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Una rivoluzione ci salverà
Tuttavia, i nostri leader non hanno mai concesso al cam-
biamento climatico lo stesso trattamento riservato a queste
crisi, benché il rischio da esso comportato – in termini di
perdite di vite umane – superi di gran lunga quello legato al
crollo di qualche banca o di qualche grattacielo. I tagli alle
emissioni di gas serra invocati dagli scienziati come necessari
per ridurre grandemente il pericolo di catastrofi vengono
considerati semplici suggerimenti indicativi, azioni da poter
rimandare più o meno all’infinito. Certo, ciò che è definito
una crisi non è solo realtà dei fatti, bensì un’espressione di
potere e di priorità. Nonostante tutto, non siamo obbligati
a fare da semplici spettatori. I politici non sono i soli ad
avere il potere di dichiarare una crisi: possono farlo anche i
movimenti di massa di gente comune.
Per le élite britanniche e americane, la schiavitù non fu
una crisi finché l’abolizionismo non la rese tale. La discrimi-
nazione razziale non fu una crisi finché non fu resa tale dal
movimento per i diritti civili. La discriminazione sessuale
non fu una crisi fino all’arrivo del femminismo. L’apartheid
non fu una crisi finché non venne resa tale dal movimento
anti-apartheid.
Analogamente, se un numero sufficiente di persone smet-
tesse di voltarsi dall’altra parte e decidesse che il cambia-
mento climatico è una crisi degna di una risposta al livello
di un piano Marshall, esso diverrebbe davvero una crisi e la
classe politica dovrebbe rispondere in modo adeguato, sia
rendendo disponibili le risorse per affrontarla, sia piegando
quelle regole del libero mercato che si sono dimostrate così
flessibili quand’erano in gioco gli interessi delle caste. Di
tanto in tanto, quando una particolare crisi ci costringe a una
riflessione sul cambiamento climatico, cogliamo un barlume
di questa potenzialità. «I soldi non sono un problema in que-
sta missione di soccorso. Spenderemo tutto il denaro che si
mostrerà necessario» ha dichiarato il primo ministro britan-
nico David Cameron – mister Austerity in persona – quando
vaste aree del suo Paese si sono ritrovate sommerse dopo la
storica alluvione del febbraio 2014 e l’opinione pubblica era
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2. In un modo o nell’altro, tutto cambia
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infuriata perché il suo governo non stava facendo abbastanza
per aiutare la gente.7
Ascoltando l’ambasciatrice Navarro Llanos presentarmi
la prospettiva boliviana, ho iniziato a comprendere come
il cambiamento climatico – se trattato al pari di una vera
emergenza planetaria, come le inondazioni conseguenti alla
crescita del livello delle acque – potrebbe diventare una forza
galvanizzante per l’umanità: non solo ci lascerebbe tutti più
protetti dagli eventi meteorologici estremi, ma renderebbe
le nostre società più sicure e più giuste sotto un’altra serie
di profili. Le risorse necessarie per abbandonare in fretta i
combustibili fossili e prepararci ai turbamenti meteorologici
che ci attendono potrebbero infatti sollevare dalla miseria
larghissimi strati dell’umanità, offrendo alle popolazioni quei
servizi di cui ora sono prive, dall’acqua pulita all’elettricità.
Questa visione del futuro non si limita alla mera questione
di sopravvivenza o resistenza al cambiamento climatico, e
va oltre le strategie di «mitigazione» o «adattamento» (nel
cupo linguaggio delle Nazioni Unite). È una visione in cui
ci serviamo collettivamente della crisi per saltare da qualche
altra parte, per raggiungere una situazione che, in tutta fran-
chezza, mi sembra migliore di quella in cui ci troviamo oggi.
Dopo quella conversazione, ho scoperto di non avere più
paura a immergermi nella realtà scientifica del cambiamento
climatico. Ho smesso di evitare gli articoli e gli studi scientifici,
e ho iniziato a leggere tutto quello che riuscivo a trovare. E
ho anche smesso di scaricare il problema agli ambientalisti, di
dirmi che doveva pensarci qualcun altro. Parlando con altre
persone del movimento per la giustizia climatica, le cui file
si ingrossano via via, ho iniziato a vedere gli svariati modi in
cui il cambiamento del clima potrebbe diventare una forza
catalizzatrice per una trasformazione generale positiva. Ho
capito come potrebbe essere il miglior argomento mai avuto
dai progressisti per chiedere la ricostruzione e il rilancio
delle economie locali; per bonificare le nostre democrazie
dall’influenza corrosiva delle corporation; per bloccare sul
nascere i nuovi accordi di libero scambio che risultino dannosi
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Una rivoluzione ci salverà
e riscrivere quelli vecchi; per investire nelle infrastrutture
pubbliche che oggi languono nell’assenza di fondi, come
i trasporti di massa e l’edilizia popolare; per riprenderci la
proprietà di servizi essenziali come l’energia e l’acqua; per
trasformare il nostro sistema agricolo malato in qualcosa di
molto più sano; per aprire i confini ai migranti in fuga a causa
degli impatti climatici; per far rispettare infine i diritti degli
indigeni sulle loro terre. Tutto questo ci aiuterebbe a porre
fine ai grotteschi livelli di ineguaglianza che si riscontrano
fra le nostre nazioni e all’interno di ciascuna di esse.
E ho iniziato a cogliere segni – nuove coalizioni e argomenti
innovativi – di come, se tali connessioni venissero maggior-
mente comprese, l’urgenza della crisi climatica potrebbe
formare la base di un potente movimento di massa, in grado
di tessere quelle questioni in apparenza disparate in un unico
discorso coerente su come proteggere l’umanità dalle deva-
stazioni generate tanto da un sistema economico ferocemente
ingiusto quanto da un sistema climatico destabilizzato. Ho
scritto questo libro perché sono giunta alla conclusione che
l’azione sul piano del problema climatico potrebbe costituire
questo rarissimo catalizzatore.
Uno shock del popolo
Ma l’ho scritto anche perché c’è la possibilità che il cam-
biamento climatico inneschi invece una serie di forme di
trasformazione sociale, politica ed economica molto diverse
e di gran lunga meno desiderabili.
Ho trascorso gli ultimi quindici anni immersa nelle ricerche
sulle società che affrontano shock estremi (causati da tracolli
economici, disastri naturali, attacchi terroristici e guerre),
esaminando in profondità i mutamenti che esse subiscono in
questi periodi di tremendo stress e i modi in cui questi eventi
cambiano – talora in meglio, ma perlopiù in peggio – il senso
collettivo di ciò che è possibile. Come ho argomentato nel
mio ultimo libro, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei
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