tra clinico e consultante;
• L'importanza di un setting adeguato, co-costruito, che
dia la possibilità di attribuire un senso alla relazione;
• Il cambiamento, non più visto esclusivamente come
"cura", ma come sviluppo dell'individuo verso modalità
simbolico-rappresentazionali, e quindi
comportamentali-relazionali, che possano essere più
funzionali al suo contesto di vita.
Breve storia della Psicologia
Breve storia della Psicologia
• Nonostante la psicologia nasca ufficialmente nell'Ottocento,
alcuni dei temi di cui si occupa erano già stati trattati in epoche
precedenti. Ad esempio, Platone ipotizzò che la psiche fosse
divisa in 3 parti. La prima, identificata con il cocchiere di un carro,
era pienamente cosciente e cercava di guidare le altre due parti:
una dipendente dai valori etici e razionali (cavallo bianco) e l'altra
dagli impulsi (il cavallo nero) (Vedi Mito del carro e dell'auriga).
Questa distinzione assomiglia a quella di Io-Super Io-Es poi
elaborata da Freud molti secoli dopo. Ippocrate e Galeno
cercarono invece di trovare delle relazioni tra fenomeni fisici
dell'organismo e fenomeni psichici dell'individuo che, seppur
scientificamente infondate, hanno gettato le basi concettuali per
lo sviluppo della psicofisiologia. Un ultimo esempio può essere
invece lo stretto legame che esiste tra la filosofia atomista greca
e la teoria strutturalista della scuola di Wundt e Titchener di cui si
parlerà in seguito. Tutto ciò permise di intendere la psicologia
come scienza naturale.
Breve storia della Psicologia
Ulteriori sviluppi vennero in seguito ostacolati da alcune concezioni
religiose, secondo le quali i processi della mente riguardano la
natura dell’anima e sono dunque oggetto di indagine teologica. Ma
durante il Seicento, l'empirismo inglese propose un valido oggetto
di studio per la scienza: spiegare come le conoscenze vengono
acquisite e organizzate. Secondo tale teoria infatti, i contenuti
della mente di un individuo non sono innati, ma vengono appresi
attraverso l'esperienza. Nonostante la psicologia moderna abbia
abbandonato l'innatismo, l'empirismo ha avuto come merito di
stimolare l'elaborazione di una teoria sull'apprendimento (in
quanto acquisizione di conoscenze). Esse facevano riferimento
soprattutto all'apprendimento come formazione di associazioni tra
eventi e idee temporalmente contigui (si noti che in caso di idee
simili, in contrasto tra loro, o legate da un rapporto di causazione,
esse tendono ad essere evocate assieme, in momenti quindi
temporalmente contigui, e dunque ad essere associate).
Breve storia della Psicologia
• La fondazione della Psicologia Scientifica
Contemporanea viene fatta risalire al 1878,
allorché Guglielmo Wundt, a Lipsia, istituì un
laboratorio di psicologia sperimentale. Egli infatti
configurava la psicologia come una "scienza di
laboratorio", con specifici problemi e metodi
sperimentali, assai diversi da quelli della
tradizionale psicologia di derivazione filosofica
(connessi generalmente a speculazioni astratte). Il
testo che ha fondato scientificamente questa
disciplina è Psicologia fisiologica (1874). Il primo
Congresso Internazionale di Psicologia, in cui si è
legittimata la scientificità di questa disciplina, è
stato quello di Parigi del 1889.
La nascita della psicologia
•

•

La nascita convenzionale della psicologia è stata fissata al 1879, quando il
fisiologo tedesco Wilhelm Wundt aprì il primo laboratorio di psicologia a Lipsia.
I suoi studi erano legati ai principi dell'empirismo inglese, secondo il quale era
possibile studiare la struttura dei contenuti della mente perché alla nascita la
psiche è paragonabile a una tabula rasa. Quindi la mente è al principio vuota e
si impara a percepire man mano che si fa esperienza del mondo esterno.
Secondo Wundt, le percezioni sono formate da atomi (elementi più semplici)
che si combinano assieme (associazionismo atomico); una sorta cioè di chimica
mentale in cui la percezione di un oggetto è formata da un insieme di
sensazioni differenti che vengono assemblate in seguito per formare il
percetto. L'oggetto dei suoi studi era dunque scoprire sotto quali regole si
combinano le sensazioni. Per fare ciò, egli chiedeva ai propri collaboratori di
scorporare il percetto e cercare di elencare tutte le sensazioni singole che lo
compongono attraverso l'introspezione (cioè l'auto-osservazione dei propri
contenuti mentali). In questa situazione l'osservato e l'osservatore
coincidevano.
Edward Titchener, allievo di Wundt, è considerato il fondatore del
strutturalismo. L'interesse di tale scuola è scoprire la struttura della mente in
modo simile a quello degli studi di Wundt. Gli sperimentatori del
strutturalismo si esercitavano nell'introspezione esperta. Essa consisteva nella
riduzione dei propri processi mentali in atomi, cercando di evitare l'
errore dello stimolo (cioè attribuire ad una percezione complessa lo status di
atomo), similmente a quanto faceva Wundt nei suoi esperimenti.
Breve storia della Psicologia
• Come accennato sopra, alcune delle problematiche della psicologia erano
già state in qualche modo affrontate anche prima dell'Ottocento, ma fu
allora che vennero riunite in un unico campo di studio. In quel periodo il
positivismo aveva influito su molti studi scientifici, attribuendo al
ricercatore il compito di scoprire le leggi che regolano i fenomeni
osservabili. Questo rimase valido finché si ritenne scontato che esistesse un
mondo oggettivo al di fuori dell'osservatore pressoché immutato nel tempo
e a completa disposizione dello sperimentatore per le proprie indagini.
Postulato ciò, i fenomeni che la scienza studiava erano oggettivi, cioè
osservabili da qualunque osservatore messo in certe condizioni, e,
basandosi su leggi naturali, si ripetevano in maniera prevedibile.
Dunque, secondo queste premesse epistemologiche, la psicologia non
poteva essere considerata una scienza a tutti gli effetti, in quanto
assomigliava molto di più alla filosofia sia per metodologia sia per oggetto
di studio. Infatti essa studiava prevalentemente fenomeni non direttamente
osservabili e non prevedibili in maniera certa, che obbediscono a regole
probabilistiche piuttosto che a leggi assolute.
Nel XIX secolo quindi gli studi psicologici si limitarono agli aspetti osservabili su base fisiologica e biologica,
che poi si rivelarono fondamentali per l'evoluzione della psicologia come scienza.
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Scuola tedesca
Il fisico e fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz (1821-94) studiò la velocità di conduzione delle
fibre nervose. Egli scoprì quel processo che viene chiamato arco riflesso. Uno stimolo in una parte periferica
del corpo viaggia nelle fibre nervose afferenti verso il sistema nervoso centrale, dove lo stimolo viene
analizzato e viene elaborata una risposta, che a sua volta verrà trasmessa dalle fibre nervose deferenti verso il
punto in cui la risposta deve essere riprodotta. Questo meccanismo descrive come avvengono risposte
semplici a stimoli, soprattutto sensoriali, producendo un riflesso. Il tempo che intercorre tra stimolo e risposta
si chiama tempo di reazione. Fin dalle origini questo è stato l'unico metodo di misurazione oggettiva a
disposizione della psicologia. Infatti l’attività del sistema nervoso non è direttamente osservabile, ma causa
variazioni in un parametro fisico, cioè il tempo, che è invece osservabile ed oggettivo.
Il medico e fisiologo olandese Franciscus Donders (1818-89) fece un passaggio successivo, intuendo che ci sia
una relazione precisa tra il tempo di reazione e quello che succede all'interno dell'organismo, ovvero che a
tempi di reazione più lunghi corrispondano operazioni più complesse (o, equivalentemente, che diversi compiti
hanno livelli di complessità uguali se hanno tempo di reazione uguale). Da questa ipotesi elaborò un metodo,
chiamato metodo sottrattivo, per misurare in maniera differenziale i tempi di reazione.
Prendiamo ad esempio il caso in cui ad un organismo venga presentato un unico stimolo. Il tempo necessario
per rispondere a tale stimolo venga chiamato TRa. Adesso si immagini che allo stesso organismo vengano
presentati stimoli diversi e venga chiesto di produrre risposte diverse in corrispondenza di ciascuno stimolo. Il
tempo misurato tra lo stimolo e la sua relativa risposta lo si chiami TRb. Nell'ultimo esempio si immagini invece
di somministrare diversi stimoli ma l'organismo deve produrre una risposta solamente ad uno di questi, e si
chiami questo tempo TRc. Donders scoprì che TRa < TRb < TRc e fece le seguenti ipotesi:
–

•

TRb-TRa = tempo necessario per distinguere tra stimoli;

TRc-TRa = tempo necessario per distinguere tra risposte
Scuola riflessologica russa
• Secondo questa scuola, il cui esponente
principale fu Ivan Pavlov, non sono solo le
risposte motorie ad essere basate sul processo
dell'arco riflesso scoperto da Helmholtz, ma
anche i comportamenti più complessi sono
fondamentalmente dei riflessi: a partire da
pochissimi riflessi innati (ad esempio la suzione o
la prensione) si sviluppano tutti i riflessi più
complessi attraverso il fenomeno del
condizionamento. Pavlov studiò dei riflessi
semplici, come la salivazione.
Scuola psicofisica
• Lo sforzo di tale scuola fu quello di studiare le relazioni tra
variazioni nel mondo fisico, e variazioni nel mondo
percepito (che il soggetto descrive). La legge sulla costanza
della soglia differenziale di Weber e Fechner, rappresenta
un caso esemplificativo degli obbiettivi della scuola
psicofisica. Essi scoprirono che per alcuni stimoli la
percezione della differenza di due variabili fisiche
osservabili oggettivamente non corrispondeva alla
variazione assoluta, ma ad una variazione proporzionale
alle quantità interessate; ovvero che a uguali differenze
fisiche non corrispondono uguali differenze percepite, e
quindi che ciò che conta per la percezione non è la
differenza tra le intensità di due fenomeni fisici, ma il
rapporto.
PSICOLOGIA DELLA FORMA
o GESTALT

• In Germania, intorno al 1920, sorse un altro
importante orientamento: la PSICOLOGIA DELLA
FORMA (o GESTALT, che significa "immagine", "forma
globale", "struttura"). Fondatore: Max Wertheimer
(1880-1943). Principio fondamentale della Gestaltpsicologia è la globalità dei processi psichici
(percezioni, memoria, pensieri...) che si avrebbe non
sotto l'influenza di cause esterne, ma in virtù di leggi
interiori presenti in tali processi. Ad es. la percezione
non è il risultato della somma di tante singole
sensazioni, ma un evento immediato che si presenta
all'esperienza soggettiva come un tutto inscindibile
nelle sue parti.
Il Pensiero
Il Pensiero
E’ la facoltà di conoscere e comprendere gli aspetti
generali e universali delle cose, senza dipendere
immediatamente, e di volta in volta, dalle singole cose
e dagli aspetti isolati con cui esse ci appaiono.
Si tratta cioè della capacità di cogliere il reale per
"astrazione". Ad es. con la parola "mela" possono
essere comprese e identificate tutte le mele del
mondo, anche se ogni mela può essere diversa
dall'altra. Inoltre col concetto di "mela" s'intende un
vasto complesso di elementi strettamente integrati:
forma, colore, volume, peso, ecc.
Il Pensiero
Il pensiero è presente in ogni fenomeno cosciente: è
l'attività che percepisce, elabora ricordi, coordina
immagini, astrae, compara, giudica, ragiona.
1).Abbiamo un pensiero percettivo che ci mette in
contatto con gli avvenimenti che accadono in noi e
nel mondo esterno;
2)un pensiero immaginativo che ci rappresenta i dati
percepiti o evocati dal passato;
3)un pensiero associativo che stabilisce un certo
ordine tra i vari fenomeni psichici;
4)un pensiero affettivo che elabora le manifestazioni
della nostra affettività;
5)un pensiero volitivo che presiede ad ogni azione
volontaria.
Il Pensiero
Il pensiero si eleva al di sopra del mondo delle
percezioni per formare schemi generali che
sono i concetti;
esso afferra relazioni e trasforma il materiale
fornito dai ricettori sensoriali in un sistema di
giudizi, attraverso un processo di analisi e
sintesi (ragionamenti).
Il Pensiero
• La formazione dei concetti. Presupposto necessario alla
formazione del ragionamento è il concetto: termine con cui ci
si riferisce ad un simbolo astratto e generale che racchiude
tutte le caratteristiche più rilevanti, comuni a un gruppo
determinato di oggetti o eventi. I concetti si formano perché
il nostro pensiero separa nella realtà quello che è utile o
essenziale da ciò che è superfluo, ovvero le caratteristiche
costanti da quelle variabili. Noi riconosciamo e classifichiamo
gli oggetti sulla base dei concetti. Questo processo di
schematizzazione dei dati percettivi rappresenta una grande
economia di energia e di pensiero. Se dovessimo affrontare
ogni oggetto o situazione come se fossero unici e irripetibili,
saremmo sopraffatti dalla realtà. I due processi fondamentali
per giungere alla formazione di un concetto sono quindi
l'astrazione e la generalizzazione.
Il Pensiero
• Il pensiero come giudizio. Si parla di giudizio esplicito
quando dalla percezione (che di per sé può anche costituire
un giudizio implicito) si passa ad una riflessione cosciente,
espressa verbalmente o per iscritto o in maniera gestuale.
L'attività giudicativa consiste nel riunire due percezioni o
due immagini o due concetti, stabilendo tra loro un
rapporto. Giudicare significa congiungere due termini con
una affermazione, o separarli con una negazione. Ad es. il
viso di una persona incontrata ci fa venire in mente quello
di un'altra persona: questa associazione per somiglianza,
per diventare giudizio, richiede che il pensiero decida la
verità o la falsità dell'asserzione. Il giudizio presume
sempre una qualche certezza, o in positivo o in negativo.
Il Pensiero
• Il pensiero come ragionamento. Quando da uno o più giudizi
ricaviamo la validità di un altro giudizio (l'affermazione di un nuovo
rapporto), noi elaboriamo un ragionamento. Stabilito un punto di
partenza, si cerca di arrivare a un punto di arrivo. Il giudizio di
conclusione scaturisce dalle premesse, considerate come evidenti,
e dai rapporti logici con altri giudizi che si fanno nel corso del
ragionamento. Il passaggio da un giudizio all'altro costituisce il
processo della ragione, che è appunto una serie coordinata di
giudizi in un tutto organico. Dai dati particolari passiamo, con un
procedimento induttivo, ai principi generali e dai principi generali,
con un procedimento deduttivo, passiamo alle conseguenze
particolari; oppure procediamo per somiglianze, ma il
procedimento per analogia non è rigoroso.
Il Pensiero
Il pensiero nell'età evolutiva. Il pensiero si struttura durante l'età
evolutiva, in rapporto alla progressiva maturazione fisica e psichica
dell'individuo.
• Nell'infanzia la vera attività intellettuale non è ancora comparsa: il
pensiero è sorretto da uno schematismo pre-logico, legato ai dati
immediati della percezione. Il bambino inizia a ragionare con la forma
analogica, che risponde al primo bisogno di "prova", cioè con un
procedimento di verosimiglianza che va da un particolare a un altro
particolare, detto "transduttivo" (aldilà della deduzione). Questo
pensiero difetta di analisi, è irreversibile, unidirezionale.
• Il fanciullo invece confronta gli oggetti tra loro e ci ragiona sopra,
nota le caratteristiche comuni e differenti, intravede nuovi rapporti,
pur nei limiti dell'immediato presente.
• L'adolescente supera il ragionamento concreto del fanciullo, basato
unicamente sulle azioni e sulla realtà, e sconfina nel campo del
pensiero puro, della logica formale (aritmetica, matematica,
geometria ecc.), dando così inizio al ragionamento ipoteticodeduttivo, svincolato da ogni dipendenza dal reale.
Il Pensiero
Caratteristiche essenziali del pensiero logico
• Un pensiero sensoriale è concreto, un pensiero intellettuale è astratto. La capacità
di astrazione permette di cogliere l'essenziale di un tutto, di analizzare il tutto
nelle sue parti e di riunirle nell'unità della sintesi. Un pensiero logico ha la capacità
di riflettere sulle proprietà comuni delle cose, di schematizzarle nella struttura del
concetto e di ordinare i concetti in un serie gerarchica, secondo il loro grado di
astrazione. Solo attraverso il pensiero logico il soggetto si rende conto di sé e
rende conto di sé agli altri.
• Da ricordare anche il pensiero intuitivo, che ci permette di cogliere la verità non
col ragionamento, ma con una specie di illuminazione interna, improvvisa,
inconscia. Questo pensiero spesso lo si ritrova (unito al pensiero logico) a capo di
molte scoperte scientifiche, ma soprattutto nel campo artistico e religioso.
• Ovviamente l'articolazione del pensiero presuppone l'uso della parola, sia essa
pensata, parlata, scritta o espressa col linguaggio dei sordomuti. Senza il
linguaggio che socializza i pensieri, non sarebbe possibile pensare, come senza
pensiero sarebbero impossibili il linguaggio interiore ed esteriore. Il pensiero
precede, anzi crea la parola, ma la parola, a sua volta, è creatrice di pensiero,
perché la parola creata torna al pensiero, lo precisa, lo arricchisce, lo sviluppa.
Il Pensiero
Il pensiero produttivo
• Il pensiero produttivo è quella forma di ragionamento che entra in
azione ogni volta che ci troviamo di fronte a una situazione
problematica, possibile di soluzione, ma tale da non presentare
possibilità di soluzioni immediate e da non permettere nemmeno
l'impiego di schemi di comportamento abituali. Tale situazione, se
risolta, porta in genere a una nuova conoscenza.
• Su questa particolare forma di pensiero è da vedere il contributo
offerto dagli studi sulla psicologia animale compiuti da Kohler (uno
dei maggiori esponenti della psicologia della percezione).
• Le sue numerose osservazioni possono essere ricondotte a questo
schema: un animale è affamato e quindi motivato a prendere cibo;
questo non può essere raggiunto direttamente; per farlo l'animale
deve risolvere un piccolo problema (p.es. aggirare la gabbia, utilizzare
delle cassette o dei bastoni). I risultati mostrano che lo scimpanzé
giunge alla soluzione mediante un'improvvisa riorganizzazione del
campo psicologico (ciò soprattutto avviene nel momento in cui, p.es.,
il bastone cambia di significato e diviene da oggetto per giocare a
strumento).
• .
Il Pensiero
• Normalmente le difficoltà che impediscono di ottenere la soluzione
di un determinato problema sono legate alla tendenza propria del
pensiero umano a ricercare dei metodi risolutivi già sperimentati
per problemi analoghi.
• A volte risulta difficile vedere altre proprietà o funzioni in un
oggetto che è sempre stato utilizzato in una determinata maniera
(p.es. una bottiglia che in una situazione d'emergenza può anche
essere vista come "candeliere").
• Quando questa fissità dovuta all'abitudine è tale da precludere con
un certa forza la soluzione dei problemi, si parla di rigidità mentale.
• Tuttavia l'individuo, a differenza dell'animale, può distaccarsi dalla
situazione, mettersi al di fuori della presenza reale degli oggetti, al
fine di cercare la giusta soluzione. In lui si realizza il ragionamento
che è reso possibile in quanto ha raggiunto il pensiero concettuale
Il Pensiero
Il pensiero onirico o pensiero analogico
• Freud è stato il primo ad occuparsi seriamente dei sogni in maniera del
tutto nuova rispetto alle teorie mediche precedenti. Egli riteneva che il
sogno, come il lapsus, doveva essere considerato come un fenomeno
psichico finalizzato a soddisfare un desiderio inconscio attraverso
un'allucinazione visiva che assume il carattere di realtà.
• Il sogno è una forma particolare di pensiero in cui non ci sembra di pensare
bensì di vivere, accettando in buona fede delle allucinazioni.
• I pensieri vengono trasformati in immagini (per lo più visive): le
rappresentazioni delle parole vengono trasposte in rappresentazioni di cose
concordanti, che divengono consce come percezione sensoriale.
• Nel sogno agisce la censura che maschera il materiale inconscio prima che
possa accedere alla coscienza sotto forma di sogno. Se il desiderio rimosso
non ha una sufficiente copertura, il sogno è regolarmente accompagnato da
angoscia, che interrompe il sonno.
• Il pensiero onirico segue una logica diversa dal pensiero vigile, creando
contatti e legami e coincidenze anche quando non esistono o sono irreali. Le
scene visive che costituiscono il sogno rappresentano il contenuto
manifesto, dall'analisi del quale si può risalire al contenuto latente.
La Memoria
La Memoria
S'intende per "memoria" la capacità di conservare e
ricordare le precedenti esperienze.
È la memoria che permette la continuità della vita
interiore, facendo sopravvivere il passato: senza
memoria avremmo solo la percezione del
presente. Come potrebbe, ad es., un telegramma
che ci comunica la morte di una persona cara
avere di per sé la forza sufficiente per
commuoverci? La memoria quindi non è solo una
funzione specifica da educare con l'esercizio, ma
anche una condizione generale di tutta la
struttura psichica dell'essere umano.
La memoria
Memoria/Adattamento. La memoria serve per acquisire
informazioni utilizzabili ai fini di un adattamento sempre
migliore all'ambiente. Questa funzione cognitiva è tanto più
importante quanto più si sale la scala zoologica.
Gli animali inferiori, infatti, affidano il loro adattamento alla
memoria genetica, cioè a quanto trasmesso ereditariamente
(in termini fisiologico-biochimici) dai progenitori, e rispondono
agli stimoli ambientali quasi esclusivamente con schemi
prefissati (innati o istintivi) di comportamento.
Gli animali superiori invece possono programmare in modo
creativo-inventivo il loro comportamento, sulla base delle
informazioni memorizzate nel corso della loro propria
esperienza, giungendo persino (nel caso dell'uomo) a
modificare l'ambiente secondo le proprie esigenze.
La Memoria
Memoria/Apprendimento. La memoria non è la stessa cosa
dell'apprendimento. Quest'ultimo presuppone la capacità di
conservare una precedente esperienza e indica la capacità di
modificare un comportamento in rapporto a quanto si è appreso.
P.es., se un insegnante esige l'acquisizione corretta di 10 formule
matematiche, impegna la memoria di uno studente; se poi propone
la soluzione di un problema chiedendo di applicare quelle formule,
esige l'intervento di un apprendimento.
Quindi l'apprendimento serve per scoprire o applicare delle leggi
generali di azione nei fatti particolari. Si potrebbe anche dire che la
memoria rende testimonianza al passato, mentre l'apprendimento
dà un valore al passato, per comprendere il presente e progettare il
futuro. Il fatto di avere una grandissima memoria non sta di per sé
ad indicare che si è capaci di apprendimento (in quanto anche i
deficienti mentali possono avere una spiccata capacità mnemonica).
In sostanza, l'apprendimento lo si verifica nel momento in cui il
soggetto deve manifestare il proprio comportamento per adattarsi a
un ambiente mutato.
La Memoria
I fattori che influenzano l'acquisizione e la conservazione del
materiale memorizzato per un periodo di tempo più o meno
lungo, sono:
• Fattori relativi al soggetto. Uno stato di stanchezza o dolore
ostacola l'apprendimento. Viceversa, la motivazione interiore,
la novità del materiale da memorizzare, l'interesse per
l'argomento favoriscono l'apprendimento. Qui si può far
notare che il rendimento aumenta sino all'età di 20 anni, poi
diminuisce sino a 60 anni, età in cui la media del rendimento è
pari a quella dei ragazzi di 11 anni.
• Fattori relativi al materiale da memorizzare. Si ricorda più
facilmente e più a lungo un materiale dotato di significato,
organizzato, raffigurante oggetti concreti (ad es. la melodia di
una canzone o un brano di prosa si apprendono meglio di un
insieme di note o di parole slegate; una serie di numeri che
seguono uno schema logico meglio di una serie di numeri a
caso; le figure meglio delle parole; le parole "concrete" meglio
di quelle "astratte", ecc.);
La Memoria
•

Fattori relativi alla pratica o all'esercizio. Vi sono, in questo campo, varie tecniche operative per la
memorizzazione:
– il superapprendimento (cioè quando un determinato materiale viene ripetuto di continuo, a intervalli
di tempo crescenti, finché non viene completamente e definitivamente fissato. È noto, in tal senso,
che molte attività praticate con costanza per un certo periodo di tempo e poi abbandonate, se
vengono riprese sono riattivabili con estrema facilità);
– l'esercizio concentrato (è una variante del superapprendimento: la differenza sta negli intervalli di
tempo, che in questo caso si susseguono a ritmo uniforme);
– l'esercizio frazionato (qui le prove di apprendimento sono intervallate con delle fasi di riposo. La
memorizzazione si ottiene più facilmente che non con l'esercizio concentrato);
– l'apprendimento globale (consiste nel memorizzare un materiale nella sua totalità in ogni prova
effettuata: ad es. di una poesia di quattro strofe si ripetono ogni volta tutte e quattro le strofe);
– l'apprendimento parziale (consiste nel memorizzare un materiale suddividendolo in tante parti da
apprendere isolatamente ad ogni prova: ad es. di una poesia di quattro strofe si ripete la prima
finché non la si è appresa, poi la seconda e così via);
– l'apprendimento incidentale (che si verifica quando memorizziamo senza averne l'intenzione, purché
ci sia l'abitudine all'apprendimento volontario: p. es. ad un soggetto si presenta una serie di figure
geometriche regolari, ognuna diversamente colorata, e gli si chiede di anticipare il nome delle
diverse figure che si presentano in successione -triangolo, quadrato, ecc.-, finché non ha
memorizzato tutta la successione; poi gli si chiede di rievocare il colore di ogni singola figura).
La Memoria
Organizzazione del materiale memorizzato. La nostra memoria è organizzata
secondo sistemi di codificazione multipla. Questi sistemi possono essere:
• · secondo il tempo (il materiale viene memorizzato seguendo l'ordine
temporale in cui è stato acquisito e fissato: ad es. quando si deve raccontare la
trama di un film);
• · secondo le categorie di appartenenza (il materiale viene memorizzato
utilizzando un determinato ordine logico: si pensi p.es. a tutti i sistemi di
archiviazione e catalogazione di dati, libri, medicine, ecc.);
• · secondo le associazioni contigue (ad es. le parole aereo-guerra vengono
percepiti insieme, se una nazione è in guerra, anche se non appartengono alla
stessa categoria);
• · secondo la suddivisione per gruppi (ad es. il numero telefonico viene
ricordato, in genere, dividendo le cifre per gruppi);
• · secondo la codificazione verbale (ad es. l'ordine gerarchico dei quattro semi
nelle carte da ramino si ricorda con la formula "come quando fuori piove".
Relativamente a questo, si è dimostrato che l'accuratezza del ricordo è tanto
maggiore quanto più agevole e di rapida esecuzione è la codificazione
verbale);
• · secondo un ritmo (ad es. si può praticare l'insegnamento di certi contenuti
accompagnandolo da brani musicali);
• · secondo un riferimento spaziale (ad es. i nomi delle persone con cui si è
mangiato al ristorante possono essere ricordati risalendo alla distribuzione dei
loro posti a tavola).
La Memoria e il Ricordo
Il ricordo (o rievocazione). In questa fase il soggetto
recupera quanto appreso e conservato, allo scopo
di riprodurre la situazione presentata al momento
dell'apprendimento. È proprio in questa fase che
vengono alla luce quelle modifiche operate nei
riguardi del materiale appreso e conservato.
• Cercando di dare una classificazione a queste
modifiche, si è costatato che esiste una tendenza
verso una maggiore simmetria (o regolarità o
normalizzazione) del contenuto appreso, oppure
verso un'accentuazione di certi particolari del
contenuto per renderlo più significativo.
La Memoria e il Ricordo
Se i ricordi affiorano da sé, abbiamo la riproduzione spontanea
(automatica); se emergono con l'aiuto della volontà, il ricordo è
intenzionale. Una volta giunti a consapevolezza, i ricordi spontanei o
volontari si strutturano in nuove associazioni. Talvolta riemergono
ricordi di un lontano passato, che sembravano irrimediabilmente
perduti, e di cui non sappiamo stabilire nessun legame con i contenuti
attuali della coscienza.
Non sempre possiamo ricordare ciò che vogliamo (ad es. le esperienze
della prima infanzia sono quasi morte, anche se è possibile, tornando
nei luoghi della nostra infanzia, che molti ricordi scomparsi da tempo si
ripresentino in tutta la loro freschezza). Ci sono esperienze, anche
recentissime, che non riusciamo a ricordare, malgrado ogni sforzo, e
poi d'improvviso emergono quando non ci si pensava più. Le
esperienze degli anni evolutivi sono più vive nella mente dell'anziano
rivolta verso il passato che non in quella del giovane o dell'adulto tesa
verso il futuro.
Molte cose ancora risultano incomprensibili nel processo del ricordo. Oggi
la psicologia tende ad attribuire alla "memoria" in senso stretto una
funzione più tecnica ed operativa, mentre al "ricordo" in senso lato una
funzione più affettiva ed emotiva (ad es. il ricordo del passato storico,
di certi anniversari, di un'offesa subìta, ecc.).
) Tipi di memoria.
•

•

•

Memoria primaria (o a breve termine). Consiste nella conservazione immediata di contenuti
percettivi (soprattutto stimoli acustici e/o visivi) che permangono a livello di consapevolezza per
pochi secondi (ad es. è possibile ripetere sette numeri, visti per pochi secondi, al primo tentativo,
ma se i numeri sono 12 ci vorranno almeno 16 ripetizioni; se sono 16 ce ne vorranno 30, e così via:
il numero delle ripetizioni, all'inizio, cresce rapidamente, in seguito sempre più lentamente, ma in
questo caso la memoria diventa secondaria). La memoria primaria è utilissima nella lettura delle
parole, per superare i brevissimi intervalli che si intercalano fra una parola e l'altra.
Memoria secondaria (o a lungo termine). Questa memoria è caratterizzata da una conservazione
permanente nel tempo di moltissime informazioni (memoria a capacità tendenzialmente
illimitata). Essa consente di conservare e rievocare contenuti che vanno anche aldilà della
consapevolezza.
Memoria fotografica (visiva). Tendenza a conservare vivacissime le impressioni visive (parole,
linee, forme, colori, fisionomia di una persona incontrata una sola volta, ecc.). Il tipo visivo, per
apprendere la lezione, la scrive o visualizza la pagina del libro, in modo tale che quando la ripete è
come se leggesse mentalmente le singole frasi. Una variante di questa memoria è la memoria
eidetica, che è posseduta da circa il 10% dei bambini e che si perde col passare degli anni. I bambini
eidetici, dopo aver osservato per pochi secondi un'immagine, riescono a "vederla" per diversi
minuti, come se fosse davanti a loro, descrivendola nei dettagli.
Tipi di memoria.
•

•

•

Memoria fotografica (visiva). Tendenza a conservare vivacissime le
impressioni visive (parole, linee, forme, colori, fisionomia di una
persona incontrata una sola volta, ecc.). Il tipo visivo, per apprendere
la lezione, la scrive o visualizza la pagina del libro, in modo tale che
quando la ripete è come se leggesse mentalmente le singole frasi.
Una variante di questa memoria è la memoria eidetica, che è
posseduta da circa il 10% dei bambini e che si perde col passare degli
anni. I bambini eidetici, dopo aver osservato per pochi secondi
un'immagine, riescono a "vederla" per diversi minuti, come se fosse
davanti a loro, descrivendola nei dettagli.
Memoria uditiva. Tendenza a ritenere le impressioni sonore (ad es. il
timbro della voce piuttosto che la fisionomia, il suono della parole più
chiaramente delle immagini visive, ecc.). Il tipo uditivo impara la
lezione dalla spiegazione dell'insegnante o leggendola ad alta voce.
Memoria motoria. Tendenza a conservare le impressioni di
movimento, tanto da non poter rappresentare un movimento senza
riprodurlo interiormente. Se il tipo motorio pensa ad una danza,
avverte le contrazioni dei muscoli e la tensione dei tendini come se
stesse ballando.
• . "Oblio" vuol dire incapacità totale o parziale a ricordare
ciò che si è appreso. Da cosa dipende questo fenomeno?
Diverse risposte sono state date.
• Teoria del decadimento, secondo cui gli eventi molto
lontani nel tempo vengono ricordati con difficoltà o
dimenticati. Tuttavia, se così fosse, gli anziani non
ricorderebbero nulla della loro giovinezza, mentre è
vero proprio il contrario: e cioè che per un anziano è più
facile ricordare i dettagli di un evento accaduto 50 prima
che non quanto è successo il giorno precedente.
• Teoria del disuso, secondo cui se un ricordo viene
rievocato spesso non si cancella, mentre se non lo è mai,
a poco a poco va perduto. Questa teoria però non spiega
come mai certi ricordi lontani possono riaffiorare dopo
molto tempo, anche se non sono stati rievocati.
Il fenomeno dell'oblio
• Teoria dell'interferenza. È quella più convincente. Si
suddivide in tre parti:

– Interferenza pro-attiva: s'intende il fatto che i ricordi più remoti interferiscono
(inibiscono) con quelli più recenti (ad es. se memorizziamo una lista di nomi e,
dopo un certo intervallo di tempo, memorizziamo una seconda lista di nomi
diversi, la rievocazione delle due liste, dopo un altro intervallo, si dimostra più
facile per la prima che non per la seconda, anche se è stata appresa a distanza
di tempo maggiore).
– Interferenza retro-attiva: s'intende il fatto che i ricordi recenti interferiscono
con quelli passati. Un esperimento famoso è quello di Jenkins e Dallenbach del
1924. I due studiosi chiesero a un gruppo di studenti d'imparare delle liste di
sillabe senza senso, al mattino, subito dopo il risveglio; un altro gruppo invece
doveva farlo alla sera, prima di coricarsi. Dopo un certo periodo di tempo
entrambi i gruppi furono interrogati: il secondo ricordava molte più sillabe del
primo. Perché? Perché durante il giorno molti eventi avevano interferito
coll'apprendimento portando all'oblio, mentre il sonno, per l'altro gruppo,
aveva favorito la conservazione del ricordo.
– Interferenza da rimozione. È il fenomeno mediante il quale si dimenticano i
ricordi che sono fonte di disagio o di ansia. Non si tratta di una perdita totale
della memoria, ma piuttosto del fatto che si è incapaci di rievocare il contenuto
del ricordo, cioè di farlo emergere a livello conscio.
Il fenomeno dell'oblio: la Memoria
come oblio “selettivo”:
• L'oblio come "economia mentale".
• Oltre a ciò si può aggiungere che l'oblio, di per sé,
non è un fenomeno negativo, in quanto, senza la
possibilità di dimenticare, svanirebbe la capacità
di nuove acquisizioni. Il continuo lavorìo dei
ricettori sensoriali e l'attività del pensiero
renderebbero talmente ingombra la coscienza di
immagini inutili, da paralizzare tutta la vita
psichica. Ecco perché l'oblio attenua o cancella
del tutto quello che non serve o non è più adatto
per l'azione. I problemi sopraggiungono quando
l'oblio cancella anche le esperienze utili.
La Patologia della Memoria:
L’AMNESIA
• L'amnesia. Consiste nell'incapacità di ricordare
determinati eventi (anche azioni, pensieri,
conoscenze, ecc.) in seguito ad un trauma psichico o
fisico (soprattutto trauma cranico). Nello stato di
amnesia un individuo può arrivare a dimenticare
persino il proprio nome o anche fatti, persone,
notizie... riguardanti un lungo periodo della propria
vita passata.
• L'amnesia può verificarsi come sintomo di uno stato di
"shock mentale" conseguente ad esperienze
emotivamente traumatiche (ad es. durante la guerra,
dopo uno scontro particolarmente violento, può
accadere che alcuni soldati sconfitti che rientrano
dalle linee, non riescono a ricordare quanto è
accaduto, anche se non hanno riportato ferite).
• .
•

La Patologia della Memoria:
L’AMNESIAanche come
Uno stato di "shock emotivo" può subentrare

conseguenza di un evento traumatizzante o stressante, a livello
psicologico, che produca angoscia o panico. L'amnesia, in questo caso,
serve al soggetto per rimuovere dalla coscienza il ricordo dell'evento.
Questo tipo di amnesia può però essere risolta con la psicoterapia,
eventualmente con l'uso di psicofarmaci o, nei casi più gravi, con le
tecniche di ipnosi.
• Una forma molto interessante di amnesia è quella detta "retrograda",
per cui la perdita di memoria procede "all'indietro", col cancellare
progressivamente fatti accaduti in un passato sempre più lontano.
Quando il soggetto recupera la memoria degli eventi passati, ricorderà
prima quelli più lontani, poi quelli accaduti qualche mese prima, infine
quelli di qualche giorno prima. Questo tipo di amnesia, che nel passato
veniva affrontata con l'elettroshock, conferma la teoria che considera i
ricordi più vecchi come quelli più fortemente consolidati nella nostra
memoria, e che considera i ricordi come immagazzinati in sequenza,
secondo un ordine "storico-temporale", in quanto espressione dell'
esperienza di vita del soggetto
L'INTELLIGENZA
In psicologia generale il termine intelligenza viene usato per
indicare un complesso di fatti (o fenomeni) osservabili, detti
comportamenti (ad es. l'intelligenza come capacità di
apprendere, come capacità di risolvere i problemi o come
adattamento, ecc.). Pertanto sarebbe più corretto parlare di
"comportamento intelligente" anziché di "intelligenza" (che
sembra rimandare a una facoltà astratta, a un valore morale, a
un "bene immateriale").
Quando si parla di "comportamento intelligente" si fa riferimento
ad una particolare componente del comportamento osservabile,
decisa di volta in volta: ad es., intelligenza potrebbe significare,
in un caso determinato, "la capacità di manipolare degli oggetti
in modo da connetterli l'uno all'altro, secondo un certo ordine".
Se questa definizione la consideriamo accettabile, il problema
pratico diventa quello di stabilire "cosa" e "come" manipolare
(ad es. infilare in una cordicella dei pezzi di legno forati, di forma
sferica e cubica, in maniera alternata). Fatto questo, ci si pone il
problema di come "misurare" un comportamento intelligente,
cioè un comportamento osservato in una situazione ben definita.
Teoria dei TIPI LOGICI di
Russel Frege Wittgenstein
• Il mondo è costituito di fatti.
• A secondo del sistema di rilevamento posso
ottenerne dei DATI = Esperienza
• Se ho dati sufficienti e ridondanti posso costruire
una categoria logica superiore che li raggruppa e
niminarla e ottengo un METADATO = Conoscenza
• Se ho metadati sufficiente e ridondanti posso di
nuovo raggrupparli in una classe superiore e
nominarli METAMETADATO = Sapere o insieme
dei Saperi
Teoria dei TIPI LOGICI di
Russel Frege Wittgenstein
• Se tramite il linguaggio posso connettere i
nsaperi individuali e ottenerne una quantità
ridondante posso costituire una categoria o
tipo logica superiore o METAMETAMETA
DATO = Cultura
L'INTELLIGENZA
L'INTELLIGENZA
In psicologia generale il termine intelligenza viene usato per indicare un
complesso di fatti (o fenomeni) osservabili, detti comportamenti (ad es.
l'intelligenza come capacità di apprendere, come capacità di risolvere i
problemi o come adattamento, ecc.). Pertanto sarebbe più corretto
parlare di "comportamento intelligente" anziché di "intelligenza" (che
sembra rimandare a una facoltà astratta, a un valore morale, a un "bene
immateriale").
• II) Quando si parla di "comportamento intelligente" si fa riferimento ad
una particolare componente del comportamento osservabile, decisa di
volta in volta: ad es., intelligenza potrebbe significare, in un caso
determinato, "la capacità di manipolare degli oggetti in modo da
connetterli l'uno all'altro, secondo un certo ordine". Se questa
definizione la consideriamo accettabile, il problema pratico diventa
quello di stabilire "cosa" e "come" manipolare (ad es. infilare in una
cordicella dei pezzi di legno forati, di forma sferica e cubica, in maniera
alternata). Fatto questo, ci si pone il problema di come "misurare" un
comportamento intelligente, cioè un comportamento osservato in una
situazione ben definita.
L'INTELLIGENZA
A cosa serve questa misurazione? Per dimostrare che una
situazione osservabile è sempre la stessa, sia per i diversi
osservatori che decidono di adattarla, sia per i soggetti che
partecipano alla prova. Questo consente di osservare di volta in
volta il comportamento in condizioni costanti, standardizzate.
Solo a queste condizioni è possibile misurare l'intelligenza.
Misurare significa quindi confrontare qualcosa di variabile (ad
es. una "grandezza": peso, lunghezza, temperatura, ecc.) con
un'altra "grandezza" definita e costante (grammo, centimetro,
grado, ecc.).
Nei reattivi o test mentali i vari soggetti, in una stessa situazione,
possono impiegare un tempo più o meno lungo per eseguire la
prova, oppure commettono più o meno errori, e così via. Come
criterio di osservazione si può scegliere il rendimento del
soggetto in condizioni di osservazione definite. Questo significa
che nel test non si mette a confronto un soggetto con un altro,
né le loro rispettive intelligenze, ma soltanto il loro rendimento
specifico in un compito intellettivo determinato. Solo così si può
fondare la scientificità della psicometria.
L'INTELLIGENZA
Naturalmente, il confronto degli specifici rendimenti deve avvalersi
dell'osservazione di molti soggetti da sottoporre a un medesimo test.
Ottenuto un rendimento standard, che va da un minimo a un massimo
di punteggio (al disotto o al disopra del quale si hanno intelligenze ipo o
iperdotate), si è in grado di prevedere quale rendimento si verificherà in
circostanze analoghe, o si è comunque in grado di misurare
obiettivamente l'intelligenza specifica di soggetti che l'osservatore non
ha mai conosciuto prima e che vengono sottoposti per la prima volta a
un determinato test.
Il limite principale di questa procedura consiste nel fatto che le condizioni
per misurare l'intelligenza (ad es. i minuti a disposizione o l'obbligo di
rispondere "vero/falso") sono piuttosto rigide, stereotipate, cioè
tendenzialmente lontane rispetto alle vicende reali della vita
quotidiana.
Un test può comprendere un solo tipo di prova (per un tipo di
comportamento) o più tipi di prove (sub-test). Ogni test può essere
composto di situazioni singole, graduate per difficoltà crescente
(chiamate item).
Intelligenza e ambiente.
Intelligenza e ambiente. Se il test viene applicato in modo corretto, si ottiene una stima
attendibile del rendimento di un soggetto in rapporto alla popolazione di appartenenza
(che è quella stessa su cui è stato commisurato il test per stabilire l'Età Mentale delle
diverse prove, per i diversi gruppi di ETA' CROLOGICA). Ciò significa che il materiale di un test
applicato a un vasto campione rappresentativo della popolazione di una nazione, non può
essere usato da un'altra nazione semplicemente traducendolo: occorrerà anche adattarlo
alla diversa cultura (situazioni, costumi, valori, conoscenze, ecc.)
Questo perché l'influenza delle condizioni ambientali sul Q.I. è così forte che una legge
psicometrica esige che le condizioni in cui si effettua il test siano quanto più possibile
simili o vicine a quelle proprie dell'ambiente in cui il soggetto vive.
Eredità e intelligenza. L'intelligenza è una caratteristica innata o acquisita? Gli psicologi
tendono a considerare questo problema come pertinente alla riflessione filosofica, non
alla ricerca scientifica: anche perché, posta in termini così radicali, la questione è ritenuta
insolubile.
Oggi la migliore psicologia è giunta alla conclusione che il rendimento intellettivo è frutto di
determinanti genetiche (i geni del corredo cromosomico) che hanno avuto la possibilità di
svilupparsi in determinati ambienti. L'eredità biologica, in altre parole, è una potenzialità
che può evolvere a seconda delle circostanze e delle situazioni. Ch'essa esista è
dimostrato ad es. dal fatto che il Q.I. dei gemelli omozigoti (cioè geneticamente identici,
essendo nati da un solo uovo fertilizzato, aventi quindi lo stesso sesso) è molto simile,
molto di più di quanto non lo sia nei gemelli eterozigoti (cioè nati da due uova diverse e
quindi geneticamente diversi). Ma questo non impedisce che l'ambiente possa influenzare
in modo completamente diverso la coppia di gemelli.
I REATTIVI PSICOLOGICI
I "reattivi psicologici" (S. De Sanctis) o "mental tests"
(J. Cattel) sono il tentativo di misurare in modo
obiettivo l'intelligenza, sottraendola a valutazioni
di tipo soggettivo, che potrebbero trarre in
inganno (ad es. la timidezza può portare uno
studente ben preparato a conseguire una
votazione scarsa. Il test dovrebbe supplire a questa
sua difficoltà). La storia dei reattivi è relativamente
recente. Alla fine dell'800 si cominciarono a fare
degli accertamenti riguardo alle attività
psicosensoriali e psicomotorie; in seguito le prove
sono state estese alla valutazione dell'intelligenza
generale e specifica, delle tendenze e attitudini,
della personalità e del carattere. Il metodo dei test
Età cronologica ed età mentale
Età cronologica ed età mentale. I primi significativi test sono quelli ideati dallo
psicologo francese Alfred Binet nel 1905. Egli, con l'aiuto dell'assistente Simon,
cercò sia di misurare il grado d'intelligenza dei "deboli mentali" nelle scuole
elementari di Parigi, che di verificare se si trattava effettivamente di
insufficienza mentale o di disadattamento caratteriale. In seguito vennero
elaborati dei test anche per gli adulti.
Binet era partito da questi presupposti: dopo aver sottoposto a identici esami
molti scolari, fece una graduazione dei risultati ottenuti, mettendola a
confronto col giudizio complessivo degli insegnanti che conoscevano a fondo
quegli stessi scolari. Dopodiché, per ottenere in modo rapido e sicuro un
giudizio su determinate caratteristiche (memoria, attenzione, ecc.) di uno
scolaro che aveva visto per la prima volta, lo sottoponeva ad una serie di prove
analoghe, confrontando il suo rendimento con quello del gruppo campione.
Il reattivo di Binet consiste in una serie di prove a difficoltà crescente (scala); a
ciascuna età cronologica (E.C.), misurabile in anni-mesi-giorni, corrisponde un
gruppo particolare di prove, che impegnano l'intelligenza che lo studente
matura a scuola. Binet non aveva messo in discussione il concetto di
"intelligenza" in uso nelle scuole francesi.
Il grado di intelligenza raggiunto da uno studente, in rapporto non solo alla sua
età, ma anche al livello medio degli studenti della stessa età cronologica, viene
chiamato con un nuovo concetto psicologico: età mentale (E.M.), anch'essa
misurabile in anni-mesi-giorni.
età mentale
Il grado di intelligenza raggiunto da uno studente, in rapporto non solo
alla sua età, ma anche al livello medio degli studenti della stessa età
cronologica, viene chiamato con un nuovo concetto psicologico: età
mentale (E.M.), anch'essa misurabile in anni-mesi-giorni.
L'idea di Binet implicava che lo sviluppo dell'intelligenza attraversa
identiche fasi nei vari individui, per cui l'E.M., tipica di una data E.C.,
esprime un livello medio di efficienza, comune alla maggioranza (cioè
ad almeno il 75%) delle persone di quella età, sottoposte al test.
Il concetto di E.M. si basa su due principi fondamentali:
• a) esiste la possibilità di valutare il livello di intelligenza di un individuo,
qualunque sia il periodo della sua vita;
• b) il grado di intelligenza aumenta in una certa proporzione in
rapporto all'E.C., ma solo per un certo tempo. L'americano Lewis
Terman, che revisionò la scala di Binet, pose il limite massimo di
sviluppo mentale approssimativamente a 16 anni, nel senso che
l'intelligenza degli adulti, di regola, è pari a quella degli adolescenti
normali di 16 anni, a prescindere ovviamente dall'esperienza vissuta.
Ciò in pratica significa che per gli anni seguenti il soggetto in esame va
considerato come se avesse 16 di E.C.
età mentale
L'E.M. di un soggetto si ricava dal numero di prove
effettivamente superate: possiamo cioè attribuire
l'E.M. di 6 anni ad un bambino, quando ha
superato tutte le prove relative a quella età. Però
può accadere che il bambino sbagli qualche prova
dei 6 anni e risolva alcune prove dei 7 anni: in
questo caso vengono applicate le norme di
compenso stabilite dal reattivo, cioè tanti mesi in
meno per le prove sbagliate e tanti mesi in più per
quelle appropriate ad un'età superiore.
Naturalmente è difficile trovare una perfetta
corrispondenza dell'E.M. con l'E.C., poiché
nell'infanzia lo sviluppo dell'intelligenza è
rapidissimo, meno rapido nella fanciullezza e lento
nell'adolescenza.
Il quoziente intellettivo o Q.I.
Nel 1912 Wilhelm Stern (tedesco esule negli USA) aggiunse al concetto di
E.M. la formula di Quoziente Intellettivo (Q.I.), che si ricava dividendo
l'E.M. per l'E.C. Con Binet ci si era limitati alla differenza tra E.M. ed E.C. Ad
es. un soggetto di 16 anni che supera tutte le prove rispondenti all'E.M. di
10 anni, ha un Q.I. uguale a 100 (si moltiplica il risultato della divisione per
100, onde evitare l'uso dei decimali.
L'E.M. e l'E.C. debbono esprimersi riducendo gli anni e i giorni a mesi: i giorni
non si contano se non arrivano a 16, mentre da questo numero in poi
contano sempre 1 mese. Ad es. se un E.M. di 9 anni, 5 mesi e 16 giorni
corrisponde a 114 mesi; e un'E.C. di 10 anni e 5 mesi corrisponde a 125
mesi, il Q.I. è dato dal rapporto (114:125) x 100 = 91.
Ovviamente per utilizzare un test occorre che l'E.M. sia offerta dal medesimo
test, e questo comporta che si siano fatte tantissime prove. Ad es. un
soggetto di 171 mesi ottiene un punteggio di 60 all'esame (avendo fatto
60 risposte esatte). La tabella del test dovrà indicare a quale E.M.
corrisponde 60. Supponiamo che corrisponda a 216. Il Q.I. non sarà altro
che il risultato di questa operazione: (216:171) x 100 = 126. È importante
sottolineare che il Q.I. non è la misura di ciò che si è imparato, ma la
misura della capacità d'imparare. L'intelligenza non riguarda le cognizioni
acquisite, ma la capacità che uno ha di conoscere.
Il quoziente intellettivo
•

•

I limiti del Q.I. L'E.M. presuppone identiche fasi di evoluzione nei soggetti normali.
Forte cioè è la tentazione di considerare la mente umana come fatalisticamente
regolata nel suo sviluppo, così da non consentire reali trasformazioni negli
individui, nel corso del processo educativo e dell'esperienza. E' ben noto, tuttavia,
che il ritmo di sviluppo varia da soggetto a soggetto, e nello stesso soggetto varia
nelle diverse tappe evolutive. In alcuni lo sviluppo è rapido e breve, in altri rapido
e a lunga durata, in altri ancora si svolge lentamente in un tempo relativamente
breve o relativamente lungo. Inoltre la differenza tra E.M. ed E.C. è più significativa
nei soggetti giovani che in quelli anziani.
XIV) A tali difficoltà va aggiunta la situazione complessa della prova psicologica:
ovvero la tensione emotiva ch'essa può suscitare, l'influsso ambientale, il carattere
del soggetto, le conoscenze acquisite, le differenze di educazione... Nell'impiego
dei test si valuta solo il risultato finale, e non anche il processo che ha portato il
soggetto a quel risultato. Infine, bisogna tener conto del fatto che i test si basano
soprattutto su un tipo d'intelligenza logico-razionale e matematica, espressione
tipica della cultura occidentale.
La Psicoterapia
• Etimologicamente la parola psicoterapia "cura dell'anima" - riconduce alle terapie della
psiche realizzate con strumenti psicologici
quali la parola, l'ascolto, il pensiero, la
relazione, nella finalità del cambiamento
consapevole dei processi psicologici dai quali
dipende il malessere o lo stile di vita
inadeguato e connotati spesso da sintomi
come ansia, depressione, fobie, etc.
La Psicoterapia

• In senso lato si può sostenere che ogni rapporto
umano ha in sé il seme della psicoterapia…
• In base a ciò si possono distinguere tre livelli di
psicoterapia:
• Un primo livello che attiene a ogni rapporo umano
amicale ed empatico
• Un secondo livello praticato dalle figure professionali
a cui la cultura demanda la “cura”: lo sciamano, Il
medico, il prete, il professore ecc. a seconda della
cultura del gruppo umano
• Un terzo livello su cui si discute molto e riguarda la
figura del professionista formato e abilitato alla
psicoterapia vera e propria.
La Psicoterapia
• La psicoterapia è una branca specialistica della
psicologia che si occupa della cura di disturbi
psicopatologici di diversa gravità che vanno dal
modesto disadattamento all'alienazione
profonda e possono manifestarsi in sintomi
nevrotici oppure psicotici tali da nuocere al
benessere di una persona fino ad ostacolarne lo
sviluppo causando fattiva disabilità; a tal fine si
avvale di tecniche applicative della psicologia
dalle quali prende specificazione: psicoterapia
cognitivo-comportamentale, psicoterapia
psicoanalitica, ecc.
Orientamenti teorici
• Esistono numerose definizioni di psicoterapia
pertinenti a teorie diverse e, in alcuni casi, in conflitto
tra loro.
• Numerose sono anche le pratiche psicoterapeutiche,
sebbene ristrette in un più limitato numero di indirizzi
teorici: psicoanalitico/psicodinamico, sistemicorelazionale, cognitivo-comportamentale,
fenomenologico-esistenziale, eccetera, ciascuno dei
quali, dal comune fondamento epistemologico, si è
differenziato in scuole e metodologie diverse.
Scuola sistemico-relazionale

• La psicoterapia ad indirizzo sistemico-relazionale considera la
persona portatrice del sintomo "paziente designato". Tale termine
sta ad indicare che il paziente è il membro del sistema-famiglia
(per famiglia si intendono sia la propria che almeno le due
generazioni che l'hanno preceduta), che esprime o segnala il
funzionamento disfunzionale di uno o più dei sistemi di cui egli è
uno dei vertici. Tale membro è "designato" dal sistema stesso,
secondo una prospettiva bio-psico-sociale, in quanto soggetto che
esprime una modalità disfunzionale di vivere, pensare, agire.
Talvolta, specialmente in casi che riguardano i bambini o gli
adolescenti (ambiti in cui la terapia familiare risulta un approccio
particolarmente valido), questo si manifesta sotto forma di blocco
evolutivo, così che tutte le tensioni tendono a convergersi su di lui;
in tal modo diviene il controllore di forze ed energie relazionali, al
prezzo di gravi sentimenti di sofferenza e vissuti di disgregazione.
In questa ottica, le tecniche che si utilizzano hanno per obiettivo la
modificazione delle regole del sistema, ovvero la modificazione
delle modalità di comunicazione e di interazione tra i membri.
Scuola sistemico-relazionale

•

Questo approccio ebbe origine a partire da un vasto movimento di teorie e idee
diffuse negli Stati Uniti durante gli anni '50, in particolare le teorie della prima e
seconda cibernetica. La "Scuola di Palo Alto" e il Mental Research Institute, con i
loro maggiori esponenti (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley,
Paul Watzlawick), furono i principali centri di sviluppo della terapia sistemica
famigliare. I terapeuti che seguono questo orientamento psicoterapeutico
condividono la matrice pragmatica, di chiara origine americana, per cui il loro
intervento si struttura in genere in un numero di sedute ridotte e in tempi
relativamente rapidi.

•

La psicoterapia ad indirizzo sistemico relazionale si è molto diffusa in Italia e in
Europa durante gli anni '80, in modo particolare nei servizi di salute pubblica, nel
campo della patologia psichiatrica adulti, nella neuro-psichiatria infantile, nel
campo delle tossicodipendenze e negli ultimi anni anche nelle problematiche che
riguardano la separazione-divorzi e nelle problematiche scolastiche; inoltre
nell'ambito della psicologia del lavoro ha trovato importanti e significative
applicazioni. In ambito clinico, proprio in Italia è nata e si è sviluppata una delle più
importanti tradizioni di ricerca sistemica, di notorietà e diffusione internazionale: il
cosiddetto "Modello della Scuola Milanese", di Selvini-Palazzoli, Boscolo, Cecchin e
Prata. La terapia sistemico-relazionale coincideva, almeno all'inizio del suo
sviluppo, con la terapia familiare.
Scuola cognitivo-comportamentale

• Gli psicoterapeuti di indirizzo cognitivo-comportamentale, invece, adottano
un punto di vista del tutto diverso, fondato su una lunga tradizione di
ricerca scientifica, che inizia con i primi studi di Pavlov sui riflessi
condizionati e prosegue tutt'oggi con migliaia di studi sperimentali.
• Essi presumono che il "sintomo" sia l'espressione di un precedente
apprendimento di schemi comportamentali, emotivi e di pensiero errati o
disadattivi, derivanti da peculiari esperienze di vita del paziente,
eventualmente mantenuti da un contesto interpersonale patogeno nel
presente. Il soggetto che li mostra viene pertanto considerato portatore di
strutture cognitive non adeguate (convinzioni), o di processi cognitivi
inadatti a selezionare e ad elaborare in modo funzionale gli stimoli
ambientali. Lo psicoterapeuta in questo caso può attuare, con l'aiuto del
paziente, tecniche di condizionamento o decondizionamento
sperimentalmente validate, al fine di modificare in modo diretto le risposte
emozionali e gli schemi che si sono rivelati disadattivi, o sostituirli con nuovi
schemi più funzionali, tramite esperienze (es. esposizione a stimoli prima
evitati) e/o comportamenti di tipo nuovo (prescrizioni comportamentali
Scuola cognitivo-comportamentale

• Un esempio è l'acquisizione di nuove abilità, come più efficaci
competenze comunicative, tramite il "role playing" o pratica
recitativa. Il terapeuta può anche usare procedure di vario tipo
(anch'esse codificate e validate), dal "dialogo socratico" alla
ristrutturazione cognitiva, per permettere al paziente di
identificare ed esaminare criticamente e quindi modificare sia i
propri processi (e strutture) cognitivi sia i comportamenti non
funzionali ai suoi scopi. Infine, il terapeuta può adottare specifici
atteggiamenti interpersonali all'interno della relazione
terapeutica, per consentire al paziente una correzione dei suoi
schemi interpersonali di base. Il trattamento pertanto è costituito
da procedure di tipo maieutico e psicoeducativo, mentre il
cambiamento nel paziente si assume sia legato a processi di
apprendimento e ristrutturazione. Una volta eliminati tutti i
"sintomi" ed acquisiti comportamenti alternativi, comprese le
consonanti strutture cognitive, viene semplicemente eliminato il
disturbo. Nuovi atteggiamenti del soggetto nonché i vantaggi dei
nuovi comportamenti stabilizzeranno i cambiamenti ottenuti.
Sintomi
•

•

I problemi oggetto di intervento dello psicoterapeuta vanno dal generico disagio esistenziale alle
forme di disturbi più strutturati (dalle strutturazioni e sintomatologie nevrotiche a quelle
psicotiche), fino alle più gravi forme di alienazione con interpretazione delirante della realtà,
spesso con allucinazioni uditive, visive o tattili. Possono essere affrontati fenomeni sintomatici
quali l'ansia, la depressione, il disturbo maniacale, le fobie, le ossessioni, i disturbi del
comportamento alimentare - anoressia e bulimia - e della sfera sessuale, il comportamento
compulsivo, l'abuso di sostanze, eccetera (i cosiddetti "disturbi di asse I del DSM"); in psicoterapia
è possibile affrontare anche i disturbi della personalità (disturbi di asse II del DSM"), o forme di
disagio non psicopatologicamente strutturato e fenomeni complessi quali il mobbing, il conflitto
coniugale ed altri. In generale lo psicoterapeuta si può interessare anche di riabilitazione di
soggetti con disturbi psichiatrici e della riabilitazione di tossicodipendenti, sia all'interno di
strutture sanitarie pubbliche (per esempio i Centri di Salute Mentale per i soggetti psichiatrici e i
SERT nel caso delle tossicodipendenze) o all'interno di Comunità Terapeutiche che possono esser
sia pubbliche o private o infine presso uno studio privato
Tradizionalmente, alcune scuole di psicoterapia si sono occupate in particolare di determinati
sintomi, come nel caso dell'indirizzo psicoanalitico, con l'attenzione alle cosiddette nevrosi (ansia,
depressione, fobie, ossessioni). Altri, come il caso dei terapeuti cognitivo-comportamentali, si sono
specializzati nel trattamento di disturbi da stress, depressione, fobie, disturbi ossessivo-compulsivi,
disturbi sessuali, alimentari, del sonno e dipendenze patogene. Altri ancora, come i terapeuti
familiari sistemico-relazionali, si sono occupati in particolar modo (ma non esclusivamente) dei
disturbi della condotta alimentare come anoressia e bulimia negli adolescenti, dei conflitti familiari,
di disturbi di area evolutiva a matrice familiare, etc.
•

Fin dagli esordi della psicologia c'è stato un vivace dibattito sulla reale efficacia della
psicoterapia, intendendo per "efficacia" la capacità di un intervento psicoterapeutico di
produrre gli effetti desiderati. Questo dibattito si fece più serrato a partire dagli anni
cinquanta, quando Hans Eysenck pubblicò una ricerca sull'efficacia della psicoterapia. [2]. In
breve, le ricerche di Eysenck dimostrarono che il numero di soggetti guariti o migliorati
grazie al ricorso ad una psicoterapia era di poco superiore al 50% [3]. Questo, a prima vista,
potrebbe sembrare un buon risultato, ma Eysenck, giustamente, sottolineava la necessità di
analizzare anche il numero di pazienti guariti per remissione spontanea. Secondo la sua
ricerca, due terzi dei pazienti con problemi psicologici, guarivano spontaneamente senza il
ricorso ad una psicoterapia[3]. Eysenck, quindi, aveva dimostrato che le guarigioni per
remissione spontanea erano addirittura maggiori delle guarigioni dovute ad intervento
psicoterapeutico. Questo studio aprì un forte dibattito e fu in parte criticato, in quanto
considerato poco accurato. Studi successivi, in effetti, fissarono il tasso di remissioni
spontanee intorno a un più realistico 50%.

•

La questione sull'efficacia della psicoterapia rimase comunque aperta e si dovette aspettare
il 1977 per avere conclusioni più accurate e definitive. In questi anni, infatti, si svilupparono
le tecniche statistiche della meta-analisi che permettevano analisi e ricerche più profonde e
dettagliate. Smith e Glass utilizzarono per primi questa tecnica in psicologia per verificare
l'efficacia della psicoterapia[3]. I due autori poterono analizzare un numero enormemente
maggiore di ricerche - 475 - rispetto alle sole 24 analizzate vent'anni prima da Eysenck [3]. I
due ricercatori calcolarono quindi l'effect size, che risultò essere di 0,68. Ciò stava a
significare che il cliente medio di una psicoterapia stava meglio del 75% rispetto alle persone
del gruppo di controllo, cioè quelle che non erano ricorse a nessuna psicoterapia [3]. Questo
studio dimostrò, senza ombra di dubbio, che in media la psicoterapia è realmente efficace.
• Nonostante ciò rimaneva ancora un aspetto da valutare, il
fatto che l'evidente miglioramento non fosse dovuto
all'effetto placebo. Nel rapporto psicoterapeutico, infatti, ci
sono tutte le caratteristiche salienti per il possibile instaurarsi
dell'effetto placebo:
• pazienti solitamente ben motivati, che hanno una forte
fiducia nei confronti dello psicologo e dei suoi interventi;
• grande fiducia, da parte degli stessi psicologi, nelle loro
capacità e dell'efficacia dei loro mezzi;
• un contesto sociale (quello europeo e nordamericano) che dà
grande valore e crede nell'efficacia della psicoterapia.
• I risultati delle ricerche attorno all'effetto placebo hanno
dimostrato che, effettivamente, un placebo credibile ha in
media risultati simili ad un intervento psicoterapeutico. Gli
psicologi sarebbero quindi delle sorti di "distributori moderni
di placebo".
• La superiorità della psicoterapia sul placebo, però, risulta evidente
in due casi:
• quando non si parla più di psicoterapia in generale, ma si vanno a
valutare specifiche psicoterapie create per il trattamento di
specifiche patologie
• quando si sposta l'attenzione dagli effetti a breve termine agli
effetti a lungo termine.
• In definitiva, anche studi più attuali, hanno fondamentalmente
dimostrato che è impossibile generalizzare gli effetti della
psicoterapia: esistono psicoterapie specifiche che risultano molto
efficaci per certe patologie e in determinati contesti, come altre
psicoterapie che invece non portano a nessun reale
miglioramento. A questo si aggiunge una grande difficoltà nel
valutare in modo preciso l'efficacia di un intervento
psicoterapeutico, in quanto è impossibile ottenere misurazioni
oggettive e imparziali. Infine, bisogna sottolineare che al giorno
d'oggi esistono centinaia di modalità e tipi di intervento
psicologico, e risulta arduo poterli analizzare tutti accuratamente.
• Fra i tipi di intervento più analizzati vi sono quelli di tipo cognitivo
e comportamentale, ed interventi rivolti a problemi circoscritti;
interventi che hanno dimostrato essere mediamente efficaci.
SIGMUND FREUD
• INTRODUZIONE AI FONDAMENTI
DEL MODELLO PSICOANALICO
La psicopatologia psicoanalitica dello sviluppo ha lo scopo di identificare le fasi e
le sequenze evolutive dei diversi disturbi che riguardano l’infanzia e l’età adulta e
i fattori che li influenzano.
Ogni teoria presa in considerazione condivide gli assunti principali del modello
psicoanalitico:

il determinismo psichico;

il principio di piacere-dispiacere;

la natura biologica dell’organismo;

l’esistenza di un inconscio dinamico;

la prospettiva genetico-evolutiva.
A partire da questi sono stati poi sviluppati nuovi concetti.
Secondo Freud i conflitti della mente umana riguardano principalmente tre temi:
a) desiderio VS ingiunzione morale;
b) desiderio VS realtà;
c) realtà interna VS realtà esterna.

Attraverso fasi successive, Freud ha sviluppato tre modelli dell’apparato psichico:
1.

Il modello affetto-trauma

2.

Il modello topografico

trauma legato ad esperienze infantili o
adolescenziali, che avevano causato
sentimenti troppo dolorosi e inespressi.
pulsioni che tendono alla scarica;
sistema conscio, preconscio, inconscio;
fase orale, anale, fallica, periodo di latenza,
sessualità genitale;
sintomi nevrotici VS tratti di carattere.
3.

Il modello strutturale

Es, Io, Super-Io;
e i meccanismi di difesa

I sintomi nevrotici I sintomi nevrotici sono il risultato delle
difese messe in atto dal Super-Iocome risultato delle
difesacontro impulsi inaccettabili = angoscia segnale del
ritorno del RIMOSSO
Critica e valutazione alla teoria Freudiana
•
•
•

Ha ignorato i valori spirituali ed è stato antireligioso;
ha trascurato la natura sociale;
non ha affrontato pulsioni che, come la curiosità, tendono verso un aumento
della tensione interna;
• ha detto poco sulla coscienza;
•
non è stato in grado di fare previsioni sullo sviluppo, considerando solo lo
stato
presente della persona;
• non ha compreso le donne;
•
ha represso volontariamente le informazioni sull’origine traumatica delle
nevrosi;
•
inizialmente per le sue scoperte ha utilizzato l’introspezione, strumento poi
da
lui stesso criticato;
• si è basato solo su un piccolo campione selezionato;
• ha utilizzato ricostruzioni di ciò che i pazienti dicevano nei colloqui;
• terminologia ambigua;
• metafore spesso reificate;
• teorie difficili da verificare.
Nonostante queste ed altre critiche, le teorie di Freud
sono ancora tra le più autorevoli nel campo della pratica
clinica.
ANNA FREUD
Il disturbo psicologico può essere meglio studiato nel suo processo di evoluzione.
Il profilo delle linee evolutive permette di osservare il rischio di patologia per ogni
bambino.
“Teoria del conflitto” : sviluppo visto come un compromesso tra due desideri tra
loro incompatibili.
Importanza dell’analisi dell’Io.
Importanza dell’analisi delle richieste provenienti dal mondo esterno, dall’Es e dal
Super-io.
I meccanismi di difesa possono essere raggruppati a seconda della maturità
evolutiva.
Anna Freud si è principalmente occupata di sviluppo infantile, dando poi origine ad un
gruppo di collaboratori che hanno ampiamente diffuso le sue idee.

Seguendo ciò che aveva detto il padre, ha dato particolare importanza al ruolo dei
genitori reali e al processo di interiorizzazione di questi da parte del bambino,
ma considerando sempre le relazioni oggettuali in secondo piano rispetto alle
pulsioni.
Ha utilizzato il modello delle linee evolutive: risultato dell’interazione tra pulsioni
e istanze psichiche, e tra queste e le influenze ambientali (Freud,1965).
Sei linee evolutive

1) dalla dipendenza all’autonomia
e alle relazioni oggettuali (fondamentale)

otto fasi
1) Prima fase

Unità biologica madre-bambino.
2) Seconda fase
Relazione anaclitica di soddisfacimento dei bisogni corporei tra bambino e
oggetto.
Madre buona VS madre cattiva.
Sviluppo di rappresentazioni della mente della madre come separata da quella
del bambino.
3) Terza fase
Rappresentazione coerente della madre, indipendente dal soddisfacimento
pulsionale, che permette separazioni più lunghe.
4) Quarta fase
Ambivalenza normale: sentimenti positivi e negativi verso la stessa persona
(terrible twos).
Desiderio di indipendenza, ma anche di dedizione della madre.
Importanza dell’aggressività, equilibrata dalla libido.
5) Quinta fase
Desiderio di possesso del genitore del sesso opposto e gelosia verso il genitore dello stesso
sesso.
Fase cruciale per lo sviluppo dei problemi nevrotici.

6) Sesta fase
Spostamento della libido verso i pari o altre persone dell’ambiente circostante.

7) Settima fase
Ribellione preadolescenziale: comportamenti oppositivi, impulsivi e pretenziosi.
Ritorno delle fantasie infantili, che aumentano il conflitto intrapsichico.

8) Ottava fase
Adolescenza: l’Io deve lottare contro l’aumento improvviso di aggressività e sessualità.
Utilizzo di due meccanismi di difesa principali: intellettualizzazione e ascetismo.
Deve avvenire il lavoro di lutto per i genitori persi dell’infanzia.
Ritiro della libido verso il Sé, che determina la grandiosità narcisistica e l’onnipotenza
tipiche dell’adolescenza.
PSICOPATOLOGIA EVOLUTIVA

Anna Freud pone l’accento sulla resilienza e sulla capacità di recupero del
bambino, che gli permette, a volte, di superare anche gravi traumi.
Ha individuato sette categorie di disturbi psicologici:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)

Disturbi somatici (eczema, asma, emicrania,…);
Compromessi tra le istanze psichiche (isteria, fobie, sintomi nevrotici
ossessivi);
Eruzioni dall’Es (azioni ingiustificabili come delinquenza e criminalità) o
irruzioni del processo primario (problemi del pensiero o del linguaggio);
Forme di disturbo narcisistico: ritiro della libido oggettuale sul Sé
(dist.dell’autostima) o ritiro della libido dalla mente al corpo (sintomi
ipocondriaci);
Cambiamenti nella qualità o nella direzione dell’aggressività (difficoltà di
apprendimento e comportamento autolesivo);
Modalità di evitamento dei conflitti della fase fallica o edipica (lamentosità
e comportamenti adesivi e di dipendenza).
Problemi legati a cause organiche.
Il modello dell’angoscia
Anna Freud ha distinto la paura del mondo interno dall’ ”angoscia oggettuale”.

Ha notato come il pericolo di un trauma era probabile che si sviluppasse quando
la potenza della minaccia esterna veniva a contatto con l’aggressività reale
interna al bambino.
Riteneva che le paure arcaiche della prima infanzia potessero essere diminuite da
una sufficiente rassicurazione del bambino.
Pensava che la natura dell’angoscia del bambino indicasse la qualità del suo
sviluppo.
Credeva che l’esito dell’angoscia del bambino dipendesse dai meccanismi di
difesa da lui utilizzati.
Disarmonie evolutive: Anna Freud sottolinea la necessità che il bambino riesca ad
integrare il suo potenziale costituzionale con l’impatto con il mondo esterno e con la
graduale costituzione della propria personalità.

se ciò non avviene, si avranno degli squilibri, che possono portare problemi di
varia natura.
La psicopatologia è quindi determinata da squilibri tra le forze delle istanze
psichiche, che derivano, a loro volta, da fattori ambientali e costituzionali.

Gravi disturbi di personalità: secondo l’autrice essi derivano da mancanze
strutturali nell’evoluzione delle difese, nel test di realtà, nella tolleranza
all’angoscia, nel Super-io, …e sono dovuti a disarmonie evolutive.
•
dist. borderline di personalità
incapacità di arrivare ad un giusto
compromesso;
•
dist. narcisistico
precoce deprivazione emotiva.
Un assunto fondamentale della psicoanalisi è il punto di vista genetico o evolutivo.

Freud : i disturbi mentali hanno generalmente un collegamento con esperienze
infantili e riguardano modalità di funzionamento primario.

isomorfismo tra patologia e sviluppo
e
inferenza causale bidirezionale tra infanzia e patologia

La psichiatria e la psicologia dello sviluppo si stanno concentrando su come le
rappresentazioni interne delle prime figure di attaccamento influenzino poi le
relazioni successive.
Valutazione
•
Ha identificato l’importanza della prima relazione madre-bambino e le
conseguenze di un’eventuale separazione;
•
ha introdotto il concetto di linee evolutive, che hanno permesso di
suddividere in unità più piccole le tre grandi istanze psichiche, facilitando così lo
studio dello sviluppo;
•
non ha legato un comportamento ad una specifica patologia, in quanto ha
considerato una determinata azione un “segnale” temporaneo, invece che un
sintomo;
• talvolta, questo modello risente dell’uso letterale che viene fatto del modello
strutturale delle pulsioni;
• alcune metafore usate sembrano reificate;
•
alcuni suoi dati derivati da osservazioni su bambini in tempo di guerra sono
stati confermati da osservazioni più recenti;
• pensava, erroneamente, che i bambini non potessero provare senso di colpa,
sofferenza e depressione;
•
ciò che ha reso unico questo modello è stata l’importanza data al metodo
osservazionale.
LIMITI DEI CONCETTI PSICOANALITICI ATTUALI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.

Le basi probatorie di molte teorie sono poco chiare, perché le ipotesi
mancano di dimostrazioni empiriche;
Pongono una relazione diretta tra un elemento patologico e una
determinata causa, quando invece studi empirici non confermano queste
ipotesi;
Ogni quadro teorico viene ampliato per inglobare nuovi dati, che sono poi
difficili da discutere;
Danno poca importanza all’ambiente, quando invece bambino e ambiente
si influenzerebbero reciprocamente;
Risentono del bias di genere, descrivendo in modo maggiormente coerente
lo sviluppo maschile e attribuendo più “colpe” alla madre di fronte ad un
disturbo del bambino;
Vi è una mancanza di specificità nella spiegazione delle diverse patologie e
di approfondimento circa l’incidenza dei diversi disturbi;
Nella prospettiva evolutiva, in particolare nelle teorie del Sé e delle relazioni
oggettuali, vi è una grande ristrettezza di vedute (fasi, esperienze precoci);
Viene data troppa importanza al mondo intrapsichico della persona,
rispetto al mondo “reale”.
Scuola psicoanalitica

• Per gli psicoterapeuti di indirizzo psicoanalitico il sintomo
manifestato dal paziente è la conseguenza di un conflitto inconscio
tra alcune componenti dell'endopsichismo, o può essere
attribuibile a problemi strutturali nello sviluppo di alcuni assetti
interni (teorie del conflitto vs. teorie strutturali). Per poter
"sopravvivere" emotivamente ad avvenimenti che non sa gestire
l'individuo sviluppa delle difese di tipo psicologico (ad esempio la
rimozione); l'evento problematico o "traumatico" viene così reso
parzialmente gestibile, ma permane come conflitto inconscio: il
sintomo rappresenta l'espressione esplicita di tale conflitto.
All'interno dell'approccio psicoanalitico (detto anche
"psicodinamico"), esistono differenti scuole di pensiero, con
differenti "teorie della clinica": tra le principali, si devono citare
quelle psicoanalitiche classiche, quelle psicoanalitico-relazionali,
quelle psicoanalitico-intersoggettive; tra quelle derivate dal filone
principale della psicoanalisi freudiana e post-freudiana, sono di
rilievo quella psicologico-analitica junghiana, quella lacaniana e
quella adleriana. Esistono inoltre forme di psicoterapia
psicodinamica breve.
Scuola psicoanalitica
• In generale, la terapia psicoanalitica prevede una
stretta relazione tra psicoterapeuta e paziente, grazie
alla quale si cerca di esplorare la struttura dei conflitti
responsabili dei sintomi. Lo psicoterapeuta assiste il
paziente nella rielaborazione dei conflitti interiori,
permettendo una miglior gestione degli effetti
provocati da questi. La terapia ad orientamento
dinamico (in particolare se psicoanalitica) richiede un
periodo medio-lungo per potersi sviluppare in maniera
adeguata (anche alcuni anni, con incontri regolari due o
tre volte alla settimana; in alcuni casi si possono
diradare o rendere più frequenti le sedute
Scuola psicoanalitica

• Il trattamento da un punto di vista tecnico consiste nell'attivare una terapia
analitica con un setting rigoroso, al fine di favorire lo sviluppo del transfert,
cioè l'attualizzazione di schemi relazionali pregressi nel qui ed ora della
relazione clinica che viene a stabilirsi tra paziente e terapeuta; nel processo
di transfert il soggetto attiva una rappresentazione inconscia di stili
relazionali primari, a volte correlati alle difficoltà che ha riscontrato.
L'interpretazione del transfert, del controtransfert (ovvero delle reazioni
emotive dell'analista a certi processi del paziente), delle libere associazioni
e di altro materiale personale (ad esempio, comportamenti, patterns
relazionali, sogni, etc.) durante le sedute cercherà di favorire l'elaborazione
delle cause più profonde dei conflitti, per permettere al paziente di
assumere maggiore consapevolezza e poter modificare i propri stili
relazionali, o al fine di ottenere una parziale ristrutturazione del proprio Sè,
in modo che sia il più funzionale possibile all'adattamento alla vita sociale e
relazionale, e mitigando i sintomi.
• Al suo interno si è sviluppato anche un approccio definito di psicoterapia
dinamica breve, con maggiori limiti temporali ed una più esplicita
focalizzazione sui sintomi.
IL CERVELLO, LA MENTE E IL PENSIERO.
• S.FREUD : scoperta dell’inconscio: “l’inconscio
è strutturato come un linguaggio”.
Il sogno e il sintomo nevrotico sono “formazioni
di compromesso” tra la pulsione libidica (ES)
che chiede la soddisfazione e le istanze
censorie che la vietano (SUPER-IO), tra cui l’IO
deve scegliere: i sogni e i sintomi hanno un
significato inconscio.
J.LACAN – Ecole freudienne de Paris.
• L’ Inconscio è strutturato come un linguaggio
perché è il linguaggio, che noi impariamo
dagli altri (materno e paterno).
• L’uomo nasce nel linguaggio e nel pensiero.
• Quindi la sede dell’Inconscio è l’Altro.
• La confusione epistemica delle neuroscienze
consiste nel cercare il pensiero nella mente!
• Dell’inconscio ( non strettamente
psicoanaliticoanalitico) fanno parte anche:
– le percezioni infrastrutturali e metaculturali dello spazio
e del tempo e la tendenza maggiore o minore a
coinvolgersi nei rapporti con le persone
– le parti derivate dall’evoluzione delle strutture
comportamentali biologiche , come territorio, identità,
stimolazione e sicurezza
– il senso di completezza e di bilanciamento quanto tutte
le percezioni sensorie si integrano (sinestesia) e
concordano col modello innato locale
– il fatto che nel progetare e realizzare gli ambienti e gli
stili di vita non si tiene conto di questi fenomeni può
essere concausa dell’epidemiologia così diffuse della
malattia depressibva
La psicoanalisi e l’ascolto
• La psicoanalisi è una dottrina ermeneutica ( l’arte del
saper spiegare) e appartiene al dominio delle
dottrine filosofiche che si occupano del pensiero
• La medicina è una dottrina scientifica e appartiene al
dominio delle scienze naturali.
• Ambedue si occupano dello stesso oggetto: l’essere
umano nella sua complessità reale e non riducibile in
nessuno dei due campi separatamente…
Sintomi Somatici in Psicologia Clinica
Sintomi Somatici in Psicologia Clinica
• Periodo arcaico: nessuna distinzione tra malattie somatiche e
mentali.Melanconia come eccesso o alterazione qualitativa
degli umori
IPPOCRATE di Kos :
“da null’altro si formano i piaceri e la serenità e il riso e lo
scherzo se non dal cervello, e così i dolori, le pene, la tristezza
e il pianto…ed è causa del cervello stesso che impazziamo e
deliriamo e ci sorgono incubi e terrori…e insonnia e
smarrimenti strani e apprensioni senza motivo e incapacità di
comprendere cose consuete e atti aberranti. E tutto ciò
soffriamo per via del cervello quando esso non è sano…”
“La malattia Sacra” , V sec a.C.
I Sintomi Somatici
• XIX sec.
• Pinel : Melanconia = disordine delle affezioni morali che
agiscono sull’intelletto
• Esquirol : Lypemania = “Splenn” degli inglesi, migliora con una
profonda scossa fisica o psichica.
• XX sec.
• Meyer introduce il termone “Depressione”
• Freud in “lutto e Melanconia” afferma che la depressione
deriva da ostilità autodiretta a seguito della perdita
dell’oggetto amato.
• Affermazione di concezioni psicodinamiche anticliniche e
antinosografiche
Karl Jaspers
Psicopatologia Generale, 1959
• Il corpo è l’unica parte del mondo che venga sentita
contemporaneamente dall’interno e percepita alla superficie.
Esso è un oggetto per me, ed io sono questo corpo stesso.
Sono due cose differenti: come mi sento corporeamente e
come mi percepisco come oggetto ; ma ambedue le cose sono
legate in modo indissolubile.
• Sensazioni del corpo, con le quali si forma un oggetto
conosciuto e sensazioni che rimangono sentimenti del mio
stato corporeo vivente sono le stesse e indissolubili, benchè
distinguibili.
I Sintomi Somatici
“Molto spesso succede che i pazienti depressi si
rivolgano per consultazione a medici generici, uno
specialista internista o forse un chirurgo, un
ginecologo, un urologo o qualche altro tipo di
specialista e limitino le loro lagnanze ai sintomi fisici
non dicendo niente sullo stato delle loro emozioni.
Le loro lagnanze vanno dalle palpitazioni e sensazioni
di costrizione al petto, alla perdita di appetito, stipsi,
pollachiuria, amenorrea e una quantità di altri
sintomi”.
Bleuler, 1943
I Sintomi Somatici
•
•
•
•
•
•
•
•

Bonhoffer 1912 Nevrastenia
Kraepelin 1918 Psicosi Maniaco-depressiva
Lange 1928 Depressione mascherata
Hempel 1937 Depressione da disfunzione autonomica
Lemke 1949 Depressione nervosa autonomica
Kielholz 1957 Depressione da esaurimento, psicogena
Wieck 1968 Depressione malinterpretata
Kielholz 1973 Depressione mascherata
VISSUTI CORPOREI NELLA DEPRESSIONE E
NELL’ANSIA
• I vissuti corporei in corso di depressione e
ansia possono assumere caratteristiche tali da
essere palesemente discrepanti dalla
valutazione oggettiva, fonte di sofferenza
soggettiva e di limitazione funzionale.
• Tali vissuti a carattere patologico hanno quasi
sempre una tonalità negativa, di dolore,
malfunzionamento, oppressione, pesantezza.
DISTURBI
SOMATOFORMI
( D.S.M. IV )
La caratteristica comune dei Disturbi
Somatoformi è la presenza di sintomi fisici che
fanno pensare ad una condizione medica
generale, da cui il termine somatoforme, e che
non sono invece giustificati da una condizione
medica generale, dagli effetti diretti di una
sostanza, o da un altro disturbo mentale (per
es. il Disturbo di Panico).
• I sintomi devono causare significativo disagio
o menomazione nel funzionamento sociale,
lavorativo, o in altre aree. A differenza dai
Disturbi Fittizi e dalla Simulazione, i sintomi
fisici non sono intenzionali (cioè sotto il
controllo della volontà).
• I Disturbi Somatoformi differiscono dai Fattori
Psicologici che influenzano le Condizioni Mediche
per il fatto che non vi è nessuna condizione medica
generale diagnosticabile a cui possano essere
pienamente attribuibili i sintomi fisici. Il
raggruppamento di questi disturbi in una unica
sezione è basato sulla utilità clinica (cioè la
necessità di escludere condizioni mediche generali
occulte o eziologie legate all’effetto di sostanze per
i sintomi fisici), piuttosto che su convinzioni
riguardanti un meccanismo patogenetico o una
eziologia comuni. Questi disturbi vengono spesso
riscontrati nelle consultazioni mediche generali.
• 1 DISTURBI DI SOMATIZZAZIONE
Interessamento prevalente del sistema neurovegetativo

• 2 DISTURBI DI CONVERSIONE
• Interessamento prevalente del sistema muscolare volontario

• 3 IPOCODRIA
• Interessamento prevalente della ideazione e del pensiero
1– Disturbo di Somatizzazione (storicamente
collegato all’Isteria o Sindrome di Briquet): è
un disturbo polisintomatico che comincia
prima dei 30 anni, che dura per più anni, e che
è caratterizzato dalla associazione di dolore e
sintomi gastro-intestinali, sessuali e pseudoneurologici;
• 2– Disturbo di Conversione: comporta sintomi
ingiustificati di deficit pseudoneurologici
riguardanti le funzioni motorie volontarie e
sensitive, i quali potrebbero suggerire una
condizione neurologica o medica generale;
fattori psicologici appaiono collegati con i
sintomi o i deficit;
• 3– Ipocondria: è la preoccupazione legata al
timore di avere, oppure alla convinzione di
avere una grave malattia, basata sulla erronea
interpretazione di sintomi o funzioni
corporee;
• – Disturbo Algico: è caratterizzato dal dolore
come punto focale principale della alterazione
clinica. Inoltre vi è motivo di ritenere che
qualche fattore psicologico abbia un
importante ruolo nell’esordio, gravità,
esacerbazione o mantenimento;
• La linea d’ombra della medicina

U.M.S. o

Unexplained
Medical
Simptoms

•Sintoni “sine materia
• o sintomi funzionali
• IN REALTA’ :

• L’ASSOCIAZIONE TRA DISTURBI DELL’UMORE E DOLORE SOMATICO E’
IN REALTA’ PRESENTE NEL 85% DEI PAZIENTI…
• NEI PAZIENTI CON SINTOMATOLOGIA CLINICA CLASSICA E’ SPESSO
TRASCURATA LA DIMENSIONE CORPOREA PER LA PREVALENZA DEI
SINTOMI DELLA DIMENSIONE PSICHICA .
• NEI PAZIENTI CON SINTOMATOLOGIA DEPRESSIVA SOTTOSOGLIA E’
MOLTO SPESSO IN PRIMO PIANO L’ASTENIA PSICOFISICA E RELATIVE
SOMATIZZAZIONI
• Il Sistema Limbico è in primo luogo implicato
nella genesi della fisiopatologia dei Disturbi
Affettivi ( ANSIA e DEPRESSIONE).
• Infatti le due dimensioni sintomatologiche
sono sempre associate e presenti in varia
proporzione in ogni quadro clinico
LA MOTIVAZIONE

• I) Il concetto di Motivazione o Comportamento motivato
(pulsione) è stato introdotto in Psicologia dopo gli studi di W.
James, C. L. Hull e S. Freud. Con esso si deve intendere tutto ciò
che spinge l'essere umano a perseguire determinati scopi. Esso
quindi è lo studio del "perché" delle azioni.
• II) Tutte le forme di motivazione, siano esse biologiche (p.es.
ricerca del cibo) o psicologico-affettive, implicano sempre la
mobilitazione di una quantità più o meno grande di energia per il
conseguimento di uno scopo (bisogni-desideri). La Psicologia
studia le diverse forme di motivazione, ovvero il nesso tra certi
comportamenti e l'ambiente.
• III) Una motivazione si manifesta quando per una qualsiasi ragione
si è perso uno stato di equilibrio, e permane sino a quando
l'equilibrio non si è ristabilito. P.es. dopo un certo numero di ore di
digiuno intervengono dei meccanismi che ci segnalano la necessità
di reintegrare il cibo metabolizzato.
2003 1 psicologia
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2003 1 psicologia

  • 1. Prof. Dott. Riccardo Simoni Medico Chirurgo Psichiatra Psicoterapeuta Specialista in Cefalea e Emicrania Professore a Contratto Università degli Studi di FIRENZE Professore a Contratto Università degli Studi di CHIETI Socio Accademia Italiana di Posturologia A.I.P.
  • 2. Che cos’è la Psicologia? • La psicologia è: Lo studio scientifico dell'attività psichica individuale e sociale in rapporto all'ambiente in cui essa si manifesta; L’oggetto di studio quindi sono sia il comportamento o linguaggio che è espressa dalla la personalità (intesa come unità psico-fisica). OGGETTO della Psicologia. sono i processi psichici (sensazioni, percezioni, rappresentazioni, pensiero, sentimento...). • La Psicologia studia anche la formazione delle proprietà psichiche dell'uomo (esigenze, interessi, attitudini, capacità, abitudini, temperamento, carattere, personalità...). Ciò in quanto gli aspetti somato-psichici sono considerati inscindibili.
  • 3. Che cos’è la Psicologia? • Etimologia Il termine psicologia ha origini nel greco antico : essa infatti deriva dalla parola psyché (ψυχή), che significa spirito, anima e da logos (λόγος), che significa discorso, parola. Da qui si evince che la psicologia è lo studio dello spirito e dell'animo umano e ha anche la variante di "scienza della mente". Questo termine sarebbe stato utilizzato per la prima volta nel lontano 1520 da Filippo Melantone.
  • 4. Che cos’è la Psicologia? L'attività psichica è sempre un riflesso della realtà oggettiva (ambientale, cioè naturale e sociale), ma è anche condizione indispensabile dell'azione del soggetto sulla stessa realtà oggettiva. Ovvero, attraverso l'azione psichica l'uomo può trasformare la realtà e, trasformandola, trasforma contemporaneamente se stesso. Ad es. un ragazzo può diventare tossicodipendente se gli amici già lo sono, se la sua famiglia è in crisi, se la scuola o la società non lo soddisfano ("coscienza passiva"), ma anche in presenza di questa "dipendenza" (frutto di un "disagio") egli può acquisire, se aiutato o autonomamente, la consapevolezza di come le cose (il "disagio") possono cambiare e, cominciando a cambiarle, egli può superare col tempo la propria "dipendenza" ("coscienza attiva").
  • 5. Naturalmente si può parlare di "azione dell'uomo" significativa quando essa è cosciente. Al di fuori della riflessione cosciente non può esserci nemmeno l'attività specificamente umana. La presenza della coscienza nell'attività umana è ciò che distingue la psicologia dalla biologia e dalla fisiologia. Si parla quindi di coscienza attiva, che si esprime nelle scienze, nelle tecniche e nelle arti. (A ciò -come noto- si oppone la psicanalisi, specie quella freudiana, che attribuisce all'inconscio un valore superiore a quello della coscienza).
  • 6. Che cos’è la Psicologia? • In sintesi: compito della Psicologia è la conoscenza delle leggi dell'attività psichica, dello sviluppo della coscienza dell'uomo, della formazione delle qualità psichiche dell'individuo. • Fino al 1870-80 la Psicologia è esistita come unica disciplina priva di sezioni ben definite; in seguito si sono formate le seguenti sezioni: • p. generale, • p. dell'infanzia o evolutiva, • p. pedagogica, p. del lavoro, p. dell'arte, p. dello sport, p. delle anomalie (sordomuti, ecc.), p. patologica (nevrosi/psicosi), p. spaziale, ecc.
  • 7. Che cos’è la Psicologia GENERALE? • • • La psicologia generale, spesso anche chiamata psicologia sperimentale, rappresenta la corrente principale della ricerca scientifica sulle funzioni psicologiche di base, e si prefigge di studiare con metodologia sperimentale la mente e il comportamento. Utilizzando tuttora metodiche classiche della psicologia sperimentale, come le metodologie di derivazione comportamentista, la misurazione dei tempi di reazione o le tecniche psicometriche, la psicologia generale si focalizza notevolmente sui processi cognitivi, e quindi rappresenta il contesto epistemico principale per gli studi di psicologia cognitiva di tipo sperimentale. La psicologia generale è inoltre in parte influenzata dai progressi delle neuroscienze, e spesso la ricerca in questo settore non è disgiunta dall'utilizzo di metodiche non originariamente psicologiche, come le tecniche elettrofisiologiche (ad esempio gli ERPs, nello studio dei processi cognitivi), o le tecniche di neuroimmagine, sempre allo stesso scopo. Queste ultime però sono utilizzate maggiormente in neuropsicologia. Una recente tendenza della psicologia sperimentale vede la diffusione della simulazione dei processi cognitivi al computer.
  • 8. Che cos’è la Psicologia? • La psicologia generale non è assolutamente una sorta di "riassunto" di tutti i settori della psicologia. Essa rappresenta invece un ben specifico ambito di studio, con una specifica metodologia ed un quadro epistemologico di riferimento; si deve quindi distinguere la "psicologia generale" dalla "psicologia in generale". • I classici manuali di psicologia generale trattano quindi gli argomenti specifici di tale settore di ricerca, e non sono solitamente "trattazioni esaustive" di tutti gli ambiti psicologici.
  • 9. Un altro criterio di classificazione delle varie psicologie è il seguente: • A) Psicologia generale (comprende quella umana e comparata, oggi ulteriormente suddivisa in psicologia "dell'età evolutiva", "dell'età media" e "dell'età senile"). Gli argomenti della psicologia generale sono: percezione, apprendimento, memoria, linguaggio, pensiero, motivazione, personalità, comportamento sociale, emotività, affettività. B) Psicologia differenziale (comprende settori quali: differenze/somiglianze tra individui di diversa età, sesso, classe sociale, caratteristiche fisiche, ecc.). C) Psicologia applicata (comprende la psicologia scolastica, del lavoro, medica, dei mass-media, ecc.).
  • 10. CHE COS’E’ la Psicologia Clinica • La psicologia clinica è una delle principali branche teorico-applicative della psicologia • La psicologia clinica è una delle principali branche teorico-applicative della psicologia. • Comprende lo studio scientifico e le applicazioni della psicologia in merito alla comprensione, prevenzione ed intervento nelle problematiche psicologiche e relazionali individuali, famigliari e gruppali, compresa la gestione di molte forme di psicopatologia. • Il termine "clinico" non si esaurisce appunto, come erroneamente a volte si ritiene, nella pratica psicoterapeutica. Esso deriva dal greco clinè (letto), e nella prospettiva medica stava ad indicare la cura fornita al capezzale del malato.
  • 11. La Psicologia Clinica Il termine "clinico" in medicina è diventato sinonimo di intervento terapeutico e quindi viene riferito alla patologia: in psicologia il termine conserva l'originario significato di cura individuale e viene applicato indipendentemente da un'eventuale patologia del soggetto. Esso corrisponde al "prendersi cura di" (to care) piuttosto che al "curare" (to heal) e quindi è applicato anche nelle situazioni di normalità, per migliorare il soggetto. Il doppio significato del termine, nella medicina rispetto alla psicologia, ha dato origine a non pochi equivoci sul ruolo della Psicologia Clinica stessa nelle sue applicazioni
  • 12. La Psicologia Clinica • Oggetto e metodi • Assetti centrali della sua pratica sono la psicodiagnostica e l'intervento psicoterapeutico, che ne rappresenta uno sviluppo specialistico rivolto soprattutto alla presa in carico delle situazioni ove è presente una psicopatologia strutturata. In un senso più ampio, l'operato dello psicologo clinico si rivolge alla prevenzione primaria delle condizioni di disagio personale e relazionale; all'identificazione precoce delle problematiche o patologie; al corretto inquadramento dei fattori psicologici, personologici, famigliari, relazionali e contestuali che generano e mantengono il disturbo; alla gestione clinica, tramite colloqui e tecniche di sostegno psicologico, delle principali tipologie di difficoltà; all'abilitazione/riabilitazione nelle problematiche non integralmente risolvibili; al sostegno all'uscita da una crisi di decisionalità da parte del paziente.
  • 13. La Psicologia Clinica • Comprende lo studio scientifico e le applicazioni della psicologia in merito alla comprensione, prevenzione ed intervento nelle problematiche psicologiche e relazionali individuali, famigliari e gruppali, compresa la gestione di molte forme di psicopatologia.
  • 14. La Psicologia Clinica • La psicologia clinica è caratterizzata, altresì, non solo dai suoi possibili ambiti di applicazione, ma anche dall'assunzione di un particolare vertice esplorativo, e di una specifica metodologia conoscitiva e d'intervento. In particolare essa può essere connotata come scienza idiografica, quindi volta allo studio di ogni singolo caso nella sua unicità.
  • 15. La Psicologia Clinica • La cornice epistemologica psicologico-clinica sottolinea: • La stretta interrelazione individuo-contesto, che vede l'oggetto d'analisi come incomprensibile senza considerare la rete relazionale ed ambientale nel quale è inserito; • La centralità della relazione tra clinico e consultante; • L'importanza di un setting adeguato, co-costruito, che dia la possibilità di attribuire un senso alla relazione; • Il cambiamento, non più visto esclusivamente come "cura", ma come sviluppo dell'individuo verso modalità simbolico-rappresentazionali, e quindi comportamentali-relazionali, che possano essere più funzionali al suo contesto di vita.
  • 16. Breve storia della Psicologia
  • 17. Breve storia della Psicologia • Nonostante la psicologia nasca ufficialmente nell'Ottocento, alcuni dei temi di cui si occupa erano già stati trattati in epoche precedenti. Ad esempio, Platone ipotizzò che la psiche fosse divisa in 3 parti. La prima, identificata con il cocchiere di un carro, era pienamente cosciente e cercava di guidare le altre due parti: una dipendente dai valori etici e razionali (cavallo bianco) e l'altra dagli impulsi (il cavallo nero) (Vedi Mito del carro e dell'auriga). Questa distinzione assomiglia a quella di Io-Super Io-Es poi elaborata da Freud molti secoli dopo. Ippocrate e Galeno cercarono invece di trovare delle relazioni tra fenomeni fisici dell'organismo e fenomeni psichici dell'individuo che, seppur scientificamente infondate, hanno gettato le basi concettuali per lo sviluppo della psicofisiologia. Un ultimo esempio può essere invece lo stretto legame che esiste tra la filosofia atomista greca e la teoria strutturalista della scuola di Wundt e Titchener di cui si parlerà in seguito. Tutto ciò permise di intendere la psicologia come scienza naturale.
  • 18. Breve storia della Psicologia Ulteriori sviluppi vennero in seguito ostacolati da alcune concezioni religiose, secondo le quali i processi della mente riguardano la natura dell’anima e sono dunque oggetto di indagine teologica. Ma durante il Seicento, l'empirismo inglese propose un valido oggetto di studio per la scienza: spiegare come le conoscenze vengono acquisite e organizzate. Secondo tale teoria infatti, i contenuti della mente di un individuo non sono innati, ma vengono appresi attraverso l'esperienza. Nonostante la psicologia moderna abbia abbandonato l'innatismo, l'empirismo ha avuto come merito di stimolare l'elaborazione di una teoria sull'apprendimento (in quanto acquisizione di conoscenze). Esse facevano riferimento soprattutto all'apprendimento come formazione di associazioni tra eventi e idee temporalmente contigui (si noti che in caso di idee simili, in contrasto tra loro, o legate da un rapporto di causazione, esse tendono ad essere evocate assieme, in momenti quindi temporalmente contigui, e dunque ad essere associate).
  • 19. Breve storia della Psicologia • La fondazione della Psicologia Scientifica Contemporanea viene fatta risalire al 1878, allorché Guglielmo Wundt, a Lipsia, istituì un laboratorio di psicologia sperimentale. Egli infatti configurava la psicologia come una "scienza di laboratorio", con specifici problemi e metodi sperimentali, assai diversi da quelli della tradizionale psicologia di derivazione filosofica (connessi generalmente a speculazioni astratte). Il testo che ha fondato scientificamente questa disciplina è Psicologia fisiologica (1874). Il primo Congresso Internazionale di Psicologia, in cui si è legittimata la scientificità di questa disciplina, è stato quello di Parigi del 1889.
  • 20. La nascita della psicologia • • La nascita convenzionale della psicologia è stata fissata al 1879, quando il fisiologo tedesco Wilhelm Wundt aprì il primo laboratorio di psicologia a Lipsia. I suoi studi erano legati ai principi dell'empirismo inglese, secondo il quale era possibile studiare la struttura dei contenuti della mente perché alla nascita la psiche è paragonabile a una tabula rasa. Quindi la mente è al principio vuota e si impara a percepire man mano che si fa esperienza del mondo esterno. Secondo Wundt, le percezioni sono formate da atomi (elementi più semplici) che si combinano assieme (associazionismo atomico); una sorta cioè di chimica mentale in cui la percezione di un oggetto è formata da un insieme di sensazioni differenti che vengono assemblate in seguito per formare il percetto. L'oggetto dei suoi studi era dunque scoprire sotto quali regole si combinano le sensazioni. Per fare ciò, egli chiedeva ai propri collaboratori di scorporare il percetto e cercare di elencare tutte le sensazioni singole che lo compongono attraverso l'introspezione (cioè l'auto-osservazione dei propri contenuti mentali). In questa situazione l'osservato e l'osservatore coincidevano. Edward Titchener, allievo di Wundt, è considerato il fondatore del strutturalismo. L'interesse di tale scuola è scoprire la struttura della mente in modo simile a quello degli studi di Wundt. Gli sperimentatori del strutturalismo si esercitavano nell'introspezione esperta. Essa consisteva nella riduzione dei propri processi mentali in atomi, cercando di evitare l' errore dello stimolo (cioè attribuire ad una percezione complessa lo status di atomo), similmente a quanto faceva Wundt nei suoi esperimenti.
  • 21. Breve storia della Psicologia • Come accennato sopra, alcune delle problematiche della psicologia erano già state in qualche modo affrontate anche prima dell'Ottocento, ma fu allora che vennero riunite in un unico campo di studio. In quel periodo il positivismo aveva influito su molti studi scientifici, attribuendo al ricercatore il compito di scoprire le leggi che regolano i fenomeni osservabili. Questo rimase valido finché si ritenne scontato che esistesse un mondo oggettivo al di fuori dell'osservatore pressoché immutato nel tempo e a completa disposizione dello sperimentatore per le proprie indagini. Postulato ciò, i fenomeni che la scienza studiava erano oggettivi, cioè osservabili da qualunque osservatore messo in certe condizioni, e, basandosi su leggi naturali, si ripetevano in maniera prevedibile. Dunque, secondo queste premesse epistemologiche, la psicologia non poteva essere considerata una scienza a tutti gli effetti, in quanto assomigliava molto di più alla filosofia sia per metodologia sia per oggetto di studio. Infatti essa studiava prevalentemente fenomeni non direttamente osservabili e non prevedibili in maniera certa, che obbediscono a regole probabilistiche piuttosto che a leggi assolute.
  • 22. Nel XIX secolo quindi gli studi psicologici si limitarono agli aspetti osservabili su base fisiologica e biologica, che poi si rivelarono fondamentali per l'evoluzione della psicologia come scienza. • • • Scuola tedesca Il fisico e fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz (1821-94) studiò la velocità di conduzione delle fibre nervose. Egli scoprì quel processo che viene chiamato arco riflesso. Uno stimolo in una parte periferica del corpo viaggia nelle fibre nervose afferenti verso il sistema nervoso centrale, dove lo stimolo viene analizzato e viene elaborata una risposta, che a sua volta verrà trasmessa dalle fibre nervose deferenti verso il punto in cui la risposta deve essere riprodotta. Questo meccanismo descrive come avvengono risposte semplici a stimoli, soprattutto sensoriali, producendo un riflesso. Il tempo che intercorre tra stimolo e risposta si chiama tempo di reazione. Fin dalle origini questo è stato l'unico metodo di misurazione oggettiva a disposizione della psicologia. Infatti l’attività del sistema nervoso non è direttamente osservabile, ma causa variazioni in un parametro fisico, cioè il tempo, che è invece osservabile ed oggettivo. Il medico e fisiologo olandese Franciscus Donders (1818-89) fece un passaggio successivo, intuendo che ci sia una relazione precisa tra il tempo di reazione e quello che succede all'interno dell'organismo, ovvero che a tempi di reazione più lunghi corrispondano operazioni più complesse (o, equivalentemente, che diversi compiti hanno livelli di complessità uguali se hanno tempo di reazione uguale). Da questa ipotesi elaborò un metodo, chiamato metodo sottrattivo, per misurare in maniera differenziale i tempi di reazione. Prendiamo ad esempio il caso in cui ad un organismo venga presentato un unico stimolo. Il tempo necessario per rispondere a tale stimolo venga chiamato TRa. Adesso si immagini che allo stesso organismo vengano presentati stimoli diversi e venga chiesto di produrre risposte diverse in corrispondenza di ciascuno stimolo. Il tempo misurato tra lo stimolo e la sua relativa risposta lo si chiami TRb. Nell'ultimo esempio si immagini invece di somministrare diversi stimoli ma l'organismo deve produrre una risposta solamente ad uno di questi, e si chiami questo tempo TRc. Donders scoprì che TRa < TRb < TRc e fece le seguenti ipotesi: – • TRb-TRa = tempo necessario per distinguere tra stimoli; TRc-TRa = tempo necessario per distinguere tra risposte
  • 23. Scuola riflessologica russa • Secondo questa scuola, il cui esponente principale fu Ivan Pavlov, non sono solo le risposte motorie ad essere basate sul processo dell'arco riflesso scoperto da Helmholtz, ma anche i comportamenti più complessi sono fondamentalmente dei riflessi: a partire da pochissimi riflessi innati (ad esempio la suzione o la prensione) si sviluppano tutti i riflessi più complessi attraverso il fenomeno del condizionamento. Pavlov studiò dei riflessi semplici, come la salivazione.
  • 24. Scuola psicofisica • Lo sforzo di tale scuola fu quello di studiare le relazioni tra variazioni nel mondo fisico, e variazioni nel mondo percepito (che il soggetto descrive). La legge sulla costanza della soglia differenziale di Weber e Fechner, rappresenta un caso esemplificativo degli obbiettivi della scuola psicofisica. Essi scoprirono che per alcuni stimoli la percezione della differenza di due variabili fisiche osservabili oggettivamente non corrispondeva alla variazione assoluta, ma ad una variazione proporzionale alle quantità interessate; ovvero che a uguali differenze fisiche non corrispondono uguali differenze percepite, e quindi che ciò che conta per la percezione non è la differenza tra le intensità di due fenomeni fisici, ma il rapporto.
  • 25. PSICOLOGIA DELLA FORMA o GESTALT • In Germania, intorno al 1920, sorse un altro importante orientamento: la PSICOLOGIA DELLA FORMA (o GESTALT, che significa "immagine", "forma globale", "struttura"). Fondatore: Max Wertheimer (1880-1943). Principio fondamentale della Gestaltpsicologia è la globalità dei processi psichici (percezioni, memoria, pensieri...) che si avrebbe non sotto l'influenza di cause esterne, ma in virtù di leggi interiori presenti in tali processi. Ad es. la percezione non è il risultato della somma di tante singole sensazioni, ma un evento immediato che si presenta all'esperienza soggettiva come un tutto inscindibile nelle sue parti.
  • 27. Il Pensiero E’ la facoltà di conoscere e comprendere gli aspetti generali e universali delle cose, senza dipendere immediatamente, e di volta in volta, dalle singole cose e dagli aspetti isolati con cui esse ci appaiono. Si tratta cioè della capacità di cogliere il reale per "astrazione". Ad es. con la parola "mela" possono essere comprese e identificate tutte le mele del mondo, anche se ogni mela può essere diversa dall'altra. Inoltre col concetto di "mela" s'intende un vasto complesso di elementi strettamente integrati: forma, colore, volume, peso, ecc.
  • 28. Il Pensiero Il pensiero è presente in ogni fenomeno cosciente: è l'attività che percepisce, elabora ricordi, coordina immagini, astrae, compara, giudica, ragiona. 1).Abbiamo un pensiero percettivo che ci mette in contatto con gli avvenimenti che accadono in noi e nel mondo esterno; 2)un pensiero immaginativo che ci rappresenta i dati percepiti o evocati dal passato; 3)un pensiero associativo che stabilisce un certo ordine tra i vari fenomeni psichici; 4)un pensiero affettivo che elabora le manifestazioni della nostra affettività; 5)un pensiero volitivo che presiede ad ogni azione volontaria.
  • 29. Il Pensiero Il pensiero si eleva al di sopra del mondo delle percezioni per formare schemi generali che sono i concetti; esso afferra relazioni e trasforma il materiale fornito dai ricettori sensoriali in un sistema di giudizi, attraverso un processo di analisi e sintesi (ragionamenti).
  • 30. Il Pensiero • La formazione dei concetti. Presupposto necessario alla formazione del ragionamento è il concetto: termine con cui ci si riferisce ad un simbolo astratto e generale che racchiude tutte le caratteristiche più rilevanti, comuni a un gruppo determinato di oggetti o eventi. I concetti si formano perché il nostro pensiero separa nella realtà quello che è utile o essenziale da ciò che è superfluo, ovvero le caratteristiche costanti da quelle variabili. Noi riconosciamo e classifichiamo gli oggetti sulla base dei concetti. Questo processo di schematizzazione dei dati percettivi rappresenta una grande economia di energia e di pensiero. Se dovessimo affrontare ogni oggetto o situazione come se fossero unici e irripetibili, saremmo sopraffatti dalla realtà. I due processi fondamentali per giungere alla formazione di un concetto sono quindi l'astrazione e la generalizzazione.
  • 31. Il Pensiero • Il pensiero come giudizio. Si parla di giudizio esplicito quando dalla percezione (che di per sé può anche costituire un giudizio implicito) si passa ad una riflessione cosciente, espressa verbalmente o per iscritto o in maniera gestuale. L'attività giudicativa consiste nel riunire due percezioni o due immagini o due concetti, stabilendo tra loro un rapporto. Giudicare significa congiungere due termini con una affermazione, o separarli con una negazione. Ad es. il viso di una persona incontrata ci fa venire in mente quello di un'altra persona: questa associazione per somiglianza, per diventare giudizio, richiede che il pensiero decida la verità o la falsità dell'asserzione. Il giudizio presume sempre una qualche certezza, o in positivo o in negativo.
  • 32. Il Pensiero • Il pensiero come ragionamento. Quando da uno o più giudizi ricaviamo la validità di un altro giudizio (l'affermazione di un nuovo rapporto), noi elaboriamo un ragionamento. Stabilito un punto di partenza, si cerca di arrivare a un punto di arrivo. Il giudizio di conclusione scaturisce dalle premesse, considerate come evidenti, e dai rapporti logici con altri giudizi che si fanno nel corso del ragionamento. Il passaggio da un giudizio all'altro costituisce il processo della ragione, che è appunto una serie coordinata di giudizi in un tutto organico. Dai dati particolari passiamo, con un procedimento induttivo, ai principi generali e dai principi generali, con un procedimento deduttivo, passiamo alle conseguenze particolari; oppure procediamo per somiglianze, ma il procedimento per analogia non è rigoroso.
  • 33. Il Pensiero Il pensiero nell'età evolutiva. Il pensiero si struttura durante l'età evolutiva, in rapporto alla progressiva maturazione fisica e psichica dell'individuo. • Nell'infanzia la vera attività intellettuale non è ancora comparsa: il pensiero è sorretto da uno schematismo pre-logico, legato ai dati immediati della percezione. Il bambino inizia a ragionare con la forma analogica, che risponde al primo bisogno di "prova", cioè con un procedimento di verosimiglianza che va da un particolare a un altro particolare, detto "transduttivo" (aldilà della deduzione). Questo pensiero difetta di analisi, è irreversibile, unidirezionale. • Il fanciullo invece confronta gli oggetti tra loro e ci ragiona sopra, nota le caratteristiche comuni e differenti, intravede nuovi rapporti, pur nei limiti dell'immediato presente. • L'adolescente supera il ragionamento concreto del fanciullo, basato unicamente sulle azioni e sulla realtà, e sconfina nel campo del pensiero puro, della logica formale (aritmetica, matematica, geometria ecc.), dando così inizio al ragionamento ipoteticodeduttivo, svincolato da ogni dipendenza dal reale.
  • 34. Il Pensiero Caratteristiche essenziali del pensiero logico • Un pensiero sensoriale è concreto, un pensiero intellettuale è astratto. La capacità di astrazione permette di cogliere l'essenziale di un tutto, di analizzare il tutto nelle sue parti e di riunirle nell'unità della sintesi. Un pensiero logico ha la capacità di riflettere sulle proprietà comuni delle cose, di schematizzarle nella struttura del concetto e di ordinare i concetti in un serie gerarchica, secondo il loro grado di astrazione. Solo attraverso il pensiero logico il soggetto si rende conto di sé e rende conto di sé agli altri. • Da ricordare anche il pensiero intuitivo, che ci permette di cogliere la verità non col ragionamento, ma con una specie di illuminazione interna, improvvisa, inconscia. Questo pensiero spesso lo si ritrova (unito al pensiero logico) a capo di molte scoperte scientifiche, ma soprattutto nel campo artistico e religioso. • Ovviamente l'articolazione del pensiero presuppone l'uso della parola, sia essa pensata, parlata, scritta o espressa col linguaggio dei sordomuti. Senza il linguaggio che socializza i pensieri, non sarebbe possibile pensare, come senza pensiero sarebbero impossibili il linguaggio interiore ed esteriore. Il pensiero precede, anzi crea la parola, ma la parola, a sua volta, è creatrice di pensiero, perché la parola creata torna al pensiero, lo precisa, lo arricchisce, lo sviluppa.
  • 35. Il Pensiero Il pensiero produttivo • Il pensiero produttivo è quella forma di ragionamento che entra in azione ogni volta che ci troviamo di fronte a una situazione problematica, possibile di soluzione, ma tale da non presentare possibilità di soluzioni immediate e da non permettere nemmeno l'impiego di schemi di comportamento abituali. Tale situazione, se risolta, porta in genere a una nuova conoscenza. • Su questa particolare forma di pensiero è da vedere il contributo offerto dagli studi sulla psicologia animale compiuti da Kohler (uno dei maggiori esponenti della psicologia della percezione). • Le sue numerose osservazioni possono essere ricondotte a questo schema: un animale è affamato e quindi motivato a prendere cibo; questo non può essere raggiunto direttamente; per farlo l'animale deve risolvere un piccolo problema (p.es. aggirare la gabbia, utilizzare delle cassette o dei bastoni). I risultati mostrano che lo scimpanzé giunge alla soluzione mediante un'improvvisa riorganizzazione del campo psicologico (ciò soprattutto avviene nel momento in cui, p.es., il bastone cambia di significato e diviene da oggetto per giocare a strumento). • .
  • 36. Il Pensiero • Normalmente le difficoltà che impediscono di ottenere la soluzione di un determinato problema sono legate alla tendenza propria del pensiero umano a ricercare dei metodi risolutivi già sperimentati per problemi analoghi. • A volte risulta difficile vedere altre proprietà o funzioni in un oggetto che è sempre stato utilizzato in una determinata maniera (p.es. una bottiglia che in una situazione d'emergenza può anche essere vista come "candeliere"). • Quando questa fissità dovuta all'abitudine è tale da precludere con un certa forza la soluzione dei problemi, si parla di rigidità mentale. • Tuttavia l'individuo, a differenza dell'animale, può distaccarsi dalla situazione, mettersi al di fuori della presenza reale degli oggetti, al fine di cercare la giusta soluzione. In lui si realizza il ragionamento che è reso possibile in quanto ha raggiunto il pensiero concettuale
  • 37. Il Pensiero Il pensiero onirico o pensiero analogico • Freud è stato il primo ad occuparsi seriamente dei sogni in maniera del tutto nuova rispetto alle teorie mediche precedenti. Egli riteneva che il sogno, come il lapsus, doveva essere considerato come un fenomeno psichico finalizzato a soddisfare un desiderio inconscio attraverso un'allucinazione visiva che assume il carattere di realtà. • Il sogno è una forma particolare di pensiero in cui non ci sembra di pensare bensì di vivere, accettando in buona fede delle allucinazioni. • I pensieri vengono trasformati in immagini (per lo più visive): le rappresentazioni delle parole vengono trasposte in rappresentazioni di cose concordanti, che divengono consce come percezione sensoriale. • Nel sogno agisce la censura che maschera il materiale inconscio prima che possa accedere alla coscienza sotto forma di sogno. Se il desiderio rimosso non ha una sufficiente copertura, il sogno è regolarmente accompagnato da angoscia, che interrompe il sonno. • Il pensiero onirico segue una logica diversa dal pensiero vigile, creando contatti e legami e coincidenze anche quando non esistono o sono irreali. Le scene visive che costituiscono il sogno rappresentano il contenuto manifesto, dall'analisi del quale si può risalire al contenuto latente.
  • 39. La Memoria S'intende per "memoria" la capacità di conservare e ricordare le precedenti esperienze. È la memoria che permette la continuità della vita interiore, facendo sopravvivere il passato: senza memoria avremmo solo la percezione del presente. Come potrebbe, ad es., un telegramma che ci comunica la morte di una persona cara avere di per sé la forza sufficiente per commuoverci? La memoria quindi non è solo una funzione specifica da educare con l'esercizio, ma anche una condizione generale di tutta la struttura psichica dell'essere umano.
  • 40. La memoria Memoria/Adattamento. La memoria serve per acquisire informazioni utilizzabili ai fini di un adattamento sempre migliore all'ambiente. Questa funzione cognitiva è tanto più importante quanto più si sale la scala zoologica. Gli animali inferiori, infatti, affidano il loro adattamento alla memoria genetica, cioè a quanto trasmesso ereditariamente (in termini fisiologico-biochimici) dai progenitori, e rispondono agli stimoli ambientali quasi esclusivamente con schemi prefissati (innati o istintivi) di comportamento. Gli animali superiori invece possono programmare in modo creativo-inventivo il loro comportamento, sulla base delle informazioni memorizzate nel corso della loro propria esperienza, giungendo persino (nel caso dell'uomo) a modificare l'ambiente secondo le proprie esigenze.
  • 41. La Memoria Memoria/Apprendimento. La memoria non è la stessa cosa dell'apprendimento. Quest'ultimo presuppone la capacità di conservare una precedente esperienza e indica la capacità di modificare un comportamento in rapporto a quanto si è appreso. P.es., se un insegnante esige l'acquisizione corretta di 10 formule matematiche, impegna la memoria di uno studente; se poi propone la soluzione di un problema chiedendo di applicare quelle formule, esige l'intervento di un apprendimento. Quindi l'apprendimento serve per scoprire o applicare delle leggi generali di azione nei fatti particolari. Si potrebbe anche dire che la memoria rende testimonianza al passato, mentre l'apprendimento dà un valore al passato, per comprendere il presente e progettare il futuro. Il fatto di avere una grandissima memoria non sta di per sé ad indicare che si è capaci di apprendimento (in quanto anche i deficienti mentali possono avere una spiccata capacità mnemonica). In sostanza, l'apprendimento lo si verifica nel momento in cui il soggetto deve manifestare il proprio comportamento per adattarsi a un ambiente mutato.
  • 42. La Memoria I fattori che influenzano l'acquisizione e la conservazione del materiale memorizzato per un periodo di tempo più o meno lungo, sono: • Fattori relativi al soggetto. Uno stato di stanchezza o dolore ostacola l'apprendimento. Viceversa, la motivazione interiore, la novità del materiale da memorizzare, l'interesse per l'argomento favoriscono l'apprendimento. Qui si può far notare che il rendimento aumenta sino all'età di 20 anni, poi diminuisce sino a 60 anni, età in cui la media del rendimento è pari a quella dei ragazzi di 11 anni. • Fattori relativi al materiale da memorizzare. Si ricorda più facilmente e più a lungo un materiale dotato di significato, organizzato, raffigurante oggetti concreti (ad es. la melodia di una canzone o un brano di prosa si apprendono meglio di un insieme di note o di parole slegate; una serie di numeri che seguono uno schema logico meglio di una serie di numeri a caso; le figure meglio delle parole; le parole "concrete" meglio di quelle "astratte", ecc.);
  • 43. La Memoria • Fattori relativi alla pratica o all'esercizio. Vi sono, in questo campo, varie tecniche operative per la memorizzazione: – il superapprendimento (cioè quando un determinato materiale viene ripetuto di continuo, a intervalli di tempo crescenti, finché non viene completamente e definitivamente fissato. È noto, in tal senso, che molte attività praticate con costanza per un certo periodo di tempo e poi abbandonate, se vengono riprese sono riattivabili con estrema facilità); – l'esercizio concentrato (è una variante del superapprendimento: la differenza sta negli intervalli di tempo, che in questo caso si susseguono a ritmo uniforme); – l'esercizio frazionato (qui le prove di apprendimento sono intervallate con delle fasi di riposo. La memorizzazione si ottiene più facilmente che non con l'esercizio concentrato); – l'apprendimento globale (consiste nel memorizzare un materiale nella sua totalità in ogni prova effettuata: ad es. di una poesia di quattro strofe si ripetono ogni volta tutte e quattro le strofe); – l'apprendimento parziale (consiste nel memorizzare un materiale suddividendolo in tante parti da apprendere isolatamente ad ogni prova: ad es. di una poesia di quattro strofe si ripete la prima finché non la si è appresa, poi la seconda e così via); – l'apprendimento incidentale (che si verifica quando memorizziamo senza averne l'intenzione, purché ci sia l'abitudine all'apprendimento volontario: p. es. ad un soggetto si presenta una serie di figure geometriche regolari, ognuna diversamente colorata, e gli si chiede di anticipare il nome delle diverse figure che si presentano in successione -triangolo, quadrato, ecc.-, finché non ha memorizzato tutta la successione; poi gli si chiede di rievocare il colore di ogni singola figura).
  • 44. La Memoria Organizzazione del materiale memorizzato. La nostra memoria è organizzata secondo sistemi di codificazione multipla. Questi sistemi possono essere: • · secondo il tempo (il materiale viene memorizzato seguendo l'ordine temporale in cui è stato acquisito e fissato: ad es. quando si deve raccontare la trama di un film); • · secondo le categorie di appartenenza (il materiale viene memorizzato utilizzando un determinato ordine logico: si pensi p.es. a tutti i sistemi di archiviazione e catalogazione di dati, libri, medicine, ecc.); • · secondo le associazioni contigue (ad es. le parole aereo-guerra vengono percepiti insieme, se una nazione è in guerra, anche se non appartengono alla stessa categoria); • · secondo la suddivisione per gruppi (ad es. il numero telefonico viene ricordato, in genere, dividendo le cifre per gruppi); • · secondo la codificazione verbale (ad es. l'ordine gerarchico dei quattro semi nelle carte da ramino si ricorda con la formula "come quando fuori piove". Relativamente a questo, si è dimostrato che l'accuratezza del ricordo è tanto maggiore quanto più agevole e di rapida esecuzione è la codificazione verbale); • · secondo un ritmo (ad es. si può praticare l'insegnamento di certi contenuti accompagnandolo da brani musicali); • · secondo un riferimento spaziale (ad es. i nomi delle persone con cui si è mangiato al ristorante possono essere ricordati risalendo alla distribuzione dei loro posti a tavola).
  • 45. La Memoria e il Ricordo Il ricordo (o rievocazione). In questa fase il soggetto recupera quanto appreso e conservato, allo scopo di riprodurre la situazione presentata al momento dell'apprendimento. È proprio in questa fase che vengono alla luce quelle modifiche operate nei riguardi del materiale appreso e conservato. • Cercando di dare una classificazione a queste modifiche, si è costatato che esiste una tendenza verso una maggiore simmetria (o regolarità o normalizzazione) del contenuto appreso, oppure verso un'accentuazione di certi particolari del contenuto per renderlo più significativo.
  • 46. La Memoria e il Ricordo Se i ricordi affiorano da sé, abbiamo la riproduzione spontanea (automatica); se emergono con l'aiuto della volontà, il ricordo è intenzionale. Una volta giunti a consapevolezza, i ricordi spontanei o volontari si strutturano in nuove associazioni. Talvolta riemergono ricordi di un lontano passato, che sembravano irrimediabilmente perduti, e di cui non sappiamo stabilire nessun legame con i contenuti attuali della coscienza. Non sempre possiamo ricordare ciò che vogliamo (ad es. le esperienze della prima infanzia sono quasi morte, anche se è possibile, tornando nei luoghi della nostra infanzia, che molti ricordi scomparsi da tempo si ripresentino in tutta la loro freschezza). Ci sono esperienze, anche recentissime, che non riusciamo a ricordare, malgrado ogni sforzo, e poi d'improvviso emergono quando non ci si pensava più. Le esperienze degli anni evolutivi sono più vive nella mente dell'anziano rivolta verso il passato che non in quella del giovane o dell'adulto tesa verso il futuro. Molte cose ancora risultano incomprensibili nel processo del ricordo. Oggi la psicologia tende ad attribuire alla "memoria" in senso stretto una funzione più tecnica ed operativa, mentre al "ricordo" in senso lato una funzione più affettiva ed emotiva (ad es. il ricordo del passato storico, di certi anniversari, di un'offesa subìta, ecc.).
  • 47. ) Tipi di memoria. • • • Memoria primaria (o a breve termine). Consiste nella conservazione immediata di contenuti percettivi (soprattutto stimoli acustici e/o visivi) che permangono a livello di consapevolezza per pochi secondi (ad es. è possibile ripetere sette numeri, visti per pochi secondi, al primo tentativo, ma se i numeri sono 12 ci vorranno almeno 16 ripetizioni; se sono 16 ce ne vorranno 30, e così via: il numero delle ripetizioni, all'inizio, cresce rapidamente, in seguito sempre più lentamente, ma in questo caso la memoria diventa secondaria). La memoria primaria è utilissima nella lettura delle parole, per superare i brevissimi intervalli che si intercalano fra una parola e l'altra. Memoria secondaria (o a lungo termine). Questa memoria è caratterizzata da una conservazione permanente nel tempo di moltissime informazioni (memoria a capacità tendenzialmente illimitata). Essa consente di conservare e rievocare contenuti che vanno anche aldilà della consapevolezza. Memoria fotografica (visiva). Tendenza a conservare vivacissime le impressioni visive (parole, linee, forme, colori, fisionomia di una persona incontrata una sola volta, ecc.). Il tipo visivo, per apprendere la lezione, la scrive o visualizza la pagina del libro, in modo tale che quando la ripete è come se leggesse mentalmente le singole frasi. Una variante di questa memoria è la memoria eidetica, che è posseduta da circa il 10% dei bambini e che si perde col passare degli anni. I bambini eidetici, dopo aver osservato per pochi secondi un'immagine, riescono a "vederla" per diversi minuti, come se fosse davanti a loro, descrivendola nei dettagli.
  • 48. Tipi di memoria. • • • Memoria fotografica (visiva). Tendenza a conservare vivacissime le impressioni visive (parole, linee, forme, colori, fisionomia di una persona incontrata una sola volta, ecc.). Il tipo visivo, per apprendere la lezione, la scrive o visualizza la pagina del libro, in modo tale che quando la ripete è come se leggesse mentalmente le singole frasi. Una variante di questa memoria è la memoria eidetica, che è posseduta da circa il 10% dei bambini e che si perde col passare degli anni. I bambini eidetici, dopo aver osservato per pochi secondi un'immagine, riescono a "vederla" per diversi minuti, come se fosse davanti a loro, descrivendola nei dettagli. Memoria uditiva. Tendenza a ritenere le impressioni sonore (ad es. il timbro della voce piuttosto che la fisionomia, il suono della parole più chiaramente delle immagini visive, ecc.). Il tipo uditivo impara la lezione dalla spiegazione dell'insegnante o leggendola ad alta voce. Memoria motoria. Tendenza a conservare le impressioni di movimento, tanto da non poter rappresentare un movimento senza riprodurlo interiormente. Se il tipo motorio pensa ad una danza, avverte le contrazioni dei muscoli e la tensione dei tendini come se stesse ballando.
  • 49. • . "Oblio" vuol dire incapacità totale o parziale a ricordare ciò che si è appreso. Da cosa dipende questo fenomeno? Diverse risposte sono state date. • Teoria del decadimento, secondo cui gli eventi molto lontani nel tempo vengono ricordati con difficoltà o dimenticati. Tuttavia, se così fosse, gli anziani non ricorderebbero nulla della loro giovinezza, mentre è vero proprio il contrario: e cioè che per un anziano è più facile ricordare i dettagli di un evento accaduto 50 prima che non quanto è successo il giorno precedente. • Teoria del disuso, secondo cui se un ricordo viene rievocato spesso non si cancella, mentre se non lo è mai, a poco a poco va perduto. Questa teoria però non spiega come mai certi ricordi lontani possono riaffiorare dopo molto tempo, anche se non sono stati rievocati.
  • 50. Il fenomeno dell'oblio • Teoria dell'interferenza. È quella più convincente. Si suddivide in tre parti: – Interferenza pro-attiva: s'intende il fatto che i ricordi più remoti interferiscono (inibiscono) con quelli più recenti (ad es. se memorizziamo una lista di nomi e, dopo un certo intervallo di tempo, memorizziamo una seconda lista di nomi diversi, la rievocazione delle due liste, dopo un altro intervallo, si dimostra più facile per la prima che non per la seconda, anche se è stata appresa a distanza di tempo maggiore). – Interferenza retro-attiva: s'intende il fatto che i ricordi recenti interferiscono con quelli passati. Un esperimento famoso è quello di Jenkins e Dallenbach del 1924. I due studiosi chiesero a un gruppo di studenti d'imparare delle liste di sillabe senza senso, al mattino, subito dopo il risveglio; un altro gruppo invece doveva farlo alla sera, prima di coricarsi. Dopo un certo periodo di tempo entrambi i gruppi furono interrogati: il secondo ricordava molte più sillabe del primo. Perché? Perché durante il giorno molti eventi avevano interferito coll'apprendimento portando all'oblio, mentre il sonno, per l'altro gruppo, aveva favorito la conservazione del ricordo. – Interferenza da rimozione. È il fenomeno mediante il quale si dimenticano i ricordi che sono fonte di disagio o di ansia. Non si tratta di una perdita totale della memoria, ma piuttosto del fatto che si è incapaci di rievocare il contenuto del ricordo, cioè di farlo emergere a livello conscio.
  • 51. Il fenomeno dell'oblio: la Memoria come oblio “selettivo”: • L'oblio come "economia mentale". • Oltre a ciò si può aggiungere che l'oblio, di per sé, non è un fenomeno negativo, in quanto, senza la possibilità di dimenticare, svanirebbe la capacità di nuove acquisizioni. Il continuo lavorìo dei ricettori sensoriali e l'attività del pensiero renderebbero talmente ingombra la coscienza di immagini inutili, da paralizzare tutta la vita psichica. Ecco perché l'oblio attenua o cancella del tutto quello che non serve o non è più adatto per l'azione. I problemi sopraggiungono quando l'oblio cancella anche le esperienze utili.
  • 52. La Patologia della Memoria: L’AMNESIA • L'amnesia. Consiste nell'incapacità di ricordare determinati eventi (anche azioni, pensieri, conoscenze, ecc.) in seguito ad un trauma psichico o fisico (soprattutto trauma cranico). Nello stato di amnesia un individuo può arrivare a dimenticare persino il proprio nome o anche fatti, persone, notizie... riguardanti un lungo periodo della propria vita passata. • L'amnesia può verificarsi come sintomo di uno stato di "shock mentale" conseguente ad esperienze emotivamente traumatiche (ad es. durante la guerra, dopo uno scontro particolarmente violento, può accadere che alcuni soldati sconfitti che rientrano dalle linee, non riescono a ricordare quanto è accaduto, anche se non hanno riportato ferite). • .
  • 53. • La Patologia della Memoria: L’AMNESIAanche come Uno stato di "shock emotivo" può subentrare conseguenza di un evento traumatizzante o stressante, a livello psicologico, che produca angoscia o panico. L'amnesia, in questo caso, serve al soggetto per rimuovere dalla coscienza il ricordo dell'evento. Questo tipo di amnesia può però essere risolta con la psicoterapia, eventualmente con l'uso di psicofarmaci o, nei casi più gravi, con le tecniche di ipnosi. • Una forma molto interessante di amnesia è quella detta "retrograda", per cui la perdita di memoria procede "all'indietro", col cancellare progressivamente fatti accaduti in un passato sempre più lontano. Quando il soggetto recupera la memoria degli eventi passati, ricorderà prima quelli più lontani, poi quelli accaduti qualche mese prima, infine quelli di qualche giorno prima. Questo tipo di amnesia, che nel passato veniva affrontata con l'elettroshock, conferma la teoria che considera i ricordi più vecchi come quelli più fortemente consolidati nella nostra memoria, e che considera i ricordi come immagazzinati in sequenza, secondo un ordine "storico-temporale", in quanto espressione dell' esperienza di vita del soggetto
  • 54. L'INTELLIGENZA In psicologia generale il termine intelligenza viene usato per indicare un complesso di fatti (o fenomeni) osservabili, detti comportamenti (ad es. l'intelligenza come capacità di apprendere, come capacità di risolvere i problemi o come adattamento, ecc.). Pertanto sarebbe più corretto parlare di "comportamento intelligente" anziché di "intelligenza" (che sembra rimandare a una facoltà astratta, a un valore morale, a un "bene immateriale"). Quando si parla di "comportamento intelligente" si fa riferimento ad una particolare componente del comportamento osservabile, decisa di volta in volta: ad es., intelligenza potrebbe significare, in un caso determinato, "la capacità di manipolare degli oggetti in modo da connetterli l'uno all'altro, secondo un certo ordine". Se questa definizione la consideriamo accettabile, il problema pratico diventa quello di stabilire "cosa" e "come" manipolare (ad es. infilare in una cordicella dei pezzi di legno forati, di forma sferica e cubica, in maniera alternata). Fatto questo, ci si pone il problema di come "misurare" un comportamento intelligente, cioè un comportamento osservato in una situazione ben definita.
  • 55. Teoria dei TIPI LOGICI di Russel Frege Wittgenstein • Il mondo è costituito di fatti. • A secondo del sistema di rilevamento posso ottenerne dei DATI = Esperienza • Se ho dati sufficienti e ridondanti posso costruire una categoria logica superiore che li raggruppa e niminarla e ottengo un METADATO = Conoscenza • Se ho metadati sufficiente e ridondanti posso di nuovo raggrupparli in una classe superiore e nominarli METAMETADATO = Sapere o insieme dei Saperi
  • 56. Teoria dei TIPI LOGICI di Russel Frege Wittgenstein • Se tramite il linguaggio posso connettere i nsaperi individuali e ottenerne una quantità ridondante posso costituire una categoria o tipo logica superiore o METAMETAMETA DATO = Cultura
  • 58. L'INTELLIGENZA In psicologia generale il termine intelligenza viene usato per indicare un complesso di fatti (o fenomeni) osservabili, detti comportamenti (ad es. l'intelligenza come capacità di apprendere, come capacità di risolvere i problemi o come adattamento, ecc.). Pertanto sarebbe più corretto parlare di "comportamento intelligente" anziché di "intelligenza" (che sembra rimandare a una facoltà astratta, a un valore morale, a un "bene immateriale"). • II) Quando si parla di "comportamento intelligente" si fa riferimento ad una particolare componente del comportamento osservabile, decisa di volta in volta: ad es., intelligenza potrebbe significare, in un caso determinato, "la capacità di manipolare degli oggetti in modo da connetterli l'uno all'altro, secondo un certo ordine". Se questa definizione la consideriamo accettabile, il problema pratico diventa quello di stabilire "cosa" e "come" manipolare (ad es. infilare in una cordicella dei pezzi di legno forati, di forma sferica e cubica, in maniera alternata). Fatto questo, ci si pone il problema di come "misurare" un comportamento intelligente, cioè un comportamento osservato in una situazione ben definita.
  • 59. L'INTELLIGENZA A cosa serve questa misurazione? Per dimostrare che una situazione osservabile è sempre la stessa, sia per i diversi osservatori che decidono di adattarla, sia per i soggetti che partecipano alla prova. Questo consente di osservare di volta in volta il comportamento in condizioni costanti, standardizzate. Solo a queste condizioni è possibile misurare l'intelligenza. Misurare significa quindi confrontare qualcosa di variabile (ad es. una "grandezza": peso, lunghezza, temperatura, ecc.) con un'altra "grandezza" definita e costante (grammo, centimetro, grado, ecc.). Nei reattivi o test mentali i vari soggetti, in una stessa situazione, possono impiegare un tempo più o meno lungo per eseguire la prova, oppure commettono più o meno errori, e così via. Come criterio di osservazione si può scegliere il rendimento del soggetto in condizioni di osservazione definite. Questo significa che nel test non si mette a confronto un soggetto con un altro, né le loro rispettive intelligenze, ma soltanto il loro rendimento specifico in un compito intellettivo determinato. Solo così si può fondare la scientificità della psicometria.
  • 60. L'INTELLIGENZA Naturalmente, il confronto degli specifici rendimenti deve avvalersi dell'osservazione di molti soggetti da sottoporre a un medesimo test. Ottenuto un rendimento standard, che va da un minimo a un massimo di punteggio (al disotto o al disopra del quale si hanno intelligenze ipo o iperdotate), si è in grado di prevedere quale rendimento si verificherà in circostanze analoghe, o si è comunque in grado di misurare obiettivamente l'intelligenza specifica di soggetti che l'osservatore non ha mai conosciuto prima e che vengono sottoposti per la prima volta a un determinato test. Il limite principale di questa procedura consiste nel fatto che le condizioni per misurare l'intelligenza (ad es. i minuti a disposizione o l'obbligo di rispondere "vero/falso") sono piuttosto rigide, stereotipate, cioè tendenzialmente lontane rispetto alle vicende reali della vita quotidiana. Un test può comprendere un solo tipo di prova (per un tipo di comportamento) o più tipi di prove (sub-test). Ogni test può essere composto di situazioni singole, graduate per difficoltà crescente (chiamate item).
  • 61. Intelligenza e ambiente. Intelligenza e ambiente. Se il test viene applicato in modo corretto, si ottiene una stima attendibile del rendimento di un soggetto in rapporto alla popolazione di appartenenza (che è quella stessa su cui è stato commisurato il test per stabilire l'Età Mentale delle diverse prove, per i diversi gruppi di ETA' CROLOGICA). Ciò significa che il materiale di un test applicato a un vasto campione rappresentativo della popolazione di una nazione, non può essere usato da un'altra nazione semplicemente traducendolo: occorrerà anche adattarlo alla diversa cultura (situazioni, costumi, valori, conoscenze, ecc.) Questo perché l'influenza delle condizioni ambientali sul Q.I. è così forte che una legge psicometrica esige che le condizioni in cui si effettua il test siano quanto più possibile simili o vicine a quelle proprie dell'ambiente in cui il soggetto vive. Eredità e intelligenza. L'intelligenza è una caratteristica innata o acquisita? Gli psicologi tendono a considerare questo problema come pertinente alla riflessione filosofica, non alla ricerca scientifica: anche perché, posta in termini così radicali, la questione è ritenuta insolubile. Oggi la migliore psicologia è giunta alla conclusione che il rendimento intellettivo è frutto di determinanti genetiche (i geni del corredo cromosomico) che hanno avuto la possibilità di svilupparsi in determinati ambienti. L'eredità biologica, in altre parole, è una potenzialità che può evolvere a seconda delle circostanze e delle situazioni. Ch'essa esista è dimostrato ad es. dal fatto che il Q.I. dei gemelli omozigoti (cioè geneticamente identici, essendo nati da un solo uovo fertilizzato, aventi quindi lo stesso sesso) è molto simile, molto di più di quanto non lo sia nei gemelli eterozigoti (cioè nati da due uova diverse e quindi geneticamente diversi). Ma questo non impedisce che l'ambiente possa influenzare in modo completamente diverso la coppia di gemelli.
  • 62. I REATTIVI PSICOLOGICI I "reattivi psicologici" (S. De Sanctis) o "mental tests" (J. Cattel) sono il tentativo di misurare in modo obiettivo l'intelligenza, sottraendola a valutazioni di tipo soggettivo, che potrebbero trarre in inganno (ad es. la timidezza può portare uno studente ben preparato a conseguire una votazione scarsa. Il test dovrebbe supplire a questa sua difficoltà). La storia dei reattivi è relativamente recente. Alla fine dell'800 si cominciarono a fare degli accertamenti riguardo alle attività psicosensoriali e psicomotorie; in seguito le prove sono state estese alla valutazione dell'intelligenza generale e specifica, delle tendenze e attitudini, della personalità e del carattere. Il metodo dei test
  • 63. Età cronologica ed età mentale Età cronologica ed età mentale. I primi significativi test sono quelli ideati dallo psicologo francese Alfred Binet nel 1905. Egli, con l'aiuto dell'assistente Simon, cercò sia di misurare il grado d'intelligenza dei "deboli mentali" nelle scuole elementari di Parigi, che di verificare se si trattava effettivamente di insufficienza mentale o di disadattamento caratteriale. In seguito vennero elaborati dei test anche per gli adulti. Binet era partito da questi presupposti: dopo aver sottoposto a identici esami molti scolari, fece una graduazione dei risultati ottenuti, mettendola a confronto col giudizio complessivo degli insegnanti che conoscevano a fondo quegli stessi scolari. Dopodiché, per ottenere in modo rapido e sicuro un giudizio su determinate caratteristiche (memoria, attenzione, ecc.) di uno scolaro che aveva visto per la prima volta, lo sottoponeva ad una serie di prove analoghe, confrontando il suo rendimento con quello del gruppo campione. Il reattivo di Binet consiste in una serie di prove a difficoltà crescente (scala); a ciascuna età cronologica (E.C.), misurabile in anni-mesi-giorni, corrisponde un gruppo particolare di prove, che impegnano l'intelligenza che lo studente matura a scuola. Binet non aveva messo in discussione il concetto di "intelligenza" in uso nelle scuole francesi. Il grado di intelligenza raggiunto da uno studente, in rapporto non solo alla sua età, ma anche al livello medio degli studenti della stessa età cronologica, viene chiamato con un nuovo concetto psicologico: età mentale (E.M.), anch'essa misurabile in anni-mesi-giorni.
  • 64. età mentale Il grado di intelligenza raggiunto da uno studente, in rapporto non solo alla sua età, ma anche al livello medio degli studenti della stessa età cronologica, viene chiamato con un nuovo concetto psicologico: età mentale (E.M.), anch'essa misurabile in anni-mesi-giorni. L'idea di Binet implicava che lo sviluppo dell'intelligenza attraversa identiche fasi nei vari individui, per cui l'E.M., tipica di una data E.C., esprime un livello medio di efficienza, comune alla maggioranza (cioè ad almeno il 75%) delle persone di quella età, sottoposte al test. Il concetto di E.M. si basa su due principi fondamentali: • a) esiste la possibilità di valutare il livello di intelligenza di un individuo, qualunque sia il periodo della sua vita; • b) il grado di intelligenza aumenta in una certa proporzione in rapporto all'E.C., ma solo per un certo tempo. L'americano Lewis Terman, che revisionò la scala di Binet, pose il limite massimo di sviluppo mentale approssimativamente a 16 anni, nel senso che l'intelligenza degli adulti, di regola, è pari a quella degli adolescenti normali di 16 anni, a prescindere ovviamente dall'esperienza vissuta. Ciò in pratica significa che per gli anni seguenti il soggetto in esame va considerato come se avesse 16 di E.C.
  • 65. età mentale L'E.M. di un soggetto si ricava dal numero di prove effettivamente superate: possiamo cioè attribuire l'E.M. di 6 anni ad un bambino, quando ha superato tutte le prove relative a quella età. Però può accadere che il bambino sbagli qualche prova dei 6 anni e risolva alcune prove dei 7 anni: in questo caso vengono applicate le norme di compenso stabilite dal reattivo, cioè tanti mesi in meno per le prove sbagliate e tanti mesi in più per quelle appropriate ad un'età superiore. Naturalmente è difficile trovare una perfetta corrispondenza dell'E.M. con l'E.C., poiché nell'infanzia lo sviluppo dell'intelligenza è rapidissimo, meno rapido nella fanciullezza e lento nell'adolescenza.
  • 66. Il quoziente intellettivo o Q.I. Nel 1912 Wilhelm Stern (tedesco esule negli USA) aggiunse al concetto di E.M. la formula di Quoziente Intellettivo (Q.I.), che si ricava dividendo l'E.M. per l'E.C. Con Binet ci si era limitati alla differenza tra E.M. ed E.C. Ad es. un soggetto di 16 anni che supera tutte le prove rispondenti all'E.M. di 10 anni, ha un Q.I. uguale a 100 (si moltiplica il risultato della divisione per 100, onde evitare l'uso dei decimali. L'E.M. e l'E.C. debbono esprimersi riducendo gli anni e i giorni a mesi: i giorni non si contano se non arrivano a 16, mentre da questo numero in poi contano sempre 1 mese. Ad es. se un E.M. di 9 anni, 5 mesi e 16 giorni corrisponde a 114 mesi; e un'E.C. di 10 anni e 5 mesi corrisponde a 125 mesi, il Q.I. è dato dal rapporto (114:125) x 100 = 91. Ovviamente per utilizzare un test occorre che l'E.M. sia offerta dal medesimo test, e questo comporta che si siano fatte tantissime prove. Ad es. un soggetto di 171 mesi ottiene un punteggio di 60 all'esame (avendo fatto 60 risposte esatte). La tabella del test dovrà indicare a quale E.M. corrisponde 60. Supponiamo che corrisponda a 216. Il Q.I. non sarà altro che il risultato di questa operazione: (216:171) x 100 = 126. È importante sottolineare che il Q.I. non è la misura di ciò che si è imparato, ma la misura della capacità d'imparare. L'intelligenza non riguarda le cognizioni acquisite, ma la capacità che uno ha di conoscere.
  • 67. Il quoziente intellettivo • • I limiti del Q.I. L'E.M. presuppone identiche fasi di evoluzione nei soggetti normali. Forte cioè è la tentazione di considerare la mente umana come fatalisticamente regolata nel suo sviluppo, così da non consentire reali trasformazioni negli individui, nel corso del processo educativo e dell'esperienza. E' ben noto, tuttavia, che il ritmo di sviluppo varia da soggetto a soggetto, e nello stesso soggetto varia nelle diverse tappe evolutive. In alcuni lo sviluppo è rapido e breve, in altri rapido e a lunga durata, in altri ancora si svolge lentamente in un tempo relativamente breve o relativamente lungo. Inoltre la differenza tra E.M. ed E.C. è più significativa nei soggetti giovani che in quelli anziani. XIV) A tali difficoltà va aggiunta la situazione complessa della prova psicologica: ovvero la tensione emotiva ch'essa può suscitare, l'influsso ambientale, il carattere del soggetto, le conoscenze acquisite, le differenze di educazione... Nell'impiego dei test si valuta solo il risultato finale, e non anche il processo che ha portato il soggetto a quel risultato. Infine, bisogna tener conto del fatto che i test si basano soprattutto su un tipo d'intelligenza logico-razionale e matematica, espressione tipica della cultura occidentale.
  • 68. La Psicoterapia • Etimologicamente la parola psicoterapia "cura dell'anima" - riconduce alle terapie della psiche realizzate con strumenti psicologici quali la parola, l'ascolto, il pensiero, la relazione, nella finalità del cambiamento consapevole dei processi psicologici dai quali dipende il malessere o lo stile di vita inadeguato e connotati spesso da sintomi come ansia, depressione, fobie, etc.
  • 69. La Psicoterapia • In senso lato si può sostenere che ogni rapporto umano ha in sé il seme della psicoterapia… • In base a ciò si possono distinguere tre livelli di psicoterapia: • Un primo livello che attiene a ogni rapporo umano amicale ed empatico • Un secondo livello praticato dalle figure professionali a cui la cultura demanda la “cura”: lo sciamano, Il medico, il prete, il professore ecc. a seconda della cultura del gruppo umano • Un terzo livello su cui si discute molto e riguarda la figura del professionista formato e abilitato alla psicoterapia vera e propria.
  • 70. La Psicoterapia • La psicoterapia è una branca specialistica della psicologia che si occupa della cura di disturbi psicopatologici di diversa gravità che vanno dal modesto disadattamento all'alienazione profonda e possono manifestarsi in sintomi nevrotici oppure psicotici tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo causando fattiva disabilità; a tal fine si avvale di tecniche applicative della psicologia dalle quali prende specificazione: psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicoterapia psicoanalitica, ecc.
  • 71. Orientamenti teorici • Esistono numerose definizioni di psicoterapia pertinenti a teorie diverse e, in alcuni casi, in conflitto tra loro. • Numerose sono anche le pratiche psicoterapeutiche, sebbene ristrette in un più limitato numero di indirizzi teorici: psicoanalitico/psicodinamico, sistemicorelazionale, cognitivo-comportamentale, fenomenologico-esistenziale, eccetera, ciascuno dei quali, dal comune fondamento epistemologico, si è differenziato in scuole e metodologie diverse.
  • 72. Scuola sistemico-relazionale • La psicoterapia ad indirizzo sistemico-relazionale considera la persona portatrice del sintomo "paziente designato". Tale termine sta ad indicare che il paziente è il membro del sistema-famiglia (per famiglia si intendono sia la propria che almeno le due generazioni che l'hanno preceduta), che esprime o segnala il funzionamento disfunzionale di uno o più dei sistemi di cui egli è uno dei vertici. Tale membro è "designato" dal sistema stesso, secondo una prospettiva bio-psico-sociale, in quanto soggetto che esprime una modalità disfunzionale di vivere, pensare, agire. Talvolta, specialmente in casi che riguardano i bambini o gli adolescenti (ambiti in cui la terapia familiare risulta un approccio particolarmente valido), questo si manifesta sotto forma di blocco evolutivo, così che tutte le tensioni tendono a convergersi su di lui; in tal modo diviene il controllore di forze ed energie relazionali, al prezzo di gravi sentimenti di sofferenza e vissuti di disgregazione. In questa ottica, le tecniche che si utilizzano hanno per obiettivo la modificazione delle regole del sistema, ovvero la modificazione delle modalità di comunicazione e di interazione tra i membri.
  • 73. Scuola sistemico-relazionale • Questo approccio ebbe origine a partire da un vasto movimento di teorie e idee diffuse negli Stati Uniti durante gli anni '50, in particolare le teorie della prima e seconda cibernetica. La "Scuola di Palo Alto" e il Mental Research Institute, con i loro maggiori esponenti (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Haley, Paul Watzlawick), furono i principali centri di sviluppo della terapia sistemica famigliare. I terapeuti che seguono questo orientamento psicoterapeutico condividono la matrice pragmatica, di chiara origine americana, per cui il loro intervento si struttura in genere in un numero di sedute ridotte e in tempi relativamente rapidi. • La psicoterapia ad indirizzo sistemico relazionale si è molto diffusa in Italia e in Europa durante gli anni '80, in modo particolare nei servizi di salute pubblica, nel campo della patologia psichiatrica adulti, nella neuro-psichiatria infantile, nel campo delle tossicodipendenze e negli ultimi anni anche nelle problematiche che riguardano la separazione-divorzi e nelle problematiche scolastiche; inoltre nell'ambito della psicologia del lavoro ha trovato importanti e significative applicazioni. In ambito clinico, proprio in Italia è nata e si è sviluppata una delle più importanti tradizioni di ricerca sistemica, di notorietà e diffusione internazionale: il cosiddetto "Modello della Scuola Milanese", di Selvini-Palazzoli, Boscolo, Cecchin e Prata. La terapia sistemico-relazionale coincideva, almeno all'inizio del suo sviluppo, con la terapia familiare.
  • 74. Scuola cognitivo-comportamentale • Gli psicoterapeuti di indirizzo cognitivo-comportamentale, invece, adottano un punto di vista del tutto diverso, fondato su una lunga tradizione di ricerca scientifica, che inizia con i primi studi di Pavlov sui riflessi condizionati e prosegue tutt'oggi con migliaia di studi sperimentali. • Essi presumono che il "sintomo" sia l'espressione di un precedente apprendimento di schemi comportamentali, emotivi e di pensiero errati o disadattivi, derivanti da peculiari esperienze di vita del paziente, eventualmente mantenuti da un contesto interpersonale patogeno nel presente. Il soggetto che li mostra viene pertanto considerato portatore di strutture cognitive non adeguate (convinzioni), o di processi cognitivi inadatti a selezionare e ad elaborare in modo funzionale gli stimoli ambientali. Lo psicoterapeuta in questo caso può attuare, con l'aiuto del paziente, tecniche di condizionamento o decondizionamento sperimentalmente validate, al fine di modificare in modo diretto le risposte emozionali e gli schemi che si sono rivelati disadattivi, o sostituirli con nuovi schemi più funzionali, tramite esperienze (es. esposizione a stimoli prima evitati) e/o comportamenti di tipo nuovo (prescrizioni comportamentali
  • 75. Scuola cognitivo-comportamentale • Un esempio è l'acquisizione di nuove abilità, come più efficaci competenze comunicative, tramite il "role playing" o pratica recitativa. Il terapeuta può anche usare procedure di vario tipo (anch'esse codificate e validate), dal "dialogo socratico" alla ristrutturazione cognitiva, per permettere al paziente di identificare ed esaminare criticamente e quindi modificare sia i propri processi (e strutture) cognitivi sia i comportamenti non funzionali ai suoi scopi. Infine, il terapeuta può adottare specifici atteggiamenti interpersonali all'interno della relazione terapeutica, per consentire al paziente una correzione dei suoi schemi interpersonali di base. Il trattamento pertanto è costituito da procedure di tipo maieutico e psicoeducativo, mentre il cambiamento nel paziente si assume sia legato a processi di apprendimento e ristrutturazione. Una volta eliminati tutti i "sintomi" ed acquisiti comportamenti alternativi, comprese le consonanti strutture cognitive, viene semplicemente eliminato il disturbo. Nuovi atteggiamenti del soggetto nonché i vantaggi dei nuovi comportamenti stabilizzeranno i cambiamenti ottenuti.
  • 76. Sintomi • • I problemi oggetto di intervento dello psicoterapeuta vanno dal generico disagio esistenziale alle forme di disturbi più strutturati (dalle strutturazioni e sintomatologie nevrotiche a quelle psicotiche), fino alle più gravi forme di alienazione con interpretazione delirante della realtà, spesso con allucinazioni uditive, visive o tattili. Possono essere affrontati fenomeni sintomatici quali l'ansia, la depressione, il disturbo maniacale, le fobie, le ossessioni, i disturbi del comportamento alimentare - anoressia e bulimia - e della sfera sessuale, il comportamento compulsivo, l'abuso di sostanze, eccetera (i cosiddetti "disturbi di asse I del DSM"); in psicoterapia è possibile affrontare anche i disturbi della personalità (disturbi di asse II del DSM"), o forme di disagio non psicopatologicamente strutturato e fenomeni complessi quali il mobbing, il conflitto coniugale ed altri. In generale lo psicoterapeuta si può interessare anche di riabilitazione di soggetti con disturbi psichiatrici e della riabilitazione di tossicodipendenti, sia all'interno di strutture sanitarie pubbliche (per esempio i Centri di Salute Mentale per i soggetti psichiatrici e i SERT nel caso delle tossicodipendenze) o all'interno di Comunità Terapeutiche che possono esser sia pubbliche o private o infine presso uno studio privato Tradizionalmente, alcune scuole di psicoterapia si sono occupate in particolare di determinati sintomi, come nel caso dell'indirizzo psicoanalitico, con l'attenzione alle cosiddette nevrosi (ansia, depressione, fobie, ossessioni). Altri, come il caso dei terapeuti cognitivo-comportamentali, si sono specializzati nel trattamento di disturbi da stress, depressione, fobie, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi sessuali, alimentari, del sonno e dipendenze patogene. Altri ancora, come i terapeuti familiari sistemico-relazionali, si sono occupati in particolar modo (ma non esclusivamente) dei disturbi della condotta alimentare come anoressia e bulimia negli adolescenti, dei conflitti familiari, di disturbi di area evolutiva a matrice familiare, etc.
  • 77. • Fin dagli esordi della psicologia c'è stato un vivace dibattito sulla reale efficacia della psicoterapia, intendendo per "efficacia" la capacità di un intervento psicoterapeutico di produrre gli effetti desiderati. Questo dibattito si fece più serrato a partire dagli anni cinquanta, quando Hans Eysenck pubblicò una ricerca sull'efficacia della psicoterapia. [2]. In breve, le ricerche di Eysenck dimostrarono che il numero di soggetti guariti o migliorati grazie al ricorso ad una psicoterapia era di poco superiore al 50% [3]. Questo, a prima vista, potrebbe sembrare un buon risultato, ma Eysenck, giustamente, sottolineava la necessità di analizzare anche il numero di pazienti guariti per remissione spontanea. Secondo la sua ricerca, due terzi dei pazienti con problemi psicologici, guarivano spontaneamente senza il ricorso ad una psicoterapia[3]. Eysenck, quindi, aveva dimostrato che le guarigioni per remissione spontanea erano addirittura maggiori delle guarigioni dovute ad intervento psicoterapeutico. Questo studio aprì un forte dibattito e fu in parte criticato, in quanto considerato poco accurato. Studi successivi, in effetti, fissarono il tasso di remissioni spontanee intorno a un più realistico 50%. • La questione sull'efficacia della psicoterapia rimase comunque aperta e si dovette aspettare il 1977 per avere conclusioni più accurate e definitive. In questi anni, infatti, si svilupparono le tecniche statistiche della meta-analisi che permettevano analisi e ricerche più profonde e dettagliate. Smith e Glass utilizzarono per primi questa tecnica in psicologia per verificare l'efficacia della psicoterapia[3]. I due autori poterono analizzare un numero enormemente maggiore di ricerche - 475 - rispetto alle sole 24 analizzate vent'anni prima da Eysenck [3]. I due ricercatori calcolarono quindi l'effect size, che risultò essere di 0,68. Ciò stava a significare che il cliente medio di una psicoterapia stava meglio del 75% rispetto alle persone del gruppo di controllo, cioè quelle che non erano ricorse a nessuna psicoterapia [3]. Questo studio dimostrò, senza ombra di dubbio, che in media la psicoterapia è realmente efficace.
  • 78. • Nonostante ciò rimaneva ancora un aspetto da valutare, il fatto che l'evidente miglioramento non fosse dovuto all'effetto placebo. Nel rapporto psicoterapeutico, infatti, ci sono tutte le caratteristiche salienti per il possibile instaurarsi dell'effetto placebo: • pazienti solitamente ben motivati, che hanno una forte fiducia nei confronti dello psicologo e dei suoi interventi; • grande fiducia, da parte degli stessi psicologi, nelle loro capacità e dell'efficacia dei loro mezzi; • un contesto sociale (quello europeo e nordamericano) che dà grande valore e crede nell'efficacia della psicoterapia. • I risultati delle ricerche attorno all'effetto placebo hanno dimostrato che, effettivamente, un placebo credibile ha in media risultati simili ad un intervento psicoterapeutico. Gli psicologi sarebbero quindi delle sorti di "distributori moderni di placebo".
  • 79. • La superiorità della psicoterapia sul placebo, però, risulta evidente in due casi: • quando non si parla più di psicoterapia in generale, ma si vanno a valutare specifiche psicoterapie create per il trattamento di specifiche patologie • quando si sposta l'attenzione dagli effetti a breve termine agli effetti a lungo termine. • In definitiva, anche studi più attuali, hanno fondamentalmente dimostrato che è impossibile generalizzare gli effetti della psicoterapia: esistono psicoterapie specifiche che risultano molto efficaci per certe patologie e in determinati contesti, come altre psicoterapie che invece non portano a nessun reale miglioramento. A questo si aggiunge una grande difficoltà nel valutare in modo preciso l'efficacia di un intervento psicoterapeutico, in quanto è impossibile ottenere misurazioni oggettive e imparziali. Infine, bisogna sottolineare che al giorno d'oggi esistono centinaia di modalità e tipi di intervento psicologico, e risulta arduo poterli analizzare tutti accuratamente. • Fra i tipi di intervento più analizzati vi sono quelli di tipo cognitivo e comportamentale, ed interventi rivolti a problemi circoscritti; interventi che hanno dimostrato essere mediamente efficaci.
  • 80. SIGMUND FREUD • INTRODUZIONE AI FONDAMENTI DEL MODELLO PSICOANALICO
  • 81. La psicopatologia psicoanalitica dello sviluppo ha lo scopo di identificare le fasi e le sequenze evolutive dei diversi disturbi che riguardano l’infanzia e l’età adulta e i fattori che li influenzano. Ogni teoria presa in considerazione condivide gli assunti principali del modello psicoanalitico:  il determinismo psichico;  il principio di piacere-dispiacere;  la natura biologica dell’organismo;  l’esistenza di un inconscio dinamico;  la prospettiva genetico-evolutiva. A partire da questi sono stati poi sviluppati nuovi concetti.
  • 82. Secondo Freud i conflitti della mente umana riguardano principalmente tre temi: a) desiderio VS ingiunzione morale; b) desiderio VS realtà; c) realtà interna VS realtà esterna. Attraverso fasi successive, Freud ha sviluppato tre modelli dell’apparato psichico: 1. Il modello affetto-trauma 2. Il modello topografico trauma legato ad esperienze infantili o adolescenziali, che avevano causato sentimenti troppo dolorosi e inespressi. pulsioni che tendono alla scarica; sistema conscio, preconscio, inconscio; fase orale, anale, fallica, periodo di latenza, sessualità genitale; sintomi nevrotici VS tratti di carattere.
  • 83. 3. Il modello strutturale Es, Io, Super-Io; e i meccanismi di difesa I sintomi nevrotici I sintomi nevrotici sono il risultato delle difese messe in atto dal Super-Iocome risultato delle difesacontro impulsi inaccettabili = angoscia segnale del ritorno del RIMOSSO
  • 84. Critica e valutazione alla teoria Freudiana • • • Ha ignorato i valori spirituali ed è stato antireligioso; ha trascurato la natura sociale; non ha affrontato pulsioni che, come la curiosità, tendono verso un aumento della tensione interna; • ha detto poco sulla coscienza; • non è stato in grado di fare previsioni sullo sviluppo, considerando solo lo stato presente della persona; • non ha compreso le donne; • ha represso volontariamente le informazioni sull’origine traumatica delle nevrosi; • inizialmente per le sue scoperte ha utilizzato l’introspezione, strumento poi da lui stesso criticato; • si è basato solo su un piccolo campione selezionato; • ha utilizzato ricostruzioni di ciò che i pazienti dicevano nei colloqui; • terminologia ambigua; • metafore spesso reificate; • teorie difficili da verificare.
  • 85. Nonostante queste ed altre critiche, le teorie di Freud sono ancora tra le più autorevoli nel campo della pratica clinica.
  • 86. ANNA FREUD Il disturbo psicologico può essere meglio studiato nel suo processo di evoluzione. Il profilo delle linee evolutive permette di osservare il rischio di patologia per ogni bambino. “Teoria del conflitto” : sviluppo visto come un compromesso tra due desideri tra loro incompatibili. Importanza dell’analisi dell’Io. Importanza dell’analisi delle richieste provenienti dal mondo esterno, dall’Es e dal Super-io. I meccanismi di difesa possono essere raggruppati a seconda della maturità evolutiva.
  • 87. Anna Freud si è principalmente occupata di sviluppo infantile, dando poi origine ad un gruppo di collaboratori che hanno ampiamente diffuso le sue idee. Seguendo ciò che aveva detto il padre, ha dato particolare importanza al ruolo dei genitori reali e al processo di interiorizzazione di questi da parte del bambino, ma considerando sempre le relazioni oggettuali in secondo piano rispetto alle pulsioni. Ha utilizzato il modello delle linee evolutive: risultato dell’interazione tra pulsioni e istanze psichiche, e tra queste e le influenze ambientali (Freud,1965). Sei linee evolutive 1) dalla dipendenza all’autonomia e alle relazioni oggettuali (fondamentale) otto fasi
  • 88. 1) Prima fase Unità biologica madre-bambino. 2) Seconda fase Relazione anaclitica di soddisfacimento dei bisogni corporei tra bambino e oggetto. Madre buona VS madre cattiva. Sviluppo di rappresentazioni della mente della madre come separata da quella del bambino. 3) Terza fase Rappresentazione coerente della madre, indipendente dal soddisfacimento pulsionale, che permette separazioni più lunghe. 4) Quarta fase Ambivalenza normale: sentimenti positivi e negativi verso la stessa persona (terrible twos). Desiderio di indipendenza, ma anche di dedizione della madre. Importanza dell’aggressività, equilibrata dalla libido.
  • 89. 5) Quinta fase Desiderio di possesso del genitore del sesso opposto e gelosia verso il genitore dello stesso sesso. Fase cruciale per lo sviluppo dei problemi nevrotici. 6) Sesta fase Spostamento della libido verso i pari o altre persone dell’ambiente circostante. 7) Settima fase Ribellione preadolescenziale: comportamenti oppositivi, impulsivi e pretenziosi. Ritorno delle fantasie infantili, che aumentano il conflitto intrapsichico. 8) Ottava fase Adolescenza: l’Io deve lottare contro l’aumento improvviso di aggressività e sessualità. Utilizzo di due meccanismi di difesa principali: intellettualizzazione e ascetismo. Deve avvenire il lavoro di lutto per i genitori persi dell’infanzia. Ritiro della libido verso il Sé, che determina la grandiosità narcisistica e l’onnipotenza tipiche dell’adolescenza.
  • 90. PSICOPATOLOGIA EVOLUTIVA Anna Freud pone l’accento sulla resilienza e sulla capacità di recupero del bambino, che gli permette, a volte, di superare anche gravi traumi. Ha individuato sette categorie di disturbi psicologici: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) Disturbi somatici (eczema, asma, emicrania,…); Compromessi tra le istanze psichiche (isteria, fobie, sintomi nevrotici ossessivi); Eruzioni dall’Es (azioni ingiustificabili come delinquenza e criminalità) o irruzioni del processo primario (problemi del pensiero o del linguaggio); Forme di disturbo narcisistico: ritiro della libido oggettuale sul Sé (dist.dell’autostima) o ritiro della libido dalla mente al corpo (sintomi ipocondriaci); Cambiamenti nella qualità o nella direzione dell’aggressività (difficoltà di apprendimento e comportamento autolesivo); Modalità di evitamento dei conflitti della fase fallica o edipica (lamentosità e comportamenti adesivi e di dipendenza). Problemi legati a cause organiche.
  • 91. Il modello dell’angoscia Anna Freud ha distinto la paura del mondo interno dall’ ”angoscia oggettuale”. Ha notato come il pericolo di un trauma era probabile che si sviluppasse quando la potenza della minaccia esterna veniva a contatto con l’aggressività reale interna al bambino. Riteneva che le paure arcaiche della prima infanzia potessero essere diminuite da una sufficiente rassicurazione del bambino. Pensava che la natura dell’angoscia del bambino indicasse la qualità del suo sviluppo. Credeva che l’esito dell’angoscia del bambino dipendesse dai meccanismi di difesa da lui utilizzati.
  • 92. Disarmonie evolutive: Anna Freud sottolinea la necessità che il bambino riesca ad integrare il suo potenziale costituzionale con l’impatto con il mondo esterno e con la graduale costituzione della propria personalità. se ciò non avviene, si avranno degli squilibri, che possono portare problemi di varia natura. La psicopatologia è quindi determinata da squilibri tra le forze delle istanze psichiche, che derivano, a loro volta, da fattori ambientali e costituzionali. Gravi disturbi di personalità: secondo l’autrice essi derivano da mancanze strutturali nell’evoluzione delle difese, nel test di realtà, nella tolleranza all’angoscia, nel Super-io, …e sono dovuti a disarmonie evolutive. • dist. borderline di personalità incapacità di arrivare ad un giusto compromesso; • dist. narcisistico precoce deprivazione emotiva.
  • 93. Un assunto fondamentale della psicoanalisi è il punto di vista genetico o evolutivo. Freud : i disturbi mentali hanno generalmente un collegamento con esperienze infantili e riguardano modalità di funzionamento primario. isomorfismo tra patologia e sviluppo e inferenza causale bidirezionale tra infanzia e patologia La psichiatria e la psicologia dello sviluppo si stanno concentrando su come le rappresentazioni interne delle prime figure di attaccamento influenzino poi le relazioni successive.
  • 94. Valutazione • Ha identificato l’importanza della prima relazione madre-bambino e le conseguenze di un’eventuale separazione; • ha introdotto il concetto di linee evolutive, che hanno permesso di suddividere in unità più piccole le tre grandi istanze psichiche, facilitando così lo studio dello sviluppo; • non ha legato un comportamento ad una specifica patologia, in quanto ha considerato una determinata azione un “segnale” temporaneo, invece che un sintomo; • talvolta, questo modello risente dell’uso letterale che viene fatto del modello strutturale delle pulsioni; • alcune metafore usate sembrano reificate; • alcuni suoi dati derivati da osservazioni su bambini in tempo di guerra sono stati confermati da osservazioni più recenti; • pensava, erroneamente, che i bambini non potessero provare senso di colpa, sofferenza e depressione; • ciò che ha reso unico questo modello è stata l’importanza data al metodo osservazionale.
  • 95. LIMITI DEI CONCETTI PSICOANALITICI ATTUALI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Le basi probatorie di molte teorie sono poco chiare, perché le ipotesi mancano di dimostrazioni empiriche; Pongono una relazione diretta tra un elemento patologico e una determinata causa, quando invece studi empirici non confermano queste ipotesi; Ogni quadro teorico viene ampliato per inglobare nuovi dati, che sono poi difficili da discutere; Danno poca importanza all’ambiente, quando invece bambino e ambiente si influenzerebbero reciprocamente; Risentono del bias di genere, descrivendo in modo maggiormente coerente lo sviluppo maschile e attribuendo più “colpe” alla madre di fronte ad un disturbo del bambino; Vi è una mancanza di specificità nella spiegazione delle diverse patologie e di approfondimento circa l’incidenza dei diversi disturbi; Nella prospettiva evolutiva, in particolare nelle teorie del Sé e delle relazioni oggettuali, vi è una grande ristrettezza di vedute (fasi, esperienze precoci); Viene data troppa importanza al mondo intrapsichico della persona, rispetto al mondo “reale”.
  • 96. Scuola psicoanalitica • Per gli psicoterapeuti di indirizzo psicoanalitico il sintomo manifestato dal paziente è la conseguenza di un conflitto inconscio tra alcune componenti dell'endopsichismo, o può essere attribuibile a problemi strutturali nello sviluppo di alcuni assetti interni (teorie del conflitto vs. teorie strutturali). Per poter "sopravvivere" emotivamente ad avvenimenti che non sa gestire l'individuo sviluppa delle difese di tipo psicologico (ad esempio la rimozione); l'evento problematico o "traumatico" viene così reso parzialmente gestibile, ma permane come conflitto inconscio: il sintomo rappresenta l'espressione esplicita di tale conflitto. All'interno dell'approccio psicoanalitico (detto anche "psicodinamico"), esistono differenti scuole di pensiero, con differenti "teorie della clinica": tra le principali, si devono citare quelle psicoanalitiche classiche, quelle psicoanalitico-relazionali, quelle psicoanalitico-intersoggettive; tra quelle derivate dal filone principale della psicoanalisi freudiana e post-freudiana, sono di rilievo quella psicologico-analitica junghiana, quella lacaniana e quella adleriana. Esistono inoltre forme di psicoterapia psicodinamica breve.
  • 97. Scuola psicoanalitica • In generale, la terapia psicoanalitica prevede una stretta relazione tra psicoterapeuta e paziente, grazie alla quale si cerca di esplorare la struttura dei conflitti responsabili dei sintomi. Lo psicoterapeuta assiste il paziente nella rielaborazione dei conflitti interiori, permettendo una miglior gestione degli effetti provocati da questi. La terapia ad orientamento dinamico (in particolare se psicoanalitica) richiede un periodo medio-lungo per potersi sviluppare in maniera adeguata (anche alcuni anni, con incontri regolari due o tre volte alla settimana; in alcuni casi si possono diradare o rendere più frequenti le sedute
  • 98. Scuola psicoanalitica • Il trattamento da un punto di vista tecnico consiste nell'attivare una terapia analitica con un setting rigoroso, al fine di favorire lo sviluppo del transfert, cioè l'attualizzazione di schemi relazionali pregressi nel qui ed ora della relazione clinica che viene a stabilirsi tra paziente e terapeuta; nel processo di transfert il soggetto attiva una rappresentazione inconscia di stili relazionali primari, a volte correlati alle difficoltà che ha riscontrato. L'interpretazione del transfert, del controtransfert (ovvero delle reazioni emotive dell'analista a certi processi del paziente), delle libere associazioni e di altro materiale personale (ad esempio, comportamenti, patterns relazionali, sogni, etc.) durante le sedute cercherà di favorire l'elaborazione delle cause più profonde dei conflitti, per permettere al paziente di assumere maggiore consapevolezza e poter modificare i propri stili relazionali, o al fine di ottenere una parziale ristrutturazione del proprio Sè, in modo che sia il più funzionale possibile all'adattamento alla vita sociale e relazionale, e mitigando i sintomi. • Al suo interno si è sviluppato anche un approccio definito di psicoterapia dinamica breve, con maggiori limiti temporali ed una più esplicita focalizzazione sui sintomi.
  • 99. IL CERVELLO, LA MENTE E IL PENSIERO. • S.FREUD : scoperta dell’inconscio: “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Il sogno e il sintomo nevrotico sono “formazioni di compromesso” tra la pulsione libidica (ES) che chiede la soddisfazione e le istanze censorie che la vietano (SUPER-IO), tra cui l’IO deve scegliere: i sogni e i sintomi hanno un significato inconscio.
  • 100. J.LACAN – Ecole freudienne de Paris. • L’ Inconscio è strutturato come un linguaggio perché è il linguaggio, che noi impariamo dagli altri (materno e paterno). • L’uomo nasce nel linguaggio e nel pensiero. • Quindi la sede dell’Inconscio è l’Altro. • La confusione epistemica delle neuroscienze consiste nel cercare il pensiero nella mente!
  • 101. • Dell’inconscio ( non strettamente psicoanaliticoanalitico) fanno parte anche: – le percezioni infrastrutturali e metaculturali dello spazio e del tempo e la tendenza maggiore o minore a coinvolgersi nei rapporti con le persone – le parti derivate dall’evoluzione delle strutture comportamentali biologiche , come territorio, identità, stimolazione e sicurezza – il senso di completezza e di bilanciamento quanto tutte le percezioni sensorie si integrano (sinestesia) e concordano col modello innato locale – il fatto che nel progetare e realizzare gli ambienti e gli stili di vita non si tiene conto di questi fenomeni può essere concausa dell’epidemiologia così diffuse della malattia depressibva
  • 102. La psicoanalisi e l’ascolto • La psicoanalisi è una dottrina ermeneutica ( l’arte del saper spiegare) e appartiene al dominio delle dottrine filosofiche che si occupano del pensiero • La medicina è una dottrina scientifica e appartiene al dominio delle scienze naturali. • Ambedue si occupano dello stesso oggetto: l’essere umano nella sua complessità reale e non riducibile in nessuno dei due campi separatamente…
  • 103.
  • 104. Sintomi Somatici in Psicologia Clinica
  • 105. Sintomi Somatici in Psicologia Clinica • Periodo arcaico: nessuna distinzione tra malattie somatiche e mentali.Melanconia come eccesso o alterazione qualitativa degli umori IPPOCRATE di Kos : “da null’altro si formano i piaceri e la serenità e il riso e lo scherzo se non dal cervello, e così i dolori, le pene, la tristezza e il pianto…ed è causa del cervello stesso che impazziamo e deliriamo e ci sorgono incubi e terrori…e insonnia e smarrimenti strani e apprensioni senza motivo e incapacità di comprendere cose consuete e atti aberranti. E tutto ciò soffriamo per via del cervello quando esso non è sano…” “La malattia Sacra” , V sec a.C.
  • 106. I Sintomi Somatici • XIX sec. • Pinel : Melanconia = disordine delle affezioni morali che agiscono sull’intelletto • Esquirol : Lypemania = “Splenn” degli inglesi, migliora con una profonda scossa fisica o psichica. • XX sec. • Meyer introduce il termone “Depressione” • Freud in “lutto e Melanconia” afferma che la depressione deriva da ostilità autodiretta a seguito della perdita dell’oggetto amato. • Affermazione di concezioni psicodinamiche anticliniche e antinosografiche
  • 107. Karl Jaspers Psicopatologia Generale, 1959 • Il corpo è l’unica parte del mondo che venga sentita contemporaneamente dall’interno e percepita alla superficie. Esso è un oggetto per me, ed io sono questo corpo stesso. Sono due cose differenti: come mi sento corporeamente e come mi percepisco come oggetto ; ma ambedue le cose sono legate in modo indissolubile. • Sensazioni del corpo, con le quali si forma un oggetto conosciuto e sensazioni che rimangono sentimenti del mio stato corporeo vivente sono le stesse e indissolubili, benchè distinguibili.
  • 108. I Sintomi Somatici “Molto spesso succede che i pazienti depressi si rivolgano per consultazione a medici generici, uno specialista internista o forse un chirurgo, un ginecologo, un urologo o qualche altro tipo di specialista e limitino le loro lagnanze ai sintomi fisici non dicendo niente sullo stato delle loro emozioni. Le loro lagnanze vanno dalle palpitazioni e sensazioni di costrizione al petto, alla perdita di appetito, stipsi, pollachiuria, amenorrea e una quantità di altri sintomi”. Bleuler, 1943
  • 109. I Sintomi Somatici • • • • • • • • Bonhoffer 1912 Nevrastenia Kraepelin 1918 Psicosi Maniaco-depressiva Lange 1928 Depressione mascherata Hempel 1937 Depressione da disfunzione autonomica Lemke 1949 Depressione nervosa autonomica Kielholz 1957 Depressione da esaurimento, psicogena Wieck 1968 Depressione malinterpretata Kielholz 1973 Depressione mascherata
  • 110. VISSUTI CORPOREI NELLA DEPRESSIONE E NELL’ANSIA • I vissuti corporei in corso di depressione e ansia possono assumere caratteristiche tali da essere palesemente discrepanti dalla valutazione oggettiva, fonte di sofferenza soggettiva e di limitazione funzionale. • Tali vissuti a carattere patologico hanno quasi sempre una tonalità negativa, di dolore, malfunzionamento, oppressione, pesantezza.
  • 111. DISTURBI SOMATOFORMI ( D.S.M. IV ) La caratteristica comune dei Disturbi Somatoformi è la presenza di sintomi fisici che fanno pensare ad una condizione medica generale, da cui il termine somatoforme, e che non sono invece giustificati da una condizione medica generale, dagli effetti diretti di una sostanza, o da un altro disturbo mentale (per es. il Disturbo di Panico).
  • 112. • I sintomi devono causare significativo disagio o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree. A differenza dai Disturbi Fittizi e dalla Simulazione, i sintomi fisici non sono intenzionali (cioè sotto il controllo della volontà).
  • 113. • I Disturbi Somatoformi differiscono dai Fattori Psicologici che influenzano le Condizioni Mediche per il fatto che non vi è nessuna condizione medica generale diagnosticabile a cui possano essere pienamente attribuibili i sintomi fisici. Il raggruppamento di questi disturbi in una unica sezione è basato sulla utilità clinica (cioè la necessità di escludere condizioni mediche generali occulte o eziologie legate all’effetto di sostanze per i sintomi fisici), piuttosto che su convinzioni riguardanti un meccanismo patogenetico o una eziologia comuni. Questi disturbi vengono spesso riscontrati nelle consultazioni mediche generali.
  • 114. • 1 DISTURBI DI SOMATIZZAZIONE Interessamento prevalente del sistema neurovegetativo • 2 DISTURBI DI CONVERSIONE • Interessamento prevalente del sistema muscolare volontario • 3 IPOCODRIA • Interessamento prevalente della ideazione e del pensiero
  • 115. 1– Disturbo di Somatizzazione (storicamente collegato all’Isteria o Sindrome di Briquet): è un disturbo polisintomatico che comincia prima dei 30 anni, che dura per più anni, e che è caratterizzato dalla associazione di dolore e sintomi gastro-intestinali, sessuali e pseudoneurologici;
  • 116. • 2– Disturbo di Conversione: comporta sintomi ingiustificati di deficit pseudoneurologici riguardanti le funzioni motorie volontarie e sensitive, i quali potrebbero suggerire una condizione neurologica o medica generale; fattori psicologici appaiono collegati con i sintomi o i deficit;
  • 117. • 3– Ipocondria: è la preoccupazione legata al timore di avere, oppure alla convinzione di avere una grave malattia, basata sulla erronea interpretazione di sintomi o funzioni corporee;
  • 118. • – Disturbo Algico: è caratterizzato dal dolore come punto focale principale della alterazione clinica. Inoltre vi è motivo di ritenere che qualche fattore psicologico abbia un importante ruolo nell’esordio, gravità, esacerbazione o mantenimento;
  • 119. • La linea d’ombra della medicina U.M.S. o Unexplained Medical Simptoms •Sintoni “sine materia • o sintomi funzionali
  • 120.
  • 121.
  • 122.
  • 123.
  • 124.
  • 125. • IN REALTA’ : • L’ASSOCIAZIONE TRA DISTURBI DELL’UMORE E DOLORE SOMATICO E’ IN REALTA’ PRESENTE NEL 85% DEI PAZIENTI… • NEI PAZIENTI CON SINTOMATOLOGIA CLINICA CLASSICA E’ SPESSO TRASCURATA LA DIMENSIONE CORPOREA PER LA PREVALENZA DEI SINTOMI DELLA DIMENSIONE PSICHICA . • NEI PAZIENTI CON SINTOMATOLOGIA DEPRESSIVA SOTTOSOGLIA E’ MOLTO SPESSO IN PRIMO PIANO L’ASTENIA PSICOFISICA E RELATIVE SOMATIZZAZIONI
  • 126. • Il Sistema Limbico è in primo luogo implicato nella genesi della fisiopatologia dei Disturbi Affettivi ( ANSIA e DEPRESSIONE). • Infatti le due dimensioni sintomatologiche sono sempre associate e presenti in varia proporzione in ogni quadro clinico
  • 127. LA MOTIVAZIONE • I) Il concetto di Motivazione o Comportamento motivato (pulsione) è stato introdotto in Psicologia dopo gli studi di W. James, C. L. Hull e S. Freud. Con esso si deve intendere tutto ciò che spinge l'essere umano a perseguire determinati scopi. Esso quindi è lo studio del "perché" delle azioni. • II) Tutte le forme di motivazione, siano esse biologiche (p.es. ricerca del cibo) o psicologico-affettive, implicano sempre la mobilitazione di una quantità più o meno grande di energia per il conseguimento di uno scopo (bisogni-desideri). La Psicologia studia le diverse forme di motivazione, ovvero il nesso tra certi comportamenti e l'ambiente. • III) Una motivazione si manifesta quando per una qualsiasi ragione si è perso uno stato di equilibrio, e permane sino a quando l'equilibrio non si è ristabilito. P.es. dopo un certo numero di ore di digiuno intervengono dei meccanismi che ci segnalano la necessità di reintegrare il cibo metabolizzato.