Riflessioni sulla relazione tra apprendimento e sviluppo emotivo _ Studio Cometa.pdf
1. 12/09/22, 15:15 Riflessioni sulla relazione tra apprendimento e sviluppo emotivo | Studio Cometa
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a cura di
Alessia Minellono e Marzia Gaglione
Difficoltà scolastiche, disturbi specifici dell’apprendimento, disturbi
d’ansia da prestazione, disturbi dell’attenzione e iperattività,
CHI SIAMO CURA E BENESSERE SCUOLA E DSA ADULTI E FAMIGLIE
BAMBINI E ADOLESCENTI IDEE IN CIRCOLO CONTATTI
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rappresentano attualmente le principali ragioni di presa in carico psicologica in
età evolutiva.
Questo campo è stato fino ad oggi oggetto di studio della neuropsicologia e
anche dal punto di vista clinico, quando un bambino arrivava in
consultazione si andavano ad indagare prima di tutto e principalmente le
sue competenze strumentali, le abilità neuropsicologiche e il profilo
cognitivo.
Attualmente però si sono sviluppati numerosi filoni di ricerca che mostrano
come le difficoltà di tipo emotivo e relazionale possano influenzare
negativamente le possibilità di apprendere di un individuo.
La riflessione che vi proponiamo qui di seguito ha proprio come obiettivo
invitare genitori, insegnanti e chiunque altro ruoti attorno ad un bambino, a
prestare sempre più attenzione al legame che c’è tra lo sviluppo emotivo e
la capacità di apprendere.
Quando si parla di aspetti emotivi e relazionali ci si riferisce alla capacità di
una persona di saper regolare le proprie emozioni, di saper entrare in
relazione con gli altri in maniera adeguata e positiva e di riuscire ad
adattarsi ai diversi contesti sociali che la vita offre.
Lo sviluppo emotivo di un bambino dipende dalla relazione di attaccamento
con le sue figure di riferimento, ossia da quel legame primario che il
bambino (e più in generale tutti i mammiferi) sviluppa nei primi mesi di vita
con l’adulto significativo, cioè con quello con cui ottiene la maggiore
prossimità fisica alla nascita, solitamente la madre.
Cos’è la relazione di attaccamento?
Se pensiamo ad un neonato o ad un cucciolo di mammifero, ci è subito
chiaro come l’evoluzione ci abbia predisposti in modo innato a legarci a
qualcuno di più grande che possa prendersi cura di noi, il quale è a sua
volta predisposto a diventare per noi la figura di accudimento (G. Liotti).
Negli esseri umani questa relazione di attaccamento si “struttura” nel primo
anno di vita, diventa cioè stabile. Già a 12 mesi il bambino ha capito in quali
modi quel genitore si prende cura di lui, a quali bisogni quel genitore riesce
a rispondere e quali sono invece i bisogni e le emozioni che per quel
genitore sono più difficili da gestire nel bambino, e il bambino si adatta. È
iniziata una danza a due in cui i ballerini conoscono i passi dell’altro e li
prevedono.
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Il bambino si è ora creato un “modello”, cioè delle aspettative
relativamente fisse sulla madre che utilizzerà anche per muoversi
nel mondo, per prevederlo e per mettersi in relazione con esso.
L’attaccamento riveste un ruolo centrale nelle relazioni tra gli
esseri umani, dalla nascita alla morte (J. Bowlby).
Quando questa “danza a due” funziona nel migliore dei modi, il bambino esprime
i suoi bisogni e il genitore sufficientemente buono è in grado di sintonizzarsi
emotivamente con il bambino e di rispondere in maniera congrua, affettuosa e
prevedibile alle sue richieste per la maggior parte delle volte (non sempre! I
genitori perfetti non esistono!). Il bambino così ha imparato che è verosimile
aspettarsi che quando lui sente un’emozione ci sarà qualcuno che lo capisce e lo
sostiene e che quando ha bisogno ci sarà qualcuno in grado di aiutarlo, e questo
lo fa sentire sicuro. Il legame così strutturato è chiamato attaccamento sicuro.
All’interno di questo legame il genitore diventa per il bambino una “base
sicura” da cui il bambino può allontanarsi per esplorare il mondo e un “porto
sicuro” da cui può tornare per chiedere protezione e conforto quando è
stanco e in difficoltà.
Tutti i genitori agiscono nella relazione con il proprio bambino con
l’obiettivo di fare il meglio per lui e di essere una base sicura, tuttavia gli
eventi avversi della vita, la storia di ognuno di noi e il legame di
attaccamento con il proprio adulto significativo, possono ostacolare la
capacità di un genitore di sintonizzarsi sui bisogni emotivi e relazionali del
bambino, cioè di essere sulla sua stessa lunghezza d’onda.
Cos’è la sintonizzazione emotiva?
La sintonizzazione emotiva è una sorta di connessione non intenzionale e
inconscia tra madre e bambino, che produce un senso di soddisfacimento
reciproco, che si ha quando il genitore riesce a “sentire” l’emozione che il
suo bambino sta provando in quel momento e riesce a condividerla con lui,
cioè a stare con lui con quell’emozione.
Ciò che costruisce la fiducia nella relazione genitore figlio è la capacità del
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primo di ristabilire rapidamente e in modo efficace buone connessioni dopo
un disaccordo, cioè dopo la perdita di questo legame sintonico. È il ciclo
ricorrente di buona e cattiva sintonia che alla fine promuove lo sviluppo di
una relazione basata sulla fiducia: un momento di rottura è seguito da
sintonia e la relazione è più importante di qualsiasi conflitto (E. Tronick).
“Buon accudimento” e “cattivo accudimento” inviano messaggi diversi nel cervello
dei bambini in fase di sviluppo, e questi messaggi hanno conseguenze diverse su
come il bambino si approccia al mondo, sulla sua vita relazionale, sullo sviluppo
emotivo, sul benessere psicologico e sulla disponibilità ad apprendere.
Come lo sviluppo emotivo si interseca con l’apprendimento?
Le nuove teorie che si stanno sviluppando su questi argomenti (E. Simonetta, G.
Liotti, B. Farina, D. Siegel) e l’esperienza clinica del nostro Studio ci fanno
sempre più pensare che vi siano molti aspetti che influiscono sulle difficoltà di
apprendimento, e che molti di questi siano di natura emotiva.
I Disturbi di Apprendimento possono distinguersi in due gruppi in base alla
loro “eziologia”: ci sono quelli di “carattere funzionale” (come dislessia,
disortografia, discalculia) e quelli di “carattere cognitivo”, che riguardano
una più generale “indisponibilità” ad apprendere, con difficoltà più ampie di
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apprendimento. Sono questi ultimi che sembrano avere un nesso forte con
relazioni di attaccamento disfunzionali o con i traumi.
Questi bambini, con storie di attaccamento disfunzionali o traumi,
inizieranno ad avere lacune nei prerequisiti all’apprendimento che, se non
vengono colmate, si trasformeranno in lacune cognitive più o meno gravi
riguardanti le abilità di base del percorso di alfabetizzazione e
scolarizzazione in generale.
In questa situazione la capacità di elaborazione dell’informazione dei
bambini diventa meno efficace e ostacola la loro possibilità di apprendere
anche negli anni successivi del loro percorso di studi. Talvolta può
succedere che un bambino presenti questo tipo di difficoltà associate ad
una dislessia: in questo caso i due disturbi si rinforzano vicendevolmente, e
possono accompagnarsi a difficoltà attenzionali, ostacolando ulteriormente
la possibilità di imparare del soggetto.
“La modulazione delle emozioni è il modo in cui la mente regola l’energia per il
processamento delle informazioni”
Daniel Siegel
I bambini e i ragazzi che hanno questa “indisponibilità” ad apprendere sono
proprio quelli con cui l’intervento riabilitativo neuropsicologico tradizionale
risulta meno efficace, che non traggono beneficio dall’uso degli strumenti
compensativi e dispensativi.
Riteniamo sia importante concentrarsi su coloro che presentano queste
caratteristiche per comprendere meglio l’eziologia del disturbo, per effettuare un
percorso di trattamento più efficace e per promuovere lavori di prevenzione atti a
sensibilizzare genitori e insegnanti.
Nella nostra esperienza clinica questo è il tipo di difficoltà di apprendimento
che più frequentemente è presente nei bambini che arrivano in
consultazione e, se è vero che un fattore importante legato all’origine di tale
difficoltà è lo sviluppo emotivo-relazionale del bambino, allora anche
l’approccio clinico dovrà modificarsi. La valutazione dovrà necessariamente
comprendere gli aspetti affettivi oltre a quelli cognitivi e la presa in carico
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dovrà prevedere, oltre all’intervento tecnico-riabilitativo, un percorso di tipo
psicoterapeutico.
Quindi quando noi genitori o insegnanti vediamo che il nostro bambino ha
difficoltà a scuola e negli apprendimenti, oltre a concentrarci sugli aspetti
didattici è fondamentale che prestiamo grande attenzione agli aspetti
emotivo-relazionali che si intersecano ad essi nel percorso di
apprendimento poiché centrali per lo sviluppo della capacità di apprendere:
solo un cervello “tranquillo” è nelle condizioni di poter imparare.
Un messaggio importante che noi genitori dobbiamo avere sempre ben
chiaro in mente è che “non è mai troppo tardi” per aiutare il nostro bambino
a cambiare quel “modello” formato dalle aspettative che il bambino si crea
sulla madre e sul mondo, di cui parlavamo all’inizio dell’articolo.
Cambiando qualcosa nella relazione con il proprio figlio le sue aspettative
sul genitore possono cambiare e tale modello può modificarsi, a qualsiasi
età.
“Le emozioni costituiscono i processi fondamentali attraverso i quali la mente
conferisce valori e significati a eventi interni ed esterni, che indirizza i nostri
meccanismi attenzionali nell’ulteriore elaborazione di queste rappresentazioni”
Daniel Siegel
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Cheesecake alle fragole
6 Maggio 2022
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