1. LA PORTA DI DOR.SAN.
Se in linea teorica, quasi di enunciato accademico la fotografia dà un istante e la
pittura una sintesi del moto, quasi a voler sostenere come faceva G. C. Argan che la
pittura non può essere sostituita dalla fotografia (condivisibile in certi casi) siamo
davanti al contrario. La porta di DOR.SAN. è l’attimo globale chiuso in un evento:
come accade per una prodezza balistica; per la composizione di una melodia o per la
scrittura di una poesia.
2.
3. La porta di Dor.San. è quell’istante che fissa una pluralità di significati in un solo
racconto semplice ma grandioso. E’ un istante integrale, come le opere europee
dell’impressionismo integrale, perché non è soltanto stimolo visivo o accattivante
provocazione di coscienza. Il ricercatore fotografico, tale è chi l’ha operata, ha portato
la sensazione visiva a fondersi nella coscienza.
La foto, lungi dall’essere un istante, diventa con la porta di Dor.San. l’esempio di una
sensazione itinerante come un percorso di vita attraverso il metodo stesso del fotografo,
quasi a voler essere essa stessa, il fotografo! Il fotografo di tutte le memorie riscoperte
nella nostra mente al gusto severo dall’iconografia e delle opere che furono il prodotto
dei nostri avi. L’esecuzione fotografica, rapida, ma non veloce, concreta ed essenziale,
conduce alla sensazione visiva la quale si evolve in emozione, in ciò che Cezanne
chiamava: “…ma petite sensation”.
Il moto meccanico del click è il racconto...della piccola grande sensazione.
Le inclinazioni personali, qui, si annullano ed è un susseguirsi di foto non scattate che
iniziano a ripetersi davanti alla nostra coscienza: click!...buona la prima e basta, essa
stessa sarà la seconda; poi la terza; poi la quarta e così via nelle nostre rimembranze.
La foto, come insieme di foto. E’ un dipinto fotografico: non ha una gemella; non ha
repliche e non potrebbe averne. Come per un dipinto di Degas, non c’è distacco tra il
soggetto che vede e l’oggetto fotografato. E’ un diretto coinvolgimento nella realtà
fotografata con un gesto della mano che vuol essere un “acchiappare” la realtà
consegnandola all’archivio delle mille sensazioni ed immagini di chi osserva. E’ la
staticità della realtà che muove e stimola il soggetto. L’oggetto mette in azione il
soggetto a voler restituire, a parti inverse, ciò che le mani e l’inventiva degli avi
creavano all’atto della produzione di oggetti oggi facenti corpo unico della scena
fotografica.
La porta ci mette dinanzi alla fotografia di noi stessi attraverso l’animato nella nostra
coscienza, della nostra memoria. Non si fosse fermata a metà avrebbe fatto uscire
troppo subito e troppo evidentemente lo scorcio di vita di tanti che lì dentro si recarono
per secoli rinnovando la propria anima con la sordità di un gesto e l’unicità di
un’emozione. Lì, in quella casa comune che raccoglie tutti e tutto, va di scena il sacro di
una preghiera; l’atroce rispetto del commiato a un amico; la rabbia sussurrata a Dio
dell’amara esistenza di “siloniana” meschinità; l’attimo drammatico di un pentimento
o quello struggente di un’esortazione. Potremmo definirlo come un eccesso di
concretezza e lucidità da parte dell’artista il quale coglie l’unicità scenica. Coglie la
realtà assoluta.
La porta è quindi socchiusa.
Accetta, quasi sorniona, lo sguardo curioso di chi ricorda il battere delle ginocchia sui
freddi gradini dell’altare a servire il curato di turno. Essa è sorniona ma anche
maestra: diventa per un attimo la porta della conoscenza, cioè la porta della vita che
4. scopre il coraggio di vivere. Il coraggio dell’uomo nel confronto con i suoi stessi limiti
nella quotidianità dell’Abruzzo dalla “fontamara” pena umana, dentro un percorso
collettivo di usi, costumi e abitudini di una collettività che lì dentro si ritrova come
soggetto unico e neutrale. Eccola, accingersi in quello spazio che è di tutti e che è
esclusivamente nostro allo stesso tempo, come lo è per la peccatrice, guidata da quelle
gambe che una volta erano veloci per timore e lente per necessità. Se la cerchiamo nei
nostri pensieri è come la migliore dei fedeli, la vediamo gettare uno sguardo…è un
attimo, anche per lei.
La porta socchiusa è anche un libro che conterrà lo scritto della nostra vita.
E’ lo scritto dello sguardo della donna pia e della donna scarlatta; del bimbo in fasce e
di quello col calice; lo scritto di chi ricorda un amore proprio lì dove è nato, fra sguardi
di vecchie signore dedite più a pizzi e merletti che alla croce e all’altare; E’ lo scritto dei
sospiri che chiudono il pianto per il caro che va oltre e del brigante che solo lì s’inchina,
quasi ad onorare quegli oggetti e quelle immagini sacre alle quali, raccontarsi, non è
tradimento né uno sgarro. E’ lo scritto del ricco borioso, vile fra quei banchi storici e
severi, fa i conti con un’idea di vita pezzente che cede davanti al sommo valore della
cristianità. La foto li racconta proprio tutti, in un alternarsi di soggetti che riscopriamo
tramite “la porta” come fosse una messaggera delle carole di britannica narrativa.
Sembra sia la messaggera della nostra esistenza (fatta di storie eroiche, di vacue
manifestazioni dell’apparire e a volte di luci ed ombre come a volte di colori, rinchiusi
nel bianco e nero di una foto) ricacciando la vanità umana per dar posto al valore delle
emozioni.
Ecco il moto delle immagini e delle sensazioni che, senza espedienti barocchi, la foto ha
saputo raccontare per mano di Dor.San.
Anch’essa si chiuderà, una volta girata la pagina dell’album che la custodisce; come si
chiuderà l’occhio dell’artista che libera l’altro di mirare lo spazio di una nuova
emozione.
La foto che segue…
Autore
(Hermo D’Astolfo)