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Endurance 
Trail 
idea Montagna 
editoria e alpinismo 
Franco Faggiani 
preparars i part e cipare so prav viv er e
Correre è libertà
Franco Faggiani 
Endurance Trail 
Prepararsi, partecipare, sopravvivere 
idea Montagna 
editoria e alpinismo
Io all’autore di questo libro gliel’ho detto più 
volte: “lascia perdere”. Mettersi a correre in mon-tagna 
alla sua età, che poi è esattamente anche la 
mia. Ma lui non mi dà retta – del resto ognuno 
di noi ha qualche desiderio intimo a cui, prima o 
poi, cerca di dare soddisfazione – e io non posso 
insistere più di tanto. Perché lui, ogni volta, mi 
risponde che la colpa di tutto questa è solo mia. 
L’autore ha scoperto la corsa in montagna appe-na 
pochi anni fa, dopo che s’era messo in testa di 
scrivere la mia storia. Facemmo lunghe chiacchie-rate 
poi trasformate in “Correre è un po’ come 
volare”, un libro in cui, tra domande e risposte, 
raccontavo anche delle mie esperienze negli Ul-tra 
Trail. Specie a quello di 168 chilometri che gi-rano 
intorno al Monte Bianco e attraversano tre 
Paesi, poi diventato l’obiettivo, la corsa-mito di 
gran parte dei runner di ogni parte del mondo. 
A questa gara ho partecipato più volte, a poco 
5 
Io gliel’ho detto 
Prima edizione: giugno 2014 
ISBN: 978-88-97299-46-2 
Idea Montagna Editoria e Alpinismo 
è un marchio di Officina Creativa sas 
Via Guido Rossa, 17 – Piazzola sul Brenta PD 
Tel. 049 9601797 – Fax 049 8840000 
www.ideamontagna.it – info@ideamontagna.it 
Progetto grafico: Officina Creativa sas 
Copertina: Rossella Benetollo 
Impaginazione: Irene Cappellari 
Stampa: Litocenter srl 
In copertina: Roberto Fluido Beretta fotografato da Ian Corless 
(www.iancorless.org) 
Nell’interno: foto ricevute da Manuela Restagno, Mirko Mottin, 
Assessorato Turismo Valle d’Aosta, Tecnica. 
© Tutti i diritti riservati. 
È vietata la riproduzione anche parziale degli scritti e delle fotografie.
del calendario internazionale. Io per esempio 
non la farei, perché stare in giro tutto quel tempo 
e su quella distanza, 330 chilometri, non è nelle 
mie corde. Alla mia età, che poi è esattamente an-che 
la sua, stare in giro per una settimana su e giù 
per i valloni con il tempo che può cambiare da 
un momento all’altro non me la sento. Al massi-mo 
posso star fuori una notte, com’era, appunto, 
all’Ultra Trail del Monte Bianco. 
Però lui, niente. Per fortuna fa un mestiere in cui 
la curiosità e la voglia di apprendere, che prece-dono 
la sperimentazione, non gli mancano. Così 
si è messo a chiedere notizie agli atleti, di punta 
e di coda, li ha seguiti nelle gare, ne ha scovato 
piccoli segreti. Ha letto libri e ha sentito esperti. 
Si è documentato bene e poi ha provato in prima 
persona materiali e luoghi, distanze e sensazio-ni. 
Così è nato questo libro, che è una specie di 
manuale raccontato, o, all’opposto, un insieme 
di racconti ordinati sulla falsariga di un manua-le. 
Non ci sono tabelle, schemi, diagrammi, ca-lorie 
consumate, energie misurate, anche perché 
nell’endurance trail non servono a niente; nel 
senso che su distanze molto lunghe e in ambienti 
soggetti a molte variazioni ognuno, appunto con 
consapevolezza (una parola che nel testo viene 
sottolineata più volte), deve provvedere per sé, 
meno di 60 anni. La prima volta arrivai terzo, poi 
la vinsi nei due anni successivi, poi, un altro paio 
di volte, fui costretto a ritirarmi. Dunque ho pro-vato 
molte delle sensazioni forti che colpiscono 
un runner in una lunga corsa in montagna: suc-cesso, 
esaltazione, dolore, rinuncia, delusione, ri-scatto. 
Ho imparato molto da lì, nonostante aves-si 
già corso abbondantemente tra le montagne, 
nei deserti, sugli altipiani, nelle isole caraibiche o 
in quelle coperte di ghiacci, nei posti vicino casa 
o dall’altra parte del mondo. 
In montagna, più che in altri ambienti, bisogna 
portare nello zaino molte cose, materiali – per-ché 
le condizioni ambientali cambiano spesso e 
possono farsi difficili – e immateriali. Tra que-ste 
ultime anche determinazione, abnegazione, 
consapevolezza. Non so, a dir la verità, quanto e 
come l’autore si alleni fisicamente per queste pro-ve 
sulle lunghe distanze. So però, conoscendolo 
un po’, che queste tre cose fondamentali ce le ha. 
Sa badare a se stesso e capire come affrontare le 
situazioni. È prudente ma al tempo stesso non 
molla tanto facilmente. Anche in questo caso 
dice che è colpa mia, ma credo che delle solide 
basi di testardaggine e di pratica sportiva in mon-tagna 
le avesse già. S’è fissato, per esempio, col 
Tor des Géants una delle gare più lunghe e dure 
6 7
Poco tempo fa, in età già ultraveneranda per 
certi sport e soprattutto per la corsa fuori stra-da, 
mi sono messo in testa di partecipare a una 
ultramaratona. Non a una corsa campestre, a 
una ‘mezza’ e nemmeno a un trail, che vuole già 
il suo contributo di vittime, ma a una gara sulle 
lunghe distanze, dagli 80 km in avanti, secondo 
una omologazione internazionale che classifica, 
appunto, l’ultra trail. È la prima e ultima volta 
che leggerete qui questo termine. Avrei voluto 
usarlo persino nel titolo ma non si può. Le due 
parole, separate, formano un marchio registrato. 
Christine Poletti, organizzatrice dell’Ultra Trail 
del Monte Bianco, lo detiene. Le avevo chiesto il 
permesso di poterlo usare in copertina ma niente 
da fare. La signora è stata gentilissima ma ferma. 
“Ultra Trail è un marchio”, mi ha scritto, “e quin-di 
non può essere usato per descrivere uno sport”. 
Non m’è restato altro da fare che prenderne atto. 
9 
non ci sono regole comuni. Nel testo però ci sono 
curiosità, citazioni, sperimentazioni, trucchi e i 
molti consigli pratici ricevuti, messi in pratica, se-lezionati 
e ritrasmessi. Ho chiesto all’autore quali 
possono essere i suoi lettori tipo. Lui ha risposto: 
“tutti coloro che un bel giorno, a qualsiasi età, si 
alzano dal divano ed escono di casa per andare a 
far due passi sul sentiero. Certi poi ci prendono 
così gusto dal voler mettersi a correre un lungo 
trail. Con un briciolo di spirito agonistico e tanta 
voglia di godersela”. Questo mi sembra il vero spi-rito 
del testo. Perciò approvo e sottoscrivo. 
Marco Olmo 
Da leggere prima di tutto il resto 
8
soprattutto nei fine settimana, proprio quando si 
disputano le gare. Poi sono scarsamente dotato 
di spirito agonistico, non mi importa il confron-to, 
la sfida, la classifica. Mi metto nelle retrovie 
e lì sto. Cerco di arrivare in fondo felice, sereno, 
dopo aver conosciuto nuovi amici, essermi incon-trato/ 
scontrato con il carattere della gente, aver 
apprezzato le piccole storie raccontate e l’am-biente 
naturale intorno. 
In compenso ho una certa predisposizione alla 
tenacia. Anche se non sono stato un frequenta-tore 
dei trail, da decenni attraverso montagne e 
valloni d’estate, arrampico in falesia, percorro 
lunghe distanze sugli sci da fondo, zampetto con 
le ciaspole in mezzo alla neve fresca fin da quando 
non era per niente una moda farlo. A casa mangio 
in modo corretto, mi sposto in bicicletta, faccio 
le scale a piedi, non ho stravizi anche se mi tolgo 
gli sfizi… 
A incoraggiarmi, per certi versi, sono intervenu-ti 
due fattori. Il primo: un’intervista a Ruggiero 
Isernia, uno dei ‘senatori’ del Tor, ovvero un atle-ta 
che ha brillantemente portato a termine tut-te 
le edizioni fin qui disputate. E in che modo? 
Sempre camminando. Godendosi il paesaggio, 
fermandosi a far fotografie, riposandosi quando 
necessario, fermandosi a chiacchierare con un 
Ma torniamo alla mia avventura. Visto che c’e-ro 
(del resto è nel mio carattere scartare le mezze 
misure) mi sono concentrato sulla partecipazio-ne 
al Tor des Géants, la gara più lunga e difficile 
che si organizza in Italia (330 chilometri di sen-tieri 
in quota e 24mila metri di dislivello positi-vo, 
il tutto in un’unica soluzione, come direbbe il 
mio direttore di banca, e al massimo in 150 ore) e 
sicuramente una delle più dure del mondo. Ecco 
perché gran parte dei riferimenti all’interno del 
testo sono rivolti a questa ambita competizione 
internazionale valdostana. È innegabile, comun-que, 
che di gare su lunghe distanze decisamente 
appetibili ce ne sono molte, dalle valli sotto il 
Monte Bianco a quelle delle Dolomiti, passando 
per la Valtellina. 
Follia pura, la mia? Molti pensano di sì (a vol-te, 
per fortuna non sempre, lo penso anche io). 
Specie i miei vecchi amici sedentari e gran parte 
di quelli acquisiti in epoche più recenti nel mon-do 
trail. Ai primi sembra da matti anche il fatto 
che io vada a correre la sera per un’ora nel parco 
cittadino. Ai secondi sembra incredibile che io 
non mi sia mai fatto vedere, o quasi, in altri ap-puntamenti 
che contano. Ma questo qui, chi è? 
Hanno ragione, anche se posso giustificarmi: il 
mio lavoro, per esempio, mi porta a darmi da fare 
10 11
seconda in avanti mi sono messo a percorrere gli 
stessi sentieri, a studiare i tracciati, a far doman-de 
ai tecnici e ai runner, a frugare nei loro zaini, 
nelle loro borse, a volte anche nei loro sentimen-ti; 
ad accompagnarli in qualche altra gara e ad 
andare loro incontro in certi tratti difficili. Poi, 
per vedere l’effetto che fa stare in mezzo ad altri 
concorrenti, ho preso parte – e tutt’ora lo faccio 
– a qualche trail corto. Sempre stando in fondo, 
però. 
Nel 2013 eccomi iscritto alla mia prima edizione 
del Tor. Bella sensazione. Con la voglia di allenar-mi 
con maggiore regolarità e impegno. Bella sen-sazione 
anche questa. Infine, a meno di un mese 
dal via, un vero infortunio, durante un’uscita di 
circa 60 chilometri. Brutta sensazione. Niente 
gara. Comunque, un’esperienza anche il piedone 
fasciato e tutto quel che ne è conseguito dal pun-to 
di vista psicologico, da cui ho estratto nuovi 
insegnamenti. 
Nel 2014 ci si riprova, sempre con lo spirito leg-gero. 
Non ho confronti con me stesso da fare o 
limiti personali ‘da abbattere’. Per prima cosa per-ché 
i miei limiti fanno un po’ come gli pare, van-no 
avanti e indietro senza che io riesca a domarli; 
poi perché la vita, purtroppo o per fortuna, mi 
ha offerto altre prove ‘emozionanti’ da affronta-sacco 
di gente lungo il percorso. La calma fatta 
persona. Il secondo: uno studio scientifico, che è 
stato riportato anche nel best seller ‘Born to Run’, 
di Christopher McDougall, e che qui sintetizzo, 
è che le capacità atletiche di un ragazzo dicianno-venne 
aumentano con la crescita fino a raggiun-gere 
un apice, intorno ai 27 anni, poi inevitabil-mente 
calano e si ritrovano allo stesso livello di 
partenza a… 64 anni. In più però, a quest’età, hai 
dalla tua l’esperienza, che da atleta adolescente di 
sicuro non avevi. Quindi sei pure avvantaggiato 
rispetto a quello che potrebbe essere tuo nipote. 
“Non c’è nessun’altra disciplina sportiva in cui 
uno di 64 anni può competere con uno di 19”, 
dice nel libro il professor Bramble. In effetti un 
paio ce ne sarebbero, la vela e l’equitazione, per 
esempio; ma lì ci sono barche e cavalli che fanno 
la loro parte. Nell’ultramaratona dobbiamo fare 
tutto da soli. 
Certo, lo so, tutto questo non basta per essere 
sicuri di arrivare in fondo sani e salvi a una 330 
chilometri o anche ‘solo’ a una 160. Bisogna ag-giungere 
a questa materia grezza molto altro, di 
più raffinato. Ed è proprio per questo che, dopo 
aver seguito la prima edizione della gara valdo-stana 
da bordo campo, come giornalista, dalla 
12 13
gli esperti – runner o tecnici – faranno orecchie 
da mercante. Non posso certo dar loro torto. 
Sanno benissimo come dovrebbero scegliere un 
paio di scarpe o cosa portarsi appresso nello zai-no 
(anche se a volte, qualche dubbio mi viene). 
Potrebbe però essere utile, o almeno d’appoggio, 
ai saggi viandanti delle cime, quelli che passano 
in silenzio e non lasciano tracce, e soprattutto a 
chi si avventura nei primi trail. A coloro che, con 
sempre maggiore frequenza, mollano l’asfalto 
per correre tra creste, valli e nuvole. 
re e superare, al confronto delle quali una lunga 
sgroppata in montagna, per quanto densa di ri-schi, 
le fa un baffo. 
Nel frattempo però appunti, foglietti, intervi-ste, 
statistiche, consigli, prove su sentieri, scelte, 
si sono accumulate. Così ho cercato di dar loro 
un minimo di ordine e provo a condividerle con 
voi. Piccola precisazione stilistica: a volte scrivo 
al singolare (delle cose che sono capitate a me o 
come le faccio io) a volte al plurale (se, per fare 
un esempio, leggete di ipotermia o di condizioni 
climatiche, sono temi che riguardano tutti e non 
solo il sottoscritto). 
Comunque, tranquilli: il testo a seguire non è 
certo un manuale, perché i temi sono tanti, me-ritano 
dettagli e approfondimenti che solo un 
‘vero’ esperto in ogni materia potrebbe fare. E poi 
non lo è anche perché di testi più o meno sacri 
sulla corsa in genere e sul Trail sono già pieni gli 
scaffali delle librerie. Anche in questo caso non 
voglio mettermi in competizione. 
Quel che segue è dunque una raccolta di pareri 
altrui, di considerazioni e di consigli pratici tra-scritti 
dopo averli sperimentati sul campo. Pren-detelo, 
insomma, per quello che è. Non sono pes-simista, 
come sostiene ogni tanto il mio editore, 
ma probabilmente nei confronti di questo testo 
14 15
INDICE 
Io gliel’ho detto 5 
Da leggere prima di tutto il resto 9 
Cosa serve 17 
In confidenza con l’ambiente e il clima 85 
Mangiare, bere e stare caldi 109 
I bastoni tra le ruote 125 
Correre con la testa 165 
Allenarsi, allenarsi e ancora allenarsi 185 
Finalmente al via 211 
Al di là del traguardo 223 
Libri di corsa 229 
Grazie a tanti 233
ENDURANCE TRAIL
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  • 3. Franco Faggiani Endurance Trail Prepararsi, partecipare, sopravvivere idea Montagna editoria e alpinismo
  • 4. Io all’autore di questo libro gliel’ho detto più volte: “lascia perdere”. Mettersi a correre in mon-tagna alla sua età, che poi è esattamente anche la mia. Ma lui non mi dà retta – del resto ognuno di noi ha qualche desiderio intimo a cui, prima o poi, cerca di dare soddisfazione – e io non posso insistere più di tanto. Perché lui, ogni volta, mi risponde che la colpa di tutto questa è solo mia. L’autore ha scoperto la corsa in montagna appe-na pochi anni fa, dopo che s’era messo in testa di scrivere la mia storia. Facemmo lunghe chiacchie-rate poi trasformate in “Correre è un po’ come volare”, un libro in cui, tra domande e risposte, raccontavo anche delle mie esperienze negli Ul-tra Trail. Specie a quello di 168 chilometri che gi-rano intorno al Monte Bianco e attraversano tre Paesi, poi diventato l’obiettivo, la corsa-mito di gran parte dei runner di ogni parte del mondo. A questa gara ho partecipato più volte, a poco 5 Io gliel’ho detto Prima edizione: giugno 2014 ISBN: 978-88-97299-46-2 Idea Montagna Editoria e Alpinismo è un marchio di Officina Creativa sas Via Guido Rossa, 17 – Piazzola sul Brenta PD Tel. 049 9601797 – Fax 049 8840000 www.ideamontagna.it – info@ideamontagna.it Progetto grafico: Officina Creativa sas Copertina: Rossella Benetollo Impaginazione: Irene Cappellari Stampa: Litocenter srl In copertina: Roberto Fluido Beretta fotografato da Ian Corless (www.iancorless.org) Nell’interno: foto ricevute da Manuela Restagno, Mirko Mottin, Assessorato Turismo Valle d’Aosta, Tecnica. © Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale degli scritti e delle fotografie.
  • 5. del calendario internazionale. Io per esempio non la farei, perché stare in giro tutto quel tempo e su quella distanza, 330 chilometri, non è nelle mie corde. Alla mia età, che poi è esattamente an-che la sua, stare in giro per una settimana su e giù per i valloni con il tempo che può cambiare da un momento all’altro non me la sento. Al massi-mo posso star fuori una notte, com’era, appunto, all’Ultra Trail del Monte Bianco. Però lui, niente. Per fortuna fa un mestiere in cui la curiosità e la voglia di apprendere, che prece-dono la sperimentazione, non gli mancano. Così si è messo a chiedere notizie agli atleti, di punta e di coda, li ha seguiti nelle gare, ne ha scovato piccoli segreti. Ha letto libri e ha sentito esperti. Si è documentato bene e poi ha provato in prima persona materiali e luoghi, distanze e sensazio-ni. Così è nato questo libro, che è una specie di manuale raccontato, o, all’opposto, un insieme di racconti ordinati sulla falsariga di un manua-le. Non ci sono tabelle, schemi, diagrammi, ca-lorie consumate, energie misurate, anche perché nell’endurance trail non servono a niente; nel senso che su distanze molto lunghe e in ambienti soggetti a molte variazioni ognuno, appunto con consapevolezza (una parola che nel testo viene sottolineata più volte), deve provvedere per sé, meno di 60 anni. La prima volta arrivai terzo, poi la vinsi nei due anni successivi, poi, un altro paio di volte, fui costretto a ritirarmi. Dunque ho pro-vato molte delle sensazioni forti che colpiscono un runner in una lunga corsa in montagna: suc-cesso, esaltazione, dolore, rinuncia, delusione, ri-scatto. Ho imparato molto da lì, nonostante aves-si già corso abbondantemente tra le montagne, nei deserti, sugli altipiani, nelle isole caraibiche o in quelle coperte di ghiacci, nei posti vicino casa o dall’altra parte del mondo. In montagna, più che in altri ambienti, bisogna portare nello zaino molte cose, materiali – per-ché le condizioni ambientali cambiano spesso e possono farsi difficili – e immateriali. Tra que-ste ultime anche determinazione, abnegazione, consapevolezza. Non so, a dir la verità, quanto e come l’autore si alleni fisicamente per queste pro-ve sulle lunghe distanze. So però, conoscendolo un po’, che queste tre cose fondamentali ce le ha. Sa badare a se stesso e capire come affrontare le situazioni. È prudente ma al tempo stesso non molla tanto facilmente. Anche in questo caso dice che è colpa mia, ma credo che delle solide basi di testardaggine e di pratica sportiva in mon-tagna le avesse già. S’è fissato, per esempio, col Tor des Géants una delle gare più lunghe e dure 6 7
  • 6. Poco tempo fa, in età già ultraveneranda per certi sport e soprattutto per la corsa fuori stra-da, mi sono messo in testa di partecipare a una ultramaratona. Non a una corsa campestre, a una ‘mezza’ e nemmeno a un trail, che vuole già il suo contributo di vittime, ma a una gara sulle lunghe distanze, dagli 80 km in avanti, secondo una omologazione internazionale che classifica, appunto, l’ultra trail. È la prima e ultima volta che leggerete qui questo termine. Avrei voluto usarlo persino nel titolo ma non si può. Le due parole, separate, formano un marchio registrato. Christine Poletti, organizzatrice dell’Ultra Trail del Monte Bianco, lo detiene. Le avevo chiesto il permesso di poterlo usare in copertina ma niente da fare. La signora è stata gentilissima ma ferma. “Ultra Trail è un marchio”, mi ha scritto, “e quin-di non può essere usato per descrivere uno sport”. Non m’è restato altro da fare che prenderne atto. 9 non ci sono regole comuni. Nel testo però ci sono curiosità, citazioni, sperimentazioni, trucchi e i molti consigli pratici ricevuti, messi in pratica, se-lezionati e ritrasmessi. Ho chiesto all’autore quali possono essere i suoi lettori tipo. Lui ha risposto: “tutti coloro che un bel giorno, a qualsiasi età, si alzano dal divano ed escono di casa per andare a far due passi sul sentiero. Certi poi ci prendono così gusto dal voler mettersi a correre un lungo trail. Con un briciolo di spirito agonistico e tanta voglia di godersela”. Questo mi sembra il vero spi-rito del testo. Perciò approvo e sottoscrivo. Marco Olmo Da leggere prima di tutto il resto 8
  • 7. soprattutto nei fine settimana, proprio quando si disputano le gare. Poi sono scarsamente dotato di spirito agonistico, non mi importa il confron-to, la sfida, la classifica. Mi metto nelle retrovie e lì sto. Cerco di arrivare in fondo felice, sereno, dopo aver conosciuto nuovi amici, essermi incon-trato/ scontrato con il carattere della gente, aver apprezzato le piccole storie raccontate e l’am-biente naturale intorno. In compenso ho una certa predisposizione alla tenacia. Anche se non sono stato un frequenta-tore dei trail, da decenni attraverso montagne e valloni d’estate, arrampico in falesia, percorro lunghe distanze sugli sci da fondo, zampetto con le ciaspole in mezzo alla neve fresca fin da quando non era per niente una moda farlo. A casa mangio in modo corretto, mi sposto in bicicletta, faccio le scale a piedi, non ho stravizi anche se mi tolgo gli sfizi… A incoraggiarmi, per certi versi, sono intervenu-ti due fattori. Il primo: un’intervista a Ruggiero Isernia, uno dei ‘senatori’ del Tor, ovvero un atle-ta che ha brillantemente portato a termine tut-te le edizioni fin qui disputate. E in che modo? Sempre camminando. Godendosi il paesaggio, fermandosi a far fotografie, riposandosi quando necessario, fermandosi a chiacchierare con un Ma torniamo alla mia avventura. Visto che c’e-ro (del resto è nel mio carattere scartare le mezze misure) mi sono concentrato sulla partecipazio-ne al Tor des Géants, la gara più lunga e difficile che si organizza in Italia (330 chilometri di sen-tieri in quota e 24mila metri di dislivello positi-vo, il tutto in un’unica soluzione, come direbbe il mio direttore di banca, e al massimo in 150 ore) e sicuramente una delle più dure del mondo. Ecco perché gran parte dei riferimenti all’interno del testo sono rivolti a questa ambita competizione internazionale valdostana. È innegabile, comun-que, che di gare su lunghe distanze decisamente appetibili ce ne sono molte, dalle valli sotto il Monte Bianco a quelle delle Dolomiti, passando per la Valtellina. Follia pura, la mia? Molti pensano di sì (a vol-te, per fortuna non sempre, lo penso anche io). Specie i miei vecchi amici sedentari e gran parte di quelli acquisiti in epoche più recenti nel mon-do trail. Ai primi sembra da matti anche il fatto che io vada a correre la sera per un’ora nel parco cittadino. Ai secondi sembra incredibile che io non mi sia mai fatto vedere, o quasi, in altri ap-puntamenti che contano. Ma questo qui, chi è? Hanno ragione, anche se posso giustificarmi: il mio lavoro, per esempio, mi porta a darmi da fare 10 11
  • 8. seconda in avanti mi sono messo a percorrere gli stessi sentieri, a studiare i tracciati, a far doman-de ai tecnici e ai runner, a frugare nei loro zaini, nelle loro borse, a volte anche nei loro sentimen-ti; ad accompagnarli in qualche altra gara e ad andare loro incontro in certi tratti difficili. Poi, per vedere l’effetto che fa stare in mezzo ad altri concorrenti, ho preso parte – e tutt’ora lo faccio – a qualche trail corto. Sempre stando in fondo, però. Nel 2013 eccomi iscritto alla mia prima edizione del Tor. Bella sensazione. Con la voglia di allenar-mi con maggiore regolarità e impegno. Bella sen-sazione anche questa. Infine, a meno di un mese dal via, un vero infortunio, durante un’uscita di circa 60 chilometri. Brutta sensazione. Niente gara. Comunque, un’esperienza anche il piedone fasciato e tutto quel che ne è conseguito dal pun-to di vista psicologico, da cui ho estratto nuovi insegnamenti. Nel 2014 ci si riprova, sempre con lo spirito leg-gero. Non ho confronti con me stesso da fare o limiti personali ‘da abbattere’. Per prima cosa per-ché i miei limiti fanno un po’ come gli pare, van-no avanti e indietro senza che io riesca a domarli; poi perché la vita, purtroppo o per fortuna, mi ha offerto altre prove ‘emozionanti’ da affronta-sacco di gente lungo il percorso. La calma fatta persona. Il secondo: uno studio scientifico, che è stato riportato anche nel best seller ‘Born to Run’, di Christopher McDougall, e che qui sintetizzo, è che le capacità atletiche di un ragazzo dicianno-venne aumentano con la crescita fino a raggiun-gere un apice, intorno ai 27 anni, poi inevitabil-mente calano e si ritrovano allo stesso livello di partenza a… 64 anni. In più però, a quest’età, hai dalla tua l’esperienza, che da atleta adolescente di sicuro non avevi. Quindi sei pure avvantaggiato rispetto a quello che potrebbe essere tuo nipote. “Non c’è nessun’altra disciplina sportiva in cui uno di 64 anni può competere con uno di 19”, dice nel libro il professor Bramble. In effetti un paio ce ne sarebbero, la vela e l’equitazione, per esempio; ma lì ci sono barche e cavalli che fanno la loro parte. Nell’ultramaratona dobbiamo fare tutto da soli. Certo, lo so, tutto questo non basta per essere sicuri di arrivare in fondo sani e salvi a una 330 chilometri o anche ‘solo’ a una 160. Bisogna ag-giungere a questa materia grezza molto altro, di più raffinato. Ed è proprio per questo che, dopo aver seguito la prima edizione della gara valdo-stana da bordo campo, come giornalista, dalla 12 13
  • 9. gli esperti – runner o tecnici – faranno orecchie da mercante. Non posso certo dar loro torto. Sanno benissimo come dovrebbero scegliere un paio di scarpe o cosa portarsi appresso nello zai-no (anche se a volte, qualche dubbio mi viene). Potrebbe però essere utile, o almeno d’appoggio, ai saggi viandanti delle cime, quelli che passano in silenzio e non lasciano tracce, e soprattutto a chi si avventura nei primi trail. A coloro che, con sempre maggiore frequenza, mollano l’asfalto per correre tra creste, valli e nuvole. re e superare, al confronto delle quali una lunga sgroppata in montagna, per quanto densa di ri-schi, le fa un baffo. Nel frattempo però appunti, foglietti, intervi-ste, statistiche, consigli, prove su sentieri, scelte, si sono accumulate. Così ho cercato di dar loro un minimo di ordine e provo a condividerle con voi. Piccola precisazione stilistica: a volte scrivo al singolare (delle cose che sono capitate a me o come le faccio io) a volte al plurale (se, per fare un esempio, leggete di ipotermia o di condizioni climatiche, sono temi che riguardano tutti e non solo il sottoscritto). Comunque, tranquilli: il testo a seguire non è certo un manuale, perché i temi sono tanti, me-ritano dettagli e approfondimenti che solo un ‘vero’ esperto in ogni materia potrebbe fare. E poi non lo è anche perché di testi più o meno sacri sulla corsa in genere e sul Trail sono già pieni gli scaffali delle librerie. Anche in questo caso non voglio mettermi in competizione. Quel che segue è dunque una raccolta di pareri altrui, di considerazioni e di consigli pratici tra-scritti dopo averli sperimentati sul campo. Pren-detelo, insomma, per quello che è. Non sono pes-simista, come sostiene ogni tanto il mio editore, ma probabilmente nei confronti di questo testo 14 15
  • 10. INDICE Io gliel’ho detto 5 Da leggere prima di tutto il resto 9 Cosa serve 17 In confidenza con l’ambiente e il clima 85 Mangiare, bere e stare caldi 109 I bastoni tra le ruote 125 Correre con la testa 165 Allenarsi, allenarsi e ancora allenarsi 185 Finalmente al via 211 Al di là del traguardo 223 Libri di corsa 229 Grazie a tanti 233